La vittoria di Wiebes a Sanremo: Cecchini ci porta in corsa

27.03.2025
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Il successo di Lorena Wiebes alla Sanremo Woman è sembrato di una facilità disarmante, sia per lo sprint fatto dalla campionessa europea che per la gestione avuta dalla SD Worx-Protime per tutta la corsa. Le ragazze della formazione olandese hanno capitalizzato al massimo l’occasione avuta lavorando d’astuzia e unendo le loro qualità in corsa. Non è di certo una novità se si pensa alla potenza e alla forza che il team olandese riesce a mettere in gara ogni volta. Una delle protagoniste di questo successo è stata, come spesso accade, Elena Cecchini.

«Siamo riuscite a portare a termine quanto ci eravamo dette», racconta Cecchini prima di fare rotta verso le Classiche del Nord. «Solitamente cerchiamo di partire con un’idea di base su come affronteremo la gara e così è stato. Ci aspettavamo una corsa più dura, soprattutto da parte di alcuni team che non si sono presentati con alternative valide per la volata finale. Dal canto nostro sapevamo di cosa avremmo avuto bisogno per vincere e lo abbiamo messo in pratica. Avevamo Lotte e Lorena (rispettivamente Kopecky e Wiebes, ndr) come punti di riferimento. Kopecky è rientrata in corsa proprio alla Sanremo, mentre Wiebes arrivava focalizzata al 100 per cento sull’evento. Dopo il Trofeo Binda, dove è venuta a vederci, è rimasta una settimana in Riviera. Ha soggiornato in un hotel ai piedi della Cipressa e ogni giorno si è allenata su Cipressa e Poggio».

La tattica della SD Worx era di trovare le giuste posizioni nelle fasi cruciali e attendere le mosse delle avversarie
La tattica della SD Worx era di trovare le giuste posizioni nelle fasi cruciali e attendere le mosse delle avversarie

Stessa mentalità

Le ragazze della SD Worx hanno portato il loro modo di fare, che le ha sempre contraddistinte alle Classiche del Nord, anche nella prima edizione della Sanremo Woman, che per spettacolo offerto si candida a entrare di diritto nelle gare più importanti del calendario. 

«Sono felice che ci sia stato questo avvicinamento da parte del team – dice ancora Cecchini – era da qualche mese che dicevo alle ragazze quanto fosse  importante conoscere il percorso e le sue insidie. Il fatto che Wiebes abbia fatto questo avvicinamento ha dato un bel segnale.

«Le nostre leader, Wiebes e Kopecky, sono arrivate nel miglior modo possibile. Per il resto tutte abbiamo fatto una grande gara, sia noi che abbiamo lavorato prima, sia Blanca Vas. Lei era il jolly e doveva rimanere il più possibile con le due capitane. E’ stato molto bello vedere Vas, che secondo me in futuro potrà puntare a vincere questa gara, mettersi a disposizione prima del Poggio. Si è trattato a tutti gli effetti di una vittoria di squadra».

Cecchini si è spesa per portare Kopecky e Wiebes in testa all’imbocco della Cipressa
Cecchini si è spesa per portare Kopecky e Wiebes in testa all’imbocco della Cipressa
Ci tenevi particolarmente alla Sanremo?

Alla fine loro le gare in Belgio e Olanda le sentono molto. Io, da italiana, avevo fatto un segno sulla Sanremo Women. Sapevo che non sarebbe stata una gara semplice così ho detto loro di focalizzarci quest’anno per aggiungerla ai nostri successi. Sono felice di aver trasmesso questo spirito di squadra, anche perché penso che questa gara diventerà come la Parigi-Roubaix Femmes, ovvero ogni anno sempre più importante. 

Che tattica avevate in mente?

Con Wiebes e Kopecky come leader eravamo coperte per tutti gli scenari. Se alcune squadre avessero fatto gara dura avremmo avuto modo di rispondere. E non sono sicura che Wiebes si sarebbe staccata facilmente visto lo stato di grazia con cui si è presentata e la determinazione che aveva per questa gara. 

Qual è stato il punto in cui hai capito che si metteva bene per voi?

Quando ho portato le ragazze davanti prima della Cipressa. Nel momento in cui mi sono spostata ho visto che nessuna squadra ha preso in mano la situazione, lì mi son detta: «Oggi è una buonissima chance per Lorena». Sapevo che sul Poggio c’era vento contro, anche quello è stato un fattore determinante a favore delle velociste. 

Nel tratto tra Cipressa e Poggio il team olandese poteva contare sul supporto di Blanka Vas
Nel tratto tra Cipressa e Poggio il team olandese poteva contare sul supporto di Blanka Vas
La Cipressa non è stata fatta forte come ci si poteva aspettare, per un tratto il gruppo si è allargato…

E’ stata la sensazione che ho avuto anch’io, infatti dopo la gara ne ho parlato con Danny Stam (il diesse del team, ndr) e gli ho detto che forse avrei potuto evitare di finirmi prima della Cipressa per dare un mano all’attacco del Poggio. Stam mi ha risposto che abbiamo rispettato il piano di gara, se fosse partita la corsa sulla Cipressa noi avevamo le due leader davanti. Poi non era nostro interesse fare corsa dura, quindi abbiamo lasciato la palla agli altri. 

Guardando la corsa la sensazione era che le altre squadre non avessero la vostra potenza di fuoco.

Il rischio di fare forte la Cipressa era di perdere atlete importanti e di trovarsi scoperte nel tratto di pianura prima del Poggio. Noi invece eravamo in tre ad avere il compito di dare supporto in quelle fasi di gara: Gerritse, Lach e io. Un fattore determinante per la corsa è stata la caduta a due chilometri dalla Cipressa. Mi sono trovata con Wiebes e Kopecky a ruota e le ho portate fino alla salita, ma si è trattata di un’azione istintiva.

La vittoria di Lorena Wiebes è stata propiziata da un gran lavoro della Kopecky nell’ultimo chilometro per chiudere sull’attacco della Longo Borghini.

E’ stata una combinazione di cose, Wiebes era a ruota di Elisa (Longo Borghini, ndr) e nel post gara ci ha detto che per non seguirla ha dovuto ragionare in una frazione di secondo. Se l’avesse seguita si sarebbe aperto il terreno per dei contrattacchi e sarebbe stato impossibile gestirli. Sapeva che Kopecky avrebbe sistemato la situazione. Un rischio, ma che ha portato alla vittoria. 

Con la campionessa del mondo che tira la volata alla campionessa europea…

Tutti sono rimasti sorpresi, ma da noi è chiaro che quando non sei più nella posizione per vincere, e in quel momento Lotte non lo era più, allora si lavora per le altre. Penso che Wiebes e Kopecky con il passare delle stagioni siano diventate sempre più compatibili e questo permette loro di spartirsi gli obiettivi. 

Pronti-via e subito a segno. E’ tornato Caleb Ewan

27.03.2025
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BONDENO – Le volate sono sempre state il suo pane e Caleb Ewan non poteva che tornare a vincere alla sua maniera dopo 231 giorni di digiuno nella città del pane. Si è riempito lo stomaco in un pomeriggio ferrarese vincendo alla sprint quasi per distacco la prima tappa della Settimana Internazionale Coppi e Bartali.

