U23: Amadori tra un buon 2023 e il fronte straniero che lo attende

10.12.2023
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Il 2023 degli under 23 italiani non resterà negli annali, al tempo stesso però non si può dire che sia stato un anno negativo. Di certo sfortunato, ma nel complesso la nazionale guidata da Marino Amadori ha risposto presente. E nonostante tutto è anche arrivato un oro iridato, quello a cronometro firmato da Lorenzo Milesi.

Busatto, De Pretto, Buratti, Romele, Belletta e ancora Piganzoli e Pellizzari… alla fine tutti gli azzurri sono sempre stati nel vivo delle gare disputate. E se non fosse stato per cadute e forature in momenti topici, magari avremmo portato a casa qualcosa in più. Come a dire che la base c’è ed è questo quello che conta e che ben sa lo stesso Amadori.

Marino Amadori (classe 1957) con i suoi ragazzi in ritiro prima dell’Avenir di quest’anno
Marino Amadori (classe 1957) con Davide Piganzoli in ritiro prima dell’Avenir di quest’anno
Marino che anno è stato quello dei tuoi ragazzi?

Nel complesso direi un buon anno. Sicuramente ci è mancata una medaglia su strada al mondiale e all’europeo, eventi in cui avevamo i ragazzi giusti per conquistarle, e per quello dico che la ciambella c’è, ma è senza buco. Nonostante ciò abbiamo vinto la classifica generale della Coppa delle Nazioni, che magari passerà in secondo piano, ma parla della costanza di rendimento e si basa sull’insieme dei punteggi dei ragazzi, e non era semplice. E abbiamo vinto l’oro con Milesi a crono che, ricordo, ha battuto dei signor corridori.

Si parlava del gruppo: una buona base. Magari non saranno stati i ragazzi d’oro del 2021, ma siamo meno distanti di quanto possa sembrare…

Dico che è un buon gruppo, una buona base di lavoro e lo dico perché nel corso dell’anno ho potuto far ruotare molti atleti. Hanno corso in parecchi con la maglia azzurra e sempre a buon livello. E se abbiamo lavorato bene bisogna dire grazie alla Federazione e alle squadre.

Non è facile parlare di singoli, ma c’è qualcuno che ti ha sorpreso in positivo e qualcuno da cui ti aspettavi qualcosa in più?

Dobbiamo capire che in questo momento in Italia non abbiamo il super talento. Abbiamo dei buoni corridori che potranno essere protagonisti anche tra i pro’. Quindi non c’è nessuno che mi ha stupito soprattutto in negativo. Molti di questi ragazzi vengono dalle professional o dalle development delle WorldTour questo significherà pur qualcosa. Quindi non c’è nessuno che mi ha deluso al 100 per cento. 

Oltre all’oro di Milesi, non va dimenticato il secondo posto di Pellizzari all’Avenir
Oltre all’oro di Milesi, non va dimenticato il secondo posto di Pellizzari all’Avenir
Hai parlato di WorldTour, professional, devo team…

Il ciclismo sta cambiando a livello mondiale e noi dobbiamo adeguarci. Lo scorso anno cinque juniores italiani sono passati nelle development delle WorldTour, quest’anno saranno 8, chiaramente tutte squadre straniere (in Italia non c’è una WT, ndr). Una volta era impensabile. Una volta erano gli stranieri che venivano in Italia. Oggi fra le WorldTour e le professional ci sono 20 team che hanno la development e qualcuno ha anche quella juniores e agganci con categorie ancora più giovani. Si sta andando nella direzione del calcio. Di conseguenza questi grandi team vanno in giro per il mondo e si assicurano i ragazzi più promettenti su cui lavorare per crescerli in casa.

Perché un ragazzo dovrebbe scegliere di andare fuori? Okay l’influenza dei procuratori, dei talent scout…

Io credo che il motivo principale sia il nostro calendario gare, un calendario un po’ vecchio. Mi spiego: abbiamo tante gare, una dietro l’altra, ma spesso sono prove piccole. All’estero ci sono meno gare, spesso più importanti e in questo modo si può fare una programmazione. Si può impostare una preparazione mirata. Da noi è impossibile fare una pianificazione.

Vuoi dire che prendono subito un’impostazione da professionisti?

All’estero ci sono molti under 23 che hanno fatto non più di 30-35 giorni di gara nell’arco della stagione, con 4-5 corse a tappe. Da noi ormai ce ne sono rimaste due o tre, Giro under incluso. E’ chiaro che all’estero hanno una proposta di crescita che in Italia non c’è. Mi auguro che qualche corsa a tappe possa tornare. In Fci ne parliamo, ma non è facile. Serve anche una certa collaborazione con organizzatori e squadre.

A questo punto con tanti ragazzi in giro per mezza Europa viene da chiederci come cambia il tuo lavoro, Marino. Come cambia il lavoro del cittì? Vai più in giro? Guardi gli ordini d’arrivo delle prove straniere?

Innanzitutto facciamo parecchia attività come nazionale, la Coppa delle Nazioni ne è un esempio, in più abbiamo fatto l’altura. E seguo tutte le internazionali in Italia che non sono poche. Il tempo di basarsi sugli ordini d’arrivo è passato. Poi chiaramente li guardo, ci mancherebbe. Ma mi interfaccio molto anche con i direttori sportivi e con i ragazzi stessi. Già ora, per esempio, ho in mente una rosa allargata per il 2024.

I ragazzi di Amadori hanno vinto la Coppa della Nazioni. Qui la prova a tappe in Polonia, la Orlen Nations Grand Prix, dove Piganzoli è stato secondo
I ragazzi di Amadori hanno vinto la Coppa della Nazioni. Qui la Orlen Nations Grand Prix, dove Piganzoli è stato secondo
E come ti regoli?

Parto dal mondiale, il primo obiettivo, e da lì scelgo una rosa allargata, che potrà costituire la nazionale per quell’evento, ma anche per gli altri. Poi man mano con le gare e nel corso dell’anno farò scelte più oculate, programmerò l’avvicinamento ai grandi eventi come appunto il mondiale o l’Avenir. Senza dimenticare che anche i ragazzi di primo anno oggi possono già fare molto bene.

Una volta Marino convocare i veri under 23 era, giustamente, un tuo cavallo di battaglia: oggi è impensabile. E’ così?

