A tu per tu con Bredewold, una campionessa da scoprire

21.09.2025
5 min
Salva

Con 8 vittorie internazionali, Mischa Bredewold è uno dei grandi nomi di questa stagione. Successi in serie, sia in corse in linea che nelle tappe, risultando un vero e proprio alter ego della compagna di team Wiebes. Avevamo imparato a conoscerla un paio d’anni fa quando conquistò non senza sorpresa il titolo europeo, ma rispetto ad allora la ragazza olandese dal nome russo («ma solo il nome, di russo non ho nulla» dice ridendo) è cresciuta moltissimo.

Mischa Bredewold è di Amersfoort, ha 25 anni. Quest’anno ha vinto 8 corse con 13 Top 10
Mischa Bredewold è di Amersfoort, ha 25 anni. Quest’anno ha vinto 8 corse con 13 Top 10

Tutta quest’attenzione non la coglie di sorpresa né la disturba, anzi è estremamente disponibile nell’analizzare anche le cause di questa crescita veemente: «E’ una stagione fantastica, ovviamente la migliore da quando corro. Diciamo che molto sta andando a posto ed è bellissimo, anche se penso sempre che si possa fare di più, non si raggiunge mai davvero il limite che si ha in mente».

Quest’anno hai vinto 8 volte e gare molto diverse fra loro: che tipo di ciclista pensi di essere?

Mi fanno spesso questa domanda e una risposta precisa non c’è. Penso che la mia forza sia stare bene nel team e sapere come interpretare ogni tipo di corsa pur senza eccellere in nulla. Ad esempio so che non sono il miglior scalatore del gruppo, ma in ogni caso riesco a difendermi e a stare con le migliori, lo stesso nelle prove più veloci, lo stesso in certe volate. Conta molto la consapevolezza che posso vincere le gare, spesso.

Al Tour, Bredewold ha corso in aiuto alle compagne, ma vuole crescere in salita per puntare alla classifica
Al Tour, Bredewold ha corso in aiuto alle compagne, ma vuole crescere in salita per puntare alla classifica
Tu hai vinto il titolo olandese a cronometro e domenica sei stata quinta al Tour de l’Ardeche: pensi che col lavoro puoi diventare anche una ciclista per corse a tappe?

Mi piacciono molto, credo per le piccole corse a tappe a questo punto della mia carriera di essere portata. E’ qualcosa che mi piace fare, soprattutto se c’è qualche cronometro prevista. Diverso è il discorso relativo ai grandi giri: per emergere al Giro o al Tour devi davvero avere un altro passo in salita, se vuoi le prime posizioni devi essere un ottimo scalatore e allora devo davvero allenarmi su questo. Quindi devo fare scelte diverse. Significa che devo concentrarmi su questo aspetto, ma non voglio farlo subito, voglio arrivarci nel tempo, magari fra un paio d’anni.

Sei nello stesso team di Wiebes e Kopecky. Come fate a collaborare e a non essere in competizione fra voi?

Abbiamo un team molto bello, dove c’è un sistema di dare e avere che funziona. Abbiamo molte atlete che sono in grado di vincere gare, ognuna ha il suo spazio. D’altronde penso che sia anche una scelta che fai. Se vai in questa squadra, sai, a volte devi dare, ma sai anche di essere in un super team, dove avrai di nuovo quella possibilità e avrai una squadra super forte alle spalle. E’ sicuramente un vantaggio avere più carte da giocare e questo significa che a volte devi farlo., devi dare un po’ di più e se lo sai, puoi trarne beneficio.

L’olandese insieme a Guarischi e Wiebes. Con la campionessa europea nessuna rivalità, ma tanto rispetto
L’olandese insieme a Guarischi e Wiebes. Con la campionessa europea nessuna rivalità, ma tanto rispetto
C’è qualcosa che invidi alla Wiebes e qualcosa dove pensi di esserle superiore?

Beh, stiamo parlando della migliore velocista del mondo, non so se mi spiego…Penso che non ci sia bisogno di mettersi a confronto, capire chi è migliore o chi è peggiore. Alla SD Worx, avendo così tanti buoni corridori, ci miglioriamo a vicenda e in un certo senso ci completiamo a vicenda, perché abbiamo corridori per ogni necessità che sono in grado di fare tante cose diverse. Io non sto guardando Lotte (Kopecky, ndr) o Lorena e penso “loro sono più brave di me in questo o quello o io sono più brava in questo o quello”, non sono mie avversarie, sono mie compagne di squadra. Sicuramente io e Lorena siamo piuttosto diverse. Abbiamo un modo diverso di guidare. Ma certamente non ci ostacoliamo.

Il trionfo di Drenthe 2023, per Bredewold è stato una vera svolta nella carriera
Il trionfo di Drenthe 2023, per Bredewold è stato una vera svolta nella carriera
Due anni fa hai vinto il titolo europeo: pensi che quella sia stata la svolta della tua carriera?

Penso di sì, ma a dire il vero, l’entrare in questa squadra dopo un periodo difficile da professionista è stato un punto di svolta per me. Mentalmente è scattato qualcosa in me e questo è stato prima degli Europei. Lì però ho fatto un salto di qualità, ho capito che potevo vincere gare importanti come quella. Dopo essere diventata campionessa europea, le cose sono cambiate, decisamente.

Delle tante vittorie di quest’anno qual è quella alla quale tieni di più?

L’Amstel, sicuramente. Quello era il mio primo obiettivo, per noi olandesi è “la” gara. Un altro obiettivo era diventare campionessa nazionale contro il tempo perché era un traguardo che inseguivo da così tanto tempo che è stato davvero speciale per me. Infine la vittoria a Plouay perché sapevo che vincendo per la terza volta di fila avrei scritto una pagina di storia. Queste gare sono state le mie preferite.

L’olandese ha conquistato il titolo nazionale cronometro, lungamente inseguito. Ora vuole l’oro europeo
L’olandese ha conquistato il titolo nazionale cronometro, lungamente inseguito. Ora vuole l’oro europeo
E quali sono i tuoi obiettivi per la fine della stagione?

Ora punto moltissimo sulla prova continentale a cronometro e mi sto preparando specificamente per questo. E’ un percorso così difficile che dipenderà molto da come andranno le cose in quel singolo giorno. Ma so che mi sto impegnando molto, è un obiettivo importante per me.

Quest’anno sei stata in Italia solo per la Strade Bianche: ti piace correre qui?

Moltissimo. La Strade Bianche è una delle mie gare preferite. Ma ogni gara è speciale, ci trovi salite brevi o lunghe, non sono mai corse comuni né scontate. Poi il cibo è fantastico… Spero di tornare quanto prima.

Campionati del mondo di Zurigo 2024, conferenza stampa presidente UCI David Lappartient

Nuova grana per l’UCI. Sram ricorre al Garante belga

21.09.2025
5 min
Salva

Il 12 settembre 2025, Sram ha presentato un reclamo formale all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (BCA) belga contro l’Unione Ciclistica Internazionale (UCI). Si contesta il Protocollo UCI sul Rapporto Massimo. Il 17 settembre 2025, esaminato il reclamo, la BCA ha avviato un procedimento antitrust formale.

Il limite dei 10,46 metri

Inizia così la comunicazione diffusa venerdì da Sram cui l’UCI ha risposto con una velocità mai vista prima. Le nuove regole sui materiali, varate a luglio, hanno provocato più di qualche mal di pancia: prevedibile e ben motivato. Sapere che al Tour of Guangxi sarà effettuata la prova rapporti, come un tempo fra gli juniores, ha fatto scaldare gli animi.

La limitazione a partire dal 2026 per l’altezza dei cerchi ha provocato un danno non solo di immagine, ma anche economico. Si era nel pieno del lancio delle nuove gamme: averle messe fuori legge è stato una doccia fredda. La limitazione dello sviluppo metrico dei rapporti ha invece colpito soprattutto il brand americano. Avendo spinto per la diffusione dei sistemi monocorona, Sram infatti ha introdotto il pignone da 10. Anche abbinato al 52, il 10 porta a superare il limite dei 10,46 metri imposto dall’UCI nel nome della riduzione delle velocità indicata da SafeR. La curiosità di tale commissione è che comprende tutti gli esponenti del ciclismo, ma non gli sponsor tecnici su cui tuttavia può legiferare.

