E dopo 41′ spunta Affini, ritratto della felicità, che racconta

01.06.2025
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SESTRIERE – Quando ormai tutti, ma proprio tutti i 159 corridori rimasti in gara sono sfilati verso le ammiraglie, ecco che spunta Edoardo Affini. Il gigante della Visma-Lease a Bike ha un sorriso grosso così.

Edoardo è transitato 41’08” dopo il bravissimo Chris Harper e ha perso ulteriore tempo perché si è infilato direttamente nella mixed zone per stritolare con un abbraccio dei suoi Simon Yates. Hanno vinto il Giro d’Italia ed è giusto così.

Lo hanno vinto con una grande azione di squadra. Il ruolo di Wout Van Aert se non decisivo è stato determinante. Che locomotiva, Wout… Alla fine i campioni trovano sempre un modo per farsi vedere, mettersi in mostra e soprattutto per essere nel vivo della corsa. Ma nel vivo della corsa e di questo Giro c’è stato anche Edoardo Affini. Era dal successo sul Lussari di Primoz Roglic che non conquistava un Grande Giro, ma quella era tutta un’altra storia. Era decisamente più attesa quella maglia rosa. E la festa può dunque iniziare.

Dopo quasi un’ora dalla fine della tappa (41′ più il tempo per salutare Yates) ecco spuntare Affini…
Dopo quasi un’ora dalla fine della tappa (41′ più il tempo per salutare Yates) ecco spuntare Affini…
Edoardo, sei emozionato, ve lo aspettavate?

Aspettavate “ni”, nel senso che io onestamente ci credevo. Se chiedete anche ai massaggiatori, ai ragazzi dello staff, quando parlavamo con i direttori dicevo sempre che Simon doveva crederci, perché continuavo a vederlo bene. Era bello pimpante, forse da un certo punto di vista ci credevamo quasi più noi che lui.

Incredibile, ma ormai anche tu hai una certa esperienza in fatto di grandi capitani…

Anche ieri sera gli ho detto: «Dai Simon, credici. Insisti». E come me anche gli altri. Abbiamo provato a dargli la spinta giusta e poi oggi ecco quel che è successo! Quando in radio ho sentito che cominciava a guadagnare ho detto: «Dai, dai… ma che roba sta succedendo?». Che poi ha vinto il Giro d’Italia sulla salita dove l’aveva perso. Ma lui è tornato per vincerlo. Penso che sia una storia incredibile, una gran bella storia.

Era in programma di mandare in fuga Van Aert? Avevate progettato questa azione?

Sì, ma non in modo forzato, diciamo. Mi spiego: non è che dovesse fare proprio quello che ha fatto, però si è creato un gruppo grosso di attaccanti, volevamo metterci un uomo e Wout è riuscito ad entrarci. Poi chiaramente, per come si è messa la corsa, è venuto fuori un piano perfetto.

Affini è stato l’uomo di Simon Yates per le tappe di pianura
Affini è stato l’uomo di Simon Yates per le tappe di pianura
Edoardo, come hai vissuto questi chilometri finali?

Li ho sofferti! Perché dopo tre settimane e con queste salite sono abbastanza finito, ma è chiaro che avere quelle notizie dava motivazione.

Cosa ti chiedevano gli altri vicino a te?

Ah – ride – volevano sapere come stava andando. «Ma è finita?». «Come sono messi?». «Cosa è successo?». Io davo un po’ di indicazioni, ma fino a un certo punto, perché poi la distanza cominciava ad essere troppa, quindi anche la radio non si sentiva più bene. Arrivare quassù e vedere tutto quanto… una gioia!

I compagni hanno abbracciato Simon, super commosso (foto Instagram)
I compagni hanno abbracciato Simon, super commosso (foto Instagram)
Hai avuto modo di vedere Simon, di fargli i complimenti?

Sì, sì, sono andato nella mixed zone. Stava facendo le interviste, ma me ne sono altamente “sbattuto le balle” (concediamogli questa licenza, ndr) e sono piombato su di lui. Per una cosa del genere non c’è intervista che tenga. Ci siamo abbracciati subito.

E’ una grande soddisfazione anche per chi come te lavora per questi capitani, giusto?

Assolutamente. In queste tre settimane io ho fatto un po’ il suo bodyguard, per le tappe ovviamente più veloci. Per quelle più dure stavo lì finché riuscivo. Poi ero di supporto, ovviamente, anche ad altri corridori della squadra. Però che dire, con Simon abbiamo fatto un ritiro insieme a Tenerife, ad inizio anno siamo stati in camera assieme… Penso che si sia creato un bel legame. E poi, ragazzi, dopo una vittoria del genere… E’ tanta roba.

Il cuore di Harper: più contento per Yates che per sé!

31.05.2025
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SESTRIERE – Cominciamo dalla fine. Da quando abbiamo chiesto a Chris Harper, vincitore di tappa, che cosa rappresenti per lui il successo di oggi e se sia contento per Simon Yates che fino allo scorso anno era un suo compagno di squadra e che dietro al palco ha abbracciato calorosamente.

«Per me è fantastico – ha detto – non avrei potuto chiedere di meglio per la mia carriera. Ho avuto alti e bassi durante le tre settimane, quindi è bello finire con una nota così positiva. Sono stato compagno di squadra di Simon negli ultimi due anni e ho fatto molte gare per supportare lui e le sue ambizioni di classifica generale. Mi sono allenato molto anche con lui e so quanto sia talentuoso. Sapevo che è in grado di vincere i Grandi Giri e sono quasi più felice di vederlo in rosa che di aver vinto la tappa. Sono super felice per lui. Vorrei essere stato ancora suo compagno di squadra per aiutarlo a ottenere un risultato come questo, che certamente merita».

L’abbraccio fra Yates e Harper nel retropalco: i due hanno corso insieme (immagine Instagram)
L’abbraccio fra Yates e Harper nel retropalco: i due hanno corso insieme (immagine Instagram)

Due tappe australiane

Per la Jayco-AlUla arriva a Sestriere la seconda vittoria di tappa di questo Giro, iniziato fra i malumori per l’esclusione di Alessandro De Marchi e la rimozione di Matthew White da capo della struttura tecnica. Si faceva fatica a cogliere l’anima della squadra, ma alla fine sono stati due corridori australiani a lasciare il segno, come probabilmente era giusto che fosse. Luke Plapp a Castelraimondo e Chris Harper, appunto, a Sestriere nell’ultima tappa di montagna.

Lui ha 30 anni e il volto scavato e reso scuro dalla barba. E’ incredulo, perché mai gli era capitato di centrare una vittoria così importante. In qualche modo il suo successo di oggi ricorda quello di Prodhomme nella tappa di ieri: entrambi grandicelli, entrambi gregari ed entrambi protagonisti di lunghe fughe portate all’arrivo.

Chris Harper, 30 anni, 1,85 per 67 kg, è nato a Melbourne ed è pro’ dal 2020
Chris Harper, 30 anni, 1,85 per 67 kg, è nato a Melbourne ed è pro’ dal 2020
Quando sei partito stamattina, immaginavi di vincere a capo di una fuga così lunga?