C’era molta curiosità sul rientro alle gare del 30enne australiano con la Ineos Grenadiers. Un po’ per la lunga assenza dalle gare, un po’ perché gli ultimi due anni specialmente sono stati piuttosto travagliati per una serie di motivi, forse anche poco chiari. Guardando Ewan in viso mentre fa defaticamento prima di salire sul palco delle premiazioni e poi mentre parla con noi, sembra che voglia mettersi il passato lontano come i rivali sulla linea del traguardo.

Esordio vincente

Prima di quest’anno, nei suoi dodici anni di carriera Ewan aveva sempre iniziato la stagione nella sua Australia, tranne che nel biennio 2021-2022 in cui aveva aperto rispettivamente al UAE Tour e Saudi Tour. Molte volte gli era capitato di partire con una vittoria al debutto o nelle primissime gare, sfruttando anche l’estate di casa. Così, sotto un sole finalmente primaverile dopo la pioggia della prima parte di gara, Caleb ha vissuto un esordio che probabilmente non si immaginava, malgrado fosse ampiamente il più pronosticato da tutti. La chiacchierata con lui comincia in questo modo.

«Questa vittoria – racconta il tasmaniano avvolto da un sorriso – significa tanto per me. Gli ultimi mesi dell’anno scorso sono stati abbastanza duri. Sono passati duecento giorni dall’ultima volta che ho gareggiato (il Super8 Classic il 21 settembre, ndr), che è anche il periodo più lungo che ho trascorso senza corse. Quindi non sapevo davvero cosa aspettarmi. Sapevo di sentirmi piuttosto bene, ma quando non corri da tempo non sai mai dove ti trovi e cosa trovi.

«Sono molto felice – prosegue Ewan rivedendo il finale nella sua mente – che la squadra mi abbia dato fiducia e supporto. Non è scontato. I miei compagni hanno fatto un lavoro straordinario e naturalmente sono molto contento di aver potuto finalizzare tutto».

Vita nuova alla Ineos

L’annuncio di Ewan al team britannico è arrivato con le operazioni di mercato già concluse da molto tempo. Il fatto che lui non avesse ancora trovato squadra fino a fine gennaio stava facendo scalpore tanto quanto il suo pessimo 2024 alla Jayco nella quale si era rifugiato, trovandola tuttavia molto cambiata rispetto a quando l’aveva lasciata sei anni prima.

«Posso dirvi – ci risponde Caleb basandosi su questo esordio – che finora il cambio di squadra è stato fantastico. Sono alla Ineos da qualche mese, ma non avendo gareggiato prima, questa è la mia prima vera esperienza. Devo ancora conoscere tutti e completare il mio inserimento. Come dicevo prima, sono contento del loro supporto e di aver potuto ripagare il loro lavoro».

La verità è che ci è apparso subito in buona forma. Gli chiediamo quale sia il suo segreto e lui ce lo rivela con candore, quasi fosse un neopro’. La ricetta è semplice. «Non c’è nessun segreto – dice – ho solo lavorato più duro del solito. Negli ultimi due mesi volevo fortemente ripresentarmi al via già abbastanza competitivo, pronto a sostenere certi ritmi. Soprattutto volevo essere scelto dalla squadra per farmi vedere all’opera il prima possibile».

Alla Ineos da due mesi, Ewan ha vinto all’esordio stagionale e dopo 8 mesi di digiuno. Vuole guadagnarsi il Tour
Alla Ineos da due mesi, Ewan ha vinto all’esordio stagionale e dopo 8 mesi di digiuno. Vuole guadagnarsi il Tour

Palla in avanti

Se ti chiami Caleb Ewan e vai a rafforzare il reparto degli sprinter puri in una squadra come la Ineos Grenadiers, sai già che devi mettere qualcosa di importante nel mirino.

«Obiettivi e piani per il futuro – conclude – devono ancora essere definiti. Sarà molto difficile che mi vedrete al Giro d’Italia perché credo che la squadra verrà per puntare alla generale e composta di conseguenza. Spero invece di poter dimostrare il mio valore nei prossimi mesi per riuscire ad andare al Tour. Questa ovviamente è la mia volontà, anzi il mio obiettivo. Tornare al Tour de France, anche per vincere. Iniziare la stagione come ho iniziato è un ottimo modo che chiaramente mi soddisfa. Spero che questa vittoria sia solo l’inizio e che ne arrivino tante altre. Io adesso faccio rotolare la palla e vedremo dove arriverà».

Lui si è ributtato nella mischia lanciando la palla, anzi la volata più avanti degli altri. A Bondeno ha colto il sessantacinquesimo successo della carriera, il settimo in Italia da cui non vinceva dalla Tirreno 2022. Insomma, ben tornato Caleb Ewan.

Di Somma e un addio arrivato troppo presto

27.03.2025
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Un paio di mesi fa Fabio Triboli, campione paralimpico a Pechino 2008, era al telefono con Fabrizio Di Somma: «Ci vediamo la Sanremo insieme?», gli aveva detto sapendo della malattia che lo stava consumando. «Caro Fabio, spero di esserci ancora…», era stata la sofferta risposta del laziale, che lo aveva gelato. Purtroppo non ce l’ha fatta, cedendo il passo nella sua corsa più importante, a soli 54 anni.

Fabrizio Di Somma non era un personaggio comune nel mondo del ciclismo paralimpico. Anzi, ne è stato una colonna: prima come atleta conquistando anche un argento e due bronzi olimpici a Sydney 2000, poi come direttore tecnico, condividendo una buona parte della sua storia con Mario Valentini, che l’aveva portato in quel mondo così particolare.

Di Somma insieme a Mario Valentini, per anni suo tecnico in nazionale per poi entrare nel suo staff (FotoGliso)
Di Somma insieme a Mario Valentini, per anni suo tecnico in nazionale per poi entrare nel suo staff (FotoGliso)

La sua forza? L’astuzia

Fabrizio era un atleta normodotato, parola distintiva che giustamente non aveva in grande simpatia, che come altri si era messo a disposizione della causa. Oggi lo fanno tante stelle del ciclismo su strada e su pista, allora non era così comune. Ma in quell’ambiente Di Somma, che in passato era stato un buon stradista arrivando fino ai dilettanti nelle file della Forestale, aveva trovato il modo per dare respiro alla sua passione: la bici.

Per Valentini, Fabrizio era prima di tutto un amico, anche se di un’altra generazione: «Ricordo quando arrivò nel gruppo. Lo conoscevo come buon corridore, tra i ragazzi c’era bisogno di inserire ciclisti in grado di guidare il tandem. Gli proposi l’idea e a lui piacque subito. C’era pochissimo tempo, eppure iniziò con entusiasmo con l’obiettivo di andare ai mondiali in Australia. Fu protagonista, aveva imparato subito. Fabrizio non era un ciclista che si distingueva particolarmente per mezzi fisici o talento, ma aveva una furbizia unica, sapeva sempre come muoversi.

