Il motore dell’Australia. Welsford ha riscosso il suo credito

28.08.2024
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Anche Villa, analizzando i recenti Giochi Olimpici di Parigi 2024, ha riconosciuto che Sam Welsford sia stato l’arma in più del quartetto australiano verso oro e record del mondo. Un motore straordinario, all’altezza del Ganna di Tokyo 2021, che ha regalato il massimo ai Wallabies. Per ottenere l’alloro olimpico, il corridore della Red Bull-Bora Hansgrohe ha rinunciato a tanto, fatto grossi sacrifici, messo in freezer la sua carriera su strada proprio perché c’era un appuntamento con la storia al quale non poteva mancare.

I giorni di Parigi sono passati, Welsford ancora non ha ripreso la sua attività (lo farà oggi al Renewi Tour in Belgio) ma sente ancora nell’aria quell’elettricità che ha portato il suo oro, uno dei più belli dell’eccezionale spedizione australiana a Parigi, capace di cogliere il terzo posto nel medagliere contro ogni pronostico.

Welsford con Bleddyn, Leahy e O’Brien, i nuovi primatisti mondiali del quartetto
Welsford con Bleddyn, Leahy e O’Brien, i nuovi primatisti mondiali del quartetto
Quando sei stato coinvolto nel progetto del quartetto olimpico e qual è stata la differenza principale rispetto all’Australia degli scorsi anni che vi ha portato all’oro e al record?

E’ stata una scelta positiva. Ero stato argento a Rio 2016 e bronzo a Tokyo tre anni fa, in cuor mio ho sempre saputo che volevo tornare e provare a ottenere quella benedetta medaglia d’oro. A Tokyo era stato un disastro nelle qualificazioni che ci aveva messo subito fuori gioco. Dovevamo riscattarci. E così abbiamo ricominciato ad allenarci, ma prima ci siamo presi un po’ di tempo lontano dalla pista. E’ come se ci fossimo disintossicati. Abbiamo ripreso quest’anno con un’idea chiara in mente. Abbiamo fatto la Nations Cup come gara di preparazione, di costruzione della squadra insieme e poi abbiamo fatto un sacco di lavoro a Maiorca, concentrandoci in maniera quasi monacale. Poi ad Anadia in Portogallo per fare davvero quel lavoro specifico che ci serviva e siamo arrivati a Parigi al massimo, consci che potevamo farlo.

Tu hai smesso di correre su strada a metà giugno: è stato un problema per il team non poter contare su di te?

All’inizio della stagione ero andato molto bene, ma sapevo che non poteva durare, dovevo pensare a che cosa serve per essere campioni in pista, a quel tipo di allenamento diverso dalla strada. Il piano con la squadra era avere un buon blocco di gare prima del lavoro specifico e poi rivederci dopo Parigi. In Slovenia ero già con la mente verso il quartetto, era stata una gara anche molto severa, arcigna. Devo dire grazie al team che mi ha supportato nel mio sogno. Ora sono concentrato per fare comunque un buon finale di stagione. Nel team d’altro canto sanno anche che la pista è molto utile per il mio sprint.

Per il ventottenne australiano l’oro è stata una sorta di liberazione dopo il pasticcio di Tokyo
Per il ventottenne australiano l’oro è stata una sorta di liberazione dopo il pasticcio di Tokyo
Avevi iniziato la stagione in maniera trionfale al Santos Tour Down Under: come giudichi la prima parte dell’anno su strada?

Penso che vincere nel mio Paese d’origine, la gara di casa ad Adelaide, sia stato super speciale e vincerne poi tre sia stato incredibile. Ero davvero entusiasta della stagione che stavamo iniziando. E’ stato sicuramente uno dei miei momenti salienti dell’anno. Un velocista che vince tre volte nella stessa gara non accade spesso, quando succede devi goderti il momento.

Ti vedi più come corridore su strada o su pista?

Ora sono probabilmente più uno stradista. L’oro di Parigi non cambia quello che sono. Ora voglio avere la mia carriera e credo che alla mia età ora posso essere uno dei migliori velocisti nel gruppo, giocare  le mie carte nei Grandi Giri, Ma per farlo dovevo chiudere un cerchio e ringrazio i tecnici per avermi permesso di farlo con quella medaglia d’oro.

Una delle tre tappe vinte al Santos Tour Down Under, dove aveva mostrato una grande potenza
Una delle tre tappe vinte al Santos Tour Down Under, dove aveva mostrato una grande potenza
Tornando alla preparazione per Parigi, quanto è stato importante potersi allenare senza distrazioni derivanti dall’attività su strada?

Un equilibrio c’è sempre stato, non credo nella divisione netta delle carriere. È più come se dovessi fare un po’ di entrambe le cose. Anche senza gareggiare su pista, allenarcisi sopra è importante, soprattutto per la forza che un velocista deve avere. Non è solo questione di forma fisica generale, ma di cura del motore, per così dire. Soprattutto se fai le volate di gruppo che ho fatto io. La pista ti abitua a sforzi brevi e intensi che creano molta fatica neurale. Sono stancanti, più dell’allenamento su strada, stai tranquillo che il giorno dopo non te la senti di fare 4 ore su strada…  Ma in realtà è molto importante per il processo di passaggio, per lavorare sull’ultimo minuto di questa gara, quello decisivo.

Welsford insieme a O’Brien nella madison, chiusa al 12° posto con un senso di appagamento
Welsford insieme a O’Brien nella madison, chiusa al 12° posto con un senso di appagamento
Qual era la nazione che più temevate sulla strada verso l’oro?

Difficile dire. Sapevamo che c’era tanto equilibrio, con Italia, Gran Bretagna, Danimarca, temevamo anche i cugini neozelandesi. Impossibile prevedere prima che cosa sarebbe successo, noi sapevamo solo che dovevamo essere al massimo e non sbagliare, questa volta… Perché non avremmo avuto un’altra occasione. Devo però confessare che guardavo l’Italia e mi faceva impressione, sapevo che erano una squadra davvero buona e che Ganna stava andando bene. Sarebbe stata una minaccia davvero grande. Sai, sono sempre super per le Olimpiadi e sono stati campioni del mondo di recente, quindi sapevamo che erano anche loro al massimo, ma dovevamo guardare a noi stessi.

Molti ti giudicano come uno degli sprinter più forti del ciclismo attuale: è un ruolo che ti piace o pensi di avere anche altre caratteristiche?

Essere un velocista a me piace. È qualcosa in cui penso di essere abbastanza bravo. Con la giusta preparazione, penso che possa essere abbastanza veloce, all’altezza degli altri di primissimo piano. Fortunatamente negli ultimi due anni sono andato migliorando lentamente, ma non ho ancora raggiunto i livelli che penso di avere. D’altronde le corse sono cambiate, ora sprinter puri non ci sono più, devi saper tenere anche in salita. Su questi terreni collinari, che sono difficili per me perché ovviamente sono piuttosto pesante, posso e devo ancora migliorare.

Brillante a inizio stagione, l’australiano si era già messo d’accordo con il team per una lunga assenza
Brillante a inizio stagione, l’australiano si era già messo d’accordo con il team per una lunga assenza
Tu hai già il contratto per il prossimo anno: ti dedicherai ancora alla pista nel 2025?

Sai, ci ho pensato. E’ difficile dirlo ora. Per me, penso che sia importante che restituisca qualcosa al team. Mi concentro sulla strada e mostro loro quanto posso essere bravo. Se avrò una stagione davvero buona l’anno prossimo, penso che sia davvero positivo per la squadra e per mostrare cosa so fare. Penso di essere in quella fase della carriera in cui devi decidere cosa vuoi fare. Magari potrebbe essere utile fare qualche Sei Giorni, qualche uscita a fine anno. Ma non di più.

