Het Nieuwsblad a Wærenskjold, il cronoman che va veloce

01.03.2025
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Fra tutti i nomi che ci si poteva aspettare sul traguardo di Ninove della Omloop Het Nieuwsblad, quello di Søren Wærenskjold e dei suoi caratteri speciali era probabilmente l’ultimo. Invece in una corsa che ha avuto sin dall’inizio un andamento a strappi, dalla volata di gruppo compatto è emerso il norvegese della Uno-X Mobility, che nel 2022 aveva conquistato il titolo iridato U23 della cronometro a Wollongong. Un metro e 95 per 92 chili, la versione più pesante di Jonathan Milan ha battuto Magnier e Philipsen, in un arrivo di tutto rispetto.

Fra gli italiani, l’ottavo posto di Albanese e il dodicesimo di Trentin hanno fatto sventolare uno spicchio di tricolore nel dominio degli uomini del Nord, con Van Aert che ha rischiato per non mettere fuori il naso e alla fine si è ritrovato imprigionato fra le onde del gruppo.

«Non ero posizionato bene – ha detto il belga della Visma – e quindi sono rimasti indietro. Il posizionamento è importante, ma spesso dipende anche dalle gambe e io oggi non mi sentivo bene. Non ho mai avuto il feeling che speravo. Abbiamo lavorato duro, ma siamo rimasti indietro. Come squadra non abbiamo fatto una bella gara e non ho mai veramente avuto la sesazione di avere la vittoria a portata di mano. Per fortuna domani potremo rifarci a Kuurne».

Van Aert non ha vissuto la sua giornata migliore e alla fine lo ha ammesso, ma la squadra ha lavorato sodo
Van Aert non ha vissuto la sua giornata migliore e alla fine lo ha ammesso, ma la squadra ha lavorato sodo

Albanese e la volata per caso

Albanese nei primi dieci è una nota che rallegra noi italiani e che per lui è fonte di sorpresa, perché obiettivamente pensava che qualcun altro approfittasse del suo lavoro.

«Diciamo che la volata non era nei piani – dice – dovevo essere di supporto per Asgreen e Van den Berg. Così è stato almeno finché ho dovuto tirare per riprendere Kung, poi è stata una volata un po’ strana. Ero lì davanti, l’arrivo si avvicinava e non passava nessuno. Ho alzato la testa, mancavano 200 metri e io non dovevo fare assolutamente la volata. Per cui ho continuato a pedalare, senza la convinzione di fare il risultato e alla fine ho fatto ottavo. E’ stata una gara strana, però le sensazioni sono buone e adesso dobbiamo solo continuare».

Si torna a correre sulle stradine del Nord: è l’opening weekend, giorni consacrati al ciclismo
Si torna a correre sulle stradine del Nord: è l’opening weekend, giorni consacrati al ciclismo

Trentin, strane sensazioni

Anche in casa Tudor, la soddisfazione per Trentin è un bene di lusso: qualcosa da analizzare e riporre nello scrigno in attesa di tempi migliori. Il trentino è arrivato alla gara di apertura del Nord dal Teide, debuttando su questi muri così infidi per chi va in cerca del ritmo gara.

«Onestamente non sono soddisfatto – racconta – alla fine eravamo in due (con lui c’era Pluimers, ndr) e abbiamo toppato completamente la volata. Ho avuto sensazioni contrastanti. E’ la prima volta che inizio la stagione in questa corsa, per cui il ritmo era quello che era. Però se sono restato davanti quando si è fatta la selezione dei 12 di testa, allora vuol dire che la condizione da qualche parte c’è».

Prima corsa dell’anno per Trentin: la gamba c’era, il ritmo gara forse meno
Prima corsa dell’anno per Trentin: la gamba c’era, il ritmo gara forse meno

La Visma sugli scudi

Trentin conferma che la corsa ha avuto un andamento più strano del solito, per lui che queste corse le mastica e le rimastica da quando è passato professionista nella Quick Step del 2012.

«Siano andati parecchio piano – commenta – rispetto agli standard della Omloop Het Nieuwsblad. Ho visto bene Philipsen e tutta la sua squadra, ma poi se guardate nel gruppo dei primi 12, i nomi sono sempre gli stessi. Ci siamo anche noi della Tudor Pro Cycling, nella selezione c’eravamo, anche se alla fine il Muur ha fatto meno differenze. Il percorso rivisto è meno selettivo e tanti hanno recuperato e speso poco restando a ruota. Non si può dire che non abbia fatto selezione siamo andati via in 12, ma nessuno voleva portare Van Aert in volata, quindi è stato gioco forza che siano rientrati da dietro».

Kung si è arreso al vento contrario e al ritorno del gruppo, ma la sua è stata un’azione splendida
Kung si è arreso al vento contrario e al ritorno del gruppo, ma la sua è stata un’azione splendida

L’assalto di Kung

L’unico che ha provato a far saltare il banco anticipando Van Aert e i velocisti è stato Stefan  Kung, che da un paio di anni a questa parte sta affinando il feeling con le stradine di quassù. Lo hanno ripreso che quasi si vedeva lo striscione di arrivo e prima che il gruppo, ha provato ad agganciarlo proprio Trentin.

«Ci ho provato – sorride Trentin – con un attacco suicida da scemo. Mi sono girato due volte. E quando ho visto che il gruppo rientrava, ho capito che non valesse la pena insistere. Kung è uno forte, non rientri gratis, avrei speso comunque molto. E così anche io dico che proverò a rifarmi domani a Kuurne e poi si farà rotta sulla Parigi-Nizza. Niente Strade Bianche, anche se mi piacerebbe molto. Solo che da corsa aperta a tutti, è diventata corsa aperta a Pogacar e basta. E’ sempre più dura, per sperare di fare bene devi essere ben più competitivo di come sono io adesso».

Sul podio con Wærenskjold salgono Magnier e Philipsen
Sul podio con Wærenskjold salgono Magnier e Philipsen

La parola al vincitore

E Wærenskjold cosa dice? Si scopre che l’hanno messo in squadra solo all’ultimo momento e qualcuno in casa Uno-X Mobility stasera ringrazierà la felice intuizione.

«Sì, in realtà avrei dovuto correre solo domenica – ammette nella conferenza stampa – ma con il vento contrario oggi c’era una reale possibilità che si arrivasse allo sprint. E’ un po’ surreale aver vinto, non trovo le parole per dirlo. E’ una bella sensazione essere il primo a tagliare il traguardo. Questa è la più grande vittoria della mia carriera finora. Per me è un passo enorme, non pensavo fosse possibile, ma è fantastico. Ho cercato di risparmiare energia lungo il percorso, ma sono rimasto chiuso alle spalle della caduta sul Molenberg. Ho provato a chiudere, ma le gambe non erano abbastanza buone. Non ho dato il massimo in salita, ma alla fine mi sono ritrovato con le gambe per vincere».

Bragato, la performance e la pista donne: Los Angeles nel mirino

01.03.2025
7 min
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Fra le novità di maggior rilievo nei nuovi incarichi della nazionale, accanto a Salvoldi che torna nel giro olimpico con la pista degli uomini, c’è la promozione di Diego Bragato alla guida del settore femminile. Il trevigiano, che da qualche anno è il responsabile del Team Performance della Federazione, sale un gradino importante della sua progressione personale. Riceve in eredità il gruppo protagonista di europei, mondiali e Olimpiadi e dovrà portarlo fino a Los Angeles 2028.

«Era già da un po’ che parlavo con Amadio – racconta all’indomani di una giornata di test a Montichiari – e un giorno mi chiese, qualora la struttura tecnica fosse stata confermata, se me la sentissi di fare un salto in avanti. Gli ho sempre risposto di sì, ma chiedevo anche chi si sarebbe fatto carico di quello che stavo già facendo. C’è tutto il gruppo performance da gestire e io ci tenevo che il lavoro proseguisse bene».