Il laziale aveva seguito tutta la trafila ciclistica, fino ai dilettanti emigrando a Parma
Il laziale aveva seguito tutta la trafila ciclistica, fino ai dilettanti emigrando a Parma

Gli anni d’oro del ciclismo paralimpico

«Con Fabrizio abbiamo vissuto stagioni difficili – ricorda Valentini – ma proprio per questo entusiasmanti. Sono stati gli anni nei quali abbiamo iniziato a fare bottino nei grandi eventi fino a diventare un esempio per tutto il mondo. Eppure non avevamo nulla quando arrivammo, eppure tutti, lui compreso, contribuirono a dare qualcosa in più, a supplire con l’impegno alle carenze. Venne poi l’epoca di Macchi, dello stesso Triboli, Farroni e così via.

«Lo conoscevo da quando aveva 9 anni. Venne con un gruppo di ragazzini di Latina, io già lavoravo al velodromo e me lo vidi davanti, con una sagacia enorme. Correva con grande intelligenza e questa l’ha messa a disposizione anche quando da atleta è passato tecnico. Nessuno aveva la sua preparazione, di ogni cosa voleva sapere tutto. Quando eravamo in trasferta, gli chiedevo: “«”Che cosa sai di quel corridore o di quella squadra?“. “Capo, dammi 10 minuti e ti dico tutto“, era sempre la sua risposta. Parlava correntemente tre lingue e non ne aveva studiata una…».

Insieme ad Alex Zanardi nel 2014, uno dei momenti migliori del ciclismo paralimpico italiano
Insieme ad Alex Zanardi nel 2014, uno dei momenti migliori del ciclismo paralimpico italiano

Una chiusura di carriera sofferta

Di Somma è stato alla Forestale fino al 2017 per poi passare ai Vigili del Fuoco: «Ricordo che mi raccontava quanto gli dispiacesse e non trovasse giusto il fatto di prendere uno stipendio più alto rispetto ai suoi pari grado, perché veniva da un’altra realtà militare. Perché Fabrizio era così: un animo buono, che non litigava mai con nessuno. L’addio alla nazionale dopo Tokyo 2020 gli aveva fatto male, ci aveva sofferto tanto soprattutto nel vedere quanta acredine ci fosse stata».

ll carattere del laziale è riassunto fortemente dall’episodio che segnò la sua uscita di scena dall’agonismo, un terribile incidente stradale nel 2010 nel quale riportò più di 30 fratture: «Aveva una gamba davvero distrutta, eppure non faceva altro che dire che voleva tornare in bici, già quand’era in ospedale. La rieducazione è stata lunga e difficile, ma lui non faceva altro che ripetere “datemi una bici e mi rimetto in sesto” e così è stato, ha fatto qualcosa di grandioso. Poi il destino l’ha messo di fronte a un’altra battaglia, un tumore al pancreas e al fegato, ma era troppo grande per lui. Me lo disse in una telefonata: “Capo, devo darti una brutta notizia…”. Mi è crollato il mondo addosso».

Fabrizio Di Somma ha corso fino al 2010, costretto poi al ritiro da un gravissimo incidente
Fabrizio Di Somma ha corso fino al 2010, costretto poi al ritiro da un gravissimo incidente

La gara più bella? Quando perse…

C’è una gara che più delle altre è rimasta impressa nella mente del suo tecnico? «Paradossalmente è una di quelle che non vinse. Paralimpiadi di Atene 2004: Fabrizio sapeva che non aveva i mezzi per vincere, c’erano coppie molto più forti e blasonate. Ma lui prima della partenza mi dice: “basta solo che facciano uno sbaglio e li faccio secchi tutti”. E quasi ci riusciva: sul rettilineo d’arrivo aveva trovato uno spazio di meno di un metro eppure ci si era buttato dentro con tutto il coraggio di questo mondo. Ma il tandem è lungo e un avversario li chiuse la porta facendogli perdere il ritmo. Finirono quarti, ma avrebbero potuto vincere.

«Lui diceva sempre che aveva due grandi amori ed era stato fortunato per questo: la famiglia e la bici. Per questo non faceva altro che ringraziare e diceva che non gli piacevano quelli che si lamentano sempre del lavoro, perché fai tante ore, guadagni meno di quell’altro e così via. Quando hai qualcosa bisogna sempre ringraziare e diceva che questo valore si è un po’ perso. Io che ho quasi trent’anni più di lui devo riconoscere che aveva una saggezza fuori del comune».

Fabrizio svolgeva anche opera di consulenza in giro per l’Italia per invitare a fare sport (foto Caddeo)
Fabrizio svolgeva anche opera di consulenza in giro per l’Italia per invitare a fare sport (foto Caddeo)

Guardare l’insieme

Dopo la sua scomparsa, sui social al fianco dei tanti messaggi di cordoglio sono comparsi anche riferimenti poco simpatici alle polemiche seguenti il travagliato cambio tecnico post Tokyo 2020. Il che porta a una considerazione: se da una parte è vero che quando una persona scompare tutti ne tessono le lodi, magari anche con un pizzico di ipocrisia, dall’altro è anche vero che, alla fine, molti dimenticano di andare oltre i singoli episodi e guardare il complesso, il valore di una persona nel corso di tutta la sua vita. E forse è proprio quel valore acquisito, la più grande vittoria di Fabrizio Di Somma.

Cento giorni al Tour de France. Il racconto da Lille

27.03.2025
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LILLE (Francia) – «Io sono il vento del Nord. La gente con le sue tradizioni. Io sono la terra che respira la bici». Recita così il video introduttivo del Grand Départ del Tour de France. Siamo nell’Hauts-de-France, nel Nord Ovest della Francia, laddove il Belgio, le Fiandre e le distese francesi si mescolano senza un vero confine. E infatti questa, Lille, è l’Eurometropoli che comprende le città di Tournai, Courtrai e Lille appunto e una serie di città satellite: una su tutte, Roubaix.

In città c’è un bel via via di gente. Sono ormai le 18, gli uffici e le scuole sono chiusi e ci si appresta a tornare a casa. Ma nel trambusto tutti si fermano o quantomeno rallentano quando vedono la folla radunata attorno al tabellone del Tour. C’è chi fa una sosta, chi guarda e tira dritto, chi tira fuori il telefono anche se non si ferma perché una foto, un post fanno sempre comodo.

Dopo aver premuto il grande bottone rosso, Prudhomme e le altre autorità hanno dato via al conto alla rovescia: 100 giorni alla partenza del Tour 2025
Dopo aver premuto il grande bottone rosso, Prudhomme e le altre autorità hanno dato via al conto alla rovescia: 100 giorni alla partenza del Tour 2025

Meno cento…

Ma perché siamo qui? Perché un messaggio da parte del Tour ci ha invitato a partecipare alla cerimonia dei 100 giorni dal via del Tour numero 112 della storia.
Questa è davvero terra di ciclismo. Quanti campioni di qua e di là dal confine: il Belgio è a poche centinaia di metri. Lille ha ospitato tre partenze della Grande Boucle e per 34 volte è stata sede di tappa.
Per capire dove siamo: a 65 chilometri da qui si stava correndo la Classic Brugge-De Panne vinta da Molano. E tante altre corse si disputano in questa zona durante l’anno. E’ “facile” fare del ciclismo quassù.

