Con Cattaneo alla scoperta della crono finale del Tour

03.04.2024
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Il Giro dei Paesi Baschi si è aperto con una cronometro. Ha vinto Primoz Roglic e Remco Evenepoel è arrivato quarto, ma cadendo. Questo può succedere quando non si conoscono i percorsi troppo bene e si vuol osare. Ed è proprio per poter osare, che qualche tempo fa lui e Mattia Cattaneo sono andati in ricognizione della crono finale del prossimo Tour de France.

La crono in questione è la Monaco-Nizza: 34 chilometri, 728 metri di dislivello e il Col d’Eze. Una crono che potrebbe decidere la Grade Boucle. Una tappa così va assolutamente testata. L’italiano della Soudal-Quick Step ci spiega come è andata e che tipo di crono sarà.

Remco Evenepoel e Mattia Cattaneo durante la ricognizione a Nizza (foto Instagram)
Mattia, appunto, che crono sarà?

Una crono molto dura. Una crono nella quale i primi cinque, immagino saranno gli stessi della classifica generale, quindi quelli con più gambe.

Descrivici un po’ questi 34 chilometri…

L’avvio è abbastanza semplice poi ecco la salita di Le Turbie: 8 chilometri. Si scende un po’ e si fa il Col d’Eze dalla parte opposta che siamo abituati a fare durante la Parigi-Nizza. Si tratta di un chilometro e mezzo al 15 per cento. E lì sembra più una cronoscalata che una crono. Poi discesa, abbastanza veloce e finale tutto da spingere.

Hai parlato di discese: conteranno?

La prima parte del Col d’Eze sì, ma la seconda è velocissima. A parte due curvoni ampi non è così difficile che puoi creare una differenza. Al massimo credo che nella seconda parte si possano perdere o guadagnare 2”-3”. E’ la salita che inciderà molto di più. Credo che la classifica si farà sul Col d’Eze, da lì alla fine cambierà molto poco.

Il profilo della cronometro finale del prossimo Tour de France, misura 34 km
Il profilo della cronometro finale del prossimo Tour de France, misura 34 km
Quindi è una frazione contro il tempo da fare con la bici da crono?

Io tutte le crono le farei con la bici da crono, ma certo è che in questo caso l’aspetto del peso conta. E anche tanto. In totale di sono 12 chilometri di salita. Però resto fedele alla bici da crono. Le velocità non saranno basse e l’aerodinamica gioca un ruolo importante.

E allora ipotizziamo il setup che sceglierebbe Mattia Cattaneo…

Allora, bici da crono come detto, via la ruota lenticolare posteriore: monterei due ruote con profilo da 80 millimetri. Poi molto dipenderà dal vento, ma in questo modo risparmierei un po’ di peso. Noi avremmo anche il set da 64 millimetri, che hanno un rapporto tra peso e aerodinamica migliore. Lì si andrebbero a risparmiare anche 300 grammi rispetto ad una lenticolare.

E che rapporti useresti?

A vederla così e dopo averci fatto questa pedalata, direi una doppia corona 62-44 con l’11-30 dietro, però lo dico adesso. Bisogna vedere in quel momento come saranno le gambe dopo tre settimane di gara. Insomma non è una crono secca, ma inserita al termine di un grande Giro e come detto è pure dura. In salita bisognerà spingere forte. Le differenze di velocità potrebbero essere elevate, specie dove è più pedalabile. 

Ruota lenticolare sì o no? Questo è il dubbio di Cattaneo
Ruota lenticolare sì o no? Questo è il dubbio di Cattaneo
Se c’è da spingere così tanto, come mai non pensi ad un 11-34 così da lavorare meglio con la corona da 62 in salita?

Ammesso che comunque si potrebbe optare per ogni combinazione, di base non sono un super amante della cassetta 11-34, ci sono salti troppo elevati. Io poi uso molto i rapporti centrali, proprio per avere sbalzi minori tra un dente e l’altro. Ormai in generale se le salite non sono troppo dure non uso neanche la corona da 40 ma resto sul 54. E infatti in quei salti dei pignoni più alti mi farebbe comodo un 25 (mentre le cassette Shimano fanno 24-27, ndr).

Mattia, quanto potrebbe durare questa crono?

Per me sui 40-45′, ma onestamente è una stima grossolana. Non so quanto realmente si andrà forte sulla salita . Quando siamo andati io e Remco venivamo dalla Parigi-Nizza e la gamba era un po’ stanca, quindi non l’abbiamo fatta forte.

E la pioggia potrebbe incidere?

Semmai più il vento. Come ho detto la discesa è veloce e le strade sono larghe: una eventuale pioggia non dovrebbe incidere così tanto.

Copeland, alla presidenza dell’AIGCP per cambiare tutto

03.04.2024
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E’ notizia di pochi giorni fa che l’Associazione Internazionale Gruppi Ciclisti Professionisti ha cambiato completamente i suoi vertici. Dopo tre anni di guida, il team manager della Visma-Lease a Bike Richard Plugge non si è ricandidato per la presidenza e questa è passata per un nuovo triennio (forse, e vedremo perché) a Brent Copeland, titolare del Team Jayco AlUla. Con lui è cambiato tutto il comitato direttivo, ora composto da esponenti di Team Dsm-Firmenich, Arkea-B&B Hotels, Cofidis, Movistar, Uae Team Emirates e Israel Premier Tech.

Al di là dei nomi, è chiaro come un direttivo simile sia “figlio” delle forti polemiche legate al progetto One Cycling, la superlega ciclistica che lo stesso Plugge insieme ad altri team di primo piano del mondo WorldTour vorrebbe fortemente realizzare. Ora l’Associazione ha ai vertici team che non vogliono far parte di quel progetto, che non condividono i principi alla sua base.

Richard Plugge, presidente uscente, principale fautore del progetto One Cycling
Richard Plugge, presidente uscente, principale fautore del progetto One Cycling

«Abbiamo tanti punti da affrontare in questo triennio – spiega il manager sudafricano – per noi l’obiettivo primario è creare un clima di unità nel mondo dei team professionistici. Oggi non c’è solo una divisione fra le varie classi, ma anche allo stesso interno del WorldTour, noi dobbiamo trovare dei punti d’incontro. Un’associazione unita negli intenti è l’unica che possa presentarsi al tavolo con gli enti che si riferiscono a noi, ossia l’Uci in primo luogo ma anche l’Aso o la Rcs, organizzatori delle grandi corse. Il progetto One Cycling non ha aiutato in tal senso, creando spaccature che non fanno bene al nostro movimento».

Che cosa del progetto One Cycling salveresti e che cosa invece non ti piace?

E’ una domanda alla quale non posso dare una risposta esauriente per la semplice ragione che io come molti altri ho partecipato solo alla prima riunione. Ho visto subito che le idee alla base non erano chiare e che i presupposti erano sbagliati, quindi mi sono tirato fuori e altri hanno fatto lo stesso. Dietro l’idea della Superlega ci sono 5-6 team che, per quanto grandi, non sono rappresentativi del movimento.

Con Lappartient, presidente Uci, Copeland vuole collaborare nel reimpostare l’attività
Con Lappartient, presidente Uci, Copeland vuole collaborare nel reimpostare l’attività
Non è un caso però se prima nel comitato direttivo c’erano proprio rappresentanti di alcuni di quei team, ora è tutto cambiato…

E’ vero, ma questo non è successo per fattori strettamente legati a One Cycling. Noi abbiamo un programma che non parte dal contrastare la Superlega, bensì dal riunire le varie forze ciclistiche sulla base di un progetto. Senza di esso è inutile sedersi a un tavolo per parlare con i nostri referenti di regole, di calendari, di diritti televisivi. Noi poi dobbiamo avere ben chiaro un punto: l’AIGCP non deve entrare nella parte commerciale del ciclismo, non è un tema che ci compete.

