Il Tour di Vollering e SD Worx alla “moviola” con Guarischi

24.08.2024
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Il Tour Femmes è finito quasi una settimana fa ed è tempo di brevi “ferie” per chi lo ha corso prima di riprendere col proprio calendario, ma è ancora fresco l’epico duello Niewiadoma-Vollering risolto per 4 secondi in vetta all’Alpe d’Huez. Un finale romanzesco addirittura ripreso dalla stampa estera non di settore. Un margine – il più basso della storia nelle più importanti gare a tappe maschili e femminili – da analizzare stavolta dalla parte della sconfitta dopo quella di ieri della vincitrice.

Quando il divario tra i primi due della generale è così risicato, scattano l’interesse e la curiosità. In molti si sono scatenati nel chiedersi se Vollering, e di conseguenza la sua SD Worx-Protime, abbia fatto tutto il possibile o meno per aggiudicarsi nuovamente il Tour. E se prima ancora, nelle due volate non vinte da Wiebes, si fosse inceppato un ingranaggio perfetto. La discussione è aperta e sicuramente fa bene a tutto il movimento perché significa che il ciclismo femminile è cresciuto ed appassiona sempre di più. Ne abbiamo parlato quindi con Barbara Guarischi, andando dietro le quinte della corazzata olandese per capire come sono andate le cose, senza tralasciare il primo cartellino giallo del ciclismo che i rigidi giudici UCI le hanno comminato. Ora prendetevi qualche minuto e scoprite le sue parole.

Dopo il Tour, Guarischi prepara il finale di stagione. Potrebbe vestire la maglia azzurra all’europeo
Dopo il Tour, Guarischi prepara il finale di stagione. Potrebbe vestire la maglia azzurra all’europeo
Barbara partiamo dalle impressioni avute dal tuo primo Tour.

Non avendolo mai fatto in precedenza non ho termini di paragoni, ma posso dirvi che abbiamo fatto ritmi folli. Me lo confermavano compagne e colleghe che lo avevano già corso, considerando anche dislivelli importanti in alcune tappe. L’ultima io non l’ho fatta, ma fino ai piedi del Glandon avevano oltre i 43 di media, dopo una settimana a quelle velocità. Sono rimasta scioccata.

E’ stato invece uno shock non aver vinto i due sprint con Wiebes?

Non posso nascondere che resti con l’amaro in bocca. Con Lorena ci eravamo preparate molto bene, anche mentalmente per affrontare il caos e lo stress, non solo le avversarie. Nella prima tappa fino ai 150 metri eravamo state brave. Peccato che a Lorena le siano entrate con la ruota anteriore nel cambio e non sia riuscita più a pedalare. Le si è tranciato di netto, ma è stata fortunata che sia successo mentre era ancora seduta, altrimenti se fosse stata in piedi si sarebbe potuta fare molto male.

Cartellino giallo storico. Kool batte Wiebes alla seconda tappa. Dopo il traguardo scatta l’ammonizione a Guarischi per comportamento scorretto
Cartellino giallo storico. Kool batte Wiebes alla seconda tappa. Dopo il traguardo scatta l’ammonizione a Guarischi per comportamento scorretto
Il giorno dopo è stata una questione di fotofinish.

Esatto, ma sappiamo che le volate sono così. Forse Lorena è partita un filo appena prima del solito, questione di attimi. E’ partita ai 220 metri anziché ai tradizionali 200 e alla fine potrebbero esserle mancati per vincere. Però è stata battuta da Kool che è una velocista molto forte, in forma e che conosce bene (sono coetanee ed ex compagne alla DSM nel 2022, ndr). Charlotte non ha rubato nulla e noi comunque avevamo lavorato bene in entrambe le occasioni.

Tra l’altro proprio al termine della seconda tappa, sei diventata la prima ammonita da parte dell’UCI. Cosa è successo?

Dopo il traguardo ci hanno comunicato l’ammonizione senza la motivazione. Volevamo conoscerla per evitare di commettere lo stesso errore una prossima volta. Dopo il leadout a Wiebes ho alzato una mano dal manubrio per parlare alla radio (nel comunicato si riassume “rallentando bruscamente la velocità e creando una condotta della bici pericolosa per tutte le altre atlete”, ndr). Abbiamo accettato la decisione, ma siamo rimasti sorpresi. Le volate sono così negli uomini e nelle donne. Tutte noi sappiamo quello che facciamo a 60 all’ora, per altro da tanti anni. Soprattutto ci teniamo ad arrivare sane e salve. E’ un’azione che faccio spesso, come tante che fanno il mio lavoro. Di solito mi sposto dalla parte opposta in cui viene lanciata la volata, ma in quella circostanza ho proceduto dritta perché stavano uscendo da tutte le parti. Anzi, molte colleghe mi hanno detto che se mi fossi spostata sarebbe peggio e saremmo cadute. Starò più attenta, però temo che probabilmente mi prenderò altri cartellini gialli perché le volate le facciamo sempre così (sorride, ndr).

Abbuono fatale? Vollering a Liegi perde al fotofinish da Pieterse (terza Niewiadoma) prendendo solo 6 secondi anziché 10
Abbuono fatale? Vollering a Liegi perde al fotofinish da Pieterse (terza Niewiadoma) prendendo solo 6 secondi anziché 10
Sono poi arrivate le tappe dure. In generale vi è mancata un po’ di fortuna fino a metà Tour?

Dal terzo giorno in avanti per me iniziava un Tour di sopravvivenza (sorride ancora, ndr), ma sapevamo che la squadra sarebbe stata tutta a disposizione di Demi. Se vi riferite alla sua caduta nel finale della quinta tappa, allora dico che abbiamo avuto molta sfortuna. Anche perché nello stesso momento ha bucato pure Fisher-Black che comunque fino a quel momento era in classifica e stava lottando per la top 10. Tuttavia quel giorno almeno abbiamo vinto la tappa con Vas.

Quell’episodio è stato considerato da tutti lo spartiacque del Tour di Vollering. Sei d’accordo?

Tutti hanno detto che Demi fosse rimasta da sola e che non fosse bello vedere la maglia gialla abbandonata a se stessa. E’ stata fermata Mischa (Bredewold, ndr) che era poco avanti e ha dovuto mettere piede a terra per aspettare Demi. L’ha aiutata fin dove poteva, ma considerate che l’ultimo chilometro e mezzo era in salita e Vollering lo ha fatto alla morte. Quando lei va alla morte, chi può starle davanti a tirare? Credetemi, la scelta della squadra è stata giusta così, non potevamo fare altro.

Come avete analizzato quella situazione?

Ci poteva anche stare di perdere la maglia gialla, così avremmo avuto meno responsabilità in corsa. Il vero guaio è stato il così tanto tempo perso, ma quello era un punto pericoloso. Era una curva veloce che chiudeva stretta. Forse se ci fosse stato un addetto a segnalarcela, probabilmente l’avremmo affrontata con più attenzione. Lì si andava molto forte e Demi ha picchiato duro. Comunque alla fine sapevamo che per rivincere il Tour, avremmo dovuto recuperare e tentare il tutto per tutto.

Che è quasi riuscito a Vollering. Secondo te si poteva fare di più?

Con i se e con i ma, si possono dire tante cose. Se invece di fare seconda dietro Pieterse, Demi avesse vinto la tappa di Liegi avrebbe avuto 4 secondi in più di abbuono. Se all’ultima tappa Rooijakkers le avesse dato un paio di cambi in più in pianura, avrebbero guadagnato ulteriormente. Ed altro ancora, però capite che non si può ragionare così, esistono anche le avversarie. Lorena e Christine (Wiebes e Majerus, ndr) hanno dato l’anima prima del Glandon. Demi stava facendo l’impresa, tanto che la stessa Niewiadoma, che non ha rubato nulla e se lo è guadagnato il Tour, ha detto che quando l’ha vista partire si era demoralizzata. E lei ha ringraziato il lavoro della Brand prima dell’Alpe d’Huez. E’ vero che si può sempre fare meglio, ma secondo noi la nostra tattica non è stata sbagliata, malgrado una serie infinita di critiche.

Ne avete avute molte? Il tuo sfogo social è anche frutto di questo?

Fin dai primi giorni abbiamo ricevuto di tutto sui nostri profili. Ho visto Lorena rimanerci male e piangere perché in privato le scrivevano cose non carine. Oppure che Demi era rimasta da sola apposta perché tanto a fine stagione andrà via. Non scherziamo. Per me c’è sempre una linea da non oltrepassare e questo è troppo. Però ci siamo ricompattate ulteriormente grazie allo staff che ci ha fatto da parafulmine per tutelare il nostro morale. A riprova che siamo davvero un grande team dove tutti sono utili alla causa.