Dopo il countdown davanti alla stazione, l’evento si è spostato al coperto (per fortuna, l’aria è alquanto frizzante).
«Io ho studiato qui – racconta con la sua innata passione Christian Prudhomme, il direttore del Tour – è qui che sono diventato giornalista. Sono diventato giornalista per poter raccontare il Tour e ora sono qui in questa veste. Però ho sempre le immagini di quel ragazzo. Ho sempre le immagini di quando ero ragazzo ogni volta che vengo. Questa terra davvero è vicina al ciclismo».

«Basket, tennis, volley, abbiamo avuto di tutto – fa eco il presidente del Département du Nord, Christian Poiret – poi vedevamo Copenaghen, Namur, i Paesi Baschi, Firenze e noi no? Dovevamo avere il Tour, il più grande spot gratuito per la nostra terra. E’ un onore, una voglia. Il Tour porta buonumore. Vedrete che festa in ogni cittadina».

Il trofeo che ricorda le grandi partenze del Tour…
Il trofeo che ricorda le grandi partenze del Tour…

Le tappe del Nord

Ma oltre all’aspetto dell’accoglienza e della presentazione, poi si è parlato anche delle tappe qui nell’Hauts-de-France: tre frazioni più la partenza della quarta.

«Un Tour 100 per cento francese, una scelta voluta – ha ribadito Prudhomme – perché se è vero che le partenze dall’estero sono un’opportunità per la Francia, in quanto poi vediamo restare una grande capacità di attrazione, è anche vero il contrario». Insomma un po’ di tradizione ci voleva e, tutto sommato, è anche giusto così. La forza di un evento si valuta e si capisce anche da queste scelte.

«Penso che queste partenze siano la celebrazione dei grandi campioni: da Bartali, Firenze, a Coppi, Piemonte, fino al Nord della Francia con Anquetil. Per questo era giusto anche restare nel nostro Paese. Abbiamo tanti esempi, tanti campioni. E se, organizzando bene, con i giusti percorsi e i giusti punti toccati, un giorno un bambino saprà chi è stato Jean Stablinski (a cui è dedicato il velodromo di Roubaix, ndr), allora avremo fatto un buon lavoro».

Gli enti hanno indicato i punti da toccare, poi il percorso è stato creato cercando di renderlo duro il più possibile, ma compatibilmente con l’orografia del territorio. E qui, da queste parti, di salite… ce ne sono pochine!

Laurent Desbiens, ex pro’ di zona, collabora con l’organizzazione di questa grande partenza
Laurent Desbiens, ex pro’ di zona, collabora con l’organizzazione di questa grande partenza

Sprinter e non solo

Quando si è parlato delle tappe, a prendere il microfono è stato Laurent Desbiens. Corridore degli anni ’90, lui è quello che in Francia definiscono “l’enfant du pays”. Desbiens infatti è di Mons-en-Baroeul. Come c’era da immaginarsi in chi riesce a fare sistema (organizzatori, sponsor, politici) non è mancato il coinvolgimento di chi è del luogo e che in carriera ha vinto 11 corse, tra cui una tappa al Tour, e ha anche indossato la maglia gialla. La scritta Cofidis al centro, una delle prime pressofuse sulla pancia, ormai rovinate. Desbiens è parte integrante della macchina del Grand Départ.


«La prima e la terza frazione, quindi Lille e Dunkerque – ha detto – sono per velocisti. Penso, almeno per ora, a Tim Merlier, il mio favorito per la prima maglia gialla. Ma attenzione, perché soprattutto la prima frazione è breve, ci sarà tanto nervosismo col fatto che sono tutti freschi e c’è la maglia gialla in palio. La seconda frazione, Boulogne-sur-Mer, la più lunga del Tour con i suoi 209 chilometri, invece è per Pogacar. L’arrivo è duro. E’ un muro e con le sue gambe può già fare la differenza. Io finii settimo nel 1994 quando si arrivò lì».

Kittel (al centro) è stato l’ultimo vincitore del Tour a Lille. Nel 1950 invece a vincere fu un italiano: Alfredo Pasotti
Kittel (al centro) è stato l’ultimo vincitore del Tour a Lille. Nel 1950 invece a vincere fu un italiano: Alfredo Pasotti

Fra sport e storia

La terza tappa è un piattone come nei Tour degli anni ’80 e ’90 e forse ci fa anche piacere questo tocco di tradizione. Il vento, come si suol dire, può giocare un ruolo importante. Ma parlando di questa tappa, sia Desbiens che gli altri interlocutori hanno fatto riferimento alla sua storia e del suo significato.

Da Valenciennes a Dunkerque, in effetti, si comprendono tutte le sfumature di quest’area e i significati sono tantissimi. Per i francesi Dunkerque con le tracce dello sbarco in Normandia è una sorta di Caporetto della Seconda Guerra Mondiale. Andando verso Valenciennes si sfiorano le miniere, i cui proventi sono stati sostituiti dai grandi centri logistici dell’automobile. Senza dimenticare, per restare più in ambito ciclistico, i tratti in pavé della Roubaix, che tutto sommato scorre qui a fianco.

Noi abbiamo ancora impresse nella mente e sulla pelle le emozioni della Grande Partenza di Firenze. Se a Lille dovessero avere anche solo la metà dell’entusiasmo di quei giorni, avrebbero fatto centro. Ma essendo francesi ed essendo il Tour il loro vanto… c’è da giurarci che si andrà ben oltre la metà.

La grande maglia in stile calcio sul pullman della Polti-Visit Malta

26.03.2025
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«La maglia, con i suoi colori identificativi, è il simbolo di questa squadra – dice Francesca Polti, Presidente e Amministratrice Delegata di Polti – ciò che più la rappresenta ed insieme rappresenta gli sponsor e i valori condivisi. Inserire l’immagine della maglia sul bus e gli altri mezzi pesanti è stata, quindi, un’idea che ci ha convinti da subito. Sia per l’originalità e l’unicità nel mondo ciclistico, sia perché permette ai nostri tifosi di identificare immediatamente e in modo efficace il Team Polti-VisitMalta, per le strade di tutta Italia ed Europa».

Francesca Polti è una presenza assidua accanto alla squadra: qui alla Strade Bianche (foto Team Polti-VisitMalta)
Francesca Polti è una presenza assidua accanto alla squadra: qui alla Strade Bianche (foto Team Polti-VisitMalta)

L’immagine della flotta

Questa è la storia di come sia nato e sia stato poi sviluppato e finalizzato il vestito 2025 del pullman della squadra di Basso e Contador. Un progetto che ha subito conquistato Basso e i suoi sponsor e che è stato concepito da Maurizio Borserini, creatore delle immagini per il team e per gli sponsor.