Finché l’UCI non mette nessun vincolo è così. Convocare un under 23 che fa attività nazionale (vecchio stile) non avrebbe senso. Credo che con eventi come l’Avenir, il mondiale, l’europeo affrontati in un certo modo i ragazzi possano fare un’esperienza importante che si ritroveranno anche tra i pro’. E parlo soprattutto della programmazione per arrivare a quell’evento, all’avvicinamento. E magari quando lo faranno da pro’ sapranno già di cosa si tratta.

Quali sono i tuoi programmi nel breve periodo?

Fra non molto andremo a vedere il percorso iridato e tra qualche giorno andrò a Montichiari per fare dei test a 30-40 ragazzi, tra di loro ci sono anche tre, quattro ragazzini davvero interessanti. La cosa che mi è piaciuta molto è che in tanti hanno avuto piacere di esserci, segno che la nazionale fa gola. Forse è anche è un modo di mettersi in mostra, ma comunque fa gola e mi consente di avere la famosa base allargata.

La prima a Vermiglio per Nieuwenhuis è divertimento puro

10.12.2023
4 min
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VERMIGLIO – C’è sempre una prima volta per tutto. Quella di Joris Nieuwenhuis è la prima sulla neve e la parola d’ordine è divertimento, ma senza togliere nulla alla ricerca della massima performance.

Durante le prove di ieri pomeriggio, il forte atleta olandese si è concesso a qualche dichiarazione e approfondimento sul setting della bicicletta.

Nieuwenhuis con il suo staff nella zona cambio
Nieuwenhuis con il suo staff nella zona cambio

Una Trek Boone taglia 56

La bici è quella standard fornita da Trek al Baloise-Trek-Lions. E’ una taglia 56 e Nieuwenhuis utilizza una sella Bontrager, così come le ruote RSL37. Hanno la predisposizione per i tubolari e questi ultimi sono Dugast. Il cockpit non è integrato, stem e curva sono separati, sempre Bontrager. La trasmissione è Sram Red con i comandi che hanno la nuova architettura mutuata dal Force.

Com’é pedalare sulla neve?

E’ divertente, una situazione molto differente a quelle che siamo normalmente abituati ad affrontare nel ciclocross. Se dovessi fare un accostamento potrei dire che è simile alla sabbia. Ma anche in questo caso è difficile essere precisi, perché c’è sabbia e sabbia.

Ti è spiaciuto rinunciare alla prova di Essen per essere qui a Vermiglio?

Mi piacerebbe correre sempre ed ovunque, ma non si può fare. Con il team avevamo messo in calendario Vermiglio, quindi non avendo pressioni dalla squadra e avendo il via libera sono contento di essere qui.

Quali aspettative ti sei creato?

Voglio divertirmi prima di tutto il resto e onestamente godermi anche questa esperienza che è qualcosa fuori dalla norma. Non voglio sottrarre nulla alla prestazione, ma è logico pensare che chi ha già affrontato la neve di Vermiglio parte con alcune skills in più.

E’ più difficile spingere o guidare la bici?

Guidare la bici su un terreno del genere porta via un sacco di energie, diventa fondamentale capire dove lasciarla correre e dove assecondare il cambio di direzione non ricercato. A tratti la bici sembra un cavallo impazzito e si deve guidare molto con il bacino. Proprio in questi momenti la cosa più sbagliata da fare è arpionare la bicicletta.

In merito alla bici hai fatto dei cambi di setting?

La bici è sempre la stessa, la Trek Boone taglia 56 che uso normalmente. Stessa trasmissione, userò la corona singola anteriore con 46 denti e una scala pignoni 10-36. Nessun cambio di setting anche per le pedivelle, uso sempre le 175. Stessa altezza di sella e stesso arretramento. Le ruote rimangono quelle con il cerchio da 37 millimetri.

La rapportatura è sempre questa a prescindere dai percorsi?

La scala posteriore è sempre 10-36, talvolta si interviene sulla corona. Quando il terreno è particolarmente pesante chiedo un plateau da 42, oppure 40 denti.

Invece per i tubolari?

Credo che utilizzerò le gomme da fango, con una pressione inferiore rispetto agli standard. Penso che la pressione adeguata sarà di poco superiore ad un’atmosfera. Ma decideremo domani mattina nelle ultime prove e comunque prima della gara. Mi sono fatto l’dea che la scelta degli pneumatici è molto personale. Ogni scelta sarà giusta e sbagliata al tempo stesso.

De Marchi accoglie Piva: porterà grinta e concretezza

10.12.2023
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TORINO – Ritorno al passato. Ritrovare Valerio Piva in ammiraglia ha un sapore speciale per Alessandro De Marchi. Il friulano è già proiettato al futuro e a un 2024 che lo vedrà guidato di nuovo da un ds con cui ha condiviso alcune delle giornate più belle della sua carriera. Al termine delle visite mediche all’Istituto delle Riabilitazioni Riba – Gruppo Cidimu, il Rosso di Buja (in apertura sui rulli, leggendo un libro, in una foto presa da Instagram) ci ha rivelato qualche retroscena e curiosità di questa liaison che si rinnova, con tanti bei sogni rosa: «Col Giro d’Italia ho sempre un po’ un conto aperto e il percorso mi piace».

Valerio Piva
Valerio Piva è stato direttore sportivo di De Marchi nei 4 anni alla BMC, poi nei 2 alla CCC
Valerio Piva
Valerio Piva è stato direttore sportivo di De Marchi nei 4 anni alla BMC, poi nei 2 alla CCC
Come hai scoperto dell’arrivo di Valerio Piva alla Jayco-AlUla?

Ho scoperto di Valerio casualmente, parlando con Brent Copeland. Io non ne sapevo niente e mi ha spiazzato, però quando me l’ha detto sono esploso in un grande sorriso.

E cosa hai risposto?

Ho detto subito che era un bell’innesto per la squadra. Darà un grande aiuto dal punto di vista organizzativo perché Valerio ha la capacità di vedere a 360°, di sapere dov’è un’ammiraglia, qual è lo spostamento migliore per un corridore, per cui è molto utile avere una persona del genere nello staff.

E in corsa?

In ammiraglia arriverà una persona che ha il pugno e la voce che serve in certe situazioni.

Non sarà facile, dunque, il primo approccio per i tuoi compagni?

Bisogna imparare a conoscerlo, perché all’inizio potrebbe sembrarti “duro”, ma in realtà è il classico direttore sportivo che è quasi lì con te sulla bici a pedalare. Valerio mette intensità e passione nel suo lavoro, facendosi sentire con la sua voce.

