Si va in Rwanda: logistica, hotel, mezzi e costi. Parla Amadio

17.09.2025
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Il primo mondiale africano della storia del ciclismo, un evento che da diverso tempo tiene banco e che ha fatto parlare molto. Sono state tante le incognite legate al mondiale in Rwanda, che inizierà ufficialmente il 21 settembre, ma che occupa la mente delle varie federazioni da mesi. L’Italia ci andrà con le formazioni elite, quindi donne e uomini, al gran completo. Una scelta arrivata nell’ultimo periodo figlia di alcune scelte federali volte a garantire agli atleti la miglior esperienza possibile. 

Staff contato

Si è parlato tanto di costi, sicuramente quello verso Kiigali è un viaggio lungo che mette i vari manager federali davanti a scelte logistiche importanti. L’Italia partirà questa sera con un primo gruppo tra personale e corridori, altri sono già in Africa e hanno sistemato gli ultimi dettagli (tra loro c’è Italo Mambro della FCI, in Rwanda già da ieri con i suoi colleghi per organizzare la logistica, che ci ha fornito le foto di Kigali). Chi si è occupato dei trasporti e della logistica di questo mondiale in Rwanda è Roberto Amadio, team manager della Federciclismo.

«E’ tutto pronto e prima o poi partono tutti – ci racconta Amadio – purtroppo io non sarò parte della spedizione iridata. Sarà un peccato saltare il primo mondiale africano, ma per una questione di costi è stato scelto di gestire alcune cose da casa. Alla fine conta che ci siano i corridori, quindi oltre a me resterà in Europa anche tutto il gruppo della comunicazione».

La prima parte della spedizione iridata, in partenza oggi, comprende anche i mezzi per le cronometro
La prima parte della spedizione iridata, in partenza oggi, comprende anche i mezzi per le cronometro
Una trasferta a ranghi ridotti…

Rispetto al mondiale in Svizzera ci saranno una quarantina di persone in meno e i costi saranno gli stessi. Zurigo aveva prezzi elevati essendo una delle città più care al mondo, mentre per il Rwanda hanno pesato molto gli extra e i voli.

Cosa ha influito maggiormente sulla logistica?

Le bici ovviamente, avremo una novantina di biciclette da far arrivare. In più ci sono altri materiali di ricambio come le ruote e tutta la parte dei prodotti come gel e barrette. Abbiamo suddiviso le partenze in quattro blocchi: oggi in 34 persone tra staff e atleti delle cronometro. Domani (il 18 settembre, ndr) partono altre 18 persone. Il resto del gruppo con gli atleti per le prove su strada arriverà la settimana successiva.

I costi del viaggio sono elevati, tanto hanno influito le spese extra per spedire materiali e prodotti tecnici
I costi del viaggio sono elevati, tanto hanno influito le spese extra per spedire materiali e prodotti tecnici
Andando in aereo non si può spedire tutto.

Abbiamo trovato il giusto equilibrio tra cosa era necessario trasportare e cosa si poteva anche prendere in loco. Ad esempio i lettini per i massaggi li compreremo a Kigali. Ovviamente le bici devono essere spedite e questo è stato un bel grattacapo perché ci siamo dovuti accordare con la compagnia aerea e dividere tutto il materiale su due voli. Per i soli costi extra bagaglio siamo arrivati a spendere 50.000 euro

Borgo ci parlava di uno scalo ad Addis Abeba. 

Sì, perché voliamo con Ethiopian Airlines. Lo scalo era obbligatorio ed era meglio averlo in Africa piuttosto che in Europa. Ci sono dei voli diretti verso Kigali che partono da Bruxelles e Amsterdam, ma la logistica sarebbe stata molto più complicata. 

Gli azzurri dovranno fare a meno di certi comfort, ad esempio il classico pullman non ci sarà
Gli azzurri dovranno fare a meno di certi comfort, ad esempio il classico pullman non ci sarà
Per l’hotel?

C’era stata data una lista di disponibilità, la cosa evidente è che hanno alzato i prezzi. Noi abbiamo scelto autonomamente affidandoci alla nostra referente lì, una ragazza rwandese che ci ha dato una mano. Abbiamo trovato una via di mezzo tra comodità, logistica e servizi, siamo vicini alle partenze delle prove a cronometro e su strada. Ci siamo dovuti arrangiare per quanto riguarda il cibo.

Come mai?

Perché in Rwanda ci sono molte restrizioni doganali sulla merce che può entrare o meno nel Paese. Il nostro cuoco, che è già a Kigali da un paio di giorni, ha già parlato con l’hotel per avere tutto a disposizione, ma ci siamo arrangiati con quello che si può reperire.

L’UCI fornirà alle federazioni le ammiraglie ufficiali
L’UCI fornirà alle federazioni le ammiraglie ufficiali
Ultima cosa, i mezzi?

Le ammiraglie ufficiali con tanto di portabici le fornisce l’UCI. Noi come federazione abbiamo noleggiato una decina di mezzi per gestire al meglio gli spostamenti. Niente pullman, ovviamente. Ci siamo informati per provare a noleggiare un camper visto che il clima in questi giorni era freddo, ma non ce ne sono. I ragazzi si cambieranno nelle auto o nei furgoni, come quando erano under 23 o juniores. Un po’ di spirito di adattamento non fa mai male.

Il Pellizzari scalatore. L’analisi di Pozzovivo e il nodo del fuorisella

16.09.2025
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Siamo ancora con i pensieri alla Vuelta e a quanto il giovane Giulio Pellizzari sia riuscito a farci divertire e sognare. E soprattutto a riaccendere la speranza di rivedere un italiano in lotta per un grande Giro. Ricordiamolo senza fretta… guai mettergli pressione.

Poco importa che sulla Bola del Mundo abbia pagato dazio. E’ arrivato a 6,8 chilometri dalla maglia bianca. E’ a quella distanza infatti che si è staccato da Riccitello e dagli altri. Va detto però che il rivale statunitense ha un anno in più del marchigiano: un’eternità quando si hanno 21 anni. E soprattutto uno era leader, l’altro gregario. Di lusso, ma gregario.

Noi, con l’aiuto del fine occhio di Domenico Pozzovivo, abbiamo analizzato il corridore della Red Bull-Bora in salita. Come si è comportato e sulle varie scalate. Una sorta di “foto” tecnica dello scalatore. Prima però rivediamo le salite di Pellizzari alla Vuelta.

Giro 2024, Monte Grappa scalata durissima ma senza pendenze estreme. Pellizzari va forte, ma sempre seduto. Persino Pogacar si alza sui pedali
Giro 2024, Monte Grappa scalata durissima ma senza pendenze estreme. Pellizzari va forte, ma sempre seduto. Persino Pogacar si alza sui pedali

Scalate veloci, okay

Nei primi due arrivi in salita, Limone Piemonte e Huesca La Magia, due salite molto veloci, specie quella piemontese, Pellizzari non ha avuto problemi. Lì si è andati in grandi gruppi, le velocità sono state prossime e in alcuni casi superiori ai 30 all’ora. Vale la stessa cosa verso il terzo arrivo in quota, Andorra, e il quarto, Valdezcaray.

In quello successivo, El Ferial Larra-Belagua, già più complicato, Giulio ha iniziato a mettersi in evidenza, correndo in appoggio per Jai Hindley. Su questa scalata, con pendenza media del 6,1 per cento, Pellizzari era rimasto con il gruppo dei top rider.