«L’idea – racconta Borserini – è nata semplicemente per dare un’immagine un po’ più importante e innovativa al mezzo che è sempre presente sia sulle strade sia nei parcheggi dei paddock. L’anno scorso abbiamo constatato che il pullman è sempre al centro delle riprese e delle foto. In più avevamo l’esigenza di raggruppare una flotta intera, dando un’immagine che andasse fuori da quello cui eravamo abituati nel ciclismo, per cui ci siamo messi a studiare…».

Studiare che cosa?

Sono andato a vedere i bus di altri sport, ad esempio del calcio. Mi ha affascinato il fatto che loro diano molto risalto all’elemento maglia della squadra o allo scudo che la rappresenta, come ha fatto la Lotto Dstny, una pratica che non è mai stata tanto diffusa nel ciclismo. Molto probabilmente c’è sempre stato il discorso del mostrare il nome dello sponsor, ma sempre in termini di grandi scritte. E così abbiamo lavorato sull’immagine, dato che il bus era lo stesso e non si poteva intervenire sui materiali.

In che modo siete andati avanti?

Una volta avuta l’idea e l’approvazione di essa da parte degli sponsor principali, c’è stato un bel lavoro di squadra che ha visto impegnati tutto il team comunicazione, i grafici italiani e spagnoli e in cui il supporto di professionalità presenti nelle aziende partner è stato determinante.

Il nuovo pullman ha debuttato nelle gare di Valencia di inizio febbraio
Il nuovo pullman ha debuttato nelle gare di Valencia di inizio febbraio
Abbiamo letto il commento di Francesca Polti?

L’idea è nuova ed è piaciuta e hanno richiesto giustamente che ci fosse coerenza in tutta la flotta. Per cui, pur non avendo potuto riprodurre la stessa grafica sulle ammiraglie a causa di elementi di carrozzeria che avrebbero dato problemi con il disegno, i van e i camion hanno la stessa veste. Anzi il camion, col fatto che non ha sporgenze, è anche molto bello.

Qual è stato l’impatto del pullman alle prime corse?

Venivano a vederlo, come se ci fosse stato un passa parola. Non so se sia stato io a farci caso, però vedevo che la gente veniva, si fermava e guardava. Il discorso della maglia aiuta tanto a identificarci sia fuori corsa che in corsa, perché alla gente arriva un’immagine sola per la squadra. E alla fine è proprio quello che volevamo ottenere. Un’immagine originale ed efficace. Per cui, missione compiuta!

Ai 300 metri Van der Poel aveva già vinto. Bettini spiega

26.03.2025
5 min
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«La Sanremo è stata bella – dice Bettini – perché finalmente abbiamo visto, su un percorso sicuramente non perfetto per le sue qualità, che il numero uno del ciclismo attuale si può battere. Ci portiamo a casa questa sensazione. La parte veramente emozionante, parlo da italiano, è stato vedere Ganna che non è saltato di testa. Si è staccato due/tre volte. A ogni azione andava in difficoltà, ma con la testa era già all’arrivo, nel senso che sapeva quello che doveva fare. Peccato che non sia abituato a trovarsi troppo spesso in una volata del genere, credo che questa contro Van der Poel sia stata la prima volta…».

Paolo Bettini è in giro per l’Italia con la compagna Marianella Bargilli, lavorando dietro le quinte del Giro d’Italia. Sembra un gioco di parole, ma non lo è. Per il quarto anno consecutivo, RCS Sport sta realizzando i video di Giro Express, in cui si raccontano le località toccate dalla corsa rosa. Sono già stati in Albania, martedì quando ci siamo sentiti erano a Roma. Il viaggio dura 45 giorni e così il finale della Sanremo, Paolo l’ha visto nel cellulare durante uno degli spostamenti. E noi non potevamo esimerci dall’interpellarlo. Un po’ perché anche lui nel 2003 vinse la Sanremo con una volata a tre, anche se uno degli altri due era il suo amico e luogotenente Paolini. E un po’ perché la sua lettura di uno sprint come quello di via Roma è di quelle che ti lasciano senza dubbi, perché ti porta nella mente dei tre protagonisti.

Ganna non molla e rientra ancora, Van der Poel se ne accorge
Ganna non molla e rientra ancora, Van der Poel se ne accorge
Si diceva di Ganna e la volata.

Si vede che era la prima di un certo livello. Magari il risultato non cambiava, però parla uno che s’inventava l’impossibile per battere gli avversari più forti. So che ho perso, per cui mi dimentico di avere Pogacar a ruota e Van Der Poel da solo dalla parte della strada non ce lo mando neanche morto. Piuttosto gli entro in tasca. La volata affiancato a Van der Poel, uno a destra e uno a sinistra, non si fa.

Perché?

Prendiamo vento tutti e due, ma io ho speso di più perché sono rientrato già tre volte. E parto a fare la volata con te che sei più forte di me, col vento in faccia e via Roma che un po’ tira all’insu? Neanche morto, ma un Ganna così forte lo giustifichiamo, gli diamo una grandissima giustificazione come si faceva a scuola. Perché ha fatto un numero solo ad essere lì con i due fenomeni attuali del ciclismo. Possiamo dire che Ganna c’è e ci apprestiamo a un mese di aprile molto interessante, perché un Ganna così alla Roubaix me lo voglio proprio gustare.

Van der Poel parte in anticipo, Ganna deve spostarsi: il gap è incolmabile
Van der Poel parte in anticipo, Ganna deve spostarsi: il gap è incolmabile
E’ Ganna che ha sbagliato o è stato più furbo Van der Poel a partire così lungo?

Vi spiego la psicologia di una volata così. Van der Poel è il più forte, però si trova in testa, quindi nella posizione sbagliata. E’ anche giusto, perché è il più veloce e gli avversari lo hanno fregato. Ganna che è rientrato va a cercare proprio lui e si trova nella posizione migliore. E Van Der Poel cosa fa? Si sposta tutta a destra, guardandoli, come per dire: che si fa? E loro lo lasciano fare. Ganna non l’ha seguito, Pogacar è stato a ruota di Ganna e Van Der Poel si è trovato solo.

Cosa poteva fare Ganna?

Guardate, via Roma, quando è tutta pulita dalle macchine e transennata a destra e a sinistra, è larga quasi 9 metri. Se sono Ganna e siamo pari – ma non lo erano perché Van der Poel era leggermente più avanti – per compensare e venire a cercarti, posso fare la mia volata, sapendo di avere Pogacar a ruota. Oppure parto lungo, però Van der Poel mi vede dato che siamo paralleli. Ma lui è più veloce e mi batte. E sicuramente mi salta anche Pogacar. Se non gli sto a ruota da subito, ho perso la volata.

