Dainese lancia volata al 2025 (con il coach di Merlier)

05.12.2024
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Cinquantadue giorni di corsa (con una vittoria e sei piazzamenti nei cinque), aperti e chiusi da due cadute con conseguenze ugualmente moleste. Il 2024 di Alberto Dainese non è stato quello che si aspettava, ma analizzandolo lui per primo arriva a conclusioni più simili a punti di domanda che a risposte convincenti. Le cadute hanno condizionato la preparazione? Il dolore al ginocchio dipende dai problemi ai denti? La preparazione di prima andava bene o sarà meglio la nuova? In attesa di partire per la Spagna, gli spunti di riflessione non mancano.

«Ho finito la stagione con l’ennesima caduta – sorride con una punta di sarcasmo – la seconda. Entrambe le volte sono stato fermo per un mese, quindi le ho fatte tutte e due bene. Ho finito presto, ad Amburgo. Ho fatto un mese di fisioterapia, poi ho ripreso in modo blando. Ho anche cambiato preparatore, per cui l’approccio è leggermente diverso e vediamo come andrà. Per adesso tutto bene».

Alberto è di buon umore. La preparazione sembra ben incanalata e da lunedì la squadra sarà in ritiro in Spagna. Sarà l’occasiome di rivedere i vecchi compagni e di scoprire i nuovi. L’arrivo di Alaphilippe, Hirschi ha portato una ventata di nuovo entusiasmo nella squadra svizzera.

L’unica vittoria 2024 di Dainese è venuta alla Région Pays de la Loire Tour
L’unica vittoria 2024 di Dainese è venuta alla Région Pays de la Loire Tour
Perché hai cambiato preparatore, visto che Kurt Bergin-Taylor ti aveva già allenato alla DSM?

Lui adesso si occuperà un po’ più di materiali e aspetti ingegneristici, quindi ha abbandonato qualche corridore. Nel frattempo alla Tudor Pro Cycling è arrivato Erwin Borgonjon, l’ex allenatore di Merlier e ho la fortuna di avere in lui un ottimo di riferimento. Allenava il velocista più forte al mondo, al pari di Milan, quindi credo che qualcosa ne sappia… (sorride, ndr).

Con lui hai cambiato qualcosa di particolare?

Faccio meno ore, diciamo, quindi più lavoro specifico e leggermente diverso per quanto riguarda la preparazione della volata. Corro anche parecchio a piedi, per cui durante la settimana le ore in bici sono minori, a favore di un aumento del lavoro in altre discipline fra palestra e corsa a piedi. Mi trovo abbastanza bene. Non fare troppe ore a settimana mi fa sentire più fresco che in passato, quando applicavo la Mamba Mentality. Non so se seguite il basket, ma l’idea di Kobe Bryant è di fare sempre più di quello che è necessario. Forse va bene per il basket, ma non per il ciclismo, perché arrivavo dagli allenamenti sempre piuttosto finito (ride, ndr).

Pensi che la prima caduta ti abbia condizionato?

Allora, a livello estetico abbastanza, perché sono ancora senza denti e mi chiedono sempre se abbia il labbro leporino. A livello fisico, devo dire che l’unica gara che ho vinto (la terza tappa del Region de la Loyre Tour, ndr) è venuta dopo il primo mese che rimasi fermo. A fine marzo ho fatto due settimane di bici, sono andato a correre e ho vinto. Non so quanto abbia condizionato, ma sicuramente più che la bocca a darmi noia è stato il ginocchio. Non ne venivo più fuori, quindi nel mese prima del Giro facevo poche ore, non facevo palestra e mi mancava lo spunto. Eppure è difficile stabilire quanto tutto questo mi abbia condizionato.

Dainese-Trentin, la coppia italiana del Tudor Pro Cycling Team
Dainese-Trentin, la coppia italiana del Tudor Pro Cycling Team
A parte il fatto estetico, dal punto di vista della masticazione e della biomeccanica qualche strascico c’è stato per forza, no?

Allora, adesso in bocca ho le viti. Un ponte provvisorio di quattro molari e degli incisivi. Non è semplicissimo masticare, perché comunque non posso usare tanto quelli davanti. Quanto al ginocchio destro, non so se il problema fosse dovuto all’impatto o semplicemente al fatto che non sono più tanto dritto in bici. Ci sono due scuole di pensiero. Uno che dice che la postura parte dai denti, l’altro dice che i denti non c’entrano niente. Bisogna solo decidere di chi fidarsi…

Però le gare si analizzano e magari hai vinto la prima corsa perché hai trovato la condizione troppo in fretta e poi non è durata?

Sì, ovviamente. E poi c’è da dire che quest’anno il livello del Giro era devastante. Quindi fare un treno con corridori che non avevano mai corso insieme era già stato difficile nelle prime tappe. Poi Krieger e Mayrhofer sono finiti fuori gara dopo una settimana, quindi mi sono ritrovato con Trentin e Froidevaux ad affiancare la Lidl-Trek che ne aveva sei nell’ultimo chilometro. Prendevamo le volate indietro e alla fine abbiamo fatto il possibile.

Tosatto si mangia le mani per il quarto posto di Padova, in realtà avevi fatto lo stesso piazzamento nella tappa di Napoli…

Il giorno di Padova ero particolarmente in palla, perché avevo i brividi subito dopo la partenza. Passavo sulle strade di casa, quindi sarebbe stato speciale anche se si fosse trattato di una tappa di salita. E’ stata forse l’unica volata che mi sono giocato veramente, oltre a Napoli. Non ho fatto molto al Giro, però quelle due volate sono venute meglio delle altre, quindi dispiace per come ho gestito il finale. Ci sono state variabili che non potevo calcolare, ad esempio il fatto che a Padova Milan non fosse a ruota di Consonni, sennò ero perfetto. Poi si è alzato un vento violentissimo e negli ultimi metri sono rimbalzato indietro. Detto questo, per battere Merlier sarebbe servito che tutti i pianeti si allineassero.

Dainese porta ancora sul volto i segni della caduta di inizio stagione
Dainese porta ancora sul volto i segni della caduta di inizio stagione
Serve anche un po’ di fortuna?

Esatto. Alcune volte l’ho avuta io, altre studi la tattica perfetta e magari un imprevisto inceppa il meccanismo. Le volate sono così. A volte riesci a vincere pur non essendo il più forte, altre ti senti invincibile e non porti a casa niente.

Hai parlato di treno da formare: c’è qualcosa di nuovo per il 2025?

Abbiamo nuovi innesti in squadra che portano esperienza e fra loro indico Haller. Ci sono Alaphilippe e ovviamente Hirschi, ma guardando le volate credo che Haller sarà sicuramente una pedina importante. Non nascondo che per me l’anno non è andato come volevo, ero sempre a rincorrere, ma non è dipeso dalla squadra, quanto piuttosto all’aver dovuto ritrovare la condizione e schivare qualche sfortuna di troppo. Credo che avendo in squadra il francese e lo svizzero, il peso dei risultati sarà diviso su più spalle. Avranno un ruolo centrale in squadra e stare in gruppo con due nomi così sarà davvero diverso. Con loro saremo competitivi nelle classiche e poi anche nelle volate.

Se davvero ci saranno Giro e Tour, cosa sceglierebbe Dainese?