Vollering a fine stagione lascerà la SD Worx per la FDJ. Per Guarischi sarà insostituibile
Vollering a fine stagione lascerà la SD Worx per la FDJ. Per Guarischi sarà insostituibile
Nel 2025 in pratica Vollering sarà rimpiazzata da Van der Breggen. Cambierà qualcosa per voi?

Bisogna dire che Demi non è rimpiazzabile, lei rimarrà sempre lei per noi ragazze e per questa squadra. Chiunque arriverà, pur forte che sia, non sarà mai Demi. Personalmente sono molto legata ad entrambe. Naturalmente dispiace molto che ci lasci perché è una grande persona prima ancora che una grande leader, mentre Anna è la mia allenatrice. Nello sport però sappiamo che ci sono cicli che possono finire e nuove avventure che possono iniziare. Anna riprende perché le mancava correre. In questi anni ha vissuto l’atmosfera bellissima tra di noi e vedevamo che aveva voglia di tornare a respirarla. In ritiro si è sempre allenata bene con noi. Ovvio che poi bisognerà vedere quanto impiegherà a ritrovare il ritmo. Ma lei, come Demi, ha tanta classe e non avrà problemi.

In Polonia si è rivisto un gran Bagioli in aiuto a Nys

24.08.2024
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Se si guardano i nudi risultati del recente Giro di Polonia, fa capolino un 6° posto di Andrea Bagioli. Buono, soprattutto in relazione all’andamento di questa sua prima stagione alla Lidl-Trek certamente non in linea con quelle che erano le attese. Ma i numeri spesso non dicono tutto, anzi. Guardando l’evoluzione di alcune tappe, ai più attenti non è sfuggito come il rendimento del valtellinese sia cresciuto e di come se ne sia giovato Thibau Nys, che sul suo lavoro ha costruito le sue vittorie di tappa.

La grinta di Bagioli: chi lo ha visto in Polonia parla di un campione ritrovato
La grinta di Bagioli: chi lo ha visto in Polonia parla di un campione ritrovato

Un segnale importante per Bagioli, che infatti al termine della corsa polacca ha ben altra voce rispetto al resto della stagione: «E’ stata una corsa importante che mi ha dato risposte positive. Stavo meglio, il periodo di lavoro in altura ad Andorra mi ha fatto bene, in corsa ho ritrovato quelle buone sensazioni che per tutta la stagione non avevo sentito».

Nelle vittorie di Nys hai avuto una parte importante…

Sapevamo tutti in squadra che aveva una condizione incredibile ed era quindi giusto lavorare per lui, perché alla fine quel che conta è il team. Sabato, nella tappa verso Bukovina Resort stava per mollare in salita, gli ho detto di mettersi dietro e l’ho riportato nel gruppetto di testa, poi lui ha fatto la sua parte, ma so anche che molti hanno notato il mio lavoro e ne sono contento perché inizio a sentirmi me stesso.

La quarta tappa vinta da Nys. Bagioli nel gruppetto dietro è stato fondamentale per portarlo avanti
La quarta tappa vinta da Nys. Bagioli nel gruppetto dietro è stato fondamentale per portarlo avanti
Le aspettative su di te a inizio stagione erano molte: che cosa non ha funzionato?

Credo sia stato un insieme di fattori. Probabilmente ha influito il cambiamento di squadra, di ambiente, forse anche proprio quelle responsabilità di cui sopra. Serviva un po’ di tempo per abituarsi, soprattutto dopo il Giro d’Italia ho sentito che la ruota stava girando e in Polonia ne ho avuto la conferma.

Nella corsa polacca hai però dovuto ricoprire un ruolo subalterno, non temi che a lungo andare ti vedano sempre più come un luogotenente? Non erano queste le premesse…

Bella domanda. Forse sì e se devo guardarmi dentro, una delle cause del mio andamento è stata anche l’affievolimento di quella “cattiveria” necessaria per primeggiare. Nel 2023 avevo chiuso molto bene, ma ci vuole poco perché quella cattiveria si perda, è qualcosa che devi tenere sempre allenato. Non posso dare responsabilità al team, come detto si lavora tutti per un obiettivo, se vai forte gli spazi te li lasciano. So che continuando così ci saranno corse dove sarò io il capitano.

Nel team il valtellinese ha trovato fiducia, ma ci ha messo tempo per adattarsi
Nel team il valtellinese ha trovato fiducia, ma ci ha messo tempo per adattarsi
A ben guardare e considerando quello che hai fatto lo scorso anno sei uno dei pochi italiani vincenti. Non hai la sensazione che molti tuoi coetanei e più giovani, appena approdati in un grande team si accontentino di ruoli di rincalzo? E’ vero che i “magnifici 6” fanno un po’ quel che vogliono, ma all’estero ci sono anche tanti corridori che emergono e vincono comunque…

E’ un tema complesso, probabilmente la crisi che il nostro ciclismo sta vivendo si basa proprio su questo. Entrando in un team importante, del WorldTour, bisogna guadagnarsi la fiducia e non è facile. Sono in tanti che vogliono essere capitani, tanti che in ogni team hanno la possibilità di vincere. Farsi spazio non è facile, la concorrenza interna è spesso ancor più dura di quella esterna. Questo dipende dal livello estremamente alto del ciclismo odierno. Serve tempo, pazienza, lavorare sodo e non perdere fiducia in se stessi. Un esempio lo abbiamo con Tiberi, si vede come sta andando forte, non si è lasciato andare. Io credo che di giovani italiani vincenti ce ne siano, ma devono scavare per emergere.

Bagioli al Giro, incitato dalla folla. La corsa rosa non gli ha però portato fortuna
Bagioli al Giro, incitato dalla folla. La corsa rosa non gli ha però portato fortuna
Dove rivedremo ora Bagioli e soprattutto quando lo rivedremo a lottare nelle prime posizioni?

Domani sarò a Plouay dove saremo ancora al lavoro per Nys, per sfruttare la sua condizione straripante. Poi andremo in Canada per le due corse del WorldTour che a me sono sempre piaciute molto, a Montreal sono stato terzo due anni fa, è un percorso che si adatta alle mie caratteristiche. Poi seguirò le gare italiane di fine stagione dove vorrei chiudere in bellezza questo primo anno alla Lidl-Trek.

Il lombardo ha lavorato per Nys, ora però verranno corse dove agire in prima persona
Il lombardo ha lavorato per Nys, ora però verranno corse dove agire in prima persona
D’altronde si avvicina il Lombardia e dopo il secondo posto dello scorso anno dietro Pogacar ci si attende molto da te…

Dipende da quale sarà il percorso: se si arriva a Bergamo Alta è il tracciato ideale, se si arriva a Como le cose cambiano, nel finale c’è uno strappo forse troppo duro per le mie caratteristiche. Io comunque ho tutte le intenzioni di replicare quanto fatto e magari fare anche meglio…

Dietro gli arrivi di Alaphilippe e Hirschi, c’è una Tudor che cresce

24.08.2024
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A metà del secondo anno della sua storia come professional, con undici vittorie nel primo e già nove nel 2024, il Tudor Pro Cycling Team si è messo sul mercato e ha realizzato due colpi magistrali. L’arrivo di Marc Hirschi e quello di Julian Alaphilippe innalzano il tasso tecnico della squadra svizzera e la dotano di due uomini vincenti che saranno capaci di finalizzare il gran lavoro degli altri. Più in generale, guardando i movimenti del team, si ha la sensazione che l’opera di consolidamento prosegua con coerenza e seguendo un piano ben preciso.

In questi giorni, Ricardo Scheidecker si trova con la squadra al Lidl Deutschland Tour, per cui quando lo raggiungiamo ha appena finito il debriefing della tappa di ieri – vinta da Mads Pedersen – e sta per iniziare una riunione con lo staff. Non ci sono giornate tranquille durante le corse, ancor meno nelle squadre che pur vivendo nel presente stanno costruendo il futuro. Con il suo ruolo di Head of Sports, il portoghese è la figura di riferimento per fotografare il momento del team.

