Uno spagnolo in Belgio. Le imprese di Orts nel cross

28.11.2023
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NIEL (Belgio) – Felipe Orts Lloret, uno spagnolo in Belgio. Uno spagnolo tra i grandi del ciclocross. Il corridore iberico sta disputando l’intera annata nel regno del cross, un po’ come la nostra Francesca Baroni, di cui vi avevamo parlato qualche tempo fa.

Orts però sta andando davvero forte. E’ anche salito sul podio del Superprestige, nel tremendo giorno di Niel, dove la disciplina del fango sfoggia a detta di molti la sua veste più pura. Il percorso era davvero tecnico e del tutto naturale.

Felipe Orts (classe 1995) è anche un ottimo biker. Se la cava nel gravel. Su strada veste i colori della Burgos-Bh
Felipe Orts (classe 1995) è anche un ottimo biker. Se la cava nel gravel. Su strada veste i colori della Burgos-Bh

Da Alicante a Bruxelles

Ma chi è dunque questo ragazzo? Insomma non capita tutti i giorni di vedere uno spagnolo a questi livelli nel ciclocross. Felipe Orts Lloret, classe 1995, di Alicante, su strada veste i colori della Burgos-Bh, nel cross sta correndo con i vessilli della Spagna, in quanto campione nazionale e della Bh, il marchio di bici. Fisico possente, Orts è alto 180 centimetri, per 70 chili.

«In effetti è difficile incontrare uno spagnolo quassù! Tanto più uno spagnolo di Alicante, del Sud della Spagna – ci racconta Orts – faccio la spola con il Belgio tutti i fine settimana, dal venerdì al lunedì. Ho deciso di fare così perché vicino casa c’è un’ottima connessione aerea con Bruxelles».

«Certo non è facile passare dalle temperature di laggiù a quelle del Belgio. Per esempio prima di Niel a casa mia c’erano 30 gradi e mi allenavo in maniche corte e qui ce ne sono 7-8, ma ormai ci sono abituato. Comunque mi sono trasferito nei Paesi Baschi proprio per avere un clima e percorsi diversi che nel resto della Spagna».

Lo spagnolo è campione nazionale in carica. Col fango è a suo agio
Lo spagnolo è campione nazionale in carica. Col fango è a suo agio

Un podio storico

Orts ha dunque agguantato anche un podio nel Superprestige, ma quel che più conta è la sua costanza agli alti livelli. I piazzamenti nei primi dieci sono diversi. Sta insistendo molto sul Superprestige e paga sempre qualcosa il giorno successivo in Coppa. Ma fare bene nel circuito belga forse è anche più importante in termini di visibilità.

«Un podio da queste parte è incredibile – dice con soddisfazione Orts – sono felicissimo. Io tra questi campioni… Però è anche vero che ci sto lavorando già da un po’. Sono molti anni, dieci, che mi sto concentrando sul ciclocross. E per riuscirci al meglio mi sono dovuto trasferire, come detto, nel Nord della Spagna. Non è il primo anno che faccio la stagione qui. E’ molto costoso, ma quest’anno le cose stanno andando bene e credo ne valga la pena».

Altre volte Orts era stato vicino al podio. Lui parla di un buon momento di forma. E forse il fatto di tornare a casa lo aiuta non poco. Il clima più caldo fa meglio al suo motore e ai suoi muscoli. Ma forse gli fa pagare qualcosa in termini di tecnica.

Tuttavia è anche vero che correndo tutti i weekend in Belgio, la stessa tecnica si mantiene viva. E tutto sommato anche i suoi colleghi del Nord durante la settimana curano molto di più la parte del “motore” che quella della guida.

A Niel, un momento storico per Orts e la sua nazione: eccolo sul podio del Superprestige (foto Instagram)
A Niel, un momento storico per Orts e la sua nazione: eccolo sul podio del Superprestige (foto Instagram)

Motore e tecnica

«L’obiettivo? E’ quello di fare meglio ad ogni anno e in ogni gara. E per questo è importante anche l’aspetto tecnico appunto. Ho una bici molto competitiva, che sviluppo a casa e con queste gare. Mi piace il fango, ma preferisco quello liquido e mi trovo molto bene anche sui tracciati secchi e veloci. Io poi sono abbastanza tecnico e di mio. Preferisco concentrami molto sulla parte fisica, tanto più che qui vanno davvero forte. E comunque in tal senso mi aiuta anche la stagione su strada».

E la sua stagione su strada è stata affrontata proprio da ciclocrossista puro: corse concentrate soprattutto a partire dal termine dell’estate, proprio per affinare la gamba e trovare i cavalli necessari per affrontare queste sfide al Nord.

In più nella sua zona, Alicante ci sono molti pro’. «Specie d’inverno – conclude Orts – con le squadre che vengono a fare i ritiri. Ma un grande salto me lo ha fatto fare la mia squadra, la Burgos-Bh, che mi ha consentito di disputare delle gare di primo livello. Gare che mi hanno dato molto».

Montoli fa le valige e torna in Italia, alla Biesse-Carrera

28.11.2023
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Dopo tre stagioni il colore della divisa di Andrea Montoli cambia, passando dal celeste della Eolo-Kometa U23 al bianco della Biesse-Carrera (in apertura foto Instagram). Una novità abbastanza importante per il mondo under 23, se non altro per il fatto che Montoli era uno dei ragazzi di maggior prospetto per Ivan Basso. Nel 2022 era arrivato anche uno stage con il team professional e le premesse per il 2023 erano buone. Ma qualcosa non è andato.

«La caduta di metà agosto in Spagna – racconta Montoli mentre prepara le valige per raggiungere la ragazza in Friuli – mi ha provocato la frattura del trochite omerale. In più ho subito un danno a livello della cartilagine, ora grazie al lavoro fatto con il fisioterapista è a posto. Però i tempi di recupero sono stati abbastanza lunghi, ma con cautela riesco a fare tutti i movimenti. Non avrò problemi nel correre in bici».

Nel 2022 tre corse da stagista con i pro’, qui alla Coppa Agostoni
Nel 2022 tre corse da stagista con i pro’, qui alla Coppa Agostoni
La novità della prossima stagione è il cambio squadra, da dove parte questa decisione?

