Dai rulli di notte alla gioia malese. Colpaccio Malucelli

30.09.2024
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BUTTERWORTH (Malesia) – Manuel Penalver alza le mani. Matteo Malucelli gli arriva appaiato. Alla fine nessuno dei due sprinter è certo della vittoria. Poco dopo, un giudice si avvicina allo spagnolo e gli dice: “You first”. Sei il primo. Penarvel scoppia di gioia e con lui i suoi compagni.

Nella zona d’arrivo le cose sembrano andare diversamente però. I trasponder continuano a dare Malucelli, Penarvel, De Klein. E anche il diesse della Corratec, Francesco Frassi, ce lo conferma: «Alla radio hanno dato subito quest’ordine». E così è. Per il corridore della JCL Team UKYO è l’ottava vittoria stagionale.

Sprint tutto a sinistra: Penarvel esulta, Malucelli lo infila al colpo di reni
Sprint tutto a sinistra: Penarvel esulta, Malucelli lo infila al colpo di reni

Caldo equatoriale

L’umidità che c’è all’equatore è qualcosa d’incredibile. Ci sono 28 gradi ma sembrano 45. Tutti i corridori dopo l’arrivo cercano acqua con cui bagnarsi. A parte Syritsa, vincitore ieri, che invece mangia un coscio di pollo mentre si dirige verso il podio! Sul caldo i corridori hanno scherzato anche in conferenza stampa. E quando Jeff Quenet, responsabile stampa della corsa, ha chiesto a Malucelli se gli piacesse il caldo proprio Syritsa, seduto al suo fianco in quanto leader della corsa, è sbottato in una risata. Come a dire: «Pure il caldo ti va bene!».

Stamattina era emersa subito la proverbiale meticolosità di Malucelli. Dopo aver firmato era tornato ai box per rivedere la ruota posteriore. Qualcosa non gli tornava e alla fine aveva deciso di farsela cambiare.

Boaro gongola

Tappa piattissima e tranquilla tutto sommato. «Ho detto ai miei ragazzi – spiega il diesse della JCL Ukyo, Manuele Boaro – di stare vicini a Malucelli, di portarlo avanti nel finale e lo hanno fatto bene. Non avremo il treno di altre squadre, ma abbiamo un gruppo unito e che crede molto in lui».

E quest’ultima frase detta proprio da Boaro che ha lavorato per grandi capitani conta molto. Un leader che funziona, dà voglia e gambe anche ai suoi compagni.

«Io sono contento per i ragazzi. Si stanno impegnando tutti al massimo e si meritano questi risultati. Sono tutti molto professionali, in particolare Malucelli. Lui davvero è esemplare. E’ un professionista a 360°. Spesso in riunione interviene con spunti interessanti e a me piace anche ascoltare i ragazzi.

«Matteo sta molto bene ed è anche tanto, tanto motivato. Questa è la sua ultima gara della stagione, tra l’altro una delle gare più importanti per noi, pertanto ci teneva molto a fare bene. Correremo anche in Giappone, ma Matteo non ci sarà. Quindi voleva chiudere alla grande».

Boaro è stato in gruppo fino all’altro giorno. Neanche 12 mesi fa era in corsa alla Veneto Classic, per dire quanto sia “fresco di ammiraglia”. E in questo ciclismo che corre veloce un tecnico giovane, che sta sul pezzo, può fare la differenza. Anche solo per il linguaggio adottato.

«Spero che questo aiuti – dice il veneto – io cerco di scherzare molto con loro, visto che sono parecchio sotto pressione. Da parte mia posso dire che i ragazzi mi ascoltano. Seguono ciò che dico, anche se da tecnico ho ancora molto da imparare. Posso solo sperare che una piccola parte di questi successi sia anche mia.

«Stiamo crescendo? Tutti ci impegniamo al massimo. Ma con un general manager come Alberto Volpi, che ha sempre calcato scenari importanti, è normale che sia così e che si voglia sempre migliorare».

I rulli di notte

In effetti davvero Malucelli era, ed è, motivato. Il Langkawi propone tante opportunità per i velocisti e con tre squadre WorldTour al via è una bella vetrina.

Sentite qua cosa ha fatto Matteo prima di venire in Malesia.

«In questo ciclismo nulla va lasciato al caso – ha detto Malucelli – ho curato ogni aspetto, tra cui quello dell’adattamento al fuso orario. Quando veniamo in Asia a correre cominciamo 5-6 giorni prima a sintonizzarci sull’orario che troveremo (qui siamo sei ore avanti rispetto all’Italia, ndr). Quindi tutte le mattine ci svegliamo un’ora prima. Il giorno della nostra partenza, mercoledì, mi sono svegliato alle 3 di notte. Mi svegliavo e facevo i rulli. In questo modo il mio corpo prendeva i ritmi malesi e aveva già iniziato un adattamento. E’ stato un sacrificio… ma ne è valsa la pena. 

«Speravo che questo aspetto potesse fare la differenza, specie nelle prime tappe, quando magari non tutti sono ancora perfettamente in linea con il fuso orario».

«Dire che mi aspettassi questa vittoria no – riprende Malucelli – ma sapevo di stare bene e anche il mio preparatore è rimasto colpito dalla mia voglia di correre e di continuare ad allenarmi a questo punto della stagione e per questo Tour de Langkawi. Il finale di stagione stava andando bene e volevo continuare a stare lì davanti».

Urli strozzati 

E davanti ci è stato. Davanti a tutti: solo che per poter esplodere di gioia Matteo ha dovuto attendere un bel po’. 

«Le volate sono così – va avanti il romagnolo – se questo sprint lo rifacciamo dieci volte, vincono dieci corridori diversi. Io oggi ero al posto giusto, nel momento giusto e ho avuto anche la fortuna che Penalver ha alzato le braccia un attimo prima dell’arrivo. Personalmente, dopo l’esperienza di Pescara al Giro d’Abruzzo, ho imparato che si molla solo un metro dopo la linea d’arrivo. Oggi ho dato il colpo di reni ed è arrivata una vittoria. Chiaramente mi sarebbe piaciuto alzare le mani e festeggiare sul traguardo, ma l’importante è che alla fine sia arrivato primo».

Matteo non è stato il solo a strozzare l’urlo di gioia, ma a conti fatti meglio il suo “non urlo” che quello del giovane spagnolo, caduto poi nella comprensibile delusione. Si potrà consolare col fatto che le occasioni per i velocisti al Langkawi non sono finite a Butterworth. Da dopodomani però… domani si sale.

Le Nimbl per Affini? Leggere, resistenti e su misura

30.09.2024
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Ai piedi di Edoardo Affini, campione europeo a cronometro e doppio bronzo mondiale nella gara individuale e poi nel mixed team relay, c’è un modello particolare di scarpe Nimbl. Un esemplare unico, ne vengono fatte solamente una cinquantina all’anno.