E’ pur vero che se vi presentate al tavolo per parlare di calendario, ciò ha un influsso economico. La Superlega calcistica voleva sostituirsi alle federazioni per gestire l’attività, voi invece siete sempre dell’opinione che sia l’Uci a dover curare il calendario?

Sì, ma con il nostro contributo. Noi dobbiamo farlo avendo chiara l’idea che dobbiamo procedere insieme al massimo organo per progettare il ciclismo del futuro. Il calendario va rivisto, questo è certo, ma dev’essere un processo condiviso perché non è assolutamente facile cambiare.

Le Classiche Monumento (qui il Fiandre) devono essere sempre più i cardini della stagione
Le Classiche Monumento (qui il Fiandre) devono essere sempre più i cardini della stagione
Da più parti si levano voci per trovare eventi che “impongano” la presenza di tutti i più forti, un po’ come avviene nei tornei del Grande Slam di tennis. Sei d’accordo?

Noi gli eventi simili li abbiamo già, sono le Classiche Monumento e i grandi Giri, ma bisogna tener conto che le gare sono molto diverse fra loro ed è difficile che uno abbia caratteristiche che si adattino a ogni prova. Il paragone con il tennis però ha ragion d’essere: anche lì vediamo i grandi nei tornei principali e poi tantissimi altri tornei dove i big si sparpagliano e che sono seguiti molto meno dallo spettatore medio, non specializzato. Da noi è lo stesso: tantissime corse, che confondono le idee. Dobbiamo dare una nuova importanza alle corse del WorldTour: sono troppe, inflazionate, in contemporanea. Ogni Paese vuole avere la sua prova e questo penalizza il mercato.

Ricordi com’era la Coppa del mondo, con una maglia specifica?

Certamente, ricordo le vittorie di Fondriest e Bettini. Quella potrebbe essere una soluzione, ma di idee sul tavolo ne abbiamo molte. Consideriamo anche che il ciclismo si basa molto sulla tradizione, i cambiamenti vanno ponderati con attenzione. Il calendario in questo momento è un problema primario: noi come Jayco-AlUla in certi momenti abbiamo in attività tre squadre maschili e due femminili in contemporanea, questo dice che c’è qualcosa che non va perché il pubblico non riesce a seguire tutto.

Bettini primo alla Sanremo con la maglia di leader di Coppa del Mondo. Un format da recuperare?
Bettini primo alla Sanremo con la maglia di leader di Coppa del Mondo. Un format da recuperare?
Come fai a seguire l’Associazione con tutti gli impegni che hai nel team?

Questo è un altro aspetto fondamentale. Nelle riunioni prima delle elezioni io ho spesso detto, anche in maniera veemente che l’associazione doveva cambiare, che non ha senso che un team manager la presieda perché è evidente il conflitto d’interessi. Ma non c’era tempo per trovare un esterno. Noi però dobbiamo farlo, trovare un CEO o amministratore delegato fuori da ogni legame con qualsiasi team. Intanto dobbiamo trovare un consulente esterno per rivedere tutta la nostra attività, anche lo statuto stesso dell’associazione, porre nuove regole. Qualcuno che ci segua almeno per 3 mesi nella nostra gestione per capire, con occhi esterni, che cosa funziona e che cosa va cambiato. Io ho intenzione di ridisegnare questo strumento per renderlo al passo con i tempi che ci attendono e sono molto delicati.

Quel Fiandre stupendo è nato sul Teide. Slongo racconta

03.04.2024
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Fra i ringraziamenti di Elisa Longo Borghini dopo la vittoria del Fiandre, forse quelli più sentiti sono arrivati a Paolo Slongo, che la corsa l’ha vista in tivù dopo un allenamento di cinque ore sul Teide con alcuni ragazzi del gruppo Giro. Nella Lidl-Trek, il trevigiano si è calato con umiltà in un ruolo dietro le quinte che a giudicare dai risultati porta davvero ottimi frutti. Fu lui lo scorso settembre a fermare la piemontese dopo la terza tappa del Romandia e ad imporle lo stop più lungo della carriera. L’obiettivo era resettare un sistema in crisi a causa dei tanti intoppi e con il senno di poi si può dire che l’operazione sia andata a buon fine.

Tre Fiandre per Vdp, due per la Longo: una grafica celebrativa
Tre Fiandre per Vdp, due per la Longo: una grafica celebrativa
Che effetto fa sentirsi ringraziare a quel modo da una campionessa che ha appena vinto il Fiandre?

E’ stato un piacere, è il mio lavoro e lo faccio sempre con passione. Conosco Elisa da una vita e l’anno scorso ci siamo resi conto di dover recuperare la persona dopo un anno davvero sfortunato. Era partita benissimo, vincendo il UAE Tour. Poi aveva preso il Covid con la febbre altissima. Accelerammo perché fosse pronta per le classiche e, pur non al suo meglio, fece terza al Fiandre e seconda nella Liegi. Poi siamo andati al Giro, ha vinto una tappa e poteva giocarsi la classifica con la Van Vleuten, invece è caduta e il Giro è andato. Al Tour si andava pure bene, ma è venuto fuori il problema a quella ghiandola e a questo punto l’abbiamo fermata. Lei avrebbe voluto riprendere, ma sarebbe stato un inutile tirarle il collo.

Fermarsi è stata forse la parte più difficile…

A Elisa piace allenarsi, stare sulla bici. Dirle di fermarsi è parsa una bestemmia. Per fortuna il matrimonio e il viaggio di nozze l’hanno aiutata a uscire dalla solita routine e questo ha fatto sì che il sistema si sia resettato.

A dicembre continuava a dire di andare pianissimo…

Quando riprendi dopo così tanto tempo, sembra sempre di andare piano. Bisogna ricostruire un passettino alla volta. Davvero conosco Elisa da quando era junior, perché davo una mano a Rigato quando era alla Fassa Bortolo. Così a un certo punto le ho detto: «Devi fidarti fi me. E vedrai che andrai più forte degli anni scorsi».

E lei?

Si è fidata, anche se a volte mi mandava delle foto in cui si vedevamo valori bassini. Siamo ripartiti da tanti dubbi: «Tornerò più come prima?». E ancora una volta le ho detto di non pensare così tanto e alla fine sono arrivati i primi riscontri.

E’ vero che la vittoria del Fiandre è nata sul Teide?

Prima delle classiche eravamo quassù noi due. C’era anche la Niewiadoma con la sua squadra e anche Marianne Vos, ma noi ci siamo messi lì a fare il nostro lavoro da soli, ciascuno nel suo ruolo. Siamo innamorati di quello che facciamo e i risultati sono iniziati ad arrivare. C’era già un morale diverso. Il secondo posto alla Strade Bianche aveva detto che c’era, anche se mancavano dei pezzettini.

Pensavi che avrebbe potuto vincere il Fiandre?

Quando lavori bene, i risultati arrivano. E il Fiandre era perfetto come percorso e anche per il fatto che piovesse. Lei è come quello che allenavo prima (sorride alludendo a Nibali, ndr), ha grande fondo e si esalta con il brutto tempo.

