Ciccone: l’inizio al Romandia e i nuovi obiettivi della stagione

30.05.2024
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Il Tour de Romandie ha significato il rientro alle corse per Giulio Ciccone. Un inizio di stagione tardivo causato da un problema al soprasella che lo ha escluso dal Giro d’Italia, suo primo obiettivo del 2024. Finite le fatiche in terra svizzera è volato in Spagna, a Sierra Nevada, per fare un lungo blocco di lavoro in vista dei prossimi impegni. Lo scalatore abruzzese sarà prima al via del Giro del Delfinato e poi al Tour de France

«Sto bene ora – racconta Ciccone – sono stato in ritiro con la squadra e abbiamo fatto tre settimane intense di allenamento. Iniziare la stagione al Tour de Romandie è stato strano, non avevo mai cominciato così tardi a correre. Ma se ci pensate il calendario è ricco di impegni e da qui a settembre ci sono tante gare alle quali guardare con ottimismo».

Al Tour de Romandie è arrivato l’esordio stagionale per lo scalatore abruzzese
Al Tour de Romandie è arrivato l’esordio stagionale per lo scalatore abruzzese

Due ritmi differenti

In Svizzera erano presenti tanti corridori che sarebbero poi stati protagonisti al Giro d’Italia appena concluso come Arensman, Caruso e Alaphilippe. Oppure altri che andranno verso il Tour de France: Bernal, Vlasov e Simon Yates. Anche Ciccone punta alla Grande Boucle, ma per lui il Romandia era il primo passo, mentre per gli altri era l’ennesimo verso questo importante appuntamento. 

«Il Romandia – continua Ciccone – serviva per mettere insieme ritmo gara e condizione. Ovvio, ho fatto tanta fatica, ma non correvo da mesi quindi era prevedibile. In più il livello degli altri corridori era alto. Io ho preso l’impegno come un prosieguo degli allenamenti fatti in precedenza. Finito il Romandia sono andato alla Eschborn-Frankfurt dove la condizione era già più alta».

L’infortunio al soprasella lo ha fermato per tutto il mese di febbraio (foto Instagram)
L’infortunio al soprasella lo ha fermato per tutto il mese di febbraio (foto Instagram)

Ricominciare da capo

Lo stop subito da Giulio, a inizio febbraio, ha costretto il corridore della Lidl-Trek a ripartire da zero e ricostruire tutto il lavoro dell’inverno. Una cosa che mentalmente può abbattere anche gli atleti più motivati.

«Sono arrivato al Romandia con meno di due mesi di allenamento – riprende – fermarsi durante l’inverno ha azzerato tutto il lavoro fatto in precedenza. L’uno di marzo sono partito da zero e dopo qualche settimana sono tornato in gruppo. Si deve ripartire con le gambe, ma anche di testa. Non bisogna farsi abbattere dalla situazione anche se rimettere insieme i pezzi è difficile. Arrivare ad una condizione decente mi è costato fatica e impegno. Probabilmente questo è stato uno dei periodi più difficili, ma sono contento di come l’ho superato». 

L’anno scorso al Tour Ciccone conquistò la maglia a pois, proverà a difenderla?
L’anno scorso al Tour Ciccone conquistò la maglia a pois, proverà a difenderla?

Nuovi obiettivi

Con appena sette giorni di corsa messi insieme in questo 2024 Ciccone si avvicina alla seconda parte di stagione carico di aspettative, grazie anche al supporto della squadra.

«Il team – conclude – mi ha subito cambiato il calendario e i piani. L’avvicinamento al Tour è dei migliori e forse farò un calendario più intenso del previsto. Farò la Grande Boucle e a settembre la Vuelta, mentre con il programma iniziale avevo un solo una corsa a tappe di tre settimane: il Giro d’Italia. Ovvio che gli obiettivi cambiano, al Tour Thao sarà il capitano mentre io mi metterò nel ruolo del “jolly”. Porterò fantasia, ma sarò comunque a disposizione di Geoghegan Hart. Probabilmente avrò più spazio alla Vuelta, ma vedremo come mi sentirò durante la stagione. Dispiace aver perso il Giro, ma ora mi concentro sul Tour de France, che parte comunque dall’Italia. 

«Il Delfinato – che partirà domenica 2 giugno – sarà un po’ una sorpresa visto che è la prima gara in cui arriverò con una buona condizione e una preparazione mirata. Provo e testo con tanta curiosità, vedremo dove mi porterà».

Tre punti forti (e uno debole) di Pogacar a crono. Parola a Malori

30.05.2024
5 min
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In questo Giro d’Italia, Tadej Pogacar è andato fortissimo anche nelle crono e il “nostro” esperto in materia Adriano Malori, ex pluricampione italiano contro il tempo, ci aiuta ad analizzare l’evoluzione dello sloveno in questa specialità. Specialità che più di altre è quella dell’estremizzazione, della perfezione.

Nei 71,8 chilometri contro il tempo che ha proposto il Giro, Pogacar ha fatto vedere cose importanti che noi analizziamo appunto con Malori, il quale ha individuato tre aspetti principali. Aspetti che in vista del Tour de France ci dicono di quanto sia migliorato lo sloveno.

Secondo Malori, il vero punto di forza di Pogacar… è la la forza
Secondo Malori, il vero punto di forza di Pogacar… è la la forza

La muscolatura

«A me – sostiene Malori – quel che più ha colpito non è stata tanto la posizione, che secondo me ha ritoccato molto poco e resta sempre molto avanzato, ma proprio lui. La sua muscolatura. E mi ha colpito non tanto nella crono di Perugia, dove tutto sommato ha fatto il suo, gestendosi in pianura e dando tutto nella salita finale, ma in quella di Desenzano, una crono ben più veloce. Una crono per specialisti».


Quel giorno Pogacar è arrivato secondo alle spalle di Ganna, ma si è lasciato dietro passistoni e cronoman importanti come Thomas e Arensman che, al netto della caduta, gli sarebbe comunque arrivato dietro.

«In una crono così pianeggiate Tadej ha battuto Thomas che lo scorso anno era stato vicinissimo ad Evenepoel. Per fare questa prestazione serve potenza. Io Pogacar lo vedo più magro dell’anno scorso, ma anche con le gambe più muscolose, finalmente si vede “la curva del quadricipite”. Di certo ci ha lavorato. E infatti spinge rapporti più lunghi. Aveva il 62».

Materiali

Non è un segreto che la Colnago da crono andasse perfezionata. E in tal senso sia il clan del team che il costruttore hanno lavorato bene e a braccetto. Per esempio è stata alleggerita. Ma in una crono pianeggiante la componente peso non è poi così determinante. E anche sugli accessori non si è stati a guardare, basta pensare al casco, il Met (un lavoro che tra l’altro avevamo anche visto dal vivo).

«Questi grandi team – riprende Malori – spesso utilizzano dei materiali neutri, diciamo così, extra sponsor. E per me la ruota lenticolare che ha usato Pogacar non aveva scritte, pertanto posso presupporre non si trattasse dello sponsor ufficiale, Enve.

