SAINT PAUL TROIS CHATEAUX (Francia) – Dove sia finito Luca Mozzato se lo chiedono un po’ tutti. Il vicentino della Arkea-B&B in effetti sta correndo un Tour nell’ombra. In realtà era prevedibile che fosse così, dovendo lavorare per Demare. Ma quando sei al via con soli otto italiani, ti piacerebbe che ogni tanto alzassero la mano. Ma non è sempre così. Mozzato sta lavorando per il suo capitano e per un obiettivo superiore: le Olimpiadi. Lo stesso, con le debite proporzioni, sta facendo Mathieu Van der Poel. Anche lui tira per un compagno velocista: la differenza è che Philipsen vince, Demare non più.
In ogni caso quando sei al Tour, il modo migliore per sapere dove sia Luca Mozzato è andare a cercarlo. E nessun momento è migliore del tempo tra la firma di partenza e il via effettivo della tappa. Perciò ieri lo abbiamo trascinato giù dal pullman per farci raccontare il suo momento e quello che verrà (in apertura, Mozzato è con Davide Ballerini).
Con Bennati nelle tappe italiane del Tour: Mozzato si sente di frequente con il cittìCon Bennati nelle tappe italiane del Tour: Mozzato si sente di frequente con il cittì
Vai alle Olimpiadi. E’ il sogno di ogni sportivo di qualunque disciplina: che effetto fa?
Sicuramente penso sia una delle convocazioni più importanti che uno sportivo possa ricevere. Rappresentare il proprio Paese alle Olimpiadi sarà sicuramente un onore. E’ una cosa cui mi fermo a pensare ogni giorno, anche se comunque siamo lontani dall’appuntamento. E’ un’occasione che arriva una volta ogni quattro anni, io sono stato fortunato che il percorso si adatti a me. Ho fatto una bella prima parte di stagione e quindi insomma vado all’Olimpiadi con l’idea di far bene.
Come hai reagito quando Bennati te l’ha detto?
Diciamo che forse a inizio stagione era un sogno. Un po’ ci pensavo, soprattutto per come è fatto il percorso. Comunque di corridori ce ne sono tanti, per cui era qualcosa di lontano. Poi le classiche sono andate bene, tanto bene. E lì è cominciato a diventare una cosa un po’ più reale. Ho cominciato a respirare la sensazione che ci potesse essere effettivamente una possibilità per andare. Le cose si facevano sempre più serie e quando Bennati mi ha detto che mi avrebbe portato, è stata una gioia incredibile.
Il Tour potrebbe essere la miglior preparazione, non a caso Van Der Poel è qua e nessuno l’ha visto, ad eccezione di due volate e una fuga…
Secondo me nella scelta ha giocato un po’ anche il fatto che venissi qua. La gamba che ti dà una corsa di tre settimane a queste velocità, a questi ritmi, penso che nessuna preparazione sia in grado di poterla eguagliare. L’idea, soprattutto quando la squadra mi ha detto che venivo qua con l’unico obiettivo di essere in appoggio ad Arnaud, era quella di essere utile alla squadra e di costruire la condizione. Poi è ovvio che non si parta al Tour con l’idea di preparare un’altra corsa, perché ovviamente il Tour è il Tour. Però c’è sempre un occhio di riguardo a quello che viene dopo. Si cerca di non sprecare troppo e la cosa più importante, adesso che le tappe adatte a me sono finite, è quella di uscire bene. Quindi non troppo stanco e magari in crescita.
La tappa degli sterrati a Troyes è stata l’occasione per fuorigiri importantiLa tappa degli sterrati a Troyes è stata l’occasione per fuorigiri importanti
Come dire che in questi giorni sulle Alpi si andrà avanti guardando il contagiri?
Già in un’edizione… normale del Tour si è sempre a centellinarle le forze, perché comunque è lungo e duro e quest’anno ancora di più. Quindi se si può andare un minuto o due minuti più piano per salvare qualche forza, lo si fa volentieri.
Finisce il Tour e poi cosa farai?
Sicuramente ci sarà un po’ di recupero, perché comunque per quanto tranquillo si possa prendere, il Tour è sempre duro. Poi a seconda delle sensazioni, si comincerà un po’ a lavorare. Penso qualche lungo, un po’ di intensità, soprattutto perché uscendo da una corsa così dura, non servirà arrivare troppo “riposati”. Avendo l’abitudine a stare ogni giorno con la fatica nelle gambe, c’è il rischio che magari arrivare troppo rilassati sia controproducente. E poi che dire? E poi si andrà a Parigi…
SUPERDEVOLUY (Francia) – E’ un sogno che si realizza, ma Carapaz è troppo stanco per mettersi a saltare. Il sole a piombo disegna ombre profonde sul suo volto sfinito, solo i denti bianchi brillano più degli occhialoni specchiati. Il venezuelano ha vinto la sua prima tappa al Tour, dopo essere stato il primo ecuadoregno a indossarne la maglia gialla. E forse per averci parlato del tutto casualmente stamattina prima del via, capiamo che in quella voglia di arrivare e vincere c’è anche altro.
La bici dorata da campione olimpico ha fatto ottimamente la sua parte, quasi alla fine di un viaggio durato un anno meno di tutti gli altri, dato che Il Covid s’è mangiato un anno e da Tokyo è passato appena un triennio.
«Ci riprovo – le sue parole alla partenza – penso che manchi una settimana molto dura. Spero che la classifica si sia assestata, così arriveranno anche le fughe di giornata. La verità è che sto bene, sto ritrovando buone sensazioni. Spero di continuare questa crescita e di riuscire a trovare qualcosa qui al Tour. Ormai mi sono fatto una ragione del fatto che non mi porteranno alle Olimpiadi, è un problema che ho già affrontato. Penso di avere davanti ancora una bella stagione. La Vuelta e persino il campionato del mondo, che sarà una bella conclusione della stagione».
Finalmente per Carapaz dopo la maglia gialla, arriva anche la vittoria di tappa al TourCarapaz ha raccontato che la vittoria di tappa fosse il suo obiettivo dall’inizio, dato che la classifica è… chiusaQuesto è il momento in cui Carapaz stacca Yates che si era mosso per primoFinalmente per Carapaz dopo la maglia gialla, arriva anche la vittoria di tappa al TourCarapaz ha raccontato che la vittoria di tappa fosse il suo obiettivo dall’inizio, dato che la classifica è… chiusaQuesto è il momento in cui Carapaz stacca Yates che si era mosso per primo
Una vittoria per sempre
Meno di cinque ore dopo, la sua missione si è compiuta e a giudicare da come la racconta, potrebbe non essere ancora del tutto completa. La linea di arrivo è un ribollire di massaggiatori, perché il caldo si è fatto sentire e i corridori arrivano stremati. Le ultime due salite piene di gente hanno offerto uno scenario pazzesco e persino educato, per quello che si è potuto vedere dal nostro punto di osservazione.
«Questa vittoria significa tutto! Ho cercato di ottenerla dall’inizio del Tour – racconta – quello era l’obiettivo. Sono riuscito a ottenere questo risultato che ricorderò per sempre, ho sfruttato al meglio il momento. Conoscevo bene la salita finale avendola studiata con il mio direttore sportivo. Avevo vinto tappe al Giro e alla Vuelta, ma il Tour de France è la corsa con tutti i migliori corridori del mondo. Ogni squadra arriva con il suo miglior assetto e la squadra migliore. Il Tour è la gara più bella. Sono felice anche per tutte le persone che mi seguono, sono orgoglioso di essere qui e rappresentare tutta l’America nel miglior modo possibile».