Il nuovo disegno della nazionali porta la firma di Amadio: sua l’intuizione di investire su Bragato
Il nuovo disegno della nazionali porta la firma di Amadio: sua l’intuizione di investire su Bragato
E lui?

Mi ha detto che avrei potuto continuare a farlo. Mi ha permesso di rinforzare la parte performance, quindi posso delegare ancora di più. I ragazzi sono cresciuti e quindi potremo affrontarlo. Io terrò il ruolo di coordinamento, perché ho l’esperienza trasversale che gli altri ancora devono crearsi. Sono molto bravi nei vari settori, ma l’esperienza trasversale e il rapporto con i commissari tecnici l’ho costruito io negli anni

Cosa cambia invece per te in quanto commissario tecnico?

La responsabilità, perché è un gruppo da cui ci si aspetta tanto. Nelle dinamiche cambia poco, perché con loro c’erano già rapporti consolidati. Daremo continuità a quello che già c’era. Sono certo che per la gestione del budget, l’organizzazione delle trasferte e le scelte tecniche continuerò a confrontarmi con Marco (Villa, ndr). Sono cose che prima gestiva lui, adesso devo pensarci anch’io e quindi sono dinamiche su cui mi devo inserire.

La pista delle donne è passata dalla gestione rigida di Salvoldi a quella più libera, ma non meno ferma di Villa. Quale sarà la mano di Bragato?

Come stile, io sono più vicino a Marco, perché ho collaborato con lui per più di dieci anni e condivido la sua filosofia e io suoi metodi. Conosco bene anche il lavoro di Dino, perché ho lavorato al suo fianco. Probabilmente sono a metà strada tra l’uno e l’altro. Quindi parecchio dialogo e disciplina, ma nessuna imposizione.

Anche perché si tratta di un gruppo che già funziona…

Esatto. Mi piace puntare sul dialogo, sulla crescita della persona anche sul piano professionale. Quindi mi aspetto che le ragazze, quelle che ci sono già e quelle che cresceranno, si prendano la responsabilità del loro percorso. Io vigilerò, ma non sarò di sicuro il capo che le comanda.

La collaborazione fra Villa e Bragato prosegue: Marco sarà il supervisore della pista donne, Diego il cittì
La collaborazione fra Villa e Bragato prosegue: Marco sarà il supervisore della pista donne, Diego il cittì
Abbiamo un gruppo forte e ancora giovane. Pensi che i prossimi quattro anni saranno nel segno del gruppo che c’è già o si dovrà ragionare di ricambio?

No, il gruppo è quello di Parigi. Sarà un quadriennio di consapevolezza e di realizzazione di quello che si meritano, perché valgono molto. A Parigi abbiamo preso l’oro nella madison e siamo andati vicini alla medaglia del quartetto e la meritavano. Secondo me in questo quadriennio è giusto che possano fare il salto di qualità, perché sono certo che a Los Angeles andremo da protagonisti. Inseriremo eventualmente qualche junior fortissima, però parto da questo gruppo.

Insomma non è un caso che siano venute tutte agli europei?

Non so quali siano le parole giuste per dirlo. Una delle cose belle che Villa mi lascia in eredità, pur restando per fortuna al mio fianco, è la creazione del gruppo. Quello che è riuscito a fare con gli uomini, si sta verificando con le donne. Un gruppo che crede nel progetto e se ne prende la responsabilità. Soprattutto le ragazze che hanno vinto la medaglia, parlo di Consonni e Guazzini, hanno fatto un salto di qualità mentale e di responsabilità che ha motivato tutte le altre. Sono state loro le prime a spingere perché si andasse agli europei a prenderci qualche rivincita.

Sono cose di cui avete parlato?

Abbiamo condiviso questo ragionamento con loro, ne abbiamo parlato anche agli europei. Partiamo da questo entusiasmo, dal credere nel progetto perché è ciò che ci terrà sul pezzo per quattro anni. Sono loro le prime a voler arrivare competitive a Los Angeles e noi alimenteremo questo fuoco.

Del gruppo fa parte anche Federica Venturelli?

Federica è giovane, ma la consideriamo già dentro il gruppo. Ne faceva parte anche prima di Parigi. C’era per il Mondiale, ha lavorato con le altre. All’europeo sarebbe dovuta venire, ma si è fatta male. E’ parte del gruppo al 100 per cento.

Gli europei di Zolder non possono cancellare Parigi, ma lanciano la rincorsa verso Los Angeles
Gli europei di Zolder non possono cancellare Parigi, ma lanciano la rincorsa verso Los Angeles
Villa passava giornate intere in velodromo, tu abiti lontano da Montichiari. Come imposterai il lavoro?

In questi giorni stiamo parlando del budget per impostare poi l’attività. Già prima ero molto a Montichiari, almeno due o tre giorni a settimana. Continuerò ad esserci, ma programmerò di più gli interventi. Non abito lì, devo spostarmi, per cui avrò un programma ben strutturato. Marco mi darà una mano, i collaboratori come Masotti sono sul pezzo. La mia intenzione è quella di inserire anche le professionalità del gruppo performance, per portare ancora di più il lato scientifico. Avremo una squadra per coprire molto bene l’attività e programmare gli appuntamenti.

Ci sarà da recuperare l’entusiasmo di Elisa Balsamo per la pista, dopo l’uscita malinconica dalle Olimpiadi?

Con le ragazze ho sempre avuto un buon dialogo e ci tengo che rimanga. Elisa fa parte del gruppo e sa di esserlo. Era programmato e dichiarato che agli europei non sarebbe venuta. Ha una primavera importante che l’aspetta., è giusto che si concentri su questo.

Fra le novità, oltre al budget e i programmi, ci sono i rapporti da tenere con le squadre. Hai già pensato a come fare?

Sia a livello elite che juniores vorrei una connessione stretta con i manager. Con i preparatori l’avevo già, perché ogni volta che Villa andava in giro a parlare di programmi, io andavo con lui ed entravo nel tecnico con i miei colleghi. Per le squadre giovanili siamo in fase di costruzione. Abbiamo cominciato facendo i test nei giorni scorsi, ma vorrei che la nazionale diventasse un riferimento per le squadre. Io sono convinto che la Federazione e il gruppo performance diventeranno un valore aggiunto per le società italiane e anche per le squadre di livello WorldTour che faranno riferimento a noi.

Parliamo di te adesso: quanto è bello essere arrivato a questo incarico, come coronamento di un percorso?

Sicuramente è molto bello. Negli anni avevo quasi messo da parte l’idea, perché il discorso performance mi piace e mi vedevo più in quella direzione. Quando però è tornata fuori questa possibilità, ho accettato subito. Sono contento e mi motiva. Devo riprendere in mano tutta una parte di formazione su me stesso, cose nuove che devo fare e su cui devo crescere. Devo imparare a gestire un nuovo ruolo.

Elisa Balsamo fa parte del gruppo pista di Bragato, anche se ora la sua priorità è la strada
Elisa Balsamo fa parte del gruppo pista di Bragato, anche se ora la sua priorità è la strada
E’ prevista la tua presenza a qualche gara anche su strada come osservatore?

Mi è stato chiesto e comunque è nel mio stile quello di cercare di fare da collante. Un po’ per il mio ruolo nel gruppo performance e un po’ perché intendo far gruppo con gli altri tecnici. Sono già in contatto con Velo, l’ho invitato a seguire i test a Montichiari. Ci siamo già detti che andremo a vedere delle gare assieme, anche qualcosa di gare giovanili. L’obiettivo è trasmettere il messaggio reale che strada, crono e pista si muovono assieme e le società hanno un riferimento nella Federazione.