No, non proprio. L’idea era di lavorare per la fuga, ma non ero nemmeno sicuro che la fuga sarebbe arrivata al traguardo. Pensavo che, con la grande battaglia per la classifica generale, uno dei corridori più forti ci avrebbe ripreso e avrebbe vinto la tappa. Ma quando mi sono trovato in un gruppo così forte e poi abbiamo avuto quel grande vantaggio, ho impostato il mio ritmo fino a restare da solo. A quel punto si trattava solo di arrivare in fondo e non esplodere.

Si apre la porta scorrevole, un gran baccano di tacchette sul pavimento di lamiera. Entra Hepburn, connazionale, compagno di squadra e amico. Harper già aveva iniziato a sorridere avendolo visto salire le scale. Si avvicina al tavolo, l’altro si alza. Si abbracciano. Dicono parole incomprensibili e poi Hepburn si allontana, declinando l’invito scherzoso a fare lui qualche domanda.

Alla fine siete arrivati sul Finestre, quando hai iniziato a credere di potercela fare?

Arrivarci non è stato semplice, abbiamo impostato un ritmo piuttosto sostenuto per arrivare ai piedi della salita. Il primo a muoversi è stato Remy Rochas della Groupama e io l’ho seguitro. Poi si sono aggiunti degli altri corridori e a quel punto ho deciso di attaccare e solo Verre è riuscito a seguirmi. Per un po’ siamo andati in due, poi ho pensato che fosse meglio andare al mio ritmo fino in cima. In una salita così lunga e dura è decisiva la gestione dello sforzo. Per cui una volta che mi sono liberato, si è trattato di mantenere lo sforzo sotto controllo. Avevo ancora abbastanza forze per arrivare al traguardo.

Ti sei accorto dalle voci del pubblico o ti hanno detto via radio di quello che stava accadendo alle tue spalle?

Sul Finestre, il mio direttore sportivo mi teneva aggiornato sui distacchi, dicendomi quanto fossero indietro i corridori della classifica generale. Poi ho sentito alla radio che Simon Yates era solo con un vantaggio piuttosto consistente. Infine dopo il Finestre, andando verso valle, sapevo che Simon stava facendo un’impresa e questo mi rendeva nervoso, perché la strada da fare era ancora tanta. Temevo che il distacco potesse ridursi rapidamente, ma sono contento di essere riuscito a resistere.

Dalla strada iniziano ad aumentare i cori, probabilmente Yates è in arrivo. Ai piedi del palco, Isaac Del Toro parla con l’addetto stampa della UAE Emirates. Alle spalle del podio si scambiano opinioni e abbracci. La vittoria di un gregario dopo l’impresa di Yates passerà certamente in secondo piano, ma il fatto che Harper per primo abbia espresso la sua gioia per l’amico renderà meno fastidioso il fatto di scrivere prima la storia della nuova maglia rosa e poi quella del vincitore di tappa.

Parola agli sconfitti. Le tattiche di UAE e EF Education

31.05.2025
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SESTRIERE – L’epilogo più incredibile (e inaspettato) del Giro d’Italia ha lasciato gioie e dolori. Se Simon Yates conquista il suo secondo grande Giro dopo la Vuelta 2018, facendo scoppiare la festa in casa Visma-Lease a Bike, dall’altra parte c’è chi è deluso e deve incassare la sconfitta: parliamo della UAE Emirates di Isaac Del Toro e della EF Education-EasyPost di Richard Carapaz.

Le ammiraglie sono parcheggiate silenziose un chilometro più a valle rispetto all’arrivo. Si lavora nel silenzio dei meccanici che caricano le bici sui motorhome, mentre i bus viaggiano verso Roma da stamattina. Altri bus messi a disposizione dall’organizzazione porteranno i corridori dal Sestriere all’aeroporto di Torino e da lì a Roma.

A fine tappa, dopo premiazioni ed interviste, ecco tornare un timido sorriso a Del Toro abbracciato dalla stampa e dai tifosi sudamericani
A fine tappa, dopo premiazioni ed interviste, ecco tornare un timido sorriso a Del Toro abbracciato dalla stampa e dai tifosi sudamericani

Baldato e il sogno sfumato

E’ in questo contesto, con il Giro appena concluso e una classifica ribaltata che vede primo Simon Yates con 3’56” su Del Toro e 4’43” su Carapaz, che inizia a parlare Fabio Baldato, diesse della UAE Emirates.

«Tra i due litiganti il terzo gode – inizia Baldato, sinceramente dispiaciuto – I due si sono controllati in modo stretto, le indicazioni erano quelle, solo che ad un certo punto bisognava provare a seguire Yates, ma non era neanche così facile. Il rivale numero uno era Carapaz».

Baldato racconta poi la scalata del Colle delle Finestre del suo atleta. Una scalata impegnativa, ricca anche di grande tensione emotiva, e l’inaspettata azione del corridore della Visma è stato forse l’imprevisto in più. Le squadre oggi conoscono i dati e le caratteristiche degli avversari e, vista la quota, la salita lunga e quanto dimostrato nei giorni precedenti, era comprensibile marcare Carapaz, almeno sino ad un certo punto.

«No, no che dati: in tappe così i dati non contano nulla. Isaac ha sempre saputo tutto sui distacchi e quant’altro succedeva in corsa – riprende il diesse della UAE – tanto è vero che ad un certo momento gli abbiamo detto che stava perdendo la maglia e infatti lui ha anche provato a rimettersi sotto. Quello che doveva fare lo ha fatto, ma alla fine sono mancate le gambe».

Sia UAE che EF hanno preferito restare compatte e non mettere uomini in fuga
Sia UAE che EF hanno preferito restare compatte e non mettere uomini in fuga

Ma l’uomo in fuga?

Ed ecco una questione tattica non secondaria. La Visma ha messo un uomo tra i 39 della fuga, nello specifico Wout Van Aert; la UAE Team Emirates no. Forse un corridore ci stava bene.

Baldato è netto: «Yates non ha vinto il Giro perché aveva il compagno davanti, perché quando lo ha raggiunto noi avevamo già 2’20” di ritardo. Poi è chiaro: sapere che davanti c’è Van Aert aumenta le forze, perché nel fondovalle sapere di avere un uomo così è qualcosa di prezioso e può darti molto di più. E poi per come l’ho visto entrare in fuga, non penso neanche che lo abbiano fatto apposta. Wout è stato bravo ad uscire bene dall’attraversamento di un paesino. C’era un tratto in ciottolato e da lì si è ritrovato nel drappello davanti».

Anche la EF Education ha scelto di non mettere nessun uomo in fuga e chissà se anche per loro, magari con uno Steinhauser, tanto per citare un uomo che va bene in salita e ha fondo, le cose potevano cambiare. Alla fine hanno fatto il forcing violento all’attacco del Finestre, ma per meno di un chilometro. Magari uno sforzo così poteva farlo anche qualcun altro.

Ma non siamo qui a dire quale uomo doveva mettere davanti la EF. La questione, anche per loro, è del compagno in fuga come punto di appoggio. Loro hanno preferito restare compatti.