Proprio prima della prova del team relay, valsa il bronzo agli azzurri, abbiamo avuto modo di farci raccontare da Affini come si trova con queste scarpe marchiate Nimbl

Edoardo Affini durante il riscaldamento del mixed team relay a Zurigo 2024
Edoardo Affini durante il riscaldamento del mixed team relay a Zurigo 2024

Due medaglie ai… piedi

Appoggiato sulla poltrona dell’albergo nel quale alloggia la nazionale per questi mondiali di Zurigo Edoardo Affini appare come un gigante buono. Le scarpe nella sua mano sembrano quasi piccole, poi le posiziona sul tavolino e il 45 del cronoman in forza alla Visma Lease a Bike si manifesta in tutta la sua grandezza. 

«Questo – ci spiega, riprendendo la scarpa e girandola tra le mani – è un modello fatto solo sul mio piede, completamente modellato in base alle caratteristiche fisiche e tecniche. Non c’è la tomaia è tutto carbonio e con un velcro che funge da chiusura. E’ stata creata un’aletta per permettere di infilare e sfilare il piede agevolmente. Ma non c’è un sistema di chiusura che va a stringere, non c’è bisogno. Una volta indossate calzano come un guanto. Dopo diverse prove fatte nei due anni in cui le ho utilizzate ho deciso di indossarle senza usare le calze. Il piede rimane stabile all’interno, non si muove. Poi per avere un’aerodinamica ancora maggiore metto il copri scarpe».

Massima prestazione

Queste scarpe, progettate insieme a Nimbl, hanno alla base la ricerca della massima prestazione a cronometro. Una prova nella quale ogni dettaglio fa la differenza e sprigionare ogni singolo watt sui pedali è fondamentale.

«In accordo con Nimbl – continua – abbiamo sviluppato questo modello proprio per le cronometro. Sono un modello totalmente chiuso, senza fori o aerazione. Perfette per un discorso di aerodinamica. In uno sforzo come quello delle prove contro il tempo, dove si passa da 15-20 minuti a massimo un’ora, sono l’ideale.

«La spinta sui pedali – conferma Affini – è eccellente, questo è dovuto al fatto che la suola è presa dal calco che Nimbl ha fatto direttamente sul mio piede. Di conseguenza prende la forma della pianta e segue la mia fisionomia. Non servono solette, a livello di sensazione è come se fossi direttamente sul pedale. Lo spessore è quello del foglio di carbonio usato nella realizzazione del modello».

Edoardo Affini dopo tante prove e test le usa senza calze
Edoardo Affini dopo tante prove e test le usa senza calze

150 “strati”

La parola passa a Francesco Sergio, co-fondatore di Nimbl e colui che si è rapportato con Affini e tutti i corridori che utilizzano le scarpe prodotte dalla sua azienda.

«Questo modello in particolare – racconta – è costruito utilizzando 150 tipi diversi di carbonio, tutti orientati in maniera differente. Prima di iniziare a costruire la scarpa, che viene in un primo momento modellata sul calco preso all’atleta, dobbiamo fare alcune considerazioni tecniche. Ovvero, il peso del corridore, la potenza espressa e il tipo di pedalata. La squadra, in questo caso la Visma Lease a Bike, ci fornisce tutti i dati e noi partiamo con la realizzazione delle scarpe su misura».

Un mese di lavoro

«Una volta realizzate si spediscono all’atleta – riprende Francesco Sergio –  che farà un primo test. Si tratta di una pedalata di due o tre ore fatta a ritmi e regimi di gara. Chiaramente serve provarle al massimo della performance per avere un riscontro totale e completo. La prima volta non è mai quella giusta, ma è normale vista la qualità del prodotto finale. Si tratta di fare tante prove, test, pedalate, ecc. Una particolarità è che non si possono fare modifiche sul modello realizzato, quindi ogni volta bisogna mandarle al macero e ripartire da zero con le nuove indicazioni del corridore».

«Poi c’è una particolare attenzione al peso – conclude – perché se si va un 20 per cento sopra il limite programmato la scarpa non mantiene le sue performance. Così come se si ha un peso al di sotto, ciò significa che non tutte le parti sono rigide e pronte a sopportare il carico di potenza, rischiando la deformazione o la rottura. Per avere una scarpa al massimo livello possibile serve curare ogni dettaglio alla perfezione. Ma quando è pronta i risultati si vedono»

EDITORIALE / Blackout totale, ma l’Italia vale più di così

30.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Francesco De Gregori ha disegnato dell’Italia un ritratto più efficace di tanti editoriali, articoli e approfondimenti. Parla di Italia derubata e colpita al cuore. Assassinata dai giornali e dal cemento. L’Italia dimenticata e l’Italia da dimenticare. L’Italia metà dovere e metà fortuna. E anche L’Italia con le bandiere e nuda come sempre. L’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, ma che resiste. Camminando verso il primo espresso del giorno prima di lasciare la Svizzera, che stamattina si è svegliata nuovamente con le strade bagnate, pensiamo che gli stessi versi potrebbero descrivere anche l’Italia del pedale, quella vista ieri e più in genere nei mondiali di Zurigo.

L’Italia derubata dei suoi talenti nel nome dei soldi. Che paga gli errori del passato e le campagne di informazione che ne fanno tuttora un punto debole. L’Italia che si affida all’estro di pochi, coprendo spesso l’incapacità di progettare il futuro. L’Italia con le bandiere quando conviene e con i social quando la vittoria sfugge. E comunque l’Italia che resiste, perché ogni volta che vediamo una maglia azzurra – popolo di tifosi e forse non di sportivi – siamo incapaci di non tifare.

Il primo strappo del circuito preso d’assalto dai tifosi: il percorso di Zurigo era duro e veloce, obbligatorio stare davanti
Il primo strappo del circuito preso d’assalto dai tifosi: il percorso di Zurigo era duro e veloce, obbligatorio stare davanti

Blackout ai meno 65

Il mondiale di ieri ha fotografato un modo di essere e una serie di spiegazioni che non bastano per raccontare come mai i nostri siano spariti dalla corsa negli ultimi 65 chilometri. Forse sono mancate le gambe, come ha detto Bennati. Forse è mancata lucidità, come appare sempre di più ragionandoci sopra. Ma forse è mancata anche la rabbia.

L’obiettivo era correre davanti, restare concentrati per evitare di inseguire. Quando Pogacar ha attaccato, il solo ad accorgersene è stato Bagioli, che è partito seguendo l’istinto, senza rendersi conto di andare incontro a fine sicura. Gliene facciamo una colpa? Andrea arriva da un periodo non facile e avere l’istinto di rispondere a quell’attacco era il segnale di cui forse aveva bisogno. Anche se probabilmente, come tanti gli hanno detto, si è trattato oggettivamente di una mossa suicida.

