Toni in Uzbekistan, la sfida di costruire il ciclismo dal basso

29.07.2025
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E’ tornato per la seconda volta in Uzbekistan, stavolta per fare sul serio. Dopo un primo viaggio esplorativo questo inverno, Pino Toni, preparatore con un lungo curriculum tra professionisti e giovani promesse, è stato incaricato direttamente dal Comitato Olimpico Uzbeko di contribuire alla crescita del ciclismo nel Paese.

Non solo preparazione, ma una visione globale per cercare talenti, formare tecnici e creare le condizioni perché questo sport possa attecchire in una realtà dove finora hanno brillato soprattutto pugili e sollevatori. Una sfida stimolante in un Paese giovane, ambizioso e in trasformazione.

Pino Toni durante i test in Uzbekistan
Pino Toni durante i test in Uzbekistan

Ambizioni sportive

Il collegamento tra Toni e l’Uzbekistan passa da Vladimir Starchyk, ex corridore della Amore e Vita e oggi tecnico della nazionale uzbeka. E’ stato lui a coinvolgerlo per una consulenza mirata su un giovane atleta uzbeko, Nikita Tsvetkov, in vista dei mondiali e delle scorse Olimpiadi. Da lì è nato un confronto più ampio, culminato con l’incarico del Comitato Olimpico uzbeko per valutare e potenziare l’intero settore.

«Mi hanno chiesto se me la sentivo di dare una mano – racconta Toni – loro ragionano in termini di medaglie: campionati asiatici, mondiali, Olimpiadi. Serve concretezza. Ma sono ambiziosi: su 36 milioni di abitanti, alle ultime Olimpiadi sono arrivati tredicesimi nel medagliere. In discipline da palestra: pugilato, lotta, sollevamento pesi. Il ciclismo non è ancora nella loro cultura, ma hanno costruito impianti modernissimi, come il nuovo velodromo a Tashkent».

Il potenziale, secondo Toni, è enorme. Non solo per la struttura demografica del Paese, ma per l’energia che si respira, tipica delle società in crescita. «Sono nel boom, ci sono un milione di nuovi nati all’anno. E c’è fame di migliorare e di fare sport».

In Uzbekistan non solo il velodromo, sta nascendo un villaggio olimpico per i Giochi Asiatici
In Uzbekistan non solo il velodromo, sta nascendo un villaggio olimpico per i Giochi Asiatici

Lo sport in Uzbekistan

In Uzbekistan lo sport è uno strumento di orgoglio nazionale, interamente finanziato dallo Stato, apsetto tipico degli stati ex sovietici. Sponsorizzazioni private e club privati sono rari, per non dire unici. Tutto passa per i comitati olimpici e le federazioni, che selezionano e sostengono i giovani con criteri precisi, ma anche con forti incentivi. «Il concetto di sponsorizzazione non esiste – dice Toni – tutto è pubblico. Chi entra nel sistema riceve aiuti concreti. I ragazzi della nazionale hanno un rimborso che vale quanto mezzo stipendio di operaio. E per molti è già un grande passo, ma serve di più se si vuole allargare la base».

Allargare la base, prima ancora che un progetto è una sfida. Le famiglie non sostengono uno sportivo se non ci sono prospettive concrete, economiche o sociali. «A 19 anni un ragazzo o una ragazzi sono spinti a mettere su famiglia, magari persino a sposarsi. Se non si vede un futuro nello sport, lo si fa smettere. Per questo insisto sul creare prospettive e i corpi militari anche nel ciclismo sono una soluzione. L’alternativa sarebbe fare quel che ha fatto il Kazakistan con l’Astana: una squadre stabile con un percorso chiaro».

Le discipline preferite sono quelle in cui l’impatto economico è minore e i risultati più immediati, vedi la lotta libera, quella greco-romana, il sollevamento pesi…. Ma qualcosa sta cambiando. Il comitato olimpico ha stanziato risorse anche per il ciclismo, considerato ora disciplina strategica, in vista anche dei grandi eventi giovanili, come le Olimpiadi asiatiche under 18 che si terranno nel 2026.

Il clima (molto freddo d’inverno e molto caldo d’estate) non ha aiutato la crescita del ciclismo. Ma le cose stanno cambiando
Il clima (molto freddo d’inverno e molto caldo d’estate) non ha aiutato la crescita del ciclismo. Ma le cose stanno cambiando

Una base da costruire

Il ciclismo in Uzbekistan è ancora ai margini. La nazionale ha buone dotazioni, bici Aurum, gruppi di alto livello, ottime ruote, ma la base resta debole. «Una famiglia normale non può permettersi una bici da corsa – spiega Toni – quindi molti usano mezzi datati, magari con telai di vent’anni fa. Però la federazione funziona bene, c’è entusiasmo e da lì bisogna partire».

Gli impianti stanno arrivando. Oltre al velodromo di Tashkent, Toni sta insistendo anche sul far costruire nuove piste BMX e centri di selezione giovanile. Il problema è la continuità: da allievi agli elite sopravvive solo il 10 per cento dei ragazzi. I motivi sono economici e culturali, come quanto detto prima, ma anche strutturali.

«Quando sono andato lì – racconta Toni – ho trovato 70 ragazzi a un ritiro nazionale: quasi tutti in pratica. Ma tanti c’erano, perché facevano questo sport. Tuttavia il livello dei ragazzi, specie degli allievi, è buono, direi quasi più alto dei nostri. Ho fatto test su 25-30 giovani e ho visto valori sorprendenti. Anche tra le donne. Ma senza continuità non si cresce».

Al momento, gare su strada e mountain bike sono poche. Si punta molto sulla pista e sulla BMX, anche per la loro dimensione urbana e la possibilità di selezionare atleti da altri sport. E questo è un passaggio cruciale.

Yanina Kuskova è attualmente la miglior ciclista uzbeka (anche rispetto agli uomini). Prende l’eredità di una grande: Olga Zabelinskaya
Yanina Kuskova è attualmente la miglior ciclista uzbeka (anche rispetto agli uomini). Prende l’eredità di una grande: Olga Zabelinskaya

Il lavoro di Pino Toni

Il ruolo di Toni va ben oltre quello del preparatore: è un supervisore tecnico incaricato dal Comitato Olimpico. Il suo compito è mettere in piedi un sistema: scouting, test, selezione, formazione di tecnici e atleti.

«Gli ho insegnato a fare test sui rulli normali – spiega – per iniziare a scremare i ragazzi e capire chi ha potenziale. Stiamo creando strutture BMX e preparando un percorso per la pista, dove c’è anche un tecnico tedesco. L’idea è coinvolgere altri sport, cercare ragazzi esplosivi da atletica o arti marziali. Bisogna andare sul territorio a scovarli».

Una delle grandi sfide è proprio questa: pescare talento fuori dal ciclismo. Toni lavora con scuole di atletica, di lotta, di pesistica, per individuare profili atletici trasferibili. «Chi ha potenza e motivazione può diventare un ciclista di BMX o su pista. Un mezzofondista dell’atletica potrebbe essere un buono stradista. Ma serve un sistema ed è quello che sto cercando di fare. E soprattutto serve dare speranza: se a un ragazzo prometti un futuro, resta. Altrimenti molla».