Non l’accoppiata, l’ho fatto in DSM nel 2022 ed è stata un’esperienza traumatica. Io dico sempre che il Giro è quello che preferisco, purtroppo però si corre nel periodo sbagliato, perché io col brutto tempo non mi trovo. Se lo facessero a luglio, non avrei bisogno di guardare altre corse. Se ci fosse davvero la possibilità del Tour, non mi dispiacerebbe tornarci, ma siamo due velocisti e dovremo capire chi darà più garanzie. Vincere una tappa in Francia significherebbe aver vinto in tutti e tre i Grandi Giri.

Alberto Dainese, classe 1998, è professionista dal 2020. E’ alto 1,74 e pesa 70 chili
Alberto Dainese, classe 1998, è professionista dal 2020. E’ alto 1,74 e pesa 70 chili
Com’è dunque la tua relazione con De Kleijn, l’altro velocista?

Sono contento di come vanno le cose fra noi. Non dico che siamo amici, perché tra colleghi non è facile, perché siamo sicuramente amichevoli. Ridiamo e scherziamo, non c’è rivalità, anche se non abbiamo mai corso insieme e lottato per lo stesso traguardo. Lui è un bravo ragazzo, l’anno prossimo compirà 31 anni e come Merlier ha cominciato a vincere tardi. Sono contento quando è con noi in ritiro, anche quando è venuto in altura, ci siamo divertiti.

Visto che hai chiuso presto, l’obiettivo è di partire presto?

Il prima possibile! L’anno scorso mi è piaciuto partire a Mallorca, adesso l’unica incognita è sistemare i denti. Dovrei avere l’appuntamento ai primi di gennaio e dopo un mese potrei cominciare a correre. Per cui l’idea di Mallorca è ancora buona, cercando di riallacciare tutti i fili e fare una bella stagione.

Il pranzo della Liquigas, ritorno alle origini del ciclismo di oggi

05.12.2024
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E’ ormai un decennio che a fine stagione ciclistica i “vecchi” del Team Liquigas si rivedono a un pranzo per confrontarsi, raccontare le reciproche esperienze e lasciarsi andare ai ricordi. Un appuntamento fisso, al quale ogni componente non vuole mai rinunciare, nonostante ci siano ancora impegni e già il telefono è rovente per preparare la nuova stagione. Perché non è un caso se molti di loro sono rimasti nel mondo del ciclismo e sono andati a spargere esperienza in altri team del WorldTour.

Il Team Liquigas ha corso dal 2005 al 2012, poi altri due anni come Cannondale
Il Team Liquigas ha corso dal 2005 al 2012, poi altri due anni come Cannondale

Un gruppo ancora unito

Chi ha fatto una scelta diversa, ma solo sotto certi aspetti è Roberto Amadio, attuale team manager delle squadre nazionali ma per 8 anni alla guida del team, che a questo evento tiene in maniera particolare.

«Abbiamo deciso di rivederci praticamente appena abbiamo chiuso le nostre carriere – spiega – ma è stato un fatto conseguente a tutto quello che avevamo stretto in quegli anni. Infatti sin da subito si era creato un gruppo unito che ci ha portato a rimanere legati negli anni. Nel corso della stagione ci sentiamo spesso, ci messaggiamo, fra chi è nell’ambiente e chi ne è uscito. Quest’anno poi abbiamo deciso di rivederci a Cellatica per andare in visita alla Casa Museo della Fondazione Paolo e Carolina Zani, è stato un momento intenso e carico di ricordi».

Una delle sale della bellissima Casa Museo di Cellatica (foto Mariotti)
Una delle sale della bellissima Casa Museo di Cellatica (foto Mariotti)
Che cos’è che ha reso quell’esperienza così importante, radicata nel tempo?

Io credo che la risposta sia da cercare nel come quell’esperienza è nata. Venne creata una struttura che era alla base del team, fatta di dirigenti e professionisti seri e molto competenti nel loro settore. Per avere tutto al massimo, dal punto di vista meccanico, logistico e non solo. Era stato formato un personale altamente qualificato e quello è fondamentale, perché i corridori vincono e passano, ma la gente che lavora nel team resta. Ed è lì che si è formato il nocciolo duro del team e che era alla base dei successi.

Sembra la ricetta ideale del ciclismo moderno, dove le prestazioni nascono dall’impegno del preparatore, del nutrizionista, dello psicologo…

E’ vero, si può dire che abbiamo precorso i tempi con la nostra esperienza. Ricordo ad esempio che allora venne introdotto proprio dal nostro team il concetto dell’allenamento in quota, allora ancora nessuno lo faceva. L’idea di base era di mettere il corridore nelle condizioni di rendere al 100 per cento. Era un bel gruppo, solido, profondamente legato, infatti in quel decennio che ho trascorso in squadra le persone che facevano parte dello staff erano pressoché le stesse. Questo contribuiva perché si formasse un gruppo di amici per il quale andare alle corse era una festa e questo valeva per gli stessi corridori.

Roberto Amadio con Jonathan Milan, è la festa per il bronzo olimpico del quartetto, una delle perle della sua gestione
Roberto Amadio con Jonathan Milan, è la festa per il bronzo olimpico del quartetto, una delle perle della sua gestione
Quel metodo si è tramandato nel tempo?

Sicuramente e noi, ognuno nel proprio ambito, ognuno nel proprio cammino abbiamo contribuito a diffonderlo. Se guardate bene ci sono tanti aspetti che si rivedono in tutti i team di oggi: la cura del calendario, la crescita graduale di un atleta sia nelle sue prestazioni ma anche a livello umano. Sono cose che oggi sono nella prassi, allora no, era una metodologia in fieri.

Hai cercato di metterla in pratica anche in un ambito completamente diverso come quello della nazionale…

E’ vero, ma è un processo lento, graduale perché parliamo di qualcosa di profondamente differente, non c’è quella quotidianità che vivi in un team, dove anche quando non corri insieme, non sei in ritiro, comunque attraverso il telefono e gli altri strumenti sei collegato. La Federazione è poi un sistema a comparti chiusi, ognuno lavora nel suo ambito con il suo staff, ma io ho pensato che si poteva portare intanto quella mentalità famigliare e al contempo professionale. Il concetto che si fa parte di una squadra unica, a prescindere da quale sia la disciplina in esame. Tutti ne facciamo parte e credo che le soddisfazioni che abbiamo vissuto in molte occasioni, in qualsiasi categoria, siano figlie di quel lavoro comune.

Che atmosfera c’è in quei momenti conviviali?

Sembra che non ci siamo mai lasciati e che torniamo i ragazzi di allora. Poi il tempo passa, c’è chi va in pensione ma viene comunque spesso chiamato in causa, chi invece dopo aver chiuso con il lavoro vuole giustamente dedicarsi ad altro, vedi Dario Mariuzzo e Luigino Moro che sono andati in pensione quest’anno. Così si finisce che chi ha chiuso prende in giro chi invece deve ancora tirare la carretta… E immancabilmente si finisce con il brindisi a suon di «Zigo-Zigo, Zigo-Zigo! Mi no pago, mi no pago! Hey hey hey – Hey hey hey!». Ora lo fanno in tanti team perché lo abbiamo esportato noi, ad esempio Sagan lo aveva inculcato nella Bora Hansgrohe e quando vincono festeggiano con il canto mutuato da noi. Ma è meglio la versione veneta inventata da Dario…

Se riguardi indietro alla tua esperienza in Liquigas quale giorno ti viene in mente come il più felice?