Nello stage fatto a fine 2022 con i professionisti mi sono accorto che passare sarebbe stato prematuro. Anche perché ho corso tre gare (Giro della Toscana, Coppa Agostoni e Giro dell’Emilia, ndr) e mi sono ritirato in tutte e tre. Nel 2023 a livello personale sono migliorato, ma non è mai arrivata la vittoria, tanti piazzamenti sì, ma non quello importante. La caduta è stata davvero un peccato…

Come mai?

Perché a luglio stavo pedalando bene. Nelle tre corse a tappe, disputate tutte in Spagna, ho ottenuto altrettante top 10. Da lì, visto che iniziavo a stare bene, era nata l’idea di fare un secondo stage con la professional della Eolo. La caduta ha fermato un po’ tutti i programmi…

Così il 2024 diventa il tuo quarto ed ultimo anno da under 23.

Sì, parlando con la squadra e qualche diesse è emerso come il calendario della Eolo Kometa U23 sarebbe stato ancora in Spagna. Io, dal canto mio, avevo voglia di provare a correre di più in Italia. Disputare qualche gara in più qui mi potrebbe dare maggiore stimolo. 

Nel 2023 il miglior risultato è stato un secondo posto in classifica generale alla Vuelta Avila (foto Instagram)
Nel 2023 il miglior risultato è stato un secondo posto in classifica generale alla Vuelta Avila (foto Instagram)
Già a fine 2022 avevi detto che quest’anno avresti voluto provare a fare il salto di categoria…

A gennaio 2023, quindi all’inizio di questa stagione, avevo l’obiettivo di passare entro il terzo anno. Ma non ho ottenuto risultati di spicco, ero sempre lì tra i primi e non ho mai vinto. E’ difficile passare con questi numeri e non avevo certezze. Così in questo periodo ho parlato con un po’ di persone vicine a me e ho deciso di fare questo cambio.

Perché?

In Spagna ci sono squadre professional, come la Kern-Pharma e la Caja Rural che hanno il team under 23, ma magari guardano più i corridori spagnoli. Ho avuto l’impressione che venendo a correre in Italia avrei avuto più visibilità, anche per quanto riguarda la nazionale. Ho voglia di correre di più in casa, di mettermi alla prova anche nelle nostre corse. Mi serve uno stimolo diverso, alla Eolo ho fatto un bel calendario, ma in Italia ho spesso trovato un ritmo differente. Già a inizio della scorsa stagione vedevo che tutti si ritrovavano alla San Geo, mentre io iniziavo con le gare della Coppa di Spagna. 

Dopo 3 anni Montoli saluta il team di Basso e torna a correre in Italia, lo farà con la Biesse-Carrera (foto Instagram)
Dopo 3 anni Montoli saluta il team di Basso e torna a correre in Italia, lo farà con la Biesse-Carrera (foto Instagram)
La scelta della Biesse da dove arriva?

Mi hanno cercato per due anni, è una squadra continental e in più conosco parte dei miei compagni: con Motta ho corso due anni al CC Canturino. Mentre con altri qualche volta mi sono allenato insieme o comunque abitano vicino a casa mia. Alla fine mi è sembrata la scelta più saggia. Il calendario dovrebbe essere pressoché uguale a quello del 2023, quindi corse di livello e qualche apparizione con i professionisti. 

Quando vi troverete per lavorare insieme?

Ho già conosciuto la squadra a fine ottobre. Poi dal 15 gennaio al 4 febbraio faremo un ritiro vicino a Valencia. Un bel blocco intenso di lavoro per partire pronti.

Vermiglio aspetta la Coppa: Casasola ci porta sulla neve

28.11.2023
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La condizione è in arrivo. E mentre guida dall’aeroporto verso casa, completando il rientro dalla Coppa del mondo di Dublino, Sara Casasola ammette di aver avuto buone sensazioni. Il nono posto, migliore fra le italiane in gara, fa seguito al quarto di Troyes e al podio degli europei e dà un’altra dimensione alle cinque vittorie colte finora. E’ il segno che le cose cominciano a girare anche contro le più grandi. Fra due settimane la Coppa del mondo farà tappa a Vermiglio sulla neve e su quei sentieri bianchi la friulana, che nel cross corre con la maglia FAS Airport Services-Guerciotti – Premac, lo scorso anno colse un ottimo 8° posto. Meglio fece Silvia Persico, quarta, che però quest’anno non ci sarà, per cui le attese azzurre saranno puntate tutte su di lei.

Che cosa significhi correre nella neve, in quel vallone gelido esposto a nord, è qualcosa che può raccontare soltanto chi l’ha provato. Per questo, dopo la presentazione che si è tenuta ieri a Trento, proprio Casasola sarà la nostra guida verso la data italiana di Coppa del mondo, prevista per il 10 dicembre.

Ma cominciamo da te: come stai?

Bene, a Dublino non è andata super bene, però neanche così male. In realtà, per essere stata una giornata un po’ storta, mi sono anche salvata. Per fortuna abbiamo Viezzi, che per ora tiene in alto la bandiera italiana.

E’ stata appena presentata la prova di Vermiglio, che cosa diresti dovendone parlare a chi non ne sapesse nulla?

Sicuramente si corre su un percorso molto particolare e differente, anche più difficile da interpretare, proprio per l’incognita della neve. E’ sempre molto particolare perché appunto in base a com’è il clima, a quanto fa caldo, se ghiaccia oppure no, si possono trovare sempre delle sorprese. Quindi sicuramente sarà un percorso dove valgono molto le doti tecniche. Abbiamo visto l’anno scorso che l’abilità di guida era fondamentale. Avevano disegnato un bel percorso. C’erano anche dei tratti in cui spingere, quindi era completo. Ovviamente sarà più difficile da interpretare rispetto agli altri, perché non siamo abituati a gareggiare sulla neve. Per cui, anche se l’hai già fatta una volta, è come se ogni volta fosse la prima. Quindi, sarà sicuramente una bella gara come lo scorso anno.

L’hospitality sopra il quartier generale della gara è un ottimo punto di osservazione (foto Podetti)
L’hospitality sopra il quartier generale della gara è un ottimo punto di osservazione (foto Podetti)
Come dicevi, molto dipende dalla temperatura. La neve cambia consistenza molto velocemente…

E non si può prevedere molto, per cui prendiamo quel che viene. L’anno scorso, dal sabato alla domenica, abbiamo trovato due percorsi completamente diversi. Il sabato sembrava sabbia e c’erano anche pezzi duri, dove tenere la bici era veramente impegnativo. Invece la notte la temperatura è scesa di colpo e il giorno dopo era un percorso completamente ghiacciato, che non c’entrava niente con quello del giorno precedente. A livello di terreno quindi, è un’incognita da non sottovalutare. Magari guardando le previsioni, si potrà prevedere che percorso ci aspetta.