«La squadra – spiega Garate – ha provato a fare quello che volevamo, restare compatti e fare un’andatura molto forte all’inizio del Finestre per provare a staccare Del Toro. C’era un controllo ovvio su Richard da parte di Del Toro. Richie ha provato a staccarlo, non ci è riuscito. A quel punto è stato come giocare a poker. Yates ha provato a partire due o tre volte e sempre ha chiuso Carapaz, ma ad un certo punto abbiamo detto: “Okay, se non chiudi mai te, adesso non chiudo neanch’io. Io lo perdo, ma può darsi che lo perdi anche tu”».

«Verso fine scalata del Finestre abbiamo deciso così e gli ultimi tre chilometri di salita abbiamo fatto un’andatura per non fare rientrare i compagni di Del Toro, pensando che poi Isaac avrebbe tirato da solo nella valle. Però anche loro alla fine hanno deciso di aspettare. Dietro stavano rinvenendo Majka e McNulty e anche un terzo compagno, però era difficile capire i distacchi da loro. Noi li abbiamo passati in salita con l’ammiraglia e sapevamo che erano abbastanza lontani, anche un paio di minuti. Con Van Aert davanti non puoi avere dubbi e aspettare altri due minuti per cercare di chiuderne quattro. Noi a quel punto non potevamo fare altro che stare a ruota e lasciare la responsabilità a loro».

Juan Manuel Garate ha parlato a fine tappa
Juan Manuel Garate ha parlato a fine tappa

Garate, nessun rimpianto

Oggi Carapaz ha perso il Giro come lo vinse al contrario nel 2019, approfittando della lite fra Nibali e Roglic. Quando lo inquadravano e mancavano ancora una decina di chilometri si vedeva che aveva un muso lungo.

«Se è stata una questione di mancanza di gambe? No, le gambe di Richard – dice Garate – c’erano. E’ stata una questione tattica. Io non ti “faccio la gara” per rimanere secondo, perché secondo al Giro Carapaz ci è già arrivato (nel 2021, ndr). No, noi siamo venuti qui per vincere questo Giro e penso che abbiamo corso per farlo fino alla fine».

Carapaz e Del Toro si sono parlati e punzecchiati spesso. Garate riferisce che Richard ha solo spiegato a Isaac la sua tattica e quindi il perché non tirava. «Ma – aggiunge – non so cosa abbia chiesto Del Toro a Carapaz».

«Se abbiamo rimpianti? No, assolutamente zero. Non ce l’abbiamo fatta perché Del Toro stava bene e chiudeva su Richie sempre. Per il resto è andata così, ma sono molto orgoglioso dei ragazzi e di tutta la squadra».

Yates fa la storia del Giro e sette anni dopo si riprende la rosa

31.05.2025
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SESTRIERE – «Ho investito molto della mia carriera e della mia vita per il Giro. Ci sono state molte battute d’arresto ed è stato difficile affrontarle. Sono stato costretto a ritirarmi per un problema al ginocchio, un paio di volte anche per il Covid e così via. Quindi sono davvero incredulo di essere riuscito a fare tutto questo. E’ difficile da dire adesso, ma ad essere onesti, penso che sia l’apice della mia carriera. Ci ho provato per anni, fatico a credere di esserci riuscito. Credo che nulla potrà superarlo».

Simon Yates non si vergogna di mostrare le lacrime. E’ passata quasi un’ora dalla vittoria e la nuova maglia rosa è finalmente arrivata davanti alle nostre domande. Ha portato l’attacco decisivo sul Colle delle Finestre a 39 chilometri dall’arrivo, quando sembrava che la partita fosse ristretta fra Carapaz e Del Toro. E’ partito più o meno nel punto in cui sette anni fa andò in crisi per l’attacco di Froome e perse la maglia rosa. Fu un dramma sportivo, al pari di quello che oggi ha investito Del Toro. In qualche modo è stato come se fosse tornato per chiudere il cerchio e la montagna piemontese gli abbia restituito quel che era suo.

Vendetta per due

L’abbraccio fra Simon e Kruijswijk, non appena anche l’olandese ha tagliato il traguardo, ha parlato più di mille parole. Entrambi hanno visto svanire il sogno rosa nelle tappe finali del Giro: a Steven accadde nel 2016 quando cadde sul Colle dell’Agnello. L’impresa di Yates ha vendicato anche la sua sconfitta. Si sono stretti forte, poi Simon è venuto da noi.

«Nei 100 metri finali – dice – è stato il momento in cui mi sono finalmente reso conto di quello che ho fatto. Non ci credevo davvero, anche se il vantaggio era notevole. Cominciavo a sentire le gambe stanche, non ci ho creduto sino alla fine. Quando ho attaccato, avevo l’idea di allontanarmi il più possibile da quei due ragazzi del podio, perché sapevo che una volta che ci fossi riuscito, sarei stato forte abbastanza da tenere un ritmo elevato. Del Toro e Carapaz avevano dimostrato di essere molto più esplosivi nel finale, quindi il mio piano oggi era quello di cercare di ottenere un vantaggio e poi cercare di gestire tutto da solo».

Il Colle delle Finestre e il suo popolo, gli indiani. La Cima Coppi del Giro ha scritto la storia
Il Colle delle Finestre e il suo popolo, gli indiani. La Cima Coppi del Giro ha scritto la storia

Facile a dirsi. Parla per tutto il tempo con lo sguardo basso, chissà cosa gli passa per la testa. Lui, il gemello piegato da tante sconfitte, mentre Adam continuava a vincere diventando il braccio destro di Pogacar e ora di Del Toro. Eppure con quell’attacco la tendenza si è invertita. Simon Yates ha iniziato a scavare il solco, mordendo i tornanti e danzando sullo sterrato del Colle delle Finestre. Si pensava che un’azione simile potesse farla Carapaz, invece l’ecuadoriano si è trovato legato mani e piedi al drammatico destino di Isaac Del Toro.

Ieri hai detto di non avere una gran voglia di affrontare lo sterrato.

Perché amo molto pedalare in piedi e sullo sterrato è molto difficile avere la trazione giusta. Ma oggi mi sono sentito davvero bene. Sono riuscito a spingere fino alla vetta e sapevo di avere ancora delle forze che mi avrebbero sostenuto nel finale. Durante tutta la tappa, la squadra ha creduto davvero in me, per cui una volta arrivato sul Finestre, sapevo di dover fare la mia parte.

In qualche modo aver subito quella sconfitta sette anni fa è stato importante oggi?

Quando ho visto il percorso del Giro, ho sempre avuto in mente di provare a fare qualcosa in questa tappa, su questa salita che aveva segnato così tanto la mia carriera. L’ho sempre avuto in mente. Mi sono sentito bene per tutta la gara, ma avevo bisogno di credere in me stesso.