«Poi ricordiamoci che in generale, Pogacar ha fatto stravolgere le misure a Colnago, pertanto non stento a credere che anche a crono abbiano fatto grossi interventi. Ma sono interventi che con precisione conoscono bene solo nello stretto entourage».

Un grande passo avanti è stato fatto anche con il casco, il Met: sia nella zona anteriore che soprattutto in quella posteriore dove si scarica l’aria
Qui Pogacar quest’anno al Giro…

Posizione

Come detto, secondo Malori Pogacar non è intervenuto troppo sulla posizione (anche se è leggermente più chiuso con le mani, come se avesse alzato un po’ gli avambracci), tuttavia Adriano ci parla del suo stare in sella sulla bici da crono.

«Pogacar mi sembra più composto – dice Adriano – merito anche di una maggiore potenza. E poi il fatto che fino a che bisognava affrontare le tappe contro il tempo abbia fatto il defaticamento post tappa sulla bici da crono mi ha fatto riflettere. Aveva la necessità di “rinnovare” questa posizione perché secondo me lui paga un po’ il giorno dopo la crono».

E qui Malori apre un capitolo, molto interessante. Ecco il suo ragionamento: «Pensateci, lo scorso anno dopo la crono di Combloux dove sì le ha prese da Vingegaard, ma era comunque andato fortissimo, il giorno successivo è crollato.

«Quest’anno a Prati di Tivo ha fatto lavorare la squadra tutto il giorno e poi ha fatto “solo” la volata… vincendola. Al Giro non aveva Vingegaard o Roglic e si è salvato, ma quel giorno per me non era super sul piano muscolare e per questo non ha attaccato. Per me quindi lui soffre il passaggio dalla bici da crono a quella da strada, dopo uno sforzo così importante».

Già dalla prima tappa Pogacar ha iniziato a fare il defaticamento con la bici da crono
Già dalla prima tappa Pogacar ha iniziato a fare il defaticamento con la bici da crono

Un punto debole?

E qui un paio di considerazioni a dare manforte a questa tesi le aggiungiamo noi. Quelli di Prati di Tivo sono stati proprio i giorni in cui Pogacar era un po’ più nervoso. Inoltre, quel suo “non attacco” verso il Gran Sasso secondo diversi tecnici era proprio perché non fosse super come al solito. E questo aveva anche alimentato qualche timida speranza in quel momento. 

Poi però la fatica è aumentata per tutti, mentre lui essendo il più forte era il più fresco. Tra le altre cose il giorno di Desenzano dopo la crono Pogacar ha fatto defaticamento sulla bici da strada, non doveva più pensare a questo aspetto.

In vista del Tour questo è un “punto debole” (con due virgolette grosse così) da prendere in considerazione. Per fortuna sua, quest’anno in Francia la prima crono è seguita da una tappa impegnativa, ma non di montagna. Mentre la seconda segue le salite, ed è quella che chiuderà la Grande Boucle.

Che Giro social! Tadej vince anche online

30.05.2024
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Il Giro d’Italia che si è appena concluso si potrebbe dire essere stato uno tra i più belli di sempre, una di quelle corse che verrà ricordata come noi oggi ricordiamo, per esempio, le imprese di Eddy Merckx. Anzi, potremmo dirci più fortunati, perché nessuno degli splendidi momenti che abbiamo vissuto verrà mai dimenticato…dai social! Già, il Giro 107 è stato molto attivo sui social grazie a dei protagonisti che sanno il fatto loro davanti ai cellulari.

Il re del Giro

Come se la Maglia Rosa non gli bastasse, Tadej Pogacar sui social è stato il Re indiscusso di questo Giro. Non sono passati di certo inosservati gli aggiornamenti praticamente quotidiani che faceva sui suoi profili, associando canzoni rap che hanno subito messo le cose in chiaro.

Pogi alla seconda tappa, quando ha preso la rosa, cantava “Volevo fare il boss”. In maglia rosa pedalava sulle note della Pantera Rosa. Nel giorno di riposo si è dedicato “Fenomeno” di Fabri Fibra. Mentre dopo la vittoria a Bassano del Grappa si è dato a qualcosa di più classico con il celebre pezzo di Andrea Bocelli “Con te partirò”, a richiamare quanto epica fosse la sua vittoria.

Tra pose simpatiche sul palco e sorrisi smaglianti, ci ha fatto anche emozionare parecchio. «La borraccia Tadej, la borraccia!», gli urlava un piccolo tifoso, al quale ha poi passato (direttamente in mano) la borraccia fresca fresca di rifornimento, dalla quale non ha nemmeno staccato il gel. Assieme a quello tra Coppi e Bartali, questo è il passaggio di borraccia più bello della storia. Spensierato assieme alla sua Urska che bacia dolcemente sulla fronte, complice con Giulio Pellizzari con quell’occhiata d’intesa sul Monte Grappa, Tadej ha indubbiamente vinto anche il Trofeo Social.

Dopo la terza tappa, su Instagram foto e messaggio di Thomas: «Bravo Tadej, ti sei divertito, domani tappa tranquilla»
Dopo la terza tappa, su Instagram foto e messaggio di Thomas: «Bravo Tadej, ti sei divertito, domani tappa tranquilla»

Le provocazioni di “G”

Nessuno (nemmeno a dirlo) riesce ad eguagliare lo sloveno nemmeno da questo punto di vista. Ma sui social sono stati molti i volti che ci hanno fatti divertire.

Geraint Thomas, in ballo tra la seconda e la terza posizione in generale, ha lanciato diverse frecciatine. Dopo la terza tappa, quella dell’attacco di Fossano, scriveva: “Bravo Tadej ti sei divertito, domani però tappa tranquilla”. Nella tappa degli sterrati, quando Mister G è stato ripreso dalle telecamere con Tadej sulla sua ruota, ha chiesto al pubblico social: “Chi è l’impostore che ho a ruota?”.

Si sono divertiti anche alla Lidl-Trek, tra balletti pre-partenza sulle note degli ABBA e con uno scatenato fan club di Jonathan Milan. Grande protagonista anche il nostro Pippo Ganna, che ha dato il meglio di sé indossando il tricolore. Tra gli abbracci con la sua cagnolina, al siparietto con Luke Plapp dove chiedeva (gentilmente) a Tadej di rallentare cosicché potesse vincere la crono di Perugia.

Da Alaphilippe, una pizza per Maestri? Macché, dentro c’è la sua maglia
Da Alaphilippe, una pizza per Maestri? Macché, dentro c’è la sua maglia

Una pizza per Maestri

Hanno fatto il giro dei social anche le immagini di Giulio Pellizzari che gongola un po’ incredulo con in mano occhiali e maglia del suo idolo: (indovinate un po’) Tadej Pogacar.