Le cose sono cambiate nel giorno dell’Angliru, ormai al termine della seconda settimana. Sul mostro asturiano Pellizzari a un certo punto ha perso terreno, ma con Hindley saldo al fianco di Almeida e Vingegaard si è gestito alla grandissima. Sull’Angliru Giulio si è messo di “passo” e ha sfruttato al meglio i tratti più pedalabili. Alla fine il margine ceduto a Vingegaard e Almeida era di 1’11”, quasi tutto accumulato nei durissimi tratti al 23 per cento.

Pagava qualcosa, appena 14″, anche il giorno successivo, quando si è mosso per Hindley. Lagos de Somiedo era una scalata simile alle precedenti, poco sopra il 6 per cento di pendenza media.

Pozzovivo ha definito lo stile di Pellizzari in salita (da seduto) di alto livello ormai
Pozzovivo ha definito lo stile di Pellizzari in salita (da seduto) di alto livello ormai

Terza settimana: gambe e testa

Qui ha iniziato a farsi sentire la fatica, nonostante tappe corte e qualche tratto annullato. Va ricordato che Pellizzari era al suo secondo grande Giro stagionale, affrontato per la prima volta in carriera.

Nel giorno di Castro de Herville, dove poi non si arrivò per una protesta pro Palestina, Giulio ha sofferto tantissimo sull’Alto de Prado, salita con lunghi tratti tra il 14 e il 18 per cento. Anche in questo caso però si è gestito bene, tanto che sul falsopiano prima del Gpm riusciva a ricucire il gap.

Infine il capolavoro nel giorno della vittoria. L’Alto de El Morredero è una salita irregolare, la cui pendenza media è ingannevole. Nella porzione centrale, la più dura, Pellizzari si è staccato, ha perso qualcosa, ma di nuovo è riuscito a rientrare di passo. Quando sono iniziati gli scatti, con intelligenza, ne ha piazzato uno in più quando tutti erano in pieno acido lattico. Anche lui. Questa è stata testa, parte determinante per uno scalatore.

Anche il continuo rientrare è un elemento tipico del grimpeur che in salita non molla mai e sa gestire, anzi centellinare lo sforzo grazie ad una particolare sensibilità.

Domenico Pozzovivo (classe 1983) era uno scalatore puro. Stava spesso sui pedali. Oggi è un coach preparatissimo
Domenico Pozzovivo (classe 1983) era uno scalatore puro. Stava spesso sui pedali. Oggi è un coach preparatissimo

Dal professor Pozzovivo

Da quel che si evince, il Pellizzari scalatore fa più fatica sulle salite estreme, cioè con pendenze oltre il 13-14 per cento, dove andare di passo diventa complicato. Perché? Qui interviene Domenico Pozzovivo, che tra l’altro con Pellizzari ha anche corso alla VF Group-Bardiani.

«Sarebbe interessante poter vedere i suoi file – dice Pozzovivo – ma da quel che vedo e ricordo Pellizzari procede sempre seduto e su certe pendenze invece è importante riuscire ad alzarsi sui pedali. Se guardiamo bene lo fa anche Vingegaard e persino un regolarista come Almeida. Pellizzari ha uno stile suo, che in sella gli garantisce un altissimo livello come abbiamo visto in questa Vuelta, ma certo deve imparare a fare più fuorisella. Questo potrebbe essere determinante per Giulio».

Il fuorisella da sempre identifica lo scalatore puro, anche se questa figura sta scomparendo o comunque va trasformandosi. Alla fine i fisici come quello di Pellizzari vanno per la maggiore, magari un filo più bassi ai fini dei grandi Giri.

«Lo stare più fuorisella – riprende Pozzovivo – gli consentirebbe di avere anche un po’ più di strappo, di cambio di ritmo più netto. Prendiamo Isaac Del Toro: i due sono molto simili in salita, entrambi alti ed entrambi procedono tanto seduti, però quando il messicano si alza sui pedali riesce a esprimere più watt. La differenza è tutta lì».

Secondo Pozzovivo, Pellizzari dovrà passare molto tempo in piedi sui pedali per migliorare sulle pendenze elevate (immagine Instagram)
Secondo Pozzovivo, Pellizzari dovrà passare molto tempo in piedi sui pedali per migliorare sulle pendenze elevate (immagine Instagram)

Allenamenti ad hoc

Lo stesso Pellizzari aveva accennato al suo peso in relazione a certe pendenze. Parliamo di un ragazzo alto 183 centimetri per 66 chili, nella norma ma non pochissimi per essere uno scalatore. Pertanto l’altra domanda posta a Pozzovivo è stata: come può fare Giulio per migliorare nel fuorisella e quindi sulle pendenze estreme?

«Ci sono esercizi in palestra – spiega Pozzovivo – alcuni di forza, ma si può intervenire anche sulla posizione in bici, come l’altezza del manubrio o delle leve affinché sia più comodo quando è in piedi. Ma soprattutto, e lo sottolineo, dovrebbe costringere sé stesso a stare il più possibile in questa posizione, specie quando deve fare lavori specifici o intensi. Che poi paradossalmente era il mio problema… ma al contrario! Io ci stavo quasi troppo. Ma serve anche stare fuorisella. Deve abituarsi a esprimere alti wattaggi stando in piedi».

«Riguardo al peso, il grimpeur da 50 chili ormai non esiste più ed è più complicato per questi ragazzi stare tanto in piedi, però Jay Vine, che non pesa certo 50 chili, è la dimostrazione che si può stare tanto fuorisella».

Covi-UAE: sei anni e poi l’addio. L’elenco dei pro e dei contro

16.09.2025
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«Se mi guardo indietro – dice Covi d’un fiato – penso che il programma che mi ha dato Matxin per quest’anno, che prevedeva che avessi il mio spazio per fare punti, sia stato la scelta giusta. Sono in questa squadra dall’inizio della carriera. Prima aveva una mentalità diversa, non si correva sempre con dei leader così forti. Ad esempio al Matteotti mi sono ritrovato in fuga e non mi capitava da due anni. Prima ero il tipo di corridore che andava all’avventura, per cui non mi è dispiaciuto avere questo spazio in più. Però ho 26 anni e vorrei provare a vedere cosa posso fare ancora. Se posso dare qualcosa in più e penso che la Jayco-AlUla sia la squadra migliore per fare questo passo».

Alessandro Covi risponde da casa, dopo una serie di ritiri da mani nei capelli nelle corse italiane di settembre. Il sorriso gli scappa facile, c’è una spiegazione per tutto. Anche perché quelle corse le ha vinte il suo compagno Del Toro, per cui c’è da immaginare che prima di mollare gli sia toccato tirare.

«Ho lavorato per lui – conferma – ma ammetto che non sono neanche al top della condizione. Mi sono sempre messo al servizio della squadra. C’è Isaac che vola, quindi è giusto aiutarlo il più possibile. Ad agosto ho avuto il mio momento di calo, come tutti. Si prende una mezza influenza, un problemino, che poi diventa sempre più grande quando c’è anche la stanchezza. Ho ripreso ad allenarmi bene da un mesetto, così ora do il massimo per aiutare la squadra».

Le ultime corse italiane di Covi, tolto il Matteotti, sono state caratterizzate dai ritiri dopo aver aiutato Del Toro a vincerle tutte
Le ultime corse italiane di Covi, tolto il Matteotti, sono state caratterizzate dai ritiri dopo aver aiutato Del Toro a vincerle tutte
Com’è maturata la decisione di cambiare? Non saresti potuto rimanere?

Inizialmente mi hanno detto di trovare una soluzione, perché io ero in scadenza e c’erano dei giovani da far passare. Poi sono cambiate alcune cose e c’era la possibilità di rimanere, però ormai avevo deciso di cambiare aria per cui ho tenuto la linea di approdare in un altro team.

Sei andato forte a marzo, ti vedremo ancora nel finale di stagione?