In che modo quel cambiamento notturno ti fece modificare le scelte tecniche?

Ritoccai solo la pressione delle gomme. Il sabato giravi non tanto gonfio, fra 1-1,2 bar. La domenica invece abbassammo ancora, perché si scivolava tantissimo e proprio non teneva. Mi pare addirittura che Silvia Persico fosse partita a 0,9-1, una cosa del genere, ma non vorrei dire una sciocchezza (nessuna sciocchezza: la bergamasca conferma, ndr). Era un terreno che, se non stavi attento, scivolavi anche sul dritto. E questo incide tanto sicuramente anche sulla scelta delle coperture e su come gonfiare.

Dopo la vittoria 2021 di Van Aert, c’era grande attesa nel 2022 per Van der Poel che però ha deluso (foto Val di Sole)
Dopo la vittoria 2021 di Van Aert, c’era grande attesa nel 2022 per Van der Poel che però ha deluso (foto Val di Sole)
Invece la temperatura in che misura incide? E’ più freddo rispetto a un giorno invernale del Belgio, ad esempio?

In realtà l’anno scorso era freddo, perché ovviamente sulla neve non fa caldo. Però abbiamo patito meno di quando piove e c’è magari qualche grado in più e rimani tutto zuppo. Se in Val di Sole ci sarà clima secco e attorno allo zero come l’anno scorso, sarà sopportabile. La condizione climatica devastante è quando piove per tutta la gara.

E se correndo nella neve nel tratto di salita si bagnano i piedi, quello non provoca un freddo cane?

Bè, i piedi erano parecchio freddi. Su piedi e mani patisci tanto freddo, perché sono le parti terminali. Io ricordo che avevo attaccato degli scaldini nelle scarpe, perché soffro tanto il freddo ai piedi e anche altri avevano fatto così. In realtà nei tratti di corsa a piedi, proprio perché aveva ghiacciato, non c’era neve smossa, quindi non è che ti bagnassi. Era proprio il fatto che faceva freddo, quindi il piede era esposto.

Casasola ha iniziato il 2023 del cross con 5 vittorie, il terzo posto agli europei e il 4° in Coppa a Troyes
Casasola ha iniziato il 2023 del cross con 5 vittorie, il terzo posto agli europei e il 4° in Coppa a Troyes
Se la neve molla, seguire le scie è più complicato?

Sì, sicuramente. In quei casi, la neve somiglia un po’ alla sabbia, quindi il terreno si smuove molto.

Vermiglio e la neve sono un episodio unico nella stagione: sarebbe meglio averne qualcuna in più?

In realtà dipende tutto dai progetti dell’UCI. Io avevo capito che questa prova fosse stata introdotta anche come test per l’eventuale inserimento del cross nelle Olimpiadi Invernali. Se l’idea è ancora quella, sarebbe anche interessante avere qualche prova in più in calendario. Potremmo testare di più il terreno, dato che obiettivamente è una situazione diversa e se non hai dimestichezza con il tipo di terreno, le classifiche possono essere anche stravolte.

Anche perché si tratta di condizioni difficilmente ripetibili, no?

Diciamo che ci sono percorsi ghiacciati che potrebbero somigliare a Vermiglio, la guidabilità almeno è la stessa. Magari 10 anni fa sicuramente i percorsi innevati c’erano. Adesso invece, col fatto che ancora a novembre abbiamo 15 gradi, si capisce che la neve non la vediamo praticamente più. Per questo in certi casi sono avvantaggiati quelli che alla neve ci sono abituati, come gli austriaci: la Heigl l’anno scorso andò bene.

Il podio degli europei è stato per Casasola un ottimo modo per iniziare la stagione delle sfide più prestigiose
Il podio degli europei è stato per Casasola un ottimo modo per iniziare la stagione delle sfide più prestigiose
Alla luce di questo, cosa fa Sara Casasola nella settimana che precede Vermiglio?

Non cambia nulla. Se iniziassero ad esserci più prove di questo tipo, allora per puntarci avrebbe senso provare ad allenarsi sullo stesso tipo di percorso. Ma non è facile, da noi ad esempio, la neve adesso non c’è proprio. Per cui purtroppo avremo solo l’occasione delle prove libere al sabato e diciamo che ce le faremo bastare. A casa è tutto abbastanza secco, c’è bel tempo e quindi ghiaccio non ne trovi ancora.

La nuova avventura di Fabbro, finalmente non più gregario

28.11.2023
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La vita a volte è questione di scelte che vanno lette in base al momento, alle contingenze, alle prospettive. Chi frequenta gli ambienti ciclistici da un po’ di tempo, ha visto il passaggio di Matteo Fabbro dalla Bora Hangrohe alla Polti Kometa non come una retrocessione (da un team WT a una professional), ma come una liberazione. Un rilancio per la carriera di uno che, quand’era agli albori, era considerato una delle grandi speranze del ciclismo italiano. Ora ha 28 anni e può dare ancora tanto.

Fabbro ha vissuto gli ultimi 4 anni della squadra tedesca, quindi è stato protagonista della sua progressiva trasformazione, contribuendo al suo inserimento nel ristrettissimo novero delle formazioni di riferimento. Un cambio che forse ha anche contribuito alla fine del rapporto.

Matteo Fabbro quest’anno ha fatto 43 giorni di gara con cinque Top 10
Matteo Fabbro quest’anno ha fatto 43 giorni di gara con cinque Top 10

«Quando sono arrivato nel team – spiega il corridore udinese – il leader era Peter Sagan e si lavorava per lui. Quando è andato via sono cambiate molte cose, la squadra è stata rivoluzionata e io ho iniziato a sentirmi sempre meno adatto alla causa. Inoltre gli ultimi anni dal punto di vista della salute non sono stati semplici per me e progressivamente le nostre strade si sono allontanate. Loro non erano propensi a continuare, ma neanche io: avevo bisogno di un’aria nuova. Voglio però sottolineare il fatto che ci siamo lasciati in ottimi rapporti, tanto è vero che magari nel futuro le nostre strade potrebbero anche tornare a incrociarsi».