A 39 chilometri dall’arrivo, l’attacco che ha permesso a Yates di vincere il Giro
A 39 chilometri dall’arrivo, l’attacco che ha permesso a Yates di vincere il Giro
Sei rimasto nascosto fino alla ventesima tappa e poi con un solo attacco hai vinto il Giro d’Italia: era calcolato oppure si è trattato di una coincidenza

Un po’ entrambe le cose. Sapevo che, per come è stata disegnata la gara, si sarebbe deciso tutto in quest’ultima settimana. Quindi si trattava più che altro di stare al sicuro e di non perdere tempo nella prima parte e questo, grazie ai miei compagni di squadra, è stata davvero incredibile. Sono stato sempre al posto giusto nel momento giusto. Ho dovuto fare da me soltanto nelle crono (fa un timido sorriso, ndr). In quest’ultima settimana, già nella 16ª tappa (quella di San Valentino, ndr), ho provato a fare qualcosa, ma non sono stato abbastanza forte. Quindi stamattina avevo qualche dubbio sul fatto di provare davvero a fare qualcosa su questa salita. Ma sembrava che la squadra credesse davvero in me, quindi ci ho provato e ce l’ho fatta.

Quanto sei stato contento di incontrare Van Aert dopo il Finestre? E faceva parte del piano?

Vorrei dire che ogni giorno abbiamo avuto dei corridori in fuga sperando che si creasse questa stessa situazione. Ci siamo davvero impegnati in questo senso, per cui ogni giorno che abbiamo la possibilità di farlo, ci abbiamo provato. Ma oggi è stato il primo giorno in cui l’abbiamo usata davvero a nostro vantaggio. E chi c’era davanti? C’era Wout (stavolta sorride, ndr). Non avevo dubbi, ha fatto tutto per me. Mi ha permesso di respirare e di aumentare il vantaggio. Non è la prima volta che si dimostra uno dei migliori compagni di squadra al mondo, oltre che un grande campione. Ringrazierò sicuramente lui e tutti i compagni.

Se ne va ricordando di quando sul Block Haus nel 2022 stramazzò sconfitto sull’asfalto e sconfortato disse che la sua storia con il Giro d’Italia sarebbe finita quell’anno. Negli ultimi due anni ha corso il Tour, ma c’era una ferita aperta, impossibile da dimenticare. La Visma-Lease a Bike gli ha offerto un biglietto fino al via da Tirana e oggi, a distanza di venti giorni, il suo lungo viaggio ha iniziato ad acquisire un senso compiuto. Se ne va col sollievo di aver tirato fuori il bubbone. I corridori partiranno stasera per Roma, noi ci fermeremo ancora qualche ora per raccontarvi le loro storie.

Elisa punta il Giro Women dal San Pellegrino. Parola a Slongo

31.05.2025
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Non è ancora terminato il Giro d’Italia che già all’orizzonte si profila il Giro d’Italia Women, in programma dal 6 al 13 luglio. L’Italia si presenta con il suo vanto migliore: Elisa Longo Borghini, portacolori della UAE ADQ.

Abbiamo fatto il punto sulla sua condizione con il preparatore Paolo Slongo, che sta organizzando il ritiro in quota al Passo San Pellegrino. Tra l’altro, curiosità, ieri quando la carovana si trovava a Biella, Elisa ha fatto capolino nella corsa rosa che arrivava non troppo distante da casa sua. E’ stata un’occasione per salutare suo marito, Jacopo Mosca.

Paolo Slongo è lo storico preparatore di Elisa Longo Borghini
Paolo Slongo è lo storico preparatore di Elisa Longo Borghini
Paolo, a che punto sono i lavori e come sta Elisa?

Martedì 3 giugno iniziamo il blocco in altura al San Pellegrino e ci resteremo fino al 22, quindi poco più di due settimane. Elisa e parte della squadra arrivano da un periodo di stacco e quest’anno, a differenza degli anni scorsi, hanno partecipato a Durango e Burgos.

Al posto della Vuelta Femenina?

Esatto. Erano due buone gare e a Burgos c’erano comunque una crono e un bell’arrivo in salita, quindi volevamo testarci pur sapendo di non essere al top della condizione. E’ andata bene: Elisa è arrivata seconda nella generale, risultato in parte inaspettato.

Considerando il motore di Elisa, queste corse di preparazione si fanno a tutta o si gestisce l’intensità?

Nessun limite. Elisa correva libera. Veniva da una fase molto aerobica e, anche se non avevamo fatto lavori specifici per la crono o le salite lunghe, il suo livello era comunque competitivo.

Se dovessi fare un paragone con la Longo Borghini di fine maggio 2024, com’è la sua condizione attuale? E quanto margine ha?

In generale la vedo ancora un po’ cresciuta rispetto all’anno scorso. Siamo volutamente all’80 per cento adesso. La prima parte di stagione è stata buona, ma anche sfortunata: è stata male alla Strade Bianche, è stata ripresa a 100 metri dalla Sanremo, è caduta al Fiandre. Di conseguenza anche l’avvicinamento alla Liegi non è stato ideale. Nonostante tutto, ha vinto e fatto tanto, ma c’è un po’ di rammarico per non essere riusciti a essere competitivi in quella gara.

Elisa impegnata nella crono della Vuelta Burgos che ha chiuso al terzo posto a 8″ dalla specialista Reusser (foto Instagram)
Elisa impegnata nella crono della Vuelta Burgos che ha chiuso al terzo posto a 8″ dalla specialista Reusser (foto Instagram)
Lavorando di più su salite lunghe e distanze a ripetizione, il fisico si sfina anche un pochino. Tanto più che Elisa veene dalle classiche dove serviva più massa, più esplosività… E’ lo stesso quesito che abbiamo posto ai tecnici di Pogacar qualche giorno fa.

Sì, sicuro che questo accadrà, ma è una conseguenza. Anche se col peso è messa bene. Parliamo di dettagli. Essendo in altura al San Pellegrino, la “palestra” che ti trovi è quella delle salite, sei nel cuore delle Dolomiti. Dopo una prima fase di adattamento, inizieremo a fare salite più lunghe e a lavorare di più sull’intensità, tranne la prima settimana.

Il classico periodo di adattamento…

Esatto. Dopo lavoreremo anche di più su tutta la parte anaerobica: soglia, fuorisoglia, cosa che fino adesso abbiamo fatto poco.

Se ne avete fatto poco ed Elisa è andata tanto forte nelle classiche, significa che ha margine…

Poco dopo lo stacco post classiche, intendo. Comunque sì, faremo una progressione di lavoro che porterà, nelle ultime due settimane di ritiro, a fare anche lavori a soglia, fuorisoglia e magari allungare la resistenza alla soglia facendo salite lunghe.

Farete anche un po’ di dietro motore? Insomma le “tirerai il collo” magari dopo quattro ore?

Esatto, cercheremo di simulare un po’ la gara come si faceva un tempo (il riferimento implicito è a quel che faceva con Nibali, ndr). La moto la porto e poi lavoreremo parecchio anche sulla crono.

Il momento decisivo del Giro Women 2024: a L’Aquila Longo Borghini stacca Kopecky, la maglia rosa è sua
Il momento decisivo del Giro Women 2024: a L’Aquila Longo Borghini stacca Kopecky, la maglia rosa è sua
Sempre nella zona della Val di Cembra?

Sì, le strade sono quelle. In quella zona c’è la giusta quantità di pianura ideale per lavorare con la bici da crono. Giugno è un mese bello in quella zona perché il grande turismo arriva tra luglio e agosto e trovi ancora le strade poco trafficate, quindi è proprio bello allenarsi da quelle parti.

