CoachPeaking, il software tutto italiano per analizzare il training

12.03.2025
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CoachPeaking è un portale, una app ed un software sviluppato completamente in Italia e gestito (ma anche utilizzato) da eccellenze nell’ambito dello sport service, dell’informatica e della nutrizione.

Con grande piacere chiudiamo la collana informativa con un soggetto italiano, approfondimenti che hanno argomentato alcuni dei portali di analisi dei dati più utilizzati. Intervals.icu e TrainingPeaks, Shimano Connect Lab e GoldenCheetah, usati da allenatori, ma anche da diverse tipologie di utenza. Per meglio contestualizzare CoachPeaking abbiamo chiesto a Fabrizio Tacchino, tecnico FCI, uno dei primissimi in Italia (se non il primo) ad avere utilizzato una piattaforma di analisi dei dati così come le conosciamo oggi (periodo 2007/2008 a ridosso delle Olimpiadi).

Un team di super esperti alla base di CoachPeaking
Un team di super esperti alla base di CoachPeaking

CoachPeaking, obiettivo gestione avanzata del training

L’obiettivo di CoachPeaking è fornire una gestione avanzata del training (non è specifico solo per il ciclismo), semplificare la lettura e le seguente interpretazione dell’allenamento, fornire analisi avanzate di semplice consultazione. CoachPeaking è uno strumento in evoluzione, flessibile ed intuitivo che si adatta alle diverse esigenze di atleti e allenatori di professione.

Un percorso lungo 30 anni

«Premetto che ho iniziato ad occuparmi di allenamenti e di come fare crescere gli atleti – racconta Tacchino – a partire dal 1995, anno in cui ho presentato la tesi di laurea. Con una lacrima, ma con tanta soddisfazione per quello che ho ottenuto sotto i profili umano e personale di professionista del settore, credo di essere uno dei preparatori in attività con un monte ore piuttosto importante. Ho visto crescere e cambiare il mondo del training, la categoria dei preparatori, in un periodo relativamente breve si è passati dall’era analogica a quella digitale.

«In quegli anni esisteva l’SRM – prosegue Tacchino – che nessuno sapeva usare e sfruttare, considerando inoltre che non c’erano strumenti per leggere quello che un SRM faceva. La tecnologia per captare l’allenamento era Polar e la piattaforma di atterraggio/esplosione dei dati era PrecisionPerformance. C’era il test Conconi, si faceva in pista e si basava su frequenza cardiaca e velocità rilevata. Cos’era un Garmin? I dati dei corridori si memorizzavano sul calendario di carta, che non di rado si rubava al parrucchiere, dal macellaio, dal negoziante di fiducia del paese. Tra il 1995 e il 2000 è iniziata un’evoluzione graduale».

Fabrizio Tacchino, piemontese, è da anni un tecnico formatore nell’orbita della Federazione
Fabrizio Tacchino, piemontese, è da anni un tecnico formatore nell’orbita della Federazione

«Si entra nell’era del ciclo-mulino e dei primi simulatori – prosegue Tacchino – dei primissimi rilevatori che non memorizzavano i dati, oltre a considerare i limiti dell’informatica di allora. C’erano a monte delle formule di calcolo pazzesche che davano comunque risultati corretti, se riportati ai contesti moderni. Compaiono i primi rulli con il power meter integrato, ma i calcoli dei watt erano indiretti e non consideravano i picchi potenza».

Quando si è iniziato realmente con i portali di analisi?

A ridosso delle Olimpiadi di Pechino, poco prima del 2008. In quel periodo entro in contatto con il sistema WKO. Aveva un costo importante e allora Training Peaks era semplicemente un piccolo aggregato di WKO. Cosa è diventato TrainingPeaks lo vediamo tutti. VKO ha migliorato sensibilmente la gestione degli atleti, ma c’erano delle limitazioni, c’era la necessità di essere più rapidi e precisi nell’accumulo dei dati e nelle analisi.

E’ facile pensare che all’epoca ci fossero dei limiti, è così?

Era possibile controllare in modo adeguato un numero massimo di 20 atleti. Si riportavano i dati a mano, non tutti avevano la casella di posta elettronica e gli strumenti di rilevazione erano per pochi. In pochi anni abbiamo visto cosa è successo ed i watt, con tutto quello che gli gira attorno, sono diventati alla base di tutto.

Il portale include anche una pagina blog informativa e di divulgazione, parecchio utile
Il portale include anche una pagina blog informativa e di divulgazione, parecchio utile
Diverse piattaforme a disposizione, perché usi CoachPeaking?

Dal 2021 uso CoachPeaking, un portale per atleti e coach, sviluppato per facilitare la traduzione degli allenamenti. Dal punto di vista del preparatore uno dei vantaggi di CoachPeaking è la gestione differenziata del training, che può essere individuale, molto usata nell’ambito del triathlon, oppure individuale e come team, più usata nel ciclismo.

Cosa significa?

Cercando di semplificare, significa che il portale isola gli allenamenti individuali e permette al tempo stesso di fare dei confronti tra più corridori, con una lettura facile e dall’interpretazione lampante. La facilità di avere tutti i dati sotto controllo per effettuare i confronti, è solo uno dei vantaggi e delle particolarità di CoachPeaking.

Sono diverse le occasioni in cui Tacchino tiene corsi di formazione
Sono diverse le occasioni in cui Tacchino tiene corsi di formazione
Altri vantaggi da sottolineare?

Uno dei passaggi più complicati, lunghi e laboriosi per un allenatore di mestiere è la creazione del database. Oggi impossibile fare senza. Ci vogliono anni quando si parte da zero ed anche quando si è esperti, mantenere adeguatamente aggiornato un archivio non è cosa semplice. CoachPeaking ha un database di semplice gestione, un dettaglio tutt’altro che secondario. Perdere i dati oggi è la cosa peggiore che può capitare ad un allenatore, ma anche ad un corridore.

E’ sviluppato da esperti italiani?

CoachPeaking si sviluppa sulla base di feedback di utenti esperti, ma si è evoluto ed è ancora in evoluzione perché utilizza i riscontri provenienti da più direzioni. E’ aggiornato con le tendenze di analisi e valutazioni più richieste. Al contrario di TrainingPeaks è adattato ad un contesto italiano, che ha richieste diverse rispetto agli anglosassoni, per lettura ed interpretazione. Mi piace definire CoachPeaking un’evoluzione di SelfLops, più moderno e meglio adattato.

Si crea una sorta di storico con i record prestazionali dell’atleta
Si crea una sorta di storico con i record prestazionali dell’atleta
I portali di analisi, una categoria che deve ancora raggiungere il suo picco evolutivo?

Direi di sì. Spero in un futuro dove l’analisi e la categorizzazione di ogni singolo allenamento sia ancora più facile e automatica. Non voglio dire che il programma deve sostituire le capacità del preparatore, ma alla possibilità di sfruttare una piattaforma come questa per costruire i programmi di training al pari di una struttura fatta con i Lego.

Cosa vuoi dire?

Ogni specificità si dovrà intersecarsi automaticamente con le altre, riducendo i margini di errore. Tradotto, un maggiore e migliore controllo per l’allenatore grazie a training classificati, ma anche una scaletta di allenamenti specifici adeguati alle caratteristiche e alla crescita degli atleti.