Fra le squadre dotate di trasmissione Sram spiccano Lidl-Trek, Visma-Lease a Bike e Red Bull-Bora
Fra le squadre dotate di trasmissione Sram spiccano Lidl-Trek, Visma-Lease a Bike e Red Bull-Bora

Un clima (poco) trasparente

Quel che si legge è che Sram avrebbe tentato più volte di coinvolgere l’UCI in un approfondimento sul tema, senza tuttavia ottenere una risposta esauriente. A fronte della possibile penalizzazione degli atleti (e del rischio – aggiungiamo noi – che il rinnovo delle sponsorizzazioni sia messo a rischio), l’azienda ha intrapreso la sua azione legale.

«Definirlo un test non lo rende meno una gara – ha affermato Ken Lousberg, CEO di Sram – tutti i ciclisti sulla linea di partenza dovrebbero competere ad armi pari. Al momento, i team equipaggiati con Sram dovranno gareggiare in condizioni di svantaggio. Con un equipaggiamento compromesso e un numero ridotto di opzioni di cambio rispetto ai concorrenti. Inoltre, non è chiaro cosa venga testato. Dato il modo in cui l’ente governativo prende le sue decisioni, è impossibile sapere chi potrebbe essere interessato in futuro al ciclismo. Attraverso questo processo speriamo di creare un clima più trasparente e collaborativo per le squadre e i fornitori di componenti. Per avere uno sport migliore e più sicuro per tutti».

Ken Lousberg, CEO di Sram (foto Bike Europe)
Ken Lousberg ha commentato l’azione legale intentata da Sram (foto Bike Europe)
Ken Lousberg, CEO di Sram (foto Bike Europe)
Ken Lousberg ha commentato l’azione legale intentata da Sram (foto Bike Europe)

Il primo comunicato dell’UCI

L’UCI si trova a gestire parecchi fronti. L’aspetto singolare è che ciascuna criticità parrebbe causata da azioni intempestive messe in atto senza applicare i regolamenti cui l’ente svizzero sembra così attaccato. Alle normative tecniche si è aggiunto infatti il goffo passaggio dei GPS da gara, testati al Tour de Romandie delle donne. Considerare da questi episodi che SafeR sia diventato un nuovo strumento di potere, al pari dell’antidoping in altri anni, è fin troppo elementare.

In un primo comunicato rilasciato ieri mattina, l’UCI si è detta perplessa dalla pubblicazione del comunicato stampa di Sram, prima di esserne stata informata. Ha aggiunto che dagli esiti del test cinese dipenderà la possibilità di farne ancora nel 2026, avendo come obiettivo “le misure per aumentare la sicurezza dei ciclisti. L’UCI è convinta che la sua proposta di testare le limitazioni al cambio sia conforme al diritto della concorrenza dell’UE e belga. Non è compito di chi tutela il diritto alla concorrenza portare a un “livellamento verso il basso” degli standard normativi e di sicurezza“.

Campionati del mondo di Zurigo 2024, colloqui CPA, SafeR, Adam Hansen, Alessandra Cappellotto
Di SafeR fanno parte anche i sindacati dei corridori: qui Hansen e Cappellotto del CPA
Campionati del mondo di Zurigo 2024, colloqui CPA, SafeR, Adam Hansen, Alessandra Cappellotto
Di SafeR fanno parte anche i sindacati dei corridori: qui Hansen e Cappellotto del CPA

Il secondo comunicato

A metà pomeriggio però hanno aggiustato il tiro. In un secondo comunicato, l’UCI ha dettagliato le motivazioni che hanno portato alla decisione di procedere alla verifica dei rapporti. «E’ stato dimostrato – si legge – che l’aumento delle velocità massime raggiunte dai ciclisti negli ultimi anni, in particolare in discesa, è legato all’evoluzione dell’equipaggiamento e costituisce un fattore di rischio per la loro sicurezza. Va inoltre sottolineato che la maggior parte dei ciclisti si è espressa a favore della verifica dei limiti massimi del rapporto di trasmissione in un questionario inviato prima della definizione del protocollo. Il Protocollo per il Test del Massimo Rapporto non si rivolge a un marchio o fornitore specifico, ma si applica uniformemente a tutti i ciclisti del gruppo».

La chiusura è da capire, a metà fra una mano tesa e il ribadire la propria volontà. «L’UCI rimane pienamente aperta al dialogo con i produttori di attrezzature – scrive – al fine di proseguire lo sviluppo armonioso e innovativo del nostro sport. L’innovazione tecnologica è un motore essenziale del ciclismo, ma deve essere inserita in un quadro normativo chiaro e trasparente che rispetti la sicurezza degli atleti. Tuttavia, l’UCI mette in discussione gli obiettivi di Sram nell’opporsi a un test progettato per valutare la pertinenza di una misura di miglioramento della sicurezza, minando così la necessaria unità tra gli attori del ciclismo, essenziale per il progresso verso uno sport più sicuro».

Campionati del mondo Zurigo 2024, meeting SafeR
L’istituzione della commissione SafeR è una valida idea, ma al suo interno manca la voce delle aziende
Campionati del mondo Zurigo 2024, meeting SafeR
L’istituzione della commissione SafeR è una valida idea, ma al suo interno manca la voce delle aziende

La voce che manca

Di sicuro la riduzione del profilo delle ruote e dello sviluppo metrico porta a una riduzione delle velocità. Tuttavia è possibile stabilire con certezza se le cadute più disastrose degli ultimi anni siano state determinate da bici troppo veloci o piuttosto dalle strade impraticabili e piene di barriere architettoniche?

Costringere un così vasto numero di aziende a rivedere la propria produzione ha conseguenze e provoca reazioni. Non avere all’interno di SafeR la voce delle aziende fa sì che si legiferi con scarsa cognizione di causa e questo rende l’UCI meno credibile. Sono apprezzabili gli slanci dati dalla necessità di fare qualcosa, ma esiste un livello superiore cui rendere conto. Lo sviluppo armonioso e innovativo del ciclismo non si raggiunge con regole dettate senza la minima condivisione e con un preavviso ridicolo e dannoso. Non si può pretendere di dettare l’agenda alle grandi aziende con iniziative di questo tipo. L’innovazione tecnologica è effettivamente un motore essenziale del ciclismo, a patto di non limitarsi a uno sfoggio di parole.

Aleotti tra Spagna e futuro: gregario con (qualche) licenza di vincere

20.09.2025
6 min
Salva

La Vuelta 2025 ha segnato un passaggio importante per Giovanni Aleotti, emiliano classe 1999, in forza alla Red Bull-Bora-hansgrohe, lo squadrone… sempre più squadrone. Reduce dal suo secondo Grande Giro stagionale, Aleotti si è ritrovato al servizio di due capitani: l’australiano Jai Hindley, leader designato per la classifica generale, e il giovane talento italiano Giulio Pellizzari, protagonista con una vittoria di tappa e una top 10 finale, sesto per la precisione.

In Spagna, Aleotti ha affinato il suo ruolo di gregario affidabile, ma non solo. Si è mostrato sì corridore di fatica capace di sacrificarsi per il bene del gruppo, ma quando ha avuto carta bianca si è gettato in fuga senza timori. Certo, lo sguardo al futuro invoca leader ancora più grandi, a cominciare Primoz Roglic e presto Remco Evenepoel.

Nella crono di Valladolid, Aleotti si è impegnato ma non del tutto. Ha risparmiato energie in vista delle frazioni finali
Nella crono di Valladolid, Aleotti si è impegnato ma non del tutto. Ha risparmiato energie in vista delle frazioni finali

Le impressioni dalla Vuelta

Giovanni è in pieno recupero post Vuelta. «Ho passato gli ultimi giorni cercando di recuperare il più possibile – racconta Aleotti – La Vuelta è sempre tosta, si arriva alla fine tutti un po’ stanchi. Quest’anno poi era per molti il secondo Grande Giro, ed essendo a fine stagione in gruppo si percepiva tanta fatica generale».