Ci racconti l’importanza che ha avuto per la tua crescita da corridore?

Ho trascorso con lui tutti gli anni in Bmc ed è sempre stato il mio direttore sportivo di riferimento.

Qualche aneddoto specifico che vi lega?

E’ difficile ricordarli tutti perché è passato molto tempo, però ricordo che in ammiraglia, alla radio, era sempre deciso: «Ragazzi, si fa questo». Poche parole, ma sempre preciso e coinvolto emotivamente in corsa. 

Un episodio che ti sta a cuore?

Quando ho vinto il Giro dell’Emilia, corsa che ho conquistato con lui in ammiraglia. Mi aveva dato carta bianca e mi aveva detto: «Arriva pure sul circuito, sei battitore libero, mentre per il finale eventualmente c’è Dylan Teuns».

Come hai corso?

Appena arrivato sul circuito, ho deciso subito di attaccare, forse già al primo giro e lui, un po’ spaventato, mi fa: «Ok Alessandro, è ancora lunga». Poi, riesco ad andare via da solo, a quasi tre giri dal termine, ma lui era ancora molto titubante: «Mi raccomando, Alessandro, è ancora molto lunga». Con l’andare dei giri, invece (sorride, ndr), ha cominciato a incitarmi a gran voce e mi ha caricato a mille. Avevo la pelle d’oca soltanto per la sua voce nella radio. Sul bus, quando ci siamo visti dopo il traguardo, era più incredulo di me. Ci siamo confrontati, ha ammesso: «Quando sei partito, volevo dirti di aspettare perché non ero così convinto fino in fondo, ma poi ho capito che dovevo darti fiducia e calmarti».

Questa la lunghissima fuga con cui De Marchi vinse l’Emilia 2018 con Piva in ammiraglia
Questa la lunghissima fuga con cui De Marchi vinse l’Emilia 2018 con Piva in ammiraglia
Gli hai già parlato?

Ci siamo sentiti e visti più volte. E’ stato come ritrovare qualcuno della famiglia e l’ho subito presentato agli altri due italiani, Zana e De Pretto, perché so che sarà una figura importante, soprattutto per loro che sono giovani e li aiuterà nella crescita professionale.

Pensi che Valerio possa essere un grande valore aggiunto per tutti?

Come detto, per gli italiani sarà molto utile, rendendo anche l’inserimento di De Pretto un po’ più soft, mentre Pippo può solo aver vantaggi a essere guidato da una persona così esperta e di un’altra generazione. Più in generale, a livello di squadra, sarà uno step importante per tutti i corridori e può fare la differenza.

Come si costruisce un percorso da ciclocross sulla neve?

09.12.2023
4 min
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VERMIGLIO – La Val di Sole si prepara ad accogliere i crossisti, per la terza edizione della prova di Coppa del mondo di ciclocross. Abbiamo fatto due chiacchiere con Sergio Battistini, ovvero il responsabile del percorso e colui che cerca di far collimare i numerosi tasselli previsti per una competizione di questo calibro. Cerchiamo di capire, attraverso le sue dichiarazioni, l’impegno che comporta costruire un tracciato sulla neve.

Sergio Battistini con un commissario UCI per la verifica del tracciato
Sergio Battistini con un commissario UCI per la verifica del tracciato
Quanto tempo è necessario per costruire questo tracciato?

Si parte mesi prima, ma solo a ridosso dell’evento il percorso di ciclocross prende realmente forma. La variabile più grande da considerare è la neve, che è un materiale non facile da lavorare. Arriviamo a preparare il tracciato sotto data per capire la consistenza del manto e adeguare le modalità di lavorazione.

Rispetto alle edizioni precedenti, la neve è diversa?

Decisamente sì, soprattutto se facciamo un confronto con il 2022. L’anno passato era tanta e soffice e per rendere il tracciato praticabile è stato necessario rimuovere la strato a contatto con il terreno. Quest’anno invece c’è meno neve, ma lo strato inferiore è consistente e diventa una sorta di pavimento. Siamo riusciti a batterla in modo perfetto.

Potrebbe essere un percorso veloce?

Ci sono i presupposti per una gara veloce, proprio perché la neve è più consistente. Potremmo vedere anche più tratti tecnici percorsi in sella alla bici, ovvio che poi le differenze sono relative alla tecnica di guida.

Una neve che potrebbe tenere di più anche nelle curve?

Esattamente, è probabile che lo strato battuto creato in questo 2023 terrà molto di più, un fattore che potrà influire su una media oraria maggiore.

La lunghezza ed il dislivello?

In tutto 2.900 metri e 60 di dislivello positivo. Ci sono comunque delle differenze, perché abbiamo creato due montagnette di neve che non erano presenti nelle edizioni precedenti. Diventano delle sorte di paraboliche improntate ad offrire spettacolo.

La parte nord del tracciato di ciclocross di Vermiglio, sotto al Tonale
La parte nord del tracciato di ciclocross di Vermiglio, sotto al Tonale
Due chilometri e nove, non sembra così lungo!

Come dicevo si lavora per lo spettacolo del ciclocross e cercando di offrire al pubblico una visibilità ottima da ogni angolazione e da ogni punto del tracciato. Inoltre c’è anche l’aspetto televisivo, perché ogni banner, ogni sponsor e telecamera sono posizionati nei punti strategici.

La cosa più complicata da gestire?

Senza dubbio la neve. Nel 2022 prima delle 4 del mattino eravamo all’interno del fettucciato a spalare e battere. Quest’anno siamo tutti molto più rilassati. La neve è imprevedibile.

Quante persone sono coinvolte per la costruzione del tracciato?

Noi del comprensorio siamo una ventina.

Quanto tempo è necessario per rimettere tutto a posto?

Ci vogliono due giorni, senza pause. Perché qui a distanza di una settimana, post evento ciclocross, la stagione dello sci di fondo entra nel vivo e tutto deve essere perfetto.

E Van Aert fa muro: in Italia per le tappe

09.12.2023
4 min
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Probabilmente non avrà fatto in tempo a leggere i consigli di Bettini, più probabilmente gli sarà arrivata eco dei commenti di Johan Museeuw. In ogni caso Wout Van Aert parrebbe aver allontanato da sé il calice della classifica generale del Giro, sgombrando il campo da ogni possibile volo pindarico. Se poi si troverà davanti, sarà pronto per giocarsela. Ma la maglia rosa finale non è il suo obiettivo di partenza.

