Giaimi: una vittoria per scacciare i brutti pensieri

29.03.2025
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Luca Giaimi ha iniziato la sua seconda stagione nel devo team della UAE Team Emirates-XRG con un piglio diverso. Dopo le fatiche del primo anno nella formazione di sviluppo della squadra emiratina, il ligure ha trovato la vittoria in Portogallo. Un successo importante non tanto per il parterre presente al Troféu Internacional da Arrábida, ma per il significato che racchiude. Giaimi era arrivato al UAE Team Emirates Gen Z con gli occhi puntati addosso, per quanto fatto vedere fra gli juniores, ma anche per l’investimento fatto su di lui da parte della squadra numero uno al mondo: un contratto di sei anni, con scadenza quindi nel 2029

Lo stesso Giaimi, quando lo abbiamo incontrato la prima volta al ritiro del team nel gennaio del 2024 ci aveva detto: «Un contratto così lungo comporta meno stress legato alla scadenza, ma sento un po’ la pressione di dimostrare che me lo sono meritato».

Al Troféu Internacional da Arrábida è arrivato il primo successo con il devo team della UAE (foto Instgram Luca Giaimi)
Al Troféu Internacional da Arrábida è arrivato il primo successo con il devo team della UAE (foto Instgram Luca Giaimi)

Le pressioni

Da qui ripartiamo con Giacomo Notari, preparatore del UAE Team Emirates Gen Z e dello stesso Giaimi. Una sua storia su Instagram dopo la vittoria del suo atleta in Portogallo aveva acceso la nostra curiosità, questa diceva: “Un traguardo meritato dopo i sacrifici dell’inverno”. Ma quali sono questi sacrifici fatti?

«Giaimi arrivava da noi forte delle prestazioni fatte nella categoria juniores – racconta Notari – e non credo pensasse che tutto potesse risultare semplice. Sicuramente si immaginava di ottenere qualche risultato in più. Invece ha faticato, nonostante negli allenamenti non ci fosse niente da dire e lo scorso anno abbia messo insieme tante esperienze importanti, migliorando piano piano e finendo la stagione bene. Alla Crono delle Nazioni ha colto un ottimo secondo posto, è stata una bella iniezione di fiducia in vista del 2025. Però aveva capito che se voleva fare un salto di qualità ed essere più competitivo doveva cercare di perdere un po’ di chili. Quando ho scritto “sacrificio” mi riferivo a ciò che ha fatto da questo punto di vista».

Giaimi ha iniziato il 2025 dopo un inverno di grandi cambiamenti. Il primo? Il peso
Giaimi ha iniziato il 2025 dopo un inverno di grandi cambiamenti. Il primo? Il peso
Un “nuovo” Giaimi…

I chili persi gli hanno portato anche un miglioramento negli allenamenti: recupera meglio e si affatica meno. Tutto questo ha fatto sì che iniziasse la stagione con grosse motivazioni. Non nego che lui stesso si fosse messo delle pressioni, magari inconsciamente, e i primi appuntamenti lo hanno messo alla prova dal punto di vista mentale. Quello che gli mancava era collocare il tassello che gli potesse dare la giusta fiducia nei suoi mezzi. Quando vinci, poi ti sblocchi a livello mentale, sei più tranquillo e dopo puoi osare ancora. Tutti in squadra hanno visto un altro corridore.

Nei lavori in bici è cambiato qualcosa?

Non ha perso praticamente niente in termini di potenza, va un po’ meglio in salita, ma alla fine a livello di allenamento ha cambiato poco.

Quindi era un lavoro psicologico?

Sì, gli dicevo di stare tranquillo perché sapevamo che aveva lavorato bene e più che altro era un suo blocco mentale. Quando uno vuole una cosa e vede che non arriva, inizia ad autosabotarsi o a mettersi in dubbio. E’ una cosa che succede a tutti. Per questo sono felice che sia riuscito a vincere. Nei giorni prima di andare in Portogallo ha corso in Belgio con il team WorldTour. Insieme a Baldato avevamo studiato un piano per farlo recuperare ed essere pronto per le corse portoghesi

In Portogallo il suo coraggio è stato premiato, entrato nella fuga si è poi giocato la vittoria allo sprint (foto Instagram Luca Giaimi)
In Portogallo il suo coraggio è stato premiato, entrato nella fuga si è poi giocato la vittoria allo sprint (foto Instagram Luca Giaimi)
Lo hai sentito?

Il venerdì sera prima della gara, abbiamo parlato di un po’ di cose tra le quali la pista che ora tornerà a curare di più insieme a Salvoldi. Poi gli ho detto: «Domenica prova ad andare in fuga perché alla fine è l’unico modo che hai per vincere. Visto che ora stai bene bisogna provare». 

E poi ha vinto.

Dopo la gara gli ho scritto per sapere come fosse andata, sapevo già della vittoria, ma volevo sentirlo dire da lui. Mi ha risposto dicendo: «Ho fatto come mi hai detto, sono andato in fuga». A volte con i giovani c’è bisogno di spronarli, di osare.  

Dopo un anno con voi e il cambiamento fatto in inverno che corridore può essere Giaimi?

E’ ancora relativamente presto perché è abbastanza versatile. Secondo me, in maniera buona, non l’ha capito neanche lui che corridore è, sicuramente non uno scalatore. E’ un ottimo cronoman e inoltre è abbastanza veloce, ma non un velocista puro, anche se per le volate entrano in gioco altri meccanismi tecnici e tattici. Visti i suoi trascorsi in pista con l’inseguimento a squadre e individuale può essere un finisseur. Se trova il momento giusto di fare la sua sparata ha buone doti negli sforzi medi e medio lunghi

Giaimi ha corso già con il team WT sul pavé, il passo successivo sarà la Roubaix U23
Giaimi ha corso già con il team WT sul pavé, il passo successivo sarà la Roubaix U23
Nel tuo lavoro c’è tanto anche questo aspetto psicologico e di scambio?

Quando si è alle gare, spesso si va nelle camere a parlare faccia a faccia. Il lavoro da fare richiede di trovare un certo equilibrio, l’obiettivo è crescere, ma anche qualche risultato non fa male. Vincere aiuta a mantenere la concentrazione alta, a credere nel progetto e in se stessi. Se un corridore arriva a mettersi in dubbio è pericoloso. Poi, come dicevo, tornerà ad allenarsi con maggiore frequenza in pista, abbiamo già iniziato a parlare per capire qual è il miglior approccio da avere.