Double: lo scalatore inglese scoperto dalla Polti è pronto per il WT

27.08.2024
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I movimenti di mercato sono iniziati da qualche settimana e hanno portato già a grandi notizie che ci proiettano con curiosità verso il 2025. La Tudor con l’arrivo di Alaphilippe e Hirschi ha tenuto banco, ma anche le altre formazioni si sono mosse. Una di queste è la Jayco-AlUla, la quale all’interno del suo organico porta Paul Double, britannico classe 1996 che arriva direttamente dalla Polti-Kometa. Un profilo non di primo piano, vero, ma che ci ha fatto sorgere qualche curiosità.

Paul Double è passato professionista con Human Powered Health nel 2023, dopo un periodo da stagista nel 2022
Paul Double è passato professionista con Human Powered Health nel 2023, dopo un periodo da stagista nel 2022

Pro’ a 27 anni

Paul Double è passato professionista tardi, se si guarda agli standard del ciclismo moderno, a 27 anni. Lo ha fatto con la Human Powered Health, formazione professional americana. Nel 2022 è stato preso come stagista, mentre nel 2023 è entrato ufficialmente nell’organico del team. Dopo una stagione fatta di alti e bassi è passato alla Polti-Kometa. La professional italiana lo ha preso, cresciuto e formato, tanto che in un solo anno è arrivato il salto nel WorldTour. 

Tra coloro che lo hanno seguito più da vicino, in questo 2024, c’è Stefano Zanatta, diesse del team Polti-Kometa. Proprio a lui chiediamo cosa ha visto e quali sono le caratteristiche del britannico. 

«Da noi – spiega Zanatta mentre si gode gli ultimi giorni a casa prima di riprendere la routine delle corse – Double è arrivato quasi casualmente. E’ stato proposto ai fratelli Contador (Fran e Alberto, ndr) la scorsa estate. Con l’addio di Fortunato eravamo alla ricerca di un corridore che potesse sostituirlo. Abbiamo capito che Double potesse essere una valida opzione perché lo avevamo visto in azione quando correva con la Mg.K Vis. In salita teneva molto bene ma peccava nella gestione della corsa, tatticamente era molto discontinuo. La conferma delle sue qualità è arrivata poi nei primi test invernali fatti con noi, i dati erano gli stessi fatti registrare da Fortunato. Così si è deciso di prenderlo e dargli fiducia».

Nelle stagioni precedenti si era fatto vedere nelle corse italiane, qui al Giro di Sicilia del 2021 con la Mg.K Vis
Nelle stagioni precedenti si era fatto vedere nelle corse italiane, qui al Giro di Sicilia del 2021 con la Mg.K Vis
Però arrivava da formazioni che non gli avevano dato così tanta esperienza, in cosa peccava?

Sapevamo che in salita sarebbe venuto fuori, ma era da perfezionare nelle altre situazioni di gara. Per fortuna da noi ci sono corridori come Maestri e Sevilla, ragazzi che sanno affiancare i meno esperti e insegnare loro come muoversi in gruppo. Double doveva migliorare nelle corse a tappe, specialmente in quelle più lunghe. Piano piano abbiamo incrementato i giorni, partendo da gare di quattro tappe fino ad arrivare al Giro di Turchia. 

Una corsa di otto giorni, impegnativa, nella quale ha colto un bel terzo posto finale…

Quello è stato un buon segnale, tanto che se avesse avuto un po’ più di solidità in passato avremmo anche potuto portarlo al Giro d’Italia. Double non ha mai fatto una grande attività, e fargli fare una corsa di tre settimane sarebbe stato un azzardo. Da inizio stagione è migliorato tanto, soprattutto nei percorsi misti e in discesa. Ha trovato maggiore confidenza con i mezzi e in sé stesso. 

La Polti-Kometa ne ha capito il potenziale, anche se tatticamente risultava ancora acerbo
La Polti-Kometa ne ha capito il potenziale, anche se tatticamente risultava ancora acerbo
Come spieghi il suo arrivo tardivo nel mondo dei professionisti?

Ha avuto squadre differenti, ma mai nessuna vicina alle sue caratteristiche. Gli mancava la fiducia, quest’anno con noi ha trovato una dimensione che lo ha stimolato. Tra le corse in Spagna e Italia si è ritrovato su percorsi vicini alle sue caratteristiche e in più lo abbiamo seguito molto bene. Non era abituato a lavorare seguito da un preparatore o da un nutrizionista. Si è adattato al nuovo sistema ed è stato molto bravo. 

Tatticamente in che modo avete lavorato?

Innanzitutto gli abbiamo dato fiducia, fin dai primi giorni. Nei due ritiri invernali gli abbiamo detto che calendario avrebbe fatto da lì a tre mesi. Anche a questo non era abituato, ma una strutturazione degli impegni è la base per programmare e gestire la preparazione. Parlando con Double lui era convinto di venire a certe gare in appoggio a Piganzoli. Noi gli abbiamo fatto capire che lui doveva farsi trovare pronto anche per fare la sua corsa. Avere un team che ha fiducia in te è la prima cosa utile per sentirsi apprezzato. 

Con il passare delle gare ha acquisito sempre più consapevolezza, il risultato migliore al Giro di Turchia, terzo nella generale
Con il passare delle gare ha acquisito sempre più consapevolezza, il risultato migliore al Giro di Turchia, terzo nella generale
Più specificatamente cosa hai visto, una volta in gara?

Attaccava da lontano e faceva fatica a tenersi a bada, a risparmiare le energie per le ultime parti di gara. In Turchia ha corso bene e il risultato è arrivato, sono però serviti due mesi di gare nelle quali ha imparato tanto. Dopo la pausa primaverile è ripartito dallo Slovenia e ha riallacciato il filo di quanto fatto in precedenza. Nella tappa più dura, la quarta, è arrivato secondo dietro a Pello Bilbao e regolando il gruppo dei migliori che comprendeva Aleotti (vincitore poi del Giro di Slovenia, Pozzovivo e Pellizzari, ndr). 

Il segreto qual è stato?

Trattarlo come un neo professionista. Senza offesa ma era come se lo fosse, quindi il lavoro fatto è stato di costruzione. Ne siamo stati sempre soddisfatti, tanto che avremmo voluto tenerlo con noi, poi però sono arrivate le sirene del WorldTour. Ci rimane il piacere di aver formato un ragazzo forte, l’ennesimo passato da noi e poi finito tra i grandi. Una cosa è certa, se fosse rimasto con noi lo avreste visto al Giro del 2025. 

In Slovenia un’altra grande prestazione nella tappa regina, secondo dietro solamente a Pello Bilbao
In Slovenia un’altra grande prestazione nella tappa regina, secondo dietro solamente a Pello Bilbao
Ora però ha ancora possibilità di crescere e imparare con voi…

Da qui a fine stagione lo faremo correre e sfrutteremo la sua crescita. Adesso farà Larciano, Matteotti e Pantani, poi lo porteremo al Giro di Malesia e vedremo se farlo correre al Lombardia. Sarebbe al sua prima monumento e la seconda corsa nel WorldTour (la prima è stata il Tour de Pologne nel 2023, ndr).

La Jayco prende quindi un corridore ancora in grado di fare degli step importanti?