Non c’è più spazio per chiudere, Ganna ha lasciato troppo spazio. Pogacar è sfinito
Non c’è più spazio per chiudere, Ganna ha lasciato troppo spazio. Pogacar è sfinito
Infatti Van der Poel ha anticipato tutti…

E’ il più veloce e ha fatto quello che non nessuno si aspettava: finché ci pensi, io ti anticipo e poi vienimi a prendere se sei capace…. Mathieu è molto più esplosivo, quando è partito gli ha preso 3 metri e come fai a chiudere? Anche perché non è uno qualunque, è il più forte della volata, non lo rimonti più. E poi un’altra cosa: quante volate di questo tipo, vinte e perse, ha fatto Van der Poel? E quante volate di quel tipo, vinte e perse, ha fatto Ganna? Secondo me era la prima vera volata che si trovava a gestire.

Invece Pogacar?

Ha fatto il tutto per tutto per staccarli e ha speso anche tanto. E’ veloce, ma non ai livelli di Van der Poel. In più si è un po’ perso nella volata, come quando perse il primo Fiandre sempre con Van der Poel, ma perché non è un velocista. Non ha l’occhio per gestire due avversari in una volata di quel tipo, un po’ come Ganna, forse qualcosina di più.

Il 22 marzo 2003, Paolo Bettini conquista la Milano-Sanremo su Celestino e il compagno Paolini
Il 22 marzo 2003, Paolo Bettini conquista la Milano-Sanremo su Celestino e il compagno Paolini
La tua volata del 2003 fu diversa, non ci fu rallentamento, ma uno degli altri due era Paolini…

Fu completamente diversa. Non avevo con me un gregario, ma l’altro capitano che ha gestito tutto. E’ stato facile, tra virgolette. Giù dal Poggio e toccata l’Aurelia, Paolini non mollò un metro. Nelle ultime due curve entrammo a tutta e il Gerva non smise mai di tirare. Tenne l’andatura a 50 all’ora finché io non partii con la volata.

Si può dire che per Ganna sia stata una grande esperienza?

Enorme, come lo sarebbe andare al Fiandre e prendere le misure al percorso e agli avversari. Vedrete che se l’anno prossimo arriva in via Roma allo stesso modo, chiunque si sposti dall’altro lato della strada, lui lo segue. Abbiamo un Ganna di tutto rispetto, per cui gli perdoniamo quella volata e lo aspettiamo alla Roubaix.

La Classicissima di Nencini, tra emozioni e (tanta) fatica

Luis Laserpe
26.03.2025
5 min
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Non solo la prima Sanremo di Turconi, quella vinta da Van der Poel su Ganna e Pogacar è stata la prima Milano-Sanremo anche per Tommaso Nencini, del team Solution Tech-Vini Fantini, con ben 230 chilometri in fuga. I loro racconti si somigliano, la fatica in certe corse è uguale (quasi) per tutti…

Tommaso Nencini un paio di giorni dopo la Milano- Sanremo, la tua prima Sanremo, quali sono le tue impressioni su questa storica corsa? 

E’ stata una gara sicuramente tosta sin dalle prime battute, perché sono riuscito a centrare la fuga sin dai primi chilometri, con i miei compagni di fuga, Martin Marcellusi e Alessandro Verre. Siamo rimasti per parecchio tempo in una avanscoperta prima che il gruppo ci riprendesse, quindi è stata una bella emozione.

Al via, lo sguardo di Nencini su Pogacar è un misto fra ammirazione e stupore
Al via, lo sguardo di Nencini su Pogacar è un misto fra ammirazione e stupore
Una Milano-Sanremo contraddistinta da una giornata fredda e di pioggia.

Partire con la pioggia non è una delle migliori situazioni – racconta Tommaso Nencini – però fortunatamente dopo che abbiamo scollinato il Turchino, siamo scesi sul mare e faceva anche abbastanza caldo. Non pioveva più, la strada era asciutta, quindi ci siamo potuti alleggerire e nei chilometri successivi, la situazione dal punto di vista climatico era tranquilla. E’ stata dura all’inizio, poi fortunatamente la pioggia e il freddo ci hanno dato un po’ di tregua

Era il piano che avevate preparato con il diesse Serge Parsani, quello di partire subito con la fuga? 

Sì, il piano della squadra era di poter giocare le proprie carte dai primi chilometri, a parte il serbo Dusan Raiovic, che sarebbe stato la nostra punta di diamante in caso di arrivo in volata. Noi potevamo giocare le nostre possibilità con una fuga. Ho visto l’attimo giusto appena è partito Martin Marcellusi e gli sono andato dietro con Alessandro Verre. Siamo andati via all’inizio in tre e poi ci hanno raggiunto altri cinque corridori Le Berre, Veistroffer, Stewart, Filippo Turconi e Sbaragli.

Alla partenza da Pavia, per tutti i debuttanti una grande emozione e brividi (anche per pioggia e freddo)
Alla partenza da Pavia, per tutti i debuttanti una grande emozione e brividi (anche per pioggia e freddo)
E tu hai aspettato Sbaragli, per farlo entrare nel gruppetto ?

Dall’ammiraglia ci dicevano che Kristian da solo stava provando a raggiungerci in fuga. Allora insieme al mio compagno di squadra Mark Stewart, abbiamo convinto gli altri componenti della fuga che un uomo in più sarebbe stato fondamentale per aumentare il vantaggio. Quindi appena rientrato abbiamo cominciato a collaborare tutti insieme. Un uomo in più ovviamente fa sempre più comodo in fuga e l’hanno capito anche gli altri ragazzi che erano con noi.

Poi sulla Cipressa con il gruppo che stava rientrando sei stato ripreso e dopo ti sei ritirato? 

Sì, io sono stato il primo a staccarsi dalla fuga, era la mia prima Monumento ed era la prima gara dove facevo così tanti chilometri, non ero molto abituato. Ho cercato di prepararla il più possibile durante l’inverno, cercando di fare tanti chilometri in allenamento. Però in gara è tutta un’altra cosa, quindi sono arrivato con le gambe un po’ distrutte nel finale. Mi sono staccato e appena mi ha ripreso il gruppo, ho provato un po’ a rimanere accodato dietro, ma dopo i Capi, mi sono staccato anche dal gruppo. Ho deciso di non insistere per andare all’arrivo. Ritirarmi o fare 160° alla fine non cambiava tantissimo. Però è stata una bella emozione aver partecipato ed essere entrato nella fuga di giornata.

Nella fuga con Nencini c’era anche Kristian Sbaragli, anche lui toscano
Nella fuga con Nencini c’era anche Kristian Sbaragli, anche lui toscano
C’è una foto particolare alla partenza da Pavia, ci sei tu che stai guardando con ammirazione Pogacar. Che cosa ti passava per la mente in quel momento? 

Beh, vederlo lì vicino, io che non l’avevo mai visto di persona, mi ha impressionato. Pensavo vedendolo dalla televisione, che fosse un po’ più robusto invece è proprio magro, tirato e focalizzato. Una sfinge, faceva quasi impressione. Per questo nella foto il mio sguardo è di stupore nei suoi confronti. Gli avrei voluto quasi parlare, ma onestamente mi vergognavo. Ho cercato di evitare di chiedergli qualsiasi cosa, perché vedevo che era concentrato, quindi ho preferito osservarlo.