Vi siete mossi sul mercato con colpi veloci, precisi e di qualità. C’è la sensazione di un cambio di marcia…

Forse non un cambio di marcia, semplicemente il processo di crescita che prosegue. Il cambio c’è stato fra il primo e il secondo anno quando da 20 corridori passammo a 28 e fu un passaggio importante. Nel 2025 avremo un corridore in più, saremo 29. La squadra ha bisogno di qualità e di esperienza, ma non solo a livello di atleti. Stiamo facendo lo stesso con lo staff. L’anno scorso abbiamo preso il “Toso” (Matteo Tosatto, ndr) e Bart Leysen come rinforzo nell’area tecnica. Sul fronte dei corridori abbiamo esperienza, ma servono anche motori e qualità fisiche importanti, come nel caso di Hirschi, di Alaphilippe, lo stesso Marco Haller e Lienhard. In più abbiamo fatto passare dei corridori della devo team (Aivaras Mikutis e Fabian Weiss, ndr) e questo vuol dire che non trascuriamo lo sviluppo. Quindi credo che sia un mercato equilibrato.

Quanto c’è di tuo, dopo i tanti anni alla Quick Step, nell’arrivo di Alaphilippe?

Julian è un campione e credo che avesse anche altre proposte. E’ stata una scelta della squadra, non una scelta di Ricardo. Poi che io abbia aiutato nel creare il ponte è un altro discorso, perché abbiamo lavorato insieme per sei anni, credo i migliori della sua carriera. Abbiamo condiviso tantissimi momenti ed è rimasto un rapporto di amicizia vera, non solo di lavoro. Ma il bello di questa squadra è che gli acquisti si ragionano insieme con un gruppo di persone e non per la scelta di uno solo.

Ricardo Scheidecker, portoghese, è Head of Sports al Tudor Pro Cycling Team (foto Anouk Flesch)
Ricardo Scheidecker, portoghese, è Head of Sports al Tudor Pro Cycling Team (foto Anouk Flesch)
Hirschi è svizzero, la squadra è Svizzera: può diventarne la bandiera?

Diventerà logicamente uno dei leader della squadra, questo è molto chiaro. Noi crediamo assolutamente che abbia il potenziale per fare più di quello che fa al momento. Il fatto che sia svizzero è un’ottima coincidenza, soprattutto perché in squadra abbiamo colleghi che hanno lavorato con lui in passato e anche loro hanno contribuito a dargli fiducia perché decidesse di venire qui. Ritroverà persone con cui ha lavorato e che lo conoscono bene. E lo abbiamo trovato convinto del fatto che qui in Tudor Pro Cycling troverà l’ambiente giusto per la sua carriera e per esprimersi ai suoi livelli migliori.

Marc ha 26 anni, Julian ne ha 32. Pensi che abbia ancora il livello per essere l’Alaphilippe di prima dell’incidente?

Quest’anno si è rivisto a un bel livello, devo dire. Sono convinto che potrà tornare a uno standard altissimo. Se poi sarà al livello dei vecchi tempi, lo scopriremo l’anno prossimo quando cominceremo a correre. Quest’anno ha già dato dei segnali in questo senso, perché ha vinto un po’ di corse in modo importante, con lo stile di una volta. Credo che la chiave per lui sia trovare felicità e la nostra promessa è che qui la troverà. Conoscendolo, se davvero sarà così, il resto verrà naturale. La sua qualità porta tantissimo alla squadra, ma non basterà avere un nome. Dovremo essere in grado di meritarci quello che eventualmente verrà.

Il mercato è ancora aperto per altri colpi?

No, siamo a posto.

Se dovessi dare una valutazione a metà di questa stagione, cosa diresti della squadra?

Nel complesso, che vuol dire tenere conto anche del tanto lavoro non visibile all’esterno e che ci fa crescere, io dare un 8. Credo che stiamo lavorando bene. Conosciamo le nostre debolezze e ci impegniamo per migliorarle. La squadra ha un anno e mezzo, per cui possiamo essere fieri pur tenendo i piedi per terra, perché ancora non abbiamo fatto nulla di quello che ci proponiamo. Però pian piano stiamo crescendo. E quello che abbiamo progettato per il prossimo anno sarà un altro scalino che potremo salire.

Kajamini freccia a Condove. E oggi l’Avenir si decide sul Finestre

24.08.2024
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Tra le tante tappe di montagna di questo Tour de l’Avenir quella di Condove, in Piemonte, sembrava quella più tranquilla. E invece ne è uscito il finimondo e soprattutto ne è uscito un italiano: Florian Kajamini. Un italiano che vince in Italia: goduria doppia.

Dopo Ludovico Crescioli, i ragazzi di Marino Amadori portano a casa un altro successo e sono anche primi nella classifica a squadre. Questa vittoria però non è affatto casuale. C’è del lavoro dietro.

Partenza a ritmi folli, come del resto è stato in tutte le frazioni di questo Avenir (foto Tour Avenir)
Partenza a ritmi folli, come del resto è stato in tutte le frazioni di questo Avenir (foto Tour Avenir)

Il lavoro paga

«Questo – spiega con tono giustamente euforico Amadori – è quel che succede quando si hanno dei bravi corridori e quando si lavora bene. Ringrazio la Federciclismo per avermi permesso di stare tre settimane in quota al Sestriere e le società per avermi lasciato i ragazzi a disposizione per tanto tempo. Ma quando si programmano bene le cose, si lavora con calma e senza stress ecco quello che succede». Ricordiamo che gli azzurri hanno provato le quattro tappe finali.

«E accade anche perché i ragazzi sono bravi. Questi sono dei buonissimi corridori. Dove arriveranno non lo so, ma questi prima o poi qualcosa di buono la faranno. Bisogna solo avere pazienza».

La discesa dopo un Gpm facile e scoppia la bagarre, davanti anche Mattio (foto Tour Avenir)
La discesa dopo un Gpm facile e scoppia la bagarre, davanti anche Mattio (foto Tour Avenir)

Tranello superato 

Il discorso di Amadori è legato sia all’insieme dei risultati che gli azzurri stanno ottenendo in questo Avenir, sia alla tappa di ieri, alla cronaca se vogliamo. Tutto è successo in fase di avvio, quando il gruppo si è spezzato in un tratto, neanche troppo lungo, in discesa

«Aver provato il percorso – riprende Amadori – vuol dire tanto, ma proprio tanto. Anzi è stato fondamentale direi: sapevamo che quello poteva essere un punto cruciale e così è stato. Già lo scorso anno questa tappa fece un “tritello” e si sapeva che sarebbe potuta essere pericolosa. I ragazzi dovevano stare davanti e lo hanno fatto alla perfezione. Quando il gruppo si è spezzato sono andati via in 24 e noi ne avevamo tre dentro: Scalco, Kajamini e Mattio». 

Torres e Widar erano dietro e hanno perso il treno buono. La maglia gialla (Torres) ha anche provato a rientrare sul Moncenisio. Era arrivato ad un minuto dai battistrada che intanto andavano fortissimo, ma poi tra discesa e fondovalle è naufragato.

«Devo dire che Olanda e Gran Bretagna sono state brave dopo che erano rimasti in otto. Loro ne avevano due per team e hanno tirato molto. Anche io ho detto a Kajamini di girare, magari senza esagerare. Nei finali lui è veloce. Specie quando le gambe sono stanche».

I grandi sconfitti: Torres in giallo e Widar a pois. Entrambi hanno perso le rispettive maglie e da primo e secondo, sono ora 6° e 7° in classifica a 3’55” e 6’49”.
I grandi sconfitti: Torres in giallo e Widar a pois. Entrambi hanno perso le rispettive maglie e da primo e secondo, sono ora 6° e 7° in classifica a 3’55” e 6’49”.

Parla Kajamini

Ecco quindi Kajamini. L’azzurro della MBH Bank-Colpack è super felice. E come potrebbe essere diversamente? E’ incredibile la lucidità con cui riavvolge il nastro e racconta la tappa.

«Visto il livello che c’è qui all’Avenir – spiega Kajamini – in ogni momento può succedere qualcosa. Sembrava una tappa da fuga e lo è stata. La classifica non era ancora delineatissima ed è venuto fuori un vero macello e in questo caos mi sono fatto trovare pronto. Anzi ci siamo fatti trovare pronti, visto che in pratica quell’azione l’abbiamo promossa noi azzurri. All’inizio infatti eravamo noi e i francesi.

«Devo ringraziare di cuore Scalco e Mattio che mi hanno aiutato moltissimo. Mattio ha tirato un sacco prima del Moncenisio. Quando siamo rimasti in otto sapevo che con un buon accordo avremmo potuto guadagnare. Dietro ci dicevamo che Torres aveva scollinato ad 1’, ma sapevo anche che essendo solo avrebbe perso».

Otto ragazzi, con dentro l’inglese Blackmore e l’olandese Graat, uomini da classifica, entrambi con un uomo ciascuno era chiaro che quella sarebbe stata la fuga buona. Tutti avevano interesse a tirare.