A quali problemi di salute ti riferisci?

Il Covid per me è stato una mannaia… Gli strascichi che mi ha lasciato sono stati molto pesanti, sotto forma di problemi respiratori e due nuove allergie e per un ciclista non respirare bene è un problema di non poco conto. Abbiamo provato tante soluzioni, senza essere fortunati. Ora però le cose vanno un po’ meglio e questo mi rende ottimista.

L’esordio di Fabbro fra i pro’, nel 2018 sotto, l’occhio esperto di Pellizotti. Passava con tante speranze di emergere
L’esordio di Fabbro fra i pro’, nel 2018 sotto, l’occhio esperto di Pellizotti. Passava con tante speranze di emergere
La sensazione, analizzando però la tua carriera, è che tu sia rimasto quasi prigioniero del tuo ruolo di gregario, ma non erano queste le prospettive con le quali eri passato pro’…

E’ vero, infatti voglio tornare a esprimere quello che valevo anni fa. Che cosa è successo nel frattempo? Quello che spesso succede nel ciclismo: i problemi portano mancanza di risultati e da questi di fiducia e quindi di spazio. Se guardo indietro, solo una volta mi è stata concessa libertà, per la Tirreno-Adriatico del 2021 e il quinto posto finale mi sembra sia stato una bella risposta. Ma altre occasioni per potermi esprimere non ci sono state, in compenso ho sempre lavorato per i capitani con l’abnegazione che mi è sempre stata riconosciuta.

La tua storia recente è suonata anche come un monito per i tanti ragazzi italiani che approdano nelle squadre estere del WorldTour. Molti dicono che vanno a fare i gregari, pur avendo stoffa e risultati per poter ambire ad altro.

Il rischio c’è, ma bisogna stare molto attenti nel dare giudizi. Partiamo dal fatto che se capiti fra le 5 grandi squadre del WT – tra cui la Bora – vieni inizialmente chiamato a svolgere ruoli di gregariato. Lo spazio te lo devi guadagnare, ma con i campioni che ci sono è difficile. E’ anche vero però che se vali davvero ci riesci: guardate gli esempi di Ganna e Milan, sono in grandissimi team, ma hanno saputo guadagnarsi i loro spazi. Se invece capiti in formazioni un po’ meno forti, con capitani che non accentrano tutte le attenzioni, hai più possibilità. Devi comunque metterti a disposizione, ma le occasioni per emergere ci saranno e dovrai essere bravo a sfruttarle.

Quattro anni di militanza nel team tedesco, ma ben poche occasioni per emergere, come alla Tirreno-Adriatico 2021
Quattro anni di militanza nel team tedesco, ma ben poche occasioni per emergere, come alla Tirreno-Adriatico 2021
Nel tuo caso?

Nel mio caso le contingenze hanno portato a vedere quello spiraglio stringersi sempre di più. Per questo avevo bisogno di aria nuova e l’ho trovata grazie a Ivan Basso, che ha fortemente insistito per avermi nel team. Ho trovato un ambiente familiare, che mi ha subito convinto della scelta.

Inoltre il fatto di correre in una professional può garantirti maggiori occasioni anche a livello di calendario…

Sì, mettendoci i 7 anni di esperienza accumulata in questo mondo. E’ come se fino ad ora avessi seminato, ora è venuto il tempo di raccogliere, quindi aver fatto un passo indietro è un fatto che reputo positivo, considerando anche che non ho molto da perdere. Sarà una bella sfida.

Per la Bora Hansgrohe il ciclista udinese è sempre stato prezioso supporto ai capitani in salita
Per la Bora Hansgrohe il ciclista udinese è sempre stato prezioso supporto ai capitani in salita
Sai già come sarà impostata la tua stagione?

Per grandi linee sì, il mio grande obiettivo sarà il Giro d’Italia, da correre finalmente pensando alla classifica. Ricordo l’edizione del 2020: avevamo in squadra Sagan per le tappe e Majka per la classifica, questo significa che tirai per 17 frazioni su 21… Eppure alla fine fui 23°, neanche male. Se potrò concentrare le energie sulla classifica e le tappe di montagna, sicuramente farò il mio. Correrò Ruta del Sol e Tirreno-Adriatico, il resto vedremo come svilupparlo in base alle condizioni di forma e alla situazione del momento. Io intanto sono già tornato ad allenarmi, non vedo l’ora che si cominci…

Com’è il gravel negli USA? Ce lo racconta Brennan Wertz

27.11.2023
6 min
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BOLZANO – Stiamo scendendo da Cavalese in direzione Ora, lo scricchiolio della strada ghiaiata sotto le ruote ci sta accompagnando in una discesa che ripercorre il vecchio percorso del treno. Le curve si susseguono e davanti a noi abbiamo un ragazzo classe ’97 alto 1,96 che danza tra le curve sulla sua bici in titanio. Si chiama Brennan Wertz, è californiano ed è un corridore professionista gravel. Ma cosa ci fa uno statunitense sulle Dolomiti? 

Brennan è sponsorizzato da Q36.5 ed è venuto in Italia per disputare il campionato del mondo gravel. La sua storia merita di essere raccontata, ex vogatore dell’Università di Stanford e della nazionale USA con cui è stato campione del mondo U23. In seguito a un infortunio ha iniziato a pedalare su una gravel e da lì è iniziato il suo percorso off-road. Così ci siamo fatti raccontare la sua storia e come sia il gravel negli Stati Uniti dove è nata questa disciplina.

La guida divertente è una delle caratteristiche che ha portato Brennan Wertz ad innamorarsi del gravel (foto Jim Merithew)
La guida divertente è una delle caratteristiche che ha portato Brennan Wertz ad innamorarsi del gravel (foto Jim Merithew)
Come sei arrivato al gravel?

Ho trascorso otto anni remando, viaggiando per il mondo, gareggiando con la nazionale oltre che con il mio team universitario. Penso che sia stato di grande aiuto per costruire il mio fisico attuale, è lì che ho messo le basi per il motore che ho oggi. Prima del gravel facevo MTB, anche se non ho mai corso. E’ sempre stato solo per divertimento.

Poi cos’è successo?