Sicuramente. Pensare che Double possa diventare un gregario da grandi corse a tappe è difficile. Ma in una gara di tre settimane può essere un ottimo battitore libero. Il fatto che non abbia ancora fatto esperienze del genere gli permetterebbe di aumentare ancora i giri del motore. Sono sicuro che in un contesto organizzato come una squadra WorldTour troverà il modo di fare bene. Gli facciamo tutti un in bocca al lupo.

Alaphilippe alla Tudor, aria nuova e voglia di vincere

27.08.2024
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Era scritto da mesi che Julian Alaphilippe avrebbe lasciato la Soudal-Quick Step: Lefevere ha fatto di tutto per costringerlo a mollare e alla fine ce l’ha fatta. Pochi però immaginavano che “Loulou” sarebbe andato alla Tudor Pro Cycling. Il suo nome sembrava ormai associato a quello di Bernaudeau e alla Total Energies, invece alla fine ha prevalso l’offerta di Cancellara. E volendo leggere fra le righe, la sensazione è quella di un Alaphilippe ancora battagliero, che ha voglia di nuovi stimoli e nuove vittorie. La squadra francese non sembra il luogo ideale per chi ha ancora l’indole del guerriero.

A San Sebastian, Alaphilippe più esplosivo di Hirschi in salita, ma lo svizzero vincerà in volata
A San Sebastian, Alaphilippe più esplosivo di Hirschi in salita, ma lo svizzero vincerà in volata

Una scelta difficile

Alaphilippe ne ha parlato dopo la gara di Plouay, chiusa a 11″ da Hirschi, che lo aveva già battuto a San Sebastian e passerà con lui nella squadra svizzera. La sua scelta deriva da motivazioni particolari e forti, come ci aveva spiegato qualche giorno fa Ricardo Scheidecker, Head of Sports del team svizzero.

«Non è stata una decisione facile – ha raccontato Alaphilippe – perché si è trattato di scegliere fra bei progetti e persone che avevano lavorato tanto per avermi con sé. Mi faceva male l’idea di deluderli, ma alla fine ho scelto di pensare a me stesso. Ho ascoltato il mio cuore e questo mi ha fatto sentire libero. So di aver fatto la scelta giusta».

Fra Ricardo e Cancellara

A ben vedere non si tratta di un salto nel buio. Con Trentin ha corso per quattro anni, quando ancora Matteo militava nel gruppo Quick Step, e lo stesso Ricardo Scheidecker ne era una colonna portante. A ciò si aggiunga la voglia di nuove motivazioni, dopo l’intera carriera nella stessa squadra.

«Le mie esigenze sono semplici – spiega Julian – facciamo uno sport difficile e volevo un progetto con una base solida, dove devo pensare solo alla prestazione, a me e alla mia famiglia. So che la squadra si occuperà di tutto il resto. Conosco bene Trentin, ho bei ricordi. Conosco anche Ricardo ed è una persona con cui ho vissuto bellissimi momenti alla Quick Step. Lui è stato il primo a spiegarmi il progetto e la voglia che avevano di lavorare con me. Ci ho messo del tempo, perché volevo prima tornare ai miei livelli, senza le mille questioni legate a un passaggio di squadra. Volevo essere certo di fare la scelta giusta. Ho parlato molto anche con Cancellara. Mi ha fatto capire di esserci passato, che era una decisione importante e difficile da prendere, soprattutto a questo punto della carriera. Cose che lui ha vissuto, al punto da aver parlato anche di come bilanciare la vita familiare con le corse».

Nella scelta di Alaphilippe sarebbe centrale anche la voglia di stare vicino alla famiglia (foto Instagram)
Nella scelta di Alaphilippe sarebbe centrale anche la voglia di stare vicino alla famiglia (foto Instagram)

La ricerca della felicità

Scheidecker ha usato la parola “felicità”, forse perché era evidente che nella vecchia squadra questa fosse ormai perduta. Di solito il rinnovo del contratto avveniva dopo la Liegi, ma questa volta Lefevere ha preso tempo e ha dato ad Alaphilippe la possibilità di guardarsi intorno. Andare alla Tudor ha significato accettare la scommessa dei corridori che l’hanno preceduto. Dover aspettare gli inviti e non avere le certezze di un team WorldTour.

«Voglio realizzarmi – spiega – vincere le gare. Voglio sentirmi bene con me stesso, per dare il massimo e portare la squadra al top. Questo è il mio obiettivo. Sono felice di avere un ruolo di leadership, ma so anche che dovrò dare l’esempio ai tanti giovani, in bici e giù dalla bici. Questo mi motiva e mi rende felice. Rimanere era impossibile. Negli ultimi anni ci sono stati momenti complicati. Quindi oltre al fatto che ero già un passo avanti sull’idea di cambiare ambiente, la decisione non è stata così complicata. Ho pensato al discorso degli inviti, ma ho fiducia. Spero che faremo tutte le grandi gare, dalle Ardenne fino al Tour. Ho ambizioni per me e per la squadra, ma dovremo meritarci ogni invito. La voglia di Tour cresce con il passare degli anni. Quest’anno ho scelto il Giro e le Olimpiadi, ma devo dire che il Tour è quello che mi è mancato per fare meglio a Parigi».

Le Olimpiadi sono state il cuore dell’estate di Alaphilippe, cui forse è mancata la condizione del Tour
Le Olimpiadi sono state il cuore dell’estate di Alaphilippe, cui forse è mancata la condizione del Tour

La saggezza del Tour

La stagione propone ancora sfide interessanti: al centro di tutto, il mondiale di Zurigo che per l’Alaphilippe vecchia maniera sarebbe davvero il perfetto banco di prova. Alla fine dello scorso anno, Davide Bramati disse che per rivedere Julian al top dopo l’incidente di Liegi sarebbe servito un altro inverno e la previsione si è avverata alla perfezione.

Se tutto va come sperano Cancellara e lo stesso francese, il prossimo potrebbe essere l’anno di alcune belle rivincite: fra tutte quelle della Liegi, chiusa al secondo posto nel 2021 dietro Pogacar. E conoscendo la gente del Tour, siamo abbastanza certi che faranno di tutto per avere al via il francese più amato. Un uomo che ha avuto coraggio. Se avesse voluto la certezza della Grande Boucle, gli sarebbe bastato firmare in Francia e avrebbe avuto davanti giorni da Re Sole e forse anche più soldi. Ripartire da Tudor è il chiaro segnale della sua voglia di fare.

Al Casentino si rivede Bozzola: dove era finito?

27.08.2024
4 min
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Torna alla ribalta Mirko Bozzola, vincitore del Giro del Casentino. Non è che l’ex vincitore del GP Liberazione si fosse perso, anzi. E’ alla sua prima stagione alla Q36.5, ha gareggiato spesso all’estero, ha anche assaggiato il clima delle classiche belghe di primavera, ma il suo rendimento non è stato pari alle attese, soprattutto alle sue.

In Toscana però, cogliendo la sua seconda vittoria stagionale a due settimane dalla prima, è come se si fosse sbloccato: «Era una corsa vallonata, abbastanza dura con un paio di salite di cui una di 5 chilometri da ripetere più volte. Nell’ultima salita siamo andati via io, Olivo e Bagatin, solo che mancavano 65 chilometri al traguardo… Abbiamo lavorato di comune accordo impedendo il rientro degli avversari, eravamo concordi nel giocarci la vittoria in volata fra noi e lì ho avuto partita vinta. Per me vincere una corsa che nell’albo d’oro ha Bartali, Coppi e Nencini è un titolo di merito».