L’ultima e poi ti lasciamo in pace. Da amico, sei contento che Elia Viviani abbia trovato posto alla Lotto e non sia stato inserito nei quadri federali?

Elia lo vedo a pieno nei quadri federali, sarebbe una persona importante e azzeccata nelle dinamiche. Ma essendo soprattutto suo amico, sapevo quanto ci tenesse a continuare, quindi sono stato contentissimo per lui. Gli darò supporto per la preparazione, perché l’ho seguito in tutti questi anni e mi ha chiesto di dare continuità al lavoro. Sono contento di essere ancora al suo fianco, perché un campione come lui merita di scrivere la sua carriera.

Ha ancora qualcosa da dare?

Ne sono certo. Deve avere la mentalità che ha avuto a Parigi, cioè quella che Marco Villa ha definito di un 18enne che non aveva paura di lavorare sodo. Con questo approccio che gli appartiene, c’è ancora da dare. E soprattutto è in una squadra che ha capito cosa può fare e quindi secondo me si divertirà e darà un bel senso a questa stagione.

Primi mesi da direttore sportivo: Dario Cataldo racconta…

01.03.2025
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Ed eccolo Dario Cataldo, sempre più a pieno regime nel suo nuovo ruolo. Da direttore sportivo in corsa a direttore sportivo in ammiraglia, quella della XDS-Astana. L’abruzzese è tornato nel team che probabilmente ha caratterizzato di più la sua carriera. Aru, Nibali e tanti altri ragazzi forti erano parte di quel gruppo e lui c’era. Ed era un riferimento.

Con Dario ripercorriamo questi primi mesi “dall’altra parte della barricata”. Un approccio preso, come da sua abitudine, con piglio, passione e decisione. Competenza.

Il Giro di Lombardia è stata l’ultima gara di Cataldo, omaggiato così dai suoi compagni. Per l’abruzzese (classe 1985) ben 18 stagioni da pro’
Il Giro di Lombardia è stata l’ultima gara di Cataldo, omaggiato così dai suoi compagni. Per l’abruzzese (classe 1985) ben 18 stagioni da pro’
Dario, sei direttore sportivo. Come ti sono sembrati questi primi mesi? Quando a novembre non hai ripreso la preparazione…

Eh sì, è strano non dirlo, però alla fine questo momento è arrivato. Il fatto che, appena finita la stagione, ero già preso con degli impegni con la XDS-Astana mi ha fatto proiettare subito su altre esigenze, quindi con la testa ero già di qua e non ho sofferto troppo il distacco. In più le mansioni che avrei dovuto svolgere da direttore erano cose a cui pensavo già da diverso tempo.

Cosa intendi?

Già da corridore mi sono sempre fatto domande sullo staff, cercando di mettermi nei panni degli altri. Interpretare la situazione della persona che hai di fronte per capire le sue esigenze e incastrarle con le tue. Mi mettevo nei panni del massaggiatore che si sveglia la mattina alle 5 per fare tutte le mille mansioni che deve svolgere. E il massaggio è quasi l’ultima tra queste. Si pensa che il direttore abbia il controllo assoluto su tutto quello che fa un corridore, ma non è così semplice. Forse più il preparatore ce l’ha. E infatti il diesse si interfaccia spesso con il preparatore. Insomma, ho cercato di switchare subito.

Ma non è facile applicare tutto subito…

Non conosci al 100 per cento le cose che andrai a fare, ma fino a che non ti ci butti… Insomma, serve la pratica. Qualunque scuola non è sufficiente. Ho fatto le prime corse in Spagna, poi in Oman, che è una cosa particolare, perché non sei con i mezzi della squadra, ma con quelli dell’organizzazione. Pertanto, la logistica è molto particolare, il numero di personale molto ridotto e tutto va incastrato. Posso dire che è stato formativo.

Controllare la corsa dall’ammiraglia è ben più complesso secondo Cataldo
Controllare la corsa dall’ammiraglia è ben più complesso secondo Cataldo
A chi sei stato affiancato in queste prime gare?

Ad Alexandre Shefer. Lui era stato mio direttore quando ero corridore qui in Astana. Ci conosciamo bene.

Tra le varie mansioni del diesse, quale ti è venuta più naturale?

Essere in ammiraglia. Alla fine è quasi un’estensione di quello che fai già da corridore.

Che poi tu eri un road captain, come si dice oggi. Il regista, il direttore in corsa…

Esatto. Analizzare la corsa, anticipare i tempi su quello che succederà sia tatticamente con le altre squadre, il vento, il meteo, il percorso, le esigenze del leader… Tutte queste dinamiche ho iniziato a trattarle da un’altra postazione. La cosa che mi mette un po’ in difficoltà è il fatto che da corridore sei sul posto. Vedi quello che succede in gara in tempo reale: avversari, movimenti dei team, sai il vento com’è, vedi il tuo capitano come pedala. Invece in ammiraglia non vedi praticamente nulla e non subito. Devi andare sull’interpretazione, su quello che dice radio corsa o che ti dicono i tuoi corridori. E ora, da direttore sportivo, mi rendo conto di quanto sia importante e fondamentale avere un buon road captain, una persona di fiducia responsabile che sta lì al momento, sa prendere decisioni e mantenere la comunicazione con l’ammiraglia.

A proposito dei ruoli, Dario, fino a pochi mesi fa eri spalla a spalla con molti dei tuoi atleti. Come ci si barcamena? Autorevolezza, autorità…

Non credo sia né una questione di autorevolezza né di autorità. Se si parte da questi presupposti, per me, si sta già sbagliando. Sai che di fronte hai atleti con esperienza per capire. Il dialogo diventa fondamentale. Instaurare quel rapporto di fiducia è alla base. Non è quindi autorevolezza, ma collaborazione. E per adesso mi sembra che questa collaborazione venga riconosciuta. Poi magari anche io farò degli errori, è normale. L’importante è essere onesti da entrambe le parti, parlare…

Dario è stato nelle fila del gruppo Astana dal 2015 al 2019
Dario è stato nelle fila del gruppo Astana dal 2015 al 2019
Un esempio di successo o di qualche problema di cui avete parlato nel post gara?

Sì, ci sono state occasioni in cui tatticamente si poteva fare meglio. Bisognava farlo presente ai corridori. Ed è stato fatto. Prima ho sentito i feedback di tutti i corridori singolarmente. Poi ci si è seduti tutti insieme. Quello che voglio far capire è che quando si fa notare un errore, non è una punizione, ma un modo per cercare di migliorare in vista delle prossime volte.

In questo ciclismo che va veloce, quanto conta essere freschi di gruppo? Un diesse giovane non è lontano dal ciclismo reale, non è ancorato a vecchie dinamiche. Sia chiaro, non è una critica verso i diesse più maturi, ma è evidente che tante cose sono cambiate…

Moltissime cose sono cambiate ed essere freschi di gruppo, come dite voi, conta tanto davvero. Anche da corridore mi rendevo conto del fatto che certe volte, quando si analizzava una corsa con i direttori, specie negli ultimi tempi, bisognava rimarcare alcuni aspetti. Dicevo: «Guarda che non è più così. Non è più come una volta». Bisognava ricordare che nelle cose concrete sono cambiati tutti i modi di interpretare la corsa. Da quando sono cambiati i modi di alimentarsi, è cambiata la distribuzione delle energie e di conseguenza cambia tutto.

E proprio qui volevamo arrivare…

Faccio un esempio banale. Prima c’era la fuga e sapevi che la situazione era sotto controllo. Due, tre, cinque atleti… sapevi che non arrivavano e non bisognava ammazzarsi a tirare, tanto sarebbero “rientrati da soli”. Una volta stabilizzata la corsa, iniziavo a fare i miei calcoli e mediamente sapevamo che si poteva recuperare un minuto ogni 10 chilometri. Ogni 5 facevi una proiezione e sapevi se dovevi accelerare o calare. Adesso è un problema chiudere sulla fuga e, a seconda di chi c’è, è quasi impossibile. Insomma, se oggi la fuga ti prende 10′ non la recuperi. E quindi, chiudendo il discorso, avere queste sensazioni fresche ti consente di capire meglio i corridori e di metterti nei loro panni.