Van Aert “a vuoto” e ora la tensione cresce

29.03.2025
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Se Van der Poel non si ferma più, Wout Van Aert sembra aver smesso di volare. Tutti lo aspettano, tutti si chiedevano come stesse e tutti volevano che si facesse vedere. Che grande attesa che lo circondava al via del GP E3 di Harelbeke. E questi quesiti, che non si erano posti solo in Belgio, ieri hanno trovato una prima risposta… negativa purtroppo. Il campione della Visma-Lease a Bike ha chiuso 15° a 2’43” dall’eterno rivale Van der Poel, cosa che ha messo un carico pesante sulla sua prestazione non troppo brillante.

L’assenza di Van Aert alla Milano-Sanremo (e che Milano-Sanremo!) alla fine è stata rumorosa. E in questo momento il divario fra lu, Pogacar e Van der Poel appare enorme.

Su questa base tumultuosa si è quindi aperta la vera campagna del Nord di Van Aert. Wout Aveva preso parte al weekend di apertura con Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne-Bruxelles-Kuurne, ma anche lì non era andata benissimo. Tra l’altro, un appunto che in Belgio in quei giorni era stato mosso a Van Aert riguardava anche il suo peso: leggermente più alto rispetto a chi era già in forma.

Van Aert e Benoot sul Teide nei giorni della Sanremo. Per il secondo anno, la stessa scelta (foto Instagram)
Van Aert e Benoot sul Teide nei giorni della Sanremo. Per il secondo anno, la stessa scelta (foto Instagram)

Sul Teide

Prima di parlare di ieri però facciamo un piccolo passo indietro per inquadrare meglio la situazione di Wout.

Dopo quelle due corse, parliamo dei primissimi di marzo, sono trascorse quattro settimane. Tre di queste hanno visto Van Aert andare in ritiro in altura. Un ritiro che, a quanto pare, è andato molto bene. Wout ha svolto i lavori programmati, ha lavorato sul fondo, ha utilizzato la bici da crono e si è concesso persino delle uscite in gravel.
Si è parlato di 60 ore di allenamento a settimana. Prima di scendere dal Teide, ha svolto nuovamente i test e tutto sembrava essere in ordine.

«Abbiamo avuto un buono e piacevole ritiro di allenamento a Tenerife – aveva detto Van Aert – ma ovviamente, come corridore, ciò che desideri di più è gareggiare. Non vedo l’ora di rimettere il numero. Magari non siamo i favoriti, ma abbiamo una squadra forte e Jorgenson ha mostrato grandi cose alla Parigi-Nizza».

Van Aert a fine corsa è parso abbastanza contrariato per la sua prestazione. Eccolo lottare nelle retrovie
Van Aert a fine corsa è parso abbastanza contrariato per la sua prestazione. Eccolo lottare nelle retrovie

Ora si corre

Di solito, quando Van Aert scende dall’altura, va sempre molto forte. Ma non è bastato contro chi ha gareggiato a ritmi e pressioni siderali. Quanto tempo servirà perché torni a muoversi con scioltezza e padronanza in gruppo? Va detto che ultimamente Van Aert è caduto spesso e non sempre è riuscito a posizionarsi al meglio nei momenti cruciali. Magari un piccolo rodaggio serve anche a lui…

Sono supposizioni, ma certo quando si manca da un po’ la pressione, specie per una nazione che lo ama alla follia, si fa sentire. E’ innegabile. Anche perché l’altro che poteva togliergliela, Remco Evenepoel, è fermo ai box. Ma questi dubbi sono stati più che legittimi.

Sentite cosa ha detto lo stesso Wout ieri dopo la gara: «Ho seguito la gara “dall’esterno” – ha detto – ho perso il ritmo su Taaienberg, ero un po’ troppo avanti lì. Ero intorno alla ventesima posizione, non male, ma non abbastanza per stare con loro (riferendosi principalmente a Mads Pedersen e Van der Poel, ndr) da lì è stata una gara all’indietro».

L’amore per Van Aert non è mai venuto meno da parte dei belgi
L’amore per Van Aert non è mai venuto meno da parte dei belgi

Fiandre e Roubaix

Ovviamente si è aperto subito il dibattito sulla scelta di non aver gareggiato prima, dell’altura prima di gare così importanti per Van Aert.

«E’ troppo presto per trarre conclusioni in tal senso – ha continuato il belga – ho anche provato a scappare via con Florian Vermeersch sull’Oude Kwaremont. Posso dire che ho avuto un buon finale. Speravo di essere in gara. Speravo di ottenere un risultato e non ha funzionato. Vedremo nelle prossime. Non sono soddisfatto».

In questa stagione l’asso di Herentals si gioca tantissimo. I due grandi obiettivi, mai nascosti e sempre dichiarati da Van Aert e dalla Visma-Lease a Bike, sono il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix. Wout va per i 30 anni e le occasioni all’orizzonte sono sempre meno. Prima però bisogna concentrarsi su quello che c’è da affrontare. Il calendario è fitto e questo dà speranza. Correrà tutte le settimane fino all’Amstel Gold Race. Non farà la Gand domenica, ma prenderà il via alla Dwars door Vlaanderen, quindi sarà in azione al Fiandre, alla Roubaix, al Brabante e, appunto, all’Amstel Gold Race, ultimo passaggio prima del Giro d’Italia.

Hofstetter, il cacciatore di punti, è pronto per vincere

29.03.2025
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Dall’inizio di stagione, Hugo Hofstetter ha accumulato finora 10 giorni di corsa: dopo un anonimo Tour des Alpes Maritimes, ha messo insieme 5 presenze consecutive nella top 10, con i podi alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne e al GP Criquielion, finendo fra Moschetti e Nizzolo. Per il francese della Israel Premier Tech non è una novità: se si va a guardare il resoconto degli ultimi anni, nessuno fra WorldTour e professional è riuscito a mantenere una costanza di rendimento come la sua. Hofstetter è una garanzia di punti, è forse l’archetipo ideale del professionista odierno, che va contro la tradizione, per il quale vincere conta, ma non è tutto.

Per il trentunenne di Altkirch la caccia al piazzamento è ormai qualcosa di distintivo
Per il trentunenne di Altkirch la caccia al piazzamento è ormai qualcosa di distintivo

In attesa di ricominciare la sua caccia ai piazzamenti, già domani con la Gand-Wevelgem, Hofstetter si è prestato volentieri a un fuoco di fila di domande per conoscere meglio da che cosa nasce questa sua attitudine, che ne fa un elemento preziosissimo per la sua squadra a caccia di un difficile ritorno nel WorldTour.

Quest’anno festeggi i tuoi 10 anni fra i professionisti, com’è cambiato il mondo del ciclismo secondo te in questi anni?