Personalmente ho avuto alti e bassi. Sono arrivato bene, dall’italiano in poi sono stato in altura con la squadra ed ero dove volevo essere. A San Sebastián ho avuto buone sensazioni, alla Vuelta a Burgos ho trovato spazio e un piazzamento nei dieci. Alla Vuelta ho sofferto la prima settimana, più del previsto. Poi nella seconda sono riuscito ad andare un paio di volte in fuga, anche se quest’anno le fughe hanno avuto meno spazio del previsto, visto che degli otto successi della UAE Emirates, sei provengono proprio dalle fughe».

Il bilancio per Aleotti resta dunque positivo. L’obiettivo era sempre supportare la squadra e aiutare i leader.

«Nella terza settimana, con Pellizzari protagonista, ci siamo concentrati su di lui e su Hindley. Che dire: alla fine porto via una buona condizione, che di solito resta nelle gambe dopo un Grande Giro. Adesso il focus è recuperare bene, parlare con il mio allenatore Paolo Artuso e ripartire per la prossima stagione».

Vuelta 2025. Da sinistra: Giulio Pellizzari, Jai Hindley e Giovanni Aleotti. Un bel feeling in squadra
Vuelta 2025. Da sinistra: Giulio Pellizzari, Jai Hindley e Giovanni Aleotti. Un bel feeling in squadra

Per Hindley e per Pellizzari

Come ha detto anche lui, Giovanni aveva due capitani e certamente non deve essere stato facile dividere compiti e attenzioni. Ma vista la rosa 2026 della Red Bull, sarà qualcosa che accadrà con grande facilità. E infatti ci spiega il suo ruolo.

«Vero, avevamo Jai come capitano numero uno e Giulio con carta bianca. L’obiettivo era fare classifica con Hindley e provare a vincere una tappa. E’ arrivata la vittoria con Pellizzari, il suo primo successo, e vederlo in maglia bianca fino alla terza settimana è stato speciale. Abbiamo lavorato benissimo quel giorno, soprattutto per prendere la salita finale. Io ho svolto un bel lavoro, tanto è vero che me lo hanno detto.

«Una volta terminato il mio compito mi sono messo di passo e ai 3 chilometri dall’arrivo a bordo strada ho visto coach Paolo Artuso e il nutrizionista Giacomo Garabello, gli ho chiesto come stesse andando. Mi sono fermato e mi sono visto dal suo smartphone gli ultimi 500 metri del trionfo di Giulio. Davvero bellissimo, davvero una bella atmosfera c’era quel giorno. E va detto che anche Jay, che lottava per il podio, è stato generoso a concedergli lo spazio».

Aleotti del giorno di El Morredero ne parla con entusiasmo. Ma anche determinazione. La tappa era preparata già dal mattino. Il direttore sportivo Patxi Vila che aveva fatto la ricognizione di quella frazione e aveva impostato una tattica che poi è andata alla perfezione. Denz e Van Dijk ha tenere alta l’andatura fino ai piedi della salita, poi Selig e Aleotti per preparare l’affondo. Quando le cose funzionano bene, le energie si moltiplicano.

Giovanni esalta quindi Pellizzari. Anche lui è rimasto colpito da come il marchigiano si sia dimostrato già fortissimo. Al primo anno in un team WorldTour, due Grandi Giri finiti davanti, una vittoria di tappa e la top 10 generale.

«Giulio è molto giovane ma semplice e concreto, si è integrato benissimo. Io penso che abbia avuto la consapevolezza di essere un co-leader, nonostante la sua età. Mi piace poi perché è serio, ma al tempo stesso si diverte», ha aggiunto Giovanni.

La Red Bull crede molto in Giovanni. Anche lo scorso dopo il Giro fu portato in Spagna dove scortò Roglic alla vittoria
La Red Bull crede molto in Giovanni. Anche lo scorso dopo il Giro fu portato in Spagna dove scortò Roglic alla vittoria

Quanti capitani nel un futuro

E ora questo lavoro con i leader, come dicevamo, assumerà sempre più corpo. La Red Bull-Bora si sta trasformando sempre di più in uno squadrone. Oltre a Hindley, Vlasov, Roglic, Lipowitz ecco anche Evenepoel… senza appunto dimenticare Pellizzari. Il futuro per Aleotti tende per natura verso un ruolo determinato. Ed è anche curioso come si porrà con tanti leader così diversi per caratteristiche tecniche e di età.

«Ho avuto la fortuna – spiega Aleotti – di correre con tanti leader: Roglic, Hindley, adesso con Pellizzari e presto arriverà anche Evenepoel. Sono tutti diversi. Jai è il capitano che tutti sognano: semplice, mai esigente, apprezza tantissimo il lavoro e ha sempre una parola per tutti. Roglic invece è una macchina, un lavoratore instancabile dal mattino alla sera. Quando eravamo in ritiro si vedeva che sapeva dove dove andare a parare, perché era lì e quel che voleva.

«Entrambi preferiscono correre davanti, ma ormai è spontaneo per noi metterli nelle prime posizioni, sappiamo già dai meeting e dai software quali punti sono pericolosi. Ormai sono quasi più i gregari che ti portano davanti nei momenti programmati, piuttosto che loro a chiedere».

«Sul mio futuro, penso di continuare a essere un uomo squadra. Ho ancora un anno di contratto. In un team così grande, con corridori come Roglic, Hindley, Vlasov e adesso anche Evenepoel, è difficile pensare di essere capitano. Ma quando ci sarà spazio, come a Burgos, cercherò di farmi trovare pronto. Per il resto il mio ruolo è supportare i leader.

«Road captain? Non mi sento ancora pienamente in quel ruolo, ho solo 26 anni, serve più esperienza, ma seguo l’esempio di “Cece” Benedetti che è stato un riferimento per me».

Giovanni all’attacco. L’emiliano ha colto due fughe, entrambe nella seconda settimana
Giovanni all’attacco. L’emiliano ha colto due fughe, entrambe nella seconda settimana

Un’esperienza di squadra

In questa chiacchierata con Aleotti è la Vuelta a tenere banco. Una maglia bianca e un podio sfiorato, una tappa vinta e soprattutto una corsa, tre settimane, affrontare sempre da protagonisti.

Ci sono state anche tappe durissime da controllare, specialmente nella seconda settimana. Le fughe partivano dopo 50-70 chilometri, quindi si correva a tutta dall’inizio alla fine. Come abbiamo visto è stata una Vuelta nervosa…

«Una Vuelta – conclude Aleotti – in cui la Visma-Lease a Bike spesso lasciava spazio, e questo portava tutto il gruppo a voler andare in fuga. Alla fine resta la soddisfazione di aver dato il massimo per la squadra. Questa Vuelta mi ha fatto crescere, mi ha dato consapevolezza e motivazione per il futuro. So che in squadra i capitani aumenteranno e saranno di altissimo livello, ma il mio obiettivo resta lo stesso: farmi trovare pronto, ogni volta che serve».

Vuelta 2025 proteste

La Vuelta delle proteste, ne parliamo con Berruto  

20.09.2025
6 min
Salva

L’ultima Vuelta è stata fortemente influenzata dalla proteste in favore della causa palestinese e contro quello che sta succedendo a Gaza. Ogni giorno si sono viste centinaia di bandiere palestinesi lungo il percorso, diverse frazioni sono state modificate per motivi di sicurezza e addirittura l’ultima tappa di Madrid è stata annullata. Qualcosa che non si era mai visto nella storia del ciclismo.

Questo cortocircuito tra sport e politica ha fatto molto discutere. C’è chi comprende le ragioni dei manifestanti e chi invece sostiene che le due cose, sport e politica, debbano sempre rimanere distinte. Per approfondire questo tema abbiamo contattato di nuovo Mauro Berruto, ex commissario tecnico della Nazionale maschile di pallavolo, oggi deputato e responsabile dell’area Sport del PD. Berruto è anche autore del libro “Lo sport al potere – La cultura del movimento e il senso della politica”, pubblicato a fine maggio da add editore.

Mauro Berruto
Berruto è deputato e responsabile dell’area Sport del Partito Democratico
Mauro Berruto
Berruto è deputato e responsabile dell’area Sport del Partito Democratico
Mauro, che idea ti sei fatto di quello che è successo alla Vuelta? 