E come si fa a sceglierne uno? Abbiamo vissuto e partecipato a tante vittorie, tante imprese, basti pensare la Vuelta di Nibali, ma anche le vittorie al Tour di Sagan. E’ come se fossero tutte foto ricordo da mettere assieme in un album immaginario, che io custodisco gelosamente nella mia memoria perché quando vinceva uno, vincevamo tutti e ognuno di noi le sente come vittorie proprie.

Omrzel: lo spavento, la ripresa e il 2025 al CTF Victorious

05.12.2024
4 min
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Pensare di veder correre in Italia il vincitore della Parigi-Roubaix juniores ci crea un certo senso di curiosità che ci spinge a voler girare in fretta il calendario al 2025. Tuttavia manca ancora qualche mese alla ripresa delle gare e dei primi appuntamenti di stagione dedicati agli under 23, quindi ci tocca rallentare e aspettare. Facciamo quindi un passo indietro e guardiamo al 2024 di Jakob Omrzel, una stagione a due facce la sua. Nella prima, che arriva fino alla fine di agosto, si contano vittorie e piazzamenti di grande prestigio. Lo sloveno che ha corso nei principali appuntamenti internazionali tra gli juniores era destinato ad un grande finale di stagione. 

Dopo un ritiro e la preparazione per affrontare un settembre caldo e ricco di occasioni tutto si è fermato ai primi chilometri del Giro della Lunigiana, il 4 settembre. Pochi minuti di gara sono bastati per essere coinvolto in una brutta caduta che gli è costata il finale di stagione e una settimana in ospedale a La Spezia. Le condizioni di Omrzel non sono state giudicate tali da potergli garantire il trasferimento in Slovenia fin da subito

L’arrivo della Roubaix juniores con Valjacev a sinistra e Ormzel a destra (foto DirectVelo)
L’arrivo della Roubaix juniores con Valjacev a sinistra e Ormzel a destra (foto DirectVelo)

Lo spavento

La notizia e le immagini dell’incidente ci avevano preoccupato fin da subito, poi però il peggio è passato e Omrzel è riuscito a recuperare e riprendersi totalmente. Anche se di quegli attimi non ricorda nulla.

«E’ stata una caduta devastante – racconta da casa il campioncino sloveno – che non mi ha permesso di correre il finale di stagione. Ma dopo un incidente del genere sono felice di essere ancora in piedi e di poter riprendere la bici. Quando mi sono risvegliato in ospedale avevo completamente perso la memoria, dopo una settimana in osservazione sono tornato a casa, in Slovenia. Ho passato un periodo tranquillo, nel quale non mi sono potuto allenare o andare a scuola. Sono rimasto a casa per riprendermi. I dottori non sapevano bene quando sarei tornato in bicicletta. Non avevo fretta di tornare, anche perché è stato un infortunio parecchio serio. Sono rimasto a casa e ho cercato di recuperare le cose che mi sono perso a scuola».

Jakob Omrzel nel 2024 ha corso con la formazione Adria Mobil Juniors (photors.it)
Jakob Omrzel nel 2024 ha corso con la formazione Adria Mobil Juniors (photors.it)
Quando sei tornato in bici?

Due settimane fa, dopo una quantità incredibile di esami da parte di vari medici. Mi sento molto tranquillo e confido nel fatto di poter ripartire serenamente. I dottori hanno tutto sotto controllo. 

Cosa hai provato nel riprendere a pedalare?

Felicità, tanta. La prima emozione è stata proprio tanta perché dopo due mesi e mezzo mi sono proprio goduto il gusto di una semplice pedalata. Non avevo, e non ho ancora, molta potenza ma al momento non mi importa molto

Lo sloveno è entrato poi nell’orbita del team Cannibal Victorious, il devo team juniore della Bahrain (foto Zoé Soullard/DirectVelo)
Lo sloveno è entrato poi nell’orbita del team Cannibal Victorious, il devo team juniore della Bahrain (foto Zoé Soullard/DirectVelo)
E dal 2025 correrai con il CTF Victorious, come sei entrato in contatto con loro?

Li ho conosciuti un anno fa e siamo rimasti in buoni rapporti. Così come con lo staff della Bahrain Victorious. Nel 2024 ho corso qualche gara con il Cannibal Team (il devo team juniores, ndr). Essere in una formazione di sviluppo mi ha aiuterà parecchio a crescere e migliorare. 

Dal prossimo anno cosa ti aspetti?

Senza l’incidente mi sarei posto degli obiettivi alti, sicuramente. Ma dopo quello che mi è successo non conosco bene il mio stato di salute. Spero di stare bene e di trovare buoni risultati nelle gare internazionali. Vedremo anche come andrà la ripresa. Tra pochi giorni inizieremo il training camp, sarà un primo passo. In realtà con il CTF dovrei stare due stagioni, fino al 2026. 

Omrzel è stato coinvolto in una brutta caduta al Lunigiana che lo ha costretto ad una lenta convalescenza (foto Giro della Lunigiana)
Omrzel è stato coinvolto in una brutta caduta al Lunigiana che lo ha costretto ad una lenta convalescenza (foto Giro della Lunigiana)
Pensi sia un periodo giusto per ambientarti?

Credo di sì. Il salto tra gli under 23 è tosto. Le gare diventano più grandi, lunghe e impegnative. Vincere la Parigi-Roubaix da juniores mi ha reso sicuramente orgoglioso (in apertura il bacio al trofeo, foto Christphe Dague/DirectVelo, ndr), ma tra gli under 23 sarà un’altra cosa. Per la prossima stagione non mi pongo grandi obiettivi, capiremo come sto, sperando nel meglio e nel rientro in gruppo ai miei massimi livelli. Intanto sono felice di essere ripartito.

Con coach Lipski alla radice dell’exploit di Casasola

05.12.2024
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Che cosa c’è dietro i miglioramenti nel cross di Sara Casasola che ormai viaggia stabilmente fra le prime cinque al mondo? Il cambiamento di squadra ha certamente inciso: la Crelan-Corendon, formazione femminile della Alpecin-Deceuninck, fa le cose in grande. Proprio in questi giorni, il gruppo ciclocross della squadra dei fratelli Roodhooft si trova in ritiro in Spagna. Non sono neanche tutti, ma sono comunque più di venti. Si allenano insieme come si fa su strada e ogni mercoledì, quando sono in Belgio, si ritrovano in un grande parco vicino al service course del team e si tirano il collo nel bosco, simulando situazioni di gara sui terreni più disparati.

Come sia cambiato il metodo di lavoro di Casasola ce lo spiega Elliot Lipski, allenatore britannico della squadra, con una laurea in Fisiologia applicata dell’esercizio presso l’Università di Brighton e studi sull’esposizione all’ipossia e gli adattamenti all’allenamento di resistenza. Di lui avevamo già sentito parlare nel 2019 da Samuele Battistella e da Nicola Conci finché ha corso nel team belga. E’ Lipski a seguire la campionessa italiana di ciclocross, anche grazie al buonissimo italiano, che deve a sua moglie e al fatto che viva ormai stabilmente a Lucca.

Alla Alpecin, Elliot (a destra) è diventato responsabile performance del team femminile (foto Facepeeters)
Alla Alpecin, Elliot (a destra) è diventato responsabile performance del team femminile (foto Facepeeters)
Ci racconti come va la collaborazione con Sara Casasola?