CoachPeaking

Primavera Rosa, vent’anni fa la Sanremo donne c’era già

12.03.2025
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Fu una lettera a firma di Angelo Zomegnan, in quel periodo Responsabile Ciclismo di RCS Sport, a chiudere definitivamente la porta sulla Primavera Rosa, gara per donne che RCS Sport organizzò per sei anni sul percorso della Classicissima. Da Varazze a Sanremo, antesignana della Milano-Sanremo Donne che sabato prossimo incendierà nuovamente il gruppo delle ragazze. Era il 2006, il ciclismo femminile era racchiuso in una nicchia in penombra e nella lettera erano indicati fattori inoppugnabili. Non si erano trovati sponsor e la città di Sanremo non era interessata alla gara femminile. L’unico modo per non staccare la spina sarebbe stato moltiplicare per 10 in contributo del Comune di Varazze: ipotesi che nella stessa lettera arrivata da Milano venne ritenuta eccessiva e irriguardosa.

Fu così che l’edizione del 2005 fu l’ultima della breve serie. Fra le sei vincitrici, una sola italiana – Sara Felloni – poi le più grandi campionesse dell’epoca. Diana Ziliute, Susanne Ljungskog, Mirjam Melchers, per due volte Zulfia Zabirova e Trixi Worrack (in apertura la sua vittoria nel 2005, l’ultima).

Quando si è iniziato a parlare della Milano-Sanremo Donne, che cade a vent’anni esatti dall’ultima Primavera Rosa, a Varazze qualcuno si è fatto il sangue amaro. La città aveva investito, organizzato premi giornalistici e serate a tema. La facilità con cui venne tutto cancellato è rimasta come una ferita, così non tutti quelli che direttamente la organizzavano nella città ligure hanno voluto parlarne. Si è offerto Mario Prato, che allora era un ragazzo e ci guida in questa ricostruzione del tempo andato.

Cos’era la Primavera Rosa?

Fu la mia prima occasione di venire a contatto con il ciclismo femminile. Una sorpresa, perché abbinare 25 anni fa una corsa di ragazze a un monumento come la Sanremo, fu un bel gesto di lungimiranza. Tutti si chiedevano se l’Aurelia sarebbe stata chiusa più a lungo, perché qui questo è il problema più grosso. Sapevamo che nel resto dell’Europa le corse femminili stavano nascendo accanto alle grandi classiche, quindi poteva essere un’occasione di rilancio del territorio. Peccato che televisivamente non venisse assolutamente considerata.

Non c’era la diretta?

Se ti andava bene, avevi l’arrivo in differita. A seconda di quello che succedeva, lo accantonavano e lo facevano vedere dopo quello dei maschi. Per le fasi di partenza avevamo un po’ di copertura dalla RAI regionale. Il ritorno di immagine era quasi nullo e forse erano più i disagi che i vantaggi per le questioni di viabilità, il numero di posteggi che diminuiva e tutto il resto. Però era il nostro grande evento.

Importante quindi per Varazze?

Molto e per questo meritava di essere più valorizzato. Forse la Gazzetta non aveva interesse perché il ciclismo femminile di 25 anni fa non era ai livelli di ora, mentre adesso c’è chi farebbe a pugni per organizzare una corsa di donne. All’epoca, se potevano, ti mettevano i bastoni fra le ruote. Pochi conoscevano le atlete. A parte qualcuna dell’Est o le olandesi, non c’erano nomi di spicco da sfruttare per avere un ritorno d’immagine.

Però Varazze ci aveva costruito parecchi eventi attorno…

Secondo me il problema grosso è stato che Varazze si è impossessata di questo avvenimento. Ok, la Gazzetta lo organizzava, ma Varazze si sentiva importante e quindi aveva costruito una serie di eventi che hanno prodotto un dolore anche maggiore quando si decise di non farla più. Se la città si fosse limitata con il distacco necessario a schierare quattro vigili, liberare lo spazio, mettere le transenne e quello che serve, a farla o non farla, non sarebbe cambiato molto. Invece la città si sentiva molto coinvolta, anche grazie a Carlo Delfino, che quando ha un obiettivo diventa una locomotiva.

Che cosa intendi?

Mi ricordo una tirata d’orecchie da parte di Sergio Meda, che curava l’ufficio stampa di RCS, perché come Varazze mandavamo comunicati stampa e lui ci invitò a frenare gli entusiasmi e non continuare a mandare cose a nome della Primavera Rosa. Varazze la sentiva come una cosa molto sua e quando eravamo tutti pronti per la settima edizione e invece RCS disse di no, la delusione fu enorme. Il problema principale erano i soldi, Varazze da sola non sarebbe stata probabilmente in grado di proseguire. Si fa presto a dirlo, ma tante manifestazioni nascono e muoiono proprio per la questione economica, contro cui spesso l’entusiasmo si infrange.

Ora arriva la Milano-Sanremo Donne, senza continuità con quanto si fece in quegli anni: come l’avete presa?

Sicuramente avrebbe fatto piacere un coinvolgimento sul territorio, anche col fatto che la Liguria è Regione Europea dello Sport. Ovvio che in questi casi Genova è madre e matrigna. Da una parte si è accollata la partenza della Milano-Sanremo Donne, dall’altra non ha dato i soldi al Trofeo Ponente in Rosa, che è stato cancellato. Il Comune di Genova per giunta è commissariato, perché è senza sindaco, chi ha deciso di dare i soldi per una corsa e non per l’altra?

Un premio per il giovane Mauro Vegni e Antonello Della Corte di RCS Sport, con il sindaco Giovanni Busso
Un premio per il giovane Mauro Vegni e Antonello Della Corte di RCS Sport, con il sindaco Giovanni Busso
C’è un’edizione della Primavera Rosa che ricordi di più di altre?

Ovviamente la prima, perché fu il mio debutto con la macchina accreditata. Feci il percorso davanti con radio corsa. Ero appena sposato e avevo coinvolto mia moglie a fare l’interprete sul palco alla presentazione delle squadre. Poi, bene o male, le altre le metto tutte sullo stesso piano. Ho un ricordo bellissimo di quando vinse Trixi Worrack. Era l’ultima edizione, ma non lo sapevamo ancora. Lei poi ebbe un brutto incidente, ricordo che dopo l’arrivo aveva aspettato le compagne e le aveva abbracciate tutte

Cosa ti pare del ciclismo femminile di oggi?

Abbiamo campionesse come Elisa Longo Borghini, Guazzini o Balsamo, giusto per fare tre nomi che attirano l’attenzione. Un po’ quello che sta facendo la Brignone nello sci, perché se non ci fosse lei, penso che lo seguirebbe ben poca gente. A quel tempo mancavano i personaggi. C’erano sicuramente degli atleti di valore, però erano esponenti di uno sport di nicchia. Oggi sono anche loro delle star.

Sissio Team, il bell’avvio di stagione che viene da lontano

12.03.2025
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Una vittoria, un terzo e due top 5 in due weekend di gare. Per contestualizzare il buonissimo inizio di stagione del Sissio Team bisogna tornare indietro di un anno e mezzo, quando il general manager Marco Toffali ha deciso di premere il tasto “reset” creando una piccola, grande rivoluzione.

Rispetto al recente passato, alle soglie della sedicesima annata di attività, ora la società di Pastrengo – il cui nome è stato inventato con le iniziali dei suoi fondatori – può ragionare più in grande grazie ad un obbligato e radicale cambio di mentalità. Dopo la discussa tappa dello Stelvio al Giro NextGen 2023, Marco Toffali si è preso le sue responsabilità, pagando forse la troppa fiducia riposta in altre persone, ma reinventando contestualmente la propria squadra. Ce lo racconta lui fino ad arrivare ai risultati di questo inizio di 2025.