Tra gli atleti sotto diretto controllo di Cataldo c’è anche Lorenzo Fortunato, uno dei leader della XDS-Astana
Tra gli atleti sotto diretto controllo di Cataldo c’è anche Lorenzo Fortunato, uno dei leader della XDS-Astana
Chi sono i tuoi atleti di riferimento?

Ho Fortunato, Schelling, Kajamini e Toneatti.

Passiamo al Dario uomo: come ti è cambiata la vita nel quotidiano?

In questo momento sono abbastanza assorbito dal lavoro, ho tante cose nuove per me e mi portano via più tempo. Preparare i file delle corse da VeloViewer, i vari meeting, i contatti con i ragazzi… sto costruendo una nuova quotidianità.

Quindi niente bici?

Per due mesi non ho toccato la bici perché mi sono operato al femore e me lo sono imposto. L’osso era ancora fragile e non volevo rischiare nulla. Faccio un po’ di palestra, qualche corsetta per non ingrassare come una palla. Anche se mi hanno detto: «Oh Dario, finalmente sembri una persona normale!». D’altra parte si sta a stecchetto da quando si è ragazzi. Anche se devo dire che recentemente due sgambate le ho fatte. Due uscite per risentire un po’ di vento in faccia.

Il caso Iannelli: 7 ottobre 2019, la morte del figlio Giovanni

01.03.2025
6 min
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«Negligenza, imperizia, imprudenza – dice Carlo Iannelli – gli estremi basilari della colpa penale. Sarebbe bastato che venisse celebrato un giusto processo per omicidio colposo, mettendo nel piatto che questi signori venissero anche assolti. Sarei stato il primo a battere le mani. Non posso accettare che non si faccia un processo davanti alla morte di un ragazzo di vent’anni e in presenza di elementi a iosa. C’è qualcosa di strano, oppure no? Un processo sarebbe servito anche a concentrare davvero l’attenzione sul tema trascurato e ignorato della sicurezza».

L’avvocato di Prato, padre di Giovanni Iannelli morto in una corsa piemontese di cinque anni fa, dice tutto d’un fiato e così per un’ora e mezza di intervista. I più lo hanno bloccato, perché i suoi interventi sui social sono fastidiosi e irriverenti. Eppure, visto l’argomento, bloccarlo ci è parsa una mancanza di rispetto. Oggi proviamo ad ascoltare e capire perché questo padre avvocato cammini da cinque anni sul filo della pazzia, cercando invano di arrivare a un processo. Abbiamo diviso questa intervista in più puntate, che pubblicheremo oggi e nei prossimi giorni.

La famiglia Iannelli vive a Prato, Giovanni è il secondo da destra: quel giorno di sei anni fa ha sconvolto le loro vite
La famiglia Iannelli vive a Prato, Giovanni è il secondo da destra: quel giorno di sei anni fa ha sconvolto le loro vite

La sponda del Ministro

Perché il Ministro dello Sport dovrebbe parlare ripetutamente di questo caso, se tutto fosse davvero a posto? Anche giovedì, durante la presentazione della Coppa Italia delle Regioni, Andrea Abodi ha fatto un riferimento alla vicenda. Come aveva già fatto il 25 gennaio all’indomani della morte di Sara Piffer.

«Il tema della sicurezza – ha detto il Ministro – purtroppo assurge alle cronache quando succede qualcosa che lascia il segno nella vita delle persone, delle famiglie. Ci sono ancora troppi morti, questo vale nei giorni normali, ma vale anche nei giorni delle competizioni. Qua ci sono ancora dei temi irrisolti. Io vorrei che a fronte di morti durante le competizioni, ci fosse un accertamento puntuale, tempestivo, efficace, credibile, convincente delle responsabilità. Non cerchiamo un colpevole, cerchiamo l’individuazione di modelli di sicurezza che, anche attraverso l’esperienza drammatica di chi se n’è andato, ci consenta di essere sempre più efficienti proprio sul fronte della sicurezza».

L’avvocato Iannelli, con suo figlio Giovanni in braccio, assieme a Marco Pantani al Giro del 2000
L’avvocato Iannelli, con suo figlio Giovanni in braccio, assieme a Marco Pantani al Giro del 2000
Carlo, ci dica, chi era suo figlio Giovanni?

Giovanni era un ragazzo esemplare, un corridore esemplare, il cui solo errore è stato quello di amare la bicicletta e il ciclismo. Per Giovanni il ciclismo non era una ragione di vita, era una cosa bella della sua vita. A lui piaceva andare in bicicletta per la sensazione di libertà che provava, ma mio figlio non era solo un ciclista. Era anche uno studente, un ragazzo di 22 che aveva un foltissimo gruppo di amici non solo nel mondo del ciclismo. Giovanni era tante altre cose. Era la bontà, la bellezza fatta persona. Chiunque l’abbia conosciuto è concorde nell’attribuirgli grandissime doti di umanità, di generosità, di lealtà e di correttezza. Questo era Giovanni. Un ragazzo che non meritava certamente di finire così e non meritava il trattamento che gli stanno riservando.

Che cosa ricorda di quel 5 ottobre del 2019?

Ero al primo piano di casa mia, a Prato, e stavo guardando il Giro dell’Emilia, vinto da Primoz Roglic. Mia moglie invece era nella stanza accanto. A un certo punto, era finito da pochi minuti il Giro dell’Emilia, la sento urlare e sento un tonfo. Vado di là ed era lei che aveva il telefonino in mano e me lo mostrava: «Caduta a Molino dei Torti, un corridore dell’Hato Green immobile a terra». E lì mi si gela il sangue, perché i velocisti della squadra erano due, quella era una corsa per velocisti. Poteva essere Giovanni oppure Lorenzo. Quindi mi sono attaccato al telefono cercando di parlare con qualcuno della squadra, ma nessuno mi rispondeva perché erano momenti concitatissimi.

E poi?

Ad un certo punto riesco a parlare con Imere Malatesta, il direttore sportivo di Giovanni, e lui mi dice che lo stanno portando con l’elicottero ad Alessandria. Io non mi ricordo neanche cosa avessi addosso, se ero vestito, se avevo un pigiama, non me lo ricordo. Mi ricordo che prendo le chiavi della macchina e dico a mia moglie: «Partiamo!». Non so come ho fatto ad arrivare ad Alessandria, veramente non lo so come ho fatto. Durante la strada, cercavo sempre di mettermi in contatto con qualcuno, però nessuno mi rispondeva. A un certo punto, arrivato a circa 50-60 chilometri da Alessandria, mi telefona l’altro direttore sportivo, Mirko Musetti. Io ovviamente mi fermo sulla corsia d’emergenza e lui mi dice: «Guarda Carlo, Giovanni è in rianimazione. Questo è il numero, telefona subito alla rianimazione».

Cosa le dicono?

Telefono subito e mi risponde un dottore, il quale parte da lontano. Mi dice che mio figlio ha avuto un incidente in bicicletta, ma io gli dico che so tutto e voglio sapere come sta. E lui parla di «una sorta di tempesta perfetta». Nel senso che si sono assommate delle circostanze che hanno reso il quadro molto critico. E poi al termine della telefonata mi chiede dove mi trovi. Io gli dico che sono sull’autostrada e mi manca poco per raggiungere l’ospedale. E lui mi dice: «Guardi, vada piano, piano, piano, piano». Ho pensato che fosse morto e ovviamente non sono andato piano. Sono arrivato alla rianimazione di Alessandria e in tarda serata sono potuto entrare nella rianimazione.