Non si può puntare più di tanto il dito su Tiberi, portato perché facesse esperienza e non miracoli. Chiaro che le attese fossero elevate almeno quanto il suo distacco al traguardo, ma il primo mondiale e la seconda corsa in linea di stagione sono bocconi da masticare con attenzione. Bennati lo ha portato anche in vista del prossimo mondiale in Rwanda che chiamerà allo scoperto gli uomini dei Giri. Lo stesso Antonio ha ammesso che la Bahrain Victorious vuole fare di lui un uomo da corse a tappe, ma perché escluderlo a priori dalle classiche?

La testa e le gambe

Mathieu Van der Poel ha usato la testa. E al di là dell’aver pensato che Pogacar si stesse suicidando, ha ritenuto più opportuno non seguirlo. Per non finire come lui fuori dai giochi o più in generale per non bruciare le sue chance di centrare una medaglia su un percorso che sembrava escluderlo da ogni gioco. L’olandese è venuto al mondiale con un obiettivo chiaro: conquistare una medaglia. Sapeva che non avrebbe vinto, ma che una medaglia sarebbe stata lo stimolo per prepararsi e stringere i denti. Con quale obiettivo sono venuti gli azzurri a Zurigo?

Bennati ha parlato della volontà di fare una corsa dignitosa per rispetto dei tifosi e dell’Italia. E allora viene da chiedersi se non sarebbe stato più saggio lasciar andare il re del mondo, concedendo ad altri l’onore di inseguirlo e cercando di rimanere nel gruppetto che si è giocato le medaglie alle sue spalle. Ma questo lo fai se davvero stai davanti, concentrato e pronto a entrare nelle azioni. Se sei capace di prendere decisioni, senza che qualcuno te le suggerisca. Perché in una corsa senza radio, non si può aspettare un giro per arrivare al box e avere indicazioni. Per certi versi è davvero sembrato di vedere la corsa degli juniores agli europei di Hasselt, al termine della quale il cittì Salvoldi esplose condannando il loro modo di correre attendista tutto italiano.

Il gruppo alle spalle di Pogacar: il nostro obiettivo poteva essere farne parte?
Il gruppo alle spalle di Pogacar: il nostro obiettivo poteva essere farne parte?

La lezione di Aleotti

Verrebbe da dire, cercando un facile alibi, che i nostri sono talmente poco abituati a correre da leader, che nella prima occasione in cui possono, non sanno come fare. Potrebbe essere una tesi sostenibile, seppure la storia racconti di corridori che nelle rare occasioni di libertà hanno lasciato il segno. Che non significa per forza vincere, ma correre in modo aggressivo, rimarcando la propria presenza.

Ci viene da fare l’esempio dell’unico corridore rimasto fuori dalla selezione azzurra. Non significa necessariamente che avrebbe fatto meglio, il finale non sarebbe cambiato, ma forse ci avrebbe provato. Stiamo parlando di Giovanni Aleotti. La Red Bull-Bora lo ha preso per farne un leader, ma in attesa che diventi grande, lo ha messo accanto ai capitani. Il suo Giro accanto a Martinez e la Vuelta accanto a Roglic sono stati da incorniciare. Eppure in una delle poche corse in cui ha avuto libertà, il Giro di Slovenia, l’emiliano ha vinto. Se vuoi spazio, devi prenderlo quando te lo danno. Altrimenti se lo prende un altro.

Cornegliani, Vitelaru, Mazzone: una foto che sintetizza bene le 14 medaglie di paraciclismo ed handbike a Zurigo
Cornegliani, Vitelaru, Mazzone: una foto che sintetizza bene le 14 medaglie di paraciclismo ed handbike a Zurigo

Un travaso di grinta

Ieri questo non è successo. Sono stati apprezzabili (sia pure tardivi) i tentativi di Ciccone, che forse avrebbe avuto le gambe per restare in quel famoso gruppo alle spalle dell’imprendibile sloveno. Sul percorso così veloce e duro, in cui nessuno è mai riuscito a guadagnare più di pochi spiccioli, i 45 secondi del suo vantaggio erano pesanti come minuti a palate.

Ce ne andiamo da Zurigo con gli occhi pieni di Pogacar e con l’angoscia per la morte di Muriel Furrer. Con le medaglie della crono. L’oro strepitoso di Lorenzo Finn e il bronzo indomito di Elisa Longo Borghini. Con i passaggi a vuoto degli U23 che ricordano quelli dei pro’. E con le belle vittorie e le medaglie del paraciclismo. E forse verrebbe da suggerire alla Federazione di organizzare un ritiro che metta insieme ciclisti, paraciclisti ed handbiker. Forse confrontarsi, ascoltare e capire potrebbe favorire il travaso della grinta che ieri in alcuni potrebbe essere mancata. Perché ne siamo certi: la nostra Italia vale più di così.

L’omaggio di Van der Poel al re di Zurigo (e del mondo)

30.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – Col suo berretto arancione in testa, Mathieu Van der Poel ha salutato i mondiali di Zurigo di ottimo umore. Lo davano tutti così spacciato sull’impegnativo circuito elvetico, che vederlo al terzo posto dietro Pogacar e un altro scalatore come O’Connor dà l’idea di una vera impresa. In proporzione paragonabile a quella dello sloveno nel cogliere l’iride.

«Che cosa ho detto a Tadej – dice Mathieu – dopo che gli ho fatto i complimenti? Gli ho detto che è un pazzo e che non credevo sarebbe arrivato. Ma per me è sempre bello quando il corridore più forte diventa campione del mondo e quest’anno il più forte è lui».

I due sono amici, perlomeno ottimi conoscenti. Fece scalpore la dichiarazione, vinta l’Amstel Gold Race del 2023, in cui lo sloveno ringraziava l’olandese per avergli indicato il punto in cui attaccare. Nulla di disdicevole, tantopiù che pochi giorni prima, al Fiandre, Pogacar lo aveva stracciato senza troppi complimenti. Van der Poel era lì quando Pogacar ha attaccato. Eppure, nonostante lo conosca così bene, ha pensato che l’altro fosse davvero impazzito.

L’iridato uscente al foglio firma: un saluto al pubblico e poi di nuovo nella mischia
L’iridato uscente al foglio firma: un saluto al pubblico e poi di nuovo nella mischia
Che cosa hai pensato?

Che non fosse il momento giusto, che fosse un attacco dettato dal panico, invece lui ha provato nuovamente quanto è forte. Dopo la sua vittoria del Fiandre dissi che era cominciata l’era di Pogacar, ora inizio a pensare che durerà a lungo (sorride, ndr).

Nel momento del suo attacco, sei stato inquadrato mentre parlavi con Evenepoel. Che cosa vi siete detti?

GlI ho detto che Tadej stava buttando via l’occasione di vincere il mondiale. Pensavo che lo avremmo ripreso e lui si sarebbe bruciato, ma mi sbagliavo.