Con il suo fascino tutto francese, Julian Alaphilippe è molto seguito sui social: a favore di camera ha portato in regalo, in un cartone della pizza, una sua maglia a Mirco Maestri, dopo l’avventura in fuga del giorno prima. Sui social l’hanno definito “leggenda”, e non potevamo esimerci dal ricordarvelo.

Menzione speciale per Andrea, il meccanico della Intermarche-Circus Wanty. Dopo l’epica spinta in gara per aiutare il suo corridore a ripartire, i social si sono divertiti a fargli spingere… qualunque cosa, anche Marcell Jacobs!

Momento social particolarmente apprezzato anche il primo giorno di riposo, dove corridori e squadre sono stati avvistati nella città partenopea tra golose pizze e pause gelato.

E’ stato anche il Giro d’Italia del pubblico, raramente così numeroso
E’ stato anche il Giro d’Italia del pubblico, raramente così numeroso

Il Giro del pubblico

Ma quindi, chi c’è sul podio social accanto a Tadej? Senza dubbio voi: il pubblico, i tifosi. Quest’anno il Giro d’Italia ha avuto un seguito incredibile di appassionati che si sono riversati sulle strade di tutta Italia anche sono per un saluto veloce alla carovana rosa. Tra striscioni, scritte e feste improvvisate lungo i percorsi, i veri protagonisti sono stati forse proprio i tifosi, che hanno indiscutibilmente contribuito a rendere questa edizione della Corsa Rosa unica e speciale. Ovviamente, documentando tutto sui social!

A Camerino con Pellizzari: un giorno di emozioni forti

30.05.2024
10 min
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CAMERINO – Lo sguardo abbraccia il mondo. La mattina si rischiara, dopo che l’alba ha coperto la campagna di un’insolita nebbia in quest’angolo silenzioso delle Marche. Pellizzari guarda giù, dopo aver raccontato la storia di un tunnel che collegherebbe la Rocca dei Borgia in cui ci troviamo con il castello dei Varano. Dice che quando erano bambini hanno provato a percorrerlo, ma di aver trovato una grata.

Si fanno quattro passi. Siete mai stati a Camerino negli ultimi otto anni? Era una città universitaria piena di vita, dopo il terremoto del 2016 è una città fantasma. Il centro è deserto, puntellato, ingabbiato, sfregiato. Fatti salvi pochi cantieri, è come se il tempo si sia fermato ai giorni del sisma. Tanta gente vive ancora nelle casette, altri se ne sono andati. Per questo quando Giulio ha attaccato sulle salite del Giro, è stato come se portasse nel petto anche il battito dei loro cuori. Glielo hanno detto martedì sera nella festa di bentornato, con una spinta d’animo che veniva da piangere. Erano quasi in 700 nell’Auditorium Benedetto XIII, intitolato al Papa che nel 1727 fondò l’Università di Camerino. E’ stato un incontro emotivo e dignitoso, con l’orgoglio marchigiano che si è sollevato sopra la difficile quotidianità.

Pellizzari ha corso un Giro a testa alta. Qui è secondo dietro Pogacar a Monte Pana, dietro Martinez
Pellizzari ha corso un Giro a testa alta. Qui è secondo dietro Pogacar a Monte Pana, dietro Martinez

Sveglia all’alba

Casa Pellizzari è una villetta divisa in due, che nell’altra metà ospitava il bed&breakfast di famiglia, ora occupato da una zia. Quando abbiamo mandato il messaggio per dire che eravamo arrivati, Giulio è sceso ad aprire con gli occhi di chi si è svegliato presto. Infatti alle 6,30 hanno suonato anche gli ispettori della Wada: quando entri nel gruppo di chi va forte, anche i controlli diventano più assidui. Un caffè farà bene ad entrambi. Il Giro d’Italia si è concluso da due giorni. Quando nella tappa di Roma abbiamo saputo che il martedì sera lo avrebbero accolto nella sua città, gli abbiamo chiesto di assistere e poi di fare due parole l’indomani. E’ tutto nuovo, aver incontrato la sua gente è stato un’esperienza inattesa.

«Beh, è stato emozionante – dice – non pensavo che fossero così tanti. Qua a Camerino ci conosciamo tutti, perché il paese è piccolino e tanti mi ricordano come il ragazzino che girava sempre in bici intorno alla città con gli amici. E ieri me l’hanno detto in tanti: “Allora era una cosa seria!”. E’ stato bello anche sentire questo…».

Il ragazzino che girava con la bici: eri così?

Sì, sempre. Facevamo le gare, partivamo da casa del mio amico Mirco, a 500 metri da qui. Andavamo in centro, ma qualcuno imbrogliava e prendeva le scale mobili. Poi scendevamo dalla Rocca e ritornavamo. Facevamo sempre lo stesso giro, sempre la gara: è stata così dai 7 ai 15 anni. In casa c’era una mountain bike, il mezzo più veloce per muoverci. Poi ogni tanto, quando finivamo giù in basso, le caricavamo nelle navette. Però solo quando c’era l’autista buono…

Massimiliano Gentili, il tuo padrino ciclistico, racconta che nella prima uscita con lui, a 16 anni, lo guardasti in faccia e poi scattasti…

E’ vero (sorride, e abbassa lo sguardo, ndr), è successo sulla salita di Trevi, vicino Foligno. Questa cosa di arrivare primo in salita ce l’ho sempre avuta, anche quando ero più piccolo e mi allenavo qua a Matelica. Volevo sempre fare la salita per scattare. La salita è quello che mi piace, il simbolo del ciclismo. Da bambino guardavo il Giro d’Italia, soprattutto con mio nonno Mario e con il mio amico Mirco. Mi ricordo il Giro del 2015 con Aru in maglia bianca, infatti i suoi cani si chiamavano Aru e Contador.

Il passagio in testa sul Passo Sella gli è valso il Trofeo Cima Coppi
Il passagio in testa sul Passo Sella gli è valso il Trofeo Cima Coppi
Martedì ti sei commosso al ricordo di tuo nonno…

Mario, detto Mariuccio (annuisce, ndr). Un signore accanto a me ha fatto un racconto su di lui: non volevo piangere, ma non ce l’ho fatta. Adesso gli anziani mi riconoscono come il nipote di Mariuccio e dicono che sarebbe orgoglioso di me. Ho scoperto al bar tramite amici che fosse un grande tifoso di ciclismo e suo padre anche più di lui. Gli assomiglio tanto. Quando nonna morì, andavo a dormire da lui e anche a tavola mangiavamo allo stesso modo. Strappavamo la carne col pane e mangiavamo pane e ciauscolo la mattina. Nonno se ne è andato nel 2015, l’anno prima del terremoto.

La gente, i tuoi compagni sanno che qui c’è stato il terremoto?

Ricordo che 3-4 mesi dopo, a mia madre è capitato di incontrare gente che le chiedeva dove si andasse per il centro. E lei doveva rispondere che il centro non c’era più. Erano passate poche settimane e nel telegiornale se ne era parlato anche parecchio…

Quei giorni ti hanno cambiato?

