EDITORIALE / Privitera e le strade che ammazzano i ciclisti

21.07.2025
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Non conoscevo Samuele Privitera e non so se renderne grazie. Mi sarebbe piaciuto avere qualche esperienza condivisa con quel ragazzo entusiasta e solare, per contro tuttavia avrei attraversato i giorni della sua caduta e della morte rivivendo storie di ieri di cui porto ancora le cicatrici. Sono stati giorni pesanti, in cui ho toccato con mano lo sgomento di chi era sul posto e si trovava per la prima volta a contatto con la morte. Non ci si fa il callo, ma si impara il modo per tenerla a distanza, mettendo in atto dei meccanismi di autodifesa, che non sempre funzionano, ma di certo alleviano i colpi.

Il Giro della Valle d’Aosta è stato colpito da un’ondata di tristezza
Il Giro della Valle d’Aosta è stato colpito da un’ondata di tristezza

La famiglia del ciclismo

Ricordo come fosse ieri la caduta di Diego Pellegrini, al mio primo Giro della Valle d’Aosta, perché con lui avevo scherzato al via della tappa. Quella di Fabio Casartelli, che giusto prima di avviarsi aveva mostrato la foto del figlio Marco. Ricordo Wouter Weylandt, che non conoscevo tanto bene, ma era lì qualche ora prima e di colpo se ne era andato. La differenza a ben vedere la fa il fatto di conoscerli e aver condiviso il sogno, la rincorsa, il successo e anche il fallimento. Si fa parte della stessa famiglia e nelle famiglie succede anche questo.

Le statistiche della mortalità sulle strade dicono che ogni anno muoiono molti più ciclisti e anche più giovani di Samuele Privitera (in apertura foto @jcz__photos). Ma finché restano confinati nel conteggio e non hanno un nome, una storia e un sogno che ti coinvolgano, riesci a farli scivolare in modo più indolore. Se però nella statistica rimangono coinvolti (fra i tanti) Simone Tomi, Silvia Piccini, Tommaso Cavorso, Giovanni Iannelli, Davide Rebellin, Sara Piffer e mia zia Sandra che viveva a Bologna, allora capisci che è tutto vero.

Nei giorni della morte di Samuele abbiamo sentito parole dettate dallo sgomento, ma anche dalla brutta abitudine di drammatizzare i toni, quasi sentendosi in colpa per essere ancora qui, mentre lui non c’è più. Abbiamo sentito dire che il ciclismo è uno sport pericolosissimo, ma sarà vero?

Il Giro della Valle d’Aosta aveva anche altre ferite: questo il ricordo di Diego Pellgrini
Il Giro della Valle d’Aosta aveva anche altre ferite: questo il ricordo di Diego Pellgrini

A misura di SUV

Sono le strade a esserlo, italiane e non. Viviamo in un mondo a misura di automobile: veicoli sempre più grandi, veloci, violenti e insonorizzati. Un SUV di oggi ha lo stesso ingombro dei furgoni di un tempo, ma le carreggiate sono strette come 50 anni fa. Per farli rallentare non bastano i segnali di pericolo oppure ricordare che potrebbero esserci dei bambini che giocano: cosa gliene frega a un automobilista che ha fretta se travolge qualcuno? La donna che uccise Silvia Piccini proseguì e si presentò al lavoro.

Allora servono i dossi. Oppure si delimitano le corsie con vasi di calcestruzzo, rialzi e cordoli molto alti. Si è creata una geografia di ostacoli, che gentilmente vengono definiti arredi urbani e che dal mio punto di vista sono barriere architettoniche per chi vive la strada su due ruote, con o senza motore. Samuele è morto perché non si è accorto di un dosso del quale si sarebbe potuto fare a meno se la civiltà stradale fosse degna di questa definizione. Mattias Skjelmose è stato costretto a ritirarsi dal Tour perché si è trovato davanti, non segnalato, uno spartitraffico che lo ha fatto volare. Non serve a niente imporre cerchi più bassi e manubri più larghi se le strade sono queste.

Il dosso poco visibile che potrebbe aver provocato la caduta di Privitera
Il dosso poco visibile che potrebbe aver provocato la caduta di Privitera

Campi di battaglia

Il pavone Salvini, che si occupa di sicurezza stradale e infrastrutture e vuole legare a tutti i costi il suo nome a quel dannato ponte, dovrebbe essere più fiero di aver educato gli italiani a vivere civilmente sulle strade. Samuele Privitera è morto su un dosso che rappresenta il fallimento di questo tipo di educazione. Diverso il caso di Iannelli, ad esempio, probabilmente ucciso dall’assenza delle necessarie precauzioni in un rettilineo di arrivo. Diverso forse il caso di Diego Pellegrini, che in piena discesa trovò in traiettoria l’ammiraglia di un direttore sportivo che cercava di soccorrere il proprio corridore caduto. Non si venga a dire che il ciclismo è uno sport pericolosissimo, oppure si contestualizzi la frase.

Il ciclismo è uno sport pericolosissimo perché si svolge su strade come campi di battaglia. Siamo vittime del bullismo delle auto e delle trappole di chi cerca di arginarle. Se nelle vecchie zone di guerra i bambini continuano a morire ed essere mutilati per l’esplosione delle mine antiuomo, la colpa è loro che le hanno calpestate oppure di chi quelle mine le ha sepolte?

Formolo a Livigno: l’altura, la famiglia e l’equilibrio trovato

21.07.2025
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Due settimane in altura a Livigno per Davide Formolo prima di partire per la Spagna e riprendere il ritmo di gara in vista degli impegni di fine stagione. Il veneto correrà al Tour de Pologne e poi alle classiche del calendario italiano di settembre. In programma c’era anche il Deutschland Tour ma il percorso non si addice troppo alle caratteristiche di Formolo e quindi in accordo con la squadra hanno deciso di allenarsi a casa. 

«Sarei dovuto passare anche dal Giro di Germania – ci racconta – ma non avendo tappe adatte a me, si è deciso che sarebbe stato meglio allenarsi a casa per fare ritmo e gestire al meglio i lavori. I quattordici giorni fatti in altura a Livigno sono stati la seconda parte della mia ripresa dopo il Giro d’Italia. Avevo staccato per dieci giorni in modo da recuperare. Da lì, complice anche il caldo, ho deciso di riprendere a ritmo blando, facendo tante ore per fare volume».

«Il ritiro a Livigno – ci racconta mentre è in aeroporto pronto a imbarcarsi per la Spagna – ha permesso di fare un bel blocco di lavoro. Finite le gare in terra iberica, passerò da casa prima di andare in Polonia. Proprio lì qualche anno fa, nel 2019, ho vissuto la stessa situazione che i ragazzi stanno affrontando in questi giorni al Giro della Valle d’Aosta (il riferimento è alla morte del belga Bjorg Lambrecht, che aveva 22 anni, ndr). Per questo voglio esprimere la mia vicinanza e mandare loro un pensiero e un incoraggiamento».