Dicevano tutti che il percorso fosse troppo duro per te…

Invece ho fatto una buona preparazione e ho tirato fuori la miglior performance di sempre in salita. Posso essere molto contento di questo terzo posto, sono molto soddisfatto. Ma penso che quest’anno Pogacar sia più forte che mai e dopo la stagione che ha fatto merita di aver vinto. Penso che sarà un bel campione del mondo da seguire in ogni corsa che farà.

Van der Poel ha lottato per una medaglia, mostrando grossi passi avanti in salita
Van der Poel ha lottato per una medaglia, mostrando grossi passi avanti in salita
Terzo su questo percorso significa che puoi puntare anche a classiche più dure?

Questa è la mia idea e non è per caso che abbia provato a dimagrire di un po’. Non mi vedo a fare classifica nelle corse a tappe, mentre in futuro potrei mettere nel mirino la Liegi oppure il Lombardia. Intanto nel prossimo weekend farò il mondiale gravel, sul resto e sul fatto che arriverò al Lombardia ci sono solo voci e non so chi le abbia messe in giro.

Tadej è partito e non hai provato ad andargli dietro: perché?

Ero molto concentrato sul prendere una medaglia, facendo quindi la mia corsa. L’ho visto partire e da quel momento l’obiettivo è diventato salvare più energie possibili. Non pensavo che fosse in controllo, credevo più in un grosso rischio. Credevo che il Belgio avrebbe chiuso il gap e che avremmo potuto giocarcela ancora. Ho visto il distacco scendere fino a 36 secondi e abbiamo pensato tutti che la sua fuga fosse finita. Invece ha accelerato ed è tornato a 45 secondi. In ogni caso non rispondere è stata la scelta vincente.

Alla fine il terzo posto lo premia e gli fa capire di avere magine anche in classiche più impegnative
Alla fine il terzo posto lo premia e gli fa capire di avere magine anche in classiche più impegnative
Credi davvero che sarà un buon campione del mondo?

Ne sono certo, saprà cosa fare. Io mi sono divertito a portare la maglia iridata anche per più di un anno. Non dimenticherò mai il tempo da campione del mondo. Sarà per sempre un ricordo della mia carriera. Così come lo sarà questa corsa. Credevo fosse partito con l’ossessione della vittoria in corso, invece semplicemente aveva ancora tanto da dare.

Uno scatto a ruota di Pogacar: le fatiche (atroci) di Bagioli

30.09.2024
4 min
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ZURIGO (Svizzera) – La maglia verde della Slovenia e il ciuffo di capelli che esce dal casco che celebra la doppietta Giro-Tour. Pogacar accende le danze quando i chilometri al traguardo avevano ancora tre cifre: 100. Sulla salita di Witikon arriva l’affondo del fuoriclasse di casa UAE Team Emirates. Gli prende la ruota Quinn Simmons, l’americano con il barbone folto e due gambe massicce. La terza figura nella foto di apertura, che si intravede appena, è quella di Andrea Bagioli, che a differenza dello yankee ha il volto pulito e qualche chilo in meno: dodici per l’esattezza. Il buco tra la coppia formata da Pogacar e Simmons è di 30 metri, così il nostro portacolori ci si fionda. Per un momento sembra l’azione giusta, in cui la corsa prende una direzione chiara, con l’Italia che ha colto il momento perfetto. 

Bagioli prima del via da Winterthur con alle spalle il suo fan club
Bagioli prima del via da Winterthur con alle spalle il suo fan club

Tempismo giusto

La tempistica di Bagioli è corretta, le gambe sembrano reggere, anche se la bocca è spalancata a cercare ossigeno. Ma più di così i polmoni del valtellinese non ne riescono a immagazzinare, i muscoli allora cedono e un metro diventano presto due, poi tre e infine una voragine. Dopo questo sforzo brutale il numero 34 dell’Italia finisce al pullman anzitempo. Noi lo aspettiamo sotto, ma le forze spese sono tante, Bagioli ha bisogno di riposo. Esce solamente dopo la riunione con Bennati, più di un’ora dopo il nostro arrivo. 

«In teoria – spiega il corridore della Lidl-Trekero uno di quelli che doveva muoversi un po’ più verso la fine, però quando scatta uno come Pogacar si segue sempre. Sentivo di stare veramente bene, mi sono detto “ci provo” però il ritmo che stava facendo era veramente troppo alto. Non tanto per la salita ma quando la strada spianava, non mi faceva recuperare. E alla fine sono saltato completamente».

Pogacar attacca, alle sue spalle si muove Quinn Simmons, a breve chiuderà Bagioli
Pogacar attacca, alle sue spalle si muove Quinn Simmons, a breve chiuderà Bagioli
Hai speso troppo nel chiudere quel buco di 30 metri?

E’ stato faticoso. Però siccome ho un buono spunto veloce non ho sofferto tantissimo. Infatti mi sento di dire che l’ho chiuso abbastanza velocemente. 

Poi Simmons, che era in seconda posizione nel terzetto, ha mollato praticamente subito. 

Ha lasciato altri metri da chiudere e non mi ha dato una mano, ecco. Poi, come ho detto, quando spianava io speravo che Pogacar mollasse un attimo, così da riuscire a respirare. Invece spingeva sempre a gran ritmo. 

Si vedeva fossi “a tutta” con la bocca spalancata nel cercare aria. 

Ero al limite, avevo male ovunque: alle braccia, alle gambe. Insomma, mi bruciava tutto il corpo dallo sforzo. Ero al limite.

Dopo lo sforzo il valtellinese ha mollato il colpo, uno sforzo incredibile
Dopo lo sforzo il valtellinese ha mollato il colpo, uno sforzo incredibile
Sei riuscito a guardare i dati?

No, al momento niente (sorride, ndr) guarderò il file a casa per vedere che numeri ho fatto.  

L’impressione?

Sicuramente avrò fatto un record su 5 minuti, probabilmente intorno ai 500 watt.

Quando siete scollinati, nella zona del rifornimento fisso, abbiamo avuto l’impressione che il peggio fosse passato.  

Ero a tutta anche lì, nell’agguantare la borraccia dal massaggiatore e ho perso un metro, sono rimasto al vento e niente. E’ andato. 

Ti è mancato proprio quel metro di scollinamento, perché poi lì iniziava una parte favorevole, giusto?

La strada iniziava a scendere, però c’è da dire che dopo ci sarebbe stata un’altra salita, quindi sicuramente avrebbe ancora spinto a tutta e mi sarei staccato lì.

Bagioli recuperate le energie scende dal bus e ci racconta com’è andata
Bagioli recuperate le energie scende dal bus e ci racconta com’è andata
Com’è provare a stare dietro a Pogacar e vederlo sereno?

In un certo senso è brutto, però penso che ci siamo abituati tutti da un po’. Non è la prima volta che fa questi numeri quindi non possiamo farci niente, è un gradino sopra tutti e chapeau a lui.