«Mamma mia se avevano interesse. Spingevano forte. Anch’io ho dato una mano…  Con Marino avevamo studiato bene il finale nei giorni del Sestriere. Sapevo che bisognava entrare in testa in quell’ultima curva. Ai 150 metri ero davanti. Da lì ho fatto la mia volata. Sapevo di avere un buono spunto. Devo ammettere di aver tirato il giusto. Negli ultimi 3 chilometri mi sono permesso il lusso di stare a ruota, ma nessuno mi ha detto niente visto che comunque prima avevo tirato pur essendo l’unico italiano del gruppetto. In quei momenti ho guardato in faccia gli altri per capire chi stesse bene per la volata. Sapevo che il belga, Verstrynge, che non aveva mai tirato avrebbe fatto lo sprint. E lo stesso l’altro inglese. Questa vittoria è la ciliegina sulla torta di questa bella stagione».

Kajamini (classe 2003) è ora 4° in classifica ed è anche leader della classifica a punti. Il grande Hinault lo ha premiato (foto Gianluca Valoti)
Kajamini (classe 2003) è ora 4° in classifica ed è anche leader della classifica a punti. Il grande Hinault lo ha premiato (foto Gianluca Valoti)

Lasciateci sognare

E ora si guarda avanti. Oggi c’è il gran finale sul Colle delle Finestre, che gli azzurri hanno “spianato” in ritiro. Secondo Amadori ci sono tre, quattro atleti più forti. Però è un fatto che per Kajamini, quarto, il podio è a 25” e la maglia gialla di Blackmore a 1’10”. Se a questo punto dell’Avenir sei in quella posizione di classifica non è un caso.

«Come ho detto la volta scorsa per Crescioli – conclude il cittì – restiamo con i piedi per terra. Mi sarebbe andato bene vincere una tappa e piazzarne uno nei dieci. Siamo nei primi cinque e con due tappe nel sacco. E anche primi nella classifica a squadre. E’ davvero tanta roba».

Chi invece sembra quasi più determinato e che non preclude sogni di gloria è proprio Kajamini. Anche a lui facciamo notare che il podio è a 25”. Sentite qui la sua risposta.

«Sì – dice la nuova maglia verde – ho dato un’occhiata alla classifica e sul Finestre mi spaventava più gente come Torres e Widar. Blackmore va meglio su salite più pedalabili. Bisiaux è uno che parte molto forte, ma poi un po’ cala. Degli olandesi quello in classifica non è quello più forte in salita. Vediamo…

«Intanto pensiamo a finire al meglio questo Avenir. Per ora mi godo questa giornata e questo ricordo che sarà indelebile. Vincere una tappa all’Avenir è già tantissimo, vincerla in Italia… ancora di più. Oggi (ieri, ndr) a Condove abbiamo avuto un tifo e un’accoglienza incredibile. Un vera festa».

Fiamme Azzurre, l’oro di Consonni uno tsunami di entusiasmo

23.08.2024
7 min
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Le Fiamme Azzurre del ciclismo sono tornate da Parigi con un sorriso che ancora non va via. Il tempo di fare festa per il bronzo di Francesco Lamon ed è arrivato come uno tsunami l’oro di Chiara Consonni, l’ultima arruolata. Il responsabile della Sezione Ciclismo si chiama Augusto Onori e dalle sue parole traspare un entusiasmo coinvolgente. Lo troviamo durante il rientro dalle ferie, entrambi guidando e ripercorrendo i giorni olimpici di Parigi (in apertura abbraccia la bergamasca subito dopo la vittoria).

Nel frattempo le corse sono ricominciate e la campionessa olimpica della madison ha ripreso a correre con la maglia del UAE Team Adq, ma questa pagina merita ancora un racconto. Per i gruppi sportivi dei corpi di Polizia infatti, le Olimpiadi sono la vera ragion d’essere. Per il resto della stagione restano un passo indietro, salvo diventare protagonisti nei campionati nazionali. Eppure il loro non è assolutamente un ruolo di secondo piano, tutt’altro. E’ grazie a loro che tanti atleti negli anni sono riusciti a coltivare il loro sogno.

A Casa Italia, nella sera dell’oro, Chiara Consonni con Irene Marotta (a capo del GS Fiamme Azzurre) e Augusto Onori
A Casa Italia, nella sera dell’oro, Chiara Consonni con Irene Marotta (a capo del GS Fiamme Azzurre) e Augusto Onori
E allora cominciamo proprio da Chiara Consonni: quando l’avete presa pensavate che fosse già in grado di portarvi un oro?

Non voglio dire che sia stata una scoperta, perché comunque è un’atleta di alto profilo, ma certo l’oro che non era scontato. E’ stato una bella scommessa vinta. Ci aspettavamo un risultato importante, ma questo è stato davvero un risultato immenso. Da quando è arrivata, viene monitorata dal nostro staff, per cui l’abbiamo seguita. Forse grazie alla serenità e la tranquillità che diamo ai nostri atleti, è uscito fuori quello che poi abbiamo visto a Parigi. E questo sarà l’inizio di un lungo percorso di successi.

Le Olimpiadi per chi fa il vostro lavoro sono il momento clou, giusto?

Per quanto riguarda il nostro lavoro, si va a pari passo con quello dell’atleta. Lavoriamo e viviamo quattro anni per quattro anni. Diciamo che il percorso verso Parigi è stato lungo, duro, intenso. Abbiamo avuto molti bassi, ma anche molti alti che fanno parte della storia di un atleta di alto profilo. Però abbiamo vissuto gli ultimi mesi con molta serenità. Siamo riusciti con le nostre tre donne (Cecchini, Consonni, Paternoster, ndr) ad avere le carte olimpiche e quindi già quello per noi è stato un grandissimo risultato. In più Lamon si è confermato. Non è facile prendere una seconda medaglia e quel bronzo è stato stupendo al pari dell’oro. E’ stata una medaglia sofferta e combattuta. E sono certo che questi risultati siano arrivati proprio facendo lavorare i ragazzi con la massima serenità e tranquillità

Letizia Paternoster ha colto il quarto posto nell’inseguimento a squadre e ha poi corso l’omnium
Letizia Paternoster ha colto il quarto posto nell’inseguimento a squadre e ha poi corso l’omnium
Anche perché forse Lamon dei quattro era quello per cui le Olimpiadi sono davvero il grande obiettivo, al confronto di Consonni, Ganna e Milan che comunque corrono nel WorldTour.

Perfetto. Come Fiamme Azzurre, abbiamo gli stessi intenti della nazionale, quindi non ci discostiamo assolutamente dai programmi della nazionale. Siamo sempre a disposizione ed è così per tutti i gruppi sportivi riconducibili allo Stato. Per cui Francesco è a disposizione al 100 per cento della Federazione ciclistica italiana.

In che modo gli alti gradi delle Fiamme Azzurre seguono la vostra attività sportiva? Vi mettono pressione?

Abbiamo il piacere di condividere queste esperienze con i nostri vertici. A capo della struttura del gruppo sportivo c’è la dottoressa Irene Marotta, con cui ho avuto il piacere di condividere questi straordinari successi proprio a Parigi. Le pressioni sono quelle date dal lavoro. Abbiamo degli standard da soddisfare e gli atleti devono dare il loro contributo per raggiungerli. Le medaglie che abbiamo preso e anche il quarto posto del quartetto femminile testimoniano che il lavoro funziona, anche grazie alla tranquillità in cui ci viene consentito di svolgerlo.

Gli atleti vestono la maglia dei gruppi di Polizia solo ai tricolori. Qui Consonni e Paternoster all’italiano 2024 dopo il secondo posto di Chiara
Gli atleti vestono la maglia dei gruppi di Polizia solo ai tricolori. Qui Consonni e Paternoster all’italiano 2024 dopo il secondo posto di Chiara
In che modo gli agenti che lavorano effettivamente nei penitenziari vivono i successi dei loro colleghi atleti?

Proprio per rispondere a questa domanda, vorrei citare le parole che ha avuto il Presidente Giovanni Russo, a capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Si è detto felice e orgoglioso per le medaglie e l’impegno delle Fiamme Azzurre. E mi sento di dire che il lavoro quotidiano dei nostri atleti rispecchia lo stesso impegno che i colleghi in uniforme mettono tutti i giorni durante il loro orario di servizio.

Un’Olimpiade come questa diventa anche la molla a fare di più?