Se ci penso ora, magari non mi hanno cambiato, però mi dispiace non aver vissuto da grande lo splendore di Camerino prima che crollasse tutto. Il centro delle mie sfide in bici non c’è più. E allora penso alle nuove generazioni. Io potevo lasciare la bici per due giorni poggiata a un muro e trovarla ancora, oggi nel quartiere dei negozi che hanno costruito a valle non so se sia ancora così. Nel centro storico non passavano le auto, sotto ora c’è il traffico e non so se i bambini possono fare quello che facevamo noi.

Cosa ricordi di quei giorni?

Era mercoledì e io ero a casa di Mirco, praticamente ci ho passato l’infanzia. Stava venendo il temporale, così ho preso la bici per tornare che già cominciava a piovere. Nel parcheggio meccanizzato, quello con le scale mobili, le luci si accendevano e si spegnevano, c’erano tuoni e lampi. La sera eravamo qua e di colpo tutto ha iniziato a ballare. Due sono usciti da quella porta, uno si è messo sotto il tavolo, che era la cosa giusta da fare. In due siamo usciti dall’altra parte. Vedo diverse scene, una è quella delle coppe che cadono e si rompono. Subito dopo, la domenica, siamo andati con mia nonna a Bassano da amici di mio padre, però solo noi tre figli. Mamma e papà sono rimasti qui, perché giravano anche i ladri.

Nella ferramenta di Sandro Santacchi, a destra, covo dei ciclisti di Camerino
Nella ferramenta di Sandro Santacchi, a destra, covo dei ciclisti di Camerino

Il viaggio nel ciclismo

Il suo viaggio è iniziato a 16 anni, quando Massimiliano Gentili ebbe una visione e lo indicò come possibile corridore da corse a tappe. Glielo affidarono, riconoscendogli grande fiducia. «Suo padre Achille – raccontava l’altra sera l’umbro – è sempre stato presente, ma rigorosamente un passo indietro». Achille sorride e ringrazia, discreto e per questo elegante. Sa che i genitori possono essere un peso, così ha preferito lasciar fare, tenendo l’occhio vigile. Ed è stato così che crescendo, Giulio Pellizzari si è trovato catapultato fuori dalla dimensione ovattata e protetta di Camerino, per andare a scoprire il mondo.

I tuoi coetanei erano qui con la solita vita, mentre tu a 18 anni giravi già per aeroporti. Hai mai avuto paura?

Sì! Più che altro a 18 anni non avevo mai preso un aereo, per cui finché si girava con la squadra, non avevo problemi. Ma da solo era un’altra cosa, ho avuto le mie ansie. Oltre a tutte le esperienze, anche questa mi ha fatto crescere. Mi sono ritrovato da solo dall’altra parte del mondo, in un aeroporto immenso, con la borsa della bici e l’inglese un po’ così. Un po’ d’ansia ti prende. Però adesso ho imparato a gestire anche quello. I miei amici mi dicono: “Beato te che sei sempre in giro!”. E io gli rispondo: “Beati voi perché state a casa!”. Non c’è una via di mezzo. Girare il mondo fa tanto, fa crescere, però in certi momenti la vita di casa mi manca davvero.

Queste immagini hanno fatto storia: Pogacar regala a Pellizzari la sua maglia rosa a Monte Pana
Queste immagini hanno fatto storia: Pogacar regala a Pellizzari la sua maglia rosa a Monte Pana
Finalmente però sei arrivato a fare il Giro d’Italia…

E’ stato bello. Dopo il Tour of the Alps che è andato bene, il Giro diventava un banco di prova. Non volevo solo fare esperienza, volevo fare bene. All’inizio ero inquieto, perché tre settimane sono lunghe. Poi ho scoperto che diventa una routine e perdi anche il conto dei giorni. Solo a 3-4 tappe dalla fine, inizi a capire che sta per finire.

Hai vissuto giorni esaltanti e altri duri: come è stato correre per tre giorni con gli antibiotici in corpo?

Pesante, ti senti fiacco. Non riesci a spingere. Stare in gruppo non è mai facile, perché si va ogni giorno a tutta. Per fortuna l’unica partenza tranquilla del Giro è stata quella verso Francavilla in cui io stavo peggio e quindi mi sono salvato. Continuavo ad andare dietro e rientrare, andare dietro e rientrare. Per fortuna il giorno dopo si arrivava nelle Marche e mi sono ripreso, ma arrivare a Francavilla è stato davvero duro. Volevo mollare, ma mi hanno convinto a non farlo e devo dire grazie per questo. Una cosa che non ho mai raccontato è che nel riposo di Livigno, il giorno prima di fare secondo a Monte Pana, ho sognato che mi ero ritirato e il giorno dopo piangevo, pregando Roberto Reverberi che mi facesse rientrare in gara.

Giulio con la compagna Andrea Casagranda: trentina, anche lei atleta alla BePink
Giulio con la compagna Andrea Casagranda: trentina, anche lei atleta alla BePink
Il tuo amico Pogacar?

Prima del Giro, il sogno era correre con lui, adesso il sogno è staccarlo. Con calma, ovviamente, però alla fine se stacchi lui, vinci la corsa. La differenza fra me e lui è che lui è proprio un fenomeno, però un po’ mi rivedo nel suo modo di fare. Se avessi il suo motore, correrei allo stesso modo. Sempre per vincere. Alla fine, se uno ha le gambe… Corriamo per vincere, no? Ho letto un’intervista a Gianetti, ha detto che ci pagano per vincere ed è vero…

Come hai fatto a rientrare sulla fuga nel giorno del Grappa proprio a 100 metri dal GPM e prendere i punti per la maglia azzurra?

Ero partito per fare la gara, la squadra voleva che andassi in fuga. Io mi sentivo bene e sapevo che la fuga non sarebbe arrivata, quindi non volevo buttare via tutto. Però non ero certo che se mi fossi ritrovato con i primi venti, avrei avuto le gambe per attaccarli. Non sentivo bene la radio, perché prendeva poco e c’era tanta gente. Non sapevo quanto mancasse e nel dubbio sono partito a 3 chilometri dalla vetta. Alla fine tutti mi hanno chiesto come abbia fatto a riprenderli a 100 metri dal GPM, ma davvero penso che sia stato anche per fortuna.

Stremato dopo la fuga, sul Monte Grappa Pellizzari ha conquistato i punti per la maglia azzurra del GPM
Stremato dopo la fuga, sul Monte Grappa Pellizzari ha conquistato i punti per la maglia azzurra del GPM
Serve motivazione per andare in fuga sapendo che Pogacar punta alla stessa tappa?

Alla fine è una guerra persa, però ci provi: non sai mai come va. Se avessi preso un minuto in più, mi avrebbe ripreso un pezzettino dopo. Forse mi avrebbe staccato sullo strappo, ma rinunciare non mi appartiene. E’ stato bello correre a Roma con la maglia azzurra della montagna, il sogno però è arrivarci con un colore diverso. Alla fine ci siamo salutati, gli ho fatto i complimenti e in bocca al lupo per il Tour.