Formolo è stato in ritiro a Livigno per due settimane insieme alla famiglia
Formolo è stato in ritiro a Livigno per due settimane insieme alla famiglia

Tutti insieme in altura

Terminato il periodo di allenamento a casa Davide Formolo è partito per Livigno insieme alla moglie Mirna e i due figli Chloe e Theo. Un bel modo per unire il lavoro e un po’ di tempo da passare con i propri cari prima di ripartire.

«Livigno – spiega Formolo – è davvero costruita a misura di ciclista e della famiglia. C’è tutto quel che serve: strade e salite per allenarsi, mentre chi rimane in paese ha ogni servizio e può fare tantissime attività. Noi professionisti siamo abituati, tra Teide e Sierra Nevada, a fare ritiri in posti in cui sei isolato. Mentre sulle montagne italiane siamo pieni di località in cui si trovano paesi estremamente serviti anche a 1.900 metri di altitudine». 

Dopo una decina di giorni di stop alla fine del Giro ha ripreso gli allenamenti, ricostruendo il fondo
Dopo una decina di giorni di stop alla fine del Giro ha ripreso gli allenamenti, ricostruendo il fondo
Tra tutti i posti come mai Livigno?

Personalmente mi trovo bene a queste altezze, perché è la giusta quota per avere tutti i benefici dell’altura. Inoltre Livigno consente di scendere anche di quota, ottima cosa per gli allenamenti. 

Come ti sei gestito?

Leonardo Piepoli (il preparatore di Formolo alla Movistar, ndr) ha un metodo di lavoro che prevede meno volume e più intensità già a bassa quota. Spesso scendevo a Tirano o Bormio per pedalare e poi la sera risalivo a Livigno per riposare e recuperare. Adesso abbiamo tanti strumenti che ci permettono di capire l’adattamento del nostro fisico in quota. Non ho fatto mai tante ore, così da avere il corretto equilibrio tra intensità e recupero

Avere la famiglia vicina durante l’altura è un modo per passare comunque il tempo insieme tra i vari allenamenti
Avere la famiglia vicina durante l’altura è un modo per passare comunque il tempo insieme tra i vari allenamenti
Sei tornato anche dal sindaco dello Stelvio?

Non sono riuscito, mi piange il cuore ma facendo tanta intensità non ho avuto modo di fare lo Stelvio. Ne parlavo nei giorni scorsi con mia moglie Mirna, devo tornare però. Non solo a salutare il sindaco dello Stelvio, ma anche tutte le famiglie delle attività che ci sono lassù e che negli anni mi hanno visto crescere. 

Sapere poi di avere la famiglia che ti aspetta in hotel è bello però.

La situazione a Livigno in un certo senso è strana. Io ho scelto come hotel l’Alpen Resort e lì trovi il 90 per cento dei clienti che è lì in vacanza, certo pedalano ma per noi professionisti è diverso. Noi siamo su per lavoro. Però avere la famiglia vicina ti dà qualcosa in più, sapere che sei fuori a pedalare e che loro sono lì tranquilli è bello. Torni e riesci a stare con i bambini e giocare con loro prima di cena o stare insieme dopo aver mangiato. 

Formolo oggi riattacca il numero sulle schiena in Spagna alla Classica Terres de l’Ebre
Formolo oggi riattacca il numero sulle schiena in Spagna alla Classica Terres de l’Ebre
Meglio che vederli in una videochiamata.

Certamente, non c’è paragone ovviamente. Nei giorni in cui eravamo a Livigno ha anche nevicato a quota 2.200 metri. Avevamo in programma una gita a Carosello 3.000, ma non avevamo le ciaspole (ride, ndr). A parte gli scherzi, ne parlavo con mia moglie prima del Giro. Il ciclismo, come lo sport in generale, ti fanno stare tanto tempo lontano da casa. Prima della corsa rosa le dicevo: «Rischio di partire che il piccolino, appena nato, ha un dentino e torno che mi sorride con tutti i dentini già messi».

Ora con le tende ipossiche qualcosa è cambiato?

Sì, si riesce a fare qualche giorno in più a casa. Solitamente tra il ritiro prima di un Grande Giro, le gare in preparazione e poi le tre settimane di gara si rischia di stare via due mesi. Con la tenda quei giorni di stacco tra le gare in preparazione e poi l’inizio del Grande Giro riesci a farle a casa insieme alla famiglia.

I duri giorni di Milan, minacciato da Pogacar e Van der Poel

21.07.2025
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CARCASSONNE (Francia) – Il bus della Lidl-Trek è pronto per partire, manca soltanto Jonathan Milan… incastrato dal protocollo previsto per chi indossa le maglie di classifica: la verde nel suo caso. La giornata non è andata come si aspettava. E anche se il traguardo a punti si trovava al chilometro 59,8 in un tratto di saliscendi, il friulano non è riuscito a infilarsi nella fuga che se l’è giocato. Né la squadra è parsa intenzionata a dare fondo a troppe energie per impedire agli attaccanti di prendere il largo, dopo aver lavorato per tenerli nel mirino.

Sta di fatto che il traguardo volante di Saint-Félix-Lauragais se l’è preso Mathieu Van der Poel su De Lie ed Eenkhoorn, mentre Milan lottava nelle retrovie e a 97 chilometri dall’arrivo ha perso contatto col gruppo. Il suo ritardo al traguardo è stato di 22’42”. La classifica a punti lo vede invece primo con 251 punti, a fronte dei 223 di Pogacar e i 210 di Van der Poel.

Steven De Jongh, fermato per pochi minuti davanti al pullman ha allargato le braccia. «Sarà molto difficile lottare per la maglia verde – ha detto il diesse belga – perché Pogacar può giocarsela come vuole. La classifica a punti è uno degli obiettivi che ci siamo dati venendo al Tour, al pari di vincere delle tappe. Una è venuta, due ci sono sfuggite. Lotteremo per i traguardi volanti, ma non snatureremo il nostro modo di correre. Per cui faremo il possibile nelle tappe che restano e cercheremo di vincerne almeno un’altra».

Sabato Milan ha provato la fuga verso Superbagneres, poi la squadra lo ha aiutato per il traguardo a punti
Sabato Milan ha provato la fuga verso Superbagneres, poi la squadra lo ha aiutato per il traguardo a punti

La guerra degli scatti

Lo aveva detto Petacchi prima ancora che il Tour entrasse nel vivo. Aveva consigliato a Milan di concentrarsi sul maggior numero di tappe possibili e poi di considerare la maglia verde una loro conseguenza. Con una vittoria e due secondi posti, il discorso è attuabile, ma di certo non semplice. Sfogliando il libro della corsa, è immediato notare che i traguardi a punti si trovano tutti nella prima metà di tappa e non dopo le montagne che ci aspettano. Milan può cercare di infilarsi nelle fughe, cosa che non gli è mai riuscita troppo agevolmente da quando lo hanno trasformato in un velocista. Oppure potrebbe chiedere alla squadra di tenere cucita la corsa fino allo sprint, pur sapendo che certe partenze sono micidiali e difficili da contrastare.