Il lavoro è iniziato dagli allievi, ma tocca tutte le categorie, uomini e donne. L’obiettivo è arrivare a creare un vero movimento, con una base solida, un percorso formativo e, magari, una squadra che raccolga il meglio del Paese.

Nikita Tsvetkov mentre fa dietro motore con Pino Toni in Toscana
Nikita Tsvetkov mentre fa dietro motore con Pino Toni in Toscana

Obiettivi sportivi e strategici

L’obiettivo immediato è arrivare pronti alle Olimpiadi Giovanili Asiatiche 2026, tappa fondamentale per il movimento. Nikita Tsvetkov, classe 2005, è il simbolo di questa scommessa: terzo nel ranking Asia Tour pur correndo praticamente solo con la nazionale. Toni lo sta seguendo anche in Italia, per offrirgli un contesto più competitivo.

Nel medio termine, si punta a partecipare con più continuità a Campionati Asiatici e Mondiali, ma anche a costruire una struttura interna stabile: squadre, centri tecnici, una filiera di crescita.

«Serve un modello tipo Astana – dice Toni – oppure l’inserimento nei corpi militari. Il ciclismo può attecchire se ha una funzione sociale. E il Paese ha risorse: gas, cotone, oro, industrie. Se decidono di investire, lo fanno sul serio come di fatto stanno facendo con le strutture a Tashkent».

Il futuro passa anche dalla creazione di una cultura sportiva condivisa. «Molti non sanno cos’è il ciclismo – conclude Toni – ma quando ne capiscono il valore, si appassionano. Il mio compito è seminare. I frutti verranno col tempo».

Vollering, ancora una volta la sua maledetta sfortuna

29.07.2025
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Per un insolito scherzo del destino, quando il 16 luglio Demi Vollering ha commentato un post di Tadej Pogacar su Instagram non poteva immaginare che di lì a poco si sarebbe ritrovata nella stessa situazione. Il campione del mondo, appena caduto nella tappa di Tolosa, ringraziava il gruppo per averlo aspettato e avergli permesso di tagliare il traguardo con tutti gli altri. «Sembra che tu abbia avuto tutta la merda che ho vissuto io – solo che a me è costata una vittoria alla Vuelta e un Tour».

Il 16 luglio, Vollering ha risposto al post con cui Pogacar ringraziava il gruppo dopo la caduta di Tolosa

Neutralizzazione ai meno 5

Ieri, neanche due settimane dopo e nello stesso giorno in cui Elisa Longo Borghini ha lasciato la corsa, l’olandese che da quest’anno corre alla FDJ Suez è caduta a 3,7 chilometri dal traguardo di Angers, terza tappa del Tour de France Femmes. Una scena da brividi, con una caduta di massa, causata probabilmente da una manovra incauta che ha trascinato sull’asfalto anche Vollering. Il suo riferimento nel commentare il post di Pogacar era certamente alla caduta del Tour 2024, quando cadde a 6 chilometri dal traguardo di Amneville e perse vantaggio e maglia gialla. Questa volta, in virtù della neutralizzazione scattata ai meno 5 dall’arrivo, i distacchi sono stati azzerati, ma il dolore rimane. Amber Kraak e Juliette Labous l’hanno spinta fino al traguardo, poi Vollering è salita sul pullman della squadra.

«Abbiamo controllato tutto con il medico – ha spiegato subito Stephen Delcourt, manager della squadra francese – l’obiettivo è tornare in hotel, fare un altro controllo con il fisioterapista e l’osteopata e prenderci il tempo per valutare la situazione. Demi vuole sicuramente continuare in questo Tour, ma ha bisogno di tempo per riprendersi da un colpo del genere. La mentalità di alcune squadre è anomala, davvero irrispettosa. Demi vuole correre in testa, ma le tagliano continuamente la strada. In questo caso, la colpa non è dell’ASO, ma dei corridori. E’ semplicemente una questione di rispetto».

La difesa di Marianne Vos

Dopo ulteriori esami eseguiti in serata nell’hotel della squadra francese, lo staff medico ha escluso fratture, ma non il rischio della commozione cerebrale, per la quale scatterebbe eventualmente il protocollo dell’UCI. L’ultima verifica viene effettuata proprio in queste ore, per capire se Vollering potrà ripartire o dovrà fermarsi. Intanto però a Delcourt che ha puntato genericamente il dito verso la scorrettezza di qualcuno nel gruppo, risponde Marianne Vos.

«E’ il Tour de France – ha commentato la nuova maglia gialla – tutti vogliono essere davanti. Il finale di tappa è stato piuttosto caotico, stavamo entrando in paese in discesa e a tutta velocità. Non credo ci sia stata una mancanza di rispetto, è solo che tutti sono a pochi centimetri in questo tipo di finale. E’ la lotta per il posizionamento che lo rende pericoloso. Succede, ovviamente, anche in altre corse. Ci sono grandi ambizioni, c’è pressione per le atlete. Bisogna lottare per la propria posizione. Certo, sarebbe bello se si guidasse con rispetto reciproco, lasciandosi spazio a vicenda. Ma sappiamo anche che è una corsa serrata e che purtroppo questo genere di cose può accadere».

Demi Vollering ha mantenuto il suo posto in classifica, ma dovrà sottoporsi a nuovi esami
Demi Vollering ha mantenuto il suo posto in classifica, ma dovrà sottoporsi a nuovi esami

L’ultima valutazione stamattina

Poco dopo l’arrivo, mentre Vollering si stava riprendendo sui rulli davanti al pullman della squadra, Stephen Delcourt ha continuato a spiegare. «Demi ha un forte dolore al ginocchio e al gluteo sinistro. Se si tratta di dolore muscolare dovuto all’impatto, potremmo superarlo. Se invece avrà bisogno di diversi giorni per riprendersi, prenderemo una decisione domani (stamattina, ndr)».

La partenza della quarta tappa, quella di oggi, avverrà nel primo pomeriggio da Saumur in direzione di Poitiers, in una frazione probabilmente dedicata ai velocisti, come quella di ieri.

Capello vince dappertutto. Salvoldi guarda già lontano…

28.07.2025
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Roberto Capello non si ferma più. Il corridore della Grenke-Auto Eder ha conquistato la scorsa domenica anche la Medzinarodne dni Cyklistiky, prova di Nations Cup su tre tappe, la sua quarta vittoria in poco più di un mese. Ormai non è un caso, il diciassettenne è diventato un riferimento assoluto fra gli juniores.

Dino Salvoldi, il cittì azzurro non era in terra slovacca seguire la trasferta della nazionale, impegnato com’era nei contemporanei europei juniores e U23 su pista in Portogallo e aveva affidato la guida della squadra a Dino Fusar Poli che, al di là del successo gli ha dato importanti indicazioni sulla tre giorni e soprattutto sul comportamento del nuovo gioiello del ciclismo giovanile.

Il podio finale della prova slovacca, vinta dall’azzurro con 7″ sul ceko Patras (foto Sona Nikova)
Il podio finale della prova slovacca, vinta dall’azzurro con 7″ sul ceko Patras (foto Sona Nikova)

L’influsso del team tedesco

E’ chiaro a questo punto che il Capello di oggi è ben diverso da quello di un anno fa e al di là dell’anno di maturazione in più, molto ha influito l’ingresso nella multinazionale filiera della Red Bull Bora Hansgrohe. Anche Salvoldi ne è ben cosciente.