Poi è arrivato l’infortunio mentre remavo. Avevo un’infiammazione ai muscoli delle costole. La tipica storia di qualcuno che si infortuna e inizia a pedalare per recuperare. Così mi sono reso conto di quanto fosse divertente la guida di queste bici. Devo dire che il tempismo ha giocato a mio favore. Sono molto fortunato che questo tipo di scena gravel sia esplosa negli ultimi quattro o cinque anni negli Stati Uniti.

Com’è il gravel negli Stati Uniti?

E’ decisamente più comune. E’ una disciplina che è in circolazione da tanto. Alcune gare vanno avanti da oltre 10 anni, quindi vanta già un’esperienza consolidata. Penso che negli ultimi quattro o cinque anni il gravel sia diventato davvero più popolare e che ci siano alcuni corridori chiave che in un certo senso hanno attirato molta attenzione su di esso. Ragazzi come Ted King, Ian Boswell, sono arrivati direttamente dal WorldTour e sono diventati un esempio di specialisti del gravel.

Abbiamo intervistato Brennan durante il training camp organizzato da Q36.5 in Trentino (foto Jim Merithew)
Abbiamo intervistato Brennan durante il training camp organizzato da Q36.5 in Trentino (foto Jim Merithew)
Come sei arrivato ad essere un pro’?

Io penso di essere in una posizione unica, sono una delle prime persone a diventare professionista nelle corse gravel senza aver partecipato al WorldTour. Ancora oggi, molti dei ragazzi che corrono professionalmente nel gravel provengono da lì e forse sono in… pensione o hanno semplicemente deciso che ci sono più opportunità in questa disciplina o perché gli piacciono di più queste corse. Quindi lasciano la strada per andare sulla ghiaia. Io ho iniziato a pedalare a livello agonistico solo nel 2019, è ancora un periodo piuttosto breve. Penso che sia una scena che al momento gode di molto slancio, energia, entusiasmo e industrie che investono su di essa.

Lo praticano in molti il gravel in USA?

Sì, alle persone piace davvero. Quando vado alle gare, ci sono migliaia di partecipanti ed è davvero una bella opportunità. Possiamo stare tutti con lo stesso obiettivo sulla stessa linea di partenza e vivere un’esperienza condivisa.

Che idea ti sei fatto del gravel in Europa?

Penso che sia decisamente differente. E’ banalmente un habitat diverso dove praticare questo sport. Negli Stati Uniti, abbiamo queste strade agricole che sono semplicemente sterrate, dove ci potrebbero passare quattro auto in larghezza. Vai dritto per miglia e miglia, poi c’è una svolta e poi di nuovo dritto, e poi un’altra svolta e di nuovo dritto. Le curve che incontri sono sempre a 90° suddivise in una specie di griglia di strade che si incrociano. Credo che l’Europa sia anche semplicemente più piccola, con più patrimonio culturale e storia, le persone vivono qui da più tempo. Ci sono queste strade strette e tortuose, con tutte queste curve. Per esempio ai campionati del mondo in Italia, attraverso i vigneti, non siamo mai andati dritto per più di un minuto o due. Curva, contro curva, su e giù. Questo cambia lo stile delle corse. E’ più aggressivo, corri rilanciando ad ogni svolta. E’ uno sforzo molto diverso e di conseguenza anche il suo approccio è differente. Negli Stati Uniti basta spingere per ore e guidare tra i 300 e i 500 watt ininterrottamente. Qui invece si hanno dei picchi di potenza costanti. 

Ti è piaciuto il mondiale in Italia?

Sì, moltissimo.  Aveva un percorso che non mi si addiceva molto, per queste salite davvero ripide con punte a più del 20 per cento. Ma non ho mai visto fan come quelli che abbiamo avuto quel giorno. C’erano persone così appassionate. Urlavano e facevano il tifo per noi su ogni salita toccandoci e spingendoci. Ricordo che le salite quel giorno mi hanno penalizzato e sono finito nelle retrovie. Nonostante ciò, la gente urlava e mi incitava. Negli Stati Uniti le nostre gare sono davvero isolate, in mezzo al nulla e puoi passare ore senza vedere nessuno. E’ stata un’esperienza super divertente. Un percorso bellissimo dove non bastava essere forti, ma bisognava anche essere bravi a guidare la propria bici. 

Brennan Wertz vanta molteplici vittorie nel circuito gravel statunitense (foto Jim Merithew)
Brennan Wertz vanta molteplici vittorie nel circuito gravel statunitense (foto Jim Merithew)
Che bici usi?

Io pedalo su una Mosaic Cycle GT-1 45 in titanio. Ho avuto anche bici in carbonio, ma devo dire che questo materiale per me si sposa al meglio con il gravel per come lo intendo io. Posso fare un single track senza preoccuparmi, viaggiare senza stare in pensiero. E’ una bici robusta, leggera e molto comoda. Questo telaio lo uso dal 2021 e può fare ancora tante miglia. 

Come è nata la tua sponsorizzazione con Q36.5?

Negli Stati Uniti per correre non hai bisogno di una vera e propria squadra, ma devi crearti un nucleo di sponsor. Con Q36.5 ci siamo trovati d’accordo fin da subito, i nostri intenti erano gli stessi. Con loro collaboro anche per il test di prodotti e sono ambassador negli Stati Uniti. Mi piace davvero la tecnicità dei prodotti che hanno e lo studio che c’è dietro ognuno di esso. 

Il Giro di cross chiude nel segno di Folcarelli

27.11.2023
5 min
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La novità dell’inserimento del GP Valfontanabuona in Liguria ha chiuso i battenti della 15esima edizione del Giro d’Italia di ciclocross. Un’edizione serrata, con due blocchi di gare ogni domenica, 3 a ottobre e 3 a novembre, che nel corso del loro sviluppo hanno portato a gareggiare tutto il meglio del movimento. Pochi però sono stati coloro che non hanno guardato alle singole tappe ma all’intero sviluppo della challenge. Fra questi Antonio Folcarelli.