Ci siamo conosciuti l’anno scorso, ma abbiamo impostato il lavoro a fine luglio-agosto, quando lei era ancora impegnata su strada, ma doveva iniziare la preparazione per il cross. Si vedeva che avesse delle potenzialità, ma quest’anno si è alzata di livello. Secondo me molto dipende dalla struttura della squadra e dall’opportunità di vivere in Belgio che fa la maggiore differenza. Ogni settimana, di mercoledì si allenano insieme. Il nostro capo Christoph Roodhooft è sempre lì con il mio collega Axel Moens, un altro coach specializzato nel ciclocross. Non sono mai meno di dieci, fra uomini e donne, e questo le ha permesso di lavorare sulla tecnica e sulla competizione, grazie al confronto con gli altri.

Dove si trova questo posto?

E’ una foresta vicino al nostro magazzino e ci sono tutti i tipi di terreno. C’è sabbia, c’è terra, ci sono le scale, si può girare a lungo senza fare sempre lo stesso percorso, si cambia in base all’obiettivo di ogni settimana. La nostra squadra è cresciuta nel ciclocross, 15-18 anni fa faceva solo quello e per questo Christoph conosce ogni angolo di quel bosco.

Ora invece si stanno allenando in Spagna: quali differenze?

Servivano posti un po’ diversi per allenarsi in vista della Coppa del mondo di Oristano, quindi sabbia e scale. In realtà però questo ritiro è una delle poche occasioni per Sara di allenarsi lontano dalla routine delle gare. Ogni settimana si fa un minimo di una gara, ma si arriva anche a tre. E’ capitato di correre lunedì, sabato e domenica. E in questo caso fra le gare si riposa, piuttosto che allenarsi. Questo periodo in Spagna le permetterà di allenarsi anche sul fondo, facendo uscite di 3-4 ore, con tanto di lavori specifici. Non avendo corso in Coppa del mondo a Dublino, è potuta andare in ritiro qualche giorno prima e questo è molto positivo.

Il quarto posto agli europei di Pontevedra ha messo in risalto la nuova consistenza di Casasola
Il quarto posto agli europei di Pontevedra ha messo in risalto la nuova consistenza di Casasola
Dieci giorni in cui alterna i due tipi di bici?

Esatto. La settimana scorsa si è allenata nella corsa a piedi: mezz’ora la mattina e poi dopo pranzo due ore di bici. Il giorno dopo allenamento di tecnica e quello successivo lavoro su strada. Ogni corridore ha il suo programma di lavoro, con degli aspetti da migliorare. Per esempio per lei abbiamo visto che deve lavorare più sulle accelerazioni e i cambi di ritmo, su sforzi di 30 secondi fino a un minuto. Quando abbiamo iniziato a parlare, abbiamo inquadrato come obiettivo il miglioramento dell’esplosività e della tecnica. In più ci siamo dedicati al riscaldamento prima della gara, come farlo e quanto a lungo. Come lavorare nei giorni immediatamente precedenti e anche la nutrizione.

Esiste un protocollo standard di riscaldamento?

Abbiamo un protocollo per ogni tipo di fase. Per quando si deve scaricare, per i lavori alla soglia, ma ovviamente è diverso per ogni corridore. E’ però importante che, definito il protocollo, poi sia sempre quello prima di ogni gara, che sia una prova nazionale o il campionato del mondo. Rimangono uguali anche i tempi di assunzione della nutrizione. Per esempio se prendi un gel 20 minuti prima alla gara, deve essere così sempre. E poi ci sono i dettagli, ad esempio nel riscaldamento abbiamo aggiunto un po’ di bicarbonato, ma parliamo di piccole differenze.

Avete già pensato a come gestire il passaggio fra cross e strada?

Dobbiamo ancora definirlo. La transizione è una fase delicata e si programma in base alla fatica generale, ma ora è ancora presto per pensarci. Sara ha già fatto tante gare, ma la stagione entra nel vivo col periodo di Natale e poi a gennaio, per cui si dovrà valutare alla fine di questo periodo. Comunque abbiamo due approcci, che usiamo per lei, come per le altre ragazze e anche gli uomini. Uno è tirare dritto verso la prima parte della stagione su strada, verso gare come la Strade Bianche e poi le classiche del Belgio che per lei sarebbero adatte. Poi si programma un periodo di stacco e si preparano le gare dell’estate, come lo scorso anno ha fatto Van der Poel. Il secondo prevede subito uno stacco, per rientrare in gara più avanti nella stagione.

Sesta ai mondiali del 2023, Casasola in scia ad Alvarado, ora sua compagna di club
Sesta ai mondiali del 2023, Casasola in scia ad Alvarado, ora sua compagna di club
La stagione di Sara Casaola prevede un picco di forma per i mondiali oppure dovrà essere costante per tutto l’inverno?

Abbiamo concentrato l’attenzione sul periodo di Natale, che è sempre una fase cruciale. L’obiettivo principale per quest’anno è la sua presenza in tutte le principali competizioni, cercando di rimanere costante ad alto livello, senza un momento specifico. Al contrario, uno come Mathieu si focalizza su periodi più brevi.

Come si lavora con Sara?

E’ una bella atleta, molto precisa. Non ha fretta e crede nel processo. Ha capito come voglio fare le cose e ha condiviso il percorso di crescita che abbiamo individuato per lei. Quando è arrivata non ha fatto un test tradizionale per capire il suo valore, ma grazie a Training Peaks e alla valutazione delle gare, abbiamo visto che ha un grande motore e una notevole potenza alla soglia. Abbiamo appena cominciato, ma sono sicuro che il suo meglio debba realmente ancora venire.

Dopo Tonelli anche Zoccarato sbarca alla corte di Basso

05.12.2024
4 min
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Per Samuele Zoccarato, lasciare la  VF Group-Bardiani dopo anni di militanza non è solo un cambio di casacca, ma l’inizio di una nuova fase nella carriera. Il passaggio alla Polti-Kometa , che dal prossimo anno sarà Polti-VisitMalta, promette una grande aria di cambiamento.

Zoccarato si unisce a un gruppo affiatato, con l’obiettivo di portare valore sia nelle fughe che nel lavoro di squadra. Il suo mix di esperienza, spirito di sacrificio e voglia di mettersi in gioco sarà un valore aggiunto per la squadra di Basso e Contador.

Sentiamo dunque come è andata, esattamente come qualche giorno fa abbiamo fatto con Alessandro Tonelli, visto che i due hanno seguito il suo stesso percorso.

Samuele Zoccarato (classe 1998) è un esperto delle fughe e non solo. Lascia il gruppo dei Reverberi dopo 4 stagioni
Zoccarato (classe 1998) è un esperto delle fughe e non solo. Lascia il gruppo dei Reverberi dopo 4 stagioni
Samuele, anche tu, come Tonelli, inizi una nuova avventura dopo tanti anni alla VF Group-Bardiani. Come ti senti?

Sono contento di cambiare. Ci sono sempre nuovi stimoli, nuove metodologie di lavoro e tante novità. Non mi sono mai trovato male con i Reverberi, ma guardo al futuro con ottimismo e curiosità.

Quando e come è nata la trattativa con la Polti-Kometa?

La trattativa è iniziata già dall’anno scorso, anche se non direttamente con la squadra. Mirco Maestri ha sempre parlato bene di me al team e parlava bene a me della squadra. Questo ha aperto un dialogo informale. Ci siamo “accarezzati” in qualche modo…

Chiaro…

Ho firmato il contratto verso agosto, ma c’era già la parola data, e per me quella basta. Quando è arrivata la proposta definitiva sono stato contento. Mi piaceva l’idea di squadra e sapevo che non è una WorldTour, ma è strutturata bene. Oltre a Maestri, conosco bene anche Lonardi, visto che già ci allenavamo spesso insieme.