«Bisogna fare alcune considerazioni di base. Da un punto di vista dei volumi dell’allenamento non è cambiato molto per lui perché già l’anno scorso era un ragazzo abituato ad allenarsi con continuità e con carichi importanti. Anzi, da quel punto di vista forse fa anche meno. Quello che evidentemente è cambiata è la qualità della squadra e dei compagni e il calendario. E’ passato da fare una stagione tipo campionato di calcio, correndo con frequenza settimanale a correre praticamente solo gare a tappe, ma con una frequenza molto controllata. Finora ha solo 18 giorni di gara nelle gambe…».

L’arrivo di Capello al Trofeo Dorigo, dominato dal team tedesco con 5 atleti ai primi 5 posti (Photors)
L’arrivo di Capello al Trofeo Dorigo, dominato dal team tedesco con 5 atleti ai primi 5 posti (Photors)
Il team influisce solo su questo?

E’ già un aspetto importante. Poi, essendo entrato in una squadra prestigiosa con compagni di livello, sono aumentate anche le possibilità di fare risultato ma sono cambiati anche i materiali che sono diventati davvero di primissima qualità, a livello dei professionisti.

Pensi che sia scattato qualcosa anche mentalmente? Il team sta investendo molto su di lui anche come responsabilità, facendone spesso il leader del gruppo, quasi vogliano costruire un leader e non solo un corridore per il futuro team professionistico…

Quello sicuramente è stato un altro step, creare una mentalità più vincente che l’anno scorso non aveva. Lui comunque sta imparando e spesso si mette al servizio dei compagni di squadra, anche quando la corsa è particolarmente dura. Lui per le sue qualità, le sue caratteristiche, spesso è davanti e tante volte ha visto vincere i suoi compagni. A differenza dell’anno scorso, quest’anno è diventato vincente anche lui. Io più che le vittorie apprezzo la sua costanza di essere sempre tra i migliori, in qualsiasi contesto. Ha cambiato dimensione da quel punto di vista sicuramente.

Moller Andersen e Schoonvelde, doppietta al Trofeo General Patton in Lussemburgo grazie anche all’azzurro, 3° (foto team)
Moller Andersen e Schoonvelde, doppietta al Trofeo General Patton in Lussemburgo grazie anche all’azzurro, 3°(foto team)
Viene naturale fare un paragone con Finn, anche per il fatto dell’appartenenza alla squadra tedesca. Quali sono i punti in comune fra i due e le differenze?

Sono entrambi molto bravi in salita e anche a cronometro, il che ne fa ottimi prospetti per le corse a tappe. Roberto, a differenza di Lorenzo, si esprime su frequenze di pedalata più basse, di conseguenza è un po’ meno esplosivo, meno veloce. E quindi tende a fare la differenza più sulla costanza del mantenere un ritmo elevato, invece Lorenzo ha più facilità di variazione di velocità, questa è la differenza sostanziale.

Per Capello vittoria anche al campionato italiano a cronometro, un segnale importante per il futuro
Per Capello vittoria anche al campionato italiano a cronometro, un segnale importante per il futuro
Stai pensando a come impiegarlo per le prove titolate?

I mondiali in Rwanda sappiamo che avranno un dislivello importante, forse troppo accentuato per le sue caratteristiche anche se bisogna prima vederlo di persona per capire come impostare la squadra. D’altro canto c’è da dire che Capello su una distanza importante com’è quella di un mondiale è fra i migliori al mondo in questo momento. Vedremo insieme agli altri due ragazzi che lo affiancheranno come impostare la corsa, posso dire però che già lo vedo come titolare anche perché farà anche la cronometro. Diverso il discorso per l’europeo, che mi sembra maggiormente nelle sue corde, valutando solo il profilo altimetrico e la tipologia della salite.

Finn è un corridore prettamente stradista. Capello secondo te potrebbe avere anche giovamento dal fare attività, magari anche solo di allenamento, su pista?

Come mezzo di allenamento, pensando alla cronometro o a migliorare quelle lacune che ha soprattutto in riferimento alla forza, qualche allenamento potrebbe essergli utile, però non ha le caratteristiche per gareggiare su pista, quello no.

Chiusura e vittorie, il suo Samuele e il suo futuro. Parla Malaga

28.07.2025
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Queste ultime sono state settimane particolarmente intense e non semplici per il Team Giorgi. L’annuncio della chiusura della società, la scomparsa improvvisa dell’ex pupillo Samuele Privitera e le vittorie ritrovate. Una successione di sentimenti che messi sui piatti della bilancia restano difficili da pesare e quantificare, ma con cui di sicuro bisogna saper continuare a conviverci.

Col diesse Leone Malaga abbiamo ripercorso questo lasso di tempo, cercando di capire soprattutto il futuro suo e dei suoi attuali juniores, che nel frattempo hanno ripreso ad aggiornare la casella dei migliori risultati. In questo ultimo weekend sono andati a segno Giacomo Rosato in Piemonte a Pian della Mussa (sabato) e Thomas Bernardi nel trevigiano a Loria (ieri) dopo che in quello precedente si erano… ri-sbloccati. Ora il tassametro del Team Giorgi parla di 17 vittorie, la squadra al momento più vincente della categoria (in apertura foto Team Giorgi).

Pietro Solavaggione è un primo anno che ha ottenuto 4 vittorie destando tanto interesse (foto Team Giorgi)
Pietro Solavaggione è un primo anno che ha ottenuto 4 vittorie destando tanto interesse (foto Team Giorgi)
Come ha reagito il vostro gruppo a questo vortice di circostanze?

Non siamo stati in grado di farlo, siamo stati travolti dalle notizie. Qualcuno mi ha fatto notare che è stato un brutto scherzo del destino che il Team Giorgi salisse agli onori della cronaca prima con la chiusura e poi con la morte di uno dei suoi migliori talenti cresciuti. Samuele è venuto a mancare mercoledì sera, noi giovedì mattina eravamo in partenza per la Ciociarissima (la gara a tappe di tre giorni, ndr). Ero in viaggio con 6 ragazzi ed eravamo in condizioni pietose.

Immaginiamo…

A parte me e i nostri accompagnatori, la disgrazia del Val d’Aosta ha toccato da vicino pure Lorenzo Basso, che ha subito molto il colpo. Lui è di Sanremo e conosceva bene Samuele col quale si allenava quasi sempre assieme. Pensate che era stato proprio Samuele a segnalarmi Lorenzo, nonostante fosse più vecchio di due anni. Anche questo per dirvi chi era “Privi”, un uragano di ragazzo. E vista la sua famiglia non mi stupisco. Anzi permettetemi di raccontarvi un piccolo aneddoto accaduto recentemente.

Thomas Bernardi ha vinto a Loria concretizzando un bel momento di forma (foto italiaciclismo.net)
Thomas Bernardi ha vinto a Loria concretizzando un bel momento di forma (foto italiaciclismo.net)
Prego, ascoltiamo volentieri.

Samuele non voleva il funerale perché aveva sempre detto, dopo la recente scomparsa del nonno, che non avrebbe voluto una funzione in cui tutti erano tristi per lui. Quindi il 24 luglio ci siamo trovati con la sua famiglia e molti ex suoi compagni per un ritrovo in sua memoria. Sono partito disperato con tanti pensieri, ma sono rientrato a casa col sorriso grazie ai suoi genitori. Sono stati mamma e papà di Samuele che hanno sostenuto me e altri ragazzi presenti. Penso a Monister, Vesco e Leali che erano legatissimi a lui. Siamo tutti tornati con una grande forza interiore per andare avanti. I genitori di Samuele sono persone incredibili.