La prima stagione alla Q36.5 è stata sfortunata. falcidiata di stop fisici
La prima stagione alla Q36.5 è stata sfortunata. falcidiata di stop fisici
Perché nel corso dell’anno non hai ottenuto risultati all’altezza di quelli dell’ultimo mese?

La forma è arrivata solamente adesso. Ho avuto tanti problemi, perso molti giorni di allenamento che non mi hanno fatto rendere come volevo. Avevo iniziato a trovare la forma giusta quando a giugno eravamo al Tour de Kurpie in Polonia, avevo fatto un paio di Top 10 ed eravamo andati abbastanza bene nella cronosquadre, la gamba stava girando ma nella quarta tappa sono caduto e dopo sono rimasto fermo due settimane perché avevo preso brutte botte sulla parte sinistra del corpo. Così ho dovuto ricominciare tutto daccapo.

Facile immaginare che non era questo l’approccio che volevi avere con il team…

Assolutamente, anzi devo dire che ho trovato tanta comprensione e fiducia. Mi trovo benissimo con i compagni e lo staff, si vede che è un team di altissima qualità, il top che ci può essere in Italia. C’è addirittura una casa a nostra disposizione per gli allenamenti di gruppo e i ritrovi pregara. Si è formato un bel gruppo, anche con gente forte come Oioli oppure il colombiano Martinez che ha un anno meno di me ma va davvero forte. I risultati al team non mancano, ma io voglio fare la mia parte.

Spesso i risultati non dicono tutto: rispetto allo scorso anno noti miglioramenti?

Direi proprio di sì, perché è profondamente cambiata la mia attività. Facciamo un calendario internazionale, di livello molto più alto dove ci confrontiamo con gli altri Devo team, quelli delle formazioni WorldTour. Vedo che il livello generale è molto più elevato e bisogna adeguarsi. Questo significa che anche l’allenamento è cambiato: ora faccio più ore e vedo che la mia resistenza è aumentata, nelle ultime fasi delle corse ho ancora molte energie. Al Giro del Casentino sono rimasto sorpreso io stesso di come riuscissi a spingere nelle ultime battute.

E ora?

Ora voglio continuare a sfruttare la condizione acquisita e prendermi quel che a inizio stagione non mi è riuscito. Magari a cominciare dal Giro del Friuli dove ci sono tappe adatte a me. E’ una corsa dove ci sarà tanta gente forte, una vittoria in essa può cambiare il giudizio su una stagione. Sto sfruttando questi giorni proprio per rifinire la preparazione, ho anche evitato ogni impegno agonistico proprio perché al Friuli voglio dare tutto e poi prendere lo spunto per il finale di stagione.

Il ventenne novarese punta tutto sul Giro del Friuli per rilanciarsi verso il 2025
Il ventenne novarese punta tutto sul Giro del Friuli per rilanciarsi verso il 2025
A una convocazione in azzurro ci pensi sempre?

E come si fa a non farlo? Ho già assaggiato l’azzurro da junior, è un onore, se non sarà quest’anno ci punterò con forza nel 2025. Magari una convocazione può sempre arrivare, potrei ad esempio dare una mano ad Oioli all’europeo. Io comunque penso già al prossimo anno che sarà quello decisivo per le mie ambizioni, per trovare la strada verso il professionismo e sicuramente una convocazione in azzurro sarebbe un bel viatico.

E Pozzovivo come sta? Entusiasta e pronto per il gran finale

27.08.2024
5 min
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Parlare con Domenico Pozzovivo è sempre coinvolgente. Il lucano non è mai banale e, a quasi 42 anni, ha l’entusiasmo di un novellino, ma con la sapienza degna di un’enciclopedia. Lo avevamo lasciato sul rettilineo dei Fori Imperiali, quando il gruppo, Roma e il Giro d’Italia gli resero omaggio. Ma come è andata da allora? 

Il corridore della VF Group-Bardiani sta preparando il finale di stagione, e di carriera. Lo attendono sei gare in due blocchi: Gp di Larciano, Giro di Toscana e Memorial Pantani a settembre. Giro dell’Emilia, Tre Valli Varesine e Giro di Lombardia ad ottobre.

A Roma il Giro d’Italia rende omaggio a Pozzovivo (classe 1982)
A Roma il Giro d’Italia rende omaggio a Pozzovivo (classe 1982)
Domenico, ci eravamo lasciati al Giro, anche se poi avevi tirato lungo fino allo Slovenia. Come sono andate le cose da allora?

Più che tirare lungo è stato uno “stop&go”. Dopo il Giro infatti ho avuto la polmonite, uno strascico del Covid che avevo preso in gara. Sono stato una settimana fermo e a prendere gli antibiotici. E infatti poi in Slovenia sono andato inaspettatamente bene. In ogni caso dopo l’italiano mi sono fermato. Volevo recuperare bene, anche perché poi prima di tornare alle corse ci sarebbe stato abbastanza tempo.

Chiaro…

Il Giro dell’Appennino a luglio è stata più che altro una parentesi celebrativa. Successivamente sono andato all’Arctic Race, che è stata una bella sorpresa. Al rientro ho recuperato un po’ e quindi sono salito dieci giorni in ritiro sullo Stelvio. Devo dire di aver trovato un bel caldo anche lì e parecchio traffico sotto Ferragosto, ma sapevo come evitare le strade più caotiche.

Come stai? Come sono i valori?

I valori sono buoni, ma non sono quelli che avevo prima del Giro. Ma ho ancora due settimane per metterli su e vederli sul computerino! Io purtroppo ho questi strascichi post Covid molto lunghi, ma i 2-3 mesi canonici ormai sono passati.

In Slovenia ottime prestazioni per il lucano che ha chiuso quarto nella generale
In Slovenia ottime prestazioni per il lucano che ha chiuso quarto nella generale
E come ce li metti nelle gambe? Anzi, nel computerino!

Sostanzialmente facendo brillantezza. Già per il solo fatto di essere stato lassù e aver fatto salite lunghe è normale che non siano altissimi. Scendendo di quota le cose dovrebbero migliorare. In più si riduce il minutaggio dei lavori e si insiste un po’ sull’intensità. Cercherò di arrivare alla performance massima “a pezzi”, magari stando qualche minuto al di sopra dei valori di riferimento sui 20′. Comunque la parola d’ordine è brillantezza.

Prima hai parlato dell’Arctic Race, come sorpresa. E’ stata un’esperienza nuova…

In realtà volevo fare anche Hainan, in Cina (dove stamattina Jakub Mareczko ha vinto la prima tappa, ndr). Anche quello non l’avevo mai fatto. Solo che poi non c’era la tappa in salita che credevamo, il percorso non era per nulla adatto a me e non sono andato. Lo spirito della scoperta non l’ho perso! Dall’Arctic Race non mi aspettavo nulla di preciso dalla gara, anche questa non troppo idonea alle mie caratteristiche, ma è stata una bella sorpresa: scenari diversi, un buon clima, anche troppo caldo per quelle latitudini. Poi è stata vissuta bene proprio la trasferta. Le tappe partivano abbastanza tardi, quindi la mattina ci vedevamo le varie qualificazioni delle Olimpiadi, facevamo la nostra corsa e la sera di nuovo le Olimpiadi in tv con le finali dell’atletica. L’unica cosa negativa è stata che la valigia mi è arrivata il penultimo giorno. Mi sono dovuto arrangiare a lavare i panni ogni volta!