Com’è quando il giorno dopo si spengono le luci?

Un po’ mi manca. Quando c’è tanta gente che fa il tifo, i paesi in rosa, respiri l’aria di festa. Alla fine ti ci abitui, però è sempre emozionante. Negli ultimi giorni, ho capito che stava per finire, ma al contempo sono stanco, è giusto recuperare. Per cui farò lo Slovenia, il campionato italiano e poi si stacca per un po’ la spina.

Lo lasciamo alla sua casa, al suo cielo, alla famiglia e agli amici e andiamo a fare un giro in centro. Nella serata per Giulio abbiamo toccato con mano l’orgoglio. Ce ne andiamo con la speranza che la sua voce continui a raccontare la storia di Camerino e della sua gente. Basta che continui ad essere se stesso, il Giulio di sempre. Forse allora per queste strade l’oblio smetterà di essere l’unico destino possibile.

Piganzoli, debutto coi fiocchi e corse a tappe nel futuro

30.05.2024
4 min
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ROMA – Tredicesimo al primo grande Giro non è affatto male. E soprattutto quando è un risultato cercato. Un risultato che va a scapito della possibilità di conquistare una vittoria di tappa. Tutto questo è il Giro d’Italia di Davide Piganzoli, talento della Polti-Kometa.

Lottando con i più grandi, tenendo duro, mettendosi alla prova a cronometro, il “Piga” è arrivato a Roma. E tutto sommato, sembra esserci arrivato anche bene. Il suo volto era molto meno provato di quello di tanti altri. Ecco dunque un altro giovane, oltre ad Antonio Tiberi, che in ottica futura ci dà buone speranze per i grandi Giri.

Davide Piganzoli (classe 2002) è arrivato a Roma 13° in classifica a 32’23” da Pogacar
Davide Piganzoli (classe 2002) è arrivato a Roma 13° in classifica a 32’23” da Pogacar
Davide, prima di tutto complimenti…

Grazie! Sì, direi che alla fine è andato bene questo mio Giro. Forse all’inizio eravamo partiti con altre intenzioni, magari provare a vincere una tappa e prendere una buona fuga. E invece ci siamo ritrovati un po’ in classifica, tanto più che Matteo (Fabbro, ndr) non è stato bene. E così abbiamo cercato di fare il possibile, di correre sempre davanti…

Eppure sappiamo che in classifica non ti ci sei ritrovato, ma hai detto tu al team di voler tenere duro…

Più che altro non avevo e non volevo lo stress della classifica al via. Nel momento in cui magari fossi stato davanti le cose sarebbero un po’ cambiate. Sostanzialmente mi dicevo: «Se farò una tappa buona, se riuscirò a prendere una una fuga importante e magari guadagnerò qualche minuto sul gruppo allora terrò duro». Poi però è successo che in questo Giro il gruppo non ha mai lasciato tanto spazio alle fughe e io mi sono trovato lì lo stesso….  Ne sono contento!

Quanto è diverso il Piganzoli di Roma da quello Torino?

Alla fine sono state tre settimane intense e, dico la verità, sono passate abbastanza velocemente. Tre settimane in cui penso che un po’ sono cambiato in effetti. Ho preso più consapevolezza di me stesso e dei miei mezzi, ma al tempo stesso ho capito che c’è ancora tanto da lavorare. Però ho visto che i grandi non sono poi così lontani. A parte Pogacar.

Lui togliamolo! Nel senso che non va preso come esempio…

Esatto. Però è innegabile che c’è ancora tanto da lavorare. Io sono fiducioso.

Il lombardo è consapevole che a crono deve lavorare molto, anche se la sua posizione di partenza non è così male
Il lombardo è consapevole che a crono deve lavorare molto, anche se la sua posizione di partenza non è così male
Come sono state le sensazioni in salita? E queste sono cambiate durante il Giro?

Ho avuto un paio di giornate in cui non sono stato al cento per cento. Penso per esempio alla tappa con il Passo Sella in partenza. Lì non stavo benissimo e infatti mi sono staccato subito. Sono rientrato e ho tenuto il più possibile fino all’arrivo. Ma penso che se a 21 anni hai solo due giornate così così e perdi abbastanza poco, vuol dire che si può sperare. Che si può crescere.

Qual è il punto dove dovresti lavorare di più secondo te?

Penso che a crono devo lavorarci un bel po’. Bisogna capire come migliorare. E poi anche in salita, però su questo fronte è più “semplice”. Mi hanno sempre detto che si migliora con gli anni, quindi cercherò di continuare a lavorare per poi provare a essere davanti.

Se chiudi gli occhi, qual è il tuo ricordo del Giro? La tua foto della corsa rosa?

Sicuramente i tanti tifosi sulle strade. Ti riempiono veramente il cuore. Alla fine è vero che senti un pochino meno la fatica, perché i tanti tifosi ti spingono. Quantomeno è una fatica diversa, mettiamola così.

Verso Livigno, nella sua Valtellina, tanti tifosi e un’ottima prestazione
Verso Livigno, nella sua Valtellina, tanti tifosi e un’ottima prestazione
Di Pogacar cosa ci dici? Tu che ci hai pedalato fianco a fianco è davvero impressionante anche per voi corridori?

Sì, è impressionante vederlo in azione. Tu vedi che quando gli altri fanno veramente tanta fatica, lui invece è proprio tranquillo. Si gestisce, si guarda attorno. Salendo sul Grappa eravamo rimasti in una ventina. Vedevi gente come Thomas o Martinez che stavano facendo fatica, che comunque erano impegnati, avevano lo sguardo fisso, e Tadej invece saliva facile facile, controllava tutto, si voltava. Lì capisci che sta facendo una gara da sé.

Quali sono i tuoi programmi adesso?

Riposerò un pochino, poi farò subito il Giro di Slovenia e i campionati nazionali. Poi ancora un bel po’ di riposo per programmare la seconda parte di stagione.

Se la gamba è buona allo Slovenia ci farai divertire?

Ah – ride Piganzoli – non lo so. Intanto recuperiamo e poi vediamo.

Pasqualon racconta Andorra, Principato a misura di bici

29.05.2024
5 min
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«Non vedo l’ora di tornare ad Andorra per sentire quella sensazione di poter pedalare in sicurezza». La frase, affatto banale, è da attribuire ad Andrea Pasqualon, che ormai da diverso tempo vive nel Principato pirenaico.

E’ lui che da esperto qual è ci presenta l’Andorra ciclistica. E come vedremo il discorso è ampio. Molto ampio. Strade ottime, temperature fresche, sport nel Dna…

Andrea Pasqualon ha scelto Andorra sia per una questione di quota che per le sue strade a misura di ciclista
Andrea Pasqualon ha scelto Andorra sia per una questione di quota che per le sue strade a misura di ciclista
Andrea, come reputi Andorra da un punto di vista ciclistico?