Marco Toffali si gode la vittoria di Cordioli. La sua squadra ha cambiato mentalità e approccio (foto Sissio Team)
Marco Toffali si gode la vittoria di Cordioli. La sua squadra ha cambiato mentalità e approccio (foto Sissio Team)

Punto di non ritorno

Il 14 giugno di due anni fa è stato il momento peggiore per il Sissio Team e per le tante altre formazioni coinvolte in quella sciagurata scalata al Re Stelvio. Quella circostanza però è stata la classica sliding door per il destino della squadra veronese. Affondare o rinascere? Marco Toffali ha pianificato la seconda soluzione ed oggi riesce a spiegarlo con più serenità perché ormai non è più un nervo scoperto come prima.

«Quel giorno – dice l’ex pro’ ad inizio anni ’90 con la Jolly Componibili – abbiamo pagato responsabilità importanti, mie e dei miei collaboratori. Quella lezione mi è servita per capire tante cose che forse davo per scontate. Non mi sono tirato indietro ed ho voluto prendere in mano io tutta la situazione. Visto che non si poteva fare subito, a fine 2023 doveva cambiare tutto. Prima lasciavo un po’ di libertà di manovra a chi lavorava con me, adesso devono per forza avere la mia autorizzazione per qualsiasi cosa. E’ vero che ho più pressioni e ulteriori responsabilità rispetto a prima, ma se uno vuole essere un buon manager deve avere tutto sotto controllo direttamente».

La nuova vita del Sissio

Toffali non è solo il diesse o il general manager del Sissio Team, ma un autentico factotum. Il suo voler cambiare ha toccato anche i colori sociali. In gruppo i suoi atleti erano riconoscibili per una divisa totalmente arancione con inserti verdi, dall’anno scorso la livrea è bordeaux e bianco perla. Ben visibili anche ora in gruppo, come dicono i risultati.

«Volevo dare un taglio netto – prosegue – e il cambio della nostra divisa è stato un altro passaggio importante. In questi due anni ho voluto dare una svolta alla mentalità ed anche ai lavori in allenamento. Ad esempio nell’ultimo inverno fino a Natale abbiamo fatto meno chilometri rispetto alla concorrenza perché abbiamo privilegiato maggiormente il lavoro in palestra. Ora vediamo i rapporti che si usano dai pro’ in giù. Anche noi ci siamo adeguati con le dovute proporzioni e ormai il 54×11 è la base minima nella nostra categoria. Il segreto è saper tirare un rapporto duro facendolo girare forte, se mi concedete questa spiegazione (dice sorridendo, ndr)».

I ragazzi del Sissio hanno lavorato tanto in inverno sia in palestra che in strada, con uscite anche da 200 chilometri
I ragazzi del Sissio hanno lavorato tanto in inverno sia in palestra che in strada, con uscite anche da 200 chilometri

«Abbiamo successivamente lavorato sullo specifico – va avanti Toffali – facendo tanto fondo, poi richiami di forza in bici, velocizzazione, variazioni di ritmo. Non ci siamo risparmiati in allenamento e il merito va ai ragazzi perché quest’anno gli sono stato addosso più del dovuto, anche dialogando tanto, ma solo per essere sempre sul pezzo con loro.

«Siamo contentissimi naturalmente perché stiamo già raccogliendo i frutti del nostro lavoro, poi certo, anche la fortuna conta. Fino a maggio vorrei che continuassimo con questo approccio, magari meritandoci a suon di risultati la chiamata al Giro NextGen, con cui abbiamo un conto in sospeso che vorremmo saldare. Se lo correremo, ci prepareremo a dovere. In caso contrario, staccheremo un po’ e riprenderemo la preparazione per la seconda parte di stagione».

Cordioli profeta in patria

L’uomo franchigia del Sissio Team, come direbbero in NBA, è Gianluca Cordioli. Non solo perché è al terzo anno negli ultimi quattro (nel 2024 era alla Trevigiani) o perché è l’atleta che è cresciuto di più risultati alla mano, ma perché in quel Giro NextGen fu l’unico ad arrivare in fondo con le proprie gambe. Una piccola impresa per lui, il ragazzo giusto su cui puntare per essere protagonisti. E alla seconda gara stagionale, Cordioli ha vinto nella sua Volta Mantovana.

«Corro da quando ho 6 anni – spiega il classe 2001 – e dove abito io c’è sempre stata una gara per le varie categorie. Ci avevo vinto solo da G6, ma questo successo ha tutto un altro sapore. Ci tenevo molto ad arrivare davanti, però non ero convinto di fare bene non per la pressione di correre in casa, ma perché il giorno prima avevo disputato il Memorial Polese. Invece sono rientrato in una fuga di sette uomini e nel finale siamo rimasti in tre. Conoscendo a memoria le strade, sapevo che dovevo prendere l’ultima curva in testa per non correre rischi allo sprint. Ho sfruttato le mie doti di passista veloce e mi è andata bene, ma molto merito va ai miei compagni che hanno protetto la mia azione conclusiva».

Cambio di passo

Sembra passato un secolo dal 2023 sia per lui che per la sua squadra. Gianluca è il corridore più esperto dei dodici in organico e sa che questa stagione può essere determinante per il suo futuro. E’ un elite del secondo anno e per il ciclismo vorticoso di adesso potrebbe essere considerato già vecchio, ma vuole pensare solo a fare il meglio possibile.

«Sono maturato tanto rispetto a due anni fa – continua – sia fisicamente che mentalmente. Ad esempio grazie alla mia fidanzata Alessia (Vigilia della FDJ-Suez, ndr) ho capito come alimentarmi meglio sia come quantità che come tempistiche. Lei ed io ci alleniamo spesso assieme e soprattutto ci confrontiamo tanto. Poi ho capito quanto la testa faccia la differenza.

«Essere più consapevoli dei propri mezzi ti fa tenere duro nei momenti in cui prima saltavi. Ovviamente vorrei fare una bella stagione, soprattutto in termini di continuità, che è ciò che mi aveva maggiormente contraddistinto in passato. Non ho procuratori, però l’obiettivo è quello di riuscire a strappare un contratto tra i pro’. Cercherò, e spero, di farmi notare».

Il rilancio di Leali

Un altro mantovano che si è trovato a suo agio nel Sissio Team è Stefano Leali. Alla prima stagionale a Fucecchio ha centrato un bel terzo posto, seguito dalla sesta piazza a Volta Mantovana. In pratica in due settimane ha fatto meglio dei due anni precedenti tra Zalf e General Store prima.

«Sono arrivato al Sissio – ci dice il ventunenne di Curtatone – all’ultimo dopo la chiusura della Zalf e non sapevo se avrei continuato a correre. Qui, grazie a Marco Toffali, ho trovato un ambiente famigliare e sereno, che mi ha consentito a ottenere questi piazzamenti. Quest’inverno avevo in testa solo a volermi riscattare e ho lavorato sodo per questo. Marco poi è una tecnico che ti motiva tantissimo e mi ha trasmesso una mentalità diversa. Non pensavo di iniziare così bene, sia personalmente che collettivamente. Mi piacerebbe poter correre il Giro NextGen (che ha corso nel 2024, ndr), ma se il Sissio non dovesse essere chiamato, allora cercherei di guadagnarmi la convocazione con la nazionale U23. In ogni caso noi restiamo concentrati sui nostri obiettivi».