Cosa ti faceva più male? Le gambe? La testa nel pensare che quel momento non finisse più?

Riuscivo a pensare solamente al mal di gambe, l’acido lattico che circola e a nient’altro. Punti a stare con lui il più possibile, sperando che molli un pochino il colpo. Invece quasi aumenta. E’ stato un tentativo buono, ne ho parlato anche con Bennati, quando parte Pogacar è sempre un’ottima cosa seguirlo. Se ci ho provato e sono rimasto lì vuol dire che le gambe sono buone, è un segnale che fa sperare per le prossime gare in Italia, questo è sicuro.

Attacco a 100 dall’arrivo e Pogacar diventa campione del mondo

29.09.2024
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ZURIGO (Svizzera) – E’ persino divertente sentire Tadej Pogacar definire «una mossa stupida» il suo attacco a 100 chilometri dall’arrivo del mondiale. Oggi abbiamo assistito a una di quelle imprese che i cantori di una volta avrebbero consegnato alla storia. Noi siamo qui allibiti davanti a un capolavoro come non ne abbiamo mai visti nei 28 mondiali seguiti finora. Cercando le parole per unire l’oggettività del gesto con il nostro stupore e seguire le orme dei nostri più illustri predecessori.

Tadej Pogacar è il nuovo campione del mondo. Ha fatto esattamente quello che Diego Ulissi aveva anticipato nell’intervista pubblicata stamattina. Se vede che qualcuno cerca di incastrarlo, questo il senso delle sue parole, Tadej attacca anche se manca tantissimo. Detto e fatto. Nella conferenza stampa in cui commentava soddisfatto il suo bronzo, Mathieu Van der Poel ha definito l’attacco di Pogacar come dettato dal panico. Lui ascolta divertito e stanco. Ha la maglia iridata che rende luminosi i contorni e il medaglione d’oro attorno al collo.

«Non era paura – dice – è stata davvero una mossa stupida. Ma a volte le mosse stupide danno grandi risultati. Non lo decidi, arriva il momento che sei stupido e lo fai. Ma quando ne fai una e poi vinci, all’improvviso non sembra più così stupida. Per impedirmi di partire avrebbero dovuto spararmi un proiettile in un ginocchio e poi uno nell’altro, ma ormai era tardi. E mi sono ritrovato in fuga a 100 chilometri dall’arrivo…».

Macchina Tratnik

Solo nella terra di nessuno alle spalle della fuga, Pogacar ha trovato Tratnik ad aspettarlo. Se non fosse che Tadej lo ha appena negato, ci sarebbe da pensare che la presenza di Jan in quella fuga sia stata organizzata prevedendo l’assalto.

«Tratnik è una macchina – dice – ha tirato fortissimo. Era lì perché era in fuga, ma quando ci siamo ritrovati insieme, mi ha motivato tantissimo. Quando sono rientrato sulla prima fuga, non c’è stato modo di comunicare più di tanto. Sapevamo di dover tirare dritto, perché dietro il Belgio stava lavorando forte. Per cui siamo passati e abbiamo proseguito. Tratnik mi ha lasciato quando mancava ancora tanto e a quel punto ho gestito tutto con la mia testa. Poi ho trovato Sivakov. Io avevo bisogno di lui e lui aveva bisogno di me per provare a conquistare una medaglia. Mi dispiace che non ci sia riuscito, perché è andato fortissimo. Però ammetto che è bene trovarsi in fuga con degli amici».

Le montagne russe

La giornata è cominciata con un siparietto svelato dalla sua Urska, verso cui dopo l’arrivo Pogacar ha corso scansando fotografi e addetti ai lavori. Ha raccontato di averlo dovuto svegliare, tanto dormiva profumatamente. Tadej sorride, incuriosito per il fatto che la notizia sia venuta fuori.

«La verità – racconta – è che dovevamo svegliarci molto presto e io non sono il tipo che lo fa spesso. Per questo avevo puntato la sveglia, ma quando ha suonato l’ho spenta e mi sono rimesso a dormire. Così c’è voluta lei per tirarmi giù dal letto. Se non altro dimostra che non ero nervoso (sorride, ndr). Ero più provato dopo l’arrivo – aggiunge – e anche adesso, perché mi sembra di essere sulle montagne russe. L’ultimo chilometro è stato pazzesco. Il traguardo è stato pazzesco. E quando ho visto Urska è stato così emozionante che mi è venuto da piangere».

Nell’abbraccio con la compagna Urska, Pogacar ha sfogato le sue emozioni fortissime
Nell’abbraccio con la compagna Urska, Pogacar ha sfogato le sue emozioni fortissime

Un vantaggio rassicurante

Ha gestito il vantaggio con la precisione di chi sa esattamente cosa stia succedendo alle sue spalle. Il margine saliva e scendeva. Mai oltre il minuto, mai sotto i 33 secondi del distacco minimo. Lui davanti intanto girava le gambe su una frequenza molto elevata, mentre gli altri dietro erano piantati su rapporti troppo lunghi e la prevedibile mancanza di coesione che nella maggiorparte dei casi fa la fortuna di chi attacca. Soprattutto se davanti c’è uno così forte.

«Avevo buone informazioni sui distacchi – spiega – grazie alla moto che ogni due chilometri circa mi davano i vantaggi. E poi grazie all’ammiraglia, cui chiedevo come stesse andando. E quando dopo 240 chilometri sai che dietro sono stanchi, allora 35 secondi non sono più un margine così piccolo. Quando ho visto che in cima all’ultima salita quello era il vantaggio, mi sono buttato giù per guadagnarne ancora, sapendo che nel tratto di pianura sarebbe stata dura, essendo ormai completamente vuoto. Non mi sono arreso e la squadra ha fatto un ottimo lavoro. E’ un peccato che corriamo insieme solo poche volte all’anno, perché ogni volta si crea un grande gruppo con una grande coesione».

I sogni di bambino

L’arrivo è stato una serie di gesti che ricorderà per sempre. Ci ha messo un po’ per capire la portata della sua impresa. E’ passato dal soffiare via l’ultima fatica all’incredulità. E solo dopo aver passato la riga, la sua gioia è esplosa in un paio di urli che arrivavano dalle viscere e dalla sua storia di bambino.

«Sin da piccolo – ammette – sognavo di conquistare questa maglia e di vincere il Tour. Negli ultimi due o tre anni sono sempre stato preso dalla caccia alla maglia gialla o al Giro d’Italia e non ho mai potuto preparare il mondiale. Invece quest’anno era tutto perfetto. Ho potuto fare la giusta preparazione, il percorso era giusto per me. Ugualmente avevo paura di tutti là dietro. Per questo all’inizio dell’ultimo giro ho pensato di risparmiare un po’ di forze, ma obiettivamente era difficile. Lo strappo dopo l’arrivo ha richiesto una fatica brutale, ma alla fine è andata bene. E adesso non vedo l’ora di fare la prossima corsa, perché potrò mostrare questa maglia bellissima».