Andorra è un posto molto tranquillo per vivere in generale e ottimo per noi ciclisti. C’è una sicurezza molto elevata per noi corridori, per noi appassionati di bici. Ma direi per tutti gli sportivi amanti della natura e delle attività all’aperto. Per quanto riguarda il ciclismo posso dire che ci sono molte strade e tutte tenute bene. Ma soprattutto ci sono strade con una corsia ciclabile sulla destra, una banchina larga che ti lascia quel metro e mezzo, anche due. E non parlo di strade secondarie. Parlo di passi importanti come il Port d’Envalira per esempio: praticamente 20 chilometri in cui c’è la possibilità di stare nella corsia riservata alle bici.

Una corsia preferenziale per i ciclisti in ogni senso!

Questo è un gran vantaggio per noi pro’, perché alla fine c’è la possibilità di andare accoppiati stando in sicurezza e senza intralciare il traffico. La cultura iberica tutela il ciclista a tutti gli effetti. A volte è il ciclista che indica all’automobilista che può superarlo, altrimenti se ne starebbe dietro anche per 3-4 minuti senza nessun problema. Questo dipende anche dal fatto che la qualità della vita generale ad Andorra è buona, c’è meno stress… Per me questo aspetto si ripercuote tantissimo, in senso positivo, sulla sicurezza stradale.

Le strade sono ben tenute e molto spesso hanno una larga banchina che aumenta la sicurezza dei ciclisti. Qui la strada da La Seu
Le strade sono ben tenute e molto spesso hanno una larga banchina che aumenta la sicurezza dei ciclisti. Qui la strada da La Seu
Andorra, Pirenei. A che quote siamo?

ll villaggio principale, Andorra la Vella, sorge intorno ai 1.000 metri. Ma poi ci sono varie zone più elevate, tra cui Ordino Arcalís, che è la località più nota per i ciclisti e che sorge a 1.940 metri. I pro’ che vivono qui scelgono appartamenti più in quota. Io ad esempio vivo a 2.000 metri.

Stando in montagna è tutto salire e scendere? Oppure si trovano anche un po’ di tracciati pianeggianti?

Un po’ di pianura c’è. Andando verso la Spagna e quindi verso La Seu di Urgell, o anche verso il confine francese, si può fare un anello di circa 120 chilometri, un percorso che noi chiamiamo il “giro delle tre Nazioni” perché si passano appunto tre Stati: il Principato di Andorra, la Francia e la Spagna. Come dicevo è abbastanza pianeggiante. Io lo sfrutto per utilizzare la bici da cronometro. E’ un altopiano che “balla” sul filo dei 1.000 metri. Per un qualsiasi ciclista c’è da divertirsi, perché c’è la possibilità non solo di fare tanta salita ma di fare anche pianura e determinati lavori.

Il Principato pirenaico offre molto in termini di sport. D’estate, trekking, bike (e motor) trial, mtb vanno per la maggiore
Il Principato pirenaico offre molto in termini di sport. D’estate, trekking, bike (e motor) trial, mtb vanno per la maggiore
Quali sono invece le salite mitiche, quelle note per il Tour e per la Vuelta?

L’Envalira è stato spesso Souvenir Desgrange del Tour de France (il corrispondente della Cima Coppi al Giro d’Italia, ndr) con i suoi 2.408 metri di quota. Poi c’è la scalata stessa di Arcalís, diverse volte arrivo anche del Tour. Il Coll de la Gallina, altra salita tipica. E molte altre…

Quanto è grande il principato?

La diagonale massima è sui 50 chilometri, forse appena meno. Rispetto a Monaco o San Marino è un territorio ben più ampio. Si potrebbe restare anche dentro i confini e non ci si annoierebbe. Le strade interne sono ben tenute e ben collegate.

Ad Andorra anche la cartellonistica è pensata per i ciclisti
Ad Andorra anche la cartellonistica è pensata per i ciclisti
La cartellonistica stradale presenta le indicazioni su pendenze e chilometri progressivi come in molte zone del Trentino-Alto Adige?

Sì, assolutamente. E sono presenti su tutte le strade. Questi cartelli ti indicano quanto manca alla vetta. Il ciclista ad Andorra è ben considerato. E anche a terra ci sono scritte che indicano i pericoli, o cartelli che dicono: “strade frequentate da ciclisti”. Questo rispetto vale anche anche runners, biker… Ma in generale è il Principato stesso ad offrire molto in termini di sport e scuole sportive.

Andrea, vista questa attenzione verso il ciclismo, immaginiamo ci siano anche negozi di bici, dei punti di assistenza…

Certo, anche guide e accompagnatori. Io noto che stanno tanto puntando parecchio sui bimbi, anche a scuola, nell’istruzione. Ci sono diversi giorni della settimana in cui gente specializzata, a volte anche qualche ex pro’, presenzia queste giornate dedicate allo sport e insegna ai ragazzini la propria disciplina.

Per maggiori informazioni:

VisitAndorra

@andorraworld

Milesi e la corsa rosa: «Tutto come mi aspettavo e che atmosfera»

29.05.2024
4 min
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Su carta è il suo secondo grande Giro, in realtà è stato il primo. Lorenzo Milesi ha concluso il suo primo Giro d’Italia. Lo scorso anno la sua vecchia squadra, la Dsm-Firmenich, lo aveva schierato alla Vuelta, ma Lorenzo era stato costretto a fermarsi anzitempo, nonostante fosse partito col botto: maglia rossa dopo la prima tappa, una cronosquadre. Tuttavia alla sesta tappa era a casa.

Al primo anno, la Movistar lo ha schierato subito nella gara di casa. In ballo c’erano due crono importanti per il campione mondiale di specialità under 23 e un percorso che tutto sommato non era impossibile per un ragazzo del 2002. Lorenzo era tra i più giovani in assoluto al via.

Milesi in azione in pianura al servizio di Gaviria. Per la Movistar un corridore duttile come lui è stata una risorsa
Milesi in azione in pianura al servizio di Gaviria. Per la Movistar un corridore duttile come lui è stata una risorsa
Lorenzo, sei arrivato a Roma: come stai?

Bene direi. Avevo fatto una settimana alla Vuelta l’anno scorso e devo dire che questo primo Giro d’Italia è stato fantastico. Fantastico tutto il contorno, l’atmosfera…  la gara. Che è stata dura, ma noi siamo qua. Le gambe le sento come il primo giorno!

Un altro esordiente come te qui al Giro, Lorenzo Germani, ci diceva che in effetti ci sono dei momenti in cui si respira, ma quando si va forte il ritmo è incredibile. Anche per te è così?

E’ vero, è vero. Anche se poi a me sembra che qui tra i pro’ si vada forte in tutte le gare, alla fine. Sono le corse WorldTour che hanno queste caratteristiche.

Ti aspettavi che il Giro fosse più o meno duro?

Più o meno così. Mi aspettavo di non poter competere tutti i giorni sin da quest’anno. Immaginavo che non sarei stato lì davanti a sgomitare. Ma per questo mi dicono, servirà del tempo.