Nel frattempo la corsa laziale era andata bene. Cosa è successo?

Bisogna dire che quando sei in trasferta svaghi la mente perché hai mille cose da fare e da seguire. Forse questo ci ha permesso di concentrarci un po’ di più sulla gara. Alla prima tappa Marangon ha colto un secondo posto inaspettato con una grande prova. Le due frazioni successive le abbiamo vinte con Solavaggione e dominando come siamo in grado di fare. Peccato per la generale perché Solavaggione aveva perso tanto tempo il primo giorno. Penso che in quei giorni non pedalassimo da soli…

Edoardo Raschi ha vinto il titolo regionale a Reda di Faenza. E’ un secondo anno con buon mercato (foto Team Giorgi)
Edoardo Raschi ha vinto il titolo regionale a Reda di Faenza. E’ un secondo anno con buon mercato (foto Team Giorgi)
C’era una sorta di angelo custode?

Penso proprio di sì (risponde con più di un pizzico di emozione, ndr). O meglio, io non credo a certe cose ultraterrene, ma per me c’è stato qualcosa in quel weekend. Domenica 20 luglio abbiamo vinto tre gare in una giornata con tre atleti diversi, che diventano quattro contando anche il sabato. Ci era già successo nel 2024, però eravamo in un periodo vincente. Stavolta invece era un mese e mezzo che non vincevamo e non facevamo nulla. Poi penso alle tante cadute evitate alla Ciociarissima dove c’erano strade non curatissime. Sono convinto che Samuele ci abbia guidati ed aiutati da lassù.

Questo è il miglior modo per proseguire e finire la stagione?

Parlando dell’aspetto agonistico, personalmente ho assorbito il colpo della chiusura del Team Giorgi, dove ci sono da dieci anni. L’annata deve andare avanti come se nulla fosse. Noi tecnici e dirigenti per valorizzare il nome della società, i ragazzi per valorizzare se stessi visto che avranno tutti un futuro nuovo.

Matteo Mengarelli ha fatto una grande prima parte di stagione con due vittorie e tanti piazzamenti (foto italiaciclismo.net)
Matteo Mengarelli ha fatto una grande prima parte di stagione con due vittorie e tanti piazzamenti (foto italiaciclismo.net)
Sappiamo che Rosato passerà U23 nel devo team della Bahrain Victorious. Partiamo facendo un cenno sugli altri del secondo anno?

Sono in sei a salire di categoria. Bernardi ha vinto ieri e se lo meritava perché stava andando forte. Mengarelli invece ha fatto una bella prima parte di stagione con due successi e tanti piazzamenti. Gardani ha vinto due gare in volata, ma per me può diventare un corridore da gare più mosse. Raschi ha conquistato una gara, adatto a percorsi misti, però è stato sfortunato a rompersi il gomito al campionato italiano. Testa Pulici ha una grande costanza di rendimento sulle gare dure a ridosso dei primi. Gli manca solo un bel podio e un pizzico di grinta in più, ma può crescere ancora. L’ucraino Lahuta invece non so se continuerà a correre o meno.

Si sa anche dove andranno l’anno prossimo?

Posso dirvi che VF Group Bardiani CSF Faizanè, Beltrami TSA Tre Colli e qualche altro team continental si sono interessati a loro. Al netto dei risultati ottenuti o delle loro capacità, alcuni di loro hanno bravi procuratori che non hanno problemi a trovare mercato. Mancano alcune ufficialità, ma sono quasi tutti sistemati.

Simone Gardani ha conquistato finora due successi. Per Malaga non è solo un velocista (foto italiaciclismo.net)
Simone Gardani ha conquistato finora due successi. Per Malaga non è solo un velocista (foto italiaciclismo.net)
Il futuro di Leone Malaga invece dove sarà?

Sarò col Team Junior Guerrini Senaghese (il cui presidente è Stefano Guerrini, ex pro’ per quattro anni ad inizi 2000, ndr). Quasi tutti gli juniores del primo anno che ho adesso nel Team Giorgi verranno con me, uno invece potrebbe andare all’estero a correre il secondo anno. Considerando gli allievi che passano, nel 2026 avremo una squadra di 14/15 juniores. Il progetto è nato a maggio, ma si è concretizzato molto dopo quando Carlo Giorgi aveva deciso di chiudere. La tragedia di Samuele è dura da accettare e vi dico però che se fosse successa prima della firma con la nuova squadra, avrei lasciato il ciclismo o comunque mi sarei preso una lunga pausa. Ora vado avanti anche in suo onore, però il ciclismo sta diventando troppo pericoloso per tanti, troppi motivi.

EDITORIALE / Un insolito dualismo sotto il cielo d’Italia

28.07.2025
5 min
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Alle 19,40, circa 23 minuti dopo la vittoria di Wout Van Aert a Parigi e 15 dopo l’arrivo di Jonathan Milan in maglia verde, il comunicato della Lega Ciclismo è approdato via whatsapp nella disponibilità dei giornalisti.

«Jonathan Milan, orgoglio dell’Italia, vince la maglia a punti al Tour de France. Vincere 2 tappe e conquistare la maglia verde lasciandosi alle spalle campioni come Tadej Pogačar, Biniam Girmay e Jonas Vingegaard – scrive il presidente Pella (qui il testo integrale) – è un risultato straordinario. Come Lega del Ciclismo Professionistico ci faremo promotori e organizzatori di un evento di alto profilo istituzionale alla Camera dei Deputati per premiare Jonathan Milan». 

L’Onorevole Pella, terzo da sinistra, ha fatto sì che la Camera abbia aperto le porte al ciclismo: qui con il Presidente Fontana
L’Onorevole Pella, secondo da sinistra, ha fatto sì che la Camera abbia aperto le porte al ciclismo: qui con il Presidente Fontana

Dopo la Lega, la FCI

Alle 19,56, sedici minuti dopo, tramite l’account Telegram della Federazione sono arrivate invece le parole del presidente Dagnoni.

«Le due vittorie di tappa – scrive (qui il testo integrale) – la conquista della maglia verde da parte da Jonathan Milan, il grande lavoro fatto nelle rispettive squadre da corridori come Simone Consonni, Matteo Trentin ed Edoardo Affini, che è anche salito sul podio nella tappa a cronometro, il secondo posto di Davide Ballerini oggi in una tappa prestigiosa, dura e spettacolare, i piazzamenti di Velasco, Dainese, Albanese, ci regalano un Tour da tempo mai così felice per il ciclismo italiano».

Cordiano Dagnoni è stato rieletto alla guida della FCI: il primo anno post olimpico si sta rivelando impegnativo
Cordiano Dagnoni è stato rieletto alla guida della FCI: il primo anno post olimpico si sta rivelando impegnativo

Italia, un modello da rivedere

Va avanti così ad ogni vittoria, in una competizione interna fra due organi che dovrebbero lavorare in comune accordo, invece non si risparmiano reciproche spallate. Presenziando a premiazioni e podi come a voler delimitare il territorio. Intanto il ciclismo italiano, di cui parlano con prevedibile enfasi, continua la sua marcia (in apertura, un’immagine depositphotos.com). Le squadre professional non hanno il livello minimo necessario per competere e vanno a fare punti nelle corse di classe 2, quelle dei dilettanti. Gli organizzatori si sono visti richiedere di aggiungere la prova femminile, ma il loro budget è rimasto sostanzialmente invariato. Soffrono e a volte chiudono squadre juniores, che negli anni hanno costruito la propria fama prendendo ragazzi forti in ogni angolo d’Italia, trascurando i corridori di casa, perché dotati di meno punti.