Sono caduto alla seconda gara di stagione, a Valencia e ho avuto un edema osseo. Ho saltato febbraio, ma andavo già forte e questo mi ha parecchio infastidito. Quando sono tornato a correre, avevo già una buona condizione e ho cercato di sfruttarla fino all’italiano. Ho vinto due corse e ho fatto due secondi posti. Sono andato forte anche dopo, in Austria, dove quasi ho vinto una tappa. Ma a forza di tirare la corda ho avuto il calo di cui ho già parlato poco fa. Per il finale, spero di tornare al giusto colpo di pedale: se si va forte, lo spazio si trova.

Come sono stati questi sei anni con la UAE Emirates?

Anni importantissimi. Sono stato stagista nel 2018, poi sono passato con loro nel 2020. Ho visto la trasformazione del team e, da due o tre stagioni, non ci sono dubbi che sia la squadra di riferimento a livello mondiale. Averne fatto parte sicuramente mi dà un bagaglio di esperienza e di ricordi che mi rimarranno per sempre.

Esiste davvero l’obiettivo delle 100 vittorie?

Io pensavo che l’obiettivo fosse la numero 86 (una più del Team Columbia-HTC, che nel 2009 raggiunse un totale di 85 successi, ndr), che manca poco. Arrivare a 100 è difficile, 100 è un numero gigantesco. Se si riesce, sarebbe solo una figata. Far parte di questa squadra, che il record si batta oppure no, è comunque un onore. Anche io ho dato anche il mio contributo, perché in almeno 26-27 vittorie , c’ero dentro anche io. Più vittorie si fanno, meglio è.

Ma scusa, torniamo sul tema, perché allora vorresti cambiare area? Cosa hanno visto in te alla Jayco?

Arrivo a 26 anni con il grande bagaglio della UAE Emirates. Sicuramente avrò più spazio in alcune gare, poi ovviamente mi sarà chiesto di supportare i capitani come O’Connor e Matthews. Corridori importanti con cui raggiungere ancora dei successi importanti. E’ un mix in cui troverò probabilmente più spazio anche per me stesso.

Si impara qualcosa lavorando per Pogacar, Ayuso o Del Toro?

Ovviamente impari un po’ da tutti, non solo da Del Toro. Impari dallo stesso Laengen che ha fatto una carriera a tirare, da ciascuno impari qualcosa. Ovviamente Pogacar e Del Toro sono fuoriclasse, per cui puoi imparare, ma quello che fanno loro è unico. Non puoi pensare di rifarlo, perché ognuno è capace di fare la propria cosa e quindi devi cogliere il meglio da tutti. Qualsiasi compagno ha una dote. E rubare qualche consiglio serve sempre per accrescere il bagaglio di esperienza.

Il tricolore avrebbe potuto svoltare la carriera: di certo lo ha fatto per Conca. I due saranno insieme nel 2026
Il tricolore avrebbe potuto svoltare la carriera: di certo lo ha fatto per Conca. I due saranno insieme nel 2026
Se ne va anche Ayuso…

Sono decisioni di Juan e della squadra. Penso che Ayuso sia molto forte, magari non a livello di Pogacar, però è un corridore che può raggiungere grandissimi risultati. Se non era contento di stare qui, allora penso che abbia fatto la scelta giusta per la sua carriera.

A 26 anni e dopo i vari problemi di salute dello scorso anno, sembri diventato molto serio. Esiste ancora il Covi sbarazzino dei bei tempi?

Esiste, diciamo che lo tengo nascosto (ride, ndr). In squadra lo sanno che mi piace scherzare, legare con tutti, creare un bell’ambiente. Sono sempre quello lì, magari si vede un po’ meno, perché uso meno i social, ad esempio.

Come mai?

Si pensa che siano molto importanti, ma alla fine la cosa importante è come stai davvero. Non devi dimostrare niente a nessuno sui social, ma finché sei giovane li segui perché è un mondo tutto nuovo. Alla fine invece capisci che alcune cose sono più importanti e altre meno e io penso che sia più importante la realtà vera di quella sui social.

Correre nel UAE Team Emirates per fare punti e aiutare: anche il 2025 è passato così
Correre nel UAE Team Emirates per fare punti e aiutare: anche il 2025 è passato così
Come le vivrai le ultime corse in Italia?

Cercando di godermi il più possibile questi ultimi momenti con la squadra. Ho legato con tantissime persone che vedrò sempre meno e non passerò più il mio tempo con loro. Sicuramente mi mancheranno tantissimo.

In compenso in questi ultimi due anni ti sarà mancato anche il Giro d’Italia?

Alla fine ne ho fatti due e mezzo, perché nel 2023 mi sono ritirato. Ho vinto una tappa (sul Passo Fedaia nel 2022, ndr), ho fatto altri due podi a Montalcino e sullo Zoncolan, quindi ho bei ricordi. Se pensiamo a come sono arrivati quei risultati, cioè andando all’attacco, ecco spiegata la decisione di cambiare team per ritrovare le sensazioni che avevo nei primi anni da professionista. Una rinascita. Magari sarà come iniziare da capo una nuova avventura.

Borgo: «Per il mondiale in Rwanda ci sono anche io»

16.09.2025
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Un volo che partirà a mezzanotte del 18 settembre dall’aeroporto di Milano Malpensa e diretto prima ad Addis Abeba, in piena Etiopia, per poi volare su Kigali dopo uno scalo di sette ore. Il viaggio che attende i corridori diretti al primo mondiale africano della storia durerà quasi un giorno intero. Qualche giorno dopo, il 21 settembre, inizieranno le prime gare. A dare il via al mondiale di Rwanda ci saranno le cronometro, come da consuetudine. Per gli under 23 i due nomi segnati sulla lista della prova contro il tempo sono quelli di Lorenzo Mark Finn e Alessandro Borgo (in apertura foto Philippe Pradiert/DirectVelo). 

Alessandro Borgo per rifinire la condizione in vista del mondiale in Rwanda ha scelto di passare una decina di giorni a Livigno
Alessandro Borgo per rifinire la condizione in vista del mondiale in Rwanda ha scelto di passare una decina di giorni a Livigno

Altura e cronometro

Si è dovuto fare i conti con i costi di questa spedizione iridata, quindi i nomi dei cronoman sono rimasti nel taccuino di Marino Amadori, in attesa di essere rispolverati per l’europeo della settimana successiva. Lorenzo Finn e Alessandro Borgo sapranno difendersi nella cronometro di lunedì 22 settembre, anche se il corridore del Bahrain Victorious Development Team non utilizzava la bici con le protesi da tempo. Lo abbiamo intercettato ieri (lunedì) mentre rientrava dal ritiro di Livigno.

«Ero insieme a Pietro Mattio – racconta Alessandro Borgo mentre lo accompagnamo per un pezzo del suo viaggio di rientro – ci siamo allenati bene per una decina di giorni, undici per la precisione. Ho scelto Livigno anche per utilizzare un po’ la bicicletta da cronometro. Non ci pedalavo dal Giro Next Gen, e anche nei mesi prima di quella gara non è che la utilizzassi molto. Ho utilizzato questi giorni per riprenderci la mano e migliorare nella posizione».

La convocazione di Borgo per i mondiali in Rwanda è arriva grazie alle prestazioni al Tour de l’Avenir (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
La convocazione di Borgo per i mondiali in Rwanda è arriva grazie alle prestazioni al Tour de l’Avenir (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
Come ti sei diviso tra bici da strada e da crono?

Qui in altura ho fatto qualche ora di allenamento in più rispetto al solito, soprattutto nei primi giorni. La mattina uscivo con la bicicletta da strada per fare salite e ritmo, una volta rientrati verso casa facevo cambio bici e pedalavo con quella da cronometro. 