Giovanni Iannelli, classe 1996, ritratto in un momento di quiete domestica
Giovanni Iannelli, classe 1996, ritratto in un momento di quiete domestica
Che cosa ha trovato?

Giovanni era stato sottoposto a un intervento disperato. Se fosse capitato a una persona anziana, non sarebbero neanche intervenuti. Ma avendo vent’anni, hanno provato l’impossibile. La verità è che Giovanni purtroppo è morto sul colpo, perché l’impatto con la testa contro quella colonna di mattoni rossi a 70 chilometri orari è stato devastante. Era steso nella rianimazione, attaccato alle macchine. Era caldo. Respirava. Era bello come un dio greco, in faccia non aveva nulla, perché la lesione era nella parte posteriore della testa. Aveva solamente questo turbante in testa e appena qualche piccola sbucciatura. E’ rimasto così fino a lunedì 7 ottobre 2019, quando ci hanno chiamato i medici e ci hanno dato la notizia che Giovanni era morto. Io e mia moglie ci siamo consultati neanche più di tanto e abbiamo deciso di optare per l’espianto degli organi. Abbiamo scoperto poi dalla sua fidanzata che Giovanni si era detto favorevole casomai gli fosse successo qualcosa, per dimostrare il suo altruismo, nella vita di ogni giorno e nel ciclismo. Si metteva a disposizione, era veramente l’amico che tutti vorrebbero avere. Quando eravamo alla rianimazione, da Prato è partito un gruppo di ragazzi, amici al di fuori del ciclismo. Ho visto questi coetanei di Giovanni, quindi poco più che ventenni, che facevano fatica a camminare…

Che cosa accade dopo?

Io per oltre trent’anni mi sono occupato di ciclismo. Sono stato per dieci anni presidente della Ciclistica Pratese, organizzando corse per tutte le categorie, dai giovanissimi fino ai professionisti, con il Gran Premio Industria e Commercio. Sono stato per otto anni vicepresidente del Comitato Regionale Toscano della Federciclismo. Sono stato per 15 anni un giudice agli Organi di Giustizia sempre eletto dalle varie assemblee: regionale e nazionale. Non mi ha mai nominato nessuno. Questo per dirle che io ho tutto chiaro sin dall’inizio, chiarissimo. E così, appena mi sono un po’ ripreso, ho iniziato a fare un’investigazione per conto mio, con i miei modestissimi mezzi. E ho scoperto che a fronte di un rettilineo di arrivo particolarmente pericoloso, quella corsa era stata approvata dalla struttura tecnica del Comitato Regionale del Piemonte senza i documenti relativi alla sicurezza, obbligatoriamente previsti dal regolamento tecnico…

Tiberi torna in corsa: l’esordio e i passi giusti verso il Giro

01.03.2025
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La stagione agonistica è iniziata anche per Antonio Tiberi, il corridore della Bahrain Victorious ha esordito alla Volta ao Algarve. Un debutto che lo ha portato a confrontarsi subito con avversari di alto livello. La breve corsa a tappa portoghese è stata il primo, ponderato, passo verso il Giro d’Italia. Un cammino prestabilito e scelto per salire piano piano i gradini di una condizione che si sta costruendo. 

I riflettori

Il responso della Volta ao Algarve parla di cinque giorni di corsa per un totale di 748 chilometri. Nel primo arrivo in salita le gambe non hanno risposto alle sollecitazioni dei migliori, ma il terzo posto nella cronometro finale ha dimostrato che Tiberi c’è. Il ciociaro è tornato a casa per allenarsi e mettere un altro mattoncino, il telefono squilla e la coda per le interviste si fa sempre più lunga. 

«Starò a casa un pochino – attacca subito Tiberi – tanto interesse fa solo piacere e con il passare del tempo ci si fa l’abitudine. Tendo a non pensarci troppo e fare il mio nel miglior modo possibile. Nel 2024 facendo le cose al meglio sono riuscito a performare al meglio, questo mi ha dato tanto morale e la consapevolezza che lavorare bene mi permette di stare bene in bici e giù dalla bici».

Antonio Tiberi ha debuttato alla Volta ao Algarve assieme a Damiano Caruso
Antonio Tiberi ha debuttato alla Volta ao Algarve assieme a Damiano Caruso
Com’è andato l’esordio in Portogallo?

E’ andata bene, attaccare nuovamente il numero e riprovare le sensazioni che solo la corsa ti può dare è bello, mi era mancato. Ho avuto anche modo di stare con i miei compagni prima della corsa e divertirmi con loro. Respirare il clima della gara è sempre piacevole. 

In gara che risposte hai avuto?

Sono stato felice delle sensazioni provate e di quello che ho sentito. Arrivavo da due settimane di altura sul Teide. E’ stato il primo ritiro in quota e la prima gara, il riscontro finale è positivo. Mi è mancato un po’ il ritmo in salita ma me lo aspettavo, comunque quando si va in altura non si fa mai troppa intensità. La cronometro finale ha dimostrato che la gamba è buona ed è stata una conferma di quanto fatto

In salita è mancato un po’ il ritmo, ma dopo l’altura e alla prima corsa, non c’è da allarmarsi
In salita è mancato un po’ il ritmo, ma dopo l’altura e alla prima corsa, non c’è da allarmarsi
Con quale mentalità sei tornato in gara?

Serena. Volevo comunque godermi il momento con consapevolezza. Ad esempio: sapevo che la cronometro fosse adatta alle mie caratteristiche ma l’ho affrontata con la giusta testa. Era anche un test per vedere come reagiva il motore e capire se si fossero accese delle spie (ride, ndr). Invece è andata bene e questo mi ha dato morale. 

Come hai vissuto il confronto con gli altri scalatori?

Mi è piaciuto, ero curioso. Volevo vedere come mi sarei posizionato rispetto ad altri corridori forti come Vingegaard e Almeida, sapevo però che alcuni di loro erano già alla seconda gara dell’anno. Dopo il primo arrivo in salita, nella seconda tappa, ero un pochino preoccupato (dice con una risata, ndr). Ma la cronometro è stata la conferma che avevo solo bisogno di correre. 

E’ andata molto meglio nella crono di Malhao, con il terzo posto dietro Vingegaard e Van Aert
E’ andata molto meglio nella crono di Malhao, con il terzo posto dietro Vingegaard e Van Aert
Sei sui passi giusti verso il Giro?

L’Algarve era fin da subito il punto di partenza di questa stagione agonistica. Fin da novembre tutto è stato calibrato per arrivare pronto alla Corsa Rosa. Ora andrò alla Tirreno con la volontà di avere un miglior ritmo e fare qualcosa di più. Finita quella gara tornerò in altura per attaccare nuovamente il numero al Tour of the Alps. 

Con una condizione in crescendo?

Vorrei arrivare a queste gare per provare a fare qualche risultato e avere un riscontro sull’andamento generale e capire come sto lavorando, sempre con l’obiettivo di arrivare al Giro pronto e competitivo. 

Parlando con Lenny Martinez ci ha parlato di un progetto della squadra legato ai Grandi Giri, come ti coinvolge?

E’ una cosa che è inerente alla squadra nella quale ognuno di noi, ovvero Lenny Martinez, Santiago Buitrago e io, ha un progetto. La cosa bella è che quest’anno gli obiettivi sono già determinati visto che Lenny e Santiago saranno al Tour e io a Giro e Vuelta. 

Tiberi tra la Tirreno-Adriatico e il Tour of the Alps tornerà in altura per preparare il Giro (foto Charly Lopez)
Tiberi tra la Tirreno-Adriatico e il Tour of the Alps tornerà in altura per preparare il Giro (foto Charly Lopez)
Come vengono gestiti gli impegni?

