Il vento in faccia non le fa paura. Lavorare per le compagne non le pesa, anzi la gratifica. Per chi non la conosce bene, Lara Vieceli può essere considerata un inno al gregariato. La figura che ricopre è sviluppata di meno nel ciclismo femminile rispetto a quello maschile ma è cresciuta negli ultimi anni.
La 28enne di Fonzaso (in cui ha iniziato a correre con la squadra di giovanissimi del paese prima della trafila da esordiente a junior nel Breganze) ormai è una veterana della categoria. Nel 2022 sarà alla sua undicesima stagione da elite e alla quarta nella Ceratizit-WNT, con cui ha appena finito in questi giorni il ritiro in Toscana a Castagneto Carducci.
Ce lo dice subito al telefono, dopo essere rientrata da cinque ore di distanza con le sue compagne (circa 140 chilometri dopo qualche giorno di stop per un’infiammazione al ginocchio), di come ha dovuto adattarsi ad un ruolo più consono durante i suoi anni di carriera.
«Non sono mai stata una vincente neanche da giovane – ammette la Vieceli che vanta un successo nel 2016 con la Inpa-Bianchi al prologo del Tour de Bretagne e due da junior nel 2010 – ma una gran lavoratrice. E questo mi ha ripagato. Considerando com’è cambiato il nostro movimento, se non avessi avuto questa prerogativa probabilmente non avrei trovato più squadra».
Lara, una curiosità flash. Cosa avresti fatto se non avessi continuato a correre in bici?
Probabilmente adesso farei la politica, magari in un’ambasciata. Il liceo classico mi ha lasciato questo retaggio legato alla questioni diplomatiche. Avrei studiato Scienze Politiche ed Internazionali però poi mi sono laureata in Scienze Motorie nel 2017.
Torniamo al ciclismo femminile. Che differenze ci sono dalla tua prima stagione ad oggi?
Tantissime. Vi dirò che per certi versi sono piuttosto stressanti queste continue novità. Nel senso che quelle che sono arrivate negli uomini in tanto tempo, da noi sono successe in fretta e in modo caotico. Talvolta non è semplice essere sempre al top e organizzare tutto. Nel 2012 sono passata elite con la Giusfredi e se oggi ci penso sembrava una formazione junior. Oppure nel 2017, quando ero in Astana, non pianificavo interamente il calendario. Ora invece tutto è cambiato. Programmi, allenamenti, distanze, velocità e stress sono sempre maggiori. Però c’è il rovescio della medaglia, l’aspetto positivo.
Quale?
Dal mio punto di vista c’è più professionalità. Abbiamo davanti a noi il modello degli uomini. Con l’avvento del WorldTour femminile, si è alzato il livello delle aziende che investono nel ciclismo. E quindi anche noi ragazze riusciamo a definire “lavoro” quello che facciamo tutti i giorni. Riusciamo ad avere uno stipendio vero, con cui possiamo vivere in maniera più indipendente rispetto a prima. Inoltre è cresciuto tanto il livello delle gare. Pertanto torna utile avere in squadra dei gregari come posso essere io.
Quando hai capito che dovevi metterti al servizio di capitane e compagne?
Col passare del tempo. I primi anni da elite sono stati belli ma difficili e mi sono detta che se non avessi avuto una mentalità moderna non avrei più avuto spazio. Mi piace essere gregaria. Sono contenta quando vincono le mie compagne. Le loro vittorie le sento mie, come se avessi vinto io. Oltre alle mie compagne anche molte avversarie in questi ultimi anni hanno riconosciuto il mio lavoro e per me è stato un grande motivo di soddisfazione.
Se nel 2022 il tuo diesse ti dovesse dare carta bianca, saresti pronta?
Direi proprio di sì. Prediligo le gare di un giorno dove posso sfruttare le mie caratteristiche di passista-veloce anche se tengo nelle brevi salite, come le “cote” delle Ardenne. In ogni caso so perfettamente che ci sono appuntamenti in cui si corre per la capitana, ma in altre corse se dovessi dire al mio staff o alle mie compagne che sto bene non mi verrebbe mai negato di giocarmi le mie carte.
Come è nato il rapporto con la Ceratizit-WNT?
Nel 2018 per varie ragioni ho vissuto una stagione difficile con l’Astana Women ed ero al classico bivio. Cambio aria e vado avanti o smetto? Per fortuna ho avuto un contatto con Dirk Baldinger, il loro diesse. Cercava un’atleta italiana. Mi fece un’offerta importante ma mi disse subito che voleva una ragazza pronta a lavorare per capitane come Brennauer e Wild. E mi disse anche che avevano l’idea di crescere nel giro di qualche anno. Presi tempo, mi informai bene perché non conoscevo il loro progetto ed accettai. E poi quando mi sarebbe ricapitato di essere compagna della Brennauer, mio idolo da sempre, e lavorare per lei? Non potevo farmi scappare questa occasione caduta dal cielo.
La tua società è legata ad un marchio che sponsorizza tante gare del WorldTour. Che tipo di squadra è?
Innanzitutto mi sono sempre trovata molto bene, per me è come una famiglia. Credo che non siamo la squadra più forte in circolazione, ma siamo ben organizzati e formiamo un gruppo molto affiatato. Facciamo risultati per questo motivo, che ci è stato trasmesso anche dallo sponsor principale. La Ceratizit fa degli eventi per clienti a cui spesso partecipiamo anche noi. Qui ci mostrano come noi cicliste ci inseriamo nella loro strategia di marketing. La mentalità della squadra e di noi atlete è molto aziendalista. Questo aspetto ci responsabilizza maggiormente in gara e fuori.