Simulazioni da 12′ con punte a 70 all’ora. Dietro la vittoria di Ganna

12.03.2025
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Undici chilometri e 500 metri pedalati a 56,174 di media oraria. In pratica Filippo Ganna li ha volati. Ci riferiamo chiaramente alla cronometro individuale d’apertura della Tirreno-Adriatico, che ha segnato il successo numero 34 (su strada) per il campione della Ineos Grenadiers.

Un successo fortemente voluto, una rivincita verso lo smacco, se così possiamo dire, subito da Juan Ayuso un anno prima proprio a Camaiore. Anche se per Pippo non si trattava di rivincita (lui è molto più signore di noi!) ma di fare bene a prescindere. Una vittoria figlia del lavoro certosino che Ganna porta avanti con metodo, sia su strada che in pista. E proprio nel velodromo di Montichiari il piemontese ha affinato la sua condizione prima della corsa dei due mari. Un richiamo necessario, sotto l’occhio attento di Marco Villa, il suo mentore e ben più che un cittì per Pippo.

Ganna con Villa, il cittì e il piemontese hanno un rapporto profondo, così come con Cioni
Ganna con Villa, il cittì e il piemontese hanno un rapporto profondo, così come con Cioni

Il “metodo Montichiari”

E questa voglia di gareggiare al top è nata già qualche settimana prima della Tirreno, quando Ganna ha deciso di andare a Montichiari, nella “tana della sicurezza”, per rifinire la condizione. Lì, con Marco Villa, ha ripreso alcuni punti fermi del suo metodo.

«Io credo che ormai si sia appurato un sistema di allenamento, un richiamo in pista – spiega Villa – Anche questa volta, giovedì scorso, Pippo ha chiesto di farlo. Non è solo una questione di migliorare qualcosa ogni volta, ma di avere dei punti di riferimento chiari. Abbiamo un sistema di allenamento collaudato con Ganna e lo seguiamo».

La preparazione in pista non serve solo per il ritmo e la cadenza, ma anche per testare alcuni dettagli tecnici, come la posizione in sella. «Quest’anno Ganna ha rivisto un po’ la posizione – conferma Villa – Pippo ha ritoccato qualcosina, questo perché è sempre alla ricerca di un miglioramento. Qualche idea arriva dai suoi tecnici aerodinamici, qualche altra dalle nuove regole e dai materiali e qualcuna da lui stesso. Quando può, cerca di aggiornarsi.

«Però, rispetto allo scorso anno, una novità c’è stata: la regola che consente ai corridori più alti di un metro e 90 centimetri di adottare un assetto più allungato. Sfruttando questa regola Ganna ha visto che poteva mettersi un po’ più comodo».

Assetto più comodo

E qui bisogna far intervenire un altro interlocutore di assoluta eccellenza, Matteo Cornacchione, il meccanico di Ganna. Cornacchione ci ha confermato alcuni aspetti determinanti a partire da quei due centimetri in meno sotto alla protesi del manubrio.

«Confermo – dice Cornacchione – che abbiamo tolto degli spessori e che Pippo si sia abbassato. Sono stati due centimetri. Ma non solo, è stata ritoccata anche l’inclinazione delle protesi: leggermente più bassa. Questo ha fatto sì che le mani fossero meno davanti al viso e che tutto “l’avantreno” di Pippo fosse più basso. Anche perché in tutto questo la sella non è stata toccata minimamente. Così come le pedivelle: lui resta fedele alle 175 millimetri. Ci si è trovato bene e infatti se ci avete fatto caso “rimbalzava” meno sulla sella. Si ritirava meno indietro. E’ stato un po’ un ritorno alla posizione 2021-2022 (ma con le regole attuali, ndr). E’ stata una sua scelta, ma anche dei tecnici del team».

Pippo ha lavorato anche sulla posizione in bici. Ma non è stato qualcosa d’improvvisato. Si è passati da un’intera giornata in galleria del vento al Politecnico di Milano. Dati incrociati, sensazioni, prove… «Insomma – sorride Cornacchione – non è scaramanzia… anche se è capitato! Le giornate in galleria del vento sono lunghissime ed estenuanti, ma anche appaganti. Quando la sera esci e sai che hai guadagnato magari 2 watt sei felice».

Ganna è andato in galleria dopo Besseges ed ha esordito con la nuova posizione all’Algarve, anche se fin lì aveva utilizzato davvero pochissimo il nuovo assetto. Il test a Montichiari, gli allenamenti su strada e l’aver riportato fedelmente quelle misure sulla bici da pista sono stati una vera manna per il successo di Lido di Camaiore.

La comodità di cui parlava Villa, le variazioni di cui diceva Cornacchione: ed ecco che il tutto si si è tradotto in efficacia, soprattutto nella conseguente gestione dello sforzo.

Una vecchia foto di Ganna e Villa durante una sessione a Montichiari. E’ così che Pippo si defaticava tra una simulazione e l’altra
Una vecchia foto di Ganna e Villa durante una sessione a Montichiari. E’ così che Pippo si defaticava tra una simulazione e l’altra

Quelle tre simulazioni…

A proposito di sforzo, una delle cose che abbiamo chiesto a Villa è se ci fossero delle analogie fra la cronometro e l’inseguimento. In particolare sulla strategia che adotta nell’inseguimento in pista: partenza “controllata”, progressione continua e chiusura devastante. Lo dimostra il fatto che negli ultimi 2.000 metri di Camaiore ha letteralmente fatto il vuoto. Il finale stile jet supersonico è il marchio di Ganna sul parquet.

«Pippo – conferma Villa – ha corso la crono come un inseguimento. Certo, in pista sono 4 chilometri, su strada erano di più. Ma la gestione è quella. E poi lo avete visto…». Cornacchione, che era in ammiraglia, ci ha detto che nel finale era sempre al di sopra dei 60 all’ora.

E proprio in questa gestione dello sforzo emerge tutta la potenza del piemontese. Quando Villa racconta della velocità finale, viene quasi da non crederci.

«In pista giovedì scorso, nei finali pedalava sui 70 all’ora. Pippo aveva la sua solita cadenza elevata e questa cadenza l’altro giorno in gara era molto simile. In pista girava con il 63×13, su strada, avendo il cambio, adattava il rapporto alla situazione».

Aveva una monocorona da 64 denti che a, quanto pare, sembra gradire molto e che usa di frequente anche in allenamento. Probabilmente, anche viste le indicazioni circa la scorrevolezza della catena e la cadenza (superiore alle 100 rpm) mulinava un 64×14, divenuto 13 nel finale.

Ma come si arriva a questo livello? Oltre al suo immenso motore, la risposta sta negli allenamenti specifici che Ganna svolge in pista. «A Montichiari abbiamo ripetuto tre volte la cronometro di Camaiore – conclude Villa – tre sforzi da 12 minuti ciascuno, il tempo stimato della crono. Tra una sessione e l’altra c’erano recuperi adeguati. Recuperi attivi pedalando con la bici da “corsa a punti” dietro motore a 50 all’ora. Un bel lavorone: due ore e mezza di sessione produttiva».

Produttiva, aggiungiamo noi, anche per la testa. E quando numeri, gambe e testa s’incontrano il mix è esplosivo e ti fa guadagnare 25″ in 6 chilometri.