Paolo, qual è il tuo obiettivo da coach con Elisa? Hai detto che è ancora cresciuta rispetto all’anno scorso. Che percentuali di miglioramento ti aspetti?

Il discorso è più ampio. Il suo peso era già buono a inizio stagione e lì non ci si può lavorare più di tanto. Magari si potranno guadagnare 10 watt alla soglia. Faremo dei richiami in palestra e, tra lavoro di intensità e di resistenza, cercheremo di arrivare al Giro per far bene come l’anno scorso. Consideriamo che dopo il Giro Women Elisa correrà anche il Tour Femmes. Però, attenzione, il focus adesso è sul primo obiettivo.

Da campioni uscenti, quanto è un onere e quanto è un onore questo Giro Women?

Quello che pesa un po’ di più è la pressione che sia l’atleta che tutto il mondo che ci circonda può creare. Tanti danno per scontato che sia facile, ma rivincere non è mai facile. Quando parti con la vittoria dell’anno prima è ancora più difficile proprio per la pressione. Personalmente non la vivo, lavoro facendo il meglio che posso. Penso che anche Elisa e le ragazze in ritiro faranno lo stesso. Faremo al meglio il nostro mestiere, sappiamo di avere delle doti e possiamo far bene, poi si darà sempre il massimo e servirà anche un po’ di fortuna.

A proposito, chi ci sarà sul San Pellegrino con Elisa?

Silvia Persico, Erica Magnaldi, Greta Marturano e Alena Amialiusik.

Longo Borghini all’arrivo della Liegi, quel giorno pagò dazio per forti sensazioni di calore
Longo Borghini all’arrivo della Liegi, quel giorno pagò dazio per forti sensazioni di calore
Invece, spostiamoci sui momenti di difficoltà che ha avuto Elisa: alla Strade Bianche è stata male, alla Liegi il blackout… Come si superano queste “fragilità”?

Analizzando il contesto e la situazione. Si analizzano bene le cose e i motivi che possono aver provocato una debacle. E di solito sono tanti motivi. In molti se lo dimenticano, ma qui lavoriamo con le donne e bisogna considerare che hanno il “loro periodo”. È normale che nessuno ti dirà quando ce l’ha.

Però proprio alla Liegi, Vollering ne ha parlato apertamente alla TV e alla stampa, dicendo che andava a fasi alterne a causa del ciclo mestruale…

Questo comporta qualche variazione, puoi avere un calo, soprattutto con il caldo: è fisiologico. Le ragazze sono brave, corrono lo stesso, danno tutto. Tante volte la gente dall’esterno non sa che ci possono essere questi fattori che possono incidere sulla prestazione. Tra le donne il livello è sempre più alto, tra le top rider la differenza è minima. Non essere al 100 per cento dunque può portare a non essere da podio o altro. Quindi, secondo me, l’analisi di tutti i fattori della prestazione, interni ed esterni, fa sì che uno possa stare tranquillo. Dici: «Okay, è successo questo. Avevo questo». E sai come comportarti di conseguenza o comunque sai dare una spiegazione a quanto accaduto. Poi, come tutti i campioni, tiri una linea, cancelli il passato e guardi al futuro.

Paolo, Longo Borghini è una delle tre o quattro super campionesse del ciclismo femminile: cosa ha di meno e cosa di più rispetto alle solite Vollering, Kopecky…

E’ una domanda difficile. Ognuna ha i suoi pregi e i suoi difetti. Se penso al Giro Women, da parte nostra, essendo italiani, il Giro è una grande motivazione. Questo può essere un fattore importante che abbiamo vantaggio, a differenza di altri che magari non vivono in Italia e quindi lo sentono un po’ meno… forse!

Insediata la Commissione Giovanile. Fontini ha nuovi piani

31.05.2025
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Se in quasi tutti gli ambiti federali il nuovo quadriennio olimpico ha portato a profondi cambiamenti strutturali, così non è stato per la Commissione Giovanile Fci presieduta da Roberto Fontini, il cui nocciolo duro è rimasto pressoché identico. La dimostrazione che si è lavorato bene in un settore oscuro perché non tocca direttamente l’agonismo, o meglio lo fa in maniera lieve, pensando più al discorso promozionale e ad affrontare quell’annoso problema costituito dai difficili rapporti con il mondo scolastico.

Roberto Fontini insieme ai bambini alle loro prime esperienze in bici
Roberto Fontini insieme ai bambini alle loro prime esperienze in bici

Il presidente Fontini riprende in mano il lavoro fatto e lo fa conscio che quello che lo attende è un compito sempre importante: «La commissione ha lavorato in maniera molto approfondita sul piano della promozione e questa si estrinseca in vari aspetti sui quali dovremo continuare a porre l’accento. Il nostro obiettivo è innanzitutto semplificare l’accesso alle nostre attività, valorizzare sempre di più le abilità acquisite e migliorare l’aspetto sicurezza non dimenticando mai che i nostri referenti sono innanzitutto i più piccoli, coloro che hanno il loro primo approccio con la bicicletta».

Voi avete sempre spinto sul discorso della multidisciplinarietà, continuerete su questa strada?

Con molta decisione, perché è un aspetto importante. Questo si può fare in molti modi, sappiamo ad esempio che molti spingono per l’utilizzo delle bmx come bici propedeutiche, ma in Italia ci scontriamo con una storica carenza di impianti che è un problema di non poco conto. Le soluzioni per avvicinare i bambini alla bici ci sono e sono variegate, il nostro lavoro ci ha sottoposto anche una situazione che si presta a qualche perplessità.

La nuova Commissione Giovanile Fci, praticamente rimasta identica rispetto allo scorso quadriennio olimpico
La nuova Commissione Giovanile Fci, praticamente rimasta identica rispetto allo scorso quadriennio olimpico
In che senso?

Dai report che abbiamo tratto dai nostri 4 anni di attività, emerge come l’attività preminente che viene proposta ai bambini concerne la resistenza e questa non è la strada giusta, non è la caratteristica che deve essere evidenziata a quelle età, considerando che stiamo parlando di corpi in completo sviluppo. Il bambino in quel modo si stanca, si disinteressa progressivamente e alla fine ripone la bici da una parte e si dedica ad altro. Noi dobbiamo impedirlo, dobbiamo proporre la bici in una veste nuova, divertente.

Quindi bisogna mettere in evidenza caratteristiche legate all’abilità, all’equilibrio…

Sì, ma sempre sotto forma di gioco. In questo senso sarà importantissima la prossima edizione del Meeting Nazionale Giovanissimi di Viareggio, in programma dal 19 al 22 giugno. Abbiamo infatti deciso d’introdurre in quella sede prove obbligatorie di abilità per tutti, dando così un preciso indirizzo alla nostra attività. Dobbiamo riuscire ad invertire una certa cultura imperante sottolineando che a quell’età è fondamentale spingere sulle doti coordinative dei bambini.