Molto rispetto a quando ho iniziato, ora è più complicato, devi rendere conto ad esempio al nutrizionista pesando il cibo, la tecnologia ha fatto passi avanti. Certe volte penso che siamo un po’ come la Formula Uno o anche le moto GP, dove si investe molto nell’equipaggiamento. Ora la bici è diversa da guidare e stare in gruppo è cambiato perché si va molto più veloci e con molta più facilità.

Alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne Hofstetter coglie la terza piazza, dietro i principi della volata Philipsen e Kooij
Alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne Hofstetter coglie la terza piazza, dietro i principi della volata Philipsen e Kooij
Come giudichi questa tua prima parte di stagione?

Per il momento, ho avuto davvero dei buoni risultati. Ho iniziato aiutando Joseph Blackmore, del mio team. Poi in Belgio sono andato con molta motivazione e molto ben preparato. Ho avuto una prima settimana davvero molto buona, 3° a Kuurne con i migliori velocisti del mondo alla partenza, quindi è stato davvero un podio super bello, poi è stata una settimana molto redditizia, dove mi è spiaciuto solo non aver potuto vincere al Criquielion perché l’occasione era buona. L’occasione persa è stata però mercoledì a De Panne perché sono rimasto coinvolto nella caduta agli 800 metri, quando ero in un’ottima posizione.

Tu sei il corridore con più costanza di risultati e quindi di punti, è un po’ una tua specializzazione quella di cercare sempre il piazzamento?

Sono una persona che ama esserci sempre. Penso che vado in bicicletta per ottenere grandi risultati, dopodiché bisogna essere in ottime condizioni per farlo. Ed è anche abbastanza difficile essere costanti. Diciamo che, sì, mi sono un po’ specializzato in questo, in particolare le gare in Belgio sono qualcosa che conosco davvero molto, molto bene e questo è molto importante. E poi anche essere in buone condizioni per restare davanti, evitare cadute e così via. E’ qualcosa che mi caratterizza, l’essere sempre presente, l’essere sempre lì sul pezzo e penso che sia anche importante per una squadra poter sempre contare su qualcuno che alla fine porta qualcosa a casa. Poi è una cosa che mi piace, essere regolare nelle classifiche ed è questo che mi motiva sempre di più ad allenarmi meglio e a dare il massimo per la prossima gara.

Il podio al GP Criquielion, con Moschetti e Nizzolo. Un secondo posto dal retrogusto amaro
Il podio al GP Criquielion, con Moschetti e Nizzolo. Un secondo posto dal retrogusto amaro
Quali sono le corse dove ti trovi più a tuo agio?

E’ complicato dirlo. Alla fine ce ne sono molte, queste sono gare che conosco molto bene e che ho fatto un sacco di volte. Le Samyn ad esempio, l’ho vinta una volta e ho fatto podio in altre due occasioni. Mi si addice. Ma anche la Gand fa per me. Sono arrivato spesso in finale ma non sono mai riuscito a ottenere un risultato molto molto buono, un anno ho corso per Christophe Laporte e un altro anno sono arrivato davvero tra i primi 10, ma avevo perso un po’ lo sprint. Quindi per domenica sono super motivato.

Tu hai corso molto in Francia e Belgio, eppure sei al quarto anno all’Israel, cambiando quindi anche lingua. Che cos’ha la squadra che ti piace di più?

Quello che mi piace davvero è la mentalità, perché è vero che ci sono tante nazionalità nella squadra e questo ci aiuta a formare un gruppo composito, a metterci a confronto con tutto il nostro background. Rende un gruppo più coeso, non è facile da spiegare come: in Francia avevamo tutti la stessa visione delle cose, ma quando sei in una realtà multinazionale ognuno la vede in modo diverso, ti confronti, cresci. Questo significa essere una buona squadra e c’è sempre una buona mentalità qui. Anche prima ero stato bene, non dimentico i miei primi anni con la Cofidis, ho anche fatto il Tour de France per la prima volta in questa squadra. Quindi nutro anche molto rispetto per loro, per avermi dato delle possibilità.

Tro Bro Leon 2022, il successo in maglia Arkea Samsic. Una delle sue rare vittorie (foto team)
Tro Bro Leon 2022, il successo in maglia Arkea Samsic. Una delle sue rare vittorie (foto team)
Come hai iniziato a correre e come sei arrivato al professionismo?

Un po’ presto, all’età di 3 anni… Era mia sorella ad andare in bici, quindi all’improvviso ho iniziato così, lei andava in bici e ci andavo anche io. L’anno dopo già facevo le prime gare per bambini e non mi sono più fermato, d’altronde non sono mai stufo…

Domenica c’è la Gand-Wevelgem, è una corsa che si adatta a te e chi vedi come favoriti?

E’ complicato dirlo, sì, è una gara che mi si addice, è lunga, è dura, trovi tanto pavé. Spero davvero di fare una prestazione molto molto buona domenica. Per quanto riguarda i favoriti non si esce da quello schema che contraddistingue le ultime gare, io vedo bene Pedersen che è sempre lì e il suo compagno di squadra Milan che su questo percorso può fare molto bene, hanno una squadra molto forte. Ma penso che sia ancora una gara un po’ più aperta delle altre perché manca gente come Van der Poel che fa la differenza.

Il francese a Parigi. L’emozione di chiudere il Tour de France è sempre qualcosa di unico
Il francese a Parigi. L’emozione di chiudere il Tour de France è sempre qualcosa di unico
Qual è stata la corsa che ti ha lasciato più emozioni nel tuo passato?

Beh, non è facile rispondere. E’ chiaro che quando vinci ha tutto un sapore particolare, quando è accaduto alla Tro Bro Leon ero molto felice, ma poi ci sono le emozioni che solo le grandi classiche possono regalarti, come la Roubaix che per me è una gara speciale. L’ho sempre guardata in TV quando ero piccolo e sono già arrivato tra i primi 20. Quindi penso che anche questo sia qualcosa, al mio primo anno quando sono entrato nel Velodromo. E’ stato molto emozionante anche solo concludere questa gara che vedevo sempre in TV. Poi chiaramente il Tour de France che per uno di casa è qualcosa di unico. Quando sono arrivato sugli Champs-Élysées. Il primo Tour de France sugli Champs-Élysées, è stato uno dei miei momenti più belli in bici, diciamo, tra l’orgoglio di aver potuto fare il grande giro, di essere lì. Di essere uno di quelli che l’aveva finito.