L’ho seguita da molto vicino. La prima cosa che mi viene da pensare e chiedermi è: la società civile in che modo può esprimere il suo dissenso nello sport? Gli sport che si svolgono al chiuso, in uno stadio o in un palazzetto, sono ipercontrollati. Quindi ovviamente è molto più efficace farlo nel ciclismo che è democraticamente accessibile a tutti, perché passa nelle strade, non serve il biglietto. Ovviamente, e qui parlo da sportivo, occorre sempre protestare senza mettere a rischio gli atleti.

Qualcosa, dunque, di connaturato al ciclismo.

E’ il bello e il rischio di questo sport, che mantiene in qualche modo la sua purezza. Gli amanti del ciclismo dovrebbero essere orgogliosi di questa accessibilità e democraticità che resta immutata, non è un caso che sia sempre stato uno sport letterario e popolare. Ripeto: credo che si debba esserne orgogliosi, le difficoltà e le proteste fanno parte del rischio, appunto perché è uno sport che quando c’è qualcosa per cui protestare offre il suo essere così, aperto al mondo. E credo sia una cosa bella.

Vuelta 2025 proteste Madrid
Le proteste a Madrid hanno obbligato gli organizzatori ad annullare l’ultima tappa della Vuelta
Vuelta 2025 proteste Madrid
Le proteste a Madrid hanno obbligato gli organizzatori ad annullare l’ultima tappa della Vuelta
Quindi credi che le proteste viste alla Vuelta, quelle pacifiche, fossero e siano giustificate?

Mi sono espresso molto esplicitamente sul fatto che non esiste una ragione per la quale Israele non debba essere bannato dalle competizioni internazionali. Non esistono ragioni perché sono descritte nella carta olimpica, gli articoli sono lì, basta leggerli. La doppia morale di fondo è evidente dal fatto che quando la Russia invase l’Ucraina il CIO ha messo 4 giorni a decidere. E infatti anche la Gazprom è stata esclusa dalle corse. Ora siamo ad oltre 700 giorni di guerra unilaterale, genocidio, chiamiamolo come vogliamo, e ancora ci stiamo ponendo la domanda su cosa fare. Anzi nemmeno, perché giusto due giorni fa il CIO ha detto che entrambi, Palestina e Israele, rispettano la carta olimpica.

Perché infatti i precedenti non mancano…

L’esempio più aderente a questa situazione è quello del Sudafrica, che è stato escluso dai Giochi Olimpici dal 1964 al 1992 a causa delle politiche razziali dell’apartheid. Lo sport è uno degli strumenti di pressione internazionale e qui è in atto un’evidente doppia morale.

Anche la tappa con arrivo a Bilbao ha subito delle modifiche a causa delle manifestazioni, con la neutralizzazione a 3 chilometri dal traguardo
Anche la tappa con arrivo a Bilbao ha subito delle modifiche a causa delle manifestazioni, con la neutralizzazione a 3 chilometri dal traguardo
La sensazione dall’interno del mondo del ciclismo è che molti, anche tra i tifosi, si siano indispettiti perché i manifestanti hanno interrotto lo show.

E’ comprensibile, ma è anche inaccettabile. Chi dice che lo sport e la politica devono restare separati dice una sciocchezza, perché non è mai stato così. Certo, l’intreccio a volte è una carezza, altre volte invece può essere soffocante e fastidioso, ma c’è sempre stato e bisogna essere abbastanza maturi da comprenderlo. Uno sport fuori dal mondo è totalmente irrealizzabile e secondo me anche sbagliato, perché alla fine tutto è politica. Per esempio non c’è dubbio che la Israel-Premier Tech abbia tra i suoi obiettivi la promozione di Israele, e quell’incongruenza rimane irrisolta. 

Al termine della Vuelta l’UCI ha diramato una comunicazione in cui critica il governo spagnolo, dicendo inoltre che “L’UCI condanna fermamente lo sfruttamento dello sport per scopi politici in generale, e in particolare da parte di un governo. Lo sport deve rimanere autonomo per svolgere il suo ruolo di strumento di pace. E’ inaccettabile e controproducente che il nostro sport venga distolto dalla sua missione universale”. Sembra un bel cortocircuito.

Resto allibito. Non accetto un pensiero così banale, perché è fuori dalla storia e puzza profondamente di sport washing. Frasi del tipo “lo sport faccia il suo mestiere e non si occupi del resto” però non mi stupiscono, perché è quello che mi sono sentito ripetere per decenni, cioè: «Non rompere le scatole e continua a giocare». Ma è un pensiero che io contesto, come anche ha fatto Renzi Ulivieri, il presidente dell’Associazione Italiana Allenatori Calcio. Perché è contrario: per essere un bravo atleta devi anche pensare al mondo ed essere informato.

Bernal ha vinto davanti a Landa l’11ª frazione, anche questa accorciata però di 8 chilometri
Bernal ha vinto davanti a Landa l’11ª frazione, anche questa accorciata però di 8 chilometri
Quindi non credi che Sanchez abbia sbagliato ad appoggiare le proteste ?

Quella dichiarazione dell’UCI mi sembra infelice da qualunque parte la si guardi. Ripeto che, anzi, credo che si debba essere orgogliosi che il ciclismo sia così democratico, nel bene e nel male. Invece ho molto apprezzato la presa di posizione del Primo Ministro spagnolo. Non credo che abbia fomentato nulla, ha solo ricordato chi sta dalla parte giusta della storia.

Mettiamoci però dal punto di vista di uno sportivo. Se avessero annullato la finale per il terzo posto con cui avete vinto il bronzo olimpico, come avresti reagito?

Dal punto di vista dell’atleta e dell’allenatore è dolorosissimo, non c’è dubbio. So bene cosa significa prepararsi anni, decenni, per un obiettivo. E’ brutto e doloroso che un atleta venga privato di un evento importante, ma il fatto è che – fuori di retorica – è molto più brutto e doloroso che vengano uccise migliaia di vittime innocenti. Credo che Gaza in questo momento sia un po’ il termometro della coscienza del mondo, quindi anche degli sportivi.

Vingegaard Vuelta 2025
Anche le premiazioni sono state annullate, e Vingegaard ha dovuto accontentarsi di una parata lungo la prima parte del percorso
Anche le premiazioni sono state annullate, e Vingegaard ha dovuto accontentarsi di una parata lungo la prima parte del percorso
Anche gli atleti, insomma, devo essere nel mondo e non fuori?

Certo. E aggiungo che il ban sportivo si applica alle squadre e non agli atleti singoli. Se sei un atleta e non hai appoggiato in maniera esplicita il tuo governo puoi comunque gareggiare, ci sono stati molti esempi anche recenti in questo senso. Il problema è tapparsi le orecchie, come hanno fatto il CIO, la Uefa e l’UCI. Altro è capire come applicare la norma, lì se ne può parlare. Bisogna comunque ricordare che uno sportivo di alto livello ha mille privilegi e quindi deve mettere in conto che la sua figura non è indifferente, ha un peso specifico diverso da quello delle persone comuni.

Abbiamo parlato della Vuelta e della Spagna. L’Italia invece cosa potrebbe fare?

In questo momento l’Italia ha un tema aperto, la partita di calcio che tra meno di un mese si giocherà contro Israele ad Udine. A riguardo sento un silenzio assordante da parte della FIGC. La cosa più sbagliata è tacere, mi piacerebbe che anche solo simbolicamente partisse un messaggio da parte dei calciatori, anche se non mi faccio molte illusioni a riguardo. L’unica cosa da non fare, ripeto, è stare zitti. Noi abbiamo lanciato una raccolta di firma della società civile che ha raccolto oltre 25 mila adesioni di persone che chiedono che quella partita non si disputi. La FIGC potrebbe fare come la Federazione norvegese che destinerà i ricavati della partita ad aiuti a Gaza. Sarebbe già qualcosa, un gesto non solo simbolico ma anche pratico. Caspico che non possano autonomamente decidere di non giocare, però farsi portavoce di un messaggio quello sì, si può e si deve fare

Gasparrini in crescita veemente, all’ombra della Longo

20.09.2025
5 min
Salva

Vincitrice lo scorso anno a Stoccarda, vincitrice domenica scorsa sempre a Stoccarda e ora attesa dalla gara mondiale in Rwanda. Eleonora Camilla Gasparrini è sempre più protagonista nel ciclismo professionistico, ma questo non traspare solamente dai suoi risultati. C’è proprio una diversa gestione dellattività, uno spessore acquisito giorno dopo giorno, segno della sua maturazione. E la vittoria in terra tedesca lo ha testimoniato.