«La tappa è iniziata con grandi ambizioni – dice lui – e penso che dopo molti attacchi, mi sentissi me stesso, stavo bene. Ho iniziato la giornata e ho corso con l’aspettativa di conquistare più punti possibile. Penso di aver stretto i denti per entrare nei primi attacchi, volevo davvero essere davanti per conquistare lo sprint intermedio. Ma quando ho fatto l’ultimo tentativo, sapendo che sarebbe stato difficile, non sono riuscito a dare quel che mi aspettavo».

Van der Poel ha messo la maglia verde nel mirino? Per come corre, è possibile
Van der Poel ha messo la maglia verde nel mirino? Per come corre, è possibile

L’insidia Van der Poel

Il percorso del Tour per certi versi gli strizza l’occhio, per altri lo mette a confronto con avversari più adatti di lui alle fughe. E se è vero che i punti in palio suoi traguardi di montagna peseranno meno di quelli dei traguardi volanti, la presenza di Van der Poel rende tutto molto difficile. L’olandese, che ha vinto una tappa e vestito la maglia gialla, potrebbe fare della verde il suo ultimo obiettivo del Tour e sarebbe difficile in quel caso contrastarne gli slanci.

«Penso che oggi anche la temperatura abbia inciso sulla mia prestazione – riflette Milan – sono un po’ deluso, ma Mathieu è quello che è. Domani finalmente avremo un bel giorno di riposo, poi vedremo per le prossime tappe. Sarà molto difficile, perché siamo vicini e ci aspettano giornate davvero dure. Sarebbe un finale davvero amaro lottare duramente e dare il massimo per difendere questa maglia e poi doversi dispiacere per non avercela fatta».

Il giorno di riposo servirà per studiare i percorsi. Il solo giorno in apparenza vietato per l’attuale livello di Milan sarà il ventesimo, con il traguardo volante al chilometro 72,3 dopo una serie di notevoli saliscendi, ma per il resto non c’è una tappa fuori portata. Sarà la squadra a decidere, se farsi bastare l’eventuale vittoria di mercoledì a Valence o lottare tutti i giorni per mantenere il simbolo verde del primato.

Wellens un falco: attacca sul falsopiano e piomba su Carcassonne

20.07.2025
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CARCASSONNE (Francia) – «Negli ultimi cinque chilometri era nervoso, cercavo di tranquillizzarlo quando era ormai chiaro che aveva vinto». Simone Pedrazzini è quasi più felice di Tim Wellens quando scende dall’ammiraglia della UAE Emirates. Oggi era il diesse in seconda ed è toccato a lui stare sulla fuga.

Il campione belga ha vinto a Carcassonne con una fuga solitaria di ben 43 chilometri. Ha regalato allo squadrone emiratino la quinta vittoria in questo Tour de France e soprattutto è entrato nel club dei vincitori di tappa in tutti e tre i Grandi Giri. Un club ora forte di 113 corridori. E lo ha fatto in un giorno che, se non è stato da tregenda, poco ci è mancato. La media folle nelle prime due ore, la caduta di Lipowitz e Vingegaard all’inizio. E anche quella di Alaphilippe, che sembrava lì per tirarsi fuori e poi invece è finito terzo. Qui sono sempre emozioni e batticuore.

Pedrazzini gongola

«Questa vittoria, o meglio questa fuga – racconta Pedrazzini mentre si abbraccia con gli altri dello staff – non era prevista. Tutto è nato strada facendo. Avete visto come è andata la tappa? Tanto caos, almeno nelle fasi iniziali. Tra l’altro, davanti la Visma-Lease a Bike aveva piazzato Victor Campenaerts, quindi Tim è andato».

A quel punto, come si dice in gergo, si è fatta la conta. Si è valutata la situazione. Tutto sommato, dietro Pogacar era tranquillo e ben coperto, e allora perché non lasciare spazio a questo corridore che è sempre molto generoso? Tra l’altro, è uno dei più stretti amici proprio di Tadej Pogacar. I due si allenano insieme a Montecarlo. E a volte è lo stesso papà di Wellens a fargli fare dietro motore.

«Quando abbiamo valutato la situazione – riprende Pedrazzini – e visto che tutti stessero bene, ci abbiamo provato. Ma per come è andata, è stato un vero numero di Tim. Quando sono uscito ad arrivare su di lui, gli davo giusto i distacchi e le borracce. Cosa gli dicevano i ragazzi per radio? Purtroppo nulla: erano troppo lontani e non riuscivano a parlargli. Però so che si tenevano informati. E’ stata una grande giornata per noi».

Spesso è Wellens il primo a testare le novità tecniche. La corona grande che ha usato sembra fosse nuova e con una dentatura più grande
Spesso è Wellens il primo a testare le novità tecniche. La corona grande che ha usato sembra fosse nuova e con una dentatura più grande

Bravo Tim

Quando Tim Wellens entra in mixed zone è felice, quasi timido. Ha gli occhi di ghiaccio solo nel colore. In realtà è di una dolcezza unica. Parla quasi a bassa voce.

«Penso di essere la persona più felice sulla Terra in questo momento – ha raccontato Wellens – E’ una bellissima vittoria ed è un grande orgoglio per me, per i miei compagni e credo anche per il Belgio, visto con che maglia ho vinto». Tra l’altro, domani – secondo giorno di riposo – è anche la Festa Nazionale Belga».

Pedrazzini ha ragione quando dice che il numero se lo è inventato del tutto Wellens. E’ sembrato, in parte, di rivedere il campionato nazionale belga di qualche settimana fa, che lui ovviamente aveva vinto. Tanti scatti e controscatti, tanto caos e una lettura di corsa ineccepibile.

«L’obiettivo – ha detto Wellens – non era proprio quello di entrare nella fuga, ma una volta che mi ci sono ritrovato, la squadra mi ha dato il permesso di tentare. Ho pensato proprio di attaccare in quel momento. Avevo visto che c’era quel falsopiano dopo la salita e quindi ho provato ad attaccare lì. Era un buon punto per poter provare a fare la differenza. Mi sentivo davvero bene, non stavamo pedalando a tutta. Ad un certo momento, proprio perché stavo bene, ci ho anche provato prima della salita, però non ero convinto, perché in quel momento mancava davvero tanta, tanta strada. Quindi ho atteso il falsopiano.

«Se era più facile scappare in salita? Forse, ma non volevo dimostrare quanto stessi bene. Notavo che Campenaerts stava pedalando sciolto e forse pensava di fare quel che ho fatto io. Ma sono partito prima io… in cima credevo che rientrasse. Poi c’era anche una curva molto stretta verso destra – un vero e proprio tornante che immetteva su una strada più grande, il falsopiano di cui parla Tim – e loro erano a sinistra. Io a destra l’ho preso più forte. Poi però non è stato facile, perché per diversi chilometri ce li ho avuti a 10”. Solo quando ho superato i 20” le cose sono migliorate».

I racconti dei corridori sono eccezionali. Chilometri, Gpm, salite e poi magari a fare la differenza, su una tappa di 170 chilometri, è l’ingresso in una curva.

Amore, amicizia e vittoria

Ancora Wellens: «Ho parlato un po’ con Victor Campenaerts un paio di minuti fa prima di entrare qui in mix zone. Lui mi ha detto che avevo gambe così buone perché sono innamorato! Forse è vero: anche nella vita privata è un buon momento e questo si riflette anche in gara».

