Ancora un mese prima del debutto. Qualche giorno a casa, poi Trentin andrà sul Teide a prepararsi per la Omloop Het Nieuwsblad da cui inizierà la quattordicesima stagione da professionista. Il trentino è a Monaco e dopo il suo allenamento di cinque ore, ne ha fatta una in più sulla mountain bike assieme al figlio Giovanni. Nel frattempo il Tudor Pro Cycling Team ha iniziato l’anno col passo giusto, vincendo con l’atteso Hirschi e il sorprendente Florian Stork.
«La squadra sta evolvendo bene – dice col tono posato (in apertura Trentin nella foto Tudor Pro Cycling) – sono stati fatti dei begli acquisti. Grossi nomi, gregari di esperienza come Haller e ragazzi dal vivaio. E’ una squadra che vuole crescere, ma sappiamo che c’è tempo per diventare WorldTour, quindi si possono fare dei bei passi ragionati».
Preparazione mirata
Intanto si lavora, ogni anno cambiando qualcosa, perché non puoi pensare di fare sempre lo stesso e pretendere che funzioni. La chiave cui fanno ricorso gli allenatori è proprio questa: introdurre ogni anno le variazioni che stimolino aspetti su cui c’è ancora margine.
«Il mio preparatore – spiega Trentin – ha riguardato l’andamento delle classiche 2024 e abbiamo basato il lavoro di forza della prossima primavera sulle esigenze delle corse che dovremo fare. Se vinco, significa che ci ha preso. Quello che c’è di diverso quest’anno è anche che con l’arrivo dei grossi nomi, in squadra c’è l’entusiasmo di correre per capitani che possono vincere e questo stimola tutti e fa sì che il punteggio della squadra cresca. Poi è chiaro che correndo in una professional, si debbano attendere gli inviti e la prossima è la settimana delle wild card. Saremo alla Roubaix, che per me potrebbe essere un obiettivo, cercando di avere l’avvicinamento più adatto. Confido che le idee si schiariscano a breve, anche chi organizza le corse sarà ansioso di sapere quali corridori avrà al via. Intanto vado in altura l’8 febbraio e ci resterò fino al 22».
La politica immobile
Non sono rimasti tanti i corridori del 1989 ancora in gruppo, quelli che resistono sono uomini che lasciano il segno come Matteo oppure Ulissi, mentre intorno il gruppo si riempie anno dopo anno di facce nuove che arrivano e spesso se ne vanno.
«L’esperienza paga – sorride sornione – anche se il ciclismo si è spostato verso i giovani, ha fame di volti nuovi. Costringono gli allievi a passare in grandi squadre juniores, dove devono andare come pro’. E se non passi entro due anni, non ti guarda più nessuno. E’ un concatenarsi di cose, che coinvolgono i team manager e i procuratori. Il problema è che perderemo tanti ragazzi. Se ne parla, ma è una cosa che non cambia. Come pretendere di ottenere rispetto sulle strade. L’unico modo perché qualcuno si muova è che tirino sotto il figlio di qualche politico, sembra brutto da dirsi, ma ci sono morti di serie A e morti di serie B. Solo quando vengono colpiti da vicino, si muovono subito».
I corridori non parlano
Il tema è caldo, la frase è brutale e descrive l’esasperazione di chi ci ha messo più volte la faccia e si è visto ricambiare con il silenzio. La morte di Sara Piffer è ancora nell’aria, trentina come Matteo che ammette di avere quasi fastidio a leggere i notiziari per il dolore di ogni volta e il fastidio per il silenzio degli altri.
«Perché i corridori non dicano nulla – commenta Trentin – sarebbe una domanda da fare a chi non dice mai niente. I corridori e anche gli organizzatori, ci vorrebbe poco a mettere da tutte le parti un cartello per il rispetto dei ciclisti. Tutto il mondo del ciclismo deve metterci la faccia, tutti insieme. Come i ferrovieri italiani, che stanno facendo come i francesi, si stanno fermando tutti. Ma la situazione non è solo italiana, anche in Spagna quest’anno l’abbiamo rischiata più di una volta. Anche là si vede che hanno mollato l’attenzione, mentre prima erano più attenti. Il solo modo per stroncare certe abitudini è fare multe pesanti, toccarli nelle tasche, ma è qualcosa che faticano a fare per paura di non essere rieletti. Hanno paura a chiudere i centri e imporre il limite dei 30 all’ora, senza rendersi conto che nelle città in cui è stato fatto, la gente è contenta. Come qui a Monaco. Cosa ci vorrebbe a lasciare le auto a casa e usare i mezzi pubblici? Invece tutti reclamano il loro diritto a usare l’auto e la città è bloccata. Solo che continuo a ripetere le stesse cose da anni e ci credo poco che possano cambiare…».