E’ il nostro lavoro e i nostri obiettivi sono quelli di mantenere un livello altissimo. L’obiettivo è vincere, abbiamo questo obbligo che non è amatoriale, ma professionale. Devo dire grazie alla Federazione, sia per la parte politica sia per i tecnici Sangalli e Villa, con cui si è creata una bella collaborazione che ha contribuito al raggiungimento di questi importantissimi traguardi. E mi sento di dire che un oro olimpico è fonte di ispirazione, di arricchimento e di pensiero. E’ un risultato che mi fa lavorare sempre con maggior spinta e credo di poter dire che sia così anche per i miei collaboratori, che vorrei ringraziare. Fabio Masotti e Carlo Buttarelli sono stati miei compagni di viaggio e lo saranno per le sfide che ci attendono.

A Parigi il terzetto femminile delle Fiamme Azzurre era completato da Elena Cecchini
A Parigi il terzetto femminile delle Fiamme Azzurre era completato da Elena Cecchini
Masotti che al momento è in Cina con i mondiali juniores su pista…

E tra l’altro stanno riportando titoli iridati e record del mondo. Ecco perché ci tengo a sottolineare il loro ruolo, perché veramente stanno facendo un lavoro egregio.

Per tornare con i piedi nella realtà, quest’anno scade la convenzione tra FCI e gruppi sportivi militari già rinnovata l’ultima volta da Renato Di Rocco, pensi che sarà rinnovata?

Di questa cosa devo ancora parlare. Ovviamente faremo a breve un tavolo tecnico, visto che ai primi di settembre ricominciano a muoversi tutti gli ingranaggi. Siamo rimasti con il presidente Dagnoni e il segretario generale Tolu di incontrarci, magari anche a Montichiari, per capire cosa fare. Come avrete capito, per noi si tratta di un passaggio molto importante per lo sviluppo del settore pista. Ci sono molte difficoltà tecniche e quindi vogliamo capire bene come si possa gestire la situazione.

C’è anche da dirimere la problematica di atleti professionisti che risultano dipendenti dell’Amministrazione pubblica, che potrebbe sembrare strano.

Non è strano. Diciamo che il team principal degli atleti dei gruppi sportivi di Polizia è lo Stato stesso. E’ il suo datore di lavoro principale, quindi per quanto riguarda gli atleti delle Fiamme Azzurre, il datore di lavoro è l’Amministrazione Penitenziaria. Dopodiché la possibilità di fare un secondo tesseramento con una società esterna è contemplata. Non è un grosso problema, perché comunque è attinente all’allenamento dell’atleta. Quindi per noi non è un problema che Chiara Consonni corra con la UAE Adq. Fino ad ora è c’è stato grande affiatamento con questi team e quindi parlo anche della Cecchini o comunque anche dei ragazzi, che però corrono in team minori. Con il nostro staff riusciamo ad avere degli ottimi rapporti, sapendo che il lavoro delle Fiamme Azzurre viene prima di tutto il resto.

Alla vostra amministrazione sta bene così?

Diciamo che fino ad ora non ci sono stati problemi. A livello amministrativo, i nostri atleti e tutti quelli dei gruppi sportivi dello Stato, sono dipendenti statali. Quindi, in quanto tali, non possono fare un secondo lavoro con un contratto, perché non è possibile. La franchigia che c’è stata finora era stata creata per proprio per far lavorare questi atleti in entrambi i settori. Ora dobbiamo ridiscuterla e definirla bene. E poi sapremo ragguagliarvi in tal senso. Ma nel frattempo continuate a guardare verrso Parigi. Alle Paralimpiadi avremo Claudia Cretti e sono sicuro che ci darà un altro motivo per sorridere.

Terzo in Danimarca, Foldager torna a far parlare di sé

23.08.2024
5 min
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La conclusione del Giro di Danimarca vinto da Arnaud De Lie ha riproposto una vecchia conoscenza del ciclismo italiano (anche se parlare di “vecchia” a proposito di un corridore di 23 anni suona un po’ contraddittorio…). Parliamo di Anders Foldager, il corridore danese approdato quest’anno al team Jayco AlUla dopo aver fatto la sua gavetta dalle nostre parti, precisamente dalla Biesse Carrera.

Foldager ha conquistato il terzo gradino del podio nella classifica finale, in una gara di alto livello con molti team del WorldTour. In quest’occasione il corridore di Skive non vestiva però la maglia del team australiano, bensì quella della nazionale il che dà maggior risalto alla sua prova.

Il podio finale con De Lie vincitore con 1″ su Cort e 27″ su Foldager (foto Moller)
Il podio finale con De Lie vincitore con 1″ su Cort e 27″ su Foldager (foto Moller)

Per Foldager è il giusto premio per una prima stagione nel grande ciclismo vissuta con qualche difficoltà ma sempre da protagonista: «Finora l’anno è stato positivo – racconta Anders mentre si sta dirigendo in Francia per la Bretagne Classic di domenica – con qualche problema all’inizio della stagione e un sacco di malattie che mi hanno rallentato. Ma da maggio è stato positivo».

Rispetto allo scorso anno le difficoltà sono aumentate, il calendario è di livello più alto?

Sì, certo. Faccio solo gare professionistiche del WorldTour o immediatamente sotto, quindi forse la gara più grande dell’anno scorso è la più piccola per me quest’anno. Quindi è sempre difficile, ma allo stesso tempo è sempre più intrigante e mi accorgo che vado sempre meglio.

La stagione del danese è stata segnata da un difficile inizio, ma ora i risultati arrivano
La stagione del danese è stata segnata da un difficile inizio, ma ora i risultati arrivano
Raccontaci il tuo Giro di Danimarca, come sei riuscito a conquistare il podio?

Prima di tutto abbiamo avuto la cronometro a squadre dove siamo arrivati al quarto posto. E’ stato un buon inizio se volevamo puntare alla classifica. La tappa successiva era già decisiva per l’esito finale e me la sono cavata più che bene, finendo ancora quarto a non molta distanza da Magnus Cort e Arnaud De Lie che avevano già fatto la differenza. Da lì sono stati solo sprint piuttosto numerosi in cui ho dovuto restare con la squadra, difendendo il podio.

Voi correvate con la nazionale contro squadre WorldTour che vivono insieme tutto l’anno. E’ stato uno svantaggio per te?

Forse un po’. Soprattutto perché abbiamo perso due corridori, Mathias Nordsgaard e l’ex iridato U23 a cronometro Johan Price-Pejtersen già alla seconda tappa. Quindi ero l’unico corridore del WT nella squadra, ma ho avuto un buon aiuto dagli altri ragazzi. È difficile quando non si corre insieme tutti i giorni, avevamo sicuramente minor amalgama rispetto alle altre formazioni perché non ci conoscevamo molto bene, per questo il risultato finale ha maggior valore e lo condivido con tutti i miei compagni.

Foldager ha corso con la nazionale, pagando dazio in termini di amalgama con i compagni (foto Moller)
Foldager ha corso con la nazionale, pagando dazio in termini di amalgama con i compagni (foto Moller)
Eri già stato quarto al Giro di Slovacchia: stai diventando un corridore più portato per le corse a tappe?

Non lo so, forse. Penso che le brevi corse a tappe senza le grandi montagne e senza circuito cittadino, vadano bene per me, ma resto comunque migliore come cacciatore di tappe e nelle corse di un giorno. Le mie caratteristiche non cambiano.

Che cosa ti è rimasto della tua esperienza in Italia?

Ora posso dire con certezza che il grande calendario Under 23 in Italia mi ha dato un sacco di esperienze e opportunità per emergere nei finali e poi ovviamente la squadra mi ha aiutato a crescere. Apprezzo moltissimo il mio tempo trascorso in Italia, che mi ha davvero costruito il corridore che sono oggi. Non solo tecnicamente, ma anche mentalmente, per essere un professionista.

Magnus Cort vincitore della seconda tappa su De Lie. Tappa che si rivelerà decisiva, ma il belga la spunterà (foto Moller)
Magnus Cort vincitore della seconda tappa su De Lie. Tappa che si rivelerà decisiva, ma il belga la spunterà (foto Moller)
Quanto conta nell’evoluzione del ciclismo danese avere un campione di riferimento come Vingegaard?

E’ fondamentale avere delle grandi star per i giovani ciclisti. Da ammirare come un idolo. L’idea è che se ce l’ha fatta lui, allora vuol dire che possiamo farcela anche noi. Grazie alle imprese di Tomas, il ciclismo nel mio Paese è cresciuto enormemente l’anno scorso e si vedeva dalla quantità di gente presente proprio al Tour di casa, per le strade danesi. Ora il ciclismo è davvero molto popolare, fra i più diffusi.

Ora quali sono i tuoi obiettivi da qui alla fine della stagione?