«Cosa mi passava per la testa? Pensavo solo a spingere e a non perdere il ritmo. In squadra c’è un bel feeling, so che i ragazzi e Tadej sono stati molto contenti per me. Scambierei subito la mia vittoria di tappa con la maglia gialla di Tadej a Parigi. Oggi si è creata questa opportunità e va bene, ma siamo tutti qui per Pogacar. Ci sono ancora due giorni molto difficili. L’altro giorno Tadej è caduto e questo ha costruito una situazione molto tesa. Nonostante questo abbiamo continuato ad attaccare, ma abbiamo sofferto molto tutti. Anche oggi, non avevamo intenzione di soffrire, ma ci sono cose che non possiamo controllare. Per questo dico che ci aspettano giorni difficili e che dobbiamo sempre essere vigilanti».

Come accennavamo, Tadej e Tim sono parecchio amici. In corsa Pogacar voleva essere aggiornato sull’azione del compagno e all’arrivo ha gioito.

«Sono davvero felice per lui – ha detto lo sloveno – Tim lavora duramente per mantenere questa maglia gialla. Mi ha aiutato negli ultimi anni nelle classiche, si è sacrificato per me, anche durante gli allenamenti. Ora, che vinca il Tour, è fantastico per la squadra. Ha colto l’occasione. Sono più felice per lui che quando vinco una tappa io».

Widar vince ancora: ora la testa va di pari passo con le gambe

20.07.2025
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CERVINIA – Il Giro Ciclistico della Valle d’Aosta, anche nella sua sessantunesima edizione, parla belga. Jarno Widar concede il tris con un’altra vittoria di tappa ai danni degli stessi due atleti battuti ieri allo sprint. Copia e incolla insomma, all’apparenza sembra tutto semplice ma scavando a fondo si capisce che per Widar questi mesi sono stati complicati per diversi motivi. 

«La prima vittoria di tappa – spiega con il solito tono di voce appena accennato che lo contraddistingue – era per Samuele Privitera, così come le altre due arrivate nei giorni scorsi. Non ci sono altre persone a cui dedicare un pensiero al momento, oggi si chiude un Giro della Valle d’Aosta difficile per tutti. In questi giorni non riuscirò a fare un ultimo saluto a Samuele, ma appena finiti gli impegni proverò a passare a Soldano».

Resettare

Scherzando, gli altri giornalisti presenti dicono a Widar che dovrebbe imparare la nostra lingua visti i tanti successi raccolti in Italia. Lui sorride di gusto e dice di aver provato a utilizzare un’applicazione sul telefono che aiuta a studiare le lingue, ma che la nostra è troppo difficile. Sorride e un po’ si scioglie. Il belga della Lotto Development è tornato a correre dopo il ritiro dal Giro Next Gen, quando era in odore di una doppietta importante a conferma delle sue qualità.

«Il Giro Next Gen era il mio grande obiettivo con la Lotto Development – racconta – perché poi il resto della stagione lo correrò con la nazionale visto che sarò al Tour de l’Avenir e poi al mondiale in Rwanda. Volevo lasciare la squadra di sviluppo con un bel ricordo (dal 2026 Widar correrà con la formazione maggiore, ndr). Non è facile accettare che un obiettivo sul quale hai investito tanto tempo, sia nella preparazione che nelle energie mentali, non vada come desideri».

L’Avenir

La stagione di Widar, come lo scorso anno, è stata costruita con in testa due grandi obiettivi: Giro Next Gen e Tour de l’Avenir. Nel 2024 lo scalatore di Hasselt era arrivato scarico alla corsa a tappe francese e la classifica sfumò presto. Le settimane successive furono difficili, si arrivò anche a pensare che il rapporto tra Widar e il team Lotto si fosse incrinato. L’allarme era poi rientrato e il cammino è continuato per la strada prestabilita

«Quest’anno – dice ancora Widar con la maglia gialla addosso – tra il Giro della Valle d’Aosta e il Tour de l’Avenir farò un periodo di altura, di due settimane, per prepararmi. Sono dell’idea che ogni opportunità vada colta e così ho fatto in questi giorni in Val d’Aosta. Abbiamo cercato una via diversa per arrivare pronti in Francia tra un mese (l’Avenir inizierà il 23 agosto, ndr)».

Per Widar inizia la parte finale della stagione nella quale correrà tanto con la nazionale U23 (foto Direct Velo/Hervé Dancerelle)
Per Widar inizia la parte finale della stagione nella quale correrà tanto con la nazionale U23 (foto Direct Velo/Hervé Dancerelle)

Ora è pronto

Nella scorsa stagione si parlava delle grandi qualità atletiche di Widar: fosse stato solamente per quelle, sarebbe già passato fra i più grandi. Ma il ciclismo non è solo gambe, è anche testa. Ce lo ha detto ieri Omrzel, lo hanno capito anche lo stesso Widar e il suo diesse alla Lotto Development Wesley Van Speybroeck

«Il ritiro dal Giro Next Gen – ci racconta proprio il diesse – lo ha messo a dura prova mentalmente. Il giorno stesso ha avuto un brutto calo psicologico ma dopo ventiquattro ore era già focalizzato sui prossimi impegni. Ha capito che nel ciclismo c’è anche la sconfitta

«Con il Giro della Valle d’Aosta si è chiuso il suo percorso nel devo team – prosegue Van Speybroeck – e il prossimo anno lo rivedremo con la maglia della Lotto. Atleticamente è pronto e lo ha dimostrato quando ha corso insieme ai professionisti in questi due anni. Anche a livello mentale ha fatto un bel passo, ha lavorato con un mental coach su tanti aspetti e ora è forte abbastanza anche da questo punto di vista».

Yates come Simoni: storie del Tour 2003, guardando Jonas e Tadej

20.07.2025
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Una somma di cose alla fine ci ha portato a rispolverare una storia del 2003, quando Gilberto Simoni vinse il Giro d’Italia e poi si presentò baldanzoso al Tour de France, vincendo una tappa. Quando qualche giorno fa Simon Yates ha vinto a Le Mont Dore, subito la mente è andata al trentino. Non sono tanti quelli (tolto Pogacar e pochi altri) che hanno vinto il Giro e poi anche una tappa al Tour. Loro due per giunta hanno quel modo simile di andare in salita. Rapportone, bassa cadenza e ritmo che li stronca. E quando ci siamo accorti che la cronoscalata di venerdì è partita da Loudenvielle, abbiamo pensato che non potesse essere solo una coincidenza: proprio lì infatti Gilberto conquistò l’unica tappa al Tour della sua carriera.

In breve. Già vittorioso al Giro del 2001 quando correva con la Lampre, nel 2003 Simoni corre in maglia Saeco e si gioca il Giro con Garzelli e Popovych. Nel gruppo c’è anche l’ultimo Pantani. Gilberto è arrivato al Giro dopo aver vinto il Trentino e il Giro dell’Appennino. Arriva secondo sul Terminillo, battuto da Garzelli. Prende la maglia rosa a Faenza, dove si piazza terzo. Poi vince sullo Zoncolan e all’Alpe di Pampeago. E dopo il secondo posto di Chianale, vince ancora a Cascata del Toce, nella tappa degli ultimi scatti di Pantani. Esce dal Giro il primo giugno in grandissima condizione. Il Tour quell’anno parte il 5 luglio con un prologo a Parigi. Propone una crono di 47 chilometri il dodicesimo giorno a Cap Decouverte e l’indomani affronta i Pirenei.