Pogacar si volta, dietro c’è Evenepoel: Vingegaard è in difficoltà, l’attacco proseguePogacar si volta, dietro c’è Evenepoel: Vingegaard è in difficoltà, l’attacco prosegue
L’istinto stupido
Mentre davanti la fuga dei 48 si andava scremando e da dietro prima Simon Yates e Poi Carapaz rientravano sui primi e li saltavano, nel gruppo della maglia gialla quel diavoletto di Pogacar si è accorto che Vingegaard non avesse esattamente una bella cera. E così, prendendo bene la rincorsa sul Col du Noyer, ha attaccato e l’ha messo sulle ginocchia. Il senno di poi dirà che non è servito a molto, dato che i distacchi sul traguardo sono stati contenuti.
«E’ stata una giornata molto bella – dice Pogacar nella zona mista – c’è stata una partenza veloce, come se nei primi 125 chilometri fossimo in una gara juniores. Forse per questo prima dell’ultima salita c’è stata un po’ di fatica e ne ho approfittato. Non so se tanto attaccare faccia parte del mio dna, potrebbe essere. Non so davvero perché ho provato. Ho seguito l’istinto, ma è stato un istinto stupido. Ho tolto due secondi a Jonas e ne sono felice. Invece Remco è stato bravissimo. Ha fatto un ottimo attacco nel finale. La Visma ha lavorato molto bene come squadra. Se Jonas non avesse più uomini davanti, penso che io e Remco potremmo mettergli più pressione e il risultato sarebbe stato diverso».
Evenepoel ha attaccato per la prima volta in questo Tour: un bel segno della condizione che cresceEvenepoel ha attaccato per la prima volta in questo Tour: un bel segno della condizione che cresce
Remco cresce
Vedere Vingegaard in difficoltà ha dato infatti morale a Evenepoel. Il belga ha prima risposto a Pogacar. Assieme a Vingegaard e a Laporte lo hanno raggiunto in discesa. E quando poi si sono ritrovati sugli ultimi chilometri verso Superdevoluy, la maglia bianca ha attaccato in prima persona. Vingegaard ci ha provato, ma quando alla fine gli è andato via anche Pogacar, ha capito che le stagioni non sono tutte uguali. Alla fine Evenepoel ha guadagnato 10 secondi su Pogacar, che ne ha guadagnati due su Vingegaard. Non è tanto per il margine in sé, ma quello che significa alla vigilia di altre tre giornate sulle montagne.
«Mi sentivo ancora bene – dice Evenepoel – e avevo ancora Jan Hirt davanti. A un certo punto mi hanno gridato all’orecchio che avrei potuto attaccare se il ritmo fosse sceso ai piedi dell’ultima salita. E’ quello che ho fatto. Forse avrei dovuto essere più aggressivo, ma per me è tutto nuovo. Non oso ancora dare il massimo su un arrivo in salita di quattro chilometri. Jan è stato fortissimo, mi ha lasciato all’ultimo chilometro come gli avevo chiesto. Poi io ho fatto un altro chilometro a tutta. Alla fine la differenza con Pogacar e Vingegaard è di pochi secondi. Ma con gli uomini dietro di me in classifica oggi è stata di oltre due minuti. Mi aspettavo che Pogacar rispondesse, ma forse visto che ho 5 minuti di ritardo ha preferito far lavorare la Visma. Non so se ci riproverò, vorrei rispettare il nostro piano che prevede podio e una tappa. Forse ne vincerò un’altra, ma tutto ciò che di nuovo potrò sperimentare è un vantaggio. Perciò resto concentrato sul terzo posto e poi si vedrà. Jonas ha vinto due Tour, non credo sia semplice riprendergli due minuti».
Vingegaard si è difeso bene, tenendo testa a Pogacar e onorando il TourVingegaard si è difeso bene, tenendo testa a Pogacar e onorando il Tour
Onore a Vingegaard
A questo punto forse si impone una riflessione. La presenza di Vingegaard al Tour è un miracolo. Visto l’incidente di aprile non avrebbe mai potuto recuperare il suo livello migliore. Ma siccome da più parti lo si ritiene una sorta di robot e la sua squadra capace di tirare fuori l’acqua dal sale, erano tutti convinti che sarebbe venuto e sarebbe stato tutto come al solito. Così non è. E se l’anno scorso si è accettato lo scafoide di Pogacar come causa nel ritardo di condizione, davanti a questo ragazzo danese tutto pelle, grinta, ossa e muscoli, bisogna solo togliersi il cappello.
«Alla partenza avevo immaginato una tappa conservativa – dice Vingegaard – ma a un certo punto ho visto che la Trek attaccava e ho pensato che sarebbe stato possibile che partisse Tadej. E in quell’istante lui ha attaccato. Ogni volta che qualcun altro rende la corsa difficile, allora devi aspettarti che se ne andrà. Poi Remco ha attaccato e Tadej si è messo alla mia ruota. Pensavo che l’avrei ripreso, ma avevo già chiesto tanto ai miei compagni di squadra, che oggi devo ringraziare molto. Laporte è stato davvero prezioso. Sulla mia condizione, cosa dire? Mi sento ancora come se stessi migliorando e oggi forse non è stato il mio giorno migliore. In un Grande Giro può capitare di avere una brutta giornata e se questa è la mia brutta giornata, allora sono felice».
Avrebbe potuto fregarsene e puntare tutto sulla Vuelta. E’ qui a rendere più grande la vittoria di Pogacar. Già solo per questo Jonas Vingegaard merita che gli si faccia un applauso.
Il ritorno del Covid ha riportato le mascherine al Tour, negli spazi in comune con i corridori. Abbiamo chiesto al medico della UAE Emirates di farci capire
Avevamo parlato della corona 55 sulla guarnitura di Pogacar, ora sveliamo quella da 38. Una richiesta per la miglior agilità, provato a sorpresa alla Liegi
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Con la chiusura del Giro d’Italia Women, e la conseguente vittoria di Elisa Longo Borghini su Lotte Kopecky, si apre il sipario verso la prova su strada di Parigi. Le due, che sulle strade del Giro si sono date battaglia fino all’ultimo giorno e hanno terminato la prova a 21 secondi di distanza, saranno anche tra le protagoniste della prova olimpica. Al fianco di Elisa Longo Borghini ci sarà Elena Cecchini, che Sangalli ha nominato come regista in corsa. L’atleta friulana ha corso accanto a Lotte Kopecky questo Giro d’Italia Women, ma tra pochi giorni la belga diventerà avversaria. Mentre Elisa Longo Borghini sarà una delle punte del team azzurro.
«In SD Worx – dice scherzando – ce n’è più di una. Oltre a Kopecky ci sarà anche la Vollering, ad esempio. E’ strano perché ci corri insieme tutto l’anno, ma quando indosso la maglia azzurra esiste solo quella. Rappresentare il proprio Paese alle Olimpiadi è un’occasione unica e immensa».