Van Aert si è raccontato in un passaggio nel podcast De Rode Lantaarn in Olanda
Van Aert si è raccontato in un passaggio nel podcast De Rode Lantaarn in Olanda

Un podcast in diretta

Lo ha detto abbastanza chiaramente lo stesso campione belga nel podcast olandese De Rode Lantaarn, la lanterna rossa. Van Aert ha analizzato i suoi piani per il 2024, a partire dal nuovo programma stilato assieme al suo nuovo allenatore Mathieu Heijboer.

«Da tempo – ha detto il belga – accarezzavo l’idea di optare per una struttura più tranquilla per questo inverno, quindi con meno ciclocross. Ne ho parlato con Mathieu (Heijboer, ndr) e anche lui è stato d’accordo. Gli allenamenti potranno essere confrontati con quelli degli anni scorsi, perché ogni allenatore della nostra squadra ha più o meno la stessa filosofia a riguardo, ma sarà un inverno un po’ più tranquillo».

Nel 2021, Van Aert in questi giorni vinceva a Vermiglio: ora il debutto è rinviato
Nel 2021, Van Aert in questi giorni vinceva a Vermiglio: ora il debutto è rinviato

Al Giro per le tappe

La sensazione, già trapelata attraverso le parole di Heijboer, è che Van Aert voglia puntare a una primavera più concreta e vincente. Quello che lo scorso anno ha iniziato a fare Van der Poel, insomma, raccogliendo la Sanremo e la Roubaix.

«Non posso confermarlo ufficialmente – ha sorriso Van Aert, il cui programma di gare sarà annunciato fra due settimane in Olanda – ma supponiamo che vada al Giro. Allora preferirei andare per le tappe. Non sono molto interessato a superare i miei limiti, perché correre per la classifica non può essere combinato con le altre corse a cui punto.

«Non vorrei sacrificare troppo per ottenere un buon risultato. Non mi fa impazzire l’idea di arrivare quinto al Giro e di annoiarmi per il resto dell’anno. Come non mi attira l’idea di fare 100 allenamenti in altura e perdere altri due chili. Ora posso fare molte cose diverse e penso che sia bello cercare di farle tutte nello stesso anno».

Roglic e Van Aert a marzo sul Teide, preparando le classiche: la coppia dal 2024 sarà divisa
Roglic e Van Aert a marzo sul Teide, preparando le classiche: la coppia dal 2024 sarà divisa

Obiettivo 77 chili

E’ evidente che di vantaggi ne abbiano parlato: in una squadra come l’attuale Jumbo-Visma certi tentativi non potrebbero certo essere frutto di un’improvvisazione.

«Per vincere davvero una classifica generale – chiarisce Van Aert – il peso giocherebbe un ruolo decisivo e questo sarebbe un peccato. Dovrei arrivare al Giro con 77 chili (il peso forma è di 78, ndr), so da me che su certe pendenze non sarei certo avvantaggiato. Spero di arrivare a quel peso più o meno dopo le classiche, ma confermo che preferirei andare per puntare alle tappe».

Con Van der Poel alla Roubaix 2022: Van Aert sta per bucare, l’olandese avrà via libera
Con Van der Poel alla Roubaix 2022: Van Aert sta per bucare, l’olandese avrà via libera

La sfortuna di Roubaix

Dopo aver parlato dell’infortunio successivo alla caduta del Tour 2019 e i giorni terribili in cui non aveva sensibilità alla gamba, Van Aert ha parlato anche dell’ultima Parigi-Roubaix. Un’altra beffa subita per mano del solito Van der Poel e non crediamo che Van Aert non voglia scrollarsi di dosso una simile maledizione.

«A dire il vero – dice – quando ho iniziato il Carrefour de l’Arbre, pensavo di essermene andato. Raramente ci sono arrivato così fresco. Avevo programmato di attaccare dopo la curva ad angolo retto. Di solito si allunga partendo praticamente da fermo e questo di solito fa male. Qualche secondo prima, con la coda dell’occhio avevo visto Degenkolb cadere e non sapevo se fossero caduti anche Van der Poel e Philipsen. Ho pensato che avrei attaccato basandomi sulle sensazioni. Invece quando sono uscito dalla curva, ho sentito la gomma rotolare male e ho capito di aver bucato».

La popolarità del campione di Herentals non ha limiti: ora manca qualche risultato
La popolarità del campione di Herentals non ha limiti: ora manca qualche risultato

Quante sono le occasioni in cui Van Aert ha dovuto chinare il capo davanti alla sfortuna e soprattutto davanti a Van der Poel? Ormai troppe. Ed è per questo che prima di fuggire dalla sfida per misurarsi in un Giro, che ad ora è ben lontano dalle sue possibilità, crediamo voglia tornare a riprendersi quel che aveva costruito e che il grande avversario, ma spesso anche la sfortuna gli hanno portato via.

Dodici arrivi, dodici partenze. Damiani, cosa fa la Cofidis?

09.12.2023
5 min
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Ieri sera ha preso ufficialmente il via la stagione della Cofidis. Al velodromo di Roubaix, non lontano dalla sede del team, è stata presentata la squadra che da 27 stagioni vediamo sfilare in gruppo. Ma il suo 2024 si annuncia come un anno particolare: dodici uomini che vanno e dodici che ne arrivano. Una vera rivoluzione ha coinvolto la Cofidis e per questo abbiamo chiesto a Roberto Damiani, storico direttore sportivo del team francese, cosa stia succedendo. Il cambio è corposo e questo prevede un grosso lavoro di adattamento, di coinvolgimento.

La Cofidis tra l’altro riguardo alla classifica a punti delle squadre non naviga in acque super tranquille, è quattordicesima. Nelle parti basse delle prime 18 i distacchi sono molto corti, quindi quando ci sono rivoluzioni simili e partono uomini come Simone Consonni o Victor Lafay, bisogna valutare con oculatezza ogni situazione. 

Roberto Damiani (classe 1959) è alla Cofidis dal 2018 (foto Instagram)
Roberto Damiani (classe 1959) è alla Cofidis dal 2018 (foto Instagram)
Roberto, dodici corridori che vanno e altrettanti che ne arrivano. Un bel po’. Ti era mai capitata una rivoluzione simile?