Com’è stato riprenderci la mano?

E’ andata bene. Peccato che ho scoperto di fare anche la cronometro non molto tempo fa, mi sarebbe piaciuto provare a fare qualcosa di buono. Il percorso è adatto alle mie caratteristiche, anche perché non è totalmente piatto. 

Borgo a Capodarco con la maglia tricolore under 23 conquistata a Boario Terme a fine giugno (photors.it)
Borgo a Capodarco con la maglia tricolore under 23 conquistata a Boario Terme a fine giugno (photors.it)
Amadori ha detto che la convocazione al mondiale te la sei guadagnata grazie a un ottimo Tour de l’Avenir…

Ci speravo, era un obiettivo. Ad essere sincero è da un anno che ci penso al mondiale in Rwanda, da quando ho visto il percorso della prova in linea. Ho subito pensato potesse essere adatto a me. E’ selettivo con 3.300 metri di dislivello e molto esplosivo, con questa salita da un chilometro e mezzo da ripetere tante volte. Ne ho parlato fin da inizio stagione con il mio preparatore, Alessio Mattiussi, secondo cui il percorso è al limite per me, perché è molto duro. 

Conoscendovi lo avrà fatto per farti tirare fuori il 110 per cento…

Probabilmente sì (ride, ndr). Con lui ho un bel rapporto e la battuta ci sta sempre, ora gli ho dimostrato che avevo ragione. 

Mondiale guadagnato grazie alle prestazioni in salita?

Sapevo di poter arrivare all’Avenir con le carte in regola, infatti ho fatto registrare dei numeri incredibili sulle salite lunghe. Nella tappa regina sono riuscito a scollinare con i primi. L’unico rammarico è non aver vinto una tappa, era il mio obiettivo dall’inizio. Peccato, ma sono tornato a casa consapevole di stare bene. 

Borgo e il suo coach Mattiussi (a destra) lavorano insieme da due anni
Borgo e il suo coach Mattiussi (a destra) lavorano insieme da due anni
Per la gara in linea ci sei anche tu?

Non metto il numero sulla schiena per correre, ma per vincere, sempre. Con Amadori non abbiamo ancora parlato di strategie, ma la squadra è forte. C’è Finn che è uno degli scalatori più forti della categoria, saremo parecchio controllati. 

Come giudichi la tua seconda stagione tra gli under 23?

Sono soddisfatto, ho fatto degli enormi passi in avanti. Arrivavo alla Gent U23 dopo il quinto posto dello scorso anno e pensavo che sarebbe stato bello ripetersi, sono riuscito a vincere. Mi sono riconfermato con la vittoria del campionato italiano, e ho dimostrato di poter correre ad alti livelli. Ho solo due rammarichi.

Sui 53 giorni di corsa messi insieme in questa stagione Borgo ha corso per 13 volte con i pro’, qui al Tour de Wallonie
Sui 53 giorni di corsa messi insieme in questa stagione Borgo ha corso per 13 volte con i pro’, qui al Tour de Wallonie
Quali?

Il secondo posto di tappa al Giro Next Gen e non aver vinto una tappa all’Avenir. Ma va bene così, d’altronde non aver vinto al Giro mi ha messo la giusta fame per conquistare il tricolore. Chissà se il mancato successo all’Avenir mi dia la giusta spinta per la prossima corsa. 

E il prossimo anno?

Mi ero detto, dopo la prima stagione, che mi sarebbe piaciuto fare un altro anno tra gli under per confermarmi e poi passare nel WorldTour. Ne ho parlato anche con la squadra e siamo tutti della stessa idea, prima di pensarci però è meglio godersi le ultime gare.

Wiebes mai così “ingiocabile” in volata. Ce lo spiega Mondini

16.09.2025
7 min
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La volata è l’atto conclusivo di una gara ciclistica in cui un folto numero di velociste tenta il guizzo giusto, ma alla fine vince sempre lei, Lorena Wiebes. Da qualche anno, e progressivamente, si potrebbe sintetizzare in questo modo l’esito di ogni sprint disputato dalla olandese della SD Worx-Protime.

Non ha bisogno di ulteriori presentazioni la attuale campionessa europea, ma vale la pena ricordare la sua annata. Il tassametro di Wiebes al momento conta 23 successi stagionali (che diventano uno in più sommando la generale del Simac Ladies Tour) per un totale di 118 in carriera. Quest’anno più che in passato, le avversarie hanno tentato in tutte le maniere di sorprenderla quando si arrivava ad un sprint più o meno ristretto, ottenendo sempre posti dal secondo in giù. Quando è stata battuta, è stato merito di un’azione da lontano o di un colpo da finisseur. Tenendo conto che Lorena ha ancora 26 anni e tanta “fame” di crescita, abbiamo analizzato questa supremazia col suo diesse Gian Paolo Mondini. Un excursus fatto di dati, approccio e semplicità.

A parte la crono del Simac, sette vittorie su sette volate negli ultimi otto giorni di gara. Possiamo descrivere Wiebes con qualcosa di nuovo?

Credo che siano i numeri a parlare per lei. Oltre alle vittorie su strada, bisogna contare le maglie delle classifiche a punti di Giro Women e Tour Femmes che certificano la sua solidità nelle gare a tappe. Anzi con la generale del Simac, Lorena è balzata in testa al ranking mondiale superando Vollering. Una velocista davanti ad una donna da Grandi Giri. Se ci pensate è abbastanza atipico, ma contestualmente significativo di che atleta sia Wiebes. E non si ferma qua…

Cosa intendi?

Quest’anno ha vinto anche una gara delle World Series di gravel e ad ottobre correrà anche i mondiali che si terranno praticamente a casa sua (in Limburgo, ndr). E dicevo che non è finita perché dieci giorni dopo farà anche i mondiali in pista a Santiago del Cile (in programma dal 22 al 26 ottobre, ndr). Lorena è una forza della natura. Non si pone limiti e non ha paura di fare altre specialità.

Sia Guarischi che alcune sue avversarie ci hanno sempre detto che Wiebes ha i primi tre secondi della volata che sono fulminanti per tutte. E’ questo il suo segreto?

Barbara è il suo lead out e sua compagna di stanza, la conosce bene e ha ragione. Lorena ha uno sprint bruciante in avvio, perché ha un rapporto peso/potenza incredibile. E’ 60 chilogrammi, quindi deve spostare poco peso in volata. In quei tre secondi è capace di prenderti otto metri di vantaggio che diventano difficili da colmare. Ha registrato picchi di potenza molto più alti, ma abbiamo visto come facendo uno sprint con 1.200 watt di potenza riesca comunque a battere le rivali. E poi è molto aerodinamica.

Quest’anno è stata davvero ingiocabile per tutte, alzando ulteriormente il livello. Su cosa ha lavorato?

Diciamo che dopo che era stata battuta l’anno scorso da Kool al Tour e in qualche altra occasione, Lorena ha voluto migliorare ancora sotto tanti fondamentali. Lei è molto metodica, precisa ed ama allenarsi. Quando è fuori da sola o con le compagne, inserisce sempre 10/15 sprint in allenamento. Ho lavorato molto nel ciclismo maschile e non ho mai visto cose del genere nemmeno dagli uomini. La differenza è proprio lì e si vede la testa della campionessa. Potrebbe anche non farle o farne meno, visto che tanto vince 20 venti corse all’anno e invece no, ci dedica ancora tempo.

Wiebes vince Fourmies, l’ultima stagionale. Quest’anno è stata letteralmente insuperabile. Chi sarà la prima a batterla in volata?
Anche tatticamente ci è parsa ancora più attenta. E’ così?