Tributo a Muriel

Ricorda di aver provato una fuga del genere anche a Imola 2020, quando rimase allo scoperto ugualmente a lungo, volendo e dovendo preparare l’attacco di Roglic cui aveva appena portato via la maglia gialla del Tour. Ma la serata è destinata a concludersi ancora con gli occhi lucidi, quando il discorso si sposta su Muriel Furrer. Quasi a sottolineare che è ingiusto esultare così tanto per una vittoria davanti a una ragazza che ha perso la vita facendo il suo stesso sport.

«E’ stata una settimana dura per tutti – dice Pogacar – e sulla linea di partenza ieri e anche oggi tutti abbiamo corso pensando a lei e omaggiandola con la nostra fatica. E’ difficile dire che cosa si potrebbe cambiare. Il ciclismo è questo, è uno sport pericoloso, ma sul web scopriamo che succede ormai troppe volte. Dobbiamo stare attenti. Prenderci cura gli uni degli altri. Serve rispetto quando corriamo. Il mondo del ciclismo è piccolo ed è una famiglia, per questo mando il mio abbraccio ai suoi cari e a quanti le hanno voluto bene».

Le ultime parole escono a fatica. Immaginiamo che la serata andrà avanti nel segno di una grande festa slovena, ma il tributo alla vita spezzata di Muriel Furrer è un altro gesto da campione. Il fatto che per la seconda volta oggi Pogacar abbia pianto ne ha mostrato un lato che i rivali, vedendolo sparire davanti a sé a 100 chilometri dall’arrivo, non avrebbero neppure immaginato. Speriamo con le nostre parole di avergli reso il giusto merito.

L’Italia esce presto di scena: parlano gli azzurri

29.09.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – Il tempo trascorso sotto al pullman degli azzurri, in attesa di parlare con loro, scorre lento. Da alto in cielo, il sole scende dietro gli alberi e ne allunga le ombre sui volti dei nostri corridori. La giornata si prevedeva dura ed estremamente lunga, Tadej Pogacar l’ha complicata ancora di più con un’azione che ricorderemo per anni. Quando a 100 chilometri dall’arrivo è partito tutto solo staccando gli avversari e il gruppo si è pensato ad una mossa azzardata. Invece lo sloveno ha trovato sulla sua strada Jan Tratnik, che lo ha preso e scortato sulla fuga. Poi, una volta fatti saltare i compagni di una breve avventura sul muro di Bergstrasse è partito il suo viaggio del quale ha fatto parte Pavel Sivakov, anche lui, però, è rimasto agganciato al treno poco tempo. 

Cattaneo arriva distrutto, è stato il primo degli azzurri a muoversi. Un abbraccio di Lello Ferrara gli fa tornare il sorriso
Cattaneo arriva distrutto, è stato il primo degli azzurri a muoversi

Cattaneo anticipa, Pogacar pure

Nel gruppetto raggiunto da Pogacar, quando di giri all’arrivo ne mancavano ancora quattro, c’era Mattia Cattaneo. Lui si era aggregato ad altri otto corridori e insieme avevano accumulato un vantaggio massimo di tre minuti sui favoriti. E’ bastata un’azione del fuoriclasse del UAE Team Emirates per abbassare notevolmente il divario e creare scompiglio in corsa. 

«Quando sono uscito dal gruppo – spiega Cattaneo con gli occhiali quadrati che contornano due occhi provati dalla fatica – è stato l’unico momento in cui fosse possibile provarci perché poi siamo andati tutto il giorno a tutta. Ci abbiamo provato però credo che oggi non si potesse fare molto onestamente. Quando ho visto rientrare Pogacar ho pensato che la corsa sarebbe già finita da lì a breve. Sullo strappo di inizio circuito ho provato a tenere il mio ritmo, seguirlo, anche solo per un centinaio di metri avrebbe significato solo una cosa: saltare. Poi è rientrato anche il gruppo di Evenepoel, che era tutta per provare a chiudere, insomma la corsa era già praticamente chiusa. Ci sono stati scatti e contro scatti con Ciccone che è riuscito ad avvantaggiarsi un po’. Non credo che se ci avesse ripreso in un altro momento sarebbe andata diversamente, l’unica cosa sarebbe stata se non ci fosse stato in corsa Pogacar».

Giulio Ciccone è stato l’ultimo a mollare il colpo
Giulio Ciccone è stato l’ultimo a mollare il colpo

Ciccone: l’ultimo a mollare

La testa di Ciccone, coperta dal casco rosso della Lidl-Trek, ondeggiava nel gruppo alle spalle di Pogacar. L’abruzzese ieri ci aveva confidato di stare bene, infatti è stato l’ultimo degli azzurri a gettare la spugna. Ha provato a portare via un gruppetto per rianimare una corsa che altrimenti, come poi è successo, sarebbe finita. 

«Oggi – spiega Ciccone mentre carica le valigie sul van della nazionale – noi non eravamo i favoriti, avevamo una strategia in mente, ovvero provare ad anticipare. Il problema è che la gara è esplosa veramente da lontano, in breve tempo il nostro anticipare è diventato un provare ad inseguire. A un certo punto quando Pogacar era davanti ho provato un paio di volte a formare un gruppettino, poi in quella fase ero rimasto solo quindi quando ci sono stati altri contrattacchi nella parte in pianura ho fatto un po’ di fatica a chiudere. Alla fine lì, sopra i 200 chilometri, è un attimo pagare.

«C’è un po’ di dispiacere – riprende subito – perché non è andata come speravamo, però è anche vero che con una gara così folle e bizzarra come è venuta fuori di più non si poteva fare. In questo ciclismo moderno sappiamo che la gara parte molto da lontano, però un attacco così da parte di Pogacar, a 100 chilometri fa esplodere la corsa. E dal provare ad anticipare ci siamo trovati con dei gruppetti e così facendo ognuno è rimasto dov’era e con le proprie gambe».

Le riflessioni di Tiberi

Antonio Tiberi era la punta di questa nazionale, la sua prestazione non è stata all’altezza delle aspettative,  ma al primo mondiale elite c’è spazio per imparare e capire come migliorare e dove. Il ciociaro si avvicina e racconta con grande lucidità. 

«E’ stata un’esperienza veramente dura, impegnativa – dice – fare una gara di un giorno è sempre una fatica un po’ diversa dal solito. Ci sono degli sforzi che non si fanno abitualmente nelle corse a tappe, poi in un mondiale dove tutto ciò si amplifica è veramente dura. La prima gara di un giorno che avevo disputato quest’anno è stata la Liegi. Il mondiale, invece, la seconda. Con Pogacar mi ero confrontato al Giro ma è diverso. Innanzitutto cambia la distanza, difficilmente quest’anno ho corso oltre i 200 chilometri (il mondiale di oggi è stata la settima gara in cui Tiberi ha superato questa distanza, ndr). L’anno prossimo vorrei aggiungere qualche corsa di un giorno in più e togliere qualche gara a tappe. Questo anche per non esagerare troppo con sforzi di quel genere. Si tratta anche di un discorso di forza, nonostante tutto in un Giro d’Italia serve tanta esplosività. Cambiare un po’ il calendario potrà aiutarmi sotto questo aspetto». 