Più che altro si è trattato di una scelta quasi obbligata. E’ un fatto che 5 dei 12 partenti fossero a fine carriera. Più che di rivoluzione parlerei al contrario di un ricambio nel segno della continuità. Lo scorso anno cambiammo pochissimo, quest’anno di più.

Perdete però dei nomi importanti. Su tutti Simone Consonni, Victor Lafay e Davide Cimolai…

Sono scelte. Con tutto il bene che gli voglio e l’ottimo rapporto umano, credo che per quel riguarda Simone si fosse chiuso un ciclo. E lo stesso vale per Davide. Per Cimolai è venuto meno il lavoro che doveva fare con lo stesso Consonni. E’ stata una scelta della squadra non rinnovargli il contratto. Mentre per quel che riguarda Lafay è stata una scelta sua. Già lo scorso anno aveva ipotizzato l’idea di cambiare team, ma poi si era trovato bene. E credo si sia visto anche al Tour.

Assolutamente e infatti rimpiazzarlo non è facile…

Lui ha grandissime qualità, ma non nella costanza di rendimento. Noi gli abbiamo fatto un’ottima offerta, ma c’è chi gli ha offerto molto di più. Penso anche che se un atleta deve rimanere solo per i soldi, è meglio che parta. Chi l’ha preso ha fatto un ottimo acquisto, spero solo non batta i nostri atleti!

A San Sebastian, seconda tappa del Tour 2023, la vittoria di Lafay con un gran colpo da finisseur
A San Sebastian, seconda tappa del Tour 2023, la vittoria di Lafay con un gran colpo da finisseur
Però guardandola in chiave positiva, avete preso dei corridori promettenti, e da italiani pensiamo soprattutto a Stefano Oldani, che su carta dovrebbe avere anche un certo spazio…

Io sono convinto che Oldani nel tempo si dimostrerà il miglior acquisto della Cofidis per il 2024-2025. Ho già iniziato a lavorare con lui e sono rimasto stupito dalla sua determinazione. Sì, da noi avrà lo spazio che non aveva prima. Giustamente nella sua precedente squadra era chiuso da corridori del calibro di Van der Poel. In più arriva da noi negli anni buoni del corridore: è alla quinta stagione da professionista. Noi vogliamo supportarlo al meglio e lui vuol mettersi in gioco.

Chi ti aspetti possa fare bene oltre ad Oldani?

Penso ad Axel Zingle, io credo che lui possa essere una bella sorpresa, anche per le classiche. Ogni anno si è portato a casa due o tre vittorie e già questo non è poco. Gli abbiamo fatto fare il Tour sapendo benissimo che per lui sarebbe stata dura, ma sapevamo anche che sarebbe stata un’esperienza molto importante che solo lì puoi fare sei vuoi correre a certi livelli. Poi per le volate vedo bene Alexis Renard, sin qui aveva lavorato per Coquard, adesso anche lui sarà più libero. Poi ci sono dei corridori esperti come gli Izaguirre e Ben Hermans, quest’ultimo arrivato quest’anno. Lui così, come Elissonde, li abbiamo presi perché per la salita eravamo un po’ leggerini. Hermans ed Elissonde saranno vicini ai nostri due leader, Ion Izaguirre e Guillaume Martin.

Stefano Oldani (classe 1998) arriva alla Cofidis con grandi speranze. Può davvero fare il salto di qualità
Stefano Oldani (classe 1998) arriva alla Cofidis con grandi speranze. Può davvero fare il salto di qualità
In questo contesto, con cinque atleti a fine carriera, è scesa anche l’eta media…

Abbiamo preso Oliver Knight, un giovane inglese molto bravo sul passo e nelle crono. Lo abbiamo messo dentro come stagista in Lussemburgo questa estate e si è ben inserito. E poi, ragazzi, questo è quanto si poteva fare con il nostro budget, diciamolo pure. Fino a che non metteranno un tetto agli ingaggi continueremo ad avere due o tre super formazioni che vincono quasi tutto e hanno lo strapotere. Okay, complimenti alla Jumbo-Visma per i suoi tre Grand Tour, ma questo non è accattivante per lo sport. Si è visto nella Formula 1, nel calcio… Alla fine le classifiche le fanno il portafoglio e i tifosi si avviliscono.

In questo contesto anche voi direttori sportivi, Roberto, assumete un ruolo ancora più importante, sia nella tattica di corsa che nel fare le formazioni. Con i punti in ballo dovrete essere dei cecchini…

Sicuramente ogni errore di valutazione sarà pagato caro in termini di punti, così come un’azione giusta porterà tranquillità. In questo contesto emerge la qualità di chi sa decidere, scegliere e gestire i corridori e la squadra in generale. Anche se è cambiata radicalmente negli anni, la figura del direttore sportivo resta importante. Io lo dico sempre: «Il diesse è l’unica figura fondamentale nel ciclismo». Perché tu puoi avere la miglior formazione del mondo, ti può mancare un massaggiatore o un corridore, ma se alla partenza sul tavolo del giudice non c’è la licenza del direttore sportivo, la squadra non parte. Per fortuna devo dire che con il team manager Cedric Vasseur c’è un grande spirito di collaborazione e tutti insieme si decide: sia quando si sbaglia, che quando si fa bene.

Scappini, il cross e la strada: tutto con la Beltrami

09.12.2023
4 min
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La stagione del ciclocross prosegue spedita verso i prossimi appuntamenti, tra cui la tappa di Coppa del mondo in Val di Sole. In questo finale di 2023 una delle novità è la presenza del classe 2005 Samuele Scappini tra la categoria under 23. Il giovane umbro si affaccia per la prima volta tra i grandi e di lui si fa un gran parlare. Nel fuoristrada va forte, ma su strada la curiosità è se possibile più grande. Il primo a credere nelle sue qualità è stato Eros Capecchi, responsabile tecnico del Comitato Regionale Umbria. 

Dalla prossima stagione, Scappini vestirà la maglia della Beltrami TSA-Tre Colli, con cui ha già iniziato il periodo del cross. «Correre con la stessa squadra – racconta Scappini – sia nel ciclocross che su strada permetterà di fare un percorso comune di crescita

La stagione di Scappini nel ciclocross è iniziata con delle buone prestazioni (foto Instagram)
La stagione di Scappini nel ciclocross è iniziata con delle buone prestazioni (foto Instagram)

Primo anno U23

Il cross ha già lanciato Scappini nel mondo degli under 23, il ragazzo umbro ha già corso tanto e non sembrerebbe volersi fermare. 