Nelle due crono (tra l’altro lunghe) del Giro, Lorenzo ha ottenuto un 12° e un 11° posto
Nelle due crono (tra l’altro lunghe) del Giro, Lorenzo ha ottenuto un 12° e un 11° posto
Come ti sei gestito durante queste tre settimane?

Ho cercato di fare bene soprattutto le cronometro. Di queste sono abbastanza soddisfatto. Ho mancato la top 10… però di poco. Per il resto cercavo di risparmiare il più possibile e fare il mio compito.

E qual era il tuo ruolo?

Nelle tappe piatte dovevo cercare di aiutare Fernando Gaviria, in quelle in salita dovevo stare vicino ad Einer Rubio. Quindi anche per questo non ho provato spesso ad andare in fuga. Ci sono andato solo nel giorno del Mortirolo, quando si arrivava a Livigno, però alla prima salita sono rimbalzato! Si andava a tutta e davanti eravamo ancora tantissimi, quindi c’era poco da fare…

Cosa ti porti via da questo Giro d’Italia?

Più che altro quello che spero di portare via, cioè una buona gamba per poter fare bene nelle prossime gare. Ovviamente ho imparato anche a come gestirmi nelle varie settimane, a dosare gli sforzi, a capire il recupero… Un esperienza un po’ generale direi.

Cimolai e Milesi, compagni di stanza al Giro: tra i due ballano 13 anni di differenza
Cimolai e Milesi, compagni di stanza al Giro: tra i due ballano 13 anni di differenza
Hai detto che speri in una buona gamba per le prossime corse, ebbene quali saranno queste gare?

Non so ancora di preciso, bisogna decidere appunto in base a come finisco il Giro e a come recupererò. Quindi si vedrà nei prossimi giorni cosa fare. Sicuramente farò i campionati italiani, sia su strada che a cronometro.

Con chi hai parlato di più durante questo Giro d’Italia?

Degli avversari con Piganzoli. Eravamo tutti giorni là in coda al gruppo a chiacchierare! Dei compagni di squadra con Davide Cimolai. Cimo è mio compagno di stanza, è italiano ed è anche più facile confrontarmi con lui.

Quando abbiamo incontrato Milesi, lui e la sua squadra stavano per andare al foglio firma, proprio in quel momento ci raggiungeva Davide Cimolai.  Quale occasione migliore per una foto insieme e per chiedergli qualcosa di Lorenzo. E Davide: «E’ un po’ testone perché parla poco e potrebbe domandare di più, ma ha un motore che neanche lui sa quanto è grande! Potrà fare molto bene».

Elia Andreaus, le tabelle di Alberati e il cambio di passo

29.05.2024
5 min
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Parlando qualche giorno fa con Mattia Stenico, è emerso il nome di Elia Andreaus, altro corridore allenato da Paolo Alberati che, seguendo il criterio di preparazione dell’ex pro’ umbro, ha mostrato decisi progressi tradotti in risultati (5 vittorie in stagione e ottime prove anche al Trophée du Morbihan). Anche lui portacolori del Team Giorgi, ha mostrato rispetto al 2023 un deciso passo in avanti.

Andreaus, fratello di Marco portacolori del Cycling Team Friuli, comincia a risplendere di luce propria: «Forse la prima vittoria, quella alla Piccola Liegi delle Bregonze perché mi ha sbloccato anche psicologicamente, dopo è venuto tutto un po’ più facile».

Il successo di Andreaus a Bregonze, precedendo il compagno di colori Mellano e Segatta (Photobicicailotto)
Il successo di Andreaus a Bregonze, precedendo il compagno di colori Mellano e Segatta (Photobicicailotto)
Hai iniziato a raccogliere i frutti del lavoro con Alberati?

Possibile, visto che con Paolo abbiamo iniziato a metà 2023 e chiaramente non è che aveva una bacchetta magica. Inizialmente la mia preparazione è rimasta pressoché la stessa, con pochissime variazioni, da questo inverno invece le cose hanno preso una piega diversa e vado sicuramente meglio.

Alberati sottolineava l’importanza di dedicare due giorni al mese pieni all’allenamento saltando la scuola. Lo ha chiesto anche a te?

Sì, è stato inizialmente un colpo, più che altro per riuscire a trovare un giusto equilibrio. A scuola ho un tutor sportivo che mi segue, mi aiuta a recuperare dalle assenze, dopo le primissime volte è stato facile assorbirle e devo dire che la scuola mi è venuta incontro.

Il ritiro prestagionale del Team Giorgi ha dato a Elia la carica giusta per l’inizio stagione
Il ritiro prestagionale del Team Giorgi ha dato a Elia la carica giusta per l’inizio stagione
E dal punto di vista prettamente tecnico?

Ho trovato che quelle giornate sono di grande utilità, poter fare 4 ore, 4 ore e mezza è un ottimo lavoro che mi ha fatto acquisire più fondo e i risultati si sono visti.

Come funziona?

Dipende da quel che la tabella prevede. Si lavora prevalentemente in zona 2, ma in alcuni giorni si va fuori soglia. Non però in quelle sedute specifiche del giovedì, che servono più come detto per acquisire fondo e resistenza.

Per Andreaus una trasferta francese positiva, con un 6° posto nella classifica a punti (e.a.photographie)
Per Andreaus una trasferta francese positiva, con un 6° posto nella classifica a punti (e.a.photographie)
Quanto ti alleni?

Normalmente 6 giorni a settimana, ma molto dipende anche se ci sono gare nel weekend. Ad esempio nella settimana successiva a Morbihan, da lunedì a mercoledì niente bici, ho fatto solo core. In totale mi alleno 14-15 ore a settimana (e qui bisognerebbe ricordare la polemica innescata dalle parole di Pontoni quando indicò lo stesso numero di ore per i ragazzi da lui seguiti nel ciclocross, Proietti Gagliardoni e Serangeli, ndr). Come detto però cambia se ci sono gare nel fine settimana, ma anche se la scuola richiede qualcosa di specifico. Volete saperne una? Se sono previste gite scolastiche per me è meglio, ho più tempo per allenarmi…

Come fai ad allenarti in quelle ore d’inverno?

E’ complicato perché scurisce molto presto, quindi per avere un paio d’ore piene devo organizzarmi. Di solito mi porto il pranzo a scuola, sfrutto la pausa di metà mattinata così ho anche tempo per digerire. La scuola è molto vicina a casa così posso partire praticamente subito e riesco ad avere 2-3 ore a disposizione. Chiaramente con l’avanzare della primavera e il cambio di orario sono avvantaggiato e posso uscire più avanti, anche verso le 17.

Elia Andreaus insieme a suo fratello Marco: li ritroveremo insieme nel 2025? (foto Scanferla)
Elia Andreaus insieme a suo fratello Marco: li ritroveremo insieme nel 2025? (foto Scanferla)
Queste novità hanno sorpreso anche il team?