Dicevi che sei rimasto senza forza nelle gambe, del resto dopo una fuga di oltre 200 chilometri tra i 45-50 di media può succedere. Però il tuo preparatore Alberati è rimasto positivamente sorpreso, da quello che sei riuscito a fare.

Centrare la fuga giusta è sempre difficile, tutti vogliono provare, per esempio i corridori di squadre che non hanno un capitano affermato. Sapevo che c’erano molte squadre agguerrite e che non è mai facile beccarla in una gara così importante. Una fuga alla Milano-Sanremo ti può dare molta visibilità. Ecco penso sia quello lo stupore per il mio preparatore.

E per te? 

Ovviamente, mi sono stupito anch’io. Andare a quelle velocità lì, i primi chilometri in fuga, le prime ore con il vantaggio che aumentava. In realtà siamo andati anche abbastanza tranquilli, non abbiamo fatto chissà quale velocità. Naturalmente all’inizio abbiamo spinto forte, ma poi ci siamo tranquillizzati. E dopo quando siamo arrivati sul mare, con il tempo più clemente, abbiamo cominciato a menare sui 55 orari ed è stato lì che piano piano, ho cominciato ad accusare la stanchezza. Infatti poco dopo ero allo stremo, sono saltato ed il gruppo mi ha ripreso. Però sono anch’io abbastanza soddisfatto sicuramente, c’è da migliorare, ma è già un bel punto di partenza.”

Prima della Sanremo, la Milano-Torino: per Nencini, 24 anni, la Classicissima è stata la quinta gara di stagione
Prima della Sanremo, la Milano-Torino: per Nencini, 24 anni, la Classicissima è stata la quinta gara di stagione
Il gruppo vi ha lasciato molto spazio, ma dopo il Capo Mele la musica è cambiata 

Si sapeva che il gruppo cominciava a fare su serio dai Capi in poi. E prima di imboccare la Cipressa, ci dicevano che dietro stava tirando un uomo solo, Silvan Dillier, e noi con stupore, ci siamo chiesti come facesse da solo, a riuscire a tenerci sempre lì a tiro. Alla fine l’hanno controllata bene e poi le grandi squadre, quando hanno aperto il gas, in 15-20 chilometri ci hanno ripreso i 4 minuti che avevamo di vantaggio.

Ti sembra che la tua prima Monumento sia stata di buon auspicio? 

Possiamo dire che è stata una bella gara, è stata una giornata emozionante. Di sicuro un’esperienza che mi ha fatto bene per futuro, per le prossime gare. Ecco, da questa Milano-Sanremo posso mettere un punto più che positivo e sperare nel meglio per il prosieguo della stagione.

I sensori Core per la temperatura corporea, cerchiamo di capire

26.03.2025
5 min
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MASSA MARITTIMA – In occasione del lancio del nuovo sensore Core 2, ovvero la seconda generazione del sensore che rileva la temperatura corporea, abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Gavin Harte, responsabile commerciale di Core.

Cerchiamo di capire meglio cosa significa utilizzare un sensore capace di valutare la termoregolazione, come usarlo e cosa comporta tenere sotto controllo un valore del genere.

Gavin Harte (foto Rupert Fowler-BCA)
Gavin Harte (foto Rupert Fowler-BCA)

Il nuovo Core 2

Prima di tutto cerchiamo di contestualizzare lo strumento. Core 2 è una sorta di clip, si applica alla fascia elastica del cardio. Ha uno spessore inferiore al centimetro, alto poco più di 4 centimetri e largo meno di 3, con un peso inferiore ai 9 grammi. Ha una batteria interna ricaricabile e rispetto alla generazione precedente è stato modificato, migliorato internamente e all’esterno, reso più completo e pratico. Core, azienda che ha sede a Zurigo, è sponsor e partner tecnico di ben 8 team World Tour (uomini e donne), ma è molto utile sottolineare, come ci ha confermato Harte, che diverse squadre e corridori acquistano il prodotto, in quanto non sponsorizzati in modo diretto.

Il sensore Core 2 si interfaccia direttamente con la propria app (su smartphone) e da questi giorni è configurabile direttamente sui device Garmin. Il processo di ampliamento di Core è in grande espansione, grazie anche alla connessione con diversi portali di esplosione dei dati, come ad esempio TrainingPeaks.

A chi si rivolge Core?

Il ciclismo per Core rappresenta il 50%, poi c’è il triathlon e in grande crescita abbiamo il mondo running e trail running, dove in realtà il calore e la termoregolazione sono un problema ancora più grande, rispetto al ciclismo. Il motivo è molto semplice, il runner è più lento rispetto ad un ciclista ed il processo di raffreddamento derivante dall’aria è minore. Comunque il mondo Core è dedicato in generale a chi si allena in modo costante e tiene sotto controllo i vari aspetti della performance.

Ormai siamo in un mondo di numeri?

Esattamente e le possibilità, gli strumenti per monitorare, analizzare e tenere sotto controllo le prestazioni, sono sempre maggiori. Chi si allena con degli obiettivi è sempre più interessato ai numeri ed a capire cosa significano. Inoltre, se facciamo un confronto con il passato, anche recente, è sempre più facile tradurre questi stessi numeri.

Entrando nello specifico, perché è utile usare il sensore della temperatura?

Monitorare la termoregolazione corporea e la varie zone di calore che si affrontano quando ci si allena, o si gareggia è importante ai fini del Vo2Max e per aumentare l’emoglobina, solo per citare i due aspetti tra i più importanti. Capire quale è il range ottimale di allenamento, mi riferisco alla temperatura del corpo, previene la stanchezza ed il sovrallenamento.

Allenarsi per zone anche per quanto concerne la temperatura del corpo, un po’ come succede con il power meter?

Non è la stessa cosa, ma in un certo senso è così. Man mano che si entra in contatto con il sistema si riesce a far coincidere anche la zona di lavoro utile in base alla temperatura corporea, ovvero quel range di temperatura dove la fase è allenante.

Quando non ci si allena?

Abbiamo implementato, di recente, tramite app una sorta di lettura passiva dell’andamento della termoregolazione, nell’ottica di avere una panoramica sempre più completa della temperatura del corpo anche quando non si è sulla bici.

Si può capire come ci si adatta al calore in modo soggettivo?

Le fasi di adattamento sono soggettive, ma il corpo umano si adatta al calore step by step. Abbiamo un’idea piuttosto precisa di quale può essere il beneficio della corretta gestione della termoregolazione, ma non abbiamo ancora accesso ai dettagli di un miglioramento tradotto in numeri.

Sempre di più le collaborazioni
Sempre di più le collaborazioni
Siete riusciti a quantificare il miglioramento derivante dalla gestione del calore del corpo?

Non ancora. Stiamo lavorando proprio in quella direzione, grazie ad una banca dati che inizia ad avere numeri importanti. Le diverse ed impegnative sponsorizzazioni che abbiamo attivato hanno anche quale fine.

Semplificando, Core è una sorta di strumento di valutazione del motore dell’atleta?

Sì e si aggiunge, completa la rilevazione della frequenza cardiaca, mentre il power meter valuta il carico esterno.