La volata vincente della Gasparrini a Stoccarda, battendo la giovane britannica Ferguson
La volata vincente della Gasparrini a Stoccarda, battendo la giovane britannica Ferguson

Mentre prepara le valigie per la lunga trasferta in terra africana, dove sarà ancora una volta pronta a mettersi al servizio della sua capitana Elisa Longo Borghini, la torinese riflette sull’andamento di questa stagione così importante: «Finora è stata un’annata delicata – spiega con tanti cambiamenti in squadra, in primis appunto con l’arrivo di Elisa che ha spostato gli equilibri. Io ho fatto tante gare con lei, sono stata sempre tanto di supporto, in particolare anche al Giro d’Italia e quindi sicuramente abbiamo vissuto dei bei momenti conditi anche da qualche vittoria».

E’ la seconda volta di seguito che vinci la gara di Stoccarda. Come mai emergi sempre lì?

E’ una gara sicuramente adatta molto alle mie caratteristiche perché ci sono strappi brevi e quindi c’è selezione. Alla fine ci siamo giocate il successo in 6, in un gruppo così ristretto posso valorizzare le mie doti veloci. La squadra sia l’anno scorso che quest’anno ha fatto un lavoro super e quindi diciamo che il successo è stato un po’ la ciliegina sulla torta.

La torinese ha un contratto con la UAE fino al 2028. Questo le consente di crescere con calma
La torinese ha un contratto con la UAE fino al 2028. Questo le consente di crescere con calma
Tu sei al terzo anno nella UAE, la sensazione è che però ti abbiano dato maggiori responsabilità quest’anno, il tuo cammino di crescita prosegue…

Gli anni passano e la squadra dimostra di credere in me. Penso di aver dimostrato di valere e di essere all’altezza del massimo livello. Così iniziano a arrivare responsabilità in più e questo non può farmi che piacere.

Eleonora è una ciclista da classiche?

Direi proprio di sì, io mi esalto in quelle corse movimentate, certamente non semplici da interpretare. Io dico sempre che la gara a me più adatta è l’Amstel, anche se in tre edizioni non sono andata al di là di un 6° posto, ma credo che con la sua caratteristica “da via di mezzo” sia la più rispondente a quello che valgo. Anche la Freccia del Brabante non è male come gara, anche se nelle Fiandre mi trovo più a correre di supporto.

Le pietre delle Fiandre hanno visto la piemontese protagonista in supporto delle compagne
Le pietre delle Fiandre hanno visto la piemontese protagonista in supporto delle compagne
Tra la vittoria a Morbihan e questa a Stoccarda a quale tieni di più e quale è stata più difficile?

Forse quella tedesca è quella un po’ più qualificata perché c’era comunque un livello alto, quindi sicuramente è stata una soddisfazione maggiore. A Stoccarda ho proprio corso un po’ con la testa e un po’ col cuore, sono andata d’istinto perché ho attaccato gli ultimi 2 chilometri anche rischiando di perderla, ho fatto però quello che mi sentivo e mi è andata bene.

Rispetto allo scorso anno c’è una presenza in più che è quella di Elisa. Quanto è cambiata la situazione, l’atmosfera, gli obiettivi della squadra stessa e quanto hanno influito su di te?

Sicuramente è cambiato tanto, io dico che in particolare è cambiata la mentalità con cui si va alle gare. Non voglio dire con questo che lo scorso anno si partiva battuti, anzi, ma si va con una convinzione diversa. Sia quando c’è Elisa, ultimamente però anche se lei non c’è ha dato comunque questa influenza positiva in generale e quindi andiamo alle corse con delle consapevolezze diverse. Mettiamoci poi che siamo un gruppo di ragazze che pian piano si sta formando e si sta unendo sempre di più e anche quello fa tanto. Considerando che sono un po’ di anni che corriamo insieme, c’è un feeling diverso tra di noi e quindi è anche più facile in corsa collaborare.

Eleonora insieme alla sua “nuova” capitana Elisa Longo Borghini, vero riferimento per il team
Eleonora insieme alla sua “nuova” capitana Elisa Longo Borghini, vero riferimento per il team
Quanto influisce anche la presenza di Elisa quando la gara non è adatta a lei, quando corre quasi come gregaria per voi?

E’ sicuramente un punto di riferimento per noi, quindi è importante per guidarci. La sua presenza in gara si sente sempre, è fondamentale, ha un carisma che non può vantare nessun’altra.

Vedendo un po’ i tuoi risultati si nota che riesci a vincere anche in condizioni diverse, sia volate di gruppo sia anche volate ristrette dove devi fare un po’ tutto da sola…

Sì, cerco di essere poliedrica e variare. Nelle volate ristrette riesco a cavarmela un po’ meglio e sicuramente ho anche migliorato un po’ la tenuta in salita, quindi anche quello va a mio favore, quando magari le ruote veloci si staccano sulle salite, io riesco a tenere ed essendo “velocina”, sono i contesti che mi si addicono di più.

Gasparrini quest’anno aveva già trionfato alla Classique Morbihan, sfruttando la selezione in corsa
Gasparrini quest’anno aveva già trionfato alla Classique Morbihan, sfruttando la selezione in corsa
Tu hai il contratto fino al 2028, questo ti agevola nel rapporto con la squadra, nel fatto che ti dà fiducia e ti fa crescere piano piano?

Sì perché mi dà tranquillità, quindi posso fare le cose bene, senza stress, con calma e comunque continuare un percorso che ho iniziato già tre anni fa e quindi è un aspetto molto importante perché comunque non dovendo cambiare ogni anno posso crescere come si deve. I miei vertici sono ancora di là da raggiungere…

Grand Prix Cycliste Quebec 2025, Julian Alaphilippe vince

La zampata di Alaphilippe è un’idea per i mondiali?

20.09.2025
5 min
Salva

Adesso il mondiale. Il cielo ha cambiato colore ed è come se ora Julian Alaphilippe si fosse fermato sulla cima del colle con il tempo finalmente per guardarsi indietro. Il passaggio alla Tudor sembrava non aver prodotto i risultati che sperava. Il Tour era andato avanti con più bassi che alti, al punto da aver richiesto un recupero più lungo e la rinuncia a San Sebastian. La vittoria di Quebec City è stata una scarica elettrica auspicata e inattesa, probabilmente l’eccezione che finirà con il confermare la regola del ciclismo dei giovani cannibali. Solo che questa volta il ragazzo di 31 anni ha trovato il modo di far scattare la trappola ed è tornato a casa con il bottino pieno.

«Volevo davvero finire la stagione nel miglior modo possibile – ha raccontato – ho lavorato tanto per la squadra, ma come leader, era importante che riuscissi a vincere. E arrivarci in questo modo è stato ancora meglio. Abbiamo dovuto giocare d’astuzia. Mi è stato ordinato di mantenere la calma, è stato un po’ innaturale, ma fa parte del gioco saper gestire le proprie riserve di energia».

Grand Prix Cycliste Quebec 2025, Julian Alaphilippe in coda al gruppo di fuga
Dosare le energie: per questo a Quebec, Alaphilippe è stato spesso a ruota, ma non gli è piaciuto
Grand Prix Cycliste Quebec 2025, Julian Alaphilippe in coda al gruppo di fuga
Dosare le energie: per questo a Quebec, Alaphilippe è stato spesso a ruota, ma non gli è piaciuto

Prendi e porta a casa

Ha fatto il furbo, c’è forse qualcosa di male? Per una volta non è stato lui quello che ha acceso la miccia, ma ha lasciato che a sfinirsi fossero i compagni di un’avventura iniziata a 73 chilometri dall’arrivo. Come si usa adesso, come anche lui aveva mostrato di saper fare prima che l’incidente della Liegi del 2022 lo costringesse al lungo stop dal quale tutto è cambiato.