Simon Yates, vincitore del Giro con l’impresa del Finestre, conquista la tappa di Le Mont-Dore
Simon Yates, vincitore del Giro con l’impresa del Finestre, conquista la tappa di Le Mont-Dore
Andasti al Tour, ma al centro dei pensieri c’era il Giro?

Sì, io ho sempre avuto in testa il Giro. Insomma, non c’era tanto spazio per andare al Tour con le programmazioni di allora. Era difficile prepararsi per due appuntamenti. Però devo dire che negli anni in cui sono andato, mi sono anche impegnato. E quell’anno, dopo aver fatto il Giro d’Italia, ero convinto di fare bene e mi ero preparato a puntino.

Ma non tutto andò come speravi, giusto?

Nella prima settimana stavo veramente benissimo, poi sono andato fuori giri nella crono. Il giorno dopo ci fu una tappaccia, veramente intensa e dura. E da lì in poi non sono più riuscito a recuperare. Ho fatto un fuori giri che non ci voleva, altrimenti non avrei vinto perché non me lo sognavo neanche, però credo che sarei riuscito a entrare nei primi cinque.

Ricordi cosa facesti in quel mese fra Giro e Tour?

Non corsi, ma andai con Miozzo (il suo tecnico, ndr) ad allenarmi sull’altopiano di Asiago. Anche allora si andava in altura, ma non era la mia preparazione preferita. Salimmo ad Asiago perché stavo veramente bene e se non avessi sbagliato quella crono, sarebbe finita diversamente. Le tappe contro il tempo in quel periodo erano lunghe e determinanti. Diedi anche l’anima per non prendere un minuto in più e invece la pagai cara.

Garzelli ha conquistato la maglia rosa sul Terminillo e la perderà a Faenza per mano di Simoni: intervista con Alessandra De Stefano
Garzelli ha conquistato la maglia rosa sul Terminillo e la perderà a Faenza per mano di Simoni: intervista con Alessandra De Stefano
Eri uscito bene dal Giro?

Quando vinci non ti sembra neanche di aver fatto fatica. Ero tranquillo, per quello non andai a cercare l’altura. Cercai solo il fresco, dovevo recuperare. Mi ricordo che le prime tappe furono veramente nervose. Mi è successo di tutto. Sono caduto a 70 all’ora in volata, ma non mi son fatto niente. La prima settimana al Tour de France è sempre un disastro, più emotivamente che fisicamente. Insomma, quello che ha finito col pagare Remco. Serve una squadra forte perché in corsa si creano delle gerarchie e per stare davanti bisogna lavorare di spalle, gridare e tener duro.

Ti sembra che il modo di correre sia cambiato?

Ricordo che Indurain lasciava fare. Quando andava via la fuga, non si interessava troppo, mentre adesso è difficile vedere una situazione del genere. Tutte le squadre sono in corsa per cercare un risultato, quindi devono far vedere che sono lì per lavorare e non per fare vacanza. Mi ricordo che per una settimana era sempre così: un’ora a 50 di media, si formavano gruppi da tutte le parti e poi li trovavi fermi in mezzo alla strada e si andava verso la volata, ma spesso qualcuno arrivava. Non mi spiego come qualche giorno fa ci fosse una fuga di 50 corridori e non siano arrivati.

Che cosa ti ricordi di quella vittoria a Loudenville? 

Per la delusione che avevo addosso, è stata una roba enorme. Ero deluso perché a Parigi avevo fatto veramente un prologo eccezionale, arrivai ventunesimo. Si girava intorno alla Tour Eiffel: arrivai e mi sentii orgoglioso di me, veramente all’altezza della sfida. Persi 13 secondi, sentii di essere nel vivo della corsa. Invece andammo sulle Alpi e provai una delusione dopo l’altra. Riconoscevo anche persone venute per me dall’Italia, ma non c’era modo di rialzarsi. Saltai il giorno dopo Morzine. Nella tappa dell’Alpe d’Huez cercai di tener duro.

Che cosa successe?

Feci la salita dietro al gruppo, a 20 metri. Rientrai in discesa e pensai che forse la bambola mi fosse passata, invece ancora prima che iniziasse l’ultima salita, ero già saltato. Ero confuso e quindi decisi di riposarmi e disinteressarmi della gara. Nel giorno di riposo finii su L’Equipe, perché mi fotografarono al mare con Bertagnolli a prendere il sole. E piano piano iniziai a crescere. Bertagnolli invece si ritirò e Martinelli venne a dirmi che se non me la fossi sentita di continuare, sarei potuto ritornare a casa. Invece gli risposi che ero arrivato alle tappe che volevo e sarei rimasto. Non volevo rinunciare all’occasione di provarci. E infatti il giorno dopo andai in fuga.

Come andò?

Ho avuto solo un pensiero, uno solo, non ne avevo altri: volevo vincere. Non mi lasciai influenzare dal tempo, dall’acqua, né dal caldo, né dalle salite. Volevo solo vincere e alla fine ci riuscii in volata, cosa che per me non era scontata. Era una tappa dura, con sei salite tutte combattute. Mi ritrovai con corridori veloci come Dufaux e Virenque. Sapevo di non essere il più veloce, ma presto anche loro si accorsero che ero io l’uomo da battere e provarono a farmi fuori. Andai all’ammiraglia e mi attaccarono. Però sono stato freddo, sono rientrato e poi ho iniziato a guidare le danze. La volata sarebbe stata una roulette russa, ma con un po’ di fortuna, riuscii a vincere la tappa.

Hai visto il Tour di Armstrong, ora c’è Pogacar: con quale spirito si va alle corse se i rivali sono tanto più forti?

Devi affrontare la realtà. Non mi sono mai illuso, però ho sempre messo in conto di dire: vediamo dove arrivo. Non sono mai partito battuto, insomma. La consapevolezza di non poterli battere arriva strada facendo, perché almeno all’inizio devi partire sapendo che puoi giocartela, no? Non sono mai partito per partecipare, io ero fatto così. Detto questo, si vede che Vingegaard corre su Pogacar, che non gliene frega niente di nessun altro. Ho visto tanti corridore fare così, potrei farvi una lista infinita. Quelli che battezzano un rivale perché sanno che va forte e aspettano che salti per rubargli il posto. Io non sono mai stato così, non ho mai fatto la corsa per aspettare che mi arrivasse qualcosa dal cielo. Insomma non era nel mio carattere.

Si arriva in casa: Simoni vince da solo a Pampeago, intorno a lui l’entusiasmo trentino
Si arriva in casa: Simoni vince da solo a Pampeago, intorno a lui l’entusiasmo trentino
Cosa ti pare di Pogacar?