Sameuele da sempre è un uomo squadra…
Sameuele da sempre è un uomo squadra…
Conoscendo già alcuni compagni è più facile ambientarsi? O al contrario è più difficile perché tendi a stare con loro?

Conoscere persone come Maestri, Lonardi, ma anche Zanatta che era stato diesse alla VF Group-Bardiani, facilita molto le cose. Loro mi danno dritte su come inserirmi e capire le dinamiche della squadra. Ma più di tutti mi vengono in mente le parole di Ivan Basso.

E cosa dicono queste parole?

Che sta a noi nuovi arrivati adattarci senza rompere gli equilibri. L’approccio è quello di imparare il modo di lavorare e di rapportarsi, sia con i compagni che con lo staff. Insomma entrare un po’ in punta di piedi…

Sappiamo che la ricerca dei punti UCI per restare nelle prime 30 è fondamentale. Tu potrai andare all’attacco e a caccia di punti, ma c’è anche un atleta importante come Piganzoli da aiutare. Quale sarà il tuo ruolo?

Non mi hanno ancora dato indicazioni precise, ma per me non c’è problema. Se c’è qualcuno che merita fiducia, sono pronto a lavorare per lui. E’ importante correre da vera squadra: ci si aiuta e si lavora per ottenere il massimo, anche senza il potenziale delle WorldTour: per me se c’è qualcuno che va forte è giusto mettersi a sua disposizione. Magari questa corsa tocca a me darti una mano, la prossima toccherà a qualcun altro.

Il veneto ha aumentato la parte a secco durante questo inverno
Il veneto ha aumentato la parte a secco durante questo inverno
Cosa significa avere un team manager come Ivan Basso? Si percepisce il suo palmares quando parla?

Più che il palmares, si sente il suo spirito imprenditoriale. Portare avanti una squadra è come gestire un’azienda ormai e Ivan sa perfettamente quello che fa, sia con gli sponsor che con l’organizzazione del team. Quando parla, ogni consiglio è oro che cola. Si vede che sa il fatto suo, che è preparato, che s’informa.

Samuele, passiamo ad aspetti più tecnici. Tonelli ci ha detto che ha cambiato preparazione e preparatore. E’ lo stesso anche per te?

Sì, come ha detto anche Alessandro qui si lavora con i coach interni. Ora mi segue Samuel Marangoni, un preparatore con un approccio molto diverso. Prima ero abituato ad allenarmi spesso ad alta intensità, facevo moltissima di quella Z2 di cui avevamo parlato tempo fa. Ricordate quando vi dicevo che tornavo a casa con medie orarie molto alte? Adesso, con lui faccio molte più ore a ritmi più bassi, ma lavoro molto di più anche in palestra. È un metodo che mi permette di gestire meglio le energie, anche se a volte mi “rimprovera” perché tendo ancora a spingere troppo!

Hai già trovato il setup ideale sulla nuova bici?

A grandi linee sì, ma sto valutando di cambiare la sella. Passare da Selle SMP a Prologo è un bel cambio. Ho già provato un modello, la Scratch, ma sono curioso di provare la Nago per vedere se mi si adatta meglio.

Vece in Champions League, prove tecniche da big

04.12.2024
5 min
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Sono serate impegnative per Miriam Vece. Se non è in pista, è in viaggio per l’Europa, per seguire il circo itinerante della Champions League. L’azzurra è andata sempre in crescendo, fino a conquistare il podio nello sprint della terza delle cinque tappe previste, ad Apeldoorn (NED) battendo in semifinale addirittura la campionessa mondiale Finucane.

Miriam è l’unica italiana presente quest’anno nel circuito invernale voluto dall’Uci, un’esperienza alla quale tiene particolarmente per tutto il carico di crescita che si porta dietro.

Il circuito non ha cambiato le sue caratteristiche: «Ogni sera di gara – racconta la ragazza cremasca – abbiamo un torneo di keirin e uno di sprint, si gareggia di più in base a quanto si va avanti in ognuno di questi due. Io ho visto che col passare delle prove vado sempre meglio e la qualità è altissima perché ci sono dentro tutte le migliori del mondo, dalla Finucane in poi. Vale davvero la pena parteciparvi, non solo per l’aspetto economico pur importante».

Per l’azzurra una grande soddisfazione ad Apeldoorn, nel torneo finirà poi terza (foto Uci)
Per l’azzurra una grande soddisfazione ad Apeldoorn, nel torneo finirà poi terza (foto Uci)
E’ seguita?

Tantissimo, almeno in Gran Bretagna e Olanda dove si svolgono le 5 tappe previste. La formula è molto televisiva, con due gare per sesso e per settore (velocità ed endurance) dove ogni sera si lotta al massimo. Non c’è un copione scritto come molti potrebbero pensare rifacendosi a certe serate all’interno delle 6 Giorni, qui è davvero come un mondiale…

Con questo torneo hai ripreso in mano la bici dopo i mondiali, con quali sensazioni?

Ho ripreso con molta calma, a essere sincera perché con la rincorsa alle Olimpiadi, le gare di Parigi, poi i mondiali, ero arrivata prosciugata. Le vacanze sono state un giro di boa, sapendo che tutto quel che era fatto era alle spalle. Ora si ricomincia pensando a Los Angeles 2028 che è tanto lontana nel tempo, quindi considerando che le qualificazioni inizieranno nel 2027 possiamo andarci piano. Per questo ho vissuto un mese di transizione prima della Champions League, usando la bici solo poche volte.

E la forma?

Vedo che sta pian piano arrivando, che mi trovo meglio ad ogni tappa, è un aspetto importante anche considerando l’avvicinamento agli europei che saranno a febbraio. Quello sarà il primo appuntamento che conta, la prima tappa di un cammino di crescita che terminerà in California.

Il tecnico Ivan Quaranta ha sempre creduto in lei e confida di vederla ancora crescere
Il tecnico Ivan Quaranta ha sempre creduto in lei e confida di vederla ancora crescere
L’anno postolimpico è sempre molto particolare, c’è un certo ricambio in ogni disciplina sportiva. Nel tuo caso quanto cambiano le gerarchie?

Io non credo che ci sia un grande ricambio nella velocità femminile, i nomi sono quelli. La maggior parte delle più forti sono tutte giovani, alcune anche più di me. Io penso che in generale non ci saranno grandi cambiamenti in questo quadriennio rispetto a Parigi. Mi piacerebbe però che in questi quattro anni si affacciasse anche qualche giovane italiana, sarebbe l’ideale per fare esperienza e fargliela fare, trasmetterle quel che so.

Torniamo alla Champions League, un torneo un po’ diverso da quelli titolati anche nella gestione della logistica…

Sì, dobbiamo fare tutto da sole. Io imbarco la bici con la loro compagnia, smontandola e rimontandola tutta da sola. Ma non è un caso particolare, perché anche le mie colleghe fanno così, poi per casi specifici c’è comunque qualcuno dell’organizzazione che può dare una mano nell’assetto del mezzo, ma io per ora me la sono cavata da me… Solo britanniche e olandesi, quando corrono in casa, hanno un supporto meccanico.

Miriam è nel cast della Champions League sin dall’edizione del 2021 (foto Dazn)
Miriam è nel cast della Champions League sin dall’edizione del 2021 (foto Dazn)
Tu quindi hai nozioni meccaniche?

Sì, ho imparato ad Aigle, al centro Uci. Non sono certo diventata un’esperta, ma so dove mettere le mani e questo è già abbastanza, come detto per esigenze specifiche possiamo comunque chiedere un supporto.