Milan mostra i muscoli alla Tirreno, ma con in testa le Classiche

11.03.2025
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Dopo lo spettacolo offerto dalla Strade Bianche e dal duello tra Tadej Pogacar e Thomas Pidcock è arrivato il momento di togliere il velo alla stagione delle Classiche. Se la gara tra gli sterrati delle Crete Senesi ha lasciato poco spazio agli sfidanti del campione del mondo in carica questo non accadrà di certo nei prossimi appuntamenti. I percorsi e il parterre ricco, cosa che è un po’ mancata alla Strade Bianche, metteranno davanti a Pogacar molti più rivali di spessore. Si partirà con la Milano-Sanremo, i cui ultimi preparativi arrivano proprio in questi giorni vista la concomitanza della Tirreno-Adriatico e della Parigi-Nizza.

I riflettori, per quanto riguarda la Corsa dei Due Mari, sono puntati su Jonathan Milan. E’ sulle sue qualità, e su quelle di Filippo Ganna, che si concentra la curiosità degli addetti ai lavori. I due giganti azzurri hanno già lanciato i primi segnali, ieri Ganna ha demolito la concorrenza nella cronometro di Camaiore. Mentre oggi nella volata di Follonica Milan ha messo tutti in fila (foto di apertura). Per il velocista friulano inizia un periodo fondamentale della stagione, con l’avvicinamento alla Milano-Sanremo e poi la stagione delle Classiche. Partendo proprio dalla Classicissima il dubbio riguarda la capacità da parte di Milan di tenere certi ritmi su salite brevi ma esplosive come Cipressa e Poggio

Jonathan Milan durante il riscaldamento della cronometro di Camaiore, inizia un periodo cruciale della stagione
Jonathan Milan durante il riscaldamento della cronometro di Camaiore, inizia un periodo cruciale della stagione

Un mese intenso

Per capire in che modo sta lavorando l’atleta della Lidl-Trek siamo andati a chiedere direttamente e Mattias Reck, suo coach. L’anno scorso Jonathan aveva detto che il suo obiettivo era arrivare sotto la Cipressa per aiutare la squadra

«Non alleno Milan in modo così specifico da concentrarmi sulla Milano-Sanremo – dice Reck – cerco piuttosto di costruire il suo motore e la sua resistenza in modo che sia il più preparato possibile ad affrontare le Grandi Classiche. Questo prevede ovviamente che arrivi pronto alla Sanremo, ma non è l’unico obiettivo. Il mio obiettivo è fargli avere una condizione stabile nel corso delle quattro settimane in cui sono distribuite quelle corse».

Jonathan Milan e Filippo Ganna saranno i due atleti di riferimento per il movimento italiano alla Sanremo
Jonathan Milan e Filippo Ganna saranno i due atleti di riferimento per il movimento italiano alla Sanremo

Le conferme

I primi passi di Milan in questo 2025 hanno mostrato quanto sia migliorato e cresciuto ulteriormente. Nelle volate di inizio anno ha fatto vedere di essere uno dei migliori velocisti al mondo, quello che serve ora è il giusto avvicinamento alla stagione delle Classiche.

«La Tirreno-Adriatico – continua Mattias Reck – svolge un ruolo fondamentale in questo senso, in quanto fornisce un grosso carico di lavoro al suo corpo per fare l’ultimo passo verso la primavera. Milan ha dimostrato già l’anno scorso alla Gent-Wevelgem di avere le carte in regola per diventare un forte concorrente nelle Classiche. Anche la recente Kuurne-Brussel-Kuurne (nella quale Milan ha conquistato il sesto posto finale, ndr) ha fatto vedere cose positive. La forma è buona, stabile e in crescita, quindi siamo fiduciosi per il prossimo periodo».

Quei 28 chilometri in più…

Tornando a parlare della Milano-Sanremo ricordiamo che nella stagione passata Jonathan Milan era arrivato fino ai piedi della Cipressa, fornendo un importante supporto alla squadra e al suo compagno Mads Pedersen. La prima delle due salite finali si trova a 28 chilometri dal traguardo, riuscire ad aggiungere questa distanza sembra facile ma diventa un lavoro difficile dove ogni dettaglio conta. Serve avere una resistenza importante, senza però perdere lo spunto veloce che permetterebbe a Milan di giocarsi la volata. 

«Per combinare allenamenti aerobici e anaerobici – spiega ancora coach Reck – non ci sono veri e propri segreti. Essendo Milan un corridore esplosivo mi concentro soprattutto sulla resistenza e sugli intervalli ad alta intensità, evitando di lavorare troppo nelle zone medie come Z3 e Z4. Con un velocista anaerobico forte bisogna stare attenti a non esagerare, perché può scavare molto in profondità e svuotarsi con una potenza molto elevata in un tempo molto breve. Quindi, anche se lo sprint è uno dei suoi punti di forza, non deve concentrarsi troppo. Direi che l’80-85 per cento, a volte anche il 90, del suo allenamento è costituito da resistenza aerobica di base, mentre il resto è un mix delle altre zone».

Milan dovrà provare a resistere al ritmo di Pogacar su Cipressa e Poggio

L’equilibrio

Le prestazioni del velocista della Lid-Trek sono legate alla costante ricerca di equilibrio tra resistenza e forza. Un lavoro non semplice, aiutato però dalle grandi doti naturali di Milan. 

«Non è un problema allenare forza e resistenza insieme – conclude – sono due cose completamente opposte e non interferiscono più di tanto. Gli sprint brevi e la resistenza si adattano bene. Jonathan (Milan, ndr) ha una combinazione unica di Vo2Max molto elevata, quindi un grande motore aerobico, ma anche una potenza anaerobica e di sprint importante. Quello che stiamo facendo ora è lavorare sulla sua resistenza ed efficienza per essere in grado di usare il suo motore e i suoi picchi ancora di più nelle lunghe gare di un giorno. Con il suo peso, che è intorno ai 90 chilogrammi, non possiamo guardare troppo a Pogacar, Van Aert o Van der Poel e quello che sono in grado di fare loro sul Poggio. Quello su cui possiamo lavorare noi è raggiungere la miglior forma possibile».

La snervante attesa delle wild card. Bellini ne sa qualcosa…

11.03.2025
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Siamo all’11 marzo, eppure delle wild card per la prossima edizione del Giro d’Italia che partirà dall’Albania il prossimo 9 maggio, nessuna traccia. Mai in passato c’era stato così tanto da aspettare, così tanta incertezza sulle scelte degli organizzatori, che stanno spingendo in tutti i modi per poter allargare a 4 il numero di team professional da invitare. Uno “stato dei lavori” che certamente non agevola chi deve programmare non solo la partecipazione, ma l’intera stagione.

Marco Bellini, nei tanti anni trascorsi al fianco di Gianni Savio quando i loro team erano professional italiane, ha affrontato tante volte questa situazione, si può ben dire ad ogni stagione, e sa che cosa significa rimanere in quest’incertezza. Oggi, dopo la dolorosa scomparsa di Gianni, Bellini è a pieno titolo immerso nell’avventura della Petrolike e quindi guarda il tutto da lontano ma si sente, quando affrontiamo il discorso, che il legame con il ciclismo italiano, con quegli ambienti e quelle sensazioni è ancora vivissimo.

Marco Bellini, secondo da sinistra, al tempo dell’Androni Giocattoli: l’attesa per la wild card era sempre tanta…
Marco Bellini, a sinistra, al tempo dell’Androni Giocattoli: l’attesa per la wild card era sempre tanta…

«Una wild card può davvero cambiare tutto per una squadra professional italiana – dice – come anche per una spagnola nel caso della Vuelta. Il Tour è a sé stante, non va considerato neanche viste le caratteristiche del movimento locale, con molte squadre nel WorldTour. La partecipazione al Giro è, per un team italiano, una svolta soprattutto nei rapporti con gli sponsor, ma sono sempre stato dell’avviso che bisogna essere rispettosi di questi e quindi evitare di fare promesse. E’ chiaro però che per un’azienda sapere che la squadra parteciperà o meno alla corsa rosa cambia tutto».