«Domani – ci dice Scappini in una pausa – farò il mio esordio in Coppa del mondo con la Beltrami. Andremo a correre in Val di Sole, sarà la prima volta che mi metterò alla prova su un fondo del genere (il riferimento è alla neve, ndr). Scoprirò se mi piace o meno. Sono un pochino emozionato, ma onestamente punto a fare bene».

«La stagione è iniziata nel modo giusto – continua – nonostante il passaggio di categoria sto facendo tante gare. Vedo i ragazzi più grandi, ma non sono così distanti. Mi aspettavo di avere qualche difficoltà in più. Mi alleno tanto e i risultati sono positivi, sono curioso di vedere cosa riuscirò a fare la prossima stagione, quando sarò under 23 di secondo anno».

Nel 2022, Scappini ha corso con il team Fortebraccio, vincendo il titolo nazionale juniores (foto Instagram)
Nel 2022, Scappini ha corso con il team Fortebraccio, vincendo il titolo nazionale juniores (foto Instagram)
Dove hai sentito il passaggio di categoria?

Nella tecnica, sono migliorato tanto in questi mesi. La cosa che mi preoccupava di più era la durata della gara, che sarebbe passata da 40 minuti ad un’ora. Però sono riuscito a reagire bene, mi alleno di più ed i risultati sono buoni. Mi manca poco per avere la resistenza giusta per fare un’ora di gara ed essere competitivo. 

C’è tanta attesa anche per quello che potrai fare su strada, lo aveva detto per primo Eros Capecchi.

Mi conosce da quando sono piccolo praticamente. Mi ha sempre incoraggiato nel seguire il mio percorso di crescita, è convinto che possa fare davvero bene. 

Scappini su strada si è messo alla prova con la maglia della nazionale (foto DirectVelo)
Scappini su strada si è messo alla prova con la maglia della nazionale (foto DirectVelo)
E tu che ne pensi?

Per il 2024 vedremo cosa riuscirò a fare, se migliorerò anche lì. Non so bene cosa aspettarmi perché non ho mai messo troppo l’accento su questa disciplina. Il mio focus è sempre stato il ciclocross. 

I primi passi in Beltrami come sono stati?

Mi hanno accolto molto bene e mi sto allenando al meglio. La squadra mi segue passo dopo passo con un allenatore. Sicuramente far parte di un team continental vuol dire che ora la strada avrà maggior peso nel mio calendario, ma non abbiamo ancora deciso come.

Insieme alla Beltrami TSA-Tre Colli correrà anche su strada, c’è tanta curiosità in merito (foto Instagram)
Insieme alla Beltrami TSA-Tre Colli correrà anche su strada, c’è tanta curiosità in merito (foto Instagram)

Il perché di Miodini

Una vera e propria motivazione sull’arrivo di Scappini ce la dà Miodini, diesse della Beltrami. L’umbro parla con lo stupore di una giovinezza che lo vede voglioso di provarci, a lui tocca pedalare. A chi lo circonda, invece, il compito di indirizzarlo sulla strada giusta.

«I suoi obiettivi – dichiara Miodini – nascono da un bisogno più ampio. La voglia di mettersi alla prova in qualcosa di nuovo. E’ chiaro che ci saranno delle difficoltà, non sarà facile all’inizio. Scappini è tanto determinato, nella sua motivazione rivedo Pesenti. Entrambi hanno una grinta che li porta a stare sempre ai massimi livelli. E’ un ragazzo sul quale abbiamo scommesso, si tratta del suo primo anno tra gli under 23, vedremo come si adatterà. Sicuramente correrà tanto nel cross, poi si fermerà e farà una pausa nei mesi di febbraio e marzo. Ripartirà, come ha fatto anche Agostinacchio l’anno scorso, a fine marzo o inizio aprile.

Il Giro è un gioco crudele: caro Wout, sei sicuro?

09.12.2023
6 min
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Da uomo da classiche a uomo da classiche, da Bettini a Van Aert: caro Wout, ma chi te lo fa fare? Anche il livornese all’inizio della carriera tentò di fare classifica al Giro, ma prese atto dei suoi limiti e ci ripensò.

«Van Aert uomo da grandi Giri? Abbiamo visto – dice Bettini – che è un grandissimo gregario, quello che ha fatto al Tour non è roba da tutti. Però una cosa è stringere i denti e lavorare, andare in fuga e farsi trovare davanti quando arriva il tuo capitano. Fargli da spalla, stringere i denti, saltare per aria, poi rientrare. Tirare ancora un chilometro e poi saltare definitivamente. Altra cosa è dover fare tutti i giorni la selezione, farti trovare lì e non poter perdere 10 secondi. E poi diciamo che il mese di aprile e il mese di maggio non sono troppo compatibili, volendo immaginare il percorso di avvicinamento al Giro d’Italia…».

Bettini ha vinto 2 mondiali, le Olimpiadi di Atene 2004, 2 Liegi, 2 Lombardia, una Sanremo, tre Coppe del mondo
Bettini ha vinto 2 mondiali, le Olimpiadi di Atene 2004, 2 Liegi, 2 Lombardia, una Sanremo, tre Coppe del mondo
Tu facesti il percorso inverso…

All’ultimo anno da dilettante, provai a fare classifica al Giro d’Italia U23, facendo settimo. Era l’anno di Sgambelluri, vinsi il tappone con arrivo a Romano d’Ezzelino. Si scalavano il Manghen e il Monte Grappa, roba abbastanza seria. A tre giorni dalla fine ero terzo in classifica, poi saltai per una crisi di fame. Tradotto: passo professionista e pur stando al fianco di Michele Bartoli, in molti mi indicano come uomo da grandi Giri.

Anche con qualche buon risultato, no?

L’anno del Panta, nel 1998, sicuramente non mi conoscevano e mi permisero di portare al traguardo una fuga bidone. Mi lasciarono quasi 12 minuti nella tappa di Asiago e di fatto chiusi settimo in classifica generale. Eravamo partiti mentalizzati, perché anche Bartoli voleva fare classifica. Ci allenavamo sull’Abetone, cercando le salite lunghe. Eppure proprio dopo quel Giro, capii che non avrei più voluto fare classifica.