La passione dei più piccoli verso la bici è sempre forte, ma va stimolata attraverso vie nuove
La passione dei più piccoli verso la bici è sempre forte, ma va stimolata attraverso vie nuove
Resta però un nodo atavico per voi come per qualsiasi disciplina: il rapporto con il mondo scolastico…

Noi abbiamo dalla nostra una carta importante: siamo infatti stati indicati dal Ministero dell’Istruzione come uno degli sport privilegiati per il nostro fondamentale apporto all’educazione stradale e dobbiamo saper far fruttare questa prerogativa. Dobbiamo innanzitutto insegnare ai più piccoli “come” andare per strada, perché un domani potranno essere ciclisti, ma quasi sicuramente saranno patentati e guidatori di mezzi a motore, quindi bisogna educarli al rispetto delle norme. Noi dobbiamo saper giocare su questo aspetto.

C’è però un travaso minimo di bambini che imparano ad andare in bici a scuola per poi tesserarsi…

E’ vero, è inferiore ad altri sport e in questo senso sappiamo che dobbiamo fare di più, aumentare soprattutto il nostro rapporto con tutto l’inverso degli insegnanti di Educazione Fisica, coinvolgendoli con iniziative mirate. Siamo noi che dobbiamo saperci proporre, il progetto Sicuri in Bicicletta è una strada ideale per poter lavorare in tal senso.

Con i ragazzi si punta subito a identificare il ciclismo come sport di resistenza, ma non è la strada giusta
Con i ragazzi si punta subito a identificare il ciclismo come sport di resistenza, ma non è la strada giusta
In base alla vostra esperienza e considerando quanto le nuovissime generazioni, figlie della tecnologia, siano cambiate rispetto al passato, la bici ha ancora fascino sui bambini?

E’ indubbio, per questo dobbiamo spingere sul suo aspetto ludico. In particolare vediamo che i bambini sono attratti dalle mountain bike, con il loro manubrio dritto. Ma noi non dobbiamo rivolgerci solo ai più piccoli, ma anche alle famiglie, proponendo un modello di ciclismo sicuro. Se superiamo le diffidenze dei genitori, siamo sicuri che sempre più bambini si avvicineranno alla pratica ciclistica, qualsiasi essa sia e con qualsiasi tipo di mezzo.

Abilità e guida con giochi di equilibrio: così l’attenzione del bambino resta viva (foto www.bimbinmovimento.it)
Abilità e guida con giochi di equilibrio: così l’attenzione del bambino resta viva (foto www.bimbinmovimento.it)
E’ indubbio però, le statistiche lo confermano, che sono sempre meno i bambini che vanno in bici…

Infatti, noi dobbiamo offrire loro un’immagine nuova e legarla all’abilità è la scelta migliore. Non è un caso se ormai le nuove generazioni sono affascinate soprattutto dalle discipline acrobatiche. Qui svesto i panni di presidente di commissione e parlo da appassionato. Una disciplina come il freestyle di bmx, che sposa abilità e gioventù è la disciplina ideale per attrarre. Anche qui il problema sono gli impianti, ma vediamo bene che all’estero è proprio da questa che poi scaturiscono tanti praticanti le prove di resistenza su strada e offroad. Perché lì si costruisce la base tecnica ma anche la passione. Una volta il ciclismo era resistenza, sacrificio. Oggi il bambino non lo attrai con questi concetti, cerca altro, il divertimento puro e noi è a questo che dobbiamo puntare…

Fortunato: «La maglia blu è per la squadra e i tifosi lungo le strade»

31.05.2025
5 min
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BORMIO – Sono le 9,45 e Lorenzo Fortunato esce dall’ascensore dell’hotel che ha ospitato la XDS Astana al termine della tappa numero diciassette. Il volto è rilassato e l’abbronzatura lascia intravedere i segni del laccetto del casco. Il Giro d’Italia del Folletto dello Zoncolan si sta tingendo sempre più di blu, simbolo della maglia indossata dal leader della classifica dei GPM. Fortunato è andato spesso all’attacco in quest’ultima settimana di Giro, lo abbiamo visto nei giorni scorsi alzarsi sui pedali prima sul Tonale e poi sul Mortirolo.

Lorenzo Fortunato e Christian Scaroni dopo la doppietta di San Valentino nella 16ª tappa
Lorenzo Fortunato e Christian Scaroni dopo la doppietta di San Valentino nella 16ª tappa

A caccia di punti

Fortunato in questa corsa rosa ha messo da parte le ambizioni di classifica e si è votato alla causa della maglia blu. 

«E’ arrivata man mano – racconta seduto sulla poltrona nella hall dell’hotel – insieme al team avevamo visto che la maglia blu avrebbe portato gli stessi punti di una vittoria di tappa. Ci siamo detti di provare a puntare su questa classifica anche per dare visibilità allo sponsor XDS. Di conseguenza fin da subito ho cercato di prendere qualche punto nei vari GPM ma senza esagerare e senza fughe troppo dispendiose. Sono riuscito a muovermi bene, anzi mi è venuto tutto abbastanza semplice».

Nell’ultima settimana sei stato tanto in fuga, si può dire che questa maglia è ormai tua?

Devo arrivare fino a Roma (dice con una risatina scaramantica, ndr) ma ho un bel vantaggio sul secondo che tra l’altro è il mio compagno Scaroni. Proprio nella tappa nella quale abbiamo fatto primo e secondo (San Valentino, ndr) ho raccolto un buon bottino in fatto di punti.

Gli obiettivi a inizio Giro quali erano?

Vincere la maglia azzurra e una tappa, adesso manca la tappa. Proprio a San Valentino poteva arrivare ma appena capito che Scaroni e io saremmo arrivati insieme in cima, gli ho detto che avrebbe tagliato lui il traguardo per primo. Il lavoro che i miei hanno fatto per me è stato importante ed è stato giusto così.

Scelta che è arrivata anche da una certa consapevolezza nei tuoi mezzi?

Sto bene e proverò a entrare in qualche altra fuga, non tanto per i punti ma per cogliere l’ultimo obiettivo di questo Giro: vincere una tappa.

La magia di passare per primo su una salita del Giro, i tifosi in trepidante attesa si scatenano
La magia di passare per primo su una salita del Giro, i tifosi in trepidante attesa si scatenano
Ti abbiamo visto molto attivo, spesso eri il primo ad alzare il ritmo in salita.

Negli ultimi giorni stanno venendo fuori quelle che sono le “fughe di gambe”. Praticamente davanti ci troviamo in trenta corridori, esattamente come succedeva nella passata edizione della Vuelta. Lo scorso anno sulle strade spagnole ho imparato che si deve provare a fare una piccola selezione fin da subito in modo da rimanere con dieci o dodici corridori e trovare presto l’accordo. 

Hai accantonato la classifica generale, perché?

In squadra quest’anno tutti abbiamo deciso di non fare classifica e di puntare alle tappe. Abbiamo bisogno di punti per salvarci e riuscire ad arrivare nei primi cinque nella generale è difficile e ti espone a tanti rischi. Se malauguratamente succede qualcosa e vai a casa, hai lavorato tanto per nulla. Guardate Tiberi o Ciccone che in un giorno hanno perso tutto. E poi la convinzione di fare un Giro diverso è arrivata anche dagli occhi dei tifosi.