Dopo un Giro d’Italia accanto a Kopecky ora Cecchini sarà al fianco della Longo Borghini a ParigiDopo un Giro d’Italia accanto a Kopecky ora Cecchini sarà al fianco della Longo Borghini a Parigi
La condizione
Per Elena Cecchini questo Giro d’Italia è la seconda corsa a tappe in quest’ultima parte di stagione. Prima lei e le compagne del team azzurro sono state in ritiro sul San Pellegrino a lavorare per arrivare pronte e in condizione in vista di Parigi.
«La prima metà di stagione – racconta ancora – si è chiusa con la Vuelta, poi ho riposato e ricaricato le batterie. Proprio in quel periodo di stacco, inizio maggio, siamo andate a vedere il percorso della prova olimpica con Sangalli. E’ stato un ritiro, se così vogliamo definirlo, molto utile, perché pedalare su quelle strade ti dà una sensazione migliore. Sai come allenarti e cosa aspettarti il giorno della gara».
Elisa Longo Borghini e Lotte Kopecky saranno anche le protagoniste della corsa olimpica?Elisa Longo Borghini e Lotte Kopecky saranno anche le protagoniste della corsa olimpica?
Hai messo nelle gambe tanti chilometri.
Sì, con Guazzini siamo andate in ritiro, meteo a parte (dice ancora ridendo, ndr) ci siamo allenate bene. Il rientro in corsa è stato al Tour of Britain, insomma il periodo di allenamento e di preparazione è stato intenso.
Al termine del quale è arrivata la convocazione olimpica.
Fa sempre piacere e per me era anche un obiettivo di stagione. Sono molto felice di esserci e di avere al mio fianco queste tre compagne (Persico, Balsamo e Longo Borghini, ndr). Penso che potremo fare molto bene in qualsiasi modo si svolgerà poi la gara.
E cosa ci possiamo aspettare dalla gara olimpica?
Penso che la riunione pre gara, quella della sera prima, possa durare anche tre ore. E’ un percorso bellissimo e apertissimo a tutte le possibilità. Ho fatto anche Rio nel 2016 ma lì sapevo che sarebbe stata una questione tra scalatrici. A Parigi potranno giocarsela le ragazze che fanno bene alle Ardenne, oppure se la gara verrà meno dura, ci saranno davanti le atlete votate alle Classiche.
Le ragazze di Sangalli sono andate a vedere il percorso di Parigi a maggioLe ragazze di Sangalli sono andate a vedere il percorso di Parigi a maggio
Con un parterre ridotto, anzi ridottissimo.
Partiremo in 65, di cui 50 potranno tranquillamente puntare al podio. Dal mio punto di vista sono super motivata, perché penso verrà fuori una corsa molto tattica. Con un finale da brividi visto che si passa accanto al Musée d’Orsay e alla Torre Eiffel.
Percorso diviso in due parti?
Praticamente sì. All’inizio ci sarà il tratto che porta fino al circuito di Parigi. Dicono che sia pianeggiante ma non è così, scaleremo diverse cote e non sarà facile. La parte più semplice dal punto di vista altimetrico non aveva nemmeno un albero intorno, se sarà una giornata calda il rischio è di soffrirla parecchio.
Cecchini al centro con a sinistra Silvia Persico loro dovranno coprire le fughe iniziali (foto Maurizio Borserini)Cecchini al centro con a sinistra Silvia Persico loro dovranno coprire le fughe iniziali (foto Maurizio Borserini)
Poi si arriva al circuito.
Che non sarà come quello del mondiale di Glasgow dello scorso anno, ma molto diverso. Meno curve però esigente con la salita di Montmartre in pavé. Uno sforzo da due minuti, quindi da atlete da Classiche.
Difficile controllare la corsa però, anche se voi sarete nel numero massimo consentito: quattro.
Infatti non puoi sapere cosa verrà fuori nel circuito finale. Ci saranno poche nazioni con una leader unica, una sarà il Belgio. L’Olanda non sapremo se avrà una capitana designata. Noi dovremo prendere vantaggio da queste situazioni e comportarci da squadra, come al solito.
La vittoria di Anna Kiesenhofer a Tokyo 2020 ha aperto le porte alle attaccanti, che saranno agguerritissimeLa vittoria di Anna Kiesenhofer a Tokyo 2020 ha aperto le porte alle attaccanti, che saranno agguerritissime
Nella prima parte di gara pensi potrà andare via un gruppo numeroso?
Penso proprio di sì, soprattutto dopo Tokyo. La vittoria della Kiesenhofer ha dato speranza a tante. Di contro direi che molte squadre alzeranno l’attenzione e controlleranno bene la gara. Nazioni come Danimarca o Australia, che non hanno nulla da perdere, attaccheranno fin da subito. Starà a noi, Persico e me, entrare nelle fughe e non collaborare se c’è un gruppo che non va bene. Rincorrere porterebbe a dimezzare la squadra e non è detto che si riesca a chiudere. Quindi bisogna anticipare le mosse.
Tu e Persico in anticipo, la Balsamo che ruolo potrà avere?
L’infortunio che ha avuto le ha condizionato l’approccio a questa parte di stagione. Ma il pronto recupero e la convocazione da parte di Sangalli sono dati significativi. Lei sarà quella che dovrà tenere duro, in teoria correre accanto alla Wiebes. Se arriveremo in volata giocheremo tutto su di lei.
Elisa Longo Borghini ha vinto in volata la tappa di ieri al The Women's Tour. Un fatto insolito, anche se in salita. Ne parliamo con il suo coach Slongo
Anche se l’appuntamento olimpico bussa alle porte, per i tecnici azzurri della pista c’è anche tanto altro da affrontare. Nella scorsa settimana ad esempio ci sono stati i campionati europei per juniores e under 23, in quella Cottbus che nel secolo scorso era uno dei centri principali dello sport della Germania Est. L’Italia con le sue 20 medaglie complessive di cui 7 d’oro ha colto il terzo posto nel medagliere, alle spalle di britannici e padroni di casa tedeschi, confermando che dietro le punte presenti a Parigi c’è un intero movimento ricco di ricambi. E che va a pescare anche in territori da troppo tempo inesplorati come la velocità.
Ivan Quaranta ha portato a casa, nello specifico settore, titoli e medaglie, ma soprattutto tante indicazioni. Eppure si sente dalla voce che le pur grandi soddisfazioni hanno solo lenito il rammarico per non aver portato il suo giovanissimo gruppo a Parigi.
Il team della velocità con Quaranta e il presidente Fci Dagnoni. Un oro pesante il primo giorno (foto Uec)Quaranta fra Napolitano e Minuta, nuove entrate nella squadra della velocità U23 (foto Uec)
«Quando ho intrapreso quest’avventura, dopo aver visionato i test dei ragazzi dissi che volevo qualificarli per i Giochi e mi presero per pazzo – racconta il tecnico cremasco – La realtà è che abbiamo sfiorato la qualificazione continuando sempre a crescere, dimostrando che la mia idea non era balzana. Abbiamo una nazionale fortissima, a livello Under 23 ormai non abbiamo avversari e questo l’ho sottolineato ai ragazzi dopo la vittoria nel team sprint: bravi, ma siamo sempre a livello di categoria, gli Elite vanno più forte e lo sanno, sono loro che dovranno battere. E ci riusciranno…».
Lo scorso anno erano arrivato 4 titoli, questa volta oltre a quello del team sprint c’è stato quello di Predomo nel keirin: sei soddisfatto?