Lo staff lavora globalmente affinché tutto sia gestito al meglio, il progetto si struttura di anno in anno e da inizio stagione sappiamo già come lavoreremo. Non ci sono obiettivi prefissati, io quest’anno sarò al Giro per confermare i progressi del 2024, ma non è escluso che la prossima stagione possa andare al Tour. 

Manterrai, come l’anno scorso il doppio Grande Giro, il progetto di migliorare sulle gare di un giorno è rimandato?

Per quest’anno sì. Fare due grandi corse a tappe non permette di lavorare su altri aspetti. L’aspetto mentale quando si vogliono fare due grandi giri in una stagione è importante, penso sia difficile andare al Giro e alla Vuelta per puntare alla classifica in entrambi. Più probabile che in Spagna abbia il ruolo di “battitore libero”. Con questo programma puntare alle corse di un giorno diventa un rischio, se nel 2026 dovessi fare il Tour allora si aprirebbero le porte per cambiare programma e metodo di lavoro. 

La nuova data del Binda e l’idea di una “campagna” italiana

28.02.2025
5 min
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Alla fine non c’è stato alcun braccio di ferro fra il Trofeo Binda e la Milano-Sanremo Women per la data delle due gare. Si è trattato solo di aspettare l’evoluzione quasi naturale della situazione e cogliere un’opportunità buona per tutti. A Cittiglio si correrà il 16 marzo, sei giorni più tardi andrà in scena la prima edizione della “Classicissima” al femminile.

La querelle di una possibile concomitanza in calendario tra le due corse era sorta due anni fa, alle prime voci della nascita della Milano-Sanremo Women. Tuttavia Mario Minervino, presidente della Cycling Sport Promotion che organizza il Trofeo Binda, era stato tanto irremovibile quanto sereno di ciò che sarebbe stato. Ora, con la vicenda già archiviata senza alcun strascico di polemica, lo stesso Minervino ci ha spiegato cosa gli piacerebbe vedere per il bene del ciclismo femminile nelle prossime primavere in Italia.

Mario Minervino, qui con Elisa Balsamo, vorrebbe che si creasse una “campagna” italiana attorno alle tre gare WorldTour italiane
Mario Minervino, qui con Elisa Balsamo, vorrebbe che si creasse una “campagna” italiana attorno alle tre gare WorldTour italiane
Mario giusto per chiarire una volta per tutte, com’è andata la questione delle date?

Non abbiamo avuto l’imposizione di nessuno nel cambiare il giorno. Il Trofeo Binda è arrivato alla ventiseiesima edizione, migliorandosi di anno in anno, e quindi l’UCI ha sempre privilegiato noi nel calendario rispetto ad altre corse dello stesso weekend. Contestualmente ho sempre ragionato col buon senso e penso di averlo fatto anche stavolta. Non appena ho saputo che la Ronde van Drenthe in Olanda quest’anno non si sarebbe fatta, ho proposto all’UCI di anticipare di una settimana la nostra gara e hanno accettato. In realtà speravo si potesse creare un nuovo progetto per le corse italiane.

Cosa intende?

Innanzitutto voglio precisare che adesso ho occupato il nuovo slot della data per il Trofeo Binda anche per il futuro. Quindi d’ora in poi l’Italia con Strade Bianche e Sanremo avrà tre gare WorldTour femminili consecutive nell’arco di due settimane. Ecco, a contorno di tutto ciò, sarebbe stato bello che all’interno di questo lasso di tempo si fosse inserito anche il Giro del Mediterraneo in Rosa (previsto dal 9 al 13 aprile, ndr) oltre al Trofeo Oro in Euro di Montignoso e il Ponente in Rosa in Liguria. Ci pensate…

Sarebbero dodici giorni di gare italiane in due settimane. Sarebbero gestibili?

Io penso proprio di sì. Avremmo la possibilità di avere tutte le formazioni straniere e italiane, WorldTour e non, che magari restano in Italia ad allenarsi per tutto quel periodo. Ne gioverebbe tutto il ciclismo femminile italiano, giovanile compreso, oltre che la ricettività alberghiera e altri settori. Se si fa da sempre la consueta campagna del Nord stando un mese tra Belgio, Francia e Olanda, non vedo perché non si possa fare la stessa cosa da noi. La Federciclismo dovrebbe pensarci e cogliere questo messaggio di valorizzazione del nostro movimento.

E’ un’idea interessante su cui riflettere, però torniamo sul Trofeo Binda. Quali sono le novità?

Vi dico la verità, mi trovo più a mio agio a parlare della nostra corsa, che è rimasta l’unica classica WorldTour in Europa ad essere totalmente al femminile. Quest’anno partiremo da Luino, ci sarà un primo tratto rinnovato prima di arrivare a Cittiglio per il finale. Abbiamo portato da 5 a 6 i giri del tradizionale circuito, aumentando pertanto il chilometraggio da 140 a 152 chilometri. Come vedete ci siamo adeguati al resto delle corse di questa portata. Naturalmente avremo sempre il Piccolo Trofeo Binda per le juniores con tre giri del circuito per un totale di 72,5 chilometri.

Il Trofeo Binda, vinto nel 2024 da Balsamo su Kopecky, da quest’anno anticipa di una settimana
Il Trofeo Binda, vinto nel 2024 da Balsamo su Kopecky, da quest’anno anticipa di una settimana
Riporterete anche esordienti e allieve il 16 marzo?

No, restiamo come abbiamo fatto l’anno scorso. Ci sarebbe piaciuto avere ancora le quattro gare femminili come nel 2023, ma ci siamo accorti che diventava tutto più complicato da gestire. Avremmo rischiato di non dare il giusto peso alle corse. Un anno fa abbiamo organizzato il Trofeo Binda Giovanile per esordienti e allieve il 30 giugno e quest’anno dovremmo mantenere quel periodo. Lo ufficializzeremo fra poco.

Visti i risultati di questo inizio di stagione, si sentirebbe di fare un pronostico per il Trofeo Binda?

Francamente no, troppo difficile. Cittiglio è una gara a sé, tutta da scoprire solo quando la corri. E’ un percorso che si apre alle velociste come alle passiste-scalatrici. Forse è una frase fatta, ma dipenderà da come interpreteranno la corsa le atlete e le squadre. Guardando l’albo d’oro, è una gara che premia grandi campionesse o, nel caso delle juniores, che lancia giovani talenti verso un sicuro futuro. Anche quest’anno il livello sarà molto alto in entrambe le corse.

Noemi Cantele, Tatiana Guderzo, tricolori 2011
A Minervino sarebbe piaciuto vedere la varesina Cantele (qui prima al tricolore nel 2011) trionfare al Trofeo Binda
Noemi Cantele, Tatiana Guderzo, tricolori 2011
A Minervino sarebbe piaciuto vedere la varesina Cantele (qui prima al tricolore nel 2011) trionfare al Trofeo Binda
Invece considerando tutte le edizioni che ha condotto, c’è una atleta che Mario Minervino avrebbe voluto vedere trionfare a Cittiglio?

Non ho mai avuto preferenze, anche se non nascondo che sono contento quando vince un’italiana. Un nome però lo faccio volentieri. Mi sarebbe piaciuto vedere vincere Noemi Cantele perché è un’amica innanzitutto e perché è di Varese. Se lo sarebbe meritato e un suo successo avrebbe fatto bene a tutto il nostro territorio.

GoldenCheetah, uno dei primi portali open source gratis

28.02.2025
4 min
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GoldenCheetah è un progetto open source nato nel 2006. Da allora una comunità di appassionati si è dedicata allo sviluppo dell’omonimo programma, completamente gratuito, finalizzato alla gestione dell’allenamento. E’ stato molto utilizzato a ridosso degli anni compresi tra il 2010 e 2020, ma con la crescente richiesta di abbinare dati e numeri, grafici e soprattutto le analisi metaboliche, GoldenCheetah è stato “scavalcato” da Intervals.icu e naturalmente da TrainingPeaks (che resta sempre il riferimento per molti).