Domani Gand. Confalonieri presenta la gara femminile

29.03.2025
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Abbiamo ancora negli occhi la volata di De Panne, con Wiebes che ha battuto le nostre Consonni e Balsamo, ed è già tempo di voltare pagina e parlare della Gand-Wevelgem Women. La classica belga introduce a quella che per i belgi è la “Settimana Santa”, che culmina con la Ronde, il Giro delle Fiandre. La Gand è quindi un passaggio cruciale e in tante non si nasconderanno.

A raccontarci meglio questa prova al femminile è Maria Giulia Confalonieri. L’atleta della Uno-X Mobility, stava per arrivare all’hotel della squadra quando l’abbiamo raggiunta al telefono. Lo scorso anno fu quinta, disputando un’ottima corsa (nella foto di apertura si nota in secondo piano col casco giallo nello sprint 2024, ndr). Non è certo la prima volta che, lassù, Confalonieri dimostra di cavarsela alla grande.

Maria Giulia Confalonieri in azione nelle primissime gare del Nord
Maria Giulia Confalonieri in azione nelle primissime gare del Nord
Maria Giulia, prima di tutto come stai?

Sto bene, spero che ci si possa togliere delle soddisfazioni finalmente… In generale la condizione è buona. E perciò sono fiduciosa. Non so ancora che ruolo potrò avere.

L’anno scorso sei arrivata quinta. Ti piace questa Gand?

L’anno scorso sì, sono andata forte, ma la Gand resta una gara di situazione. Se si guarda l’ordine d’arrivo si può dire che è andata bene, sono arrivata davanti. In realtà, poco prima della volata, il copertone anteriore deve aver toccato credo un dente di un’altra bici e mi è scoppiato. Quindi non ho potuto fare la volata in pieno. Sì, la Gand, alla fine, mi piace sempre. Anche se poi non so se sia l’ideale per me.

Perché?

E’ una gara dove spesso arriva un “grande” gruppo. Quello della Gand è un percorso semplice rispetto al Fiandre. Si parte dalla zona di De Panne, si percorre un tratto in linea che, se c’è vento, diventa molto stressante. Poi si arriva nella zona dei muri, dove si fa un circuito, e tra questi c’è il Kemmelberg, il più famoso e duro di quella della Gand-Wevelgem, nonché l’unico in pavé. Generalmente c’è sempre molto vento, specie nel finale, e per tanti chilometri si va nella stessa direzione. Se questo dovesse essere laterale potrebbe fare male e rendere il finale molto duro. Di solito, se c’è vento alla fine, c’è anche all’inizio, visto che è lo stesso tratto. L’anno scorso, dopo pochi chilometri, si crearono i ventagli.

L’altimetria della Gand Women: 168,8 Km e circa 890 m di dislivello. Lo scorso anno la lunghezza era di 171,2 km
L’altimetria della Gand Women: 168,8 Km e circa 890 m di dislivello. Lo scorso anno la lunghezza era di 171,2 km
Quindi col vento cambia tanto…

Esatto. Qui incide molto, cosa che si dice spesso delle corse in Belgio e Olanda, ma è davvero così. In ogni caso, la Gand-Wevelgem resta una corsa veloce. Si potrebbe dire che è per velociste, velociste moderne, quelle che sanno tenere su salite brevi e hanno resistenza. Però il gruppo che arriva non conta mai più di una quarantina di persone al massimo. Almeno così è andata negli ultimi anni. Insomma, arrivare davanti non è scontato.

Allora cosa rende dura questa corsa “facile”? Vento a parte, ovviamente…

Il circuito dei muri non è facile. Chiaro, non è il Fiandre: lì è tutta un’altra storia. I muri sono di più e più lunghi. Ma è importante arrivarci in posizione ottimale. Essere posizionati al meglio nei momenti cruciali è fondamentale, cosa che si dice di tante corse, ma alla Gand, viste le poche occasioni per fare la differenza, questo suggerimento vale ancora di più. Poi incidono anche il meteo e la distanza.

Ecco, la distanza è un altro fattore importante. La Gand, se non è la più lunga in assoluto del calendario, poco ci manca…

A mia memoria, lo scorso anno solo una tappa del Tour de France Femmes fu più lunga (come ha ricordato anche Erica Magnaldi ieri, ndr), perciò anche questo la rende complicata. Però quello che davvero conta non sono i chilometri, ma le ore in sella. Essendo una gara veloce staremo sulle quattro ore. E questo crea già tanta differenza nel finale rispetto a gare che durano mediamente 40-60 minuti in meno.

Le favorite per Confalonieri?

I nomi sono i soliti, ma per me è una gara più aperta rispetto a qualche altra corsa. Immagino che alcune squadre porteranno anche le scalatrici da Fiandre, cosa che a De Panne non c’era. E che potrebbero diversificare un po’ con le leader. Magari chi ha atlete come Elisa Longo Borghini o Demi Vollering (che non ci sarà, ndr) immagino darà più spazio alla velocista, considerando il Fiandre in vista. Certo, se si arriva in gruppo, salvo imprevisti, Lorena Wiebes è imbattibile. Starà a noi, alle altre squadre, cercare d’inventarsi qualcosa.

E come?

Diciamo che le atlete della SD Worx hanno più possibilità, hanno tanta qualità, con Kopecky e Wiebes in pole position. Possono fare sia corsa dura che attendista. Poi ci sono altre velociste, come le italiane Consonni e Balsamo, ma anche Koll o Wollaston.

E inventarsi qualcosa nel finale?

A Wevelgem andare via nell’ultimo chilometro è praticamente impossibile: è uno stradone largo e dritto. Come dicevo, la Gand è una corsa di situazione. Bisogna vedere il vento e magari pensare a un attacco di gruppo. Per esempio, Elisa Longo Borghini qualche tempo fa provò proprio così e poi restò sola: fu ripresa all’ultimissimo. Fare selezione nel finale sarà una conseguenza dell’andamento della gara. Se si sarà fatta corsa dura, allora qualcosa si può fare. E in quel caso l’arrivo per le sprinter diventa meno scontato.

Van der Poel non si ferma: da Harelbeke messaggio a Pogacar

28.03.2025
4 min
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Poco dopo le 16 ad Harelbeke ha iniziato a piovere. Van der Poel era già da solo e ha avuto un sussulto in una curva a destra, quando ha sterzato sull’asfalto liscio ed ha rischiato di cadere. E’ riuscito a correggere la traiettoria salendo sul marciapiede grazie alla sua tecnica. La sua fuga solitaria di 39 chilometri, iniziata sul Vecchio Qwaremont è stata la seconda più lunga nella storia del GP E3. Il record era già il suo e risaliva allo scorso anno con 47,3 chilometri da solo fino al traguardo. Cancellara aveva percorso 35 chilometri da solo nel 2013, mentre al quarto posto c’era Terpstra con i 30 chilometri del 2018.