Non aspetta, non è attendista. A volte sembra che non segua alcuna indicazione. Credo che a volte voglia fare le cose in grande e poi si penta per aver fatto qualcosa di troppo. Secondo me, visto il risultato, a Hautacam ha pensato che gli sarebbe bastato attaccare negli ultimi tre chilometri, anziché dai piedi della salita.

Ha il gusto di stupire?

Attacca spesso da lontano, anche se basterebbe meno. Mi piace l’imprevedibilità, come Van der Poel. Quando puntano una tappa, diventano imprevedibili, ma sono tenaci e ne fanno di tutti i colori. Insomma, la scommessa più grande è capire se vinceranno oppure no. Per il resto diciamo che Tadej è abbastanza infallibile, l’altro gli gira attorno da un po’. Ha già vinto per due volte il Tour, ma continuerà a correre allo stesso modo.

Il ritiro di Evenepoel tra fisico in difficoltà e testa sottosopra

20.07.2025
5 min
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A 100 chilometri da Superbagneres, il numero 21 si sposta sulla destra, stacca il piede dal pedale, sfila il computerino dalla sua Specialized e sale in ammiraglia. Quel numero 21 era sulla schiena di Remco Evenepoel in quel momento ancora terzo nella classifica generale, proprietario della maglia bianca… e un atleta che poteva ancora dire molto. Forse.

Forse, perché nelle ultime giornate il campione olimpico ha vissuto momenti affatto semplici, fino allo smacco del sorpasso da parte di Vingegaard nella cronometro di Peyragudes. Però era lì.

Inizio del Tourmalet: Remco si sfila subito. Pascal Eenkhoorn lo scorta. Poco dopo il ritiro
Inizio del Tourmalet: Remco si sfila subito. Pascal Eenkhoorn lo scorta. Poco dopo il ritiro

Cosa è successo

Sarebbe interessante sapere nel dettaglio cosa ha vissuto Remco in queste ultime 72 ore. Il coach Koen Pelgrim ha parlato di problemi alle alte intensità. Sostanzialmente, ha detto il tecnico fiammingo, in questo Tour de France Evenepoel ha pagato il conto dell’incidente che lo ha coinvolto lo scorso autunno. Di fatto non ha potuto costruire una base solida e per questo motivo le sue prestazioni sono risultate altalenanti.

Sempre per ammissione di Pelgrim, problemi simili Evenepoel li aveva vissuti già dopo il Delfinato, solo che allora non era in gara. «Dopo aver lavorato per recuperare la condizione e dopo gli sforzi importanti del Delfinato – ha detto Pelgrim a Sporza – Remco faceva fatica a perfomare quando doveva spingere forte. Questo a causa di una base di lavoro non troppo solida. E’ stato un continuo riadattarsi».

E questa tesi può anche anche starci. Anche Pogacar, quando si ruppe il polso tre anni fa, dopo due settimane di Tour crollò. Sembra quasi che una settimana a tutta la si regga, ma poi si paga dazio. Evidentemente non si riesce a garantire costanza agli alti regimi, si recupera meno.

Di contro, va detto che Remco era risalito in sella a fine gennaio e il tempo per costruire la base in teoria lo aveva avuto. Tadej in quel caso fu costretto a fermarsi (molto meno) tra aprile e maggio. Pertanto è indubbio che c’è anche la componente mentale. E qui il discorso si apre…

A Peyragudes Vingegaard arriva come un treno. Evenepoel, in crisi, non può far altro che vederlo andare via. Forse qui la crepa è diventata una voragine

I blackout di Remco

Il gesto di stizza nei confronti delle telecamere che lo vanno a cercare mentre si sta sfilando sulle primissime rampe del Tourmalet sono un indizio di nervosismo. Anche se poi, per correttezza, bisogna dire che qualche istante dopo ha regalato la borraccia a un bambino. Però non è la prima volta che Remco va in blackout. E crolla.

Giro d’Italia 2023: è in maglia rosa, la crono non va come dovrebbe e si ritira all’improvviso a tarda serata. Non ha neanche dato il tempo ai dirigenti della Soudal-Quick Step di programmare la notizia. Il ritiro fu dovuto al Covid. Legittimo, certo, ma sarebbe stato meglio gestirlo in altro modo. Sei Remco Evenepoel, sei in maglia rosa, hai appena vinto la crono anche se non con il distacco che ipotizzavi e il giorno successivo c’è il riposo. Niente: via dall’Italia come un fulmine.

Vuelta dello stesso anno. Remco è ben messo in classifica generale. E’ stato anche leader, ha vinto una tappa e nella crono è arrivato secondo dietro a Ganna. Alla prima difficoltà cede di schianto, anche quella volta sul Tourmalet. Forse questa montagna è stregata per lui. Poi innesca una serie di alti e bassi clamorosi nel resto della gara spagnola.

Vuelta 2023: a più di 90 km dall’arrivo, Evenepoel molla. Arriverà sul Tourmalet ad oltre 27′. Il giorno dopo vincerà
Vuelta 2023: a più di 90 km dall’arrivo, Evenepoel molla. Arriverà sul Tourmalet ad oltre 27′. Il giorno dopo vincerà

Insistere o mollare?

Quella volta non si ritirò, anzi il giorno dopo vinse con un’impresa delle sue. Il problema è che alla prima crisi non tenne duro, ma si lasciò andare, incassando quasi mezz’ora. E qualche giorno dopo vinse ancora.

Giuseppe Martinelli quella volta (rileggete qui quell’articolo perché ieri è tornato estremamente di attualità) parlò di una crisi di testa e attribuì parte della responsabilità anche alla squadra.

«In un grande Giro può capitare la giornata no, ma un conto è perdere 5′-6′, un altro è crollare di mezz’ora. Si lotta. Si resta aggrappati alla classifica e poi si valuta la sera o nei giorni successivi»: questo più o meno il senso delle sue parole.

Ciò che destabilizzò Martinelli fu proprio la vittoria nel tappone del giorno seguente a Larra-Belagua. Secondo lui, la squadra avrebbe dovuto assecondarlo di meno e farlo insistere. Evenepoel era più acerbo. Certo, da allora le cose sono cambiate e l’atleta è maturato, ma il risultato e le modalità del ritiro restano molto simili. Ieri è stato il direttore sportivo Klaas Lodewyck a consigliargli di finirla lì.

A circa 100 km dall’arrivo Evenepoel, sconsolato, si ritira dal Tour de France (screenshot a video)
A circa 100 km dall’arrivo Evenepoel, sconsolato, si ritira dal Tour de France (screenshot a video)

Le parole del protagonista

La stampa belga, o gran parte di essa, ha preso le sue parti e si è allineata con la tesi, comunque più che legittima, di Pelgrim. Il fatto è che dispiace vedere un campionissimo come lui ritirarsi.

Anche perché, soprattutto in assenza di motivazioni chiare, per non dire ufficiali, esplodono le supposizioni. “Lo ha fatto perché ora prepara la Vuelta”. “Ha mollato perché tanto cambierà squadra”. O addirittura si è già letto che la sua probabile nuova squadra, la Red Bull-Bora, potrebbe non volerlo più e puntare su Florian Lipowitz. Quello stesso Lipowitz che, ironia della sorte, si è preso la sua maglia bianca e il suo terzo posto. Una carambola incredibile e forse anche inopportuna.