Ad oggi, GoldenCheetah è utilizzato principalmente da chi effettua le autoanalisi, da chi preferisce usare un programma gratuito e da chi considera le performance legate esclusivamente ai numeri degli strumenti (misuratore di potenza, fascia cardio, rpm e i dati delle uscite). Cerchiamo di capire grazie al contributo di un ingegnere elettronico ed appassionato di informatica, Davide Sanzogni, conoscitore dei programmi di allenamento e analisi dei dati.

L’ingegnere Davide Sanzogni
L’ingegnere Davide Sanzogni
A chi si rivolge GoldenCheetah?

Parto da un dato di fatto. I numeri che fornisce un power meter, senza una corretta comprensione, non fanno andare più veloci, così come le linee colorate di un portale di analisi. Per questa ragione esistono i preparatori che offrono il loro tempo e la loro conoscenza agli atleti decisi a sviluppare il proprio potenziale. Loro in primis, e/o chi vuole utilizzare un programma open source gratuito, possono avvalersi di GoldenCheetah. Il portale, pur non essendo evoluto come Intervals.icu, raggiunge un buon grado di personalizzazione. Inoltre, il programma è indicato a chi non si accontenta i numeri sul computerino, ma decide di approfondire i propri allenamenti, in autonomia o con l’aiuto di un allenatore.

La curva della potenza
La curva della potenza
Quali vantaggi offre GoldenCheetah?

Come accennato in precedenza è gratis. Il secondo, forse meno importante, ma comunque da considerare è il fatto che è ancora supportato dai sistemi operativi Linux, oltre ad Apple e Windows. Negli anni il programma si è arricchito di funzionalità, quali l’accesso al cloud per scaricare i dati di allenamento da archivi come Google Drive o Strava. E’ comunque figlio di un’epoca diversa, ovvero quella dove c’era la quasi totale dipendenza da internet.

Lavora anche offline?

Esatto. Conserva la caratteristica di poter funzionare in maniera indipendente dalla rete. Tutto viene archiviato sul proprio computer ed i dati, volendo, possono essere scaricati direttamente dal proprio ciclo-computer collegato con un cavetto. Questo fattore è da considerare soprattutto per chi proviene dall’era analogica.

Di facile interpretazione la relazione tra il profilo della potenza ed il cuore
Di facile interpretazione la relazione tra il profilo della potenza ed il cuore
Le peculiarità di GoldenCheetah?

Permette facilmente di definire il profilo della potenza. E’ semplice estrapolare i propri valori di critical power e riferimenti anche senza test estremamente specifici. Questo non significa che sostituisce un preparatore, anche se porta dei vantaggi direttamente all’utilizzatore. Quest’ultimo può avere dei valori di riferimento per iniziare una sessione di allenamento specifico.

Non sostituisce il preparatore?

La costruzione di un programma training cucito sulle proprie esigenze è ben altra cosa. Così facendo però, l’atleta può iniziare un percorso conoscitivo che diventa molto utile nelle diverse fasi di crescita.

Fino a che punto può essere personalizzato?

All’interno di Golden Cheetah è possibile costruire o importare da terze parti, come ErgDB (una app utile anche per la valutazione fitness, salute ed educazione alimentare), sedute di allenamento calibrate sul modello di atleta che si è venuto a creare. Con un rullo interattivo collegato al PC, questo può essere direttamente controllato dal software garantendo la corretta esecuzione dell’allenamento.

Volendo fare una valutazione complessiva?

Considerando che è un portale gratuito, ritengo che il grado di customizzazione di GoldenCheetah sia nel complesso buono, affermazione che vuole essere parallela e non può dimenticare il profilo dell’utilizzatore. Se quest’ultimo non ha nessuna conoscenza dei pc, allora diventa complicato. Per gli allenatori di mestiere oggi può avere dei limiti, limiti che non c’erano 8/10 anni fa. Se l’utilizzatore è un atleta fai da te, GoldenCheetah è uno strumento ottimo e facile da usare.

GoldenCheetah

NEGLI ARTICOLI PRECEDENTI

Alla scoperta dei portali di analisi. Scopriamo Intervals.icu

Perché TrainingPeaks è il sito di riferimento? Cerchiamo di capire

Shimano Connect Lab, analisi facilitate e gestione completa del Di2

Il punto su Roglic: dopo Algarve, Catalunya e subito il Giro

28.02.2025
4 min
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Tra i grandissimi che si sono visti in corsa la scorsa settimana c’era finalmente anche Primoz Roglic. Lo sloveno è la grande stella annunciata del prossimo Giro d’Italia, il primo Grande Giro in programma. E’ chiaro, dunque, che ci fosse parecchia curiosità intorno a lui, tanto più che torna alla corsa rosa dopo averla vinta alla sua ultima partecipazione.

L’atleta della Red Bull-Bora-Hansgrohe ha esordito alla Volta ao Algarve e ne è uscito con un rincuorante ottavo posto. Ma “rincuorante” è un termine che va analizzato per bene. Al netto dell’acqua gettata sul fuoco, infatti, i 49” incassati da Vingegaard nei 19,6 chilometri della crono finale hanno un certo peso.

Roglic ha ritrovato il suo ex compagno (alla Jumbo-Visma) e amico, Jan Tratnik
Roglic ha ritrovato il suo ex compagno (alla Jumbo-Visma) e amico, Jan Tratnik

Quasi allarme

Roglic, come sempre, è parso sereno, mite… e di poche parole. Dopo la crono si è limitato a dire: «Mi sono divertito molto ed è stato bello. Non ho raggiunto il massimo e non sono stato il miglior Primoz in Algarve. Ho davvero deciso che era solo l’inizio della stagione e che ho ancora molto lavoro da fare».

Il che può anche starci. Chi deve andare forte al Giro (e poi anche al Tour) è normale che non sia già al top e che la condizione cresca progressivamente, ma il distacco resta importante. Il picco di forma Roglic dovrà toccarlo a maggio. Tuttavia ci sono alcuni aspetti da considerare.

Una cosa che ha colpito più di qualcuno è stato il comportamento della Red Bull-Bora nella seconda tappa, quella in salita. A un certo punto della frazione, quando ormai mancavano meno di 20 chilometri all’arrivo, Tratnik e un altro compagno hanno preso in mano la situazione, quasi a voler spianare il terreno a Roglic.

Tutto lasciava presagire un suo attacco. Poi, però, ad affondare il colpo sono stati altri: Almeida e Christen, entrambi della UAE Emirates, e Primoz si è trovato a correre di rimessa. Ecco dunque un primo indizio che qualcosa non ha funzionato. O non è andata secondo le aspettative.

Roglic durante i test in pista a Mallorca (foto Instagram)
Roglic durante i test in pista a Mallorca (foto Instagram)

Verso il Giro

Roglic e la Red Bull hanno previsto un avvicinamento al Giro d’Italia con grandi volumi di allenamento, anche in altura, e poche gare. Oltre all’Algarve, Primoz prenderà parte solo al Catalunya. E’ chiaro, dunque, che in Portogallo fosse davvero lì per “allenarsi”.

«Mancavo dall’Algarve da un po’ – ha detto Roglic – bisognava pur iniziare da qualche parte. Per me questa è stata una semplice corsa per cominciare a mettere i primi chilometri di gara nelle gambe. Sono venuto anche per la crono finale che era importante per noi. Come è andata? Io sono tranquillo: sono esattamente dove dovevo essere».

Che sulla crono ci fosse grande interesse è vero. E questo non solo ai fini della prestazione, ma anche per verificare le piccole modifiche effettuate durante l’inverno. Roglic e Specialized hanno lavorato anche in pista.