Bisogna dire che Lorena quando mette casco, occhiali e numero sulla schiena diventa un cecchino in certe gare. Vede e legge la corsa. In ogni gara in cui c’era nervosismo o si formavano ventagli, lei era sempre nelle posizioni giuste. Un esempio sono i ventagli al UAE Tour oppure quello che abbiamo orchestrato noi al Giro Women nella tappa di Monselice o ancora recentemente al Simac. Lorena è brava a non sprecare energie e ormai sa gestirsi da sola anche quando non ha un lead out perfetto.

Vuole diventare più completa? Una velocista moderna alla Mads Pedersen, se ci accetti il parallelismo?

Faccio fatica a trovare paragoni tra i maschi come caratteristiche, chiaramente facendo le debite proporzioni. Per numeri, intesi come vittorie e valori espressi, può ricordare un Cavendish o un Viviani. In realtà Lorena può puntare a molte più gare lontane apparentemente da lei. Faccio un esempio anche in questo caso. La tappa del Tour vinta da Mavi Garcia aveva un finale molto impegnativo e lei ha vinto molto bene lo sprint del secondo posto arrivando a pochi secondi.

Tatticamente Wiebes ha una buona visione di gara e fiuta i pericoli. Con i ventagli è attenta e sa tenerli animati
Tatticamente Wiebes ha una buona visione di gara e fiuta i pericoli. Con i ventagli è attenta e sa tenerli animati
Quindi potremmo vederla più competitiva anche dove c’è più salita?

In questo caso il discorso può assumere diverse connotazioni. Lorena potrebbe iniziare a lavorare di più in salita solo per capire come affrontarla meglio, per una questione di posizioni in gruppo. Ovvio che poi se ci lavora troppo, rischia di perdere altre doti, tipo esplosività o velocità. Detto questo, io credo che una come Wiebes possa tenere duro in tante classiche come Fiandre o Amstel (dove è già arrivata seconda esultando sul fotofinish, ndr) e magari vincerle. Comunque sarebbe bello e giusto che organizzassero un mondiale per velocisti, perché Lorena meriterebbe di indossare una maglia iridata.

Come talvolta capita con Pogacar al via di una gara, hai l’impressione che le avversarie partano già battute quando c’è lei?

Non lo so, a me sembrano tutte serene le nostre avversarie, forse proprio per quel motivo o magari sono contente di andare a podio assieme a Lorena. Devo riconoscere anche che ogni tanto vediamo alcune squadre che preferiscono lasciare tanto spazio alla fuga, anche a costo di non chiudere più, pur di non arrivare in volata contro di lei. Per la serie, se chiude la SD Worx bene, altrimenti la gara finisce così.

Sappiamo che è una domanda paradossale, ma per Gian Paolo Mondini come si può battere Lorena Wiebes e chi potrebbe farlo?

Non saprei. Forse in una volata che per un qualsiasi motivo non è lanciata ad alta velocità, un lead out che arriva da dietro e forte potrebbe trovare la carta giusta per batterla. Oppure una squadra che ha due velociste. Una parte lunga, chiama allo scoperto Lorena e l’altra sfrutta la sua scia per passarla. Non so, sono ipotesi a cui noi stiamo già attenti e che vogliamo evitare. Tuttavia se devo fare un nome, ora come ora, penso che Chiara Consonni sia una velocista che potrebbe battere Lorena. Sarebbe una grandissima volata.

La rivincita di Eline Jansen, dominatrice in Toscana

16.09.2025
5 min
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Non c’è solo Wiebes, non c’è solo Vollering. Il movimento femminile olandese sforna nuovi talenti a getto continuo, anche al di fuori del WorldTour. Qui in Italia abbiamo imparato a conoscere Eline Jansen, del VolkerWessels Cycling Team, venuta a conquistare il Premondiale Giro di Toscana-Memorial Michela Fanini con due vittorie di tappa e il trionfo nella classifica generale e in quella a punti. A dir la verità parlare di sorpresa sarebbe una forzatura, perché la ventitreenne di Deventer si era già messa in luce anche confrontandosi con gli squadroni del WT, vincendo ad esempio la Classique Morbihan e finendo terza nella Classic Lorient Agglomeration, prova francese del massimo circuito.

L’olandese ha conquistato la classifica finale con 14″ su Amaliusik (POL) e 20″ su Van Sinaey (BEL)
L’olandese ha conquistato la classifica finale con 14″ su Amaliusik (POL) e 20″ su Van Sinaey (BEL)

Una vittoria che è anche una rivalsa

Per lei però quelle 4 tappe erano un passaggio fondamentale nella stagione ed è rimasta abbastanza stupita della risonanza che la sua vittoria ha avuto, ma anche del calore che ha riscosso presso il pubblico nostrano. D’altro canto, per lei lo sport ha il sapore della rivalsa, dato che da piccola soffriva per una patologia all’anca per la quale i dottori erano stati costretti a un intervento di osteotomia pelvica. Ai genitori avevano detto che era improbabile che sarebbe riuscita a camminare, ma Eline ha avuto la forza e il carattere per smentirli con i fatti.

«Non sapevo esattamente chi avrebbe partecipato – racconta – e sono partita all’ultimo minuto, nel senso che non ho fatto una preparazione specifica e non sapevo che cosa aspettarmi. Ma mi sentivo forte in salita. Dopo la cronometro a squadre avevamo un po’ di distacco. Quindi dovevamo guadagnare 30 secondi. E’ stato difficile chiudere il gap perché anche le ragazze presenti erano molto forti, non puoi mai avere la certezza di vincere, ma sapevo di avere una possibilità se avessi giocato bene le mie carte».

Il testa a testa con la Amaliusik, cogliendo la seconda vittoria, decisiva, in Toscana (foto organizzatori)
Il testa a testa con la Amaliusik, cogliendo la seconda vittoria, decisiva, in Toscana (foto organizzatori)
E’ stata più difficile la penultima o l’ultima tappa?

Credo sia stata l’ultima perché c’era Mackenzie Coupland attaccata in classifica, a un solo secondo. Era tutto da giocare all’ultima frazione, lei ha attaccato e ci siamo trovate a inseguire. Devo dire grazie alle mie compagne che hanno tirato fortissimo sull’ultima salita per colmare il distacco, pensando soprattutto alla generale. Poi ho dovuto fare il resto da sola, quindi ho dato il massimo, in modo che le altre ragazze non potessero attaccare e così abbiamo fatto uno sprint con tre altre ragazze. Sapevo di aver già vinto la classifica generale, ma ovviamente volevo vincere anche lo sprint, quindi ho fatto di tutto per riuscirci.

Racconta un po’ chi sei e come sei arrivata al ciclismo…

Non sono nel ciclismo da molto tempo. Ero una pattinatrice di velocità, ho iniziato ad andare in bici tre anni fa. Gareggiare a volte è un po’ difficile per me a livello tattico, è ancora tutto abbastanza nuovo. Questo Giro Toscana è stata anche un’opportunità di apprendimento.

L’olandese è al secondo anno nella VolkerWesselt, con un contratto già firmato fino al 2027
L’olandese è al secondo anno nella VolkerWesselt, con un contratto già firmato fino al 2027
Quest’anno hai fatto un deciso salto di qualità, da che cosa è dipeso?

Beh, penso di crescere come ciclista perché l’anno scorso è stato il mio primo anno da professionista, quindi era tutto nuovo. Rispetto ad allora ho imparato molto sulla tattica e ho fatto anche un grande passo avanti a livello fisico. Quindi penso che questo insieme mi renda un corridore migliore quest’anno rispetto a prima.

Come ti trovi nel tuo team e rispetto a quelli del WorldTour pensi che avete uno svantaggio?