«Sono molto felice di questa vittoria – ha detto Van der Poel – con la squadra abbiamo avuto una gara dura. Dopo la rottura nel gruppo dovuta alla caduta iniziale, abbiamo dovuto inseguire. Alcune squadre hanno ritenuto necessario approfittare di quella caduta, le squadre che normalmente non corrono in testa e secondo me è stato un po’ antisportivo. Non è necessario comportarsi così dopo una caduta che avviene presto, ma alla fine siamo usciti vincitori. Devo ringraziare i miei compagni di squadra per il fantastico lavoro che hanno fatto. Ero molto motivato a vincere. Mi sono sentito anche un po’ obbligato nei loro confronti. Sono andato davvero a fondo e fortunatamente sono riuscito a premiarli con la vittoria».

La selezione sul Qwaremont

Ad avviare le danze ha provveduto Mads Pedersen, che ha portato con sé Van der Poel e nella loro scia si è mosso Filippo Ganna. Davanti c’erano già Aimé De Gendt e Casper Pedersen, ripresi e ben contenti di proseguire con i tre contrattaccanti. Nel giro di circa 20 chilometri, dopo il Boigneberg e l’Eikenberg, il gruppetto così composto aveva già raggiunto un vantaggio di due minuti sugli inseguitori. Van Aert, intrappolato nelle retrovie, ha provato a dare slancio alla testa del gruppo, ma non è servito a molto. La sua corsa è finita così.

«Negli ultimi anni – prosegue Van der Poel – la corsa non si era mai decisa sul Traaiberg, ma con Ganna e un Pedersen impressionante siamo riusciti a prendere il largo. Il suo attacco è stato davvero forte e ha dato alla gara la piega decisiva. A quel punto ho deciso di fare selezione sul Vecchio Qwaremont, ma non volevo necessariamente stare da solo, perché proprio come l’anno scorso il vento era trasversale. Mancava ancora tanto al traguardo, ma sapevo che sarebbe stata una bella vittoria. Di cosa ho parlato con Christoph Roodhooft in ammiraglia la mia solitaria? Ho fatto una battuta sulla giornata e lui ha cercato di motivarmi, perché il traguardo era molto lontano».

Il quarto Fiandre

Ganna ha stretto i denti su ogni muro, è tornato sotto dopo ogni attacco ed ha alzato bandiera bianca appena prima di Pedersen quando Van der Poel ha forzato i tempi sul Qwaremont. Impossibile stare dietro una furia come l’olandese, anche per il Pedersen potente di questo giorno di fine marzo. E se Van der Poel ha fatto sapere che salterà la Gand di domenica, adesso i riflettori si spostano sul Giro delle Fiandre.

«Non sto lavorando specificatamente al quarto Giro delle Fiandre – ha spiegato Van der Poel – ma è una gara su cui cerco sempre di lavorare. Poi parteciperà un certo Tadej (ridendo, ndr), ma io sono in buona forma. Ho fatto tutto quello che potevo, quindi vedremo la prossima settimana. La E3 Saxo Classic è una gara che mi si addice e se sei in buona forma tutto è un po’ più facile. Questo dà fiducia, ma so bene che ogni gara va corsa. Ogni volta si riparte da zero».

20 marzo 1999, quando Sara Felloni incendiò via Roma

28.03.2025
5 min
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L’avvocato Sara Felloni di Fiorenzuola d’Arda, classe 1972, è ancora l’unica italiana ad aver vinto la Milano-Sanremo Donne, che al tempo si chiamava Primavera Rosa. Lo fece nel 1999, arrivando poi terza nel 2001. Correva con la maglia della Acca Due O di Maurizio Fabretto che aveva sull’ammiraglia Marino Amadori, ex pro’ e attuale cittì degli under 23, che aveva guidato Fabiana Luperini alle vittorie del Giro e del Tour.

Sara non era una velocista qualunque. Era stata seconda ai mondiali della velocità su pista, l’anno dopo la vittoria di Sanremo avrebbe vinto una tappa al Giro d’Italia, mentre l’anno prima aveva già indossato la maglia rosa. Ha partecipato a quattro edizioni dei mondiali su strada, il migliore quello di Zolder nel 2002 chiuso al decimo posto, prima del ritiro a fine stagione.

Nel 2001 in maglia Alfa Lum, di nuovo sul podio della Primavera Rosa, terza dietro Ljungskog e Melchers
Nel 2001 in maglia Alfa Lum, di nuovo sul podio della Primavera Rosa, terza dietro Ljungskog e Melchers

Terza prova di Coppa del mondo

Ora che l’assalto di Longo Borghini è stato vanificato solo nel finale e che nessun’altra azzurra è riuscita a opporsi alla potenza di Lorena Wiebes, il primato di Sara Felloni resta intatto e per questo abbiamo pensato di chiamarla, riconoscendole il merito che si guadagnò sulla strada il 20 marzo di 26 anni fa.

«Si partiva da Varazze – ricorda – non si facevano le distanze di oggi. La corsa misurava 118 chilometri, in Italia era la seconda gara stagionale. Io ero alla partenza in buona condizione, perché per noi che facevamo attività internazionale, l’anno era cominciato già da un po’. Venivo dall’apertura di Coppa del mondo in Australia e Nuova Zelanda (due gare, a Canberra e Hamilton, della lunghezza di 102 e 102,6 chilometri, ndr), la Primavera Rosa era la terza prova. Laggiù avevamo fatto anche una breve corsa a tappe, stavo bene».

Nel 2000, da vincitrice uscente, Felloni riceve a Varazze un quadro da Piero Coppi, cugino di Fausto
Nel 2000, da vincitrice uscente, Felloni riceve a Varazze un quadro da Piero Coppi, cugino di Fausto
Eravate stati a vedere il percorso oppure era una novità?

Amadori ci aveva portato a fare gli ultimi chilometri, aveva questa formazione che gli veniva dai professionisti. Ero concentratissima, era fondamentale tenere duro sui Capi, la Cipressa e poi il Poggio, ma non sapevo in che modo li avrebbero affrontati. Sapevo che avrei dato l’anima per restare davanti e così feci.

Come finì?

Arrivammo sull’Aurelia, sapevo che me la sarei giocata. Ricordo che mi tirò la volata Zulfia Zabirova, che poi la Primavera Rosa l’avrebbe vinta per due anni di seguito. Mi lasciò ai 300 metri e io feci la mia bella volata (foto di apertura, ndr).