Sì perché la nostra squadra di velocità è cambiata per metà. Intanto abbiamo ora Moro e Bianchi che sono Elite, poi abbiamo perso Tugnolo che ha scelto di concentrarsi sul ciclismo su strada, ma intanto sono cresciuti Napolitano e Minuta. La squadra c’è e sta migliorando. Tra l’altro abbiamo vinto su una pista ben diversa da quelle canoniche, un velodromo di 333 metri in cemento, il che significa che nel team sprint c’era un chilometro da fare per l’ultimo componente. Farlo senza riferimenti assoluti non è cosa di tutti i giorni.
Lo sprint vincente di Predomo ai danni del tedesco Hackmann: l’oro nel keirin è suo (foto Uec)Lo sprint vincente di Predomo ai danni del tedesco Hackmann: l’oro nel keirin è suo (foto Uec)
Da parte sua Predomo continua a faticare nella velocità individuale…
Paga il suo essere un peso leggero che costa tantissimo nella prova di qualificazione, i 200 metri lanciati, dove rispetto a chi può lanciare dalla sommità della curva 90 e passa chili ha un gap non di poco conto. Poi nella batteria può giocarsela, ma chiaramente gli abbinamenti lo penalizzano. Dobbiamo lavorarci, trovare il giusto compromesso perché nella sfida a tu per tu la sua agilità è un punto a favore.
Dietro questa squadra, ora che i migliori juniores dello scorso anno sono passati, che cosa c’è dietro?
Tanto lavoro da fare, soprattutto cercando nelle categorie più piccole, gli esordienti e gli allievi. Il problema è che tanti ragazzini poi si lasciano abbagliare dalle vittorie su strada e decidono di non provarci più. E’ un prezzo che paghiamo alla nostra cultura, difficile da sradicare. Avevo commissionato al centro studi un lavoro statistico sui migliori giovani velocisti degli ultimi 12 anni, quasi tutti si sono ritirati, non hanno proseguito neanche su strada, vittime delle prime delusioni. La generazione dei Predomo, Bianchi, Minuta è la prima che vuole insistere e spero che dietro ne arrivino tanti altri seguendo un po’ quel che sta succedendo fra le donne.
Siria Trevisan, terza nei 500 metri da fermo, un nuovo talento sul quale lavorare (foto Fci)Siria Trevisan, terza nei 500 metri da fermo, un nuovo talento sul quale lavorare (foto Fci)
Qui infatti si sono registrate delle novità…
Abbiamo vinto il bronzo nel team sprint juniores con Trevisan, Bianchi e Centi e la stessa Trevisan ha chiuso terza nei 500 metri da fermo. La cosa particolare è che sono ragazze al primo anno di categoria che vogliono investire su questa disciplina e che anzi mi hanno contattato loro per entrare nel gruppo. E’ chiaro che sono solo agli inizi, ma il fatto che siano le ragazze stesse a volerci provare, a chiedermi di farlo è un segno positivo e devo dire che lavorare insieme a Miriam Vece, sapendo che andrà alle Olimpiadi è un forte richiamo, perché sanno che potranno farlo anche loro un giorno, se ci credono e lavorano. Si sta innestando un circolo virtuoso, fra le donne come in campo maschile.
Appena tornato dalla Germania hai subito ripreso il lavoro a Montichiari con lo staff di Villa: che atmosfera hai trovato?
Delle migliori, l’approccio ideale verso i Giochi, con i ragazzi concentrati ma allo stesso tempo allegri, scherzosi. Sanno che non sarà per nulla facile rifare quanto avvenuto a Tokyo, ma le possibilità ci sono e questa volta anche per le donne. Io sono convinto che le medaglie sono alla portata, poi è la gara che decide tutto. Le ragazze soprattutto ci stupiranno: sappiamo tutti quel che hanno passato, in particolare la Balsamo, ma posso assicurare che in questi ultimi giorni sta lavorando a livelli superiori a quelli che ci aspettavamo. Villa intanto ha dato a tutti i propri ruoli in base alle caratteristiche, anche per le altre gare e tutte hanno accettato di buon grado le scelte.
Il velodromo di Cottbus è stato invaso di gente nei 6 giorni di gara (foto Uec)Il velodromo di Cottbus è stato invaso di gente nei 6 giorni di gara (foto Uec)
E per la Vece?
Molto dipenderà dal tempo che farà nei 200 metri lanciati, ma io credo che nella velocità potrà entrare nelle prime 10, poi bisognerà vedere che abbinamenti troverà. Per il keirin sono molto ottimista, nelle sue corde c’è la possibilità di entrare in finale, lo ha già fatto due volte in Coppa del Mondo. Io sono fiducioso, anche perché quando sei in finale tutto è possibile, la storia delle Olimpiadi è piena di esiti contro ogni previsione…
Da ieri la nazionale italiana è a Santiago per i mondiali su pista. Ivan Quaranta si attende nuovi progressi dai suoi giovani, in un contesto elevatissimo
Paolo Sangalli è il nuovo tecnico della nazionale donne su strada: juniores ed elite. Le sue idee e il suo metodo di lavoro. Nel mirino europei e mondiali
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I grandi successi a certi livelli non si ottengono mai da soli. Ovviamente vince l’atleta, il campione o la campionessa, ma dietro le quinte ci sono altre figure che s’impegnano. E Paolo Slongo è una di queste. Il coach veneto della Lidl-Trek forse più di tutti ha contribuito alla conquista del Giro d’Italia Women di Elisa Longo Borghini.
Slongo è uno dei preparatori più esperti in gruppo. Per anni ha collaborato, tra gli altri, anche con Vincenzo Nibali. Ha un palmares lungo così. «Ma – dice il veneto – aver aggiunto in bacheca anche questo Giro d’Italia Women è emozionante. E’ qualcosa in più. Anche per noi preparatori ogni anno si tratta di rimettersi in gioco. In autunno quando finisce la stagione, io riordino le idee. Studio nuove soluzioni, nuovi metodi. E certe vittorie sono uno stimolo».
Paolo Slongo con Elisa Longo Borghini sul Teide, laddove è partito l’assalto al Giro Women 2024Paolo Slongo con Elisa Longo Borghini sul Teide, laddove è partito l’assalto al Giro Women 2024
Paolo, al Giro abbiamo visto l’Elisa più forte di sempre?
In generale, quest’anno, sì. E’ la più forte di sempre e lo dicono i risultati. Ormai è in grado di competere con tutte le più grandi e su tutti i terreni. Non che prima non lo fosse, ma adesso come detto raccoglie di più. E’ migliorata a crono e nel fuori soglia. Per i grandi Giri adesso parte per vincere. Prima andava bene lo stesso, era costante, ma magari correva per il podio. Ora ha agguantato questa prima vittoria in un grande Giro e vuol dire molto. Adesso Elisa fa definitivamente parte delle atlete di prima schiera che ci sono sempre.
Hai parlato di risultati, ma è migliorata anche nei numeri delle sue prestazioni?
Un po’ sì. E lo ha fatto perché adesso è più magra. Elisa ha perso un paio di chili. E per questo abbiamo lavorato a stretto braccio con Stephanie Scheirlynck, la nutrizionista della Lidl-Trek. E’ stato un bel lavoro di squadra, condiviso. Eravamo costantemente in contatto per stabilire il regime alimentare in base agli allenamenti. L’idea era di poterla far allenare forte e mangiare di conseguenza.