Per Elisa Longo Borgini, che ha 32 anni, il Fiandre è stato la vittoria numero 42 della carriera
Per Elisa Longo Borgini, che ha 32 anni, il Fiandre è stato la vittoria numero 42 della carriera
La stagione scorsa così frammentata le ha in qualche modo tolto qualcosa?

Non credo, ha tenuto i suoi buoni livelli. A inizio anno, aveva già qualcosa più dell’anno precedente, ora manca un altro saltino. La cosa che fa piacere infatti è aver vinto, essere davanti sapendo che manca ancora un 10 per cento di condizione da trovare.

Elisa ha vinto il Fiandre nel 2015 e poi nove anni dopo: in cosa è cambiata?

Lei è rimasta forte, il ciclismo è cambiato. Sei sempre su una strada con una bicicletta e lei a 23 anni fece vedere di essere davvero forte. Nove anni dopo ha mantenuto la capacità di dominare le altre e l’ho trovato davvero molto bello.

La vittoria in volata era così scontata?

C’era un po’ di rischio. Io sono quassù e con noi c’è anche suo marito Jacopo (Mosca, ndr). Per cui siamo rientrati dall’allenamento in tempo per seguire la gara delle donne. Eravamo a tavola a chiederci perché mai non attaccasse. In realtà poi Elisa ci ha raccontato che Shirin Van Anrooij era stanca per aver lavorato tanto. Anche Niewiadoma faticava quando doveva passare a tirare quindi Elisa è andata alla volata davvero fiduciosa. E proprio sulla volata c’è un aneddoto.

La volata era un rischio, am questa volta Elisa l’ha lanciata con la certezza di vincerla
La volata era un rischio, am questa volta Elisa l’ha lanciata con la certezza di vincerla
Sarebbe?

Quando facevamo gli sprint sul Teide, per provocarla le dicevo di fare qualche best. E dato che non c’è mai riuscita, le dissi che ne avrebbe fatto qualcuno in gara. Ebbene, nei giorni prima del Fiandre, una delle attivazioni era fare anche delle volate e lei per due giorni consecutivi ha fatto il suo best in volata. Stava bene e la sensazione bella è avere ancora margine e la capacità di tenere questa condizione ancora per parecchio.

Elisa farà la Roubaix?

No, si resta fedeli al piano originario. E visto che l’obiettivo è fare bene alla Liegi, la Roubaix era una suggestione, ma la guarderà anche lei in televisione.

E tu invece ormai vivi sul Teide?

E’ parte del mio lavoro, corse in proporzione ne faccio davvero poche. Ora siamo qua con una parte del gruppo del Giro e non siamo in hotel, ma in alcuni appartamenti che sono stati sistemati per farci alloggiare gli atleti, visto che ormai non si trova più posto. Siamo in casa col cuoco e per avere la corrente bisogna accendere il gruppo elettrogeno. Una mezza avventura, ma si lavora bene. Torniamo giù il 14 aprile, poi vedremo cosa ci sarà scritto nel programma.

Al Recioto la “redenzione” di Pinarello che vince e cresce

02.04.2024
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L’ultima curva, ai 300 metri dall’arrivo, ci fa intravedere due maglie, quella della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè di Pinarello e quella di Pescador della GW Shimano. Nell’avvicinarsi allo sprint Pinarello, che parte secondo, prende il riferimento all’avversario e lo brucia. Ha anche il tempo di girarsi ai 25 metri per controllare e poi esplode nella felicità che tanto ha cercato. 

«Non vincevo da quando ero junior – dice Pinarello con ancora la fatica cucita addosso – è sempre bello passare per primo sotto la linea del traguardo, mi mancava. Il sapore della vittoria ha qualcosa di unico, per tanto tempo l’ho inseguito, compreso ieri al Belvedere, oggi sono tornato a gustarmelo».

Più forti, senza dubbio

Un titolo al plurale, perché oggi ha vinto Pinarello, è vero, ma il grande lavoro fatto dai compagni ha fatto da cornice alla sua bellissima prestazione. I Vf Group-Bardiani sono stati spesso davanti, poi negli ultimi chilometri anche i calabroni della Visma – Lease a Bike si sono messi a tirare per fare selezione. 

«Probabilmente – prosegue Pinarello – come vittoria vale anche qualcosa in più rispetto alle altre. Il Palio del Recioto, tra le internazionali è la più dura e quella di maggior importanza che c’è in Italia: 3.000 metri di dislivello in 140 chilometri sono davvero tanti, fanno capire quanto impegnativa sia. Oggi è servito rimanere molto concentrati sulla corsa rispetto al tenere le gambe fresche».

«La corsa è stata un lungo braccio di ferro tra noi e la Visma – Lease a Bike. Sulla salita finale loro hanno provato ad imporre il ritmo ma non era altissimo. Paletti si è messo in testa e ha spinto forte, facendo un bel danno in gruppo. Una volta in discesa ero indeciso se provare ad arrivare da solo oppure no, ma con il senno di poi è stato meglio restare con Pescador e giocarmi la volata. Sapevo di essere più veloce e così è stato».

L’abbraccio del pubblico per il veneto è stato fortissimo, tanta gioia per la vittoria di un corridore di “casa”
L’abbraccio del pubblico per il veneto è stato fortissimo

E’ ora di crescere

Alessandro Pinarello è arrivato al terzo dei suoi quattro anni previsti con la squadra di Reverberi. E’ arrivato quando appena passato da junior a U23, si è adattato, ha visto come si corre e lo ha messo in pratica. La sua crescita è stata graduale, impreziosita da alcune corse con i professionisti, che nel tempo sono diventate sempre più frequenti

Sia ieri al Belvedere, che oggi al Recioto, il vincitore è uscito dalla Settimana Internazionale Coppi e Bartali. 

«Sono partito molto bene quest’anno – ammette – fin dal Tour of Antalya (terminato secondo, ndr). Ho corso molto con i professionisti, visto che dopo la corsa turca sono andato all’Istrian Spring Trophy e alla Coppi e Bartali. Correre con i grandi è bello, stimolante e parecchio utile per crescere e avere un colpo di pedale diverso».

«Nei primi due anni qui – continua a spiegare – ho visto tanti miglioramenti, ma i più concreti sono arrivati questo inverno. Reggo meglio le corse lunghe e insieme al nutrizionista abbiamo lavorato sull’alimentazione. Ho perso qualche chilo e si vede in gara. Tutto è curato perfettamente».

Festa in casa

Oggi la squadra di Rossato ha fatto il diavolo a quattro, lavorando e rendendo la gara dura. Non si sono spaventati nel confronto con il resto del gruppo e hanno massimizzato il risultato. Durante la conferenza stampa di Pinarello è entrato anche Pellizzari. La squadra si basava sulle due punte di diamante. La vittoria è arrivata e questo è quello che conta.

«La gara – spiega il vincitore – era impostata per noi, ma senza un vero capitano designato. Nel 2023, qui, siamo arrivati secondo (Pellizzari, ndr) e terzo. Quindi eravamo appaiati nei ruoli. Pellizzari ha provato a fare il forcing, poi però l’occasione è arrivata a me».

Approfittiamo della presenza del compagno e gli chiediamo di fare lui una domanda a Pinarello. 

«Niente domande – dice un sorridente Pellizzari – solo i complimenti ad Alessandro che ha vinto meritatamente una bella corsa».