Probabilmente chi ha seguito la vittoria di Lorena Wiebes non sa chi fossi come atleta…

Nessuno si ricorda più di niente. Ma io ho messo la maglia rosa e vinto una tappa al Giro e varie altre corse. Ero veloce perché venivo dalla velocità su pista, dove ho vinto dei campionati italiani e fui anche vicecampione del mondo nel 1989. Ho corso e vinto il Tour aiutando Joane Somarriba nel 2001. Non ho vinto la Primavera per caso, anzi. Era un bel ciclismo anche quello, invece sabato ho sentito dei commenti un po’ a vanvera durante la telecronaca…

Nel 2001, Felloni è nell’Alfa Lum che scorta Somarriba alla vittoria del secondo Tour (foto Pete Geyer)
Nel 2001, Felloni è nell’Alfa Lum che scorta Somarriba alla vittoria del secondo Tour (foto Pete Geyer)
Hai seguito la corsa?

Certo. Avevo puntato su Longo Borghini e Balsamo se fossero arrivate in volata, peccato che ci sia sfuggita di poco.

Parliamo un po’ di te: il ciclismo è uscito dalla tua vita o c’è ancora?

Non è mai uscito. Quando ho smesso mi sono dedicata alla Scuola Ciclismo Fiorenzuola, prima con un ruolo tecnico e poi sul piano dei documenti. Sono stata anche 10 anni consigliere regionale FCI con delega al settore femminile quando il presidente era Giorgio Dattaro. E poi ho fatto anche politica, come Consigliere Comunale e 5 anni da Assessore all’ambiente e pari opportunità a Fiorenzuola.

Vai ancora in bici?

Non più, ho poco tempo. Sono avvocato, faccio civile e penale. La base resta Fiorenzuola, poi mi sposto dove mi porta il lavoro.

Smesso di correre, Sara Felloni si è dedicata alla Scuola Ciclismo Fiorenzuola nel giovanissimi
Smesso di correre, Sara Felloni si è dedicata alla Scuola Ciclismo Fiorenzuola nel giovanissimi
Ti sei laureata dopo la carriera o studiavi anche quando correvi?

Avevo iniziato, ma avevo poco tempo. Negli anni in cui correvo, il clima era diverso e gli inverni qui in Pianura Padana erano davvero rigidi, per cui dovevo spostarmi spesso. Lo studio non era la cosa più semplice da seguire, in più lavoravo per pagarmi l’università. Diciamo che fra le altre cose, ho imparato a tenere duro.

Ti sarebbe piaciuto correre in questo ciclismo, che è arrivato al professionismo e sembra così diverso rispetto a quello dei primi anni duemila?

Davvero tanto (ora la voce un po’ si incrina, ndr). Le ragazze oggi hanno possibilità che noi ci sognavamo. Hanno tecnologie e metodologie di allenamento che mi sarebbe piaciuto sperimentare. Chissà se sarei potuta arrivare anche a risultati migliori…

Intanto resta la sola italiana ad aver vinto la Milano-Sanremo su via Roma e non è poco. E’ vero che certe volte si tende a dimenticare, invece è utile guardarsi indietro e ricordarsi di chi a vario titolo, con la sua fatica e le sue intuizione, ci ha permesso di arrivare dove siamo ora.

A Taiwan l’ultimo acuto di Ballabio, altro ciclista giramondo

28.03.2025
5 min
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L’ultimo Giro di Taiwan ha riportato in auge la figura di un ciclista italiano particolare. Giacomo Ballabio fa parte di quella ristretta cerchia di corridori italiani che per poter fare questo mestiere hanno scelto una strada diversa dal solito, girando il mondo in cerca di un ingaggio. Il ventisettenne di Giussano ha corso infatti in Italia solo per una breve parentesi, nel 2020, quando ha militato nell’Iseo Serrature Rime Carnovali.

Ballabio ha iniziato a 12 anni alla Giovani Giussanesi, per imitare il nonno che aveva corso nelle categorie giovanili (foto Morizet)
Ballabio ha iniziato a 12 anni alla Giovani Giussanesi, per imitare il nonno che aveva corso nelle categorie giovanili (foto Morizet)

«Quella però fu una stagione sui generis – racconta il brianzolo appena atterrato in Italia – era la stagione del Covid, rimanemmo fermi fino ad agosto, feci a tempo solo a fare una corsa a tappe a Varsavia, il Giro U23 e poco altro, poi ripresi a girare».

Da cosa nasce questa tua vocazione di giramondo?

E’ sempre stato così, sin dalle categorie giovanili. La risposta è molto semplice: era più facile trovare un ingaggio in Francia o Svizzera che qui, se non avevi particolari risultati o qualcuno che ti spingeva. Non mi conoscevano molto dalle nostre parti, così trovai una squadra in Svizzera, la IAM Excelsior che aveva sede a Martigny ed era un’emanazione di una squadra della massima serie. Una sorta di devo team ante litteram.

La principale vittoria del lombardo alla Global 6, portando a casa la tappa della Fleche su Sud 2023 (foto DirectVelo)
La principale vittoria del lombardo alla Global 6, portando a casa la tappa della Fleche su Sud 2023 (foto DirectVelo)
Poi?

Poi, dopo la parentesi italiana sono tornato a viaggiare, attraverso due team francesi approdando poi nei 2023 alla Global 6, una squadra con licenza neozelandese ma che aveva sede a Londra. Questo mi ha consentito di continuare a correre in Europa, dove  si è svolta la gran parte della mia attività, poi quest’anno sono approdato alla Hrinkow Advarics ed è stato un passaggio importante, un salto di qualità.

Come ti trovi nel team austriaco?

E’ un team con ambizioni, in Austria è molto seguito e conta con i risultati di continuare a progredire puntando anche a entrare nelle Professional, se attraverso le vittorie saremmo capaci di “solleticare” l’attenzione di grandi sponsor. La Hrinkow però già lo è, è uno dei principali produttori di bici a Taiwan, per questo la corsa locale era così importante per noi.

Alla Hrinkow Advarics Ballabio ha trovato altri due italiani, Edward Ravasi e Riccardo Verza (Instagram)
Alla Hrinkow Advarics Ballabio ha trovato altri due italiani, Edward Ravasi e Riccardo Verza (Instagram)
Che differenze noti rispetto ai team del tuo passato?