Remco ha parlato a fine tappa. Gesto assolutamente da apprezzare soprattutto perché è apparso devastato sotto il profilo morale. Prima di fermarsi ha anche pianto. «Avere una brutta giornata – ha detto – è possibile. Ma tre brutte giornate di fila non sono qualcosa che mi capita di solito, quindi fermarsi era l’opzione migliore. In realtà è stato Lodewyck a dirmi di smettere. Non ho idea di cosa sia successo». E questa è la parte che più lascia sconsolato Remco.

Anche Evenepoel ha parlato della difficoltà dopo il Delfinato, di una stanchezza latente e ha aggiunto: «Non posso ancora dire nulla riguardo al mio ritiro perché non so nulla. Indagheremo e vedremo cosa è successo. Tutti sanno che ho avuto un inverno decisamente brutto. Ma valuteremo. Forse c’è qualcosa che non va nel mio corpo. So che ad un certo punto non ha funzionato più nulla. Magari avrei potuto insistere, ma poi sarebbe stato peggio e non sarei più tornato in gara neanche a settembre».

Sulle Alpi un altro Tour. E Vingegaard troverà la crepa nel muro?

19.07.2025
6 min
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Tre corse nella stessa. E mentre Thymen Arensman corona la sua con la vittoria e stramazza sull’asfalto, alle sue spalle si svolgono le altre due: la corsa di Vingegaard contro Pogacar e quella di Lipowitz verso la maglia bianca. Mesto su un’ammiraglia in qualche posto imprecisato della tappa, Remco Evenepoel ha avuto il tempo per riflettere sul ritiro dal Tour. In attesa di avere notizie su eventuali problemi di salute, annotiamo le osservazioni del suo allenatore sul poco lavoro d’intensità fatto dopo il Delfinato, ma anche la facilità con cui il belga ha scelto di mollare. Si cresce anche lottando per un piazzamento, non esiste soltanto il podio.

«Sono stato male preparando il Tour – dice Arensman – ma penso che nonostante la malattia, mi sia preparato bene. Sono venuto per mettermi alla prova e ho dovuto essere molto paziente nella prima settimana, aspettando fino alle montagne. Alla prima occasione che ho avuto, sono arrivato secondo nella tappa di Le Mont Dore e già mi era parsa un’esperienza incredibile. Ma questa è di più. Penso di avere avuto gambe fantastiche e la forma migliore della mia vita. Ho avuto paura che tre minuti non bastassero per resistere a Tadej e Jonas, non riesco a credere di essere riuscito a tenerli a bada. Tutti gli spettatori mi hanno dato qualche watt in più. Sono venuto in Francia solo per vivere l’esperienza del Tour, vincere una tappa è pazzesco».

Il muro di Pogacar

Vedere Vingegaard che si scaglia contro Pogacar strappa il sorriso. Ma siccome è opinione diffusa che la terza settimana potrebbe capovolgere tutto l’acquisito, vedere Jonas scattare per due volte sulla salita finale fa dire che ne servirebbe di più, ma ben venga la buona volontà. Il Tour ha sempre vissuto dei duelli tra il leader imbattibile e i suoi sfidanti, ma solo uno prima di Pogacar aveva dato il senso dell’inscalfibilità: Lance Armstrong. Tutti, da Ullrich a Basso, contro di lui hanno perso il sonno e le sfide. Hanno continuato a provarci, ma di base come fai a crederci se quello là davanti neppure barcolla e, quando sei convinto di andare molto forte, ti scatta in faccia?

«Io credo che innanzitutto dipenda dallo spirito – dice Ivan Basso, chiamato in causa per la sua esperienza – dal temperamento del corridore. Se sei un attaccante, hai lo spirito di provarci sempre, perché non si sa mai cosa possa succedere. Ovviamente se non ci provi, non puoi sapere se l’altro sia in difficoltà o meno. E se lui ha la giornata storta e tu ne hai una di grazia, non c’è niente di impossibile. Io credo che Vingegaard non abbia nulla da perdere, nel senso che fare secondo non gli cambia nulla, mentre vincere il Tour con un’impresa sarebbe un’altra cosa. E’ chiaro che Tadej ha preparato questa gara come appuntamento clou dopo le classiche, quindi è fortissimo».

Basso ha lottato per anni contro Armstrong, senza riuscire mai a scalfirne l’armatura
Basso ha lottato per anni contro Armstrong, senza riuscire mai a scalfirne l’armatura

I numeri e l’istinto

Vingegaard appare deciso a non mollare e da martedì sul Mont Ventoux, potrebbe farsi nuovamente sotto.

«A questo punto – spiega Basso – ci sono due modi per provare ad attaccare Tadej. Il primo è legato all’analisi dei dati. Nelle squadre c’è qualcuno incaricato di studiarli, studiando se c’è una crepa in cui infilarsi. E poi ovviamente ci sono le doti dell’atleta, l’istinto e il colpo d’occhio. Quindi se l’istinto ti dice di andare in quel momento, tu ci provi e non sai mai quello che succede. Avere i dati è fondamentale. Servono per crescere, anche per andare indietro e vedere perché non vai o perché non vai come ti aspetti.

«Ma oltre a questo c’è quella cosa in più, che solo i campioni hanno e tirano fuori quando ritengono che sia giunto il momento. Infine c’è quello che ti viene dall’ammiraglia. Dall’immagine dell’elicottero si vede molto. Vedi dov’è posizionato l’avversario e se ha perso un metro oppure se ti segue come un’ombra. Io le ho provate in tutti i modi, ma Armstrong mi ha sempre ripreso. Però non avrei saputo correre in modo diverso».

Lipowitz ha tagliato il traguardo con 1’25” di ritardo da Arensman, ma nella scia di Pogacar
Lipowitz ha tagliato il traguardo con 1’25” di ritardo da Arensman, ma nella scia di Pogacar

La nuova maglia bianca

Mentre i primi due della classe se le davano di santa ragione, alle loro spalle Lipowitz ha conquistato il quinto posto a 1’25” da Arensman, ma ad appena 17 secondi da Pogacar. Questo gli ha reso la maglia bianca, che detiene ora con 1’25” su Oscar Onley. La classifica della Red Bull-Bora-Hansgrohe vede a questo punto il tedesco sul terzo gradino del podio, mentre Roglic viaggia in sesta posizione. Scendendo dal traguardo verso l’hotel, il primo direttore sportivo Enrico Gasparotto traccia un bilancio che, sottolinea, non può che essere provvisorio.

«Abbiamo vissuto tre buone giornate – dice il friulano – ma la tenuta alla distanza credo che la misureremo dopo la ventesima tappa. Quello che è venuto fuori in questi giorni è il fatto di aver approcciato la prima parte di Tour con un po’ più di serenità e tranquillità, invece di lottare per ogni secondo. E’ stato il nostro approccio e al momento ha fatto sì che Florian e Primoz abbiano avuto le gambe più fresche di altri. Però credo che si possa tirare una somma solo dopo le Alpi. Credo che a Lipowitz, abbia dato molta fiducia il terzo posto al Delfinato. Per lui è il primo Tour, ma per la seconda volta nell’anno si ritrova a lottare contro gli stessi protagonisti che sono l’apice del ciclismo mondiale.