Il ciclismo paralimpico italiano ha trovato un nuovo tesoro: la pista

02.04.2024
6 min
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Nei giorni scorsi Rio de Janeiro ha ospitato i mondiali di ciclismo paralimpico su pista e la nazionale italiana è tornata a casa con un oro, un argento e 3 bronzi (nella foto di apertura della Fci). Un bottino sontuoso, considerando che la disciplina era sempre stata l’anello debole del movimento, pochissimo praticata e pressoché senza squilli. Qualcosa si era già visto lo scorso anno a Glasgow, ma si gareggiava in un contesto particolare, con tutte le discipline su due ruote concentrate in una sorta di “Olimpiade interna”. Questa volta no, tutti i fari dell’attenzione erano sul velodromo e sugli atleti paralimpici.

Perusini insieme a Claudia Cretti. Il tecnico azzurro ha costruito il settore quasi dal nulla
Perusini insieme a Cretti. Il tecnico azzurro ha costruito il settore quasi dal nulla

Tre anni per costruire una disciplina

Inoltre, dato da non sottovalutare, fino a pochissimi anni fa in Italia il ciclismo paralimpico era sinonimo di handbike e nient’altro. Tanti allori in quello specifico settore, niente nell’altro al punto che tre anni fa, ai Giochi Olimpici di Tokyo, non eravamo neanche presenti (e nel mondo paralimpico il ciclismo su pista è disciplina trainante, quasi al livello di atletica e nuoto).

Per questo i risultati ottenuti in Brasile hanno un peso enorme e Silvano Perusini, il cittì del settore ci tiene che venga messo in rilievo: «Non guardo solo al medagliere, ma anche alle prestazioni generali, ho visto tempi davvero di rilevanza internazionale. Poi è arrivato l’oro e non in una specialità qualsiasi, ma nel team sprint con i tandem, battendo la Gran Bretagna che di questo sport è un po’ il faro per tutti».

La squadra azzurra del team sprint, con Colombo, Bissolati, Meroni e Ceci
La squadra azzurra del team sprint, con Colombo, Bissolati, Meroni e Ceci

Cretti e il tandem già a Parigi

Non era, quello di Rio, un mondiale normale, perché arriva a pochissimi mesi dai Giochi Paralimpici di Parigi e quindi non solo dava punti fondamentali per le qualificazioni, ma era anche uno specchio di quel che ci poteremo aspettare.

«Ci presenteremo a Parigi non per fare comparsa. Intanto ci sarà Claudia Cretti che a Rio ha preso tre medaglie pur essendo lontana dalla miglior condizione per alcuni problemi e questo dà a lei e a noi molta speranza. Poi avremo Bernard e Plebani nel tandem che a Rio hanno preso un bronzo clamoroso. Anche perché è una coppia costituita da pochissimo. Non dimentichiamo che Plebani fino a poco più di un anno fa era nel gruppo di Villa, ha dovuto aspettare che decorressero i 12 mesi richiesti dall’Uci per il passaggio dal settore olimpico a quello paralimpico».

I due tandem oro nel team sprint con Bissolati e Colombo davanti, Ceci-Meroni dietro
I due tandem oro nel team sprint con Bissolati e Colombo davanti, Ceci-Meroni dietro

Tokyo 2020 senza azzurri al velodromo

E’ qualcosa per certi versi clamoroso, perché tre anni fa la nostra assenza nel velodromo, in un’edizione paralimpica considerata la migliore di sempre, fece comunque scalpore: «Siamo partiti da zero, non posso negarlo. Nel precedente quadriennio non c’era alcuna attività nei velodromi. Non c’era organico, non avevo niente in mano. Devo dire grazie alla Federazione e al Cip che si sono resi conto di come quell’assenza fosse una macchia nell’immagine dello sport italiano e mi hanno messo nelle migliori condizioni per lavorare. Negli ultimi 18 mesi si è investito molto, considerando anche che per colpa del Covid abbiamo avuto un anno in meno per lavorare. Ma non dobbiamo illuderci: anche se a Parigi ci saremo, abbiamo un lungo cammino da compiere.

Bernard e Plebani, in un anno sono arrivati sul podio mondiale e ora sognano Parigi
Bernard e Plebani, in un anno sono arrivati sul podio mondiale e ora sognano Parigi

Manca ancora un calendario

«Ora abbiamo un velodromo per lavorare, materiali, anche un budget seppur non cospicuo. Ma siamo anni luce lontani dalle altre Nazioni. Ai mondiali abbiamo portato gente che era alle prime armi in assoluto, non solo in ambito internazionale, ma proprio immersa in un ambiente completamente sconosciuto. E ci confrontiamo con nazioni dove c’è una tradizione pluridecennale. Per questo i nostri risultati sono clamorosi».

Perusini, pur facendo leva sull’entusiasmo e sulle speranze per Parigi, non dimentica dove si deve lavorare: «E’ fondamentale che si costruisca un calendario nazionale di gare. Noi non l’abbiamo e questa è una grave lacuna. C’è gente che non ha mai fatto gare di gruppo, senza alcuna esperienza, facendo leva solo sulla propria preparazione che in contesti del genere risulta quasi asettica. Da noi deve crescere la cultura paralimpica, abbiamo bisogno dell’impegno delle società, anche, anzi soprattutto nell’allestimento di eventi. Costruiamo una strada che porta ai grandi eventi. Allora le imprese di Cretti o Bernard-Plebani non saranno più isolate».

Per Claudia Cretti a Rio l’argento nello scratch e il bronzo nell’omnium e nell’inseguimento
Per Claudia Cretti a Rio l’argento nello scratch e il bronzo nell’omnium e nell’inseguimento

Il cammino verso Parigi

Che atmosfera c’era a Rio? «Pubblico ce n’era, ma è stato sicuramente molto diverso da quanto avvenuto a Glasgow. Lì avevamo un’attenzione mediatica straordinaria perché eravamo fianco a fianco con i grandi campioni del ciclismo. Questa volta l’impatto è stato più tranquillo».

Ora la mente è proiettata verso Parigi, ma il cammino è ancora lungo: «Abbiamo in programma due prove di Coppa del Mondo, a Maniago e Ostenda, poi verranno stilati i ranking definitivi e sapremo a quanti posti abbiamo diritto per tutto il ciclismo paralimpico. A quel punto con Pierpaolo Addesi che è il cittì della strada faremo le nostre scelte. E’ chiaro però che un podio iridato dà già un posto nella selezione azzurra e mi dispiace che il team sprint non sia fra le specialità previste a Parigi, meritavano quella chance. La Colombo ha appena 19 anni, anche Meroni è giovanissimo e con Bissolati e Ceci hanno subito trovato un connubio importante. Quell’oro è stato un capolavoro ed è lo specchio di dove possiamo arrivare se c’è collaborazione da parte di tutti».

Per la rappresentativa azzurra 8° posto nel medagliere vinto dalla Cina con 14 ori
Per la rappresentativa azzurra 8° posto nel medagliere vinto dalla Cina con 14 ori

Come a Tokyo, se non di più…

Finora l’Italia del ciclismo paralimpico è stata identificata con l’handbike. In che modo questa, non prevista a Rio, si presenterà al consesso olimpico?

«Dopo Tokyo abbiamo profondamente rivoluzionato la nazionale, immettendo nomi nuovi, molti giovani che hanno fatto esperienza come Pini e Testa già assiso sul massimo gradino del podio mondiale. Tanti elementi sono ancora “grezzi” nel senso che hanno poca esperienza, ma io dico che andremo a Parigi per puntare allo stesso obiettivo di Tokyo ma con la possibilità di fare anche di più».