«Sono generoso nei miei sforzi – ha raccontato Alaphilippe nella conferenza stampa dopo la vittoria – ma visto il livello del gruppo attuale, se avessi collaborato fin dall’inizio, sicuramente non avrei avuto l’energia per impormi. Per anni non ho contato le mie pedalate. A volte sono stato troppo generoso e non ho ottenuto risultati. Non era previsto che fossi in testa così lontano dal traguardo, mi hanno chiesto perché non tirassi e ho dovuto rispondere che stavo eseguendo gli ordini. Non l’avevo mai fatto prima, non posso dire che mi sia piaciuto. Ma alla fine, anche i corridori che mi avevano detto qualcosa, sono venuti a congratularsi con me. Non ripeterò più una scena del genere».

LIegi-Bastogne-Liegi 2022, Alejandro Valverde, Julian Alaphilippe
Partenza della Liegi 2022, con Valverde c’è Alaphilippe campione del mondo. Di qui a poco una caduta minerà il seguito della sua carriera
LIegi-Bastogne-Liegi 2022, Alejandro Valverde, Julian Alaphilippe
Partenza della Liegi 2022, con Valverde c’è Alaphilippe campione del mondo. Di qui a poco una caduta minerà il seguito della sua carriera

Il gruppo non aspetta

Il copione è lo stesso di altri che hanno detto basta. Il livello del gruppo si è alzato così tanto che il tempo per recuperare da un brutto infortunio diventa un intervallo irrecuperabile. E quando torni, ti accorgi che tutto è cambiato, che nessuno ti aspetta. Che non hai più il passo di prima e la testa va giù. Marta Cavalli per questo ha smesso di correre, Alaphilippe lotta ancora.

«Volevo dimostrare che sono ancora qui – ha raccontato – che posso ancora vincere una delle corse più dure. Ho visto la gioia dei miei compagni di squadra e del mio staff. E’ per questo che continuo ad andare in bici. Se avessi pensato di essere finito, avrei smesso e non avrei firmato per una nuova squadra. Sentivo di avere ancora qualcosa da dare e ora voglio concludere la stagione alla grande. I miei due mondiali non sono così lontani, ma sembrano di un’altra epoca. Sono uno degli ultimi corridori ad aver vissuto il ciclismo pre Covid. I giovani corridori sono robotizzati in termini di allenamento, alimentazione, sonno e allenamento in quota. Tutto è più preciso e calcolato. E per loro è normale. Anche se sono molto professionale, non aspiro a questo. In squadra, con Matteo Trentin, siamo gli ultimi due rappresentanti di questa generazione».

Trentin e Alaphilippe, i due corridori più esperti della Tudor in un ciclismo di ragazzini terribili
Tour de France 2025, Parigi, Campi Elisi, Matteo Trentin abbraccia Julian Alaphilippe
Trentin e Alaphilippe, i due corridori più esperti della Tudor in un ciclismo di ragazzini terribili

Lo spirito francese

Adesso il mondiale, con la suggestione di un viaggio esotico per sfidare quel tiranno spietato e simpatico di nome Pogacar, che da cinque anni monopolizza le cose del ciclismo.

«Dobbiamo tenere conto della sua superiorità – ha spiegato il tecnico francese Thomas Voeckler – ma lo spirito della nostra squadra non è per questo diminuito. Ho formato il gruppo con corridori che sanno capire l’orgoglio di essere francesi. Non posso fare a meno di dire che punteremo alla vittoria, che correremo per diventare campioni del mondo. Potreste pensare che io non sia lucido, eppure lo dico con la massima umiltà. Sono convinto che ci sia una finestra di tempo molto limitata che possiamo sfruttare. Non siamo nel 2020 o nel 2021, dove avevamo il miglior attaccante del mondo su percorsi per attaccanti. Eppure preferisco provare a fare qualcosa rischiando anche di finire al 45° posto, piuttosto che aspettare di entrare nella top 10, cercando di sopravvivere».

Alaphilippe, qui con il ct Voeckler, era arrivato ai mondiali di Zurigo 2024 forte del terzo posto a Montreal dietro Pogacar
Alaphilippe, qui con il ct Voeckler, era arrivato ai mondiali di Zurigo 2024 forte del terzo posto a Montreal dietro Pogacar

L’orgoglio del campione

Battuti da uno che è più vicino alla fine che all’inizio. Chissà se la battuta nella conferenza stampa lo ha fatto davvero sorridere. Ma certo l’ultima riflessione di Julian Alaphilippe, che due giorni dopo si è fermato nella gara di Montreal, è quasi l’invito (purtroppo vano) lanciato ai più giovani perché si fermino finché sono in tempo.

«Il ciclismo di vecchia scuola – ha detto – non è finito. Sono ancora in grado di vincere senza seguire un piano preciso. Mi alleno duramente, ma non potrei condurre la vita di questi ragazzi. Ho bisogno della libertà e della gioia di vivere, che per me è una delle forze trainanti. Sono papà da quattro anni e questo mi ha cambiato la vita. Voglio mantenere questo lato semplice, pur continuando a essere un corridore. Devi vivere, non dimenticare mai che stai solo andando in bicicletta e che c’è una vita anche fuori di qui».

L’Italia in Rwanda e gli sforzi della Federazione, Dagnoni racconta

20.09.2025
4 min
Salva

SOLBIATE OLONA – Il primo gruppo di atleti è atterrato in Rwanda da un paio di giorni, il 18 settembre, ed ha preso confidenza con la città e i percorsi del mondiale di Kigali. I corridori stanno provando i percorsi e testando l’asfalto che li accompagnerà per i prossimi dieci giorni. Domani, domenica 21 settembre, gli uomini e le donne della categoria elite apriranno le danze con le cronometro individuali. 

Matteo Sobrero e Mattia Cattaneo sfideranno Remco Evenepoel, Jay Vine, Paul Seixas, Isaac del Toro e tutti gli altri. Proprio il messicano ha condiviso una storia sui social mentre, sulla sua bici da crono, era alle prese con il traffico di Kigali, intento a fare una delle ultime sgambate prima della prova di domenica. 

Tra le donne le nostre azzurre, Monica Trinca Colonel e Soraya Paladin, sfideranno Demi Vollering, Kasia Niewiadoma (coinvolta in un incidente che le ha danneggiato la bici) e un’agguerrita Marlen Reusser. 

Uno sforzo per gli atleti

Ai margini della conferenza stampa di presentazione che ha svelato i nomi degli atleti azzurri impegnati a Kigali abbiamo scambiato qualche parola con il presidente della Federciclismo Cordiano Dagnoni. La Federazione ha dovuto fare i conti con costi elevati, tanto che fino all’inizio di settembre non si era ancora deciso con quanti atleti saremmo andati a correre. Alla fine la decisione presa è stata quella di andare a pieno regime con le nazionali elite, mentre le altre categorie hanno visto un ridimensionamento. Va detto che la nostra sarà una delle nazionali più rappresentate, con 27 atleti al via. 

«L’organizzazione di questo mondiale – ci racconta Dagnoni qualche minuto prima della conferenza stampa – è partita due anni fa, quando Mario Scirea ed io siamo andati alle ultime tappe del Tour of Rwanda. Lì abbiamo compreso come organizzare la logistica in modo da mettere i nostri atleti nelle migliori condizioni. Successivamente ci siamo mossi anche con delle persone locali che ci hanno dato una mano (lo ha confermato anche Roberto Amadio, team manager della nazionale, ndr).

«Una volta capiti i costi di viaggio – prosegue il presidente della Federciclismo – ci siamo mossi per ottimizzare il trasporto e gli alloggi. Rispetto a Zurigo, dove ci eravamo spostati con 85 persone tra corridori e staff quest’anno a Kigali saremo 45. Sarà presente molto meno personale, stressando al massimo chi sarà presente».

Nuovi sponsor

La conferenza stampa di presentazione degli atleti è stato anche il momento per svelare due novità importanti, che hanno dato un contributo importante per la spedizione a Kigali. 