Il blu della maglia legata alla classifica dei GPM è sempre più sulle spalle di Fortunato
Il blu della maglia legata alla classifica dei GPM è sempre più sulle spalle di Fortunato
In che senso?

Chi fa classifica rimane ventuno giorni a soffrire sulla bici e questo basta per arrivare quinto, settimo, decimo. Ma chi è arrivato quinto, settimo o decimo al Giro dello scorso anno? Conta vincere e basta. 

Invece ora sei leader di una classifica e stai correndo con il segno distintivo della maglia blu, che effetto fa lungo le strade?

Questo modo di correre mi fa essere più libero. Mi sto godendo maggiormente le tappe di montagna consapevole che non devo tenere duro sempre. E con il fatto di andare in fuga mi rendo conto che al tifoso sulle strade piace molto più un attacco in salita piuttosto che un corridore costante che poi alla fine arriva decimo ma non lo vedi mai davanti. In termini ciclistici vale meno, ma scollinare per primo sul Mortirolo fa infiammare il tifo. E’ un Giro diverso per certi aspetti ma sempre bellissimo.

Prodhomme a Champoluc. E non dite che è stato per fortuna!

30.05.2025
5 min
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CHAMPOLUC – Alla conferenza stampa di Nicolas Prodhomme, vincitore francese della diciannovesima tappa del Giro d’Italia, ci sono quattro giornalisti: tre italiani e un solo francese, Nicholas Perotto de L’Equipe. Sembra un raccontare a orologeria, perché dicono che quando arriverà Del Toro, al corridore della Decathlon-AG2R sarà chiesto di uscire. Ci viene in mente il titolo di un film: figli di un dio minore. Il monitor che inquadra i giornalisti presenti in sala stampa mostra una serie di sedie vuote, possibile che non interessi a nessuno? Lo ricordiamo sulla funivia con cui scendemmo assieme dal Monte Lussari del 2023 e lo ricordiamo dall’ultimo Tour of the Alps: il resto è da scoprire.

Nella prima fuga erano presenti i gregari degli uomini di classifica: qui Steinhauser per Carapaz
Nella prima fuga erano presenti i gregari degli uomini di classifica: qui Steinhauser per Carapaz

Il coraggio di attaccare

Eppure Prodhomme ha vinto con un numero da incorniciare, soprattutto perché l’idea di partenza era fare esattamente quello che abbiamo visto. Stamattina al via, la Decathlon-AG2R era sui rulli che si riscaldava, evidentemente volevano partire subito forte. Nella prima fuga c’è entrato a circa 110 chilometri dall’arrivo. Poi, dopo una serie di allunghi sul Col de Joux, si è tolto di ruota Verona e Tiberi, gli ultimi superstiti del tentativo del mattino. L’ultimo affondo l’ha portato a 28 chilometri dall’arrivo. E complice l’atteggiamento titubante degli sfidanti di Del Toro, il margine saliva e cresceva, ma non è mai andato sotto i 55 secondi.

«Quando ci siamo ritrovati sul Col de Joux – racconta – ho visto che la differenza rispetto al gruppo non era enorme. Ho pensato che ci sarebbero stati degli attacchi e mi sono sentito di attaccare, perché avevo già fatto due quinti posti. So che per vincere bisogna correre dei rischi, ci ho provato e ho vinto, ma ho iniziato a crederci solo nell’ultimo chilometro. Sapevo di avere vantaggio, ma sapevo anche che dietro si sarebbero mossi Carapaz, Yates e Del Toro, i grandi favoriti. Del Toro è fortissimo in discesa, rischia sempre tanto e temevo che il vantaggio non bastasse. Invece nell’ultimo chilometro ho visto che avevo dietro la macchina e quella c’è solo se il vantaggio è più di un minuto. E a quel punto ho capito che avrei vinto».

Prodhomme, Tiberi, Verona: Col de Joux. Ai meno 28, l’attacco decisivo del francese
Prodhomme, Tiberi, Verona: Col de Joux. Ai meno 28, l’attacco decisivo del francese

Professionista a 24 anni

Conferenza stampa in inglese, ma dopo tre risposte in inglese e due in francese, dalla scaletta del van delle interviste spunta Del Toro. C’è giusto il tempo per un’altra domanda. La maglia rosa non ha fretta e si siede in fondo, ma l’ondata di giornalisti che lo seguono suggerisce di continuare giù dal camion. Il buon senso imporrebbe di restare sopra per sentire cosa ha da dire il messicano, ma un senso di rispetto ci spinge a seguire il francese. Ha vinto una tappa al Giro d’Italia. Al Tour of the Alps aveva vinto la prima corsa a 28 anni.

«Esatto, ho 28 anni – spiega – e sono diventato professionista piuttosto tardi (ne aveva 24, ndr). Ho fatto lo stagista in tre squadre, ma sono tornato sempre nei dilettanti. Non era facile ambientarsi nello sport di alto livello, non sono diventato professionista al primo tentativo, per cui vincere una tappa in un Grande Giro è davvero una cosa enorme. Ieri sera ho pensato che le opportunità erano sempre meno e sentivo di avere buone gambe, ma finora mi era sempre mancato il coraggio. Pensavo davvero che le ultime due tappe di montagna fossero riservate ai favoriti e devo ammettere che due anni fa non avrei mai osato attaccare i compagni di fuga. Invece la vittoria al Tour of the Alps e le tante fughe in cui stavo bene fisicamente e in cui non ho avuto rimpianti, mi hanno dato fiducia e audacia. E oggi ho cominciato ad attaccare al chilometro zero, non ho percorso molti chilometri in gruppo (ride, ndr)».

Non solo per fortuna

Professionista da cinque anni, 1,74 per 63 chili, nel 2019 aveva vinto l’Orlen Grand Prix, la gara a tappe per U23 organizzata dallo staff del Tour de Pologne. La qualità c’era già allora. Va bene che sia diventato professionista tardi, va bene aver trovato il coraggio per attacare Verona e Tiberi, ma che cosa c’è di diverso in questo 2025 che gli ha già portato due vittorie?

«Ho avuto buone gambe – dice – questo è certo. Oggi credo che il livello sia così alto che bisogna farsi male. Gli ultimi 20 chilometri sono stati tutti un fatto di testa, che quest’anno mi sta aiutando molto, ma ho anche le gambe. Sono migliorato ancora rispetto all’anno scorso, ma l’unica cosa che posso dire con certezza è che ho fatto i maggiori progressi in termini di fiducia in me stesso. Queste ultime settimane hanno sicuramente fatto una grande differenza per la mia carriera. Vincere la prima gara è una cosa enorme e ti dà molta fiducia, ma sento di essere ancora in miglioramento. L’anno scorso ho fatto un ottimo programma di gare, ma con un ruolo di uomo squadra. Quest’anno ho avuto anche un po’ di buona sorte, anche se non direi mai che ho vinto solo per la fortuna».