Avete cambiato qualcosa nella preparazione più in generale?
Direi che c’è stato un cambiamento drastico nell’approccio all’allenamento. Non posso entrare troppo nello specifico, ma posso dire che siamo passati da un sistema più tradizionale ad un sistema polarizzato (qui per saperne di più, ndr). E si è visto sin dalle classiche che questo metodo aveva buoni effetti. Ma ancora una volta parte del merito è stato della squadra.
Perché?
Perché ha assecondato le nostre idee. A partire dal ritiro sul Teide a marzo e poi un altro a giugno sul San Pellegrino. Questo ha significato fare qualche gara in meno, però abbiamo fatto un bellissimo avvicinamento al Giro. In più dopo l’italiano Elisa è ritornata in quota proprio al San Pellegrino con la nazionale del cittì Paolo Sangalli.
Quest’anno Longo Borghini è dimagrita, ma è riuscita a mantenere i suoi standard di forzaQuest’anno Longo Borghini è dimagrita, ma è riuscita a mantenere i suoi standard di forza
Come ha lavorato in quegli ultimi giorni?
Io avevo lasciato la moto lassù e facevo la spola tra casa mia e il San Pellegrino. Devo dire che Sangalli è stato bravo perché comunque ci ha lasciato spazio.
Quindi Elisa ha rifinito la sua preparazione in quota facendo fuori giri dietro motore?
Anche. Lassù ha lavorato con la bici da crono e un solo giorno abbiamo fatto una simulazione di gara su una salita. L’abbiamo fatta sulla Marmolada, lato Canazei che è più regolare e un po’ meno duro rispetto al versante di Malga Ciapela. E poi come detto 2-3 volte siamo andati in Val di Cembra, che è poco trafficata specie dai mezzi pesanti, per lavorare a crono. Lì ci portavo Nibali.
Veniamo invece ai giorni del Giro Women, Paolo. Tu seguivi Elisa da remoto?
Esatto. Ci sentivamo ogni giorno. La sera ricevevo i dati, ci lavoravo su e alla mattina trovavano il report sul suo stato di condizione, sul TSS (il livello di stress, ndr), sul recupero e aggiungevo i miei feedback.
Come giudichi il suo Giro Women da un punti di vista fisico?
Ovviamente buono. E’ stato un Giro che è iniziato benissimo con la vittoria della crono. Da quel momento si sapeva che l’altra tappa dura ed importante sarebbe stata quella del Blockhaus. E in tutto questo Elisa non ha mai sofferto più di tanto.
Slongo ha detto che uno degli obiettivi di Longo Borghini era la crono: obiettivo centratoSlongo ha detto che uno degli obiettivi di Longo Borghini era la crono: obiettivo centrato
Però lei stessa ha ammesso che a Toano ha sofferto parecchio il caldo nel finale…
Sì, ma il suo stato di forma è sempre stato buono. Io sapevo che stava bene. E anche nella tappa del Blockhaus non è andata piano. Quella tappa era talmente dura che non si sapeva davvero come potesse andare. Noi sinceramente credevamo che le avversarie più pericolose una volta lassù sarebbero state Labous e Fisher-Black. Pensavamo a guadagnare su di loro e invece ci siamo ritrovati una grande Kopecky.
Vi ha fatto paura quella sera?
Eh un po’ sì. Con gli abbuoni ancora in palio il giorno dopo sarebbe stata molto pericolosa. Ci avrebbe potuto mettere in difficoltà. Però da parte mia sono rimasto sempre fiducioso perché in tre arrivi su tre su uno strappo Elisa l’aveva preceduta. E poi io conoscevo davvero i suoi valori e per questo ero relativamente tranquillo, il problema è che poi a parlare è sempre la strada. Magari un Giro che è finito così è stato più bello per i tifosi, ma noi in squadra abbiamo sudato freddo!
Qual è stato l’approccio psicologico sempre quella sera? Come ha reagito Elisa?
Secondo me è cresciuta molto anche sotto questo aspetto. Magari subito dopo il Blockhaus, quando nessuno si aspettava una Kopecky così tanto forte, che comunque era già arrivata seconda ad un Tour, Elisa ha avuto un po’ paura. Ha avuto qualche pensiero. Però posso dirvi che ha reagito immediatamente. La sera stessa diceva: “Questa maglia faranno fatica a portarmela via. Domani farò io la corsa”. Quindi ha mostrato subito un atteggiamento positivo. Poi sia lei che io abbiamo una caratteristica comune: quella di restare con i piedi per terra, specie dopo tante difficoltà. In più era consapevole di essere forte.
Al Giro Women in tutti gli arrivi sugli strappi l’italiana ha preceduto la belgaAl Giro Women in tutti gli arrivi sugli strappi l’italiana ha preceduto la belga
Prima abbiamo accennato al suo rendimento: come è stato nel corso del Giro?
Sempre costante, poi è normale che ci sia stata qualche giornata in cui era un po’ meglio e altre in cui era un po’ peggio. Ma nel complesso sono stati valori elevati dalla crono iniziale all’Aquila.
Longo Borghini ha detto che sul Blockhaus erano un po’ più bassi rispetto ai suoi standard: perché?
Sono stati un pelo più bassi, ma questo dipendeva dal grande caldo che c’era. Certe temperature li fanno abbassare, vale per tutti. Gli atleti tante volte hanno riferimenti assoluti. Magari lei aveva in testa quello fatto al San Pellegrino, ma un conto è fare certe prestazioni a 18 gradi e con due giorni di carico alle spalle, e un conto al settimo giorno di gara e con quasi 40 gradi: è normale che calino.
Ultima domanda, Paolo, da dove nasce realmente la vittoria di questo Giro Women?
Nasce tre anni fa, quando arrivato anche io in questo gruppo, Elisa mi disse che voleva migliorare a crono e fare classifica nei grandi Giri. Se invece devo entrare nello specifico di questo Giro, è iniziato con i primi ritiri in autunno, quando tutti insieme abbiamo buttato giù i programmi della stagione. Quindi le classiche fatte bene e il lavoro per quelle. Lo stacco. La Vuelta corsa in ottica Giro e ora il blocco Giro e Olimpiadi, passando per un Tour non da leader… E questo scrivetelo!
Perché?
Perché non vorrei che qualcuno si montasse la testa e magari si aspettasse chissà cosa al Tour Femmes. E poi c’è il finale di stagione con un mondiale duro, che molto somiglia ad una classica. Se la testa ci sarà ancora, se non sarà stanca, potrebbe essere un’altra bella occasione per Elisa.
GRUISSAN (FRANCIA) – Alberto Contador segue il Tour con Eurosport, che si è accaparrata le sue osservazioni sempre attente e in certi giorni pungenti. A vedere ragazzi come Pogacar e Vingegaard spianare le sue salite, il Pistolero prova sicuramente qualche moto interiore, che si guarda bene dall’ammettere. Però dal tono di voce capisci che se ne morirebbe di avere qualche anno in meno per metterci becco. Ma il tempo è passato e quel che resta è la grande esperienza.