Il “Pozzo” all’Arctic Race tira il gruppo pedalando lungo il fiordo. Si può essere debuttanti anche a 41 anni suonati
Il “Pozzo” all’Arctic Race tira il gruppo pedalando lungo il fiordo. Si può essere debuttanti anche a 41 anni suonati
Quindi viva la vecchia regola degli scarpini nello zaino da portare nella cabina dell’aereo…

Esatto. Lo stretto necessario ce lo avevo. Poi è anche vero che il ciclismo attuale ci vizia. Mi mancava la “copertina di Linus”, tipo quegli integratori personali, quella maglia… ma avevo tutto. E’ che con il caldo che davano le previsioni, avevo deciso di portare i miei sali minerali e non li avevo. Un giorno sono andato a fare un giro e in un supermarket locale ho trovato un “super food”. In pratica era una sorta di pesce azzurro secco. Ho guardato i nutrienti e ho visto che era valido. L’ho preso, ma quando l’ho aperto i miei compagni non sono rimasti contenti!

Possiamo immaginare…

Il gusto non era neanche malaccio, ma l’odore non era il massimo. Sapeva di pesce un po’ malandato. Ma a livello nutrizionale lo consiglio: 60 grammi di proteine ogni 100 di prodotto.

E della Norvegia cosa ti è parso?

Selvaggia. Si aveva l’impressione di essere in montagna pur stando al livello del mare. C’era anche un stazione sciistica… a 300 metri di quota. Magari facevi 100 chilometri e il fiordo ti seguiva, oppure te lo ritrovavi al di là di una collina. E poi lo spettacolo delle maree, come entravano ed uscivano dal fiordo. Davvero comprendi la forza della natura.

Dall’entusiasmo con cui racconti, non sembri uno che sta per smettere. Perché smetti questa volta, giusto?

Sì, sì basta! L’entusiasmo e gli stimoli non mancano. Il motivo per cui smetto è l’età chiaramente e il rischio che comporta il ciclismo. Continuare sarebbe un po’ come cercarsela… A me non capita mai di non avere voglia di andare in bici o di trascinarmi perché devo. Voglia di allenarmi e correre ci sono sempre.

Giro di Lombardia 2011: Zaugg scatta e dietro c’è proprio Pozzovivo
Giro di Lombardia 2011: Zaugg scatta e dietro c’è proprio Pozzovivo
E ora si profilano queste sei gare. Ce ne sono alcune che senti in modo diverso?

Indubbiamente l’Emilia e il Lombardia. All’Emilia nel 2022 feci il podio lottando spalla a spalla con Pogacar. E il Lombardia è la classica che più mi piace e da cui sono affascinato. Ci tengo particolarmente a fare bene lì.

Hai un aneddoto particolare di questa corsa?

Quando vinse Zaugg. Ci andai vicino, quell’anno si arrivava a Lecco. Caddi in una discesa. Ricordo che finii sopra a Diego Rosa. Passai tutto il lungolago a spingere per ricucire il gap, spendendo molto. Rientrai a piedi dello strappo finale. Lo presi per ultimo, ma di slancio tirai dritto. E andai forte. Ma Zaugg partì in contropiede. Dietro mi giocai il podio con il drappello inseguitore (Pozzo fu sesto, ndr). Penso sempre che se non fossi caduto, magari avrei fatto io la differenza. Quel giorno mi sentivo il più forte in gara.

Domenico, stai pensando ad un’uscita colorata? A qualcosa di particolare?

A dire il vero, no. Magari ci penserò quando saremo più vicini all’evento.

Cattaneo è tornato, ma che fatica arrivare fin qui…

27.08.2024
6 min
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Il primo riposo è alle spalle e per fortuna nell’area di Vigo le temperature sono scese di parecchio. La massima è stata per tutto il giorno di 26 gradi, circa 14 meno rispetto ai giorni scorsi in Andalucia. La Vuelta riparte senza Tiberi, eliminato da un colpo di calore, e con la classifica che vede ancora in testa O’Connor, poi Roglic, Carapaz, Mas e al quinto posto Mikel Landa, già quinto all’ultimo Tour. La Soudal-Quick Step punta forte sul basco e per dargli qualche chance in più gli ha costruito attorno una bella squadra. Fra gli uomini prescelti, c’è anche Mattia Cattaneo. Lui avrebbe dovuto fare parte della guardia scelta di Remco per il Tour, ma qualcosa (che ora vi racconteremo) glielo ha impedito. Per adesso è in hotel che riposa in vista della decima tappa, che inizia con una bella salita di prima categoria. Giusto per non farsi mancare nulla.

«Fino a ieri – dice – c’era un caldo potentissimo, da far venire i pompieri a spruzzare acqua sul gruppo. Nove giorni tutti così. Detto questo, siamo qui per Mikel, ma non so dire cosa mi aspetto. E’ veramente imprevedibile. Ogni giorno può andare via la fuga che prende i minuti. Andò così anche l’anno scorso quando Kuss beccò la fuga, prese una palata di minuti e poi fu bravo a tenerli. Secondo me dipende anche dai percorsi che aiutano questo tipo di azioni e rientri in classifica. Ormai ci sono talmente tanti corridori che vanno forte, che non si può controllarli tutti. In più non c’è un vero e proprio super favorito con la squadra costretta a controllare, per cui chiunque attacchi, può prendere del tempo».

Prima tappa del Romandia, 24 aprile: Cattaneo prende il via, ma si ritirerà: inizia il lungo stop
Prima tappa del Romandia, 24 aprile: Cattaneo prende il via, ma si ritirerà: inizia il lungo stop

Non parlavamo con lui dai primi giorni di primavera, quando il progetto di scortare Evenepoel al Tour de France ne aveva fatto uno dei riferimenti della squadra. Nel cerchio della fiducia del piccolo belga, anche per via dei trascorsi negli ultimi tempi, il bergamasco rappresentava uno degli elementi di maggior rilievo. Invece di colpo Cattaneo è sparito, dai radar e dalle corse. Ritirato il 24 aprile nella prima tappa del Romandia e di nuovo in gruppo soltanto il 25 luglio nella prima tappa del Czech Tour. Tre mesi di blackout, con la visita a sorpresa ai compagni nel giorni di riposo di Livigno al Giro.

Perché non sei andato al Tour?

Mi hanno trovato un problema alla tiroide e sono stato fermo quasi 40 giorni da fine aprile a metà giugno. Quindi penso che la risposta sia chiara. Era impossibile rimettersi in forma, ma io non sono uno capace di raccontare tante cose. Per cui alla fine è stato un periodo difficile. Mi hanno trovato questo problema e anche la cura, che consiste semplicemente nel prendere una pastiglia.

Tutto risolto?

Il problema è che una persona normale impiega sei mesi a trovare il dosaggio giusto. Per cui sono partiti da quello che secondo loro era corretto, però mi dava un sacco di effetti collaterali. In bici diventavo balordo. Facevo fatica a dormire. Non stavo bene in generale, per cui non sarei stato in grado di allenarmi. Quindi alla fine hanno preferito aspettare che i valori tornassero a posto, senza sapere quanto tempo sarebbe servito. Se una settimana oppure un anno, perché dipende da come reagisce il corpo, in quanto tempo si adatta e ritrova l’equilibrio. Alla fine ci ho messo un mese abbondante.

Salite, caldo e ventagli: Cattaneo conferma che in questa Vuelta durissima non è mancato proprio nulla
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Ti hanno trovato l’anomalia alla tiroide perché sei stato male?