Giro 1998, sull’arrivo di Asiago arriva la fuga: vince Fontanelli, Bettini guadagna 11’46”
Giro 1998, sull’arrivo di Asiago arriva la fuga: vince Fontanelli, Bettini guadagna 11’46”
Perché?

Troppa pressione addosso, con gente come Pantani, Zulle e Tonkov. Mi guardai allo specchio. Mi dissi: vado forte in salita, sono esplosivo e sono bravo anche in volata. Potevo fare altro. Mi promisi che non avrei più fatto classifica perché capii veramente quanto sia stressante preparare un fisico per le tre settimane. Vuol dire studiare il percorso, conoscersi bene, conoscere il metabolismo. Non è facile…

Torniamo a Van Aert, mettiti nei suoi panni…

Quest’anno è un Giro cattivo, parte duro con Oropa, per dirne una, e poi nell’ultima settimana ci sono le montagne vere. Allora se sono Wout Van Aert cosa faccio? Parto al 100 per cento e salto per aria nel finale? Oppure parto al 65 per cento: basterà, sapendo che potrei lasciare per strada un minuto nelle prime tappe? E’ uno stress, mi sono già stancato a raccontarvelo. Io in quel momento dissi mai più e su quella decisione ho costruito la mia carriera e la mia stessa vita. 

Wout Van Aert al Tour ha vinto 9 tappe, conquistato una maglia verde e aiutato Vingegaard. Qui Hautacam 2022
Wout Van Aert al Tour ha vinto 9 tappe, conquistato una maglia verde e aiutato Vingegaard. Qui Hautacam 2022
Fare classifica al Giro senza aver mai fatto il Giro.

Non so quante capacità atletiche abbia uno come Wout quando lo porti su salite come quelle del Giro. Quelle del Tour, almeno per le quattro volte che ci sono andato, non dico che siano facili ma non sono quelle ripide del Giro. L’Italia ha una conformazione geografica più cattiva. Mi ricordo un grande inglese come Thomas, che ha vinto il Tour, ma qui ha sempre preso legnate. Stessa cosa fu per Wiggins.

Di solito chi vince il Tour va forte al Giro.

Dipende dal tipo di corridore. Van Aert è un passista scalatore per salite lunghe e regolari. In Italia invece in determinate tappe serve improvvisazione, devi conoscere il territorio. Due curve e fai la differenza. Le tappe intermedie sono le più… bastarde. Sono quelle che quando ti distrai, ti scappa il gruppo e andare a riprendere 30 corridori è una pena. Fai fatica sull’Appennino, lo abbiamo visto tante volte (in apertura, Van Aert staccato a Sassotetto, all’ultima Tirreno, ndr). Magari il belga si salva nelle tappe più nervose, perché è corridore da classiche, ma per puntare alla classifica, deve cambiare pelle. E ha pochi mesi per farlo, perché a ottobre era ancora il corridore di sempre

Wiggins venne al Giro 2013 da vincitore del Tour, ma si perse nel maltempo e nelle curve
Wiggins venne al Giro 2013 da vincitore del Tour, ma si perse nel maltempo e nelle curve
Quindi sarebbe comunque un passaggio lungo?

Volendo, Wout potrebbe pensare di avviare un processo di cambiamento. Vuol dire che quest’anno viene al Giro a prendere le misure per il prossimo anno. Fa le sue esperienze, si lecca le ferite, capisce dove ha sbagliato e magari in due o tre anni capisce se vale la pena cambiare così tanto pelle.

Sembri scettico…

Sono un ragazzo moderato, non me la tiro mai. Siamo di fronte a dei grandissimi fenomeni, ma ricordatevi tutti che poi alla fine, nonostante in questo mondo digitale la comunicazione passi per essere essere fighi e attrarre follower, se si stampa il curriculum ti accorgi che di classiche Wout Van Aert ha vinto solo la Sanremo. Ragazzi, in termini di grossi risultati, Andrea Tafi ha vinto il doppio.

Van Aert ha vinto la Sanremo del 2020, ma nelle classiche del Nord ha sempre dovuto mandare giù bocconi amari
Julian Alaphilippe Wout Van Aert
Van Aert ha vinto la Sanremo del 2020, ma al Nord ha sempre mandato giù bocconi amari
Perciò tu cosa faresti?

Io consiglierei a questo ragazzo, dato che ha le qualità ma per varie situazioni non è ancora riuscito a portare a casa quello che merita, di concentrarsi sugli obiettivi a lui più adatti. Un Fiandre, una Roubaix, un’altra Sanremo, ci può stare anche un campionato del mondo. Ma se inizia a snaturare la sua attitudine rischia di non vincere più nulla. Si troverebbe a lavorare sulla massa, per cambiare fisicamente e tenere sopra i 2.000 metri. Basta una tappa per perdere un grande Giro e se anche riesci a gestirti, aggrappandoti agli specchi e facendo miracoli, quando arriva il tappone che fai? Quattro volte sopra i 2.000 metri: basta un giorno che ti manda a quattro minuti e sei finito.

Insomma, è una scelta che semmai potrebbe fare fra qualche anno?

Dipende. Faccio un altro ragionamento da quasi cinquantenne, visto che mi mancano pochi mesi (Bettini è nato il 1° aprile 1974, ndr). Quando hai costruito la tua carriera e hai trovato la tua identità, a un certo punto gli anni passano e invecchi. A quel punto arrivano i giovani leoni che ti asfaltano con la loro grinta. E tu pensi che avrai voglia di cambiare fisicamente per provare a vincere un grande Giro?

Una vita in bicicletta, ora Vieceli dice addio

08.12.2023
5 min
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Lara Vieceli si gode, in questo inverno che ha un sapore diverso dal solito, le vacanze (foto Instagram in apertura). Prima un breve passaggio negli Stati Uniti e poi Caraibi, per un totale di dieci giorni. La contattiamo quando ancora si trova nel Paese con la bandiera a stelle e strisce. La linea va e viene, ma con un po’ di pazienza l’intervista si fa. 

«La vacanza – racconta in compagnia del suo fidanzato – è stata posticipata a dicembre perché prima sono stata operata al ginocchio. Postumi di una caduta che ho fatto a marzo, che mi ha provocato la rottura del piatto tibiale e del crociato. L’ortopedico che mi ha visitata mi ha detto che si poteva correre comunque, mancavano quattro mesi alla fine della stagione, e della carriera. Con qualche dolore ho comunque portato a termine la mia ultima stagione».