Quanto incide nel budget?

In maniera direi quasi decisiva. Il sistema è questo, se non sei nel WorldTour ti dibatti con una base economica che non consente voli pindarici e trovare fondi è davvero difficile. Sapere che sarai presente alla vetrina più importante dell’anno apre porte importantissime, ma serve anche il tempo per farlo…

Che cosa significa secondo te arrivare all’11 marzo senza sapere ancora quale sarà il proprio destino?

E’ la testimonianza di quanto ho detto, ma io voglio spezzare una lancia a favore della RCS Sport che sta facendo di tutto per ottenere il quarto invito che metterebbe tutto a posto. Abbiamo due squadre italiane, Polti e VF Group che, diciamola tutta, tengono in piedi il ciclismo italiano, facendo correre tanti giovani nostrani e che avrebbero tantissimo bisogno di esserci. Ma dall’altra parte abbiamo due team come Q36.5 e Tudor che hanno budget importanti, che hanno costruito squadre di altissimo spessore ed è difficile tenerle fuori da un Grande Giro. Se non verrà accettata la proposta della quarta wild card, gli organizzatori si troveranno a fare una scelta comunque drammatica. Certamente però il tempo non aiuta chi è ancora in bilico. E parlo dei due team italiani ai quali va tutto il mio apprezzamento e rispetto.

Perdere una delle due squadre italiane sarebbe però un grave, ulteriore smacco per il nostro movimento…

Esatto e questa situazione deve far capire che il ciclismo, così com’è, non va. Bisogna cambiare alcune regole del gioco. L’UCI ormai gestisce un impero nel quale se non hai i soldi, fai un’enorme fatica a galleggiare. Rispetto ai tempi miei e di Gianni, la situazione è diventata molto più difficile.

Il richiamo di Pidcock alla corsa rosa è difficilmente accantonabile da parte di Rcs Sport
Il richiamo di Pidcock alla corsa rosa è difficilmente accantonabile da parte di Rcs Sport
Gli sponsor sono disposti ad aspettare?

Fino a un certo punto. Noi per nostra fortuna non ci siamo mai – e ribadisco mai – sbilanciati. Abbiamo sempre detto alle varie aziende che non potevamo garantire la partecipazione al Giro, perché tutte ce la chiedevano. Noi proponevamo una doppia soluzione economica, con o senza partecipazione alla corsa rosa. Era l’unica cosa da fare per non prendere in giro nessuno ed essere il più possibile trasparenti.

C’è la stessa attenzione, da parte di chi sponsorizza, per altre corse, magari sempre della RCS?

No ed è facile capire il perché. Il Giro d’Italia è una cosa diversa. Secondo me non è neanche un evento sportivo, o almeno lo è solo in parte perché parliamo di qualcosa che riguarda tutta la società italiana. Il Giro d’Italia lo vede il ragazzino come la massaia, lo trovi in tutti i media, non è un evento che riguarda solo chi è appassionato. Io non ho mai visto le scolaresche o gli abitanti di una piccola città scendere in strada per il Giro di Lombardia, ma il Giro d’Italia è un’autentica festa per ogni paese attraversato. Questo lo sa bene chi ti sponsorizza per vendere la propria immagine, per questo è tanto importante.

Alberto Dainese, una delle punte per la Tudor. Anche lui attende di sapere se sarà al via dall’Albania
Alberto Dainese, una delle punte per la Tudor. Anche lui attende di sapere se sarà al via dall’Albania
E’ un discorso che ormai ti vede solo semplice spettatore, almeno per ora. Ma un domani?

Noi con il nostro team abbiamo un progetto diluito nel tempo. Siamo una squadra continental e per ora questi discorsi non ci riguardano né ci interessano più di tanto. L’obiettivo del team è far crescere nuovi talenti sudamericani e arrivare con i passi dovuti a essere una squadra professional. Quando saremo strutturati e ci arriveremo, valuteremo anche la partecipazione a un Grande Giro. La nostra fortuna è non avere pressioni né dover andare a caccia di sponsor. Possiamo lavorare con calma, non invidio chi invece a quest’ora è ancora sulla graticola…

Javier Romo, l’asso nella manica della Movistar venuto dal triathlon

11.03.2025
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Javier Romo è una delle sorprese di questa prima parte del 2025. Lo spagnolo è letteralmente esploso con il Team Movistar. Un colpaccio di Eusebio Unzue che da tempo era sulle sue tracce. E anche il nuovo staff tecnico guidato da Iván Garcia Cortina ha rivisto alcuni metodi, anche nella ricerca degli atleti, come fanno altri team da anni che non pescano solo nel ciclismo giovanile. Pensiamo per esempio a Nordhagen, che la Visma-Lease a Bike ha letteralmente strappato allo sci di fondo.

La sua carriera infatti è iniziata nel triathlon, disciplina in cui ha gareggiato a livello nazionale in Spagna, paese noto per la forte tradizione in questo sport e ha vinto persino un titolo nazionale nelle categorie giovanili. La transizione al ciclismo su strada è avvenuto sotto il periodo del Covid, quando è passato dapprima in una piccola squadra under 23 spagnola, la Baqué Cycling Team, e da lì all’Astana.

Javier Romo è stato un esponente della nazionale spagnola di triathlon (foto Triathlonsp)
Javier Romo è stato un esponente della nazionale spagnola di triathlon (foto Triathlonsp)

Chi è Javier Romo

Nato a Villafranca de los Caballeros, nella provincia di Toledo, il 6 gennaio 1999, nel 2017 Romo ha conquistato la medaglia di bronzo ai campionati Spagnoli Junior di Triathlon, dimostrando fin da giovane le sue doti atletiche. La sua passione per il ciclismo è emersa come accennavamo durante la pandemia, periodo in cui ha intensificato gli allenamenti su strada.

La cosa incredibile è avvenuta proprio nel 2020. Alla prima vera esperienza da ciclista Romo ha vinto subito il campionato Spagnolo su Strada under 23. Quella era solo la sua terza gara. Fu anche settimo nella prova contro il tempo appena dietro Tercero e Pelayo Sanchez, oggi incredibilmente suo compagno di squadra.

Da lì all’Astana il passo è stato breve. E nel 2023 eccolo esordire alla Vuelta. Vuelta che Romo ha affrontato alla grande… almeno all’inizio. Ha mostrato il suo potenziale entrando in una fuga nella seconda tappa e posizionandosi temporaneamente al secondo posto in classifica generale. Tuttavia, una caduta nella nona tappa lo ha costretto al ritiro a causa di una frattura lombare.

Il particolare saluto di Romo a Uraidla in Australia, primo successo nel WT e primo da pro’
Il particolare saluto di Romo a Uraidla in Australia, primo successo nel WT e primo da pro’

Le parole di Sciandri

A dirci qualcosa di più è stato Max Sciandri, uno dei direttori sportivi della Movistar. Secondo Sciandri, l’inclusione di Romo nella squadra è stata una sorpresa positiva. Nonostante la sua limitata esperienza nel ciclismo su strada, dovuta a una carriera dilettantistica relativamente breve, Romo ha mostrato numeri impressionanti e un grande potenziale. «E’ chiaro che gli manca ancora una parte dell’esperienza che si acquisisce nelle categorie inferiori, ma ha evidenziato i suoi margini di miglioramento. E ormai si muove bene in gruppo».