Lo sloveno ha chiuso la crono all’11° posto e la generale all’8° a 53″ da Vingegaard
Lo sloveno ha chiuso la crono all’11° posto e la generale all’8° a 53″ da Vingegaard

Quasi come nel 2023

Da casa Red Bull-Bora e lo stesso Roglic non sono arrivate grandi dichiarazioni. E allora si possono generare dei ragionamenti. Fare solo due gare prima del Giro è una bella scommessa. Questo perché Roglic vuole fare anche il Tour e, da quel che trapela, non per andare a caccia di tappe. Lo sloveno e il suo staff vogliono quindi limitare al massimo gli sforzi “non controllati”, come ormai i preparatori chiamano le gare, e gestire invece i volumi e i carichi in allenamento.

A questo punto però viene da chiedersi se davvero potrà funzionare in vista del Giro: a 35 anni suonati, solo 12 giorni di corsa in totale, l’ultimo dei quali a 39 giorni dall’inizio della corsa rosa sono pochini. Va però detto che anche nel 2023, quando poi conquistò la maglia rosa, fece un percorso simile, con la Tirreno al posto dell’Algarve, per un totale di 14 giorni di gara. Probabilmente questa scelta è stata fatta per gestire l’altura in modo differente, cosa che potrebbe essere un passaggio chiave sulla via del successo.

«La strada è quella giusta – ha detto Primoz a botta calda alle TV dopo la crono – non ero al top, ma mi sono sentito bene». Diamogli fiducia, dunque. Il distacco nella crono, dicevamo, non è stato poco, però è anche vero che nel duro strappo finale lo sloveno è stato il più veloce. Ha guadagnato 3” anche su Vingegaard e questo ha dato una piccola, forse grande, spinta morale.

Fiandre e Roubaix: quanto conta la squadra? L’opinione di Tafi

28.02.2025
5 min
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In una recente intervista rilasciata alla testata belga Het Nieuwsblad, Tiesj Benoot ha parlato dei piani della Visma-Lease a Bike per le prossime classiche di primavera. Tra le altre cose Benoot ha espresso la convinzione che la sua squadra sia la più attrezzata ad affrontare le gare del Nord, soprattutto il Fiandre e la Roubaix.

A partire ci siamo posti una domanda: ma quanto conta la squadra al Giro delle Fiandre e alla Parigi-Roubaix? Conta più in una rispetto che in un altra? Per provare a rispondere abbiamo raggiunto al telefono Andrea Tafi, l’unico corridore italiano ad aver vinto queste due classiche monumento, la Roubaix nel 1999 e il Fiandre nel 2002.

Andrea Tafi è stato un grande uomo da classiche: qui il suo allungo alla Roubaix del 1999
Andrea Tafi è stato un grande uomo da classiche: qui il suo allungo alla Roubaix del 1999
Andrea, andiamo dritto al sodo. Quanto conta la squadra sulle pietre?

Tantissimo, in entrambe le gare. Si tratta di competizioni molto diverse naturalmente, ma alla fine la difficoltà è quasi uguale, cioè molto alta. E quando le gare si fanno dure essere in una grande squadra fa la differenza.

Quindi non vedi differenza tra le due per quanto riguarda l’importanza del lavoro tra compagni?

Il pavè della Roubaix tende a fare selezione naturale, o sei portato o no. Mentre il Fiandre è più una gara normale, passami il termine, devi essere forte ma anche intelligente nel dosare le forze e arrivare ancora fresco nei momenti decisivi. In entrambi i casi la squadra è fondamentale e senza non si va da nessuna parte. Per esempio io l’anno in cui ho vinto il Fiandre ho avuto un grande Daniele Nardello che mi ha protetto quando sono scattato nel finale. Ma lo stesso l’anno della Roubaix, la differenza l’hanno fatta i compagni che erano dietro di me.

Parigi-Roubaix 2024, Mathieu Van der Poel a ruota di Gianni Vermeersch
Parigi-Roubaix 2024, Mathieu Van der Poel a ruota di Gianni Vermeersch
Quasi più un aiuto passivo che attivo…

Ma non si tratta di un aiuto passivo, anzi. Quando alla Roubaix sono scattato a 46 km dall’arrivo l’ho fatto sapendo che alle mie spalle avevo corridori che mi avrebbero protetto in tutti i modi, e così è andata. In quelle corse sono aspetti davvero fondamentali. Faccio un altro esempio. Durante la Parigi-Bruxelles del ‘96 un certo Johan Museeuw è venuto da me e mi ha detto: «Vai, qui ci penso io». L’ho ascoltato e lui ha fatto di tutto per tamponare gli attacchi e poi infatti è arrivata la mia vittoria.

Un po’ quello che ha fatto Philipsen con Van Der Poel alle ultime due Roubaix. La vostra Mapei era davvero una corazzata, rimane leggendario il podio monocolore del 1996. Come si gestiva tutta quella qualità?

Eravamo un mix molto ben equilibrato e dentro la squadra c’era molta voglia di fare, è quella che ci ha portato ai successi. Partivamo in diversi che se la potevano giocare, poi faceva il capitano chi era più in condizione.

Tra gli anni ’90 e i primi 2000 la Mapei dominava nelle classiche: qui il famoso arrivo in parata alla Roubaix del ’96: 1° Museeuw, 2° Bortolami, 3° Tafi
Tra gli anni ’90 e i primi 2000 la Mapei dominava nelle classiche: qui il famoso arrivo in parata alla Roubaix del ’96: 1° Museeuw, 2° Bortolami, 3° Tafi
Quindi si decideva anche durante la corsa?

Certo, appunto perché eravamo una squadra fortissima era difficile fare una previsione prima di partire. Non potevi dire a Museeuw, a Ballerini e forse neanche a me di lavorare per un altro. Si davano le indicazioni sul bus e poi si vedeva, decideva la strada. Ma sempre con grande spirito di squadra. Per esempio l’anno in cui ho vinto il Fiandre non dovevo essere io il capitano, ma le situazioni di corsa ci hanno portato a cambiare strategia. E’ anche vero che forse ce lo potevamo permettere.

Torniamo ai tempi d’oggi. Sei d’accordo con Benoot sul fatto che la Visma sia la squadra più attrezzata per le pietre?

Sicuramente sono forti, ma non sono i soli. In generale le squadre belghe e olandesi, come la Alpecin-Deceuninck di Van Der Poel, sono le più forti perché quella è casa loro, conoscono le strade, molti corridori abitano lì, e in generale ci tengono moltissimo. Secondo me però ci saranno anche altre formazioni da tenere d’occhio, delle outsider, come la Tudor di Cancellara, uno che da quelle parti ha fatto grandi cose.

Secondo Tafi una delle sorprese di questa primavera potrebbe essere la Tudor Pro Cycling, magari con Alaphilippe al Fiandre
Secondo Tafi una delle sorprese di questa primavera potrebbe essere la Tudor Pro Cycling, magari con Alaphilippe al Fiandre
Magari con Alaphilippe al Fiandre?

Perché no. Lui certamente ha voglia di riscatto, di rifarsi dopo gli ultimi anni sfortunati. La Tudor sta facendo i giusti step, un passo alla volta, sono convinto che possano fare bene. Poi come si sa, le gare le fanno i corridori e non si può mai sapere. Anche perché le corse importanti iniziano adesso, da ora in poi si vedrà un po’ alla volta la condizione con cui i vari protagonisti arriveranno ai grandi appuntamenti.

Quindi non ci dai un pronostico per le due classiche monumento sulle pietre? 

Secondo me adesso è ancora troppo presto, non si può dire. Ma la Milano-Sanremo potrà già darci delle indicazioni e allora ne sapremo qualcosa di più.