Pidcock è utilizzatore assiduo, il Team Q36.5 è tra quelli sponsorizzati
Pidcock è utilizzatore assiduo, il Team Q36.5 è tra quelli sponsorizzati
Gli atleti lo chiedono?

Ci sono diversi atleti professionisti che hanno cambiato squadra e sono approdati in team che non hanno Core come sponsor, ma hanno acquistato il sensore di tasca propria. Abbiamo applicato dei prezzi di favore, ma comunque hanno comprato il sensore con il quale erano abituati a lavorare. Anche un’importante azienda del settore abbigliamento usa i nostri sensori per valutare l’impatto dei capi sulla termoregolazione.

Dal video alla realtà. I piani sulla Cipressa in casa UAE

26.03.2025
5 min
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E’ impossibile non parlare ancora di Milano-Sanremo, vista l’edizione superba alla quale abbiamo assistito. E se questa è stata così memorabile, il merito è quasi del tutto di Tadej Pogacar, cosa che ha sottolineato anche Van der Poel, poi vincitore in via Roma. Il campione del mondo ha attaccato sulla Cipressa e lo ha fatto con una violenza inaudita. Un attacco frutto non solo di gambe e fantasia, ma anche di un piano ben progettato.

E torniamo proprio a quel momento, grazie alla UAE Emirates. La squadra di Pogacar, infatti, ha pubblicato un video (appena in basso) davvero coinvolgente: il retroscena della Sanremo visto dall’interno del team.

In particolare, vogliamo soffermarci su quanto accaduto nella riunione pre-gara, che nel video va dal minuto 2’15” al minuto 4’56”. Parlano i protagonisti. E allora facciamo un parallelo tra quanto detto in riunione e quanto accaduto nella realtà.

Cipressa in vista

Partiamo dalle parole del direttore sportivo Andrej Hauptman. «La corsa misura 239 chilometri con un dislivello di 2.000 metri. Non è la gara più difficile, ma il finale sarà sicuramente duro. Almeno questo è il nostro obiettivo. Dobbiamo risparmiare energie, arrivare freschi fino ai Capi, ma non dobbiamo spendere tanto per stare davanti e poi arrivare così (col dito sotto al mento, come a dire “col collo tirato”) all’imbocco della Cipressa».

E così è andata. Sino ai Capi, la UAE Emirates quasi non si è vista. Tanto è vero che Dillier, di cui abbiamo parlato, si è sciroppato oltre 220 chilometri d’inseguimento individuale (o quasi) per contenere il ritardo della fuga entro i 5’.

Ancora Hauptman: «La Cipressa sarà il nostro punto principale domani: 5,6 chilometri a una media del 4,4 per cento. Il primo chilometro e mezzo non è così facile, ma è comunque “facile” al 5 per cento. Non dobbiamo pensare a cosa faranno gli altri. La Cipressa va presa “a fuoco”, in avanti. E quando il tutto si farà molto difficile, Tadej andrà».

Ancora una volta, quel che è stato detto in riunione ha corrisposto con la realtà.

Pogacar spiega a Del Toro come e quando entrare in scena sulla Cipressa. Spiegazione perfetta, ma il messicano ha mancato l’appuntamento
Pogacar spiega a Del Toro come e quando entrare in scena sulla Cipressa. Spiegazione perfetta, ma il messicano ha mancato l’appuntamento

Pogacar sale in cattedra

Sul grande schermo all’interno del bus, dopo i dati generali della corsa, appare la planimetria della Cipressa. Importantissima per incrociare segmenti, curve e pendenze. A questo punto, sale in cattedra proprio sua maestà Pogacar. E lo fa con la spontaneità di chi è leader per natura.

«Questo – indica Pogacar rivolgendosi a Del Toro – è il momento perfetto. Siamo a 2 chilometri, ma ne resta uno ancora di salita e uno e mezzo di falsopiano. Qui (punto 1 nella mappa in basso, ndr) devi già essere avanti prima e questa è la parte difficile fino a qui».

La planimetria della Cipressa e i punti nevralgici indicati da Pogacar
La planimetria della Cipressa e i punti nevralgici indicati da Pogacar

In questo segmento, però, la riunione non ha combaciato con la realtà. Questo lavoro infatti non è stato svolto da Del Toro, ma da Narvaez. Nella foto di apertura si nota l’esatto momento in cui l’ecuadoriano si sposta e scatta Pogacar. Nel post-gara, Gianetti ci aveva spiegato che Del Toro era rimasto dietro all’imbocco della Cipressa. Come dicevano in riunione, infatti, non sarebbe stato facile presentarsi freschi in quel punto.

«Io – riprende Pogacar – qui (punto 1, ndr) sarò ancora a ruota. Questa parte è più facile (punto 2, ndr). In questa curva (punto 3, ndr) fai un respiro profondo, Isaac, e fuori da questa curva fai 25” secondi a tutta, “full gas”. Qui (4a, ndr) o qui (4b ndr) scatto io. Cercherò di partire stretto, dopo la curva a destra. In quel punto se prendi 5”, il gruppo non ti vede».

E Tadej è scattato esattamente in quel pezzetto di strada (4a), dopo la curva. Pazzesco! Pogacar dice anche dove respirare profondo, come e quanto deve durare il lancio del suo attacco. E’ evidente che, dopo i sopralluoghi, hanno incrociato i valori degli atleti e i tempi degli attacchi.

Il forcing mostruoso di Wellens sulla Cipressa, seguito dopo 2 chilometri da quello di Narvaez
Il forcing mostruoso di Wellens sulla Cipressa, seguito dopo 2 chilometri da quello di Narvaez

I rischi di Wellens

Spiegata, almeno per quel che si vede nel video, la Cipressa, la riunione prosegue. Stavolta a parlare è Tim Wellens, altra punta e soprattutto uno degli atleti più esperti in casa UAE Emirates. Questo il senso delle sue parole.

«Per ricapitolare all’inizio non lasciamo tracce, non ci facciamo vedere. Se in fuga ci sono fino a 10 ragazzi non è la fine del mondo. Al limite bluffiamo e vediamo cosa succede. Sul Turchino stiamo davanti solo se è freddo o piove. Se è asciutto rilassiamoci. Prendiamo il rischio di arrivare davanti solo da Alassio (poco prima di Capo Mele, ndr). Lì ci saranno delle cadute, la corsa è nervosa, ma prendiamoci il rischio comunque di non spendere. Io credo sia meglio: magari perdiamo un ragazzo per niente».

Anche le parole di Wellens hanno trovato riscontro nella realtà. La UAE Emirates infatti si è affacciata davanti solo in prossimità dei Capi. E lì è entrato in scena proprio Wellens che ha dato una “trenata” pazzesca sulla Cipressa, riducendo il gruppo a una trentina di unità, prima dell’affondo di Narvaez e dello scatto di Pogacar.

Il video della riunione si conclude con una voce, forse quella di Hauptman, che dice: «Questo è il piano, facciamolo! A domani». Il tutto accompagnato da applausi di incoraggiamento.