Mi trovo davvero bene. Attacchiamo sempre e ci mostriamo impavide, non abbiamo alcun timore reverenziale rispetto alle grandi squadre della massima serie. Quindi sì, mi piace la nostra squadra, non credo abbiamo nulla da invidiare, possiamo giocarcela sempre. Io credo che potremo anche raggiungere la massima categoria, se tutto va per il meglio.

La Jansen ha corso 37 giorni con un bilancio di 4 vittorie e ben 15 top 10 (foto Instagram)
La Jansen ha corso 37 giorni con un bilancio di 4 vittorie e ben 15 top 10 (foto Instagram)
Che tipo di corridore sei, più adatta alle classiche o alle corse a tappe?

Non lo so ancora, perché quest’anno mi sono messa in mostra nelle Classiche delle Ardenne, ma mi piace molto anche partecipare alle corse a tappe. Attualmente non sono sicura di essere abbastanza brava sulle salite più lunghe per affrontare i Grandi Giri, devo capirlo in futuro, diciamo che questa è la mia grande scommessa. Attualmente penso di essere uno scalatore con gambe veloci, così posso anche vincere uno sprint abbastanza affollato.

Nel tuo profilo Instagram sei indicata anche come fisioterapista, stai studiando per esserlo o lavori già?

No, non lavoro, l’attività ciclistica non consentirebbe per i tempi. Ho la laurea e un domani è una strada professionale che potrebbe aprirsi, anche in questo stesso ambiente.

Fino a tre anni fa la Jansen era nel giro della nazionale nel pattinaggio su ghiaccio (foto Chamid)
Fino a tre anni fa la Jansen era nel giro della nazionale nel pattinaggio su ghiaccio (foto Chamid)
Avevi già avuto modo di correre in Italia e come ti sei trovata?

In realtà mi è sempre piaciuto gareggiare in Italia perché è un’occasione per gustare buona pasta e il buon cibo. In gara era un gruppo piuttosto numeroso, quindi a volte era forse un po’ pericoloso, ma anche questo è il ciclismo, quindi ci si deve fare l’abitudine.

Adesso che cosa ti aspetti da questa stagione?

Ho già conseguito i miei obiettivi più grandi con la partecipazione al Tour de France dove ho ottenuto buoni piazzamenti. Prima ancora c’erano state le classiche, quindi al momento vado avanti giorno per giorno e non sono sicura di quante altre gare farò. Intanto però dopo il Toscana ho continuato su quella scia con il 3° posto nell’A Travers les Hauts de France, ma so che posso fare ancora meglio.

Le 1000 vittorie del Wolfpack, un box speciale e Tegner racconta…

15.09.2025
7 min
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Era un pomeriggio rovente dell’ultimo giugno, il 12 per la precisione. Alle 16,54 Remco Evenepoel tagliava il traguardo di Saint-Péray 2025, vincendo la cronometro del Giro del Delfinato. Questa vittoria però non era come le altre, almeno non per lui. Era infatti la numero 1.000 della sua squadra, la Soudal-Quick Step. La millessima del Wolfpack.

Il primo a firmare questa lunga lista fu Servais Knaven, che il 4 febbraio 2003 conquistò la quinta tappa del Tour of Qatar a Doha. All’epoca la squadra si chiamava Quick Step-Davitamon. Non poteva immaginare a cosa aveva dato il via (in apertura foto Pedersen).

Per celebrare questo traguardo unico, il team belga ha inviato un box a tutti gli atleti che hanno contribuito al bottino di vittorie. Dentro c’era un attestato, redatto nella lingua del corridore, che ringraziava per il contributo. Un’iniziativa del Wolfpack di cui parliamo con Alessandro Tegner, oggi Head of Marketing, Communication and Partnerships. Lui iniziò con Patrick Lefevere ed è uno dei pochissimi ad essere rimasto: una colonna del gruppo, oggi guidato dal CEO Jurgen Foré.

Dal 2003 Alessandro Tegner (a destra), qui con Davide Bramati, è in questa squadra
Dal 2003 Alessandro Tegner (a destra), qui con Davide Bramati, è in questa squadra
Alessandro, partiamo dalla fine: il diploma…

Tutto è nato perché questa cosa delle mille vittorie non volevamo farla passare così. E’ un traguardo che, per quanto ne so io, siamo la prima squadra a tagliare e quindi abbiamo detto che il merito è di tutti, dei corridori, dello staff, di chiunque abbia lavorato con noi. Rincorrere anche lo staff per dare quel box sarebbe stato troppo complicato, dato che sono passate centinaia di persone. Così abbiamo deciso di concentrarci sugli atleti che hanno vinto almeno una corsa con noi, che sono 109.

E come è nata questa idea?

Abbiamo fatto maglie, creato contenuti, ma per gli atleti abbiamo pensato a un box speciale, con il logo “1000 and beyond” che abbiamo disegnato appositamente. Dentro c’era l’elegante attestato personalizzato e un puzzle in laminato Quick Step.

Come mai Quick Step?

Perché, anche se oggi il nostro primo sponsor è Soudal, Quick Step è l’unico che è rimasto dal primo all’ultimo giorno. Una scelta che abbiamo condiviso con Soudal che ha accettato di buon grado. Ed anche questo è stato bello: erano consapevoli della grandezza di questo traguardo. Il puzzle rappresentava un ciclista e sulle ruote c’era il logo della squadra con scritto “1000 and beyond”.

Quando questa operazione ha preso corpo quali sono state le reazioni?

Un’emozione enorme. Per tutti, atleti e staff. Persone come Bramati o Peters che sono lì da sempre l’hanno vissuta con grande trasporto. Come me del resto…

A proposito di sempre, tu ci sei sempre stato in questo gruppo. Come ci sei arrivato?

Con una partita a biliardo con Frank Vandenbroucke! Eravamo a Frejus per un ritiro invernale. Era dicembre 2002 e dal 2003 è iniziato questo viaggio. Quindi sì, le ho viste tutte.

C’è una vittoria di queste mille che ha un sapore particolare per te?

Per chi lavora in un team ci sono vittorie più significative di altre più note e roboanti. Io penso a Paolo Bettini che vinse il Giro di Lombardia da campione del mondo pochi giorni dopo la morte del fratello. Una storia incredibile, con la squadra che lo aiutò ad allenarsi, Bramati che lo seguì in quelle poche ore di bici che aveva fatto in settimana e lui che disse ai genitori. «Andate sul Ghisallo perché lì mi fermo. Lì ci sono tanti tifosi e voglio onorare questa maglia». Invece di fermarsi tirò dritto e fece un’impresa memorabile.

Il puzzle in laminato Quick Step. Alla fine ne uscirà un corridore in sella (foto Pedersen)
Il puzzle in laminato Quick Step. Alla fine ne uscirà un corridore in sella (foto Pedersen)
In effetti è toccante…

Un’altra vittoria mitica per me è quella di Wouter Weylandt a Middelburg, nella tappa del Giro d’Italia 2010, partito dall’Olanda. Lui era stato criticato anche da Lefevere perché non aveva corso bene le classiche e gli era stato detto che doveva rispondere con i pedali. E così ha fatto: in una tappa ventosa, con cadute a ripetizione, rimescolamenti vari, arrivò con un gruppetto e li batté tutti in volata. Io ero lì: ho ancora in mente l’abbraccio che gli ho dato. E’ stato un momento bellissimo.