EDITORIALE / L’UCI punta ai soldi, il ciclismo viene dopo

02.04.2024
5 min
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Vogliamo tornare sul tema del calendario frammentato e i campioni che si scontrano meno da un paio di anni, stando attenti che non sembri una battaglia di nostalgici contro il nuovo ciclismo che già c’è. Le considerazioni di Moreno Moser hanno scavato il solco. E’ un fatto, come dice il trentino, che i confronti diretti fra i grandi campioni siano sempre meno frequenti. Nelle corse a tappe (il Giro dei Paesi Baschi iniziato ieri è un’eccezione, con Roglic, Vingegaard ed Evenepoel, foto di apertura) e nelle classiche. Nell’ambiente pochi hanno potuto controbattere, perché le differenti scelte e le programmazioni mai precise come quest’anno sono sotto gli occhi di tutti.

La spaccatura invece si è registrata come spesso accade nel mondo dei social, in cui si sono isolati due partiti. Da un lato quelli che va bene così, perché ognuno sceglie il programma che gli pare e non possono farle tutte. Dall’altro quelli che li vorrebbero vedere più spesso come accade nel tennis, in cui i primi del ranking si incrociano svariate volte all’anno, vincendo e perdendo a seconda del periodo di condizione.

Lombardia 2004, Bettini conquista la terza Coppa del mondo davanti a Rebellin e Freire
Lombardia 2004, Bettini conquista la terza Coppa del mondo davanti a Rebellin e Freire

La Coppa e gli scarti

Un richiamo fatto da Moser ha tenuto accesa la fiamma sotto la pentola: il ricordo della Coppa del mondo che fino al 2004 proponeva dieci prove, con i corridori che potevano scartarne al massimo due. Dato che due erano quelle in Canada e non tutti amavano il viaggio o dato che non tutti amavano la Roubaix, la scelta era pressoché fatta.

Il risultato era che nelle grandi corse c’erano tutti o quasi. Non sempre al top, ovviamente, ma eri certo che corridori con caratteristiche simili si sarebbero sfidati nelle corse a loro più adatte. Andate a guardarvi gli ordini di arrivo e capirete di cosa si sta parlando. C’era in quel ciclismo una voglia di esserci superiore all’attuale. Il campione era consapevole che la sua presenza, ancorché non al top, dava consistenza alle vittorie degli altri. E poi quale vittoria era più bella di quella più insperata, venuta apparentemente per caso?

Premiazione UCI ProTour del 2005: Adorni premia Di Luca, primo vincitore
Premiazione UCI ProTour del 2005: Adorni premia Di Luca, primo vincitore

2005, nasce il ProTour

Il 2005 è stato l’anno della svolta nel ciclismo: chi c’era lo ricorda bene. L’UCI introdusse il ProTour, con uno slogan sottoscrivibile in qualsiasi momento: i migliori corridori nelle corse più grandi. Via la Coppa del mondo, largo al nuovo, che però non ha mai funzionato e negli ultimi anni sta funzionando sempre meno. Si passò dalle 10 gare di Coppa alle 28 del ProTour, con l’impossibilità evidente di prendere parte a tutte. Negli anni sono cambiati la formula, il nome che ora è WorldTour e il numero di prove, salite a 35. Come si fa a riconoscere in questa frammentazione quel primo slogan? I migliori corridori nelle corse più grandi è ormai un dire privo di senso, dato che non è mai stato imposto un vincolo di partecipazione.

Alla base non c’è solo la voglia di allargare il ciclismo ed esportarlo in angoli remoti del mondo: non sono le due corse australiane di gennaio e quella cinese di ottobre a giustificare l’esplosione del calendario. Alla base c’è soprattutto la voglia di fare cassa. Una corsa di un giorno che voglia essere ammessa nel WorldTour, deve sborsare quasi 100 mila euro: 10 mila euro a fondo perduto per fare la richiesta, quindi avrà una tassa di calendario per 32 mila, contributo alla lotta al doping per il 24,73 per cento del montepremi e il montepremi di 40 mila+11,82 per cento. Ben altro regime rispetto a una gara 1.1 dello Europe Tour in cui si pagano 4 mila euro di safety manager, 1.500 di corso per 2 persone, 16 mila euro montepremi e il contributo per la lotta al doping ancora in percentuale rispetto al montepremi.

Stando così le cose, è credibile che l’UCI riduca le prove del calendario per favorire i confronti sportivi fra grandi atleti?

Sul podio del Fiandre, Van der Poel con un grande Mozzato e con Politt. Nel 2023 c’erano Pogacar e Van Aert
Sul podio del Fiandre, Van der Poel con un grande Mozzato e con Politt. Nel 2023 c’erano Pogacar e Van Aert

Non si torna indietro

Non si tornerà mai indietro, questo è chiaro. Allo stesso modo in cui difficilmente il campionato di serie A tornerà ad essere giocato soltanto la domenica. Finché c’è una produzione televisiva che copre di soldi federazioni e squadre per avere spettacolo ogni giorno, è chiaro che le partite si vedranno lungo tutta la settimana, con buona pace per la programmazione e la preparazione.

E’ lo sport professionistico 3.0, quello in cui i soldi hanno definitivamente preso il sopravvento sugli atleti. E gli atleti, che stupidi non sono, si tutelano come meglio credono con il sostegno di manager che intendono proteggerne l’integrità allargando a dismisura gli organici per arrivare dove si deve. Sapete se e quando ci sarà la svolta? Quando una produzione televisiva inizierà a coprire di soldi le federazioni e le squadre per avere i corridori più forti nelle gare più grandi, che nel frattempo non sono più soltanto 10. A quel punto, poveri corridori, non avranno più scampo. E andranno alle corse perché costretti e non perché nel frattempo sarà stato creato un ciclismo che li rispetti e rispetti i punti fermi di questo sport.

Alzini-Thomas, un caffè sul lago, parlando della Look

02.04.2024
9 min
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Una mattinata con Martina Alzini e Benjamin Thomas, atleti dell'Equipe Cofidis, cercando di capire in che odo abbiano personalizzato le loro Look 795 Blade RS. Differenze nella scelta delle ruote, soprattutto, e delle regolazioni. Tutto da leggere e seguire.

DESENZANO DEL GARDA – Martina Alzini e Benjamin Thomas stanno insieme da dopo il Covid e vivono da queste parti, in un paesino fra il Garda e Montichiari, che per entrambi sono teatro di allenamenti. Entrambi iridati su pista (cinque volte lui fra omnium, madison e corsa a punti; una lei nell’inseguimento a squadre) dal 2022 corrono anche nella stessa squadra, l’Equipe Cofidis, sulla stessa bici Look. Scherzando, chiedemmo a lei come facessero a non confondere maglie e calzini nei rispettivi cassetti.

Oggi siamo tornati con la curiosità di scoprire in che modo abbiano declinato le scelte tecniche sulla stessa bici: la Look 795 Blade RS in uso alla squadra, che Thomas ha contribuito a sviluppare. In queste settimane che conducono alle Olimpiadi di Parigi, le scadenze sono serrate, per cui non è semplice trovarli entrambi a casa. Un tavolo e un caffè ai margini del mercato sono l’occasione per una sorta di dialogo a due su questo tema. Una reciproca intervista in cui due atleti professionisti hanno parlato per quasi mezz’ora del loro strumento di lavoro.