Dopo Plouay continuerò con le gare di un giorno, forse Amburgo, forse alcune gare in Italia, ma il programma non è ancora ben definito. Il mio obiettivo è di rimanere in forma e di aiutare i ragazzi quando devo farlo e se devo, cercando comunque di avere la mia possibilità, a volte. Magari per cercare un’altra vittoria quest’anno.

Per il danese già ottimi segnali al Giro di Slovacchia con vittoria di tappa e 4° posto finale
Per il danese già ottimi segnali al Giro di Slovacchia con vittoria di tappa e 4° posto finale
Tu hai già il contratto per il prossimo anno: speri di essere selezionato per un grande giro?

Per l’anno prossimo, spero proprio di sì. Penso che sarebbe bello fare un Grand Tour, ma non ho ancora pensato alla prossima stagione e lo faremo, sicuramente faremo un piano con la squadra e con il mio allenatore. Per scegliere quello che si adatta meglio alle mie possibilità, fra Italia, Francia o Spagna non ho preferenze. Anche se personalmente potrebbe essere davvero bello correre il Giro…

Tonetti: «Il mio viaggio in Francia tra emozioni, fatica e… pois»

23.08.2024
7 min
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«Alle mie compagne ho detto subito che ero la Pimpa fatta e finita, ma in Spagna non esiste quel cartone animato. Mi hanno guardato felici e stranite». Se conosciamo un poco Cristina Tonetti ci avremmo scommesso forte su questa battuta quando alla fine della prima tappa del Tour Femmes ha indossato la maglia a pois.

Un’azione di alto coraggio per un basso “gpm” posizionato in… vetta al tunnel sulla Mosa. Ma se corri in Olanda quelle strade (in questo caso un sottopasso di venticinque metri sotto il livello del mare, anzi del fiume) diventano le salite di giornata e se sei in gara al Tour de France stai certo che nessuno ti regala nulla. Così Tonetti a Rotterdam ha azzardato il colpo portandolo a termine per la gioia della sua Laboral Kutxa. La nostra chiacchierata con la 22enne brianzola parte da qui, anche per fare un confronto su Vuelta, Giro Women e Tour Femmes, i tre grandi giri WorldTour che ha disputato.

A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
Cristina ti stai godendo un po’ di riposo?

Dopo il rientro dalla Francia sto facendo qualche giorno senza bici. Ne avevo bisogno, sia fisicamente che mentalmente, e so che mi farà molto bene. Riprenderò a correre l’8 settembre a Fourmies quindi ho tutto il tempo per prepararmi a dovere. D’altronde quest’anno ho corso tanto. In realtà mi è mancata solo la parte delle classiche perché per il resto ho fatto sette corse a tappe. Vuelta, Giro e Tour come Kuss l’anno scorso, ma con risultati decisamente più bassi (dice ridendo, ndr).

Che differenza hai notato tra le tre corse?

La prima riguarda il livello medio e il ritmo in corsa. Vuelta, Giro e Tour questo è l’ordine crescente. In Spagna e in Italia se hai una giornata storta ti salvi, in Francia no, perché ci arriva il meglio del ciclismo femminile mondiale e nessuna vuole fare brutte figure. Al Tour si va molto forte, troppo (sorride, ndr). Sul piano organizzativo invece devo dire che non ho notato grandi diversità. Il Giro Women con l’avvento di Rcs è cresciuto tantissimo ed è totalmente un’altra gara rispetto a prima. Le differenze però più importanti sono altre due, se vogliamo anche legate fra loro.

Spiegaci pure.

Sono il pubblico e il riscontro mediatico. Al Giro c’è molta gente sia in partenza che in arrivo, ma non lungo il percorso. Al Tour invece le strade sono piene, poi figuratevi partendo dall’Olanda quante persone c’erano. Sono rimasta impressionata dalla tappa che partiva da Valkenburg. Dopo circa quindici chilometri affrontavamo il Cauberg. C’era così tanta gente che facevi fatica a sentire il tuo respiro. E naturalmente il richiamo internazionale è incredibile. Siamo riconosciute da tutti. La cassa di risonanza del Tour è tutta amplificata. Ed anche lo stress purtroppo.

Il tuo Tour però è iniziato bene, diremmo con lo stress positivo della maglia a pois. Te lo aspettavi?

Innanzitutto devo dire che già solo essere alla partenza è stato bellissimo. Ho capito che sono vere tutte le cose che si dicono sulla sua atmosfera, proprio per i motivi a cui mi riferivo prima. Andare a caccia della maglia a pois era stata una mossa studiata, anche se non eravamo l’unica squadra ad averci pensato. Era un interesse di tante ragazze. Infatti vincere il “gpm” della prima tappa ti garantiva di salire sul podio anche per le successive due che erano piatta e a cronometro. Però tra il dire e il fare lo sapete anche voi che non è così facile. Anzi…

Com’è nata quella tua fuga?

Prima che partissi io, ci aveva provato una mia compagna con a ruota Gaia Masetti, ma non il gruppo non gli ha lasciato spazio. Forse era troppo presto. Così dopo ci ho provato io da sola e probabilmente ho fatto male i conti perché mancavano più di venti chilometri. Significava un bello sforzo. Tuttavia sono riuscita a guadagnare subito un minuto e ho iniziato a gestirmi. Che poi non ti gestisci perché devi andare a tutta. Dall’ammiraglia mi incitavano costantemente dicendomi di resistere che il mio vero traguardo era il “gpm” e che poi avrei potuto rialzarmi. So che dietro l’inseguimento del gruppo ha subito un rallentamento a causa di una caduta. Non so se è stato quello o io che non ho mollato, ma alla fine ho vinto quel traguardo di metà tappa. E a quel punto ho fatto i restanti 60 chilometri col gruppo principale.

Immaginiamo che da quel momento in poi siano iniziate le emozioni.

Assolutamente sì. I miei diesse mi hanno fatto subito i complimenti, ma finché sei ancora in gruppo non te ne rendi conto perché c’è una corsa da finire e prestare attenzione. Ho veramente realizzato che avevo preso la maglia a pois quando sono salita sul podio del Tour. Quando ho visto tutto quel pubblico ero come pietrificata. Fortuna che dietro le quinte ho un po’ stemperato la tensione con qualche battuta e selfie assieme a Ahtosalo, la maglia bianca. Il mattino successivo alla partenza ancora imbarazzo.

Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Ovvero?

Prima di partire chiamano tutte le maglie davanti come tradizione ed io ero nuovamente pietrificata. Avevo di fianco a me Marianne Vos, che per me rappresenta il mito assoluto. Quindici anni fa quando ho iniziato a correre lei era già la più grande. Stare accanto a lei in partenza al Tour, nel rituale delle maglie, mi ha fatto tremare le gambe. Ma anche qualche giorno dopo con Vollering avevo una sorta di reverenza nei suoi confronti. Sono atlete fantastiche. Non ho avuto il coraggio di parlare con loro prima del via, non volevo disturbarle. Solo con Kool, che è più vicina a me come età, ho scambiato un po’ di parole. Sono stati comunque momenti bellissimi.

Poi è iniziato un altro Tour?

Direi proprio di sì. Dalla quarta tappa sapevo che sarebbe diventato tutto più duro. Partivamo da Valkenburg con le salite dell’Amstel e arrivavamo a Liegi dopo aver superato le varie côte. E lì, quando vuoi difendere la maglia a pois, scattano corridori come Puck Pieterse o Persico o Niewiadoma, sai che puoi fare veramente poco. In ogni caso ho fatto quello che potevo e non posso rimproverarmi nulla. Poi le tappe successive con tanto dislivello paradossalmente sono andate meglio. Cioè, il mio lavoro per le compagne scalatrici si esauriva ai piedi delle salite, ma almeno potevo impostare il mio ritmo e stare più rilassata mentalmente. Certo, c’è sempre da arrivare al traguardo entro il tempo massimo, però nel gruppetto ci concedevamo qualche battuta, aiutandoci.

La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
Cos’ha dato il primo Tour Femmes a Cristina Tonetti?

Mi ha fatto capire diverse cose. Ti rendi conto di cosa sia veramente il ciclismo e di quanta professionalità ci sia dietro certe atlete. Ti rendi conto di quanta strada ci sia ancora da fare. Stare davanti in certe tappe è molto difficile. E a proposito di strada, personalmente credo di essere su quella giusta. Come squadra abbiamo fatto un salto di qualità ed anch’io voglio alzare ulteriormente il livello. Per quest’anno ho davanti a me ancora molte corse. La stagione potrebbe finire con le gare cinesi, ma prima vorrei provare a guadagnarmi una chiamata per l’europeo U23.