Per come ha vinto in Australia verrebbe da dire che si tratta di un finisseur, ma Sciandri non è del tutto d’accordo. «Direi piuttosto che è un corridore completo: forte in salita, competitivo a cronometro e dotato di una buona velocità in gruppi ristretti. Inoltre la sua esperienza nel triathlon potrebbe arricchire ulteriormente le sue capacità nel ciclismo su strada, considerando la tendenza dei giovani atleti a essere multidisciplinari. Vediamo che ormai atleti di vertice fanno ciclocross o vengono dalla mtb».

Secondo Sciandri Romo ha grandi margini e sta migliorando anche tatticamente
Secondo Sciandri Romo ha grandi margini e sta migliorando anche tatticamente

Vuelta sì, Giro forse

Lo scorso gennaio, Javier Romo ha conquistando la sua prima vittoria da professionista nella terza tappa del Tour Down Under, dove ha attaccato nel finale imponendosi in solitaria. Questo successo gli ha permesso di indossare la maglia di leader della corsa, terminando poi al secondo posto nella classifica generale alle spalle di Narvaez. Ma poi una volta in Europa ha continuato a fare bene. «E infatti – confida Sciandri – mi sarebbe piaciuto moltissimo portarlo sia alla Strade Bianche che alla Tirreno-Adriatico, ma si è ammalato e tutto è saltato. Bisognava tutelarlo per le prossime gare, perché può fare davvero bene».

E quali sono queste gare? Dopo il Catalunya (24-30 marzo) Romo potrebbe fare alcune classiche del Nord e magari esordire sui muri e sulle pietre, vista la sua stazza (180 centimetri per 70 chili e spalle larghe come si nota nella foto di apertura).

«Javier – conclude Sciandri – vuol fare la Vuelta, però non vi nego che il Giro d’Italia potrebbe essere un’opzione. Un’opzione per la quale sto insistendo. Ne stiamo parlando. Vediamo un po’».

Morgado: la UAE, la crescita e la voglia di star bene

11.03.2025
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LAIGUEGLIA – Antonio Morgado ha iniziato la sua seconda stagione tra le fila del UAE Team Emirates-XRG con un altro ritmo rispetto allo scorso anno. Il portoghese che da junior aveva stupito tutti per la sua forza, tanto da saltare subito nel WorldTour dopo un solo anno da under 23, ha già trovato due vittorie in appena quindici giorni di corsa. Un bottino di tutto rispetto se si considera la concorrenza e il livello che c’è all’interno della squadra numero uno al mondo. Classe 2004, fisico strutturato, massiccio e con tanta potenza nelle gambe che sembra possa spaccare il mondo. 

Il lavoro di Morgado al Laigueglia è stato fondamentale per la vittoria del compagno di squadra Ayuso
Il lavoro di Morgado al Laigueglia è stato fondamentale per la vittoria del compagno di squadra Ayuso

Un altro step

Al Trofeo Laigueglia il suo apporto è stato fondamentale a Juan Ayuso per controllare la gara, imprimendo un ritmo che ha fatto male a tanti. Se lo spagnolo, più grande di appena due anni rispetto a Morgado, è riuscito a vincere in Liguria tanto lo deve alle sue capacità quanto a quelle del baffuto portoghese. 

Appena finito il Trofeo Laigueglia, chiuso comunque in venticinquesima posizione a poco più di un minuto da Ayuso, gli chiediamo di parlare e lui acconsente. Dopo una breve rinfrescata sul pullman del team emiratino Morgado scende gli scalini con sguardo languido e un sorriso appena accennato inizia a parlare. 

«Mi sento bene, grazie – ci dice subito – mi sono allenato ottimamente e sono contento della mia forma. Dopo un anno nel WorldTour penso di essere cresciuto molto, mi sento maggiormente a mio agio in gara e molto più motivato. In questa stagione credo di aver fatto un passo di crescita ulteriore».

Hai molti obiettivi per questa stagione?

No, il mio obiettivo è di essere costante e cercare di vincere le gare quando mi viene data libertà, altrimenti mi metterò a disposizione dei miei compagni per aiutarli a vincere. Tutto qui. 

Che passi senti di aver fatto?

Mentali e fisici. Mi sento più forte di testa, l’anno scorso era diverso. Era il primo anno in questo mondo e non si sa mai cosa può succedere. Pensi sempre che gli altri siano più forti o troppo forti, ma poi ti rendi conto che non è così. Correre accanto a dei grandi campioni e professionisti è molto bello, perché ho modo di vedere come vivono, mangiano e recuperano. Quindi penso di essere un privilegiato a far parte di questa squadra.

Nonostante fosse il tuo primo anno nel WorldTour l’anno scorso sei andato al Fiandre e hai trovato un fantastico quinto posto, inizialmente sembrava che queste gare non ti piacessero…

Sono un altro tipo di corse. Nel 2024 sono stato al Nord per la prima volta, anche da junior non avevo mai corso lì. Andare direttamente in appuntamenti di quel livello è diverso, ma mi sono sentito bene e ho iniziato ad apprezzare quel tipo di gare. 

Morgado non ha mai dichiarato un grande amore per le Classiche ma il suo esordio al Fiandre nel 2024 è stato promettente
Morgado non ha mai dichiarato un grande amore per le Classiche ma il suo esordio al Fiandre nel 2024 è stato promettente
Cosa ti piace di questo tipo di gare, le corse sul pavé?

Sono dure e lunghe, quando vai lì è impossibile vincere senza allenamento. Non ci si può nascondere e questo mi piace molto. Però non mi immagino in una sola tipologia di gare, mi piace venire al Laigueglia e provare a vincerlo, così com’è stato in Spagna e in Portogallo a inizio anno. E’ bello potersi giocare una carta quando si viene alle corse.

Cosa vuol dire essere nella formazione migliore al mondo con il ciclista più forte al momento? Vorresti un giorno essere tu al suo posto?

Sì, certo. Mi piace molto questa squadra. Ma credo che dobbiamo rispettare tutti, quando si ha il migliore atleta al mondo si lavora per lui, in me non c’è mai stata la voglia di superarlo nelle gerarchie. Avere in squadra Tadej (Pogacar, ndr) ci spinge tutti a fare del nostro meglio. E’ un piacere correre con questo tipo di atleti. 

Per Morgado la cosa importante è sentirsi bene in corsa, al momento non importa su quale palcoscenico
Per Morgado la cosa importante è sentirsi bene in corsa, al momento non importa su quale palcoscenico
Quali step si possono fare per diventare il più forte al mondo?

Si può solo migliorare la propria forza, diventare sempre più competitivi. Questa è l’unica cosa che si può fare se si hanno grandi numeri. 

Quest’anno proverai a fare delle grandi corse a tappe, pensi siano nelle tue corde?

No, non ne farò ancora. Prima di sapere se posso diventare quel tipo di corridore devo prima partecipare. Al momento non so bene che tipo di atleta sono, davvero. Quando ho buone gambe penso di poter fare un po’ di tutto. Ma quando non sono in condizione non riesco a fare nulla. Mi piace sentirmi bene, è una sensazione che mi dà fiducia nella quale so che posso fare del mio meglio.