La stessa bici per Alzini e Thomas, la Look 795 Blade RS
La stessa bici per Alzini e Thomas, la Look 795 Blade RS

Rigida e leggera

ALZINI: «Allora Ben, da quanto tempo hai iniziato a usare questa bici? Soprattutto sappiamo che sei stato uno degli atleti che ha lavorato allo sviluppo del telaio e dei materiali...».

THOMAS: «Sì, è già dall’estate 2022 che proviamo questo telaio. I primi test sono stati soddisfacenti. Mi sono sentito subito bene e ormai la uso in gara da due stagioni. All’inizio ha debuttato come prototipo adesso abbiamo la versione finale ed è una bella bici da gara».

ALZINI: «Quali sono le differenze rispetto alle bici che usavi prima, in cosa è diversa?».

THOMAS: «La prima cosa è che è una bici molto reattiva e leggera. Quando ti alzi sui pedali, la senti andare avanti, soprattutto in salita. E poi dà una sensazione di comfort nelle discese, senti di avere una bici veloce, ma anche precisa in frenata e manovrabilità. Volendo usare tre qualità per descriverla, parlerei di leggerezza, rigidità e reattività. A te invece cosa sembra?».

ALZINI: «Penso la medesima cosa, però per quanto riguarda la discesa. Rispetto alle bici che ho utilizzato nelle precedenti stagioni (Alzini ha corso alla Valcar con Cannondale e al primo anno in Cofidis con De Rosa, ndr), questa mi ha colpito subito perché nelle discese ha veramente una grande reattività, che a me interessa anche più della leggerezza. La bici deve andare dove dico io, deve schivare una buca, un ostacolo all’ultimo, deve reagire al millisecondo. Poi c’è da dire un’altra cosa. Secondo me nella guidabilità di una bici fanno tanto anche le ruote e per me Corima con Look è veramente una bella combo. Certo ora conta tutto: la scelta del pneumatico, la ruota, il telaio, però secondo me queste ruote sono davvero in sintonia col telaio».

Quali ruote?

THOMAS: «Telaio e ruote sono stati sviluppati insieme, dato che Corima e Look fanno parte dello stesso gruppo. Quindi è vero che un certo tipo di bici va con certe ruote e queste si abbinano bene. Sia quelle da 47 mm che uso in allenamento, sia quelle più alte da 58 che sono davvero una bomba in discesa e anche in pianura. Quelle da 47 passano dovunque, sono ruote complete». 

ALZINI: «Io penso che le 47 sono quelle che scelgo nel 99 per cento delle gare, perché non sono super alte come le 58. Specie quando sei in Belgio e hai tanto vento laterale e senti l’impatto. Danno anche una bella inerzia, che magari con le 32 non avviene, anche se pesano qualcosa in meno».

THOMAS: «Le 32 le usano di più gli scalatori, quindi io non le ho mai usate (sorride, ndr). Poi c’è anche da dire che con queste ruote da 47 o le 32 la bici si avvicina a un peso quasi sotto i 7 chili, quindi una bici molto competitiva su tutti i terreni. E’ all’altezza dei migliori telai nel mondo, è una bici da gara».

Alzini Thomas 2022
Matina e Benjamin sono entrambi pistard di altissimo livello: entrambi ora puntano su Parigi 2024
Alzini Thomas 2022
Matina e Benjamin sono entrambi pistard di altissimo livello: entrambi ora puntano su Parigi 2024

La posizione in sella

ALZINI: «Ti è venuto facile trovare la posizione in sella?».

THOMAS: «E’ stato importante regolare bene il posto di pilotaggio…».

ALZINI: «Che cosa?».

THOMAS: «Il posto di pilotaggio, come dite in italiano le post de pilotage? Dico manubrio, che è meglio (ride, ndr). E’ stato importante trovare la giusta misura dell’attacco, perché poi una volta trovata quella, la posizione rimane fissa. Io l’ho cambiata due volte durante la prima stagione, fino a trovarmi bene. E tu l’hai trovata subito bene?».

ALZINI: «Questa cosa che il manubrio e l’attacco non sono integrati, nel senso che non sono un unico pezzo, mi ha aiutato parecchio. Puoi tenere la stessa larghezza, ma cambiare la pipa. Questo mi è piaciuto molto, specie in inverno le prime volte che provavo la bici. Non sei mai sicura al 100 per cento e mi ha aiutato molto fare varie prove mantenendo la larghezza della curva. E’ questo che mi piace rispetto ai manubri totalmente integrati».

THOMAS: «E comunque, anche se in due pezzi, lascia una bella impressione di rigidità. Io lo trovo molto reattivo anche in volata, quando ti alzi e lanci una volata, non senti il manubrio che balla. E’ subito rigido e puoi trasmettere tutta la forza».

Nuovi pedali in arrivo

THOMAS: «I nuovi pedali Look sono stati presentati pochi giorni fa e penso che li useremo già alla fine dell’anno su qualche bici, per provarli in gara. E poi penso dall’anno prossimo li useremo tutti e ci daranno un bel guadagno di peso di circa 80-100 grammi rispetto ai sensori di potenza integrati nella pedivella. Quindi ancora un piccolo guadagno per avvicinarsi a quel limite di 6,8. La cosa trovo interessante di questi pedali, però, più che la leggerezza è la rigidità. Io adoro che il pedale sia il più rigido possibile, devo sentire sempre il minor gioco possibile».

ALZINI: «Anche io nei pedali cerco la rigidità. Ancora prima della leggerezza, la cosa che guardo è che quando decido di spingere a fondo sui pedali, magari nel fare uno sprint o un rilancio, devo avere una risposta immediata. Ci deve essere il minor gioco possibile e mi piace veramente la possibilità di chiuderli del tutto. Magari all’inizio quando lo sganci lo senti un pochettino più duro, specie all’inizio, però ci si abitua a tutto e io preferisco così, in modo da avere una reazione istantanea. Invece ci sono mie compagne, specie le scalatrici, che preferiscono una risposta un po’ più soft. Loro magari hanno il pedale impostato a metà della rigidità, io invece stringo tutto, come gli sciatori in discesa. Ma visto che prima si parlava di ruote e coa ti pare del comfort di questa bici?».

Comfort e test

«Io uso al 99 per cento le ruote 58 rispetto a te, anche su percorsi duri, magari con 3.000 metri di dislivello. Non guardo molto le differenze di peso in salita, a me piace di più andare forte in pianura, recuperare il tempo nelle discese. Con le 58 magari perdi un po’ sulla salita, ma recupero il triplo nella discesa o dopo nei tratti di pianura. Mi piace avere la bici più rigida possibile e con le ruote da 58 mi trovo bene. E poi sono quelle che rispondono meglio in volata e con gli pneumatici da 28 trovo anche un discreto comfort. Non sento tutte le buche e non ho di schiena. Posso fare anche 5-6 ore su strade brutte e tornare a casa senza senza avere male dappertutto. Questo è importante perché la bici è rigida, ma è stata sviluppata per essere più confortevole. Ricordo che quando nel 2022 facevamo i test con Look, mettevamo dei sensori sotto la sella, la forcella e il manubrio per valutare le vibrazioni causate dalla strada».

ALZINI: «Che cosa veniva fuori?».