Domenica s’è parlato tanto di Pantani, si è continuato a farlo anche ieri. E Alberto che col mito del Pirata è cresciuto e che nel giorno del Barbotto si è fermato in mezzo ai suoi tifosi rimanendo incantato dalla loro fede, torna sulla sfida fra Pogacar e Vingegaard e i record che ancora cadranno.
Alberto Contador sta seguendo il Tour con Eurosport, di cui è opinionistaAlberto Contador sta seguendo il Tour con Eurosport, di cui è opinionista
Cosa ne pensi di questo Tour e del loro duello?
Penso che stiamo assistendo ad un Tour molto bello. Penso che nonostante la caduta avvenuta al Giro dei Paesi Baschi, Vingegaard sia di nuovo competitivo, quindi penso che valga la pena festeggiare. Altrimenti vivremmo qualcosa di simile al Giro d’Italia. In questo momento c’è emozione, anche se tre minuti sono comunque tanti da recuperare.
Secondo te questo Pogacar è tanto superiore a quello del Giro oppure i due livelli si equivalgono?
Secondo me è migliore, ha tenuto il meglio per il Tour. I suoi sono tutti d’accordo che si trovi nel momento migliore della sua vita e si vede che è più forte. Inoltre penso che Vingegaard stia ottenendo i migliori numeri anche in salita, quindi penso che sia una questione di preparazione. Non credo che lui sia al suo meglio.
Pogacar in salita: che corridore vedi?
E’ un bravo scalatore, ma per me non ha il fisico dello scalatore puro. Penso che abbia così tanto motore, così tanto talento e così tanta classe, che messi tutti insieme gli permettono di scalare i passi più difficili del mondo più velocemente di altri corridori che sono degli scalatori puri. Come Vingegaard, ad esempio, che ha più capacità da scalatore. Jonas ha anche il fisico più adatto, ma qui il discorso si sposta sui watt e in questo momento Pogacar ne ha di più.
Pogacar attende le Alpi con calma serafica, forte dei tre minuti di vantaggioPogacar attende le Alpi con calma serafica, forte dei tre minuti di vantaggio
Si è parlato del record di Plateau de Beille: quanto incidono su questo le attuali tecnologie?
E’ incalcolabile, una autentica barbaridad. Anche la strada, anche l’asfalto non c’entra niente con quello del 1998. E poi bisogna tenere conto che la salita a Plateau de Beille era perfetta per fare una cronometro. Ha iniziato la Visma. Jorgenson è salito molto, molto veloce. E poi il miglior corridore del mondo per le corse a tappe ha tirato per 6 chilometri con Pogacar alla sua ruota e alla fine Tadej ha continuato. E’ stata una cronosquadre in salita, normale che abbiano battuto il record.
E le biciclette?
Ci stavo arrivando. Tutto questo unito al fatto che le biciclette di oggi sono più veloci e avanzano meglio anche in salita, hanno meno attriti… E’ normale che i record cadano, è qualcosa di naturale.
Pogacar ha 3 minuti di vantaggio ed è convinto che Vingegaard cercherà un solo giorno in cui attaccare a fondo. Mettiti nei suoi panni: cosa faresti?
Attaccherei ogni giorno, ogni occasione e ogni momento. E bisogna lasciarsi guidare anche dall’istinto. Non puoi fare un programma di tre giorni, devi anche vedere come ti alzi la mattina. E il giorno in cui lo vedi meno forte, attacchi.
Contador entrò nella 17ª tappa della Vuelta 2012 secondo a 28″ da Rodriguez. Ne uscì primo con 1’52” di vantaggio. Fu l’impresa di Fuente DeContador entrò nella 17ª tappa della Vuelta 2012 secondo a 28″ da Rodriguez. Ne uscì primo con 1’52” di vantaggio. Fu l’impresa di Fuente De
Lo dice col gesto della mano che scivola in avanti. Chissà se osservando e commentando le fasi di corsa si sia trovato a pensare cosa farebbe lui nelle varie situazioni. Alberto riaprì più di qualche corsa compromessa, ma i tempi sono diversi e la capacità di improvvisare che prima era una dote adesso rischia di ritorcersi contro. Oggi intanto si corre per 177 chilometri fino a Superdevoluy, con tre salite nel finale e un costante crescendo di quota che porta sull’uscio delle grandi salite alpine. E poi non ci sarà più troppo tempo per grandi ragionamenti.
NIMES (Francia) – Jasper Philipsen ha vinto l’ultima volata del Tour, la terza per lui. Questa volta Van der Poel è stato una forza, con quel guizzo che tradisce la forma in arrivo per Parigi. Una caduta ha tagliato fuori Girmay dalla possibilità di vincere la quarta tappa, perciò i due ora sono tre a tre e così sarà fino a Nizza. La differenza la farà la voglia di arrivare in fondo. Di solito quando non ci sono più volate e tante montagne, i velocisti tendono a squagliarsi, ma questo è il Tour e Girmay comunque a Nizza ha da portare la maglia verde. Chi cercherà di tenere duro ad ogni costo è invece Mark Cavendish.
Oggi “Manxman” ha preso parte alla sua ultima volata al Tour de France, anche se il finale non è stato quello che si aspettava. Eppure, come quando Manzoni vinse la tappa di Cava dei Tirreni ma nessuno se ne accorse (perché tutti guardavano Pantani), ai piedi del pullman dell’Astana c’è mezza sala stampa per raccogliere la voce di colui che ha fatto la storia e oggi non ha vinto. Cavendish si è fatto voler bene. Raramente si è aperto raccontando le sue fragilità e quando lo ha fatto è nato un capolavoro disponibile su Netflix, la cui visione è illuminante.
La tirata di Van der Poel oggi è stata imperiale: l’iridato cresce bene in vista di ParigiSenza Girmay, Cavendish e Gaviria intrappolati per la caduta, Philipsen ha fatto una volata prepotenteLa caduta ha impedito a Girmay di giocarsi l’ultimo sprint, ma la verde dovrebbe essere al sicuroLa tirata di Van der Poel oggi è stata imperiale: l’iridato cresce bene in vista di ParigiSenza Girmay, Cavendish e Gaviria intrappolati per la caduta, Philipsen ha fatto una volata prepotenteLa caduta ha impedito a Girmay di giocarsi l’ultimo sprint, ma la verde dovrebbe essere al sicuro
La commozione di Renshaw
Mark Renshaw, il direttore sportivo richiamato proprio per la missione impossibile, è sceso a fatica dall’ammiraglia. Sembrava commosso, è bastato sentirlo parlare per capire che lo fosse davvero. Il caldo è pesante e umido, l’australiano e le sue lentiggini tendevano vivacemente al rosso. Insieme hanno vissuto decine di volate e poi i momenti più duri di questa risalita.
«Abbiamo raggiunto ciò per cui siamo venuti – ha detto prima di sparire sul bus – e questo è stato davvero l’ultimo sprint di Mark Cavendish. Non so come sia andata, parlerò con i ragazzi, ma siamo felici di aver raggiunto il nostro obiettivo. Nel team tutti credevano che sarebbe stato possibile, è per questo che abbiamo costruito il progetto. Se lo conosco, Mark sarà arrabbiato per oggi e per un paio di altri giorni in cui non siamo riusciti a farcela. Però ha fatto uno sprint magico nella quinta tappa ed è diventato l’uomo che ha vinto più tappe nella storia del Tour.