La velocità vola. E ora “Bomber” Quaranta vuole battere i grandi

11.03.2025
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«Oggi anche un giovane italiano – dice con orgoglio e una punta di malizia Ivan Quaranta – può dire che da grande vuole fare il velocista. Può dirlo perché esiste un settore con dei tecnici dedicati e i Corpi di Stato che ci danno una mano. Gli atleti più meritevoli vengono assunti, la Federazione ci crede e noi andiamo avanti. A me non basta più vincere il campionato europeo da junior o under 23. Mi piacerebbe arrivare a Los Angeles con qualche velleità in più».

Dopo tre anni da collaboratore di Marco Villa, Ivan Quaranta è stato nominato commissario tecnico della velocità azzurra. Oggi è partito per la Turchia verso la prova di Nations’ Cup. Se fosse il naturale corso nella carriera di un tecnico che tecnico è sempre stato, ci sarebbe poco di cui stupirsi. Ma se l’uomo si fa chiamare Bomber, ha nel palmares un mondiale juniores nella velocità, poi una carriera su strada in cui vinse volate e rifilò cazzotti a Cipollini, quindi si è messo a organizzare eventi prima di diventare tecnico juniores e poi U23, allora la storia ha i tratti del romanzo. Ivan Quaranta cittì azzurro della pista è il capitolo di un romanzo che nel 2028 a Los Angeles potrebbe arricchirsi di qualche pagina indimenticabile.

«E’ il riconoscimento del lavoro che ho fatto – dice Ivan “Bomber” Quaranta – ho affiancato Villa e anche Marco era d’accordo. E’ il coronamento di un sogno, essere commissario tecnico del settore velocità è un grande onore, essendo nato nella velocità. La prima gara di valore che ho vinto fu il campionato del mondo in pista nel torneo della velocità».

Nella serata di Zolder agli ultimi europei, l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Nella serata di Zolder agli ultimi europei, l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Rispetto agli anni in cui vincevi quel mondiale, il mondo è cambiato…

Sono stato tecnico su strada, prima con gli allievi della Cremasca e poi con la Colpack. Sapevo già leggere un test, ero aggiornato. Però era tutto legato alla strada, quindi ricominciare con la velocità ha significato rendersi conto che il mondo era cambiato radicalmente. Anche se la velocità l’ho sempre guardata, mi è sempre piaciuta. Da Theo Bos a Chris Hoy, sono sempre stato appassionato. Capivo che i rapporti erano cambiati, i materiali, le velocità, anche il tipo di volata.

Il tipo di volata?

Da quando hanno tolto la possibilità di fare surplace, è cambiato anche il modello prestativo della specialità. Adesso si mettono in testa e bisogna avere nelle gambe 40-45 secondi di sforzo massimale, con rapportoni molto più lunghi. Mi sono dovuto applicare, inizialmente mi è servito molto l’aiuto di Villa. Poi mi sono appoggiato al nostro Team Performance, a partire da Diego Bragato, che ne è responsabile, e tutti gli altri. Mi sono applicato, ho studiato, ho cercato di rubare il mestiere andando a vedere.

Andando a vedere cosa?

Mi è capitato di andare in pista con i meccanici la mattina molto presto. Il velodromo era vuoto e io andavo a rubare un po’ di foto per vedere i rapporti che usavano, le pedivelle. Se il tecnico è preparato, capisce che tipo di prestazione serve per poter essere competitivi. Inizialmente abbiamo sperimentato, a volte anche sbagliando. A volte, purtroppo è brutto da dire, ho usato questi ragazzi come cavie. Mi sono rimesso anche sui libri di testo, qualcosa mi ha passato Dino Salvoldi. Ho lavorato tre anni cercando di capire che tipo di sforzo servisse.

Mattia Predomo si è affacciato da giovanissimo sulla velocità mondiale
Mattia Predomo si è affacciato da giovanissimo sulla velocità mondiale
E che cosa avete capito?

Che la grande differenza oggi è il lavoro che il velocista fa in palestra. La forza la migliori in palestra. In bicicletta la puoi completare, puoi fare tutti i lavori che vuoi. La partenza da fermo piuttosto che le SFR. Fai tutti i lavori che vuoi, ma la vera forza l’aumenti in palestra. Un buon 65-70% del nostro allenamento si fa con i pesi e lo completiamo in bicicletta, perché comunque il gesto tecnico ci deve essere. Oltre al modello prestativo, c’è anche la componente tecnica. Penso al cambio in un team sprint piuttosto che la tecnica della partenza da fermo o le traiettorie da utilizzare in un lancio su 200 metri. C’è ancora tanta componente tecnica e molta più fisicità rispetto a quando correvo io.

Nel 2020 la velocità italiana quasi non esisteva, oggi è un settore in rampa di lancio…

Abbiamo creato un metodo di lavoro che sta dando i suoi buoni frutti. Sicuramente sbaglieremo ancora, sicuramente non saremo i migliori, però in tre anni abbiamo vinto tre campionati del mondo e 14 titoli europei, battendo anche tedeschi, inglesi e francesi. Nei giovani siamo una delle Nazioni più forti. La cosa importante è sottolineare Il supporto dei corpi di Stato, che per noi è stato fondamentale. Perché grazie a loro e al nostro metodo di lavoro siamo riusciti a raggiungere dei buoni risultati. La qualifica olimpica della Miriam (Vece, ndr). Abbiamo abbassato tutti i record italiani. Abbiamo vinto i campionati europei, i campionati del mondo juniores, ancora l’anno scorso con Del Medico. Questo ha permesso di creare un bel gruppo, perché adesso saremo una ventina.

Parlavi dei corpi militari…

Siamo una ventina e ce l’hanno permesso Fiamme Oro, Fiamme Azzure e l’Esercito, che hanno praticamente assunto quasi tutti i velocisti. La cosa più bella è che una volta li dovevi andare a cercare per convincerli. Speravi che venissero in pista a girare per diventare velocisti. Nessuno voleva avvicinarsi al mondo dello sprint, perché significava abbandonare la strada. Arrivi al punto che fino agli juniores, qualche garetta puoi ancora farla. Ma poi devi abbandonare la strada, perché il lavoro è prettamente palestra-pista a oltranza. La cosa più bella adesso è che ci sono gli allievi e anche gli juniores che ti chiamano e vogliono provare. Un allievo può dire di voler fare il velocista. Questa è la cosa più importante che abbiamo creato in questi anni.

Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, gli ultimi tre sono stati anni di studio e lavoro
Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, gli ultimi tre sono stati anni di studio e lavoro
Abbiamo un bel gruppo di giovani in rotta su Los Angeles, quindi?

Fra quattro anni, i nostri dovrebbero essere pronti. Poi c’è così tanto divario tra elite, under 23 e juniores, che servono degli anni per imporsi. Per arrivare a tirare certi rapporti, per sollevare certi pesi in palestra e andare a certa velocità, servono anni di lavoro. Predomo è un secondo anno under 23. Bianchi è già un primo anno elite. Moro è già un po’ più grande. E io fra quattro anni voglio cominciare a rompere le scatole anche gli elite. Con questi ragazzi, che ho trovato quando sono arrivato. E con quelli che si stanno inserendo, che oggi sono juniores di primo e secondo anno. Matilde Cenci, che era al primo anno da junior, l’anno scorso è stata terza nel keirin. Quindi se non è Los Angeles, saranno le Olimpiadi successive. Comunque stiamo creando un bel gruppo, prima o poi un Lavreysen lo troveremo anche in italia.