Si affronta un calendario più qualificato, con corse dove ci sono anche team WorldTour e Professional e questo consente di fare esperienza e crescere, avvicinarsi sempre più a quei livelli. Quando hai un’azienda produttrice di bici alle spalle è tutto più semplice, anche se poi guardi le altre squadre, quelle di livello superiore e ti accorgi che non basta, che ormai sono strutture talmente grandi che servono enormi quantità di denaro per tenerle in piedi. Ma ci si può arrivare…

Quanto conta avere in squadra altri corridori italiani come Ravasi e Verza? Per te è una novità…

E’ vero e sinceramente fa piacere ogni tanto poter scambiare due chiacchiere con altri italiani. Abbiamo già legato fra noi, anche se ormai il ciclismo è un mondo globalizzato, dove si è tutti multilingue e multiculturali e questo aspetto a me piace molto.

Il suo epicentro di attività è soprattutto in Francia, dove ha corso per più club (foto Bertrand)
Il suo epicentro di attività è soprattutto in Francia, dove ha corso per più club (foto Bertrand)
Che corridore sei?

Il classico passista veloce, di 1,77 di altezza per 71 chili, quindi non leggerissimo ma tengo bene sugli strappi brevi e questo mi consente di poter puntare a volate ristrette dove posso emergere. Provo anche se necessario a fare le volate di gruppo, ma non sono un velocista vero e proprio.

Com’è stata la corsa in Estremo Oriente?

Avevamo tanta pressione addosso perché come detto lo sponsor ci teneva in maniera particolare. Quella tappa, la terza, l’avevamo segnata in rosso perché era particolarmente adatta alle mie caratteristiche e l’avevo affrontata tre anni fa, quindi la conoscevo. Con il team abbiamo deciso di fare subito corsa dura, sulla salita principale, lunga 8 chilometri, abbiamo impostato un bel ritmo e siamo rimasti in una quindicina. Anche le altre squadre collaboravano perché avevamo tenuto fuori i principali sprinter, poi in volata ho avuto la meglio (foto di apertura).

Per il brianzolo, qui sul podio alla Fleche du Sud, quella di Taiwan è la terza vittoria in una corsa Uci (Instagram)
Per il brianzolo, qui sul podio alla Fleche du Sud, quella di Taiwan è la terza vittoria in una corsa Uci (Instagram)
Il prossimo calendario ti vedrà correre anche in Italia?

Spero di sì, sicuramente nella seconda parte di stagione con il Giro del Friuli, ma spero anche prima. Intanto sarò in gara in una gara slovena proprio alle porte dell’Italia, che anzi sconfina anche a Gorizia, poi correrò in Austria e il 9 aprile al Circuit des Ardennes in Francia, ma mi piacerebbe correre di più dalle mie parti, questa è un po’ una cosa che mi manca.

Il Turchino e altri 40 chilometri: la ricetta di Magnaldi per Sanremo

28.03.2025
4 min
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In attesa che la Gand-Wevelgem di domenica riaccenda i riflettori sulle grandi classiche del WorldTour, avendo appena visto Lorena Wiebes dominare anche a De Panne, torniamo sulla Milano-Sanremo con Erica Magnaldi.

C’era grande confusione attorno alla prima edizione della Classicissima di Primavera al femminile. Il percorso era illeggibile e questo ha portato alle scelte più disparate. Alcune squadre hanno lasciato a casa le velociste e altre, al contrario, hanno puntato su atlete di grande potenza, certe che Cipressa e Poggio non avrebbero fatto la differenza. Non avendo una velocista del livello di Wiebes e Balsamo, il UAE Team Adq ha scelto di puntare tutto su Elisa Longo Borghini e le ha costruito attorno una squadra per fare la selezione in salita. Erica Magnaldi doveva essere l’ago della bilancia sulla Cipressa.

«Solo che alla Cipressa – sottolinea da Sierra Nevada, dove sta preparando il resto della primavera – si arrivava soltanto dopo circa 120 chilometri quasi completamente pianeggianti, quindi non era la stessa cosa che vivono gli uomini, che la iniziano quando ne hanno già 250-260. Il gruppo era in buona parte ancora fresco, eravamo tante, per cui una ragazza da sola non bastava per fare la selezione».

Erica Magnaldi, cuneese di 32 anni, è laureata in medicina ed è pro’ dal 2018
Erica Magnaldi, cuneese di 32 anni, è laureata in medicina ed è pro’ dal 2018
Però ci hai provato…

Sì e sicuramente abbiamo un po’ ridotto il gruppo. Però le velociste più forti erano difficili da staccare su quelle pendenze e delle salite non lunghe, in una gara così breve. Per noi donne 156 chilometri non sono una distanza proibitiva. Quello che abbiamo appurato a posteriori, analizzando la corsa, è che se davvero si vuole fare corsa dura sulla Cipressa bisogna impegnare metà della squadra, altrimenti diventa una gara per velociste.

Ricordi quale sia stato lo svolgimento della tua Cipressa?

Sì, è stato abbastanza semplice. L’ho presa a tutta da sotto e ho continuato a tutta finché ce l’ho fatta. Mi hanno detto che a ruota, soprattutto finché c’è stato un gruppo di una trentina di persone, si stava bene. Si risparmiavano tanti watt rispetto al prendere il vento davanti. Però è stato comunque un bel momento. Siamo state protagoniste come squadra, perché siamo state forse le uniche a cercare la selezione. In più è stato emozionante essere in testa, alla prima edizione della Sanremo, su quella salita che avevo visto tante volte in televisione con gli uomini e sentire tanta gente che mi incitava. Sicuramente è un momento che ricorderò.

Pensi che le vostre corse dovrebbero essere allungate?

Dipende, non ha senso generalizzare. Ci sono gare che mantengono la loro peculiarità e la loro difficoltà anche se non sono lunghissime. Dalla Sanremo sinceramente mi aspettavo che, così come per gli uomini è la gara più lunga del calendario, lo fosse anche per noi. Una gara sui 200 chilometri, che per noi sarebbe la più lunga e aggiungerebbe qualcosa che forse è mancato in questa edizione. Per carità è stata molto avvincente, l’ho riguardata e il finale è stato molto bello da vedere, spettacolare anche così. Però, visto che il percorso non è dei più selettivi o dei più particolari, forse la lunghezza sarebbe una caratteristica che avrei aggiunto.

Il forcing di Magnaldi non ha eliminato le velociste più forti: Longo Borghini si volta, Kopecky l’ha già messa nel mirino
Il forcing di Magnaldi non ha eliminato le velociste più forti: Longo Borghini si volta, Kopecky l’ha già messa nel mirino
I 200 chilometri non fanno paura?

In realtà più di una volta al Tour abbiamo fatto tappe di 160-170 chilometri, quindi ci stiamo già avvicinando a delle lunghezze notevoli. Per cui visto che il nostro livello aumenta di anno in anno, forse è giusto intervenire anche sulle distanze. Le ragazze che si allenano come delle professioniste fortunatamente sono sempre di più, per cui in certe corse come la Sanremo allungherei il percorso, anche perché altrimenti diventa veramente difficile fare la selezione.