Volto, pedalata, posizione… I segreti del Belli commentatore

23.08.2024
5 min
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Commentare una gara di ciclismo da un punto di vista tecnico non è cosa scontata. L’esperienza diretta è alla base. Wladimir Belli, ex corridore tra gli anni ’90 e 2000 è oggi ai microfoni di Eurosport. Spesso lo sentiamo dare giudizi particolari su questo o quel corridore o anticipare le azioni e tattiche.

Come fa? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui.

Ex corridore dal 1992 al 2007, oggi Wladimir Belli è un commentatore di Eurosport
Ex corridore dal 1992 al 2007, oggi Wladimir Belli è un commentatore di Eurosport
Wladimir, dicevamo delle tue qualità di commentatore tecnico. Spesso attribuisci aggettivi particolari, che in effetti caratterizzano quell’atleta: coma ci riesci?

Mi viene un po’ da sorridere. Per fare quel che faccio oggi, ho alle spalle “qualche” chilometro fatto in carriera. Se fossero tutti in grado di commentare in un certo modo o di capire subito cosa succede o cogliere un particolare… magari non sarei lì. E’ proprio grazie a quei chilometri che riesco a capire se un corridore è a tutta oppure è lì, bello rilassato. 

E cosa guardi?

Cento cose. Faccio degli esempi, così forse è più facile. Il gruppo è in salita e accelera di un chilometro orario, se ti alzi sui pedali per tornare sotto significa che sei già parecchio impegnato. Tra l’altro spendi di più, fai fatica a livello muscolare e al primo vero affondo ti stacchi. Oppure il busto: chi non è così sciolto, anche nei movimenti, chi è attaccato al manubrio… Non può più nascondersi al lungo. Sono aspetti che chi non ha corso in bici, anche se ci fa caso, magari non li nota fino in fondo.

O’Connor ieri in azione alla Vuelta. Belli lo dava favorito già a parecchi chilometri dall’arrivo
O’Connor ieri in azione alla Vuelta. Belli lo dava favorito già a parecchi chilometri dall’arrivo
E’ chiaro.

Per esempio mi viene in mente al recente Tour quando la Visma-Lease a Bike stava tirando per Vingegaard. Quando si è spostato Jorgenson e il danese è scattato, Pogacar non si è neanche alzato sui pedali. E lo dicevo da un po’ che stava bene. Poi cosa ha fatto Tadej? Lo ha fatto sfogare e appena è calato un po’ è partito lui e lo ha lasciato lì.

Cosa osservi anche nei momenti meno intensi?

Analizziamo la tappa di ieri alla Vuelta. Era da un po’ che dicevo di fare attenzione ad O’Connor, tanto è vero che mi hanno anche chiesto come mai insistessi molto su di lui. Ma si vedeva da come pedalava, da come girava il rapporto, dall’espressione della sua faccia. E poi bisogna anche informarsi. Vai a vedere il suo palmares. Mi dicevano che sarebbe arrivato, perché ai big non interessava. Che lo avrebbero ripreso quando volevano. Io dico che O’Connor arriva nei primi cinque di questa Vuelta. Ne parliamo dopo i Lagos de Covadonga. Oggi sono andati fortissimo. Non lasciamoci ingannare dal fatto che sono arrivati in 37 davanti. Sono arrivati in tanti perché il tracciato lo consentiva. Ma se ci fosse stato un chilometro al 15 per cento sarebbero arrivati: uno, uno, uno..

Chi ti piace come stile?

Enirc Mas, mi piace come pedala e mi piace la sua posizione. Tenendo conto del livello di questa Vuelta non sarei stupito se salisse sul podio, almeno in condizioni normali, senza cadute o inconvenienti particolari. Anche Riccitiello non è male. Non lo conosco bene, ma sta andando forte.

E a crono? Cosa noti e come fai a capire chi sta andando forte?

Ecco questa è la tipologia di tappa più difficile da commentare. Spesso vedi gente messa bene, che sembra stia spingendo un grande rapporto e poi il cronometro dice il contrario. Altri che sono più disuniti invece vanno forte. Ammetto che qui sono più in difficoltà. Ma in pianura e in salita, senza presunzione, ci azzecco!

Forse perché non eri un cronoman, ma uno scalatore! Andiamo avanti…

E poi ci sono anche quelli bravi a bluffare. Quelli che giocano d’astuzia e di esperienza: fanno espressioni, si muovono molto in bici… 

E li scovi?

“Ni”: sì e no. Non è facile proprio perché sono bravi…

Prima, Wladimir, abbiamo un po’ accennato allo stile. Rispetto ai tuoi tempi si pedala in modo molto diverso, cosa ne pensi di queste “pedalate moderne”?

Contano i rapporti, i materiali, gli studi, la tecnologia. Penso a due corridori grandi, Van Aert e Merckx sul Ventoux. Se guardiamo le foto sono due posizioni totalmente differenti, ma il motivo, che faccio fatica a digerire, è che un tempo il corridore doveva essere completo. In pianura poteva fare anche 100 e passa pedalate, ma in salita ne faceva 50-60. Oggi anche se c’è una salita al 20 per cento non fanno meno di 80 pedalate. E questo cambia la struttura degli atleti, oggi più elastici, andate a vedere invece i quadricipiti di Coppi. Facevano paura.

Il posizionamento delle tacchette: particolare curioso da cui Belli trae informazioni
Il posizionamento delle tacchette: particolare curioso da cui Belli trae informazioni
E invece chi non ti piace del tutto?

Beh, forse i gemelli Yates (molto avanzati, ndr) e anche Pogacar non è che sia così bello ed elegante. Però va! Anche Sagan non era messo bene però andava forte. Sono dettagli.

Dettagli: quali sono quelli che ti piace osservare?

La spinta della scarpa sul pedale, che poi è il posizionamento delle tacchette. Da lì già si può capire qualcosa di quel corridore, della sua muscolatura. Non è semplice, però se per esempio pedala in punta e quindi in fase di spinta gli “sparisce” il polpaccio magari sai già che non è da volata. Mentre  se spinge più con la pianta, e lì il polpaccio “esce”, magari è più potente e potenzialmente non è un corridore che va agile.  

Hai elencato molte chicche tecniche per decifrare i corridori. Hai anche una sorta di sesto senso a prescindere dal passato ciclistico?

Alla fine il valore aggiunto è aver corso e aver fatto “un milione” di chilometri. Sono quelli che ti fanno cogliere i dettagli.

Una settimana di fuoco: con Paladin dietro le quinte del Tour

23.08.2024
7 min
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In partenza per Plouay, Soraya Paladin scherza sul fatto che alla prima uscita dopo il Tour de France Femmes al suo corpo sono servite due ore per provare nuovamente sensazioni da corridore. Quella che si è conclusa domenica scorsa sull’Alpe d’Huez è stata una settimana faticosa per tutte, per le ragazze della Canyon Sram Racing ha portato però la maglia gialla. La difesa di Kasia Niewiadoma dall’attacco frontale di Demi Vollering è ancora negli occhi, ma il duro lavoro che c’è stato per arrivare a quel momento magari non tutti lo hanno colto. A farlo ci aiuterà Soraya, atleta classe 1993 che della squadra è riferimento per gambe e carisma.

Niewiadoma era già stata terza al Tour de France Femmes dello scorso anno, in una carriera di qualche bella vittoria e tantissimi piazzamenti. Eppure nella stagione che l’ha vista vincere alla Freccia Vallone, la polacca si è presentata davanti alle compagne con lo sguardo alto e la sicurezza di essere pronta per la maglia gialla. E questo è bastato perché loro si siano messe totalmente a sua disposizione. Paladin racconta, le domande e le risposte si rincorrono ricordando il lungo viaggio.

Niewiadoma era partita per vincere il Tour e ci è riuscita
Niewiadoma era partita per vincere il Tour e ci è riuscita
Eravate davvero partite con l’idea che potesse vincere?

Con l’idea di provare a vincerlo, perché credevamo in Kasia. Ha dimostrato di andare a forte. Ha detto che lo aveva preparato bene, quindi perché no? Sapevamo che dall’altra parte c’era un’avversaria forte, però era giusto darle l’importanza che meritava. E’ arrivata con la consapevolezza di avere tra le mani una grande occasione, quindi anche noi come squadra ci siamo messi al suo fianco e siamo partite per provare a vincerlo.

Hai parlato di settimana molto dura: quanto è stato impegnativo?