Era il 2016 e Vieceli corre per la prima volta la Freccia Vallone, era con la Inpa-Bianchi (foto Instagram)
Era il 2016 e Vieceli corre per la prima volta la Freccia Vallone, era con la Inpa-Bianchi (foto Instagram)
La tua carriera si interrompe a solamente 30 anni…

Avevo deciso ben prima dell’infortunio. In realtà dopo lo stop di marzo ho avuto qualche dubbio e pensavo: «Magari continuo un altro anno». Ma alla fine la decisione era ben radicata, avevo preso questa scelta fin dall’inverno scorso. Avevo deciso che avrei fatto l’ultimo Capodanno in bici e così è stato. Ho messo il primo numero sulla schiena quando avevo sei anni, mi sono detta che fosse giunto il momento di fare altro. 

Una carriera davvero lunga.

Sono stata in mezzo ai grandi cambiamenti del ciclismo femminile, situazioni stancanti dal punto di vista mentale. Nel corso delle ultime stagioni sono stati fatti dei passi avanti enormi, forse per certi aspetti si è anche corso troppo. 

E’ cambiato così tanto il ciclismo femminile?

Tantissimo. La situazione è sempre più professionale, c’è una grande qualità. Quando sono passata il primo anno elite, era il 2012, e le cose si facevano un po’ a caso. Poi sono entrati sistemi sempre più curati e professionali: strumenti, metodi di allenamento e alimentazione. All’inizio vinceva chi riusciva a mettere le cose in ordine e spesso si andava per tentativi, quando trovavi il “metodo” giusto continuavi. Ora anche nelle continental viene dato il giusto peso alle cose: soprattutto allenamento e alimentazione. Anche se quest’ultimo non è un argomento facile.

Dopo 2012, il primo anno elite, passa al team Michela Fanini, una salvezza (foto Instagram)
Dopo 2012, il primo anno elite, passa al team Michela Fanini, una salvezza (foto Instagram)
Come mai?

Molte mie colleghe hanno avuto un rapporto negativo con il cibo, anche io. Le società non avevano competenze all’inizio e mettevano tanta pressione. Ci sono state tante pressioni esterne e tanta emotività per superare questo ostacolo. In grandissima parte mi ha aiutato lo studio. Negli anni ho imparato a non ascoltare chi non aveva competenze a riguardo. 

Cosa hai studiato?

Mi sono laureata in Scienze Motorie e poi in Management dello Sport. Mi piace studiare, ho sempre dato tanto peso all’istruzione. Non credo al fatto di essere un’atleta e di non avere nulla in mano una volta finita la carriera. 

Nel tuo futuro che vedi?

Non saprei, ora mi sono presa il tempo per riposare. Ma da gennaio spero di avere qualcosa di più concreto in mano. Sono entrata nel ciclismo da adolescente, non ho esperienze lavorative oltre al correre in bici. L’istruzione e i vari studi mi danno fiducia nell’affrontare il post carriera. Non mi vedo molto legata al mondo del ciclismo, essere preparata mi offre orizzonti più ampi.

Tra 2017 e 2018 l’Astana Womens Team, un primo assaggio di professionismo (foto Instagram)
Tra 2017 e 2018 l’Astana Womens Team, un primo assaggio di professionismo (foto Instagram)
Sei diventata elite più di 10 anni fa…

La mia prima squadra (Verinlegno-Fabiani) ha chiuso senza alcun preavviso alla fine di quella stagione. Mi sono trovata che non conoscevo nessuno, e in più era l’anno olimpico. Praticamente un disastro. Per fortuna ho trovato la S.C. Michela Fanini Rox che mi ha dato un’occasione. Più avanti mi sono trovata nella situazione di cercare un’altra squadra, era il 2018 e mi è capitato il progetto della Ceratizit. Con loro ho corso fino al 2022. Alla fine penso di essermi ritagliata il mio ruolo. 

Qual è stato? 

Fare da gregario, un ruolo che secondo me si confaceva alle mie caratteristiche e che non è stato facile portare avanti per tanto tempo. 

Come mai?

Perché nel mondo del ciclismo femminile a livello pro’ e WorldTour c’è spazio per replicare il modello maschile. Ma non tutte le realtà sono così. Non si riesce sempre ad avere una distinzione nitida tra gregarie e capitane. Anche nelle squadre grosse ci sono 15-16 atlete, non di più. E nel calendario ci sono tante gare, spesso le squadre portano 4-5 atlete al posto delle sei previste. Non è facile vedere tante squadre che investono, ma quelle che valgono si vede. La Ceratizit per me è un esempio positivo, in quattro anni con loro non ho mai avuto un dubbio. 

Vieceli è stata una delle prime ad entrare nel progetto Ceratizit (foto Instagram)
Vieceli è stata una delle prime ad entrare nel progetto Ceratizit (foto Instagram)
Hai deciso di studiare comunque nonostante una carriera avviata…

Per due ragioni. La prima è che il ciclismo per tanti anni non è stato un lavoro, non ci potevo vivere. Se non ci fossero stati i miei genitori, non avrei potuto proseguire. Non giravano soldi, si ricevevano dei rimborsi spese davvero esigui. Il secondo motivo è quello della formazione e della crescita, cosa che dicevo anche prima.

Miglior progresso fatto dal mondo del ciclismo femminile?

Potrò sembrare veniale ma dico gli stipendi. Poter considerare il ciclismo un lavoro è la sicurezza che mancava. Avere un contratto regolare, pagare i contributi, non tutte le ragazze vivono questa situazione, ma sono sempre di più. Vi faccio un esempio…

La carriera si è conclusa quest’anno, con la maglia della Israel Premier Tech Roland (foto Instagram)
La carriera si è conclusa quest’anno, con la maglia della Israel Premier Tech Roland (foto Instagram)
Dicci.

Per migliorare in allenamento è necessario crescere e affidarsi anche a figure esperte: allenatori e nutrizionisti. Il problema è che fino a poco tempo fa il rimborso spese era di 300 euro, provate a dirmi voi come ci si poteva affidare a dei professionisti. Considerando che le squadre non ne avevano in organico. 

Lasci un ciclismo più cresciuto, ma non ancora “arrivato”.

E’ cresciuto tanto e ne sono contenta. Ma, come detto anche prima, non ha finito il suo processo evolutivo. Sono comunque serena nel lasciarlo in questo modo.