Come hai detto tu, Alessandro, parli di questi successi perché li hai vissuti dall’interno. Sarebbe troppo facile citare la Sanremo di Alaphilippe o una Roubaix di Boonen…

Per esempio, di Boonen la corsa che mi è rimasta più nel cuore è la Gand-Wevelgem del 2011, quando rientrava da un infortunio al ginocchio. Era un anno in cui, come si dice in gergo, non la muovevamo. Tom rientrò e con una delle sue magie vinse quella volata. Se lo chiedete a cento persone, nessuno vi indicherà mai quella vittoria, ma per me rappresentò il suo ritorno al livello che ci aspettavamo. In tempi più recenti ricordo la vittoria di Alaphilippe in Colombia, con uno scatto alla Saronni, oppure quella di Kwiatkowski all’Amstel Gold Race. Ma le prime tre che ho citato restano le più sentite.

A proposito di Boonen: è lui il più vincente con voi?

Sì, con 120 successi. Abbiamo preparato due bici blu con dettagli oro: una per chi avrebbe firmato la vittoria numero 1000 e che quindi è andata a Remco. E una per Boonen, il nostro corridore più vincente di sempre. Entrambi sono stati felici di questa sorpresa. Ma tutti lo sono stati. Vi dico: quando i corridori hanno iniziato a ricevere i box commemorativi, vedendo i social dei loro colleghi che ricevevano l’omaggio, alcuni ci hanno chiamato per assicurarsi che non ci fossimo dimenticati di loro.

La Specialized celebrativa (s’intravede il 1000 sul tubo piantone) data a Boonen ed Evenepoel (foto @WoutBeel)
La Specialized celebrativa (s’intravede il 1000 sul tubo piantone) data a Boonen, in foto, ed Evenepoel (foto @WoutBeel)
A fine stagione vi lascerà Remco Evenepoel, un faro megagalattico che ovviamente richiede un certo riguardo sia nel modo di correre che nel supporto a livello di uomini. Adesso sembra potrà riemergere forte il senso di gruppo, il Wolfpack?

Il senso di gruppo non è mai venuto meno. Questa squadra ha sempre fatto la sua forza con il gruppo, pur avendo grandi individualità. Mi ricordo, per esempio, Addy Engels che una volta dopo una corsa, vedendo seduto Bettini in lontananza, mi disse: «Caspita, ho tirato per lui tutti quei chilometri ed è stato un piacere!». Capite? Ci sono dei momenti nei quali la squadra emerge forte. La filosofia del Wolfpack è tutta lì. E questo si è rivisto anche recentemente.

Quando l’avete rivisto di recente?

Al Tour, sul Mont Ventoux. Penso al direttore sportivo (Bramati, ndr) che ferma Eeckhorn in fuga per farlo tirare e tenere la fuga a una certa distanza. A un corridore come Valentin Paret-Peintre che attacca e Van Wilder che rientra e, invece di giocare le sue carte, si mette davanti e gli fa il ritmo perché sa che quel giorno è la volta del suo compagno. Quelli sono momenti bellissimi. Momenti che abbiamo avuto anche con Remco. Alla fine Evenepoel ha vinto oltre 50 corse con noi.

Ora il mercato vi riporta in una nuova fase…

Abbiamo creato una squadra bilanciata, come avete visto, con acquisti che sono investimenti importanti e anche un po’ strategici nell’economia della squadra. C’è chi aiuterà e chi si giocherà le sue carte. L’importante è continuare a crescere. Perché è vero che abbiamo festeggiato le mille vittorie ma siamo già a 1.016… Questa è la mentalità che conta e che non deve cambiare mai.

Ilan Van Wilder abbraccia Paret-Peintre sul Ventoux. Quel giorno fu una vittoria da vero Wolfpack
Ilan Van Wilder abbraccia Paret-Peintre sul Ventoux. Quel giorno fu una vittoria di squadra
Cosa puoi dirci del passaggio da Patrick Lefevere a Jurgen Foré?

Lo spirito che è stato creato in quegli anni con Patrick resta. Lefevere è uno che ha sempre trasmesso questa grinta, il senso del gruppo: è lui l’uomo che ha dato una direzione a tutto questo. Io in realtà non ho fatto altro che mettere un nome, Wolfpack, a una cosa che sentivo, che esisteva già e che ho vissuto in prima persona. La grande cosa è che il Wolfpack è diventato talmente sentito che ora ci contraddistingue in modo preciso. Non è un’invenzione di marketing.

Chiaro…

Anche con Jurgen in questi giorni ci diciamo sempre che il Wolfpack è come una scatola in mezzo alla tavola e tutti ogni giorno ci devono mettere dentro qualcosa. Ecco, questa è la nostra realtà: continuare a far crescere questa cosa, metterci dentro un pezzettino e proteggerla. E mi piace tanto il fatto che tutto questo lo abbiano capito benissimo tutti coloro che lavorano nel team. Che abbiano capito che questa fiamma va continuamente alimentata.

Scaroni e il sogno europeo: il premio per una grande stagione

15.09.2025
4 min
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Una stagione vissuta sempre a contatto con i primi, vincendo e piazzandosi spesso. Dalle gare di inizio anno a Maiorca alle classiche italiane di fine stagione. Christian Scaroni ha trovato quello che gli era sempre mancato, o forse è riuscito a portare tutto a un livello superiore. Il corridore della XDS Astana Team ha vinto sei gare in carriera. Due nel periodo più nero quando tutto sembrava perso, e le altre quattro durante questa stagione, nel momento in cui il suo team cercava di risalire la china della classifica UCI.

Christian Scaroni è riuscito a dare il meglio di sé in due momenti complicati, tirando fuori la grinta e le sue qualità migliori. E’ andato per gradi e obiettivi, combattendo nelle corse di inizio stagione e vincendo poi una tappa al Giro (la sua prima vittoria in una gara WorldTour). Prestazioni che hanno acceso un faro sul suo nome anche in ottica nazionale.

«Nelle corse in Toscana – racconta Scaroni – così come al Pantani e al Matteotti, ho visto che la condizione è buona. Penso possa crescere ancora, anche perché arrivo da un periodo in altura per preparare gli ultimi due mesi di corse».

Scaroni è tornato in corsa dopo l’altura sul Pordoi al GP Industria e Artigianato cogliendo un secondo posto alle spalle di Del Toro
Scaroni quest’anno ha colto tanti piazzamenti e podi, spesso alle spalle di atleti del UAE Emirates
Hai messo insieme 50 giorni di gare in un periodo di tempo lungo, hai iniziato a correre a fine gennaio…

Vero, infatti dopo il Giro ero un po’ stanco. Era andato tutto bene fino alla caduta delle Strade Bianche, riprendermi da quell’infortunio è stato difficile perché ho accelerato molto per arrivare pronto alle corse successive. A fine Giro mi sono ammalato, ho provato a recuperare per il Giro dell’Appennino e per l’italiano ma ho avuto una ricaduta. 

Sei tornato in corsa durante l’estate ripartendo alla grande.

E’ mancata solamente la vittoria, ma sono sempre stato presente entrando spesso in top 10 e salendo più volte sul podio. La stagione sembra finita, ma le gare più importanti non sono ancora arrivate: nel mirino ci sono l’europeo e il Lombardia. 

Ad agosto per Scaroni è arrivato il terzo posto nella classifica generale dell’Arctic Race of Norway
Ad agosto per Scaroni è arrivato il terzo posto nella classifica generale dell’Arctic Race of Norway
Ti aspettavi qualcosa in più?

Se a inizio stagione mi avessero detto che avrei vinto quattro gare di cui una tappa al Giro avrei firmato. Vero che in proporzione ai quindici podi le vittorie sono quasi poche, ma spesso sono finito dietro a corridori della UAE. Sappiamo quanto siano dominanti in questo momento. Del Toro ha vinto tutte le corse di settembre in Italia, più o meno come aveva fatto un anno fa Hirschi. 