Diciamo che mi hanno appoggiato da subito. Siamo seguiti benissimo, c’è un ottimo clima e una grande professionalità, ci lasciano lavorare secondo i nostri schemi, ma l’organizzazione è di prim’ordine. Ora spero che la stagione continui su quest’ andazzo, soprattutto punto forte al Giro del Friuli, sono quattro tappe dal giovedì alla domenica.

Per puntare alla classifica?

No, non fa per me, non ho le caratteristiche giuste. Anche se poi un piazzamento nella generale può sempre saltar fuori com’è avvenuto al Giro d’Abruzzo. Anche in Francia poi il 13° posto finale non era da disprezzare vista la concorrenza di primo piano. Io però sono uomo da tappe, da traguardi parziali ed è su quelli che voglio puntare.

Il corridore trentino ha nel mirino nuovi successi puntando anche al tricolore (Photobicicailotto)
Il corridore trentino ha nel mirino nuovi successi puntando anche al tricolore (Photobicicailotto)
Che obiettivi ti poni a questo punto?

Continuare sulla stessa lunghezza d’onda, allungare la mia serie di vittorie e far bene in quelli che saranno i prossimi appuntamenti, non solo il Friuli, ma anche il campionato italiano, il Lunigiana, il Trofeo Buffoni. E’ importante che riesca a farmi vedere il più possibile, anche per agevolare il compito dello stesso Alberati e di Fondriest per trovare nuovi sbocchi per la mia carriera…

Caro Gualdi, ci racconti come si vincono le Olimpiadi in tre?

29.05.2024
5 min
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L’ultima volta che l’Italia vinse le Olimpiadi correndo con tre atleti, come accadrà a Parigi il 3 agosto prossimo, era il 1992. Un altro ciclismo, tanto che la corsa a cinque cerchi era campo di battaglia dei dilettanti. Gli azzurri, in corsa a Barcellona con Rebellin, Casartelli e Gualdi conquistarono l’oro con Casartelli (foto di apertura). Una gara di 194 chilometri disputata in tre e per questo dall’andamento particolare. Insieme a Mirko Gualdi ragioniamo di tattiche e di come si possa affrontare una corsa di quel calibro con soli tre atleti a disposizione. 

«Giosuè Zenoni, il cittì di quella nazionale – racconta Gualdi – aveva un acume tattico incredibile. I giorni prima degli appuntamenti importanti parlava con ognuno di noi e disponeva una tattica singola. Poi ragionava e metteva insieme tutto, creando una tattica di squadra. Ad esempio in un mondiale, lungo 14 giri, avevamo deciso che Caruso e io ci saremmo mossi nei giri pari per entrare in qualche fuga. Lo stesso avrebbero fatto Manzoni e Nicoletti nei giri dispari. Tarocco, invece, sarebbe entrato in azione nel finale e Baldato sarebbe stato coperto per aspettare la volata».

Però si correva in più di tre, l’Olimpiade com’è stata gestita?

La tattica è diventata di essere presenti nelle fughe, quelle con più di quattro corridori. C’erano Nazioni da “marcare” come Francia, Germania, Spagna e Belgio. Se un atleta di queste squadre fosse entrato nella fuga anche noi ci saremmo dovuti muovere. 

Anticipare insomma.

Pensare di organizzare un inseguimento in tre è impensabile. A Barcellona ci fu un primo attacco che andò via, poi un secondo nel quale entrai io. In un momento successivo rientrò un altro gruppo nel quale era presente Casartelli, che poi vinse. Io parlai con Zenoni prima della corsa e gli dissi che avrei preferito anticipare, perché ero convinto che si spendesse meno davanti piuttosto che dietro. 

Anche perché diventa una corsa a sfinimento…

Zenoni ebbe una bella idea. Le ultime gare di selezione prima delle Olimpiadi ci chiese di correre senza il supporto della squadra. Io andai a delle gare con la maglia della Zalf e tre compagni giovani che però non erano in grado di darmi un supporto in corsa. Zenoni voleva capire il nostro acume tattico e la capacità di battagliare da soli. Infatti dalla spedizione a cinque cerchi furono esclusi corridori più forti di me, ma che avevano corso con l’appoggio della squadra. 

Viviani, quasi certamente sarà uno dei tre stradisti di Parigi, sarà l’arma da giocare in volata o sarà di supporto?
Viviani, quasi certamente sarà uno dei tre stradisti di Parigi, sarà l’arma da giocare in volata o sarà di supporto?
Servono corridori intelligenti tatticamente.

Sì e anche bravi nel correre davanti, non di rincorsa, gente che sa stare in testa al gruppo. Provare a fare azioni di rientro, in tre, è impossibile, ci si brucia un compagno subito. 

Per questo dicevi che correre davanti diventa meno dispendioso?

Anticipare, soprattutto in un percorso come quello di Parigi con uno strappo abbastanza duro nel circuito, permette di fare una gara regolare. Mentre chi resta dietro vive di fiammate oppure si trova ad andare a ritmi folli fin dai primi passaggi. Non so l’Italia chi potrà portare, io Ganna lo avrei visto bene. 

Lui e Milan sono esclusi di partenza, visto che saranno impegnati con il quartetto pochi giorni dopo la corsa su strada.

Gli incastri saranno difficili, come sempre. Ganna diventa una perdita importante, mentre Milan non mi sembra il corridore adatto a queste corse. E’ forte, ma vincolante, deve avere una squadra che gli dà supporto, in tre non può accadere una cosa del genere. A lui preferirei Mozzato

Perché?

Intanto al Fiandre ha dimostrato di saper andare forte. E’ un regolarista, vero, ma che sa stare sempre davanti e spendere il giusto. Diventa il corridore che può seguire diversi contrattacchi o comunque restare con i migliori. Ma l’uomo certo per me è Bettiol, ha passo, regge in salita e sa muoversi anche da lontano. Le convocazioni sarebbero anche “facili” perché insieme a questi due si potrebbe portare Trentin, un altro che sa attaccare da lontano e non ha paura a farlo. 

Però sembra ormai certa la presenza di Viviani, e questo abbassa a due i posti liberi.

Partiamo dal presupposto che la tattica di gara diventa quella di anticipare. Bettiol è imprescindibile. Viviani invece può giocare due ruoli: quello di tappabuchi oppure di attendista e aspettare l’eventuale volata. Ci sarebbe da decidere se portare Mozzato o Trentin, forse meglio il secondo. 

C’è da considerare anche che Trentin non farà il Tour, Mozzato probabilmente sì.

Come ha detto Mozzato nella vostra intervista, il Tour può dare una gamba importante. Trentin non facendolo rischia di essere un passo indietro, ma lui ha le qualità per prepararsi bene. Poi è uno che sa liberarsi dalla mentalità attendista degli stradisti. Corridori che arrivano dal cross come Van Der Poel e Van Aert non hanno paura nell’uscire allo scoperto. Servirà una grande intelligenza tattica, cosa che non tutti i corridori possiedono.