Finora il torneo che cosa ti sta dando?

La consapevolezza che in questo contesto ci posso stare. Ribadisco, Parigi è stata una bellissima esperienza ma l’ho messa da parte con tutto il suo carico di storicità per essere la prima italiana che si è qualificata nella velocità. Ora però guardo avanti e voglio di più, quelle di Los Angeles saranno Olimpiadi da affrontare con ambizioni molto diverse.

La lombarda ha mostrato buoni progressi anche nel keirin, ma c’è ancora da lavorare
La lombarda ha mostrato buoni progressi anche nel keirin, ma c’è ancora da lavorare
Per il 2025?

Sarà una stagione come le altre, ci credo poco a un anno con meno motivazioni da parte delle big. Io punto alle gare titolate, spero di essere già convocata per la prima tappa di Nations Cup. Sarà un primo obiettivo, qualcosa per cui allenarsi con uno spirito diverso. Ogni occasione sarà buona per ridurre il gap dalle più forti, anche in questa Champions League in alcuni casi sta accadendo.

A tuo avviso è un gap tecnico o fisico? Quaranta a proposito dei maschi è stato chiaro, privilegiando la seconda opzione…

Nel mio caso è un po’ diverso perché in palestra posso aggiungere ben poco, sono già sui miei standard. Invece dal punto di vista tecnico si può fare molto, sia nello sprint ma soprattutto nel keirin. Comunque non devo avere fretta, ma farmi trovare pronta a inizio 2027.

Bartoli, c’è un modo per ridare spessore ai dilettanti?

04.12.2024
5 min
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Quando lo rintracciamo, Michele Bartoli sta guidando verso il centro di Lunata con cui collabora. Il toscano sarà al ritiro della Bahrain Victorious a metà dicembre e oggi, dice, andrà a divertirsi con gli allievi che hanno richiesto il suo intervento. «Sono dei test così – mette le mani avanti – niente di serio. Tanto per fargli capire cosa significa fare ciclismo. Io sono uno che con i giovani va volutamente lento».

Lo abbiamo chiamato per riprendere il discorso fatto con Geremia sul dilettantismo italiano com’era e come invece è diventato. E se il tecnico regionale degli juniores veneti ha citato la sua esperienza con corridori come Nibali e Visconti che vincevano contro gli elite nel 2004, a Bartoli chiediamo come andassero le cose fra il 1989 e il 1992, quando il dilettante era lui e otteneva le sue vittorie più belle.

«Quindi Geremia – inizia Bartoli – sostiene che correre con i più grandi sia una cosa positiva? Sono d’accordo anch’io, assolutamente. L’impegno fisico rimane quello. I tuoi 3-5-12 minuti più o meno rimangono gli stessi come picchi di potenza, non è che correre con gli under 23 o gli elite cambi qualcosa. Cambia invece l’impegno mentale, il dover studiare qualcosa per sopperire alla maggior forza degli altri. E quindi impari prima e di più. L’ho sempre detto, sotto questo aspetto chiudere le categorie è stata una retrocessione. Anche perché poi fanno ricorso ai vari escamotage, con gli juniores che passano professionisti a 18 anni. E a quel punto dove finiscono le tutele dagli sforzi eccessivi?».

La nazionale dilettanti di Stoccarda 1991: età fra 20 e 23 anni. Bartoli il primo da destra: 21 anni.
La nazionale dilettanti di Stoccarda 1991: età fra 20 e 23 anni. Bartoli il primo da destra: 21 anni.
Saresti per ripristinare una categoria di elite e under 23 in cui salga il tasso tecnico oppure per cancellare anche gli under 23?

Quella dei dilettanti, chiamiamola così, è una categoria che è stata svuotata. Effettivamente si fa molta più esperienza facendo corse a tappe in giro per l’Europa. E’ una categoria molto sottostimata perché gli juniores buoni vanno nei devo team (in apertura Davide Stella della Gottardo Giochi Caneva, iridato della pista juniores, che passa nel team di sviluppo della UAE Emirates. Immagine photors.it, ndr). Altri passano professionisti e negli under 23 rimangono buoni atleti, ma con un interesse inferiore. Qualcosa deve essere fatto, non si può far morire una categoria intera in cui comunque corrono tanti atleti.

Secondo te perché si tende ad evitarla?

Io credo che passino così presto per ambizione, senza neanche calcolare troppo vantaggi e svantaggi. Passo professionista, punto e basta. Poi dietro ci sono sviluppi tecnici e altre considerazioni, però il primo pensiero è quello: passare. Capitano anche a me degli juniores che vorrebbero farlo a tutti i costi. Ma dove vogliono andare? Non è quello l’obiettivo. L’obiettivo è trovare una situazione in cui puoi crescere tranquillo, con gente che ti insegni il mestiere. Se passi tanto per passare, che ne sai dell’ambiente in cui ti ritrovi?

Tu sei passato a 22 anni e da dilettante correvi in mezzo a gente ben più grande: secondo te è un modello riproponibile oggi?

Correvo ad esempio contro Walter Brugna, uno dei primi che era rientrato dai professionisti. Le prime due o tre gare feci secondo dietro Alessandro Manzi, che aveva quasi 10 anni più di me. Era faticoso mentalmente perché ti aspettavi sempre un loro attacco e sapevi che quando andavano, ti lasciavano lì. E allora dovevi studiarti qualcosa per stargli dietro. Mi ricordo una corsa ad Arezzo, in un paese di cui non ricordo il nome perché da quelle parti mi sembrano tutti uguali. C’era proprio Brugna e prima dell’arrivo uno strappo ripido.

Alessandro Pinarello è passato pro’ saltando gli U23. Il 2025 sarà il terzo anno da pro’ (photors.it)
Alessandro Pinarello è passato pro’ saltando gli U23. Il 2025 sarà il terzo anno da pro’ (photors.it)
Come andò a finire?

Provai in tutti i modi ad anticiparlo, tanto sapevo che se arrivavo lì con lui, mi staccava. Ero di primo o secondo anno. Le provai tutte, cercai l’accordo con gli altri del gruppetto, per andare via una volta ciascuno. I classici ragionamenti che fai quando ti senti inferiore e che non avrei fatto se avessi corso negli under 23. Perché magari fra i coetanei ero superiore e mi bastava arrivare lì, poi sarei partito e li avrei staccati. E comunque quel giorno Brugna ci fregò lo stesso. Non si riuscì a staccarlo, si prese lo strappo e lui se ne andò e vinse. Sono le dinamiche che sei costretto a mettere in gioco solo quando sei al limite e devi trovare il modo per importi.

Pensi che si debba riorganizzare il ciclismo di quelle età?

La situazione non va bene. Tutti parlano di sforzi troppo grossi e che si è fatto così per salvaguardare i nostri atleti. Ma non sono gli sforzi fisici a danneggiarli, sono gli sforzi mentali. Uno sforzo fisico a 17, 18, 19 anni lo recuperi mangiando e andando a letto: la mattina dopo sei già pronto. Sono le scorie mentali che ti rimangono. Il problema è mandare una squadra di juniores a fare un’ora e mezzo con una salita al massimo un’ora e mezza prima del via della gara.

Poche corse under 23 hanno chilometraggi importanti: Poggiana si ferma a 164,5 (photors.it)
Poche corse U23 hanno chilometraggi importanti: Poggiana si ferma a 164,5 (photors.it)
Gli eccessi gratuiti?