Amarezza Bennati: «Non abbiamo fatto una corsa dignitosa»

29.09.2024
5 min
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ZURIGO (Svizzera) – Difficile trovare qualcosa da dire su un mondiale in cui le maglie azzurre sono rimaste puntini inquadrati da lontano e sempre nelle retrovie. Tre volte qualcuno si è affacciato alla finestra. Cattaneo, entrando in una bella fuga. Bagioli, rispondendo a Pogacar e sacrificando in quel gesto ogni chance residua. Ciccone, con due tentativi di allungo. Poi, quando mancavano corca 65 chilometri all’arrivo, dei nostri si sono perse le notizie. Bennati parla ai piedi del pullman Vittoria che accoglie gli azzurri al traguardo. E’ appena salito e ne è sceso dopo pochi minuti, non è riuscito certo ad approfondire con tutti il perché di questa prestazione. Per cui parla con il freno tirato, anche se c’è persino poco da dire.

«In macchina non abbiamo quasi visto niente – dice Bennati – faccio fatica a dare una valutazione su alcune situazioni di gara. Però credo che in certi momenti sia solamente una questione di gambe. Se nel gruppo alle spalle di Pogacar poteva esserci uno dei nostri? Magari qualcuno sì, ma c’è poco da girarci intorno, nel senso che quando non hai le gambe puoi fare solo quello che siamo riusciti a fare oggi».

Cattaneo si è infilato in una bella fuga, anche se i primi a muoversi dovevano essere Zana e Rota
Cattaneo si è infilato in una bella fuga, anche se i primi a muoversi dovevano essere Zana e Rota
Tu ti aspettavi qualcosa di più?

Ovviamente sì. Non si partiva con l’intenzione di spaccare il mondo, questo penso che sia sacrosanto. Però mi aspettavo di fare una gara sicuramente più dignitosa. Non per me, ma per i tifosi, per l’Italia. Noi qui siamo l’Italia! Poi ovviamente qualcuno ha fatto bene. Cattaneo. Lo stesso Bagioli ha fatto un’azione un po’ scellerata. Ha fatto un grande fuorigiri. A quel punto poteva sperare di arrivare il più lontano possibile, ma io non ho parlato con nessuno. Parlo prima con voi che con i corridori, non sarebbe giusto esprimere altre valutazioni.

C’era una consegna di seguire Pogacar a uomo? Toccava a Bagioli seguirlo?

Anche qui le parole le porta via il vento. Nel senso che quando si muove Pogacar, al mondo non c’è nessuno che riesce a stargli dietro. Lo hanno dimostrato quelli che ci hanno provato per pochi chilometri o per pochi metri. Non c’è nessuno al mondo che può stare con Pogacar, quindi ai miei corridori non ho consigliato di andargli dietro. L’obiettivo era quello di fare una gara dignitosa e se c’erano le possibilità di anticipare. Cattaneo si è infilato in una buona azione. Sulla carta, i primi due che dovevano muoversi erano Zana e Rota. Zana purtroppo ha avuto un problema meccanico. Abbiamo cambiato la ruota e ha dovuto inseguire per mezzo giro e ovviamente non poteva essere in quell’azione. Sto parlando per quel poco che sono riuscito a vedere, però ovviamente in termini di prestazione c’è poco da dire.

Bennati con Frigo, ragionando con la riserva azzurra dopo la corsa
Bennati con Frigo, ragionando con la riserva azzurra dopo la corsa
Infatti quello che ha colpito è stato non vedere più l’Italia negli ultimi 65 chilometri del mondiale.

Ovviamente sapevamo che Pogacar, Evenepoel e Van Der Poel sono di un altro livello. Evidentemente però dobbiamo anche ragionare sul fatto che ci sono anche altri corridori a un livello superiore al nostro. Sto dicendo delle cose a caldo, l’obiettivo era sicuramente di fare una gara molto più dignitosa di quella che è stata fatta. Le giornate no possono capitare. Ovviamente sarò il primo a farmi l’esame di coscienza.

Parli delle tue convocazioni?

In realtà ancora oggi continuo a non vedere una squadra B rispetto a quella che ho selezionato. Non vedo qualcuno lasciato a casa che potesse essere là davanti a giocarsi questo mondiale. Ad oggi questa è la mia opinione. Nei mondiali precedenti, siamo stati di più in corsa. Siamo stati protagonisti, infatti uno degli obiettivi che ci siamo prefissati era che lo fossimo nuovamente, indipendentemente dal risultato.

Quelle di Ciccone sono state le ultime fiammate azzurre nel mondiale di Zurigo
Quelle di Ciccone sono state le ultime fiammate azzurre nel mondiale di Zurigo
L’anno prossimo si vota. Altri tecnici hanno fatto capire con i loro discorsi che la chiusura del triennio è comunque un passaggio importante, come immagini il tuo futuro?

Ho voluto arrivare a questo mondiale facendo il mio lavoro al 110 per cento, con la massima dedizione, come ho fatto dal primo giorno. Da domani si tirerà una linea e poi avrò tempo sicuramente per parlare anche con la Federazione. Non ho ancora parlato del futuro e ragionerò anche su quello che saranno i miei pensieri. Se ci saranno le condizioni, che non sono le condizioni economiche ma le condizioni di progetto, allora si potrebbe anche ragionare di andare avanti.

Non è stato un anno facile per Bennati, a prescindere dalle responsabilità dei singoli. Poco prima di iniziare ad allestire la mini-squadra dei tre che avrebbero corso alle Olimpiadi di Parigi, ha scoperto che non avrebbe potuto convocare Milan né Ganna. Poi gli è stato detto che uno dei tre posti sarebbe stato assegnato a Viviani. Ha fatto buon viso e la sua lealtà alla causa della pista ha fatto sì che Elia potesse vincere la sua medaglia. Avrebbe voluto Ganna agli europei per tirare una grande volata a Milan, forse lo avrebbe voluto anche Jonathan. Ma Pippo ha saltato l’impegno dovendo recuperare per il mondiale e c’è riuscito mirabilmente con due settimane di lavoro. Mentre ad Hasselt, nello sprint che in teoria era solo da vincere, la squadra ha gestito il finale in modo diverso rispetto a quanto si era concordato. Cosa avessero deciso per Zurigo resta nel chiuso del pullman, forse però qualcosa non è andata come avrebbe dovuto. Il resto sarà un raccontare la vittoria di Pogacar, che coprirà tutto e arriverà davvero a breve. Passerà alla storia come il mondiale dei suoi 100 chilometri di fuga e non come quello di Ciccone, primo azzurro al traguardo in 25ª posizione a 6’36” dal vincitore.