THOMAS: «Vedevamo che la bici aveva diverse rigidità di telaio e abbiamo scelto quella più rigida, ma anche con meno vibrazioni, che è molto importante. Passiamo quasi 25-30.000 chilometri all’anno sulla bici, è importante che non ci provochi problemi. Questo è un parametro su cui gli ingegneri di Look hanno molto ragionato e alla fine ci ritroviamo con una bici confortevole anche per amatori che non vogliono usarla in competizione, ma anche solo per farsi qualche girata. E comunque, come dicevi anche tu, se parliamo di comfort bisogna considerare anche le gomme.

Alzini e Thomas vivono nel bresciano, fra Montichiari e il lago di Garda
Alzini e Thomas vivono nel bresciano, fra Montichiari e il lago di Garda

Copertoncini e camera d’aria

ALZINI: «Io qui adesso ho dei 28 con camera d’aria, ma in gara usiamo i tubolari e non i tubeless, anche se qualcuno li ha testati. Nel 99 per cento delle corse, noi donne usiamo uno pneumatico da 25, qualcuna il 28 nelle classiche. Lo standard è il 25 con il bordo beige, perché appunto è stato testato che dia la resa migliore in abbinamento a queste ruote. Invece in condizioni di pioggia, anche se scorrono meno, usiamo uno pneumatico tutto nero. Magari nei tratti dritti e in pianura ti può sembrare che renda meno proprio in termini di watt, ma senti la differenza specie in curva. Ti puoi permettere di frenare un secondino dopo, che in una gara a volte fa la differenza. Specie quando devi rimontare o devi prendere una determinata curva per forza in testa, sempre nei limiti della sicurezza. Con il copertone nero, ha lo stesso grip di quando la strada è asciutta».

THOMAS: «Restando sempre sul discorso dei copertoni con la camera d’aria, usiamo il 28 con le camere d’aria latex. Pesano meno e rendono di più. Nei test che abbiamo fatto, sono meglio del tubeless che al momento sono l’ultima tendenza del mercato (oltre a queste considerazioni tecniche, risulta che la Cofidis non utilizza pneumatici tubeless perché le ruote Corima non sono ancora state sviluppate in modo adeguato, ndr)».

Trasmissione Shimano

ALZINI: «L’anno scorso, passando da De Rosa a Look, siamo passati anche da Campagnolo a Shimano. Tu che rapporti usi?».

THOMAS: «Io faccio una scelta abbastanza classica, con il 54-40 davanti e dietro 11-30 oppure 11-34 per le tappe di montagna. Poi possiamo anche mettere rapporti da 55-56 per gli sprinter o quando c’è una tappa con vento a favore. E’ interessante anche la possibilità di variare la lunghezza della pedivella senza doverla cambiare. Grazie al meccanismo di Look, possiamo passare da 170, 172,5 oppure 175. Io le uso da 172,5 e 170 a crono, basta ruotare l’eccentrico su cui è inserita la boccola filettata e varia anche la lunghezza della pedivella».

Adesso è tempo di iniziare l’allenamento. Per Ben, che vive sul lago da prima del Covid, la giornata prevede riposo: il prossimo obiettivo è il Giro d’Italia. Ma la giornata di sole e la necessità di fare qualche foto autorizzano un piccolo strappo alla regola. Martina in questi giorni fa avanti e indietro fra la strada e la pista. Manca poco alla Nations Cup su pista di Milton, poi l’avvicinamento a Parigi 2024 entrerà nel vivo. Lei dice un gran bene della nuova Pinarello per gli inseguitori, lui scherza dicendo che le bici francesi sono migliori. E così, ridendo, si allontanano lungo la sponda bresciana del lago. La loro stagione sta entrando nel vivo, lo spirito è quello giusto.

Koppenberg a piedi e il ciclismo moderno va ko per qualche istante

02.04.2024
5 min
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OUDENAARDE (Belgio) – Biciclette di traverso. Piedi a terra. Corridori che spingono la bici camminando. Un grande groviglio. Il Koppenberg ha regalato quest’immagine di altri tempi. E la cosa ha colpito non poco. Nel ciclismo super moderno, vedere certe immagini è parso quanto mai insolito. E’ stato tutto molto inaspettato.

«E’ vero – spiega Vincenzo Albanesesembrava un’immagine di altri tempi. Ci ho pensato anche io mentre ero lì nel mezzo e camminavo a piedi. Credo sia stato bello da vedere. Se ci si arrabbia? No, quale arrabbiati. Alla fine eravamo tutti nella stessa barca. Ma salire con quel fango era difficile, in quanto era davvero scivoloso».

Tip tap sul Koppenberg

Il Koppenberg è stato inserito nel 1976 e a transitarvi per primo, manco a dirlo fu Eddy Merckx, poi per alcuni anni fu depennato dalla lista della Ronde. Dai primi degli anni 2000 è stato reintrodotto. I suoi dati: 600 metri di lunghezza, 77 metri di dislivello, 11,2 per cento di pendenza media e 22 di massima. Il suo pavè è marcato, quindi non filante. In più nel tratto più ripido è stretto da tra due cunette ripide che aumentano l’umidità e la scivolosità del fondo.

Di solito si sentono le bici che “risuonano” sul pavè e il fiatone degli atleti, stavolta invece era tutto un ticchettio di tacchette. Sembrava quasi un palco di ballerini di tip tap.

In effetti ad un certo punto del pomeriggio sul Giro delle Fiandre si è abbattuto dapprima un grande scroscio di acqua, seguito da una lunga, fitta e costante pioggerellina finissima. Tutto era diventato scivoloso, una vera patina. E dei rigagnoli di fango colavano sul suo pavè.

Giorgia Bronzini, ci aveva avvertito prima del via delle donne, quando ancora splendeva il sole: «Il percorso è già scivoloso di suo (era piovuto anche nei giorni precedenti, ndr) ed è prevista acqua nel pomeriggio». La sua previsione era azzeccata.

Solo in tre 

E così quando al chilometro 226 di gara il gruppo si presenta sul più ripido dei muri, succede il “fattaccio”. Van der Poel e gli altri big iniziano a sbandare. In particolare si è visto l’iridato svirgolare più di qualche volta con la posteriore. A quel punto da buon crossista, Mathieu si siede. Sembra quasi rallentare, addolcire la pedalata per favorire la trazione. E intanto va a alla ricerca di una traiettoria tutta sua.

Qualcosa di simile fanno anche Matteo Jorgenson e Mads Pedersen. Loro tre sono gli unici a non scendere mai di dalla bici.

La scalata di Pedersen è la più interessante da analizzare e vi spieghiamo perché.

A fine gara, il danese ha dichiarato di sentirsi potente, ma al tempo stesso di non avere grande feeling con la salita. E proprio su quelle pendenze ha sfruttato la sua potenza, nonostante fosse stato ripreso poco prima. Altra considerazione: Mads aveva il 43 come corona anteriore più piccola, contro il 41 di VdP e Jorgenson.

La “coppia” di potenza erogata da Pedersen era dunque più bassa e pertanto migliore in quel frangente. E infatti nonostante sia stato uno dei tre a scalare il Koppenberg in bici, poi si è andato spegnenfo.

«Sul Koppenberg – ha detto VdP – abbiamo visto le immagini del passato e del caos che si crea quando è bagnato. Anche grazie alla gara di ciclocross che si corre lì, sapevo quanto è fangoso quel tratto. Sapevo anche come comportarmi quando la ruota posteriore ha iniziato slittare. E anche per questo immaginavo che sarebbe stato un punto cruciale».

Insomma, scene che si vedevano una volta sul mitico Grammont. 