Foto di gruppo per i vincitori della challenge, chiusasi in Liguria dopo 6 prove
Foto di gruppo per i vincitori della challenge, chiusasi in Liguria dopo 6 prove

Centrato l’obiettivo del tris

Il laziale è un cliente affezionato della creatura di Fausto Scotti, aveva già vinto la maglia rosa due volte in passato e ne aveva fatto un suo obiettivo stagionale. Due volte vincitore, a Corridonia e Cantoira e sempre sul podio, era già sicuro del successo prima della tappa finale di San Colombano Cernetoli: «Gara dura, dove Bertolini e Agostinacchio sono partiti forte insieme a Leone, io sono riuscito a riprendere quest’ultimo e poi ho pensato a chiudere sul podio per mantenere una certa continuità e legittimare ancor di più la mia maglia rosa».

La challenge era un obiettivo non solo per lui: «Ci teneva molto mio padre e anche tutto il team – afferma il figlio di Massimo Folcarelli, pluricampione del mondo master e titolare del team Race Mountainne avevamo fatto un appuntamento focale nella stagione, per questo già alla prima prova ero abbastanza preparato. Credo che la mia sia stata la vittoria della continuità, anche se ho visto che col passare delle settimane la mia condizione è andata sempre in crescendo».

Per Folcarelli è la terza vittoria al Giro d’Italia, dopo quelle del 2018 e 2019 (foto organizzatori)
Per Folcarelli è la terza vittoria al Giro d’Italia, dopo quelle del 2018 e 2019 (foto organizzatori)

In difesa dei biker

Folcarelli ha tenuto fede alle sue caratteristiche, quelle di un ciclocrossista figlio diretto della mountain bike, che privilegia i percorsi più altimetricamente duri, agilità e forza si mixano alla perfezione: «Tarvisio e Cantoira sono stati i miei percorsi preferiti, non è un caso se si pedalava in montagna, attraverso quelle caratteristiche che mi esaltano. Io preferisco i tracciati dove si fa selezione, quelli più veloci, dove conta quasi esclusivamente il ritmo non fanno molto per me. In Liguria era un po’ così, ma era anche un percorso insidioso, bisognava essere molto attenti nella guida».

La formula del circuito e delle gare favorisce chi viene dalla Mtb? Il ciclocross si è sviluppato negli ultimi anni soprattutto grazie all’interesse degli stradisti, significa che gli equilibri si sono spostati? «Dipende da quel che si intende. Molti pensano che il calendario si concilia meglio con chi gareggia in mtb piuttosto che su strada, ma a guardare meglio ci si accorge che non è così, considerando che nella mountain bike si finisce a ridosso della stagione del ciclocross e quando questa finisce ci sono già eventi importanti nelle ruote grasse, soprattutto in Italia. E’ importante saper trovare i propri spazi per il riposo, che tu sia stradista o biker. Io mi sono fermato una decina di giorni prima di salire su una bici da ciclocross».

Per Eva Lechner un ritorno al successo che fa ben sperare, battendo in un acceso duello la rientrante Corvi
Per Eva Lechner un ritorno al successo che fa ben sperare, battendo in un acceso duello la rientrante Corvi

Il sogno della maglia azzurra

La stagione del laziale, che continua a dividere la sua attività ciclistica con il lavoro al banco del mercato insieme al padre, continua ora con il Giro delle Regioni, la nuova creatura di Scotti: «Ma mi attendono anche le due tappe finali del Mastercross, sono secondo in classifica e chissà che non riesca a fare doppietta, sarebbe un bel passaggio della mia carriera. Poi sarò alla Coppa del Mondo a Vermiglio dove vorrei farmi vedere, anche per agguantare una maglia della nazionale che, per chi fa quest’attività, deve sempre essere l’obiettivo, anche se lontano».

A San Colombano il Giro ha proposto un vero antipasto dei campionati italiani, ben poche infatti le assenze. Nella gara open la vittoria se la sono giocata Bertolini e Agostinacchio e alla fine è stato il valdostano della Tsa Tre Colli a vincere con uno sprint di potenza sfruttando l’ingresso davanti nella prima curva. A Folcarelli il terzo posto condito dalla vittoria nella classifica generale davanti a Cafueri, primo fra gli Under 23 pur dopo una prestazione leggermente in calo rispetto alle altre.

Lo sprint vincente di Agostinacchio su Bertolini: un antipasto dei campionati italiani? (Foto organizzatori)
Lo sprint vincente di Agostinacchio su Bertolini: un antipasto dei campionati italiani? (Foto organizzatori)

Un altro figlio d’arte…

Sfida a due anche fra le donne, fra Lechner e Corvi, le punte di due generazioni differenti e alla fine è stata la più matura altoatesina a spuntarla mentre dietro Gariboldi ha pensato a difendere la maglia rosa dall’assalto di Borello, che alla vigilia era dietro di soli 2 punti e questa era l’unico esito davvero in bilico della challenge. Fra gli juniores maglia rosa per Giacomo Serangeli e Giada Martinoli, ma attenzione a un nome nuovo che arriva dagli allievi, quello di Patrik Pezzo Rosola. Se buon sangue non mente…

EDITORIALE / L’esempio del tennis e i bilanci federali

27.11.2023
5 min
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Basterebbe rileggere il discorso di insediamento di Angelo Binaghi, rieletto nel settembre 2020 alla guida della sua Federazione per il sesto mandato consecutivo con il 78,81 per cento dei voti. Così forse ci si renderà conto di cosa sia successo negli ultimi anni nel mondo del tennis. E magari si capirà che probabilmente la vittoria di ieri in Coppa Davis non sia stata casuale (in apertura foto Getty Images/ITF).

«La situazione di prosperità che l’andamento di questa curva ci raffigura – diceva nel 2020, commentando l’andamento del fatturato dal 2002 – è frutto dei nostri sacrifici, della azione comune che abbiamo fatto i primi anni per risanare la Federazione, per rilanciare gli Internazionali BNL d’Italia e per rendere il tennis molto molto più popolare di prima. Ed è anche quella che ci ha permesso, anno dopo anno, di aumentare i trasferimenti verso le società e di finanziarne l’impiantistica, di portare prima il tennis italiano nelle case degli italiani con il nostro canale Supertennis. E poi per la prima volta nella storia in modo strutturale nelle scuole dell’obbligo, di lanciare il padel in Italia, e di ottenere l’organizzazione delle Next Gen a Milano e delle ATP Final a Torino.

«Ci ha permesso anche di non alzare le quote federali negli ultimi anni. E di aumentare gli investimenti nel settore tecnico ed ottenere i risultati che le nostre atlete prima e i nostri atleti poi hanno ottenuto in questi magnifici 15 anni».