Tappa bloccata dalle tattiche. E la UAE gongola

30.05.2025
6 min
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CHAMPOLUC – Le ammiraglie sono parcheggiate dietro alle transenne dell’ultima curva, esattamente laddove è caduto Giulio Pellizzari. I tecnici scendono e si sgranchiscono le gambe. Si scambiano anche i commenti, si parla di tattiche. Garate, direttore sportivo, della EF Education-EasyPost, passa e fa i complimenti a Fabio Baldato. E Baldato replica sincero: «Grazie, abbiamo una squadra forte». E’ proprio Baldato il nostro interlocutore

E sì, perché se da questo tappone alpino ci si aspettava qualcosa in più sia in termini di spettacolo che di movimenti in classifica, forse è per le tattiche messe in atto dai team. Tattiche in qualche caso non proprio chiarissime.

Di certo chi se la gode è proprio il direttore sportivo della UAE Emirates. Manca un solo tappone prima di Roma e il suo Isaac Del Toro è sempre (e di più) in maglia rosa. Oggi si sono difesi alla grande.

Fabio Baldato al termine della frazione di Champoluc
Fabio Baldato al termine della frazione di Champoluc
Fabio, avete controllato la tappa sin dall’inizio. Come è andata?

E’ andata che abbiamo una squadra forte. Se riusciamo a tenere tranquillo Isaac come oggi, va bene. Isaac è alla sua prima corsa come leader, ha speso tanto sin qui, ma ascolta Majka, ascolta Adam Yates. E questa è la cosa più importante. Grazie a loro in corsa è rilassato, si è concentrato sul bere, sul mangiare, sul risparmiare energie. Domani è l’ultima battaglia, vediamo…

Proprio Majka, almeno visto da fuori, sembra aver preso in mano la squadra?

Sì, qualche volta dovrebbe stare anche più tranquillo! Scherzi a parte, dalla macchina li teniamo rilassati, li facciamo ragionare perché la corsa è lunga e alla fine presenta i conti. Si è visto alla fine oggi: tutti sono arrivati a lumicino. Chi ne aveva un pelino più degli altri ha provato a fare qualcosa, ma credo che tutti abbiano fatto una bella corsa. C’è anche chi ha provato a farla dura, la EF Education-EasyPost, come la Visma-Lease a Bike, magari pensando che Del Toro potesse pagare. E sinceramente anche noi non sapevamo fino alla fine come poteva arrivare. Invece…

Invece ha risposto alla grande…

Il ragazzo sta bene e domani ce la giochiamo.

Passo indietro, Fabio. Hai tirato in ballo la Visma e il suo lavoro. E’ vero, hanno tirato, ma non era un ritmo forsennato. Il gruppo era allungato ma non si staccava. Ma soprattutto tirano e poi il capitano, Simon Yates, non parte. E’ un po’ strano, no?

No, invece ha senso. E lo hanno fatto perché cercano di portare tutti all’esaurimento. Magari avevano fiducia nel loro uomo, sapevano che aveva risparmiato, che aveva mangiato e bevuto a dovere e quindi se la sono giocata così. E’ quasi un gioco di bilancino, salvare le energie e giocarsi la propria carta. In più loro sono molto scientifici, avevano visto che l’altro giorno dopo 5.000 metri di dislivello e con quel dispendio energetico Del Toro aveva pagato un po’ e hanno pensato di fare la stessa cosa. Se poi magari fossero riusciti a staccare Del Toro, tutti a dire che bravi, che bel lavoro…

Energie al lumicino per tutti, un po’ meno per Carapaz e Del Toro, che hanno guadagnato 24″ sugli altri uomini di classifica. Ora distacco fra loro due è di 43″
Energie al lumicino per tutti, un po’ meno per Carapaz e Del Toro, che hanno guadagnato 24″ sugli altri uomini di classifica. Ora distacco fra loro due è di 43″
Chiaro…

No, davvero penso che tutti oggi abbiano corso bene. Ognuno fa la sua tattica e oggi penso che tutte le squadre davanti abbiano fatto il meglio per i loro capitani. Di noi sono contento perché veramente abbiamo dei ragazzi d’oro, cominciando da Baroncini, Arrieta che era nella fuga, McNulty.

In effetti aver controllato a lungo la fuga con un solo uomo, Baroncini, è stato importante per risparmiare gli altri…

Vero, “Baro” sta trovando una condizione impressionante. Ci sta stupendo.

A proposito di fuga da controllare, non gli avete mai lasciato troppo spazio. Come mai? E’ stata una scelta pensando di poter contrattaccare come sulle Motte a Bormio, visto il finale di Antagnod, o c’è stato altro?

In realtà non è che non abbiamo lasciato andare lontano la fuga. E’ che tutte le volte che abbiamo provato a calare, c’era subito un rilancio da parte di qualcun altro. EF, ma anche Israel-Premier Tech, Visma… E andavano a strappi, così abbiamo detto: “Okay, ragazzi, facciamo noi”.

Garzelli in diretta ha fatto un’analisi interessante, e diceva che non lasciavate troppo spazio anche per rendere più difficoltosi i rifornimenti della fuga. In poche parole la giuria non faceva passare le ammiraglie per dare le borracce in questa prima vera giornata di caldo…

No, non era per quello. E poi sulle salite c’erano i rifornimenti da terra. E sulla salita più dura e più lunga, la giuria ha dato la possibilità di un ulteriore rifornimento. Quindi no, non è stato per non farli rifornire. Il ciclismo è già al limite, ci manca solo di dover fare le lotte tra le ammiraglie per i rifornimenti.

Andiamo in casa Visma

Qualche auto dietro a quella della UAE Team Emirates, c’è quella inconfondibile gialla e nera della Visma-Lease a Bike. Si affaccia il loro direttore sportivo Marc Reef. L’occasione è ghiotta per parlarci e lui, gentilissimo come sempre, non si tira indietro.

Gli chiediamo della tappa di Simon Yates, arrivato stanco ma non sfinito, anche se le strisce di sudore sul suo pantaloncino erano più marcate di molti rivali.

«Penso che abbiamo fatto un ottimo lavoro. Il nostro piano era di mettere alcuni ragazzi nella fuga, in modo che potessero essere utili in seguito. Stevie (Kruijswijk, ndr) e Wilco (Kelderman, ndr) hanno fatto un ottimo lavoro, tenendo un buon passo nelle ultime due salite e riducendo il gap. Nel finale, con Simon Yates volevamo seguire l’attacco di Carapaz, ma non aveva più le gambe. Abbiamo perso 24 secondi da Del Toro e Carapaz. Penso che sia stato anche abbastanza onesto. E’ stata una fase brutale della corsa».

Nessun muso lungo, ma tanta consapevolezza dunque in casa Visma. Probabilmente questo Giro d’Italia non lo vinceranno, ma non si smette di lottare anche perché in ballo c’è un grande obiettivo.

«Penso che in questo momento Simon sia il terzo miglior corridore della gara ed è ancora in lotta per il podio a Roma.

«Se domani correremo per il podio o per la vittoria? Manca ancora un giorno. Carapaz e Del Toro stanno meglio rispetto a Simon. Tutto è possibile e guardiamo avanti, a chi è sopra di noi. Ma quando non è possibile, quando ci sono due ragazzi forti, dobbiamo essere felici del podio e fare tutto il possibile per consolidarlo».