«Lo sforzo della Federazione – dice ancora Dagnoni – è stato reso possibile grazie all’intervento di due sponsor che ci hanno sostenuto: MP Filtri e Caffè Bocca della Verità. Il primo era già presente sul nostro pullman e a partire da questo evento ha voluto essere presente anche sulla maglia. Due sostegni importanti arrivati all’ultimo, quando si sono accorti che una trasferta del genere era un peccato non poterla onorare con una presenza corposa. Il secondo motivo che ci ha spinti a rivedere le decisioni iniziali (che prevedevano una partecipazione a ranghi ridotti su tutti i fronti, ndr) è la consapevolezza di avere un livello alto. I nostri atleti hanno dimostrato di poter essere competitivi, Ciccone e Pellizzari in primis.

«Per la categoria donne elite – precisa – eravamo già abbastanza determinati nel voler partecipare al massimo del nostro potenziale. Sappiamo che Elisa Longo Borghini rappresenta per noi una garanzia, lo ha dimostrato anche negli anni passati. Andiamo in Rwanda fiduciosi di aver fatto il massimo in ogni categoria, i risultati dei nostri team giovanili lo dimostrano. Abbiamo voluto fare questo sforzo per garantire ai nostri atleti il massimo supporto».

Francesca Barale dopo quattro stagioni lascerà la Picnic PostNL. Ha firmato un triennale con la Movistar a partire dal 2026

Barale sorride: un mondiale guadagnato e il futuro in Movistar

19.09.2025
4 min
Salva

L’annuncio della sua prossima squadra e la prima convocazione ai mondiali. E’ stato un mercoledì da leoni per Francesca Barale che prima è stata ufficializzata dalla Movistar con un triennale a partire dal 2026 e poi ha completato la propria valigia per il Rwanda.

Se le voci di un suo probabile trasferimento dalla Picnic PostNL erano in evoluzione, la sua partecipazione al campionato del mondo sembrava piuttosto in dubbio. Invece due giorni fa è giunta la chiamata per Kigali che può dare l’inizio ad una nuova Barale. Avviarsi verso la chiusura della stagione indossando maglia azzurra in un mondiale, indipendentemente dal risultato e dalla prestazione, è uno stimolo che porterà frutti e consapevolezze anche durante il periodo di letargo dal ciclismo. Per però Francesca non è finita qua, perché ad inizio ottobre verosimilmente ci sarà ancora da correre un europeo U23 con la voglia di fare bene.

Futuro e crescita in Spagna

A suo modo la ventiduenne Barale è già stata una pioniera. Nel 2022 fu infatti la prima junior italiana ad essere ingaggiata da un team WorldTour. Dalla piacentina BFT Burzoni alla multinazionale olandese DSM, l’attuale Picnic PostNL. Un salto triplo difficile che poi nel corso degli anni successivi fu emulato da altre atlete. Ora il contratto di tre anni firmato con Movistar, che si sta ridisegnando dopo il ritiro di Van Vleuten e l’arrivo di Reusser o nuovi talenti come Ferguson, rappresenta una bella investitura per l’ossolana.

«Sono molto contenta della mia scelta di andare alla Movistar – ci dice Barale al telefono – dopo quattro anni avevo bisogno di cambiare. Rifarei tutto quello che ho fatto, sia chiaro, ma ora ho bisogno di uno step in più. Credo che Movistar sia una realtà che mi aiuterà in questo. Sia nel mio ruolo di supporto alle capitane, sia nel ritagliarmi il mio spazio e magari scoprire quello che posso fare siccome non mi sono ancora specializzata. Ho da sempre questa incognita di capire ancora che tipo di atleta diventerò o posso diventare.

«La trattativa è iniziata abbastanza presto – finisce di raccontare la notizia di mercato – perché già questa primavera la Movistar si era interessata a me. Avevo ricevuto altre proposte, ma mi sono piaciuti fin da subito. Erano tra le mie prime scelte ed è andata così».

Barale nella Movistar cercherà di capire meglio che tipo di corridore può diventare
Barale nella Movistar cercherà di capire meglio che tipo di corridore può diventare
Barale nella Movistar cercherà di capire meglio che tipo di corridore può diventare
Barale nella Movistar cercherà di capire meglio che tipo di corridore può diventare

L’azzurro inaspettato

Tecnicamente l’ultima maglia azzurra indossata da Barale è di qualche settimana fa durante il Tour de l’Avenir Femmes. E considerando le rassegne europee ed iridate tra U23 e juniores a cui aveva partecipato, per lei non è quindi un colore nuovo. Questo azzurro adesso diventa però più importante, come ci spiega Francesca.

«Sono molto contenta – afferma sempre al telefono mentre sta svolgendo le prassi aeroportuali – perché è il mio primo mondiale elite, essendo poi speciale visto che si corre per la prima volta in Africa. Sarà un’esperienza bellissima. Avevo smesso di sperarci quando avevano annunciato che le U23 non ci sarebbero andate. L’avevo messo come obiettivo, soprattutto perché ero al mio ultimo anno da U23. Invece alla fine la convocazione è arrivata per la gara delle “grandi” e mi fa molto piacere.

«Il mio lavoro – chiude prima di imbarcarsi – di aiuto alle compagne durante la stagione è stato riconosciuto e può portare a questo tipo di soddisfazioni. Anche al mondiale il mio compito sarà quello. Abbiamo una capitana come Elisa (Longo Borghini, ndr) che è fortissima e lo ha dimostrato una volta di più anche quest’anno. Ci conosciamo bene, ci alleniamo sempre insieme ed è sempre stata il mio punto di riferimento. Poter essere lì ad aiutarla significa tanto. Non potrebbe esserci una situazione migliore per me. E poi sono molto felice della fiducia che il cittì Velo mi ha dato. Spero di fare bene e ripagarlo».

Vuelta Espana 2025, vittoria Alto de El Morredero, Giulio Pellizzari

Quanto spinge Pellizzari? Lo chiediamo a coach Lorang

19.09.2025
7 min
Salva

«Pellizzari si allena sempre al 100 per cento. Però è un corridore, vuole gareggiare ed è questa la sua grande passione. Vincere gare, avere successo. E sta facendo tutto il necessario per riuscirci, che si tratti di alimentazione, allenamento, recupero e così via. E’ già molto professionale nonostante la giovane età».

Parla Dan Lorang, head coach della Red Bull-Bora-Hansgrohe. Al ciclismo c’è arrivato su chiamata di Ralf Denk, dopo aver allenato Jan Frodeno e Anne Haug, colossali star del triathlon, vincitori di Olimpiadi e mondiali. L’intervista serve per entrare più a fondo nei due sesti posti di Pellizzari al Giro e alla Vuelta. Piazzamenti identici, ma con genesi e logiche diverse. Al Giro l’hanno portato per la grande condizione palesata al Catalunya e senza una pianificazione partita da lontano, la Vuelta invece faceva parte dei piani sin dall’inizio.

Ritiro invernale Red Bull Bora Hansgrohe, Dan Lorang, head coach
Dan Lorang ha studiato all’Università di Monaco di Baviera ed è il capo dei preparatori alla Red Bull-Bora-Hansgrohe
Ritiro invernale Red Bull Bora Hansgrohe, Dan Lorang, head coach
Dan Lorang ha studiato all’Università di Monaco di Baviera ed è il capo dei preparatori alla Red Bull-Bora-Hansgrohe
Due avvicinamenti diversi…

Soprattutto diversi tempi di preparazione. Al Giro siamo arrivati con poche settimane di lavoro, invece durante il Tour c’è stato un lungo periodo in cui la nostra squadra non ha gareggiato e abbiamo dato ai corridori il tempo di prepararsi per la seconda parte della stagione. Così è stato anche per Giulio. Per un corridore così giovane, partecipare a due Grandi Giri in un anno è impegnativo. D’altra parte però, sapevamo che sarebbe stato possibile a patto che avesse abbastanza tempo per recuperare.

Un tempo che a ben vedere c’è stato, dato che da fine Giro – fatti salvi i tricolori – ci sono state nove settimane fino alla Vuelta Burgos…

Esatto, un intervallo molto lungo. Abbiamo lavorato bene in quota e se anche si fosse ammalato o avesse avuto qualche piccolo problema, ci sarebbe stato tutto il tempo per compensare. Questo è stato il nostro approccio per rispettare la sua età e i tempi della preparazione. Se guardiamo anche a quello che ha fatto in passato, si è visto subito che è un corridore in grado di sostenere carichi elevati, ma bisognava comunque stare attenti.