Si dà la colpa di tutto alle WorldTour e ai loro devo team, senza rendersi conto che il modello italiano andrebbe adeguato a ciò che accade nel resto del mondo oppure andrebbero individuate nuove regole. Il presidente Dagnoni fa parte del Professional Cycling Council, quali proposte ha portato per regolamentare il passaggio al professionismo degli juniores o quantomeno provarci? 

Le due tappe e la maglia verde di Milan vanno celebrate, ma non bastano per coprire situazioni critiche del ciclismo italiano
Le due tappe e la maglia verde di Milan vanno celebrate, ma non bastano per coprire situazioni critiche del ciclismo italiano

La WorldTour che manca

E’ vero che abbiamo dirigenti quotati e tecnici di grande nome, oltre a personale super qualificato. Ma lavorano tutti in squadre dal budget straniero: basta che chi mette i soldi decida di imporre staff della propria nazionalità e tutto può cambiare. Lidl, sponsor tedesco, ha scalato la squadra, prendendo il sopravvento sull’americana Trek: in quel gruppo, che assieme alla Astana più di altri tutela i corridori italiani, tutto potrebbe cambiare.

Se è vero che il Tour è la vetrina dei corridori più forti, la presenza minima degli italiani deve produrre una riflessione. La WorldTour italiana serve, eccome. Non ci nascondiamo dietro alla presenza italiana nelle squadre mondiali. L’indimenticata Liquigas di Roberto Amadio schierava anche campioni internazionali come Sagan, Szmyd e Bodnar, ma permise a Nibali, Basso, Viviani, Oss, Moser, Cimolai, Caruso, Guarnieri, Bennati, Pellizotti, Sabatini, Vanotti e Capecchi (fra gli altri) di diventare solidi e spiccare il volo verso altre realtà. Quale squadra mondiale di 31 elementi sarebbe disposta a inserire ben 21 italiani?

La Liquigas di Amadio e Dal Lago mise insieme negli anni alcuni fra gli italiani più forti: qui Nibali e Basso
La Liquigas di Amadio e Dal Lago mise insieme negli anni alcuni fra gli italiani più forti: qui Nibali e Basso

I soldi della Lega

La nazionale si accinge a varare la spedizione per i mondiali in Rwanda e partirà con un contingente ridotto di atleti, meccanici e massaggiatori, dati gli alti costi della spedizione. Non saremo gli unici: il viaggio è oneroso. Si vocifera anche di ulteriori tagli che potrebbero riguardare figure di riferimento e della sempre crescente influenza del Segretario Tolu nelle scelte federali.

Visti il momento e la capacità del presidente Pella nell’aver intercettato alcuni milioni di euro nell’ultima Finanziaria per le attività della Lega del Ciclismo Professionistico, perché non immaginare che la stessa integri le spese di viaggio e soggiorno dei professionisti in Rwanda, lasciando che a occuparsi delle altre categorie sia la FCI? Allo stesso modo, dato che nel suo Consiglio sono presenti anche le squadre e gli organizzatori che stanno vivendo momenti particolarmente duri, si è già pensato di intervenire in loro favore?

La parità dei premi fra uomini e donne è un grande risultato, ma ancora migliore sarebbe approvare il professionismo per le ragazze. Il calcio lo ha fatto due anni fa, concedendo alle sue atlete la prospettiva di una pensione e di tutele che non tutte le squadre sono ora obbligate a garantire.

E così se il duello fra Pogacar e Vingegaard ha fatto il bene del ciclismo, non si può dire lo stesso di quello fra Lega e Federazione. Può essere di stimolo reciproco come Tadej ha detto di sé e di Jonas? E’ auspicabile. Se invece sarà così fino alle prossime elezioni, ci attende davvero un lungo quadriennio.

Adrià Pericas: un altro talento spagnolo scovato da Matxin

28.07.2025
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SAINT PIERRE – La pioggia batte forte sul tendone del bus del UAE Team Emirates, i ragazzi della formazione emiratina under 23 scendono dalle scalette coperti e con grandi occhiali dalle lenti trasparenti. Adrià Pericas si muove silenzioso controllando ogni movimento con lo sguardo concentrato. Ha occhi piccoli e verdi, lo spagnolo, che brillano ma non lasciano trasparire alcuna emozione. E’ un altro dei talenti iberici scovati dalla UAE, arrivato nel devo team quest’anno dopo che tra gli juniores ha raccolto vittorie in ogni angolo della Spagna e non solo (in apertura foto Guillem Riera Alvaro). 

Adrià Pericas, UAE Team Emirates Gen Z, Giro Ciclistico della Valle d’Aosta 2025
Adrià Pericas, UAE Team Emirates Gen Z, Giro Ciclistico della Valle d’Aosta 2025
Come sei arrivato al UAE Team Emirates Gen Z?

Mi ha portato qui Matxin (Joxean Matxin Fernandez, sport director della UAE, ndr). L’ho conosciuto due anni fa, quando la Vuelta Espana è passata da casa mia, vicino a Barcellona. Ho avuto subito un buon feeling con lui e quando mi ha contattato per venire nel devo team ho accettato subito. 

Di cosa avete parlato?

Di tante cose, ma soprattutto del progetto che lui aveva in mente per me. Entrare nel team e crescere in maniera graduale, piano piano. Ma la cosa più importante rimane imparare e disfrutar (godersi, ndr) questo sport. 

Nei due anni da junior hai vinto tanto, correndo in tante gare a tappe.

Mettersi alla prova in diverse gare del genere aiuta tanto a crescere, questo sicuramente. Inoltre anche la nazionale ci dà una grande mano portandoci spesso in competizioni internazionali. 

Adrià Pericas ha partecipato al Giro Next Gen 2025, chiudendo al settimo posto
Adrià Pericas ha partecipato al Giro Next Gen 2025, chiudendo al settimo posto
Come si inizia ad andare in bici vicino a Barcellona?

La mia famiglia è appassionata di ciclismo, mio padre ha sempre pedalato in mountain bike, ma senza mai gareggiare. L’ho seguito fin da quando ero piccolo, ma anche io non ho mai corso. 

Quando hai iniziato a gareggiare?

Un giorno ho provato ad andare in una scuola di ciclismo vicino a casa. Lì ho scoperto la passione per le corse su strada, fino ad allora avevo solo usato la mountain bike. Mi sono iscritto quando ero U17 (categoria allievi, ndr). 

Adrià Pericas ed Enea Sambinello, qui al Giro Ciclistico della Valle d’Aosta 2025
Adrià Pericas ed Enea Sambinello, qui al Giro Ciclistico della Valle d’Aosta 2025
Un percorso diverso dagli altri…

Non mi interessava tanto correre prima di allora. Avevo preso parte a qualche gara ma senza molta convinzione. Mi piaceva andare in bici ma solamente come passatempo da fare insieme a mio padre. 