Come hai lavorato in vista degli ultimi impegni della stagione?

Una volta tornato dalle corse in Spagna e dall’Arctic Race Sono stato in altura sul Pordoi per una ventina di giorni. Mi sono allenato bene con l’obiettivo di essere pronto per le corse di ottobre. Per l’europeo ho già parlato con chi di dovere (il cittì Marco Villa, ndr).

Il profilo del bresciano è entrato nella lista di Villa per l’europeo del prossimo 5 ottobre
Il profilo del bresciano è entrato nella lista di Villa per l’europeo del prossimo 5 ottobre
Villa aveva detto di voler creare un blocco Astana per l’europeo…

Per mondiali ed europei ci saranno due squadre diverse, è difficile riuscire a correre entrambi visto il lungo viaggio che attende chi andrà in Rwanda. 

Si era aperta anche una finestra per il mondiale?

Ne avevamo parlato ma c’è già “Cicco” (Giulio Ciccone, ndr) come uomo di riferimento per la nazionale. Mi sarebbe piaciuto prendere parte a questa trasferta, ma confrontandomi con Villa è emersa la possibilità di provare a correre da protagonista l’europeo

Scaroni allunga in testa alla classifica della Coppa Italia delle Regioni
Scaroni allunga in testa alla classifica della Coppa Italia delle Regioni
L’ultima volta che avevi indossato la maglia della nazionale era all’Adriatica Ionica Race, in un momento difficile della tua carriera…

Ringrazierò per sempre la Federazione e il cittì di allora, Daniele Bennati. Mi hanno dato una grande occasione e l’opportunità di rimettermi in gioco. Senza di loro non sarei qui a sognare una convocazione europea (manca solo l’ufficialità, ndr). Tornare a vestire questa maglia sarebbe motivo di orgoglio. Sono scaramantico, non mi sbilancio fino al momento dell’ufficialità.

Vuelta Espana 2025, ultima tappa MAdrid, protesta pro Palestina, disordini, tappa annullata

EDITORIALE / La Vuelta si ferma, il resto va avanti

15.09.2025
4 min
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Dopo due tappe rimodellate per la presenza dei manifestanti pro Palestina, ieri la Vuelta ha dovuto cancellare il finale di Madrid. Il corteo è diventato distruttivo. Le transenne sono state divelte. I palchi sono stati occupati. I corridori sono stati fermati. Si parlava da giorni dell’impossibilità che l’ultima tappa si svolgesse regolarmente, ugualmente però i velocisti hanno tenuto duro sulla Bola del Mundo e ogni altra salita, sperando di avere l’ultima chance che non c’è stata.

Di questo tema abbiamo già scritto in occasione della tappa di Bilbao, privata ugualmente del finale. Avevamo trovato fuori luogo l’osservazione di Vingegaard, dispiaciuto per non aver potuto vincere l’orsacchiotto per suo figlio che compiva un anno, percependo il gruppo della Vuelta come un’entità avulsa dal contesto sociale e politico in cui viviamo. Da allora, sia il danese ledaer della corsa sia altri rappresentanti del gruppo hanno trovato però il modo per rimarcare l’orrore di quanto sta accadendo a Gaza, riconoscendo le ragioni di chi protesta, ma stigmatizzando le azioni violente. Posizione anche questa ineccepibile.

Un podio posticcio a tarda sera: così Vingegaard riceve il trofeo della Vuelta, davanti ad Almeida e Pidcock (immagine @lavuelta)
Un podio posticcio a tarda sera: così Vingegaard riceve il trofeo della Vuelta, davanti ad Almeida e Pidcock (immagine @lavuelta)

Uno sport di strada

Il ciclismo sta in mezzo alla gente ed è impossibile chiuderne l’accesso. E’ il bello del nostro sport e insieme la sua condanna, quando certi limiti non sono soltanto dati dalle transenne, ma anche dalle varie volontà politiche.

Se una manifestazione decide di bloccare una corsa, non ci sono reparti di celerini che tengano. La corsa magari passa, ma in un contesto inaudito di violenza. Vale la pena caricare centinaia di manifestanti, se l’alternativa è fermare un evento sportivo WorldTour che vede al via alcuni tra i più forti professionisti al mondo? Certo che no, il ciclismo si farà da parte per quel senso di responsabilità che l’ha sempre accompagnato. Non ci sono biglietti da rimborsare e tutto sommato i corridori sono abituati a chinare il capo.

La Gran Via di Madrid è stata invasa dai manifestanti in un baleno: la Vuelta non poteva che essere fermata
La Gran Via di Madrid è stata invasa dai manifestanti in un baleno: la Vuelta non poteva che essere fermata

Il ciclismo che subisce

Come quando lo sport decise di dichiarare guerra al doping e si lanciò in campagne sul non rischiare la salute e altri slogan vanificati dall’esperienza. Aderì soltanto il ciclismo, nel nome dello stesso senso di responsabilità. Il ciclismo sapeva – dicono i ben informati – di avere situazioni da sanare. Lo sapevano anche gli altri – si potrebbe rispondere – ma ritennero che non fosse un problema. I calciatori beffeggiarono la necessità di sottoporsi ai controlli. Rino Gattuso, l’attuale cittì della nazionale di calcio, rifiutò di sottoporsi a un prelievo ematico: poté farlo perché per loro si trattava di controlli su base facoltativa, che per i ciclisti erano invece obbligatori.

Sull’altare di quella correttezza, pertanto, il ciclismo immolò alcuni dei suoi campioni più carismatici, il più delle volte senza un’evidenza sostenuta da prove. Per delle percentuali di ematocrito, poi ritenute inaffidabili. Oppure per cervellotici algoritmi australiani, poi cancellati. Per quantitativi infinitesimali di sostanze che più di recente sono state ritenute una colpa lieve e punite con tre mesi di squalifica. Non ci stancheremo mai di ripetere che per un caso identico a quello di Sinner, Stefano Agostini prese due anni di squalifica e smise di correre. E la normativa nel frattempo non è cambiata.

Il gruppo fermato all’ingresso nel cicrcuito di Madrid. Ivo Oliveira parla con un uomo della Guardia Civil
Il gruppo fermato all’ingresso nel cicrcuito di Madrid. Ivo Oliveira parla con un uomo della Guardia Civil

Il mondo non si schiera

La protesta della Vuelta era nata per fermare la Israel-Premier Tech, poi è degenerata. Si è fatto più volte il paragone con la russa Gazprom, fermata quando la Russia iniziò l’invasione dell’Ucraina: lo abbiamo fatto anche noi. Eppure ha detto bene il presidente dell’UCI Lappartient: la disposizione scattò quando, in seguito alle disposizioni politiche internazionali, il CIO decise di fermare lo sport russo. Contro Israele nessuno ha detto nulla. Da quelle parti hanno il diritto di bombardare, affamare e azzerare una popolazione, figurarsi se qualcuno troverà mai utile parlare del loro diritto allo sport.

Per questo, di fronte alla codardia o alla convenienza politica internazionale, i manifestanti hanno attaccato uno dei pochi sport che non si può difendere, che non divide diritti televisivi e non ha biglietti da rifondere. Sarebbe invero stupendo, per quanto utopistico, che lo sport si fermasse anche solo per un minuto per commemorare le vittime di quel conflitto disumano, senza bisogno di manifestanti. E’ inutile tuttavia aspettarsi che accada. Sarà curioso invece vedere cosa accadrà il 14 ottobre a Udine, quando l’Italia si giocherà contro Israele la qualificazione per i mondiali di calcio. Di certo uno stadio dotato di cancelli e barriere sarà un luogo più facile da difendere di un viale alberato delimitato da semplici transenne.