Ogni anno il Tour, si sa, è una gara impegnativa perché il livello è altissimo. Quest’anno poi siamo partiti dall’Olanda, quindi gare piatte e tanto nervosismo in gruppo. Non voglio dire che fossero tappe pericolose, ma si sentiva la tensione. Le strade dell’Olanda non ti lasciano un attimo di respiro, devi sempre essere attento alla curva, alla strada pericolosa che si trova… Quindi siamo sempre andati forte, sempre tappe a tutta. Non c’è mai stato un giorno in cui si è arrivati all’arrivo dicendo che tutto sommato ce la fossimo cavata con poco. In più, dover proteggere Kasia tenendola davanti è stato uno stress mentale in più. Per cui siamo arrivate alla fine un po’ più stanche del solito. In più le ultime tappe erano quelle più pericolose per la generale, per cui sei sempre in tensione.

Quanto si è consumato in Olanda, anche se non c’erano grandi salite, per stare davanti?

Sapevamo che erano le tappe sulla carta più facili, dove però si poteva perdere tutto. Kasia inoltre è una cui piace correre davanti, quindi ha chiesto espressamente di avere le compagne attorno per passare indenni queste tappe, con meno rischi e meno stress possibili. Quando è così, c’è tanta tensione. E al netto della fatica fisica, ci sono le dinamiche di gara in cui può succedere di tutto. Tutti vogliono stare davanti, ma non c’è spazio. E quindi succede che pur nei limiti della correttezza, qualche gomito viene alzato.

Paladin sapeva dall’inizio che al Tour avrebbe lavorato per Niewiadoma
Paladin sapeva dall’inizio che al Tour avrebbe lavorato per Niewiadoma
Di questo Tour sin alla presentazione si disse che si sarebbe deciso sull’ultima salita. C’è mai stata l’idea di dargli una svolta prima del finale?

L’unico giorno in cui c’è stata l’idea di provare, ma dipendeva da come sarebbe andata la gara, è stato quello sul percorso della Liegi. Ad aprile su quelle strade Kasia aveva dimostrato di saper andare forte e di fatto è riuscita a guadagnare qualche secondo su alcune avversarie. Però fare qualcosa nelle altre era troppo difficile. Nel ciclismo di adesso, nel nostro ciclismo, anche per le donne è difficile fare differenza in una tappa non troppo dura, perché le squadre sono ben organizzate per aiutare il proprio leader. In più nessuna aveva mai fatto così tanti chilometri con così tanto dislivello negli ultimi giorni di un Tour così impegnativo, quindi si vedeva che erano tutte un po’ preoccupate dalle ultime due tappe.

Quanto si è sentito il fatto che il Tour abbia allungato mediamente tutte le tappe?

Si è sentito parecchio, perché poi c’erano anche dei trasferimenti abbastanza lunghi ed è stato difficile riposare. Eravamo sempre tirati.

Avevate fatto qualche recon sui vari percorsi?

Io ero andata a vedere la tappa della Liegi e quelle olandesi nei giorni fra l’Amstel e la Freccia Vallone. Invece Kasia, con Bradbury e Chabbey, aveva fatto la ricognizione delle ultime tre, quattro tappe. Per questo quando siamo arrivati alla partenza delle ultime, almeno loro sapevano cosa le aspettava. Io per fortuna ho fatto l’Alpe d’Huez solo una volta e mi è bastata. In realtà è una salita bellissima e molto pedalabile. Secondo me il Glandon, che abbiamo fatto prima, è molto più duro. Gli ultimi chilometri sono stati un inferno.

L’arrivo all’Alpe d’Huez: salita gestita con freddezza e grandi gambe
L’arrivo all’Alpe d’Huez: salita gestita con freddezza e grandi gambe
Sapevate che Vollering avrebbe attaccato…

Ne avevamo parlato in riunione e l’avevo immaginato. Un minuto e 15 da recuperare per Demi era tanto, ma anche poco. Ho detto a tutte che se voleva provare, visto che lei non aveva niente da perdere e conoscendo come ha sempre corso, secondo me non avrebbe aspettato l’Alpe d’Huez. Poi quando ho visto che avevano mandato delle compagne in fuga, a maggior ragione ho detto a Kasia che avrebbe provato ad attaccarla sulla prima salita. Sperava che quelle in fuga scollinassero davanti per ritrovarsele nella valle. Perciò la nostra tattica sarebbe stata rimanere con Kasia anche se fossero andate via fughe pericolose. E poi nella valle prima del Glandon avremmo cercato di chiudere più possibile il gap.

Ti aspettavi che Kasia riuscisse a fare una difesa del genere?

Lo speravo e penso che anche lei lo sperasse. Però sapevamo che dall’altra parte c’era una grande campionessa, che ha dimostrato di fare imprese grandiose. Quindi ci speri, ma sai anche che potrebbe non avverarsi. E’ stata brava, lucida mentalmente per tutta la gara. Non si è fatta prendere dalle emozioni e dal fatto che a un certo punto stava per perdere la maglia. Ha fatto quello che doveva fare e c’è riuscita.

Si è un po’ mormorato sul vostro tirare dritto del giorno di Ferragosto quando Vollering in maglia gialla è caduta a 6 chilometri dall’arrivo di Amneville, cosa si può dire? Vi siete accorti che era caduta?

Come ho detto prima, eravamo più che altro focalizzate sullo stare davanti nei momenti pericolosi. Sapevamo che quello era un finale complicato e insieme adatto per Kasia, quasi una classica. Per cui siamo partite per farle un leadout, sperando che riuscisse a fare il podio per prendere gli abbuoni (Niewiadoma è poi arrivata seconda dietro Vas, prendendo 6” di abbuono, ndr). Sapevamo che c’era questa strada grande in discesa e poi delle curve, che abbiamo preso davanti.

Non avete sentito nulla?

Ho sentito della confusione dietro, però in quei momenti fai fatica a girarti e capire cosa stia succedendo. In più davanti c’erano ancora due atlete della SD Worx che giravano a tutta e non mi sono neanche posta il problema che Demi fosse caduta, sennò immagino che si sarebbero rialzate. Quindi abbiamo continuato a fare il nostro treno e solo dopo abbiamo saputo che Demi era caduta e aveva perso secondi. Tanto che Kasia quando è arrivata non sapeva neanche di aver preso la maglia.

Come sono state le serate dopo le tappe?

Ci sono stati alti e bassi, perché abbiamo perduto Elise Chabbey nei primi giorni, che era un’atleta importante per noi sulle salite. Quello è stato un momento negativo. Poi Kasia è caduta, ma per fortuna non si è fatta niente. Anche Chloe (Dygert, ndr) è caduta e pensavamo si fosse fatta peggio di quello che poi è stato. Ci sono sempre quei momenti di tensione che devi saper gestire, però per il resto l’umore era alto. Sapevamo che avremmo dato tutto per arrivare in cima all’ultima tappa senza rimpianti.

E come è stata la sera in cima all’Alpe d’Huez?

Non avevamo programmi, la squadra non aveva voluto programmare niente per scaramanzia. Poi una volta che abbiamo vinto, prima abbiamo festeggiato in bus mentre aspettavamo Kasia, poi lo staff ha organizzato un’apericena in un hotel della zona e abbiamo brindato tutti insieme. E’ stato bello. Poi siccome avevamo l’hotel a Grenoble, dato che alcune ragazze avrebbero avuto il volo il mattino dopo, nel cuore della notte si è fatto anche quell’ultimo trasferimento.

La festa sul pullman e poi in strada quando Niewiadoma è tornata dal protocollo (foto Instagram)
La festa sul pullman e poi in strada quando Niewiadoma è tornata dal protocollo (foto Instagram)
Aiutare Kasia ha significato che tu sei partita sapendo di non avere possibilità personali?

Ce lo avevano detto dall’inizio. Non sarebbe stato impossibile trovare spazio, ma tutto dipendeva da come andava la gara. Però non mi è pesato. Kasia è una ragazza molto onesta e so che se lei dice che ha preparato bene un obiettivo, è davvero lì per vincerlo. Non mi sono neanche preoccupata del fatto che non avessi possibilità di fare del risultato e ne è valsa la pena.

Hai anche dimostrato di essere arrivata nei giorni delle Olimpiadi con la giusta condizione…

Diciamo che è andata così, dai. Non ho ancora sentito Sangalli a proposito di programmi futuri, però mi ha fatto i complimenti per il Tour. Adesso pensiamo a Plouay. Una corsa così una settimana dopo il Tour è un’incognita. Il fisico deve sbloccarsi, quindi può reagire molto bene come pure il contrario. Il percorso mi piace molto, magari riesco a farmi un bel regalo…