Come ti sei convinto a gareggiare?

Credo che mio padre abbia provato a iscrivermi a una corsa perché aveva visto che andavo forte. L’esordio è andato bene, non chiedetemi se ho vinto perché non lo ricordo ma mi sono divertito. 

Al Giro Next Gen, Pericas ha collezionato due terzi posti: al Passo Maniva e a Prato Nevoso
Al Giro Next Gen, Pericas ha collezionato due terzi posti: al Passo Maniva e a Prato Nevoso
Tanto da arrivare nel vivaio più ambito al mondo, come ti trovi?

Benissimo. Lo staff è composto da bellissime persone con le quali è divertente lavorare e passare il tempo. Il mio preparatore è Giacomo Notari, anche con lui mi trovo bene perché oltre agli allenamenti ci chiama spesso per sapere come stiamo e come procedono le cose. 

E cosa fa Pericas quando non corre in bici? Qual è la tua altre passioni ne hai?

Adesso non ho altre passioni o hobby, voglio solo andare in bici e pensare a fare il meglio possibile.

Alla fine del viaggio, il bicchiere mezzo pieno di Vingegaard

28.07.2025
4 min
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Di nuovo secondo sul podio di Parigi, Jonas Vingegaard ha trascorso chilometri e chilometri alle spalle di Pogacar e parecchio tempo a dichiarare improbabili strategie. Dato che nessuno alla Visma-Lease a Bike ha mai descritto il dettaglio del piano, la supposizione più coerente con quanto si è visto è che il programma mirasse a stancare Pogacar. Lo hanno tenuto sotto pressione dal primo giorno, esposto a tensioni e attacchi. E anche se alla fine lo sloveno ha portato a casa il quarto Tour, non c’è dubbio che sia arrivato in fondo con le energie agli sgoccioli, come egli stesso ha ammesso ieri dopo la vittoria.

Vingegaard ci ha provato. Non tanto quanto sarebbe servito, ma se alla fine Van Aert è riuscito a staccare Pogacar a Parigi, è stato perché Tadej è arrivato all’ultima tappa obiettivamente stanco. Se non fosse accaduto che anche il danese è arrivato in fondo senza gambe, il piano avrebbe dato i frutti sperati. La sua Grande Boucle non è stata semplice, iniziata fra le polemiche per le dichiarazioni di sua moglie e il consiglio di Bjarne Riis che lo vedrebbe meglio ormai in un’altra squadra.

«In alcune tappe – dice il danese, in apertura con la famiglia al via dell’ultima tappa – ho raggiunto delle prestazioni di altissimo livello. In altre tappe, ho avuto la mia prestazione più bassa da diversi anni. Quindi questo Tour conferma che sono stato il miglior Jonas di sempre, ma anche che posso avere giornate negative».

Gli attacchi più decisi di Vingegaard sono venuti sul Mont Ventoux, in uno dei giorno meno brillanti di Pogacar
Gli attacchi più decisi di Vingegaard sono venuti sul Mont Ventoux, in uno dei giorno meno brillanti di Pogacar

Le pedivelle corte

Cercando una maniera per venire a capo dello strapotere di Pogacar, quest’anno Vingegaard ha sostituito le sue pedivelle da 172 mm con altre da 160 mm per le tappe su strada e 150 mm per le cronometro.

«In questo Tour, Jonas era quello con le pedivelle più corte – ha detto a L’Equipe Mathieu Heijboer, direttore delle prestazioni di Visma-Lease a Bike – ma ci sono stati altri corridori con le stesse misure. Sapevamo già che le pedivelle più corte sono probabilmente più efficienti, ma la maggior parte dei corridori non era aperta al cambiamento. Poi alcuni hanno deciso di provare e questo ha creato l’opportunità anche ad altri».

Aver visto Pogacar, passato dalle 172,5 alle 165, ha fatto sì che Vingegaard abbia accettato di sottoporsi a dei test fuori stagione e poi apportare un cambiamento radicale. Il danese è uno dei corridori con la più elevata cadenza di pedalata e inizialmente le pedivelle più corte rendevano la sua cadenza ancora più alta. Per questo ha optato per le 160 mm su strada, lasciando le più… audaci 150 per la crono, in cui ha fatto meglio di Evenepoel. Con la pratica, ha dunque iniziato a usare un dente in meno e quindi un rapporto più lungo. Grazie a questo, Vingegaard si è dimostrato più forte che in passato sulle salite più impegnative. Si è avvicinato (lo scorso anno perse per 6’17”, quest’anno il passivo è stato di 4’24”), ma non è bastato.

A La Plagne, i tre del podio sono arrivati insieme e Vingegaard ha battuto Pogacar nello sprint ristretto
A La Plagne, i tre del podio sono arrivati insieme e Vingegaard ha battuto Pogacar nello sprint ristretto

Obiettivo Vuelta

Così, mentre Pogacar ha fatto dubitare della sua partecipazione alla Vuelta (la UAE Emirates annuncerà la formazione nei prossimi giorni), Vingegaard guarda al futuro senza entrare troppo nei dettagli, ma confermando che il Tour, così com’è, sta diventando un’ossessione.

«Ho sempre detto – spiega – che mi piacerebbe partecipare al Giro un giorno. Non dico che sarà già l’anno prossimo, ma dobbiamo discuterne con la squadra. Faremo i nostri piani quest’inverno e vedremo. Innanzitutto ora avrò una settimana più o meno rilassata prima di ricominciare ad allenarmi. Si tratterà principalmente di aspettare di sentirmi di nuovo fresco. Poi avremo solo due settimane e mezzo di allenamento, il che non… lascia molto tempo. Però l’ho fatto due anni fa ed è andata abbastanza bene (nel 2023, Jonas chiuse la Vuelta al 2° posto dietro al compagno di squadra Sepp Kuss, ndr). Spero di riuscire a farlo ancora».

Il quarto Tour di Pogacar: non il più bello, ma certo il più faticoso

27.07.2025
6 min
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Ha capito di poter vincere il Tour dopo la vittoria al Mur de Bretagne, poi ha chiuso il discorso sui Pirenei. Tolto il primo conquistato nell’ultima cronoscalata, i tre Tour successivi di Tadej Pogacar si sono risolti nella seconda settimana. Difficile dire se sia per uno schema o per caso, ma di certo anche questa volta sui Pirenei ha imposto l’inchino a tutti i rivali, presentandosi al gran finale forse con le gambe più stanche del solito.

Nell’ultima tappa di Parigi, dopo non essere parso brillantissimo nelle ultime tappe di montagna prive di grandi attacchi, il campione del mondo in maglia gialla ha riscoperto il gusto sbarazzino della sfida. Ha fatto il diavolo a quattro sulla salita di Montmartre e solo alla fine si è arreso alle grande voglia di Wout Van Aert. Ci fosse stato anche Van der Poel, avremmo avuto la sensazione di essere tornati per pochi minuti sui viottoli del Giro delle Fiandre. Il divertimento a un certo livello è una componente decisiva.

«Mi sono ritrovato davanti – racconta – anche se forse non avevo davvero l’energia per vincere. Sono stato davvero felice che abbiano neutralizzato i tempi della classifica generale, così ho potuto correre più rilassato. Serviva solo avere buone gambe per essere davanti e mi sono ritrovato testa a testa con Wout Van Aert. Lui è stato incredibilmente forte, ha vinto con tutto il merito, ma alla fine è stata una tappa davvero bella».

Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono
Piegato da Van Aert a Montmartre, Pogacar sfila sui Campi Elisi che lo applaudono

La spinta di Vingegaard

Pogacar vince il Tour contro la Visma Lease a Bike e l’ombra di un piano che non si è mai visto del tutto. Eppure, rileggendo le tappe e guardando negli occhi lo sfinito sloveno, il piano di tenerlo sempre sotto pressione ha parzialmente colto nel segno. Il Tadej sfinito di fine Tour ha pagato certamente l’aggressività della squadra olandese. E anche se Vingegaard non è mai riuscito a staccarlo né a metterlo in difficoltà, di certo la sua presenza nella scia non ha mai permesso alla maglia gialla di abbassare la guardia.

«Sono senza parole per aver vinto il quarto Tour de France – commenta Pogacar – è una sensazione particolarmente fantastica. Penso che la vittoria sia da dividere con la squadra. Abbiamo avuto per tutto il tempo un’atmosfera fantastica, un grande spirito. Ho avuto modo di parlare con Vingegaard stamattina nel tratto neutralizzato prima del via. Ci siano detti quanto sia cambiato il ciclismo rispetto a cinque anni fa, quando ci siamo affrontati per la prima volta. Abbiamo alzato l’uno il livello dell’altro. Ci siamo spinti al limite e abbiamo cercato di batterci a vicenda. Lottare contro Jonas è stata nuovamente un’esperienza dura, ma gli devo rispetto e grandi congratulazioni per il suo impegno».

Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates
Pogacar rivendica la vittoria come una grande impresa della sua UAE Emirates

Semplicemente stanco

Il terzo posto di Lipowitz, il quarto di Onley, poi Gall, Johannessen e Vauquelin segnalano un’ondata di nuovi talenti in arrivo. Si è sottratto alla lotta Remco Evenepoel, ritirato prima di mettere le ruote sul Tourmalet. Tutti, chi prima e chi dopo, sfilano accanto alla maglia gialla attorno cui si è formato il capannello dei suoi più fedeli, fra cui l’immancabile Urska.

«Ho ancora degli obiettivi da qui alla fine della stagione – dice Tadej senza aprire né chiudere la porta sulla Vuelta – ma non mancano molte gare. Ho bisogno di recuperare perché è stato uno dei Tour più difficili da correre, per tutti nel gruppo. Dalla prima all’ultima tappa, abbiamo corso al massimo, ogni giorno. Non ci sono state giornate facili e abbiamo messo a dura prova il nostro corpo. La tappa di La Plagne è stata molto difficile. Ero esausto e la gente non mi ha visto felice come al solito. Ma mi sembra normale non avere un gran sorriso ed essere felice ogni giorno. A volte non si è al meglio, si potrebbe attraversare un periodo difficile.

«Sono stanco. Se non lo fossi dopo 21 giorni di gara, ci sarebbe qualcosa che non va. Immagino che tutti siano esausti, anche voi giornalisti, dopo tre settimane di corsa in zone miste, in sala stampa, come tutti coloro che partecipano al Tour. Quindi, penso che anche i corridori abbiano il diritto di essere stanchi. Ma mentalmente sono ancora in ottima forma (sorride, ndr)».

Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour
Il bacio di Urska dopo la vittoria nel quarto Tour

Il sogno della Roubaix

E’ sempre difficile chiedere a un atleta il bilancio di una corsa appena conclusa. Se appare frastornato Jonathan Milan con la conquista della maglia verde, figurarsi Pogacar che è passato in un tritacarne di sollecitazioni al massimo livello prima di poter dire che sia davvero finita. Eppure capisci anche che essere costretto a inseguire sempre e soltanto il Tour non lo trovi così divertente.

«La prima settimana – dice – non è stata divertente. Le tappe sono state frenetiche e brutali anche per gli uomini di classifica. Dovevi essere super concentrato e motivato. Ci sono stati tantissimi attacchi, soprattutto da parte della Visma: è stata una settimana davvero difficile. Anche senza le montagne, ci sono state sempre delle insidie. Ora però è il momento di festeggiare. Per me significa avere una settimana di pace con un meteo migliore di qui. Voglio godermi semplicemente qualche giorno di tranquillità a casa. Poi correrò il Criterium di Komenda a casa mia il 9 agosto e poi penserò alla prossima stagione.

«Soprattutto la Parigi-Roubaix, che voglio vincere. Quest’anno, alla mia prima partecipazione, ho trovato questa corsa pazzesca, voglio tornarci. E penso che tornerò al Tour anche il prossimo anno. Mi piacerebbe saltarlo per una stagione, per provare altre corse, ma so che sarà difficile. Ho dimostrato a me stesso di poter raggiungere grandi risultati. Ora cerco di concentrarmi su altre cose della mia vita, continuando a godermi il ciclismo. E se dovessi battere qualche record storico, come quello dei cinque Tour, sarebbe fantastico, ma non è questo il mio obiettivo».

La tattica della Visma

Lo chiamano per la premiazione, sui Campi Elisi si allungano le ombre e i dintorni. Era il 27 luglio anche quando nel 2014 su quel gradino salì un commosso Vincenzo Nibali. E mentre il ricordo ci riempie di orgoglio sia pure a distanza di così tanto tempo, riflettiamo che al netto dei commenti entusiastici davanti alla bellezza di gesti atletici così sublimi, non è stato il Tour più bello cui abbiamo assistito. Difficile dire se per il suo livello stellare o per quello inferiore dei rivali.

La sensazione a partire dal secondo riposo è che Pogacar abbia dovuto fare i conti con un qualche acciacco che gli ha impedito di rendere come avrebbe voluto. Ugualmente ha vinto il quarto Tour attaccando a fondo a Hautacam e poi nel giorno di Peyragudes. La tattica Visma lo ha stancato, ma Vingegaard non è bastato. Chissà chi dei due avrà ancora margini da scoprire per un futuro lontano che in qualche modo già bussa.

Parigi. Il circuito “olimpico” e la firma di Wout

27.07.2025
6 min
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Da Parigi a Parigi. Dalle Olimpiadi dell’anno scorso al Tour de France di quest’anno, le emozioni e lo spettacolo sono rimasti gli stessi. Sempre un belga ha vinto: stavolta si chiama Wout Van Aert, ma che bello è stato vedere il suo rivale numero uno, Tadej Pogacar, in maglia gialla.

Dopo una settimana sotto le aspettative in termini di attesa dei duelli in montagna, la corsa francese si è riaccesa. Si è ravvivato Pogacar e la magia è tornata, anche perché si è ravvivato pure Van Aert. Pensate cosa sarebbe stato se ci fosse stato anche Mathieu Van der Poel.

Luca Mozzato sul circuito di Montmartre a Parigi 2024
Luca Mozzato sul circuito di Montmartre a Parigi 2024

L’occhio di Mozzato

La novità del circuito di Montmartre era importante e ha fatto parlare già mesi prima. Noi stessi avevamo ipotizzato e analizzato questo tracciato, ma oggi siamo andati oltre: l’analisi l’abbiamo fatta con Luca Mozzato, atleta dell’Arkea-B&B Hotels, che non era al Tour ma sul lettino del massaggio al Tour de Wallonie, dove tra l’altro oggi ha ottenuto un incoraggiante quinto posto.