Van der Poel, Jorgenson e, mentre fa zig zag, Pedersen. Sono stati gli unici del gruppo di testa a scalare l’intero Koppenberg in sella. Dietro erano appena rimontati
Van der Poel, Jorgenson e Pedersen. Sono stati gli unici del gruppo di testa a scalare l’intero Koppenberg in sella. Dietro erano appena rimontati

Tra antico e moderno

Scene da Grammont dunque e il pubblico impazzisce. Si è parlato molto sui social di questo Koppenberg a piedi, esaltandone lo spirito pionieristico, ma con i campioni di oggi.

Gomme e cerchi larghi, telai più performanti contro le vibrazioni, pressioni più basse… Tutto ciò non è stato sufficiente per non scendere di sella. «Eh ma – chiosa Trentin – con quel fango e quella pioggia anche con le gomme più larghe ci si faceva poco. Servivano le chiodate per salire!».

«Quanti corridori sono saliti in bici?», ci chiede Matteo. Noi gli rispondiamo che solo in tre ci sono riusciti. «Solo in tre – replica lui stupito – vedete… era difficilissimo. Senza contare che eravamo tutti parecchio al limite già».

La percezione è che i corridori non fossero arrabbiati di quanto accaduto. Forse perché sapevano che non avrebbero comunque vinto la corsa e che Van der Poel di lì a poco avrebbe spiccato il volo. O forse perché in un ciclismo così programmato un tocco imprevisto ci sta bene. Chissà…

«E’ stato un po’ frustrante – ha detto per esempio Lazkano – ma mi è davvero piaciuta questa corsa e questo tratto, i suoi tifosi e il suo pubblico. Voglio tornare l’anno prossimo».

Insomma eroi d’altri tempi. A mente fredda forse gli stessi corridori hanno provato un pizzico di compiacenza. Adesso avranno una storia in più da raccontare. 

Giro del Belvedere: Glivar ruggisce, ma l’Italia si fa sentire

01.04.2024
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VILLA DI VILLA – L’urlo di Gal Glivar rimbalza contro le nuvole basse e grigie che sovrastano l’arrivo del Giro del Belvedere (foto photors.it in apertura). Una volata potente, fatta con le ultime forze rimaste in corpo, con la strada che guarda un po’ all’insù e sfida le gambe a dare il massimo. Il corridore del UAE Team Emirates Gen Z batte un gruppetto ristretto di quindici atleti. All’interno del quale gli animi si mischiano, tra chi raccoglie più di quanto aspettato e chi, al contrario, ha da recriminare. 

«La corsa si è presentata dura fin da subito – racconta Glivarcon la pioggia e il freddo a far sentire ancora di più la fatica. L’asfalto bagnato ha indurito gli strappi di giornata, dove spesso mi trovavo con la ruota posteriore che slittava. Si è trattato di una gara a eliminazione, la selezione è arrivata con il passare dei chilometri. In volata ho dato tutto, non potevo fare altrimenti, è andata bene e porto a casa un bel risultato».

Glivar, al quarto anno under 23 è passato al UAE Team Emirates Gen Z a inizio stagione
Glivar, al quarto anno under 23 è passato al UAE Team Emirates Gen Z a inizio stagione

Corsa “pesante”

Glivar nell’arrivare al podio cammina con le gambe larghe, appesantite dalla corsa e dal meteo che ha bagnato le teste dei corridori per più di metà giornata. La maglia del team emiratino, sporca di fatica e pioggia, rimane una costante delle prime posizioni anche nelle gare U23. Un altro sloveno giovane, che va forte e vince. Anche se Glivar scherza un po’ con l’età.

«Sono all’ultimo anno della categoria under 23 – dice da sotto al palco delle premiazioni – quindi ho passato abbastanza tempo qui. Mi sento a mio agio, ho fatto tante esperienze che mi hanno permesso di crescere. Nel 2023 ho vinto due appuntamenti di Nations Cup con la maglia slovena, la mia crescita la considero graduale, ma a buon punto».

La fuga di giornata è stata caratterizzata dall’azione solitaria di Kevin Pezzo Rosola
La fuga di giornata è stata caratterizzata dall’azione solitaria di Kevin Pezzo Rosola

Altro step verso i grandi

Glivar all’inizio del 2024 è passato al UAE Team Emirates Gen Z, il devo team della squadra che domina, insieme alla Visma Lease a Bike, il ranking UCI.

«Correre con questa maglia – ammette – è stato un grande salto in avanti per me. Tutti noi ragazzi abbiamo la sensazione di far parte del team WorldTour. Lo staff ci tratta come se fossimo dei professionisti e questo aiuta a trovare un miglior colpo di pedale e una migliore condizione. Ho avuto modo di correre qualche gara con i professionisti già da inizio anno, si tratta di una possibilità in più che il team ci dà e fa parte della nostra crescita e della maturazione. Il mio obiettivo, come quello di tutti gli altri ragazzi in questa squadra, è quello di provare a fare il salto tra i grandi nella prossima stagione».

Crescioli è in crescita in questo inizio 2024, merito della nuova avventura con la Technipes
Crescioli è in crescita in questo inizio 2024, merito della nuova avventura con la Technipes

Crescioli “opportunista”

Completano il podio Alessio Donati (Biesse Carrera) e Ludovico Crescioli (Techinipes #InEmiliaRomagna). Sono loro quelli che hanno da gioire più di tutti. Anche se, quando sei così vicino al successo, non ti accontenti mai di essere il primo dei battuti. 

«Avevo capito fin da subito – dichiara Crescioli – che le salite brevi e dure, con le strade strette, avrebbero messo in difficoltà tanti corridori. Si è deciso, insieme alla squadra, di correre nelle prime posizioni, per evitare intoppi e fatica in eccesso. Infatti siamo rimasti subito in 60, ho corso di rimessa, cercando di rimanere agganciato ai primi. Una volta scollinato l’ultimo GPM mi sono posizionato al meglio per giocarmi le mie carte in volata».

«Passare al team Technipes – continua – mi ha permesso di crescere fin da inizio anno. Sto bene, sono migliorato parecchio e ho fatto già un paio di corse con i professionisti: Laigueglia e Coppi e Bartali. Proprio quest’ultima mi ha dato una bella gamba in vista delle gare under. Oggi la prima è andata bene, domani ci sarà il Recioto, poi arriveranno Milano-Busseto e Piva. Dovrei tornare a correre con i pro’ al Giro di Abruzzo».

Stessa bandiera, morali diversi

Gli italiani nelle prime dieci posizioni sono addirittura sette. Giù dal podio rimangono tra gli altri: Pinarello, quarto e Romele, quinto. Il ragazzo dell’Astana Qazaqstan Development è quello con il volto più scuro, sul Giro del Belvedere aveva messo una “X” grande…

«Ho visto poca collaborazione in gruppo – recrimina Romele – nei giri intermedi, quelli con lo strappo di Pian della Vigna. Il ritmo non era sostenuto, così ho voluto mettere i miei compagni davanti per alzare i giri e restare nelle posizioni importanti. Ho perso Reibsch, che avrebbe potuto fare un grande lavoro di ulteriore controllo. La gara da quel momento è un po’ impazzita ed è stato difficile gestirla. Ho notato che avevamo contro gran parte delle squadre in gara, ma ci sta, fa parte del gioco. Peccato, porto a casa un quinto posto che mi gratifica, ho provato a fare la corsa e di questo devo essere felice. Non rimpiango nulla, ho comunque fatto una prestazione da protagonista».