Langkawi iniziato nel segno di Syritsa e i ricordi di Scinto

29.09.2024
6 min
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KUAH (Malesia) – «Un’avventura a quei tempi. Ricordo le iguana per strada che a volte ci attraversavano la strada quando uscivamo in allenamento o i varani, quelle lucertolone al mattino in stanza che ci fissavano. Abbiamo persino dovuto firmare una dichiarazione di scarico di responsabilità per un volo interno su un aereo militare… che non ispirava certo sicurezza. Ma fu davvero una bella esperienza». Sono le parole di Luca Scinto che ci tornano in mente prima di partire per la Malesia, alla volta del Tour de Langkawi.

Un’avventura iniziata oggi con la Kuah-Kuah, andata al gigante dell’Astana-Qazaqstan Gleb Syritsa.

Lo sprint di oggi: Syritsa è a destra, Conforti (giunto 3°) a sinistra
Lo sprint di oggi: Syritsa è a destra, Conforti (giunto 3°) a sinistra

Langkawi… a noi

Questo Tour de Langkawi è dunque iniziato oggi e terminerà il 6 ottobre: otto tappe sparse in gran parte della Malesia. Per l’ente turistico nazionale sta diventando una vetrina alquanto importante, così come importanti sono i suoi sponsor: su tutti Petronas. Otto tappe, sei per velocisti, una per scalatori e una intermedia.

«All’epoca, era il 1997 – racconta Scinto – si correva a febbraio. Il Langkawi era ideale per fare la gamba. Il clima era buono e poi l’intero giro era bello lungo: ben 12 tappe. Arrivò un invito e Ferretti, il nostro diesse, ci portò appunto in Malesia. Arrivammo una settimana prima della corsa. Ricordo hotel bellissimi. Lì si era in pieno boom economico e stavano costruendo queste immense strutture. Un gran lusso».

In quella edizione di corridori italiani ce n’erano parecchi, anche Gianni Bugno. Il Tour de Langkawi era giovanissimo, un paio di edizioni, ma si stava aprendo ad un mondo nuovo e il ciclismo stesso iniziava il suo cambiamento. Quel cambiamento che lo ha portato oggi ad essere uno sport globale. 

«A quei tempi bastavano pochi chilometri che i corridori asiatici quasi sparivano del tutto. Davanti era una lotta tra noi europei». Prima di allora quel poco di ciclismo che c’era era tutto locale. Bisogna pensare che il Langkawi fu una vera rivoluzione.

Il primato di Scinto

Quell’anno succede che nella salita simbolo della Malesia, il loro Stelvio potremmo dire, Luca Scinto mette a segno un gran colpo. In quel periodo il toscano va forte… anche in salita.

«Io venivo da un 1996 molto difficile  – racconta Luca – avevo corso pochissimo, 7 forse 8 gare per via di un problema al ginocchio. Per fortuna che avevo il contratto anche per l’anno successivo… Quell’inverno dunque partii molto forte e infatti in Malesia andai bene. Verso Genting Highlands, questa salita simbolo, feci il vuoto. Era una scalata dura e lunga. Gli ultimi 4 chilometri erano al 20 per cento a quasi 2.000 metri di quota. Grazie a quella fuga vinsi la tappa e poi l’intero Langkawi mettendo dietro gente come Jens Voigt.

«Francois Belay, speaker del Tour de France presente laggiù, mi disse che fui il primo europeo a vincere la corsa». Alla fine era la seconda edizione del Langkawi, almeno per come lo conosciamo oggi, ma quella dichiarazione fece colore». Di certo Scinto fu, e chiaramente resta, il primo italiano ad averla vinta.

Quest’anno la salita di Genting Highlands non ci sarà. Il tappone, quasi certamente decisivo, sarà quello della terza frazione, quando il gruppo affronterà le rampe di Cameron Highlands, una sorta di doppia scalata, una sequenza stile Passo Tre Croci e Tre Cime di Lavaredo per intenderci. Ma solo per il profilo: le pendenze sono decisamente meno impegnative. Solo negli ultimi 8 chilometri la salita si fa un po’ più dura. Per il resto il Langkawi resta terreno di caccia per le ruote veloci. Nella quarta tappa c’è una lunga salita in avvio, ma poi solo tanta pianura.

Primi anni 2000 si parte dall’Aquila di Kuah, simbolo dell’isola di Langkawi dove quest’anno è avvenuta la presentazione dei team
Primi anni 2000 si parte dall’Aquila di Kuah, simbolo dell’isola di Langkawi dove quest’anno è avvenuta la presentazione dei team

Che premi!

Negli anni Scinto ha vissuto questa gara anche da tecnico. E pertanto ha avuto anche un altro punto di vista.

«Guardini è il re della Malesia, ci ha vinto moltissime corse e anche Mareczko (che quest’anno è presente, ndr) ha fatto molto belle cose. I ragazzi sono contenti di andare laggiù. Alla fine stanno bene.

«La prima cosa che chiedono è: “Come sono gli hotel? Come si mangia”? Lì gli standard sono buoni. Insomma non è la Cina dove in qualche caso la questione igienica non è al top. Ma poi oggi è tutto diverso. I team e gli hotel stessi sono organizzati, noi mangiavamo quel che trovavamo e lì era tutto molto piccante. Pollo… piccante. Un’altro tipo di carne… piccante. A volte persino il riso era piccante! Niente pasta, ma tante uova. Poche storie e pedalare».

I ragazzi del Li Nang Star, squadra cinese, si cambiano al volo prima di prendere il traghetto per la terra ferma

I ragazzi del Li Nang Star, squadra cinese, si cambiano al volo prima di prendere il traghetto per la terra ferma

«Il Langkawi era generosissimo. Noi della Mg-Technogym vincemmo due tappe, la classifica finale e altri premi: tornammo a casa con un bel gruzzolo a testa. Un gruzzolo che però riuscimmo a riprendere solo grazie agli uffici di Parsani, all’epoca in Mapei, in seguito ad un disguido. Ma vi dico questa, tanto per rendere l’idea delle cifre che giravano. Paolo Bettini era appena passato professionista con noi. Aveva firmato al minimo sindacale che era di 25 milioni di lire l’anno: tornò dal Langkawi con 28 milioni di premi!».

Oggi chiaramente i premi non sono più quelli e le tappe sono anche di meno, d’altra parte con un calendario così fitto è impensabile proporre una gara a tappe di 12 frazioni. Il Langkawi però è una corsa molto sentita in Asia. E di fatto apre al colpo di coda del calendario in questa parte di mondo, visto che poi si corre anche in Giappone e dopo ancora in Cina, con il Taihu Lake prima e il Tour of Guangxi poi, che chiude il WorldTour.