«Non mi ha sorpreso, lui in questa corsa si trasforma. Se vince una tappa alla Tirreno-Adriatico o al Giro d’Ungheria, non cambia molto. Solo al Tour de France cambia davvero. Quanto a me, è stato diverso. Sono partito in un Tour in qualità di direttore sportivo. Mi piace molto come lavoro, c’è molta pressione, ma è una pressione da parte mia per fornire loro quante più informazioni possibili. Tutti i ragazzi e tutti coloro che hanno fatto parte di questa vittoria ne sono davvero orgogliosi. E adesso daremo il 110 per cento per arrivare al traguardo di Nizza».
Nonostante la volata sfumata, Cavendish ha parlato con grande calma e alla fine si è apertoNonostante la volata sfumata, Cavendish ha parlato con grande calma e alla fine si è aperto
Il pullman di Borselli
Sotto al pullman dell’Astana già da qualche minuto è tutto uno sgomitare di telecamere che vogliono accaparrarsi la prima fila. Poi si trova un’intesa, fra quello che si abbassa, quello che tira fuori l’asta del microfono e chi chiede a un bambino, beato in prima fila, di tenere per lui il telefono con il registratore acceso. Borselli sale, sbircia e poi scende, l’attesa continua. E poi Mark viene giù, con il sorriso sul volto e il saluto per la gente che al suo apparire esplode in un applauso.
Ci racconti gli ultimi chilometri dal tuo punto di vista?
Eravamo abbastanza ben posizionati. Arrivando al finale, c’erano molte squadre tutte insieme, potete vederlo da qualunque immagine. Poi è spuntata una rotatoria nel posto sbagliato e nel momento sbagliato ed è successo un pasticcio. Alcuni ragazzi sono riusciti a passare, altri no. Alcuni sono scesi di bici, Girmay è caduto. Forse a questo punto, la cosa più importante è che stiano bene e siano arrivati sani e salvi. Non ho visto molto, appena un piccolo filmato. Negli ultimi tre chilometri potevamo andare solo da un lato di ciascuna rotatoria, per cui tutti avevano la stessa idea. C’è solo un pezzo di corda, a volte capisci bene e a volte no. Ecco cosa è successo…
A Plateau de Beille, Cavendish è arrivato quasi trasfigurato. Da domani e fino a Nizza sarà così quasi ogni giornoA Plateau de Beille, Cavendish è arrivato quasi trasfigurato. Da domani e fino a Nizza sarà così quasi ogni giorno
E’ la fine di un’era, in qualche modo…
Abbiamo fatto ciò che ci eravamo prefissati di ottenere e lo abbiamo fatto presto, quasi all’inizio. Poi io ho provato a fare altre volate e la squadra a fare qualcosa con Harold (Tejada, ndr) in montagna. Non ci resta che tenere duro fino all’ultimo traguardo.
Che tipo di spirito cercherai di portare in questi ultimi giorni?
Sulle Alpi la corsa sarà difficile, mi sono allenato un bel po’ da quelle parti. Resteremo sempre insieme e cercheremo di farcela. Speriamo che Tejada e Lutsenko possano fare qualcosa. Domenica abbiamo visto Harold restare a lungo con i migliori, così almeno noi velocisti non avremo più pressione addosso. Ora si tratta solo di percorrere il resto dei chilometri e provare a restare nel tempo massimo, sperando che Pogacar ce lo permetta (ride, ndr).
Tutti qui hanno passato l’intera giornata a essere nostalgici, hai un momento per ammettere se è così anche per te?
E’ incredibile vedere il supporto qui al Tour. E’ stato fantastico vederlo all’inizio e alla fine di ogni tappa e anche durante la corsa. Sono molto fortunato ad avere persone così incredibili che mi seguono e che vivono la mia carriera con me. Non so da quanti anni sento tutto e apprezzo tutto questo. Vedete questo bambino? Forse tra dieci anni correrà il Tour de France e magari sentire queste cose lo ispirerà. Lo farai?
Autografi alla sua gente prima di salire sul pullman: ora l’obiettivo è arrivare a NizzaAutografi alla sua gente prima di salire sul pullman: ora l’obiettivo è arrivare a Nizza
Cavendish si è rivolto al bambino in prima fila, quello col telefono in mano. Ma il bimbo è francese e dell’idioma smozzicato di Cav probabilmente non ha capito un bel niente. Però lo guarda rapito e forse l’effetto sarà lo stesso. E Mark ricomincia: «Tra qualche anno farai uno sprint? Dì solo di sì. Annuisci, dì di sì…». E poi scoppia a ridere…
C’è spazio per l’emozione adesso?
Sono stato in mezzo a loro per quasi due anni negli ultimi venti, sommando i giorni del Tour. Questa è stata la mia famiglia (si sofferma per un istante che dura una vita, ndr). Non ho fatto festeggiamenti da quando ho iniziato il Tour de France. Ho festeggiato correndo il Tour e ho sofferto al Tour. Ho mostrato al Tour il rispetto che merita e ho avuto successo. E adesso verrà il momento di festeggiare. Ho ricordi fenomenali di questa corsa, dalla prima tappa a quella che sarà l’ultima. Sono uno dei tanti corridori di una gara che ogni anno diventa il più grande evento sportivo del mondo. Sarà strano vederlo da casa, ma è stato molto bello farne parte.
Pogacar è in ritiro con la squadra. Un incontro sereno fino al momento in cui si parla del prossimo Tour. La sconfitta brucia. Si lavora per la vendetta
GRUISSAN (Francia) – Ciccone sta nel mezzo, come gli succede da parecchio negli ultimi anni. Voleva fare il Giro d’Italia, ma si è ammalato. Lo hanno portato al Tour per puntare alle tappe e aiutare Tao Geoghegan Hart, uomo per la classifica. Invece il britannico è caduto e Giulio si è ritrovato lui a fare classifica. E così adesso che Silvano Ploner di Rai Due gli chiede se non sarebbe meglio lasciar andare la classifica per puntare a una tappa, lui risponde con ironia.
«No, non è facile – dice l’atleta della Lidl-Trek – non è facile anche perché è sempre una top 10 a un Tour de France. Non va buttata così per andare in una fuga. Ci sono dinamiche un po’ diverse, però vediamo. Niente è deciso, quindi aspettiamo. Oggi è una tappa che tanti sottovalutano, ma sarà una tappa che farà più casino delle montagne. Quindi vediamo quello che succede e poi decideremo».
La partenza da Gruissan è caotica e calda. Le cicale friniscono senza tregua e prima che iniziasse il baccano della carovana si erano prese tutto lo spazio nella gamma dei rumori. I pullman sono arrivati alla spicciolata e quando Giulio ci raggiunge, ha lo sguardo divertito di sempre.
Come nelle prime tappe italiane, al Tour questa mattina è tornato il caldo, ma Ciccone non ha perso il sorrisoCome nelle prime tappe italiane, al Tour questa mattina è tornato il caldo, ma Ciccone non ha perso il sorriso
Ti abbiamo visto abbastanza stanco, come stai dopo il giorno di riposo?
L’altro giorno è stata una tappa folle. E’ vero, nell’ultima salita ho pagato qualcosa, però vi assicuro che non è stato un crollo. I miei dati erano buoni, la potenza era buona. Era semplicemente che Il ritmo era troppo alto per le mie possibilità, tutto qui. Ieri è stato un buon giorno di recupero e ora siamo nell’ultima settimana, vediamo cosa si riesce a tirar fuori.