In realtà no, anzi stavo meglio prima rispetto a quando ho iniziato a curarmi. Sono andato a fare i controlli del sangue periodici imposti dall’UCI ed è venuto fuori un valore anomalo della tiroide. Stavo facendo la Parigi-Nizza, per farvi capire quando tutto è partito. Mi hanno chiesto se mi sentissi stanco e io ho risposto che lo ero come chiunque stesse facendo una corsa così tirata. Per cui abbiamo deciso che dopo la Sanremo sarei andato a fare degli esami specifici.

E come è andata?

Quando mi sono arrivati i risultati, non c’era un solo valore a posto, per cui mi hanno detto di stare fermo per una settimana, dieci giorni. Quando sono andato a rifare gli esami, quel valore che era appena anomalo era diventato sette volte peggiore. Nel frattempo ho provato a vedere se riuscivo a tenere un po’ di condizione, ma alla fine ho dovuto fermarmi per forza. Altrimenti non ne sarei più venuto fuori.

La squadra ti ha seguito in questo percorso?

Sono stato seguito da un endocrinologo in Italia, anche per una questione di comodità. Però sempre in contatto con Corsetti, che è il mio medico di riferimento per la Federazione, e con i dottori della squadra.

Cattaneo al lavoro per Landa: i due assieme sarebbero stati grandi spalle per Remco al Tour
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E adesso è tutto come prima?

Adesso sto bene, onestamente. All’inizio ero preoccupato, ho pensato che non ho più vent’anni e alla peggio avrei smesso. Non sapevo, dopo una roba così, se sarei riuscito a tornare. Invece sono contento, perché sono quello di prima. Certo ho dovuto vedermi il Tour di Remco in televisione, ma quasi non mi è dispiaciuto, dal tanto forte che andavano (ride, ndr).

L’importante è che stai bene, perché eri un po’ sparito anche dai radar e anche la squadra non ha fatto trapelare nulla…

Non volevano che lo dicessi finché non fossimo stati certi dei tempi di ripresa, ma a me di certe cose interessa poco. Meglio dire le cose come stanno, anche se sapete come vengono gestite queste comunicazioni. Adesso finalmente sono com’ero prima. Prendo questa pastiglia ogni mattina e fine della storia. Però all’inizio è stata davvero dura. Mi sentivo un’altra persona, ma mi hanno detto che erano sintomi connessi con la tiroide. Mi venivano attacchi d’ansia e roba così, da non capire cosa fosse. Invece, da quando ho iniziato a stare bene, i valori sono tornati tutti a posto. Sono tornati tutti in equilibrio e ora mi sento esattamente come prima.

Come è stato ricominciare?

Mi sono rimesso sotto come al solito, nel senso che sono un professionista, con la testa del professionista. Però un conto è allenarsi, un conto andare alle corse. Ho ripreso a Czech Tour ed era la prima corsa dopo quattro mesi abbondanti che non correvo. Quindi per me era già tanto essere lì, a prescindere che fosse una corsetta. Era un primo step e quando ho visto che andavo bene, mi ha dato una bella spinta.

Le foto… spiritose prima del via della Vuelta, ma per Cattaneo esserci è stata già una vittoria
Le foto… spiritose prima del via della Vuelta, ma per Cattaneo esserci è stata già una vittoria
Sei rientrato con degli obiettivi?

Gli obiettivi che mi ero posto per quest’anno sono tutti già passati (sorride amaramente, ndr). Però già essere qua alla Vuelta ed essere competitivo e aiutare Landa mi sembra una cosa grossa. Già essere tornato quello di prima per me si potrebbe considerare un primo obiettivo raggiunto.

Inizia la seconda settimana della Vuelta.

E ci sarà da centellinare le forze. Anche domani (oggi, ndr) potrebbe benissimo andare via qualcuno con 6-8 minuti di ritardo, ne prende 4 e te lo ritrovi in classifica. Si ha un bel dire che la terza settimana sarà durissima, come se la prima sia stata tenera e la seconda non sia ugualmente dura impestata…

Tour Femmes, analisi e considerazioni con Longo Borghini

26.08.2024
6 min
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Non capita praticamente mai che in una grande corsa non sia presente Elisa Longo Borghini. La campionessa della Lidl-Trek è stata costretta a saltare il Tour de France Femmes a causa di una caduta in allenamento. Morale: ha visto e vissuto la Grande Boucle da casa, proprio come un’appassionata qualunque.

Ma questa situazione le ha posto la corsa e le sue abituali colleghe sotto un altro punto di vista. Un punto di vista che cercheremo di capire insieme.

Dopo le Olimpiadi, Elisa è così rientrata in corsa a Plouay, di fatto facendo solo tre allenamenti dopo Parigi. Ma questa sosta potrebbe avere un risvolto positivo in quanto ad energie recuperate in vista del finale di stagione.

La regina del Giro Women, Elisa Longo Borghini, stavolta è stata opinionista d’eccezione
La regina del Giro Women, Elisa Longo Borghini, stavolta è stata opinionista d’eccezione
Elisa, prima di entrare nel giudizio della corsa, come è stato vedere il Tour da casa?

Devo ammettere che non è stato facile. Ho passato cinque giorni tra il letto e il divano e mi sentivo anche sciocca perché mi sono autoeliminata in allenamento, quasi mi vergognavo per questo. Mi dicevo: “Mamma mia dovrei essere lì e invece sono sul letto da sola”. Di contro posso dire che io sono una vera appassionata, una fan del ciclismo. Mi collegavo già due minuti prima della diretta e chiudevo solo dopo che era finita del tutto la trasmissione. Però spero proprio di non dover più vedere le corse dalla tv.

Da fuori come percepisci la corsa? Conoscendo atlete e più o meno i movimenti del gruppo, riesci a vedere qualcosa in anteprima?

Un po’ sì, posso intuire, ma come chiunque: sai chi sono le leader e vedi come la loro squadra corre. Una cosa però che è diversa è che spesso dalla tv ci si fa un’idea che poi non è quella vera. Non corrisponde a quello che voleva il team. Per esempio, quando sono arrivata a Plouay e ho parlato con le ragazze del Tour mi sono accorta che ci sono state alcune dinamiche diverse da quello che avevo capito io dalla tv. In qualche caso invece sì: riesco ad anticipare qualcosina: “Ora attacca questa atleta”, ma perché so come si muovono.

Passiamo alla corsa. Ci sono due momenti chiave, almeno per noi. Il primo è la caduta di Vollering e l’attacco di Niewiadoma e della sua Canyon-Sram. Cosa ne pensi?

Io sono sicura che “Kasia”, per come la conosco, non volesse prendere la maglia gialla in quel modo. Ma credo che in generale bisognerebbe ridefinire il concetto di forte.

Cioè?

Forte non è solo chi è più potente fisicamente, ma chi legge la corsa, chi sa guidare bene, chi sa stare in gruppo e nel posto giusto al momento giusto. Chiaramente in tutto ciò serve anche un pizzico di fortuna e quindi no: non sono rimasta stupita dall’azione della Canyon-Sram. Loro hanno approfittato di una situazione del genere. Ci sta che in certi momenti tiri dritto e non ti fermi quando una rivale cade.

Gliela faranno scontare in gruppo in qualche modo?

Non penso, anche perché dopo l’arrivo le due ragazze si sono chiarite. Di certo d’ora in poi vedremo una Demi Vollering ancora più combattiva.

E poi c’è l’altro momento chiave: la tappa finale sull’Alpe d’Huez (ma anche con Glandon prima). Ci si aspettava una Vollering devastante e invece… Ti immaginavi una Vollering più forte o una Niewiadoma meno in palla?