Sopra, il bilancio della FITP in crescita del 389% dal 2002 al 2019. Poi il crollo Covid e la previsione fino al 2025 (fonte FITP)

L’uscita dal buio

Prima il tennis aveva conosciuto il buio, quello vero. Poche vittorie. Pochi atleti ai primi posti del ranking. La Coppa Davis che mancava dal 1976, stesso anno dalla vittoria di Panatta al Roland Garros. Leggete quell’intervento, fatto quando Sinner aveva 19 anni, perché fa capire il tipo di lavoro che si è fatto per risollevare il movimento.

Si parla delle Nitto APT Finals di Torino, assegnate per cinque anni a Torino, con la spinta del sindaco Appendino, diventate l’occasione per un’impennata del fatturato, con «la più alta sponsorizzazione che una federazione sportiva in Italia abbia mai avuto».

Si parla del ruolo illuminante delle donne nel Consiglio federale, dopo anni di soli uomini.

Poi si parla dell’essersi rivolti nel 2017 ad una società di consulenza che ha revisionato completamente la struttura della Federazione e delle sue Società controllate. Che ha imposto di cercare nuove figure manageriali come il Direttore Generale Marco Martinasso. E ha creato all’interno dei nuovi processi decisionali, tipici di una grande azienda.

Angelo Binaghi, ingegnere sardo, sta guidanto il tennis per il sesto mandato consecutivo (foto FITP)
Angelo Binaghi, ingegnere sardo, sta guidanto il tennis per il sesto mandato consecutivo (foto FITP)

Federazioni a confronto

Leggetelo. Sottolineate i punti che vi sembrano interessanti e poi metteteli a confronto con quanto ha fatto la Federazione ciclistica di Carlesso, Ceruti, Di Rocco e Dagnoni, che hanno guidato la FCI nell’identico periodo.

C’è un altro grafico in quel discorso: quello che combina il fatturato acquisito (2002-2019). Esso tiene conto dei 27 milioni di perdita causati dal Covid e vi unisce il bilancio previsionale fino al 2025, con una stima del + 759%. Si era capito che il trend fosse in crescita. Che gli investimenti nelle scuole, l’arrivo degli sponsor, il sostegno del Governo e l’arrivo di una nidiata di talenti avrebbero portato la curva a crescere ancora.

Felice Gimondi, Marco Pantani, Tour 1998
La Davis mancava dal 1976. Pantani vinse il Tour del 1998, prima di lui Gimondi nel 1965: 38 anni di attesa
Felice Gimondi, Marco Pantani, Tour 1998
La Davis mancava dal 1976. Pantani vinse il Tour del 1998, prima di lui Gimondi nel 1965: 38 anni di attesa

Qualche domanda

Come il tennis, anche il ciclismo ha i biglietti e abbiamo star della pista di livello mondiale: in che modo hanno generato ricchezza per la Federazione? Perché non c’è ancora una Sei Giorni, in cui i tifosi pagherebbero oro per vedere le sfide fra Ganna, Viviani, Milan e il resto degli specialisti?

Di recente RCS Sport ha siglato un’intesa con l’ANCI e alla base ci sarebbe anche un contributo pubblico per la valorizzazione sostenibile del territorio e la diffusione della cultura sportiva giovanile: non potevano essere fondi interessanti per la FCI?

Potrebbero i rappresentanti della nostra Federazione mostrarci la stessa curva del bilancio federale?

Hanno pensato di ristrutturarsi e di interpellare professionisti in ambito marketing capaci di intercettare risorse vere?

Abbiamo un Consiglio federale qualificato per gestire il momento?

Abbiamo organizzato un mondiale a Imola e a breve la partenza del Tour: in che misura si è lavorato e si lavorerà per trarne profitto? 

Non si vuole qui dire che tutto questo non sia stato fatto, ma che di certo non è stato comunicato come si dovrebbe. Se il ciclismo sta avviando una gestione simile a quella del tennis, saremo i primi a celebrarlo con tutti gli onori.

La FCI sfrutterà a dovere la partenza del Tour dall’Italia per promuovere il ciclismo?
La FCI sfrutterà a dovere la partenza del Tour dall’Italia per promuovere il ciclismo?

L’albero di Ground Zero

Qualche giorno fa, commentando un post su Facebook, Beppe Da Milano ha posto una domanda: «Che cosa ne sarà delle piccole società dilettantistiche?».

Caro Beppe, la domanda va posta a chi finora ha gestito e continua a gestire il ciclismo come se fossimo ancora negli anni Novanta. Stando alla gestione attuale, ci sarebbe da dire che non hanno futuro. Potrebbero diventare l’interfaccia del ciclismo, qualora il ciclismo entrasse nelle scuole? Potrebbero, ma qualcuno sta lavorando al progetto?

La rinascita non può essere legata al caso. Magari sbocceranno anche un altro Pantani e pure un altro Nibali, fioriti in un ciclismo italiano che aveva un’organizzazione di assoluto primo piano. Potrebbero nascere anche oggi, come l’albero sopravvissuto alle macerie dell’11 settembre che ora è il simbolo della rinascita di Ground Zero. Se però intorno non si crea un ambiente favorevole, come garantiremo la continuità?

Firma con la Work Service. Bardelli fa il salto di categoria

27.11.2023
5 min
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«Avevo deciso per uno stop. Volevo fermarmi. Poi è capitata questa opportunità, questo salto di categoria, che mi ha dato nuovi stimoli ed ora eccomi qui». Andrea Bardelli, uno dei direttori sportivi più noti della categoria juniores, è pronto a rimettersi in pista. E lo farà nella Work Service-Vitalcare-Dynatek, squadra continental (in apertura foto Work Service-Vitalcare).

Il tecnico toscano farà così la spola fra la categoria U23 e i professionisti, in quel mix che è appunto caratterizzante delle continental. La passione di Bardelli resta intatta, così come quella voglia di stare vicino ai ragazzi e magari riuscire a farli vincere. Per anni è stato uno dei diesse della Franco Ballerini e nella passata stagione del CPS Professional Team. Ancora prima già aveva avuto a che fare con i pro’ e gli U23. L’esperienza non manca, dunque.