L’anello olimpico misurava 18,4 chilometri. La salita di Montmartre da ripetere due volte, arrivava dopo circa 240 chilometri. L’anello stavolta invece misurava 16,7 chilometri, arrivava dopo appena una settantina di chilometri, ma anche dopo tre settimane. Differenze non da poco.

Differenze che sottolinea parecchio Mozzato. Luca ha corso le Olimpiadi di Parigi 2024 e, tra quello che ha sentito sotto le ruote e quello che ha visto oggi in televisione, ci aiuta a capirne di più.

Piove e il fondo è insidioso: guardate Pogacar (in giallo ovviamente) come si tiene sempre distante da chi lo precede
Piove e il fondo è insidioso: guardate Pogacar (in giallo ovviamente) come si tiene sempre distante da chi lo precede
Luca, cosa ti è sembrato di questo finale parigino?

L’obiettivo del Tour è stato centrato. Prima, nella tappa finale, c’era suspense solo negli ultimi 15 chilometri che portavano alla volata. Adesso c’è stata un’ora abbondante di battaglia.

Ma secondo te la pioggia lo ha un po’ limitato questo spettacolo?

Non direi dal punto di vista tecnico, magari è cambiato qualcosa dal punto di vista del pubblico. Forse c’era qualcuno meno a bordo strada o non ci è rimasto così a lungo. Anche se poi sulla salita il colpo d’occhio era eccezionale.

Che circuito è questo, Luca? Tu ci hai corso alle Olimpiadi, in un altro contesto, con altre temperature e un gruppo ristretto. Ti è sembrato molto diverso?

La parte che era veramente uguale alla fine era quella di Montmartre: l’attacco, la salita e la discesa. Perché poi, per il resto, era completamente diverso. Poi un conto è farlo in una corsa di un giorno e un conto è farlo al termine di una gara di tre settimane, con le energie al lumicino. E per come è andata la tappa è stato come ritrovarsi a correre una classica. Perché di fatto è stata quasi una classica. E non è facile per le gambe degli atleti. Anche tatticamente è difficile fare un paragone tra quella gara e quella di oggi.

L’apporccio allo strappo era complicato e tecnico. ma nel complesso secondo Luca l’anello proponeva qualche curva in meno
L’apporccio allo strappo era complicato e tecnico. ma nel complesso secondo Luca l’anello proponeva qualche curva in meno
Una cosa che abbiamo notato è che Pogacar stava sempre un po’ più lontano rispetto a chi lo precedeva…

Li ho visti affrontare le curve con tanta attenzione, soprattutto in frenata. Bisogna essere molto delicati, sentire proprio la frenata e la ruota, perché era scivolosissimo, specie con tutto quel pavé. E’ vero, Pogacar si teneva più lontano rispetto agli altri, ma il motivo è semplice: lui aveva molto da perdere. Comunque, okay la neutralizzazione del tempo, ma la bici la devi portare all’arrivo. Quindi okay rischiare, ma non oltre il limite. Gli altri erano lì per la vittoria di tappa e si giocavano il tutto per tutto. Poi bisogna considerare un’altra cosa.

Quale?

Che in una grande metropoli come Parigi, tra smog, polvere, foglie, le strade sono sempre un po’ più scivolose. E con questo bagnato e lo sconnesso degli Champs Elysées tutto diventa più insidioso. Per me Tadej ha fatto bene a non prendere rischi eccessivi.

Il momento decisivo. Terza tornata. Pogacar affonda il colpo, Van Aert sulla destra spinge ancora più forte
Rispetto a Parigi 2024, tu mi hai detto che il circuito era un po’ diverso: in cosa?

Alle Olimpiadi la parte in asfalto aveva molte più curve, e una sezione era veramente tecnica prima di prendere la salita. Qui invece, dopo l’Arco di Trionfo, era più lineare. Ma ripeto: sono due corse del tutto differenti.

Come li hai visti guidare?

Con attenzione. Vista la situazione, non mi è sembrato di vedere qualcuno che abbia preso più rischi del dovuto. Le uniche due discese veramente fatte a rotta di collo sono state quella di Matej Mohoric e quella finale di Van Aert. Lì bisognava davvero rischiare: Mohoric per rientrare, Van Aert per allungare. Con i sampietrini bisogna essere sensibili. Mai essere bruschi sui freni: il rischio di bloccare la ruota è un attimo.

Bravissimo Davide Ballerini, secondo davanti a Mohoric. E sullo sfondo Pogacar festeggia il suo 4° Tour
Bravissimo Davide Ballerini, secondo davanti a Mohoric. E sullo sfondo Pogacar festeggia il suo 4° Tour
Pogacar ci ha rimesso di più con la pioggia? Senza contare che Van Aert è anche più pesante di lui, e ai fini della trazione non era poco…

Un po’ sì, ma alla fine mi è sembrato vederlo aver speso un po’ di più nel corso di questa giornata. Proprio per non prendere rischi ha preso più aria degli altri e del necessario. E’ rimasto da solo presto al primo giro. Ha fatto lui la selezione e alla fine forse era un filo meno brillante: ma il gioco valeva la candela. Almeno queste sono mie sensazioni. Magari lui ci direbbe il contrario!

Era più duro questo o quello delle Olimpiadi?

Bisognerebbe farlo! Vedendo l’ultimo giro, questo è sembrato davvero tanto impegnativo. In fuga si staccavano pur essendo stati all’attacco per un’ora. I ritmi erano folli. Ma le due gare, ripeto, erano diverse e, come si dice, le corse le fanno i corridori. Io alle Olimpiadi ho sofferto, ma entrambi i percorsi erano selettivi. E il fatto che sia arrivato un atleta in solitaria vuol dire molto.

Van Aert a fine tappa ha parlato di fiducia da parte della squadra e in sé stesso. Visma che anche oggi lo ha supportato alla grande
Van Aert a fine tappa ha parlato di fiducia da parte della squadra e in sé stesso. Visma che anche oggi lo ha supportato alla grande

La firma (e la fiducia) di Wout

Il Tour de France si archivia quindi con la vittoria – bella e meritata, lasciatecelo dire – di un grandissimo campione. Alla fine, se ci si pensa, Wout Van Aert si è portato a casa i due arrivi simbolo di Giro e Tour: Siena e Parigi. Le lacrime della moglie al traguardo, il suo essersi “nascosto” sulle Alpi (almeno rispetto ai suoi standard), la dicono lunga su quanto e come avesse preparato questo assalto.

«E’ stata una giornata unica – ha detto Van Aert – E’ davvero speciale poter vincere di nuovo sugli Champs Élysées, per la prima volta con la salita di Montmartre nel finale di tappa.
Le condizioni a Parigi erano difficili. La pioggia rendeva la corsa rischiosa, ma la mia squadra ha continuato a credere in me».

«Ci abbiamo provato più volte durante questo Tour, anche ieri, ma non sempre sono stato bene. La parte più difficile in questi giorni è stata mantenere la fiducia in me stesso. Per fortuna le persone che avevo intorno continuavano a crederci. Anche oggi i ragazzi non hanno perso fiducia nelle mie capacità. Siamo riusciti a controllare la tappa. Sull’ultima salita ho dato il massimo: era il nostro piano anche prima della partenza, e ha funzionato».