Mi aspettavo gambe stanche un po’ per tutte… che di fatto ho visto. Mi aspettavo una Katarzyna Niewiadoma molto determinata: la maglia di leader ti dà energie ulteriori e cerchi di salvarla in ogni modo. Ho grande rispetto per lei, siamo amiche per certi versi, e vederla lottare in quel modo sull’Alpe mi ha emozionato. Demi anche ha lottato, ma è stata sfavorita nella valle prima dell’Alpe. Lì ha tirato solo lei e di conseguenza sull’Alpe non era al cento per cento.

Sull’Alpe azione di gambe e testa per Vollering che vince ma non basta
Sull’Alpe azione di gambe e testa per Vollering che vince ma non basta
E questo è il vero punto chiave di questa ultima tappa: visti i distacchi e i valori in campo, perché non attendere l’Alpe per attaccare  Niewiadoma? Per noi Vollering il Tour lo ha perso nella valle e non sull’Alpe…

Vero, sono d’accordo. Brand, Realini, Kerbaol… dietro (dove c’era anche  Niewiadoma, ndr) avevano un’obiettivo comune: cercare di rientrare per vincere la tappa. E questo ha giocato a sfavore di Vollering che da sola non ha più guadagnato. Se avesse aspettato l’Alpe probabilmente avrebbe il Tour Femmes. Ma con i se e con i ma… non si va da nessuna parte.

Perché secondo te Vollering non ha atteso? In fin dei conti non doveva recuperare tantissimo…

Forse Demi non si sentiva sicura. Ha visto una Niewiadoma comunque molto solida: magari ha pensato che sull’Alpe non sarebbe riuscita a fare la differenza e così ha tentato il colpaccio. Se fosse così, ha fatto bene come ha fatto. Ma dalla tv è facile giudicare.

Però magari chi era in ammiraglia, poteva gestirla in altro modo…

Questo andrebbe chiesto a loro.

E invece passiamo alle tue colleghe: chi ti ha colpito in positivo?

Charlotte Kool: ha vinto due tappe davanti a Wiebes. Alla prima le hanno detto che era stata fortunata perché Lorena aveva avuto un problema col cambio. Ma il giorno dopo, in un confronto alla pari, l’ha battuta di nuovo e bene. Davvero un ottimo spunto per lei.

Grandiosa tenuta della polacca, che le consente di vincere la Grande Boucle per 4″
Grandiosa tenuta della polacca, che le consente di vincere la Grande Boucle per 4″
Vero…

Poi mi è piaciuta molto la mia compagna Lucinda Brand. Ha corso in modo egregio e ha mostrato una gamba che forse non aveva da quando vinse una tappa al Giro nel 2017. Nell’ultima frazione ha lavorato sodo, è andata in fuga e alla fine è arrivata decima. E poi, chiaramente, mi è piaciuta Niewiadoma: per come ha gestito la gara, per come ha difeso la maglia e per come ha reagito alla pressione.

E invece da chi ti aspettavi qualcosa in più?

Diciamo che mi è dispiaciuto per Juliette Labous. So che ci teneva tantissimo a questo Tour Femmes e probabilmente aveva ambizioni maggiori. Credo le sia mancata un po’ di freschezza.

Elisa, ora che il vostro livello prestativo cresce, credi sia possibile fare Giro Women e Tour Femmes ad alti livelli? Al netto che quest’anno c’erano di mezzo le Olimpiadi a complicare le cose?

Secondo me sì: è una sfida possibile. Le gare sono di otto giorni ciascuna. Sono entrambe dure e corse a ritmi infernali e ne esci sfinita. Ma senza Olimpiadi c’è il giusto recupero, quindi per me è possibile. Fisicamente è possibile. Mentalmente è un’altra cosa. Quanta pressione senti? Quanta ne riesci a sopportare, a gestire e a smaltire? 

Si affaccia un altro Collinelli. Anche Luca cerca spazio

26.08.2024
5 min
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Scorrendo gli ordini di arrivo del Turul Romaniei, nell’ultima tappa compare il nome di Luca Collinelli. Anzi il cognome, uno di quelli che ha fatto la storia del ciclismo italiano su pista e considerando che eravamo nell’immediato post Parigi 2024, con le grandi emozioni regalate dal ciclismo su pista, il suo piazzamento, un più che discreto 7° posto ha fatto un po’ di scalpore.

Per il ventenne dell’Um Tools Caffè Mokambo due Top 10 nella corsa rumena
Per il ventenne dell’Um Tools Caffè Mokambo due Top 10 nella corsa rumena

Una trasferta complicata

Luca Collinelli è un ventenne che corre per l’UM Tools Caffè Mokambo, finora non aveva ottenuto risultati di particolare rilievo se non qualche Top 10 nel calendario Under 23, ma pochi si sono accorti che nel frattempo ha fatto utili esperienze correndo con i professionisti, al Giro d’Abruzzo per esempio. Le esperienze formative si fanno però non solo correndo e lo si capisce iniziando l’intervista da come la trasferta in Romania è nata.

«Avevamo appena corso il GP Sportivi di Poggiana – racconta – quando ci siamo messi in moto per raggiungere la Romania. Non avendo trovato biglietti aerei disponibili, abbiamo dovuto affrontare la trasferta con lo staff e i mezzi: un’ammiraglia, un camper e un van con le bici. Certamente non l’ideale e infatti al martedì, quando la corsa è iniziata, la fatica si è sentita. Era una tappa semplice, eppure avevo le gambe impastate e sono finito dietro.

Il team italiano al Turul Romaniei, sotto la guida di Massimo Codol
Il team italiano al Turul Romaniei, sotto la guida di Massimo Codol

Uno sprinter dedito alla salita

«Col passare dei giorni le cose però sono andate sempre meglio. Nella terza ho provato a tenere il ritmo dei migliori chiudendo 11°, il giorno dopo c’è stata grande battaglia perché il leader della corsa, il kazako Rimkhi dell’Astana era caduto ritirandosi così si è sviluppata grande battaglia, con un gruppo di una trentina di corridori davanti ma sono riuscito a riagganciarmi finendo 10°, infine nell’ultima tappa mi sentivo ormai a mio agio e ho fatto lo sprint cogliendo il miglior piazzamento».

Può sembrare poco, ma per Collinelli è un segnale che aspettava da tempo: «Sto lavorando molto su me stesso, forse ho perso un po’ di potenza in volata ma sono migliorato in salita. Ormai gli sprinter puri non ci sono più, bisogna riuscire a tenere sul passo e quando la strada si rizza sotto le ruote se si vuole avere qualche speranza. Io vedo che ci sono, sono sempre lì a un passo dal giocarmi il bersaglio grosso, mi serve solamente un po’ di fortuna».

Andrea Collinelli oro ad Atlanta ’96 con la particolare bici con manubrio a canna di fucile (foto Getty Images)
Andrea Collinelli oro ad Atlanta ’96 con la particolare bici con manubrio a canna di fucile (foto Getty Images)

Le glorie olimpiche di papà

E’ chiaro che quando si sente il nome Collinelli si pensa a papà Andrea, ai suoi fasti di fine secolo scorso culminati con il titolo olimpico di Atlanta ’96 quando l’inseguimento individuale era ancora nel programma a cinque cerchi. Che rapporto ha Luca con i velodromi? «Fino a quando sono stato junior ho sempre abbinato le due discipline, gareggiando anche a europei e mondiali. Fondamentalmente mi piace tantissimo, è più adrenalinica dell’attività su strada, ti giochi tutto in pochi minuti. Negli ultimi tempi però ho preferito concentrarmi più sulla strada anche per non mettere in difficoltà il cittì Villa, che ha giustamente bisogno di una presenza più costante per testare i suoi ragazzi. Io sono sempre stato disponibile e Villa lo sa, per ora mi concentro sulla strada, poi vedremo».