E’ il problema del nostro ciclismo e crea talmente tante scorie che ti rimangono nel cervello e poi pian piano rigetti la fatica. Non ce la fai più, anche involontariamente, soprattutto involontariamente. Non è che lo decidi di non sopportare la fatica, ti succede e la chiudi lì. A meno che non fai certi sforzi da giovanissimo, esordiente o allievo, la fatica non ha mai fatto male a nessuno. Sapete quali sono le componenti dell’allenamento?

Quali?

Le componenti per far crescere gli atleti sono l’allenamento, la vita privata e le gratificazioni. Oggi invece esistono solo gli obiettivi agonistici, tutto il resto non conta più. La vita privata non conta più e le gratificazioni della vita di tutti i giorni sono proibite. Magari inventarono l’under 23 per contrastare altri fenomeni, ma ora che è tutto cambiato fa più danni che vantaggi. Hanno fatto bene anche a liberalizzare l’uso dei rapporti fra gli juniores, ma si deve trovare il modo perché il dilettantismo torni a produrre buoni corridori come un tempo, quando non c’erano alternative.

Orologi, Beking, allenamenti: l’inverno full di Trentin

04.12.2024
4 min
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Non parlate a Matteo Trentin di off-season rilassante, perché potrebbe rispondervi male! Scherzi a parte, il corridore della Tudor Pro Cycling Team ha vissuto settimane molto intense, durante le quali ha ripreso anche gli allenamenti.

Matteo, infatti, è stato impegnatissimo con Beking, l’ormai classico evento benefico del Principato di Monaco che organizza accanto alla moglie Claudia Morandini. Inoltre, si è cimentato in un’esperienza particolare: montare i preziosi orologi Tudor, una richiesta personale nata dalla sua passione e curiosità.

Trentin (classe 1989) alle prese con gli orologi Tudor
Trentin (classe 1989) alle prese con gli orologi Tudor

Precisione Tudor

Vedere un atleta alle prese con orologi di tale valore non è cosa frequente. Trentin racconta: «Come è andata da Tudor? Dovevamo fare delle foto, ma vista la mia passione per gli orologi, ho chiesto di visitare i laboratori. A Le Locle, dove c’è il centro di assemblaggio, ho visto come funziona la manifattura e come avviene l’assemblaggio. È stato incredibile».

Trentin descrive con entusiasmo ogni dettaglio: tutto è super preciso e ordinato, ma ciò che lo ha colpito di più è stato il ruolo dell’uomo. «Ora capisco cosa significa quando dicono che un orologio è preciso – prosegue Matteo – si lavora con microscopi e viti minuscole. I macchinari sembrano usciti da Star Trek, ma alla fine sono le persone a fare la differenza. Ogni operatore è in grado di svolgere tutte le mansioni, ma durante la giornata ciascuno si dedica a un’unica attività. Non è una catena di montaggio vera e propria, ma l’organizzazione e la precisione sono incredibili. Questa flessibilità pur dovendo produrre la massima precisione mi ha davvero colpito. Al contrario mi sarei aspettato una specializzazione assoluta. Flessibilità e precisione, un binomio perfetto ma non scontato».

Trentin, sempre con il sorriso, confida: «Alcune cose non posso rivelarle, sono top secret! Però posso dire che ogni orologio è controllato e ricontrollato prima di uscire. Di certo – scherza – quelli che ho montato io sono stati rivisti dai tecnici!».

Da orologiaio a organizzatore

Qualche giorno dopo, spazio a Beking, l’evento benefico che Trentin organizza a Monaco. Nonostante il maltempo, l’edizione di quest’anno è stata un successo. «Un tempaccio – racconta Matteo – A novembre a Monaco ha piovuto un solo giorno, proprio quello di BeKing. Nonostante ciò, tutto è andato bene. Era la quarta edizione, e non c’è stata una sola defezione: né dai corridori, né dai piloti, né dallo staff. Questo ci rende orgogliosi, sia me che Claudia».

Un momento speciale, racconta Trentin, è stato con i bambini: «Stavamo per annullare la loro gara, ma quando siamo arrivati c’erano già 30 ragazzini pronti sotto la pioggia. Li abbiamo fatti partire e poco dopo se ne sono aggiunti altri. Questo dimostra che in questi anni abbiamo costruito qualcosa di buono. Convincere i genitori a lasciarci i bambini sotto la pioggia non è facile, ma i più felici erano proprio loro!».

Anche la serata di gala è andata benissimo. Trentin ha stimato una raccolta fondi per beneficenza di circa 80.000 euro.

Il focus di Trentin saranno le classiche del Nord anche per il 2025
Il focus di Trentin saranno le classiche del Nord anche per il 2025

E il Trentin corridore?

In tutto questo, ricordiamo che Matteo è pur sempre un corridore professionista. Ha ripreso gli allenamenti, consapevole che le prime gare sono a 50-55 giorni di distanza.

«L’ultima settimana è andata meglio – racconta – ma quella prima di Beking è stata super impegnativa: pedalavo al mattino e il pomeriggio era un susseguirsi di commissioni, meeting e telefonate, Senza dimenticare gli impegni familiari. Giornate pienissime! Ora è tutto alle spalle, e la prossima settimana inizieremo il ritiro in Spagna, nei pressi di Calpe. Non andremo in Australia, quindi avremo un po’ più di tranquillità per programmare gli allenamenti. In ritiro decideremo tutto».

Il calendario di Trentin non è ancora definito, ma i punti fermi sembrano le grandi classiche: Gand, Fiandre, Roubaix e forse l’Amstel. Ma questa, come dice Matteo, è un’altra storia.

Meccanici on the road, in viaggio con Adobati e Campanella

04.12.2024
7 min
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Stanotte, spiega Adobati, hanno dormito a Reims e scherzando si sono detti che avrebbero fatto l’aperitivo con lo champagne. Stamattina intorno alle 8, i quattro camion della Lidl-Trek hanno ripreso il viaggio verso la Spagna. Il primo ritiro è nel mirino, i corridori arriveranno domenica e per allora dovranno trovare tutto pronto. Stanze, bici, abbigliamento e tutto quello che serve per lanciare la nuova stagione. I meccanici sono partiti una settimana fa per il service course di Deinze, in Belgio. Calpe non è dietro l’angolo e bisogna essere certi di aver preso tutto.

Su uno dei camion viaggia Mauro Adobati, il capo dei meccanici del team americano, e al suo fianco c’è Giuseppe Campanella (i due sono insieme nella foto di apertura), il compagno di tante corse. E proprio con Adobati abbiamo voluto fare un punto per dare l’idea del gigantesco meccanismo che si sta mettendo in moto in questi giorni. Le strade spagnole saranno a breve prese d’assalto, camion come questi stanno solcando le autostrade di tutta Europa.

Mauro Adobati, bergamasco, è il capo dei meccanici della Lidl-Trek. Immagine del primo ritiro 2023
Mauro Adobati, bergamasco, è il capo dei meccanici della Lidl-Trek. Immagine del primo ritiro 2023
Siete in giro da una settimana, che cosa portate in Spagna?