«La stiamo vivendo serenamente, restando fedeli all’obiettivo del team, che prima di partire per il Tour era centrare il podio. Credo che siamo abbastanza in linea, però preferisco essere molto cauto perché la settimana prossima è molto difficile. Se ne vedranno ancora delle belle. Magari non sul Mont Ventoux, perché è una salita sola, anche se viene dopo il riposo e andrà gestito. Ma ci saranno due giornate da 5.500 e 4.500 metri di dislivello, che messe nell’ultima settimana, faranno male».

Primoz Roglic, terzo nella crono di ieri, viaggia al sesto posto della classifica
Primoz Roglic, terzo nella crono di ieri, viaggia al sesto posto della classifica

Il ruolo di Roglic

Prima di lasciarlo al suo viaggio verso l’hotel, l’ultima annotazione scappa quasi da sé. Roglic che al Giro, fino al ritiro, si è ritrovato a fare da esempio per Pellizzari, ora svolge lo stesso ruolo con Lipowitz. E’ un ruolo che gli piace?

«Primoz è molto partecipe ai discorsi – risponde Gasparotto – sia alle cose più goliardiche che i ragazzi si raccontano, sia agli aspetti più seri riguardanti la corsa. Il suo bagaglio di esperienza è enorme, ce ne sono pochi come lui. Ed è vincente il fatto che ne parliamo assieme sul bus, che discutiamo su tattiche e strategie, su quello che fanno gli altri e quello che dovremmo fare noi. Discutiamo sempre tutti insieme quando partiamo dall’hotel verso la partenza, è una cosa che abbiamo voluto noi direttori qui al Tour de France. Creare una sorta di ambiente rilassato, dove ognuno può dire quello che pensa. Credo che aiuti, no?

«Florian è una bravissima persona, un ragazzo d’oro, molto semplice. Quindi il fatto che Primoz sia così tranquillo, molto più dello scorso anno, per il gruppo è davvero un enorme vantaggio. E il terzo posto di ieri nella crono ha dato morale a tutti. Ora però dobbiamo riposare. Siamo passati dal caldo al freddo. Sono state giornate brevi, perché dopo le tappe, fra cena e massaggi si va a letto a mezzanotte e la mattina alle 9 sei già in giro. Abbiamo bisogno che lunedì sia un vero giorno di riposo, perché dal giorno dopo inizierà un altro Tour».

Omrzel: una lezione di vita dalla famiglia del ciclismo

19.07.2025
4 min
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VALSAVARENCHE – Jarno Widar firma la doppietta con la vittoria della quarta tappa del Giro Ciclistico della Valle d’Aosta. Il giovane belga della Lotto Development rafforza la sua leadership controllando da solo l’ultima parte di corsa. Un successo arrivato con uno scatto secco ai 500 metri dall’arrivo, con il quale si è tolto di ruota gli ultimi corridori rimasti con lui: Jakob Omrzel e Liam O’Brien. Lo sloveno della Bahrain Victorious, vincitore del Giro Next Gen qualche settimana fa, è tornato a correre davanti dopo che ieri ha passato una giornata difficile.

I fantasmi del passato

Tanti sono stati i pensieri che hanno riempito la testa di Omrzel, ce lo aveva detto anche il diesse della Bahrain Victorious Development Alessio Mattiussi ieri alla partenza. Lo sloveno, al primo anno tra gli under 23, è stato protagonista di un brutto incidente al Giro della Lunigiana dello scorso anno. Lo spavento, passato in secondo piano dopo che durante l’inverno era tornato a pedalare e allenarsi, è riemerso

«Più che parlare di una buona giornata a livello di prestazione – ci dice mentre fa girare le gambe sui rulli per il defaticamento – sono felice di essere in sella. Negli ultimi giorni ho avuto tanti pensieri negativi, ieri quando siamo ripartiti ho faticato a trovare il ritmo e onestamente non sono riuscito a fare il mio dovere. Oggi è stato un altro passo verso il ritorno alla normalità e ho fatto il possibile per vincere». 

Scalco, migliore degli italiani al traguardo, sale al quinto posto in classifica generale
Scalco, migliore degli italiani al traguardo, sale al quinto posto in classifica generale
Sono stati giorni complicati per tutti…

Sì, personalmente dico che è stato doloroso. Non conoscevo personalmente Samuele Privitera, ma nove mesi fa sono stato coinvolto anche io in un brutto incidente (al Giro della Lunigiana, ndr) e sono fortunato a essere vivo. Quello che è successo mercoledì mi ha scosso molto e stavo lottando con la mia testa. Volevo tornare a casa, ma ho trovato la forza di rimanere. 

Avete parlato in squadra?

Ci siamo confrontati tutti insieme, anche con il nostro diesse Alessio Mattiussi. Ho trovato la giusta motivazione per superare la giornata di ieri e grazie ho ricollegato la testa e le gambe

Omrzel ieri prima della partenza da Pré-Saint-Didier era ancora molto scosso e pensieroso
Omrzel ieri prima della partenza da Pré-Saint-Didier era ancora molto scosso e pensieroso
Ieri sei uscito di classifica.

Non ero in grado di prendere parte alla lotta per vincere, è stato complicato solamente arrivare alla fine della tappa. Ho parlato con Alessio (Mattiussi, ndr) ed è stato bello, mi ha aiutato a trovare una prospettiva di vita.

Cosa ti ha detto?

Niente di così speciale, ma ci siamo detti che la vita purtroppo è anche questo. Il ciclismo fa parte delle nostre vite e succedono anche delle cose brutte e spiacevoli. Tutto il gruppo, alla fine, è una grande famiglia. Quando capitano situazioni come queste si deve cercare di trovare la forza di proseguire, non possiamo farci nulla. 

Lo sloveno della Bahrain Victorious Development, oggi secondo, è tornato a correre con in testa la vittoria
Lo sloveno della Bahrain Victorious Development, oggi secondo, è tornato a correre con in testa la vittoria
Sei tornato a correre per vincere…

Ho capito che devo stare qui per Privitera e voglio provare a onorare la sua memoria con una vittoria. Jarno (Widar, ndr) è stato più forte, quindi onore a lui. 

Eri vicino alle tue prestazioni al Giro?

No, non sono ancora allo stesso livello, ma ci sto arrivando. Dopo il picco di forma del Giro Next Gen ho bisogno di ricostruire il tutto. Il mio prossimo obiettivo sarà il Tour de l’Avenir, c’è tutto il tempo per migliorare. Andrò in altura e poi mi allenerò a casa. 

Qualcosa è cambiato nel tuo modo di vedere le gare?

Credo di aver imparato più qui al Giro della Valle d’Aosta che al Giro Next Gen. Un mese fa ogni cosa si è svolta alla perfezione, mentre qui tutt’altro. E’ necessario prendere momenti come questi e imparare qualcosa per il futuro.