Il giovane Luca con papà Andrea. Inizialmente ha seguito le sue gesta su pista
Il giovane Luca con papà Andrea. Inizialmente ha seguito le sue gesta su pista

Il peso del cognome

Parlando con Luca, il discorso non può non cadere sul padre e su un’eredità difficile, come capita a tanti coetanei e ciclisti prima di lui che hanno convissuto con l’essere figli d’arte. Luca non si tira indietro: «E’ un cognome che schiaccia un po’, non posso negarlo. Ho visto che molti però soffrono di più, io sono molto tranquillo al riguardo anche perché forte di uno splendido rapporto con mio padre, che è anche mio allenatore e che per molti versi sento amico. Non posso però negare che la mia scelta di privilegiare la strada è anche differenziarmi un po’, sfuggire a quei paragoni che vengono sempre fatti. Anche mia sorella Sofia un po’ risente di questa situazione, anche se nell’ambiente femminile il suo nome ha una risonanza diversa. Io comunque voglio affermarmi per quel che sono, che valgo, non perché “figlio di Andrea”. Una cosa che mi capita spesso? Molti tifosi chiedono ancora le cartoline con autografo, le sue, non le mie…».

Luca e Sofia, due figli d’arte in cerca di gloria fra i professionisti
Per Luca non è stata finora una stagione da incorniciare. In Romania il cambio di tendenza?

Si punta tutto su Friuli e Puglia

Che differenze ci sono fra i due? «Lui da corridore era il passista classico, io sono chiaramente più veloce, anche per struttura fisica e fibre muscolari, me la cavo bene soprattutto nelle volate ristrette».

Luca cerca ora di fare tesoro di quanto è riuscito a fare in Romania per proseguire su quell’onda: «Ne avrei bisogno perché finora la stagione non è stata positiva, non posso negare un voto insufficiente. Mi è mancata la continuità, anche a causa di problemi fisici e questa mi è pesata più della mancanza di risultati. Per questo non ho mollato gli allenamenti neanche nel periodo più caldo, chiedo molto al finale di stagione. In particolare mi sono focalizzato sul calendario italiano e sul Giro del Friuli e Giro di Puglia dove penso che ci siano tappe a me congeniali. Poi c’è una gara per me speciale e cerchiata di rosso, non dico qual è per scaramanzia…».

EDITORIALE / Sinner, le regole saltate e i santi in paradiso

26.08.2024
4 min
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E’ colpa di Sinner oppure no? Aver licenziato preparatore e fisioterapista ha un senso oppure no? E’ giusto che l’altoatesino (foto FITP in apertura) continui a giocare con la spada di Damocle di una squalifica sulla testa? E perché per coprire la sua situazione ed evitare di finire nello stesso meccanismo che ha… ammazzato sportivamente fior di ciclisti, si sia scelto di non applicare le regole?

Lo ha spiegato bene Angelo Francini, decenni di vita federale sulle spalle, in un post su Facebook. E’ spiegato tutto con una chiarezza così lampante, che basterebbe per convocare la Federtennis e anche il CONI per chiedergliene ragione.

Fabio Pigozzi è il presidente di NADO Italia (foto La Repubblica)
Fabio Pigozzi è il presidente di NADO Italia (foto La Repubblica)

Le regole violate

Nel 2007 – spiega Francini – lo Stato italiano ha istituito il NADO ITALIA, in ambito Coni. Un organo competente a giudicare in via esclusiva tutti casi di doping dei tesserati dello sport italiano. Dal 2016 Nado Italia è diventato un organismo indipendente”. Essendo legge dello Stato, tutti gli Statuti federali impongono la sua indicazione come unico organismo antidoping. Pertanto anche la FITP, la Federtennis, lo ha inserito all’articolo 50 del proprio Statuto, senza alcun riferimento alla ITIA.

Di cosa si tratta? Si tratta della International Tennis Integrity Agency. Un soggetto apparso nel 2021 nel mondo tennistico internazionale, che però non può avere alcuna giurisdizione per i casi di doping ricadenti sui tesserati alla stessa Federtennis. Di quelli si deve occupare Nado Italia attraverso la Procura Nazionale e il Tribunale Nazionale Antidoping. L’unico organismo superiore cui ci si può rivolgere in caso di controversia è il TAS di Losanna. Invece per Sinner ci si è rivolti ad essa.

Per quale motivo non è stata effettuata l’obbligatoria segnalazione (in quanto prevista dalla Statuto della Federtennis) del caso Sinner a NADO ITALIA da parte del CONI e della FITP, che sicuramente erano stati informati dalla Federtennis internazionale? Per quale motivo i vertici di Coni e FITP hanno violato apertamente una norma dello Stato? Sono queste gravi irregolarità a sporcare il caso Sinner. Lui può essere anche in buona fede, come lo erano Agostini e Contador. Solo che mentre i due ciclisti furono lasciati soli, su Sinner è stato gettato un mantello di protezione ormai scoperto.

Stefano Agostini, classe 1989, venne squalificato per due anni nel 2013 per la stessa positività di Sinner
Stefano Agostini, classe 1989, venne squalificato per due anni nel 2013 per la stessa positività di Sinner

La rabbia di Agostini

Chi è Agostini? Stefano Agostini, giusto. Abbiamo rivissuto il dramma del veneto, talento brillante del ciclismo italiano che nel 2013 incappò nella positività al Clostebol, lo stesso prodotto di Sinner. In realtà (soprattutto) il dramma l’ha rivissuto lui, mentre tanti altri se ne sono accorti leggendo un suo post su Facebook e dando il via a una litania di sensazionalismo di facciata. Perché non fecero lo stesso baccano quando Stefano fu licenziato dalla Liquigas, con tanto di contributo fattivo del medico sociale?

In nessun modo la squadra e la Federazione provarono a sostenere che fosse innocente. Ci provò da solo, dicendo che quella pomata gliel’avesse data sua madre per lenire le scottature del sole. Pensarono alle solite scuse, come il massaggio e la feritina, e lo squalificarono per due anni. Se fosse stato colpevole, magari sarebbe anche tornato. Invece preferì lasciar perdere e cambiò vita.

Giro d’Italia 1999, Marco Pantani lascia il Giro senza positività né santi in paradiso
Giro d’Italia 1999, Marco Pantani lascia il Giro senza positività né santi in paradiso

Figli e figliastri

Certo ci rendiamo conto che sia molto più necessario difendere il campione che ha sulle spalle il tennis nazionale. L’eroe di Torino e della Davis. Il numero uno al mondo. La gallina dalle uova d’oro. Il prodotto di una Federazione da record che si è risollevata quasi dall’indigenza. L’ispirazione per i bambini. Il figlio che ogni madre vorrebbe avere.

Ce ne rendiamo conto e lo gridammo forte anche nel 1999 quando un campione di altrettanta potenza, sportiva e mediatica, fu condannato a morte senza che ci fosse stata una positività: né analisi né controanalisi. Inutile quasi che facciamo il nome, non ce ne voglia Stefano Agostini. Si chiamava Marco Pantani e fu gettato in pasto agli squali. Con tutto il rispetto, Sinner non ha nulla più di Marco, se non migliori avvocati e gente ai piani alti disposta a metterci la faccia.