Tutto quello che serve. Una bici da strada e una bici da crono per ciascuno. Qualcuno poi avrà anche qualche bici in più, ma parliamo dei più forti. Il bike fitting dei corridori nuovi è stato fatto in Italia dopo il Lombardia, nei due o tre giorni di ritiro prima di chiudere la stagione. In Spagna però ci saranno dei controlli. Il ritiro di dicembre è orientato alla preparazione, ma anche alla prova dei manubri, delle bici, delle ruote. Per i ragazzi che c’erano l’anno scorso, la bici e i materiali non sono cambiati. Però poi si va in pista, si prova, si cerca di affinare il dettaglio. Ogni anno ci sono cambiamenti, qualcuno prova le pedivelle più corte, qualcuno i manubri più stretti. E i primo ritiro è il più adatto, oltre a permetterci di fare le varie riunioni fra meccanici e tutto il personale per la preparazione della nuova stagione.

Questa tendenza di accorciare le pedivelle si sta davvero diffondendo così tanto?

In questo ambiente si tende a prendere ispirazione dagli altri – dice Adobati sornione – diciamo così. Lo fa qualcuno che va forte e gli altri ci provano. Lo scopo è cercare di migliorare anche l’uno per cento delle prestazioni, quindi le provi tutte. Poi c’è chi si trova bene e continua e chi invece non si trova e torna indietro. In effetti la vera resa di 2 millimetri in meno sulla pedivella è difficile da capire, ma non è solo un fatto di convinzione, ci sono anche degli studi.

La mappa del viaggio: eccola qua. Un viaggio di 1.852 chilometri, le 18 ore valgono per un’auto, non per 4 camion
La mappa del viaggio: eccola qua. Un viaggio di 1.852 chilometri, le 18 ore valgono per un’auto, non per 4 camion
Siete in viaggio con il materiale degli uomini e delle donne?

Ieri siamo usciti dal magazzino con quattro camion. Due da 12 metri della squadra WorldTour. Abbiamo diviso il materiale mettendo in uno tutte le bici, sia strada che crono, dei corridori da classiche. Nell’altro camion mettiamo quelle per i più scalatori. E poi ci dividiamo anche noi meccanici, in modo che il lavoro venga distribuito. Poi c’è un camion più piccolo per il devo team e uno per la squadra donne. E noi siamo stati in Belgio a preparare, perché le due squadre WorldTour hanno gli stessi materiali, per il devo team cambia qualcosa. Per cui siamo tutti insieme in carovana, passiamo due notti fuori, perché ci vogliono due giorni e mezzo. Si potrebbe fare anche in due, ma arriveremmo morti e non ne vale la pena.

In ritiro si parlerà anche di come comporre le squadre di meccanici alle corse?

Ogni corsa ha i suoi meccanici e sono ragionamenti che si fanno anche con i manager, perché ci sono colleghi che lavorano meglio insieme. Ma il fatto è che con il crescere della squadra, certi ragionamenti si riescono a fare sempre meno facilmente. Per fortuna abbiamo un bel gruppo che si integra bene, anche se è ovvio che ci siano delle preferenze. Si fa qualche eccezione se un corridore ha il suo meccanico personale e allora in base a quello si fa il calendario e poi si cerca comunque di ruotare. Chi fa il calendario si preoccupa di far girare anche i meccanici perché l’attività e le gare siano distribuite nel modo migliore.

Tornando ai camion e al loro carico, il primo ritiro è anche l’occasione di provare materiali mai usati prima?

Soprattutto i corridori nuovi oppure quelli che già c’erano, ma hanno usato poco le ruote da 60 e quella da 37, sicuramente dovranno provarle per capire in quali tappa e quali possono utilizzarle. Poi si farà anche il punto delle pressioni, perché con il tubeless è diventata fondamentale. Pirelli ci dà delle tabelle consigliate, più che da seguire. Di conseguenza il corridore le prova e poi nell’80 per cento dei casi è lui che dà la pressione che preferisce, in base anche alle condizioni dell’asfalto. Invece una piccola parte di corridori si affida al meccanico e ai nostri consigli.

I camion Lidl-Trek parcheggiati con gli sportelloni a contatto per impedire i furti
I camion Lidl-Trek parcheggiati con gli sportelloni a contatto per impedire i furti
Hai fatto un conto di quante bici ci sono sui camion?

No, però possiamo farlo velocemente. Abbiamo 30 corridori WorldTour con due bici ciascuno, quindi sono 60. Poi ci sono i 14 corridori del devo team, con due bici ciascuno e sono 28. Infine le donne che sono 15, quindi fanno 30 bici. Fate voi la somma? Sono 118 biciclette. Però qualcuno ha anche una bici di scorta in più che deve provare e in più abbiamo qualche bici per i VIP che arrivano dall’America come ospiti. Sono tante, davvero tante.

Di solito veniamo in ritiro e troviamo anche una bici non verniciata, un prototipo che magari qualcuno sta provando: la vedremo anche quest’anno?

A livello telaistico no. Ci sarà qualcosa di nuovo sicuramente da provare però il telaio è appena uscito, quindi non ci saranno prototipi.

E tutte quelle bici quante ruote hanno, oltre a quelle già montate?

Senza contare quelle e le ruote da crono, abbiamo una cinquantina di ruote da strada, tra alte, basse e medie.

Due meccanici per camion che poi lavoreranno per tutto il ritiro?

No, arriva qualcun altro. Noi abbiamo organizzato il carico e ci facciamo il viaggio, altri arriveranno domenica in aereo, ma restano per una settimana in più. Dato che la nuova Madone ci è arrivata a metà anno, non l’abbiamo cambiata a tutti, quindi non ne avevamo tante da montare. Anche i nuovi sono tutto sommato pochi, per cui il lavoro in Belgio non è stato eccessivo. Alla fine la somma dei giorni sarà più o meno la stessa, per non caricare uno piuttosto che un altro prima ancora di cominciare. Quest’anno mi sono fermato una quarantina di giorni, ma ogni anno sono sempre meno…

Il ritiro di dicembre serve perché tutti i corridori della Lidl-Trek possano provare i materiali a loro disposizione
Il ritiro di dicembre serve perché tutti i corridori della Lidl-Trek possano provare i materiali a loro disposizione
Allo stesso modo dei corridori, anche voi meccanici avrete un calendario ben definito dopo il ritiro?

Il bello di questa squadra è che abbiamo il calendario sino a fine anno. Può esserci qualche cambio, però in linea di massima torneremo a casa con una pianificazione già fatta ed è davvero una cosa molto buona, una fra le tante di questa squadra. Ti puoi organizzare anche qualcosa al di fuori dal lavoro. E se avvisi che nei tuoi giorni liberi sei fuori, casomai ci fosse un problema chiamerebbero un altro, non te. Basta comunicare che si va in vacanza.

Chi pianifica la vostra attività?

Sul fronte della performance, c’è Josu Larrazabal. Ma la figura che sta sopra di noi e fa da tramite tra noi e Trek si chiama Glenn ed è un ragazzo abbastanza giovane però molto in gamba. Lui fa da tramite con Trek e una parte dei corridori. L’idea è che non arrivino da noi tutti insieme e per questo dallo scorso anno abbiamo iniziato a lavorare come i direttori sportivi. Abbiamo i nostri 5 corridori da seguire, ma è davvero raro che si rivolgano al meccanico che gli è stato indicato. Io lo scorso anno avevo Mollema, che mandava messaggi in continuazione. Poi Ciccone e Bagioli. Dovrebbero essercene altri due, ma non li ricordo. Forse perché preferiscono andare direttamente al magazzino, direttamente alla fonte. Se però hanno un problema quando sono a casa, allora ci chiamano e il sistema funziona.

Buon viaggio allora, ragazzi. Dove dormirete stanotte?

Il piano è di arrivare in zona Montpellier. E domani si fa l’ultima tratta fino a Calpe.