Bardelli prepara i foglietti con le indicazioni che poi passerà in corsa ai ragazzi. Col salto di categoria tutto questo non ci sarà più
Bardelli prepara i foglietti con le indicazioni che poi passerà in corsa ai ragazzi. Adesso col salto di categoria tutto questo non ci sarà più
E quindi Andrea, raccontaci come è andata?

In estate ho avuto questa offerta dalla Work Service-Vitalcare-Dynatek. Dopo dieci anni tra gli juniores, direi con buoni risultati e un certo numero di ragazzi portati al professionismo, mi ritengo soddisfatto. Stavo giusto cercando squadra a due miei atleti che dovevano passare U23, Tommaso Farsetti e Tommaso Bambagioni. L’amicizia con Ilario Contessa, uno dei diesse, c’è sempre stata e proprio mentre cercavo squadra per i ragazzi, lui mi ha detto che alla Work Service serviva anche un tecnico.

Due piccioni con una fava, insomma…

Ci siamo visti al Giro di Toscana dei professionisti. Contessa mi ha detto della rivoluzione tecnica in seno al team. Il presidente Demetrio Iommi e il patron Massimo Levorato volevano qualcuno da affiancare al diesse dei pro’ Emilio Mistechelli. Non solo, ma in tutto questo quadro abbiamo fatto un accordo anche con una squadra laziale juniores, il Team Coratti (il gruppo Work Service ha anche il team juniores, ndr). Insomma, il mio inizialmente doveva essere un approccio soft, invece sarà totale.

Che squadra sarà la continental Work Service-Vitalcare-Dynatek?

Un bel mix di giovani e corridori più esperti. Ci sono dei ragazzi da rilanciare come i due che vengono dalla Green Project-Bardiani, Rastelli e Nieri. Poi penso a Ferrari, che vinse un Fiandre da junior. E poi ancora a Bonaldo, Belletta, Pierantozzi…

Mix di giovani e corridori “esperti”, la Work Service-Vitalcare-Dynatek del 2024 promette bene
Mix di giovani e corridori “esperti”, la Work Service-Vitalcare-Dynatek del 2024 promette bene
Che lavoro sarai chiamato a fare? Sarà tanto diverso rispetto a quello che facevi tra gli juniores?

Cambierà soprattutto l’approccio con i ragazzi. Non bisogna nascondere che ci sono corridori all’ultima chiamata. Dovrò lavorare pertanto anche sul fattore mentale, ma questo non mi spaventa. Chiaramente è un’altra categoria e ci sarà bisogno di altro. Ma essendo stato in passato molto vicino ad un direttore sportivo come Luca Amoriello, che nell’organizzazione è uno dei migliori in assoluto, credo di essere pronto.

Appunto, è diverso rispetto agli juniores. Le continental corrono di fatto in due categorie, gli U23 e gli elite, i pro’…

Sicuramente ci confrontiamo con squadre attrezzate, ma alla fine nel complesso sono sempre dei ragazzi giovani e tutto sommato i problemi sono gli stessi. Poi d’inverno, a casa e con gli allenamenti, sono tutti bravi, quello che conterà saranno le corse, anche per conoscere bene i ragazzi. Alcuni di loro, i primo anno, dovranno dare molto fino a maggio. Dovranno partire forte insomma, perché poi avranno la maturità. Tuttavia questa non deve essere un alibi per buttare via tutto il resto della stagione.

Andrea noi ti abbiamo visto lavorare dal vivo in corsa col tuo spirito focoso e da attaccante. Passiamo “dai bigliettini” a bordo strada con le indicazioni per i ragazzi, alle radioline: sarà un altro modo di correre immaginiamo.

Il ciclismo è uno e le gare sono quelle. Cambierà l’approccio con i ragazzi, come detto.

Okay, ma magari vi ritrovate ad un Giro di Sicilia con qualche WorldTour e non sarete voi a fare la corsa. Cambierà qualcosa?

In quel caso sarà diverso, certo. Ma se penso alle gare under 23 si potrà prendere la corsa in mano. Quelle sono gare nelle quali si cercherà di fare il meglio. In gare più importanti, con i pro’, bisognerà comunque mettersi in mostra. E questo serve. Non è che se parti a Laigueglia fai esperienza automaticamente. Non impari o migliori, solo perché sei in un contesto importante. Dico che non bisogna avere paura neanche in quelle corse. Non bisogna avere paura di stare davanti, di prendersi delle responsabilità: la crescita passa anche attraverso questi aspetti. Poi è chiaro che lì non spetta a noi impostare la corsa. E tutto sommato contro squadre più attrezzate per noi, è anche più semplice.

Nieri (in foto) e Rastelli vengono dalla Green Project-Bardiani: per Bardelli e colleghi sarà una scommessa farli tornare a livelli alti
Nieri viene dalla Green Project-Bardiani: sarà una scommessa farli tornare a livelli alti
Chiaro…

Diciamo che avremo due velocità diverse a seconda del livello delle gare che faremo. Io sono convinto che abbiamo tre o quattro ragazzi che possono fare bene anche nelle corse più importanti. Ricordiamoci che dopo il Covid è cambiato tutto. Anche in queste gare che per noi sono le più grandi e per altri sono le più piccole, c’è comunque un livello molto alto.

Hai parlato di non avere paura, c’è però qualcosa che spaventa il Bardelli direttore sportivo?

No, semmai sono spaventato da me stesso. Nel senso che in questi dieci anni mi ero abituato bene con i risultati e i ragazzi che ho aiutato a diventare professionisti. Una media di risultati che sarà difficile ripetere in questa categoria. Quindi non dovrò abbattermi o spaventarmi appunto, non si possono sempre vincere le corse. Quest’anno nel finale di stagione con il CPS eravamo quasi certi della vittoria in certe corse. Al netto delle vittorie spero che la meritocrazia, che in Italia non è molta, emerga. In tal senso mi hanno fatto piacere i messaggi di congratulazione che mi hanno mandato Martin Svrcek e Michael Leonard.

Ultima domanda. Farete dei ritiri?

In queste settimane i ragazzi si stanno allenando a casa. Poi nel periodo delle Feste e i primi di gennaio, approfittando della chiusura delle scuole, ci ritroveremo nelle Marche, a Montappone. Più in là, a febbraio, faremo un secondo ritiro. Riguardo alle gare stiamo aspettando delle conferme per alcune corse in Francia. Altri ragazzi debutteranno alla Firenze-Empoli e alla San Geo.