L’idea comunque non era di fare classifica, giusto?
No, il leader era Geoghegan Hart, sulla carta. Arrivavo qui per fare qualche tappa, per riprovare magari la maglia pois. Poi però siamo partiti dall’Italia e, come avevo già dichiarato, volevo vedere come andava la prima settimana e poi decidere. Finora ho avuto delle belle prestazioni in salita, forse la peggiore è stata proprio a Plateau de Beille. Comunque tolti i tre fenomeni, poi il livello è molto bilanciato. Secondo me vale la pena provare a tenere duro. Manca ancora la settimana più dura, quindi se capita l’occasione non voglio tirarmi indietro.
Ciccone si è ritrovato per l’ennesima volta a “dover” fare classificaCiccone si è ritrovato per l’ennesima volta a “dover” fare classifica
Qualcuno ha detto che, visto il livello che hai in questo Tour, potevi fare un bel Giro.
Mi sarebbe piaciuto e come ho sempre detto, il Giro rimane il mio sogno. Però purtroppo per forza di cose sono già due anni che i programmi saltano. Ma ripeto per me il Giro è il Giro e magari fare un Tour così bene mi darà ancora più fiducia per riprovarci in Italia.
Cos’è che rende il Tour così duro?
Il Tour è il Tour, è micidiale. Non c’è una tappa dove si può stare tranquilli e le velocità sono pazzesche. Lo stress è altissimo, il livello è altissimo: è tutto diverso. Il Tour è una gara completamente a parte, non esiste una gara simile al Tour.
I valori sono buoni, la potenza è buona, quindi si corre guardando i dati sennò si salta?
Diciamo che io non li guardo, cerco di seguire la corsa e non mi lascio condizionare dai dati. Però poi ovviamente si analizza tutto e a leggere ci sono dei valori mostruosi. Ve lo assicuro. Quindi sono contento così.
Roberto Reverberi ha capito bene quali siano ora le difficoltà tattiche di Ciccone. «Fatica più a ruota che ad attaccare». Ma il podio è alla sua portata
Da qualche foto sui social era emerso che i ragazzi della SC Romanese, squadra juniores bergamasca, avevano passato una settimana in Olanda, in casa della DSM-Firmenic Post NL. Un periodo di allenamenti con a coronamento di questa anche una gara di categoria 1.1, dove Stefano Gianini ha conquistato un ottimo terzo posto.
«Dal 2024 – dice Redi Halilaj, team manager della SC Romanese – siamo diventati team di sviluppo della DSM. Un progetto che raccoglie diverse realtà in Europa, tutte squadre juniores, e vuole portare i corridori nell’orbita della squadra WorldTour. Non è un reclutamento di atleti e basta, ma una serie di esperienze per far crescere i ragazzi. Per far imparare loro come si lavora e ci si allena in un team di alto livello».
Ecco gli atleti della Romanese all’interno della struttura del Team DSM-Firmenich PostNLEcco gli atleti della Romanese all’interno della struttura del Team DSM-Firmenich PostNL
Romanese orgoglio italiano
Il progetto della DSM-Firmenich Post NL comprende appunto diverse squadre del panorama juniores. Tutte selezionate secondo parametri di qualità del lavoro e di preparazione dello staff.
«In questo momento – continua Halilaj – sono all’interno del progetto alcune squadre: un’olandese, una inglese, una belga e noi. A inizio anno la DSM cercava un team italiano ed è stata segnalata la nostra realtà. Un grande attestato di stima visto il nostro lavoro e sono davvero felice per i ragazzi, perché hanno potuto prendere parte ad un’esperienza molto formativa. Verso gennaio ho fatto un paio di incontri con il loro capo scout e siamo entrati in questo progetto. La settimana in Olanda era già prevista, fin da subito».
Il primo giorno hanno effettuato dei test sul VO2Max all’interno dei laboratoriUn modo anche per apprendere come funzionano certe dinamicheIl primo giorno hanno effettuato dei test sul VO2Max all’interno dei laboratoriUn modo anche per apprendere come funzionano certe dinamiche
Come si è svolta?
Il primo giorno siamo andati nei laboratori del team e abbiamo fatto alcuni test, in particolare sul VO2Max. Abbiamo visto quali macchinari usano e i ragazzi avevano gli occhi che brillavano dall’emozione. Nel secondo giorno, invece, c’è stato un allenamento di tre ore e mezza con quattro volate da 10-12 secondi. Alla fine anche un test di un minuto al massimo delle possibilità.
Abbiamo visto che siete anche stati nel BikePark di Tom Dumoulin…
Sì, siamo andati nella giornata di venerdì. E’ un posto fantastico e super attrezzato, pensate che all’interno ci sono anche dei settori di pavé. I ragazzi hanno imparato a fare la doppia fila ravvicinata, vista la larghezza delle strade del Nord. Cose utili per la loro crescita e il loro apprendimento. Hanno anche visto come si prende in testa una curva prima di uno strappo. Praticamente hanno visto cosa vuol dire correre da quelle parti.
Nella seconda giornata un allenamento sulle strade olandesi, con quattro volate breviEccoli all’interno del BikePark di Tom Dumoulin, dove hanno imparato a muoversi su strade stretteNella seconda giornata un allenamento sulle strade olandesi, con quattro volate breviEccoli all’interno del BikePark di Tom Dumoulin, dove hanno imparato a muoversi su strade strette
Hanno imparato bene visto il terzo posto di domenica 7 luglio.
Una gara piatta, senza asperità, ma con un vento incredibile. I ragazzi sono stati bravissimi, erano nel vivo della corsa, tanto da essere entrati in tre nei primi dodici. Ma non era il risultato che cercavamo, anche se questo ha fatto piacere.
Che obiettivo avevate?
La cosa principale che mi premeva era il confronto con gli altri ragazzi. In queste esperienze all’estero impari qualcosa, sempre. E secondo me insegni qualcosa. Non è solo apprendere, ma anche donare.
L’esperienza si è chiusa domenica 7 luglio con la partecipazione alla Menen Kemmel, dove Stefano Gianini ha colto un ottimo terzo postoIl 7 luglio hanno partecipato alla Menen Kemmel, dove Stefano Gianini ha colto un ottimo terzo posto
Dove avete alloggiato?
Negli appartamenti della DSM. I ragazzi hanno vissuto in totale autonomia, a gruppi di due. Si cucinavano la cena e si autogestivano. Tutto lo staff del team alla fine della settimana ci ha fatto i complimenti. Non è facile ambientarsi in quelle zone, anche solo per andare in bici. Devi entrare e uscire dalle ciclabili, perché dove ci sono vanno usate. Ma quelle sono belle, scorrevoli e ci si può allenare sopra senza problemi.
Tu sei felice di quanto visto?
Totalmente. Secondo me una settimana del genere ti lascia tanto. Sia a me che ai ragazzi. Fa capire loro cosa bisogna fare per arrivare in alto, non basta andare forte in bici, intorno c’è un mondo. Serve umiltà e ambizione. I consigli dello staff della DSM fanno piacere e sono un tesoro importante per loro. Il ciclismo è un divertimento, ma serve anche prenderlo con la giusta dose di serietà.
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