Proprio per questo, si è mai pensato di non correre la Vuelta, avendo fatto il Giro?

L’opzione di andare anche alla Vuelta è sempre stata nella nostra testa. Prima di tutto si trattava però di vedere come sarebbe uscito dal Giro. Perciò prima di iniziare la preparazione, abbiamo fatto delle analisi del sangue e di tutti i parametri per vedere come si fosse ripreso e se avesse davvero senso andare avanti col piano. Conosciamo i grandi benefici di fare due Grandi Giri e non si limitano alla prestazione immediata, ma anche alla costruzione della carriera per gli anni che verranno.

Pellizzari è uscito bene dal Giro, con il trofeo di miglior giovane italiano
Pellizzari è uscito bene dal Giro, con il trofeo di miglior giovane italiano
E che cosa hanno detto le analisi?

Che era fresco. Si era ripreso mentalmente ed era anche a un buon livello atletico. Bisogna riconoscere che è un corridore cui piace molto quello che fa e questo rende tutto più facile. A volte i ragazzi più giovani hanno difficoltà, ma Giulio è sempre stato al 100 per cento e a quel punto non abbiamo avuto dubbi nel mandarlo alla Vuelta.

Che tipo di risposta ottiene dal lavoro in quota?

Molto buona. Gli piace l’ambiente e la possibilità di concentrarsi solo sul lavoro, ma anche la fisiologia risponde. Il miglioramento delle prestazioni è davvero ottimo. Siamo stati in quota per preparare il Giro e poi la Vuelta e in entrambi i casi si è trattato di un’esperienza davvero positiva. Non è mai successo che fosse troppo stanco oppure che, tornato giù, abbia avuto bisogno di più tempo per adattarsi.

Giulio ha detto più volte di essersi sentito più forte al Giro che alla Vuelta. Ci sono dati che lo confermano?

Possiamo considerare la cosa in due modi. Se guardiamo solo ai numeri puri sul carico totale, sono stati due Pellizzari abbastanza simili. Invece i numeri di picco erano più alti alla Vuelta, cosa che abbiamo riscontrato anche con altri corridori. Cioè il fatto che nella seconda parte della stagione, stando ai watt il livello di prestazione era ancora più alto. Ma di sicuro, al Giro era più fresco e lo sentiva. Si sentiva pieno di energia. Per cui anche se alla Vuelta spingeva più forte ed era capace di prestazioni migliori, non si è mai sentito fresco come in primavera. Penso che sia fondamentalmente questo ciò che ha provato. Ma in termini di numeri, alla Vuelta ha fatto un passo avanti.

Vuelta Espana 2025, La Farrapona, Giulio Pellizzari tira per Jai Hindley
Al Giro per Roglic, alla Vuelta per Hindley: Pellizzari in Spagna ha espresso valori ancora migliori
Vuelta Espana 2025, La Farrapona, Giulio Pellizzari tira per Jai Hindley
Al Giro per Roglic, alla Vuelta per Hindley: Pellizzari in Spagna ha espresso valori ancora migliori
Però ha anche avuto qualche giorno di difficoltà, come mai?

Stavo per dirlo. Al Giro è stato più costante, mentre alla Vuelta c’è stata più oscillazione nelle sue prestazioni, il che è normale per un giovane corridore. Ecco perché anno dopo anno si lavora per raggiungere questa costanza. Al Giro, non ha mai avuto una giornata davvero brutta come quella che ha avuto alla Bola del Mundo, ma come ho detto non ci ha stupito.

Dopo due Grandi Giri nello stesso anno, hai scoperto qualcosa di più su Giulio Pellizzari?

Penso che il suo talento nelle corse a tappe non sia più una grande sorpresa. Anche se è molto giovane, in quelle di una settimana ma anche di tre, ha dimostrato di poter già fare bene. E’ stato bello anche vedere che sa vincere. Ci sono corridori da classifica, che possono arrivare tra i primi cinque, ma probabilmente non hanno mai vinto una gara né ci sono andati vicini. Finché sono giovani, vogliamo che i corridori mantengano l’attitudine per la vittoria. Vogliamo dargli l’opportunità di vincere anche le tappe o probabilmente anche una corsa più piccola per mantenere questa attitudine. Perché Giulio ha le capacità, ha una certa esplosività che gli permette di farlo. Quindi è sulla buona strada per crescere come corridore da classifica generale.

Questo voler tenere le porte aperte è il motivo per cui prima del Giro ha corso la Liegi?

Veniva dall’altura e, quando sei lassù, non puoi sempre fare delle sessioni davvero impegnative. Così abbiamo usato la Liegi per avere l’alta intensità e anche per fargli provare una grande classica. Con lui non ci limiteremo a programmare solo corse a tappe, è troppo giovane per questo. Partecipare a corse a tappe e corse di un giorno è utile per il suo sviluppo. Pogacar e Vingegaard sanno vincere anche le tappe e c’è bisogno di questa capacità.

Il giorno nero alla Bola del Mundo è costato a Pellizzari la maglia bianca, ma il calo non ha stupito i tecnici
Il giorno nero alla Bola del Mundo è costato a Pellizzari la maglia bianca, ma il calo non ha stupito i tecnici
Due settimane dopo la Vuelta, ormai fra nove giorni, Pellizzari correrà i mondiali. Come sta lavorando per arrivarci?

E’ un mix. Normalmente diresti che devi solo recuperare in qualche modo e poi essere sulla linea di partenza. Ma se avessimo fatto così, ci sarebbe stato anche un grande rischio di ammalarsi, perché lo stress va giù e poi il corpo si ammala. Per cui, finita la Vuelta, da un lato c’è stato un mix fra dare degli stimoli, quindi un po’ di intensità e prepararsi per il viaggio. Dall’altro lato, si tratta di lavorare per essere freschi sulla linea di partenza.

Pensate che possa fare bene?

Come squadra, non ci aspettiamo grandi risultati. Indossare la maglia azzurra è un suo desiderio e noi lo vediamo come uno sviluppo per la sua futura carriera. Quest’anno ha già fatto parecchio, quindi dovrebbe godersi l’esperienza e tutto quello che verrà in più sarà un bonus.

Giulio è uno scalatore, ma lo vediamo sempre in sella, anche sulle salite più ripide. Dovrebbe lavorare di più sulle azioni fuorisella?

Non credo, perché a pensarci bene, Pogacar si gestisce esattamente allo stesso modo. E’ passato dall’uscire spesso dalla sella, al rimanerci sempre di più. So che non è così facile (sorride, ndr), ma cerchiamo di far crescere i corridori offrendo loro un’ampia gamma di possibilità, in modo che possano alzarsi dalla sella e anche salire da seduti con cadenze diverse. E’ qualcosa che possiamo implementare nell’allenamento, ma al momento non è un fattore limitante. Anzi, riuscire a produrre quella potenza rimanendo seduti in sella è piuttosto un punto di forza. Perché puoi risparmiare un po’ più di energia. Quindi non lo vedo come un problema.

Appena arrivato in squadra, Pellizzari è diventato uno dei beniamini del team per il suo carattere solare
Appena arrivato in squadra, Pellizzari è diventato uno dei beniamini del team per il suo carattere solare
Ultima domanda: che cosa ti pare del nostro Pellizzari in mezzo ai suoi compagni di squadra?

Fin dal primo contatto, è parso davvero un ragazzo intelligente ben integrato nella squadra, ma capace anche di dire la sua. E’ un vero ciclista, porta con sé la tradizione e gli piace questo sport. Ha già la sua personalità. Accetta o assorbe l’esperienza che riceve dai più grandi, come Roglic o Hindley. Si guarda intorno e cerca di imparare da tutti. E penso sia quello che fanno i campioni quando sono giovani. Cercano di ottenere il più possibile dagli altri. E non si fa problemi se deve aiutare un compagno, agisce sempre a favore della squadra. Se gli assegnate un ruolo, lo svolgerà al meglio. Ecco perché ha già un’ottima reputazione in squadra. Ed ecco perché è una grande aggiunta per nostra squadra.