Fra le nostre ipotesi ci sarebbe la partenza da Novi Ligure, che permetterebbe di fare anche il Turchino…

Esatto, più o meno quello che mi aspettavo. Avere anche noi il Turchino sarebbe stato diverso, perché avrebbe dato l’occasione a qualche fuga di prendere il largo, cosa che è un po’ mancata in questa edizione. Una delle caratteristiche della Sanremo maschile, che per noi non c’è stata, è la possibilità che parta una fuga da lontano, impossibile su un percorso veloce e corto come il nostro. Da noi la fuga che prende vantaggio non viene ripresa di certo come per i professionisti e questo avrebbe aggiunto un po’ di spettacolo e di incognita.

Sei a Sierra Nevada preparando i prossimi obiettivi?

Esatto. Il 20 aprile, lo stesso giorno dell’Amstel, farò una gara in Francia, a Chambéry. Poi rientro nel WorldTour con la Freccia Vallone e da lì il focus principale sarà sulla Vuelta Espana, che inizia dieci giorni dopo e dove vorrei arrivare tirata a lucido.

Pogacar alla Roubaix, parla Prudhomme in presa diretta

28.03.2025
4 min
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LILLE (Francia) – Il caso ha voluto che, mentre Tadej Pogacar ufficializzava la sua partecipazione alla Parigi-Roubaix, noi ci trovassimo proprio da quelle parti, per di più in compagnia di chi la Roubaix la organizza: Amaury Sport Organisation, vale a dire Christian Prudhomme.

Nella cerimonia dei 100 giorni al via della Grande Boucle, lo sloveno in qualche modo è riuscito a rubarsi la scena o almeno a prendersene un bel pezzetto. E di certo ha abbattuto le ultime resistenze, più che comprensibili, di Mauro Gianetti e della squadra (qui il video). Un rischio sì, ma di fronte alla volontà, all’ambizione e all’estro di un atleta che può riscrivere la storia, come opporsi?

Christian Prudhomme ha parlato della presenza di Pogacar alla Roubaix
Prudhomme ha parlato della presenza di Pogacar alla Roubaix

Prudhomme gongola

Avevamo affrontato il discorso con Sonny Colbrelli, quando uscì il video dello sloveno ad Arenberg, ora a tornare sull’argomento è proprio Prudhomme.

«E’ insolito vedere corridori così leggeri puntare alla Roubaix – ha detto il direttore del Tour – specie nel passato, ma i campioni di oggi sono un po’ diversi, Pogacar soprattutto. Lui sa guidare benissimo, ha una classe enorme, tanta potenza e non posso che essere contento della sua presenza nella classica delle pietre».

Tra l’altro, parlando proprio di pietre, dove i settori dell’Inferno del Nord sono così vicini, Prudhomme ha detto che non li hanno voluti inserire nella Grande Boucle così presto per evitare rischi. In effetti se si affrontano dopo 5 o 6 tappe è diverso rispetto a farlo nella prima o nella seconda frazione, per di più con la maglia gialla in palio per un enorme numero di atleti.

Dopo aver vinto Il Tour nel 2012, Wiggins è tornato alla Roubaix, ma di fatto già aveva rinunciato a fare classifica nei grandi Giri
Dopo aver vinto Il Tour nel 2012, Wiggins è tornato alla Roubaix, ma di fatto già aveva rinunciato a fare classifica nei grandi Giri

Che parterre

«Pogacar – va avanti Prudhomme, subito informatissimo – è il terzo vincitore del Tour alla partenza della Paris-Roubaix negli ultimi trent’anni, più o meno. Mi ricordo che una decina d’anni fa (era il 2014, ndr) eravamo felici di avere Bradley Wiggins, re del Tour 2012, al via. Ed era una vera particolarità. Ora questo sarà amplificato perché Pogacar è campione in carica e perché verrà per vincere».

Dopo le fatiche di Sanremo, Pogacar, per essere al via della Roubaix, ha rivisto il suo programma. Era atteso alla E3 di Harelbeke e alla Gand-Wevelgem, ma le salterà entrambe. Lo vedremo direttamente al Fiandre e poi, appunto, alla partenza di Compiègne.

«Abbiamo appreso della sua presenza dalla comunicazione della sua squadra. Prima avevamo visto solo quel video in ricognizione sulla Foresta di Arenberg. Questo mi colpisce. Onestamente, non pensavo che venisse subito, ma, come ripeto, siamo felici di averlo al via, soprattutto dopo una Milano-Sanremo da antologia. Abbiamo visto tre campioni enormi giocarsi la vittoria e questa battaglia si rinnoverà alla Roubaix, magari con un asso in più come Van Aert ed altri ancora».

Pogacar al Tour 2022 (Lille-Wallers Arenberg) finì settimo. Eccolo all’attacco con Stuyven
Pogacar al Tour 2022 (Lille-Wallers Arenberg) finì settimo. Eccolo all’attacco con Stuyven

Sfida antica…

Prudhomme è davvero “sul pezzo”. Si aspetta una buona gara da Pogacar, rimarca la sua abilità di guida, la sua scioltezza e ricorda come si trovò a suo agio sul pavé nel Tour del 2022.

«Era riuscito a seguire un atleta forte e possente come Jasper Stuyven. E poi, anche alla Strade Bianche, sugli sterrati va forte. Oltre alla sua forza fisica e alla sua classe, Pogacar è anche ben pilotato dal team. E’ capace di tutto su una bicicletta. Certo, Mathieu Van der Poel è un avversario fortissimo, ma con un Pogacar così ci sarà una grande lotta».

Nella storia, i corridori che sono riusciti a vincere sia la Roubaix che il Tour si contano sulle dita di due mani. La maggior parte di questi sono tutti dei primi del ’900. L’ultimo a centrare l’impresa è stato Bernard Hinault, che prese parte, quasi per sfida, a chi lo accusava di evitarla. Il “Tasso”, in effetti, non l’amava, ma, come diceva Giulio Cesare: Veni, vidi, vici. Venne, partecipò e vinse. Questo per dire: pensate che particolarità stiamo vivendo con Pogacar.

Conclude Prudhomme: «Il fatto che i grandi campioni ci siano tutto l’anno mi piace molto. Mi ricorda quando ero bambino, con Eddy Merckx che era in lotta dall’inizio alla fine della stagione. E’ fantastico e se Pogacar riuscirà a vincere tutti e cinque i Monumenti sarà eccezionale».