Nella testa di un velocista: 6 minuti nel matrix con Angelo Furlan

04.03.2022
6 min
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Nella testa di un velocista, guida d’eccezione Angelo Furlan, 17 vittorie da professionista (in apertura quella del Delfinato 2009 su Boonen) e oggi coach, biomeccanico e organizzatore di academy per bambini con AngeloFurlan360. Ci aveva incuriosito un suo post su Facebook su cosa significhi essere uno sprinter.

«Essere velocisti – ha scritto il 20 febbraio – ogni anno 365 giorni di sacrifici per 20 secondi di puro orgasmo e poi… riparti da capo. Tanto dura quanto affascinante. Non ho rimpianti, ma l’ultimo km… Sì, quello mi manca da matti; l’adrenalina le endorfine… Rifarei tutto dalla A alla Z. Il ciclismo è la vita amplificata; è scuola di vita accelerata all’ennesima potenza. Niente scuse impari a dover prendere decisioni sotto pressione in un millesimo di secondo, sgomitare, evitare le cadute, ad assumerti le tue responsabilità nelle sconfitte e nelle vittorie… Impari a non trovare scuse. Impari ad impegnarti di più senza trovare alibi».

Per scaricare l’adrenalina, oggi Furlan si dedica alle discese in mountain bike (foto Facebook)
Per scaricare l’adrenalina, oggi Furlan si dedica alle discese in mountain bike (foto Facebook)

Dimensione matrix

Poteva bastare ed è piaciuto di certo ad oltre 700 follower. Si capiva però che ci fosse dell’altro. Per cui abbiamo accettato di fare un giro nella sua testa, scoprendo quello che Angelo definisce il matrix.

«Velocista non smetti mai di esserlo – dice – sono otto anni che ho smesso e applico tutto quello che ho imparato. Ci sono continue analogie tra la vita del corridore e quella del lavoro, dai corsi che organizzo agli altri progetti. Però mi manca l’adrenalina dello sprint. Il frizzantino di quando entri in quel matrix e trovi la pace dei sensi in quella fase che agli altri provoca terrore. Ti annusi con gli altri, riconosci i loro movimenti. Anche nella vità è così. Ti sposti a destra, vai a sinistra, freni e rilanci. Lo scalatore va in bici per il panorama, noi per quell’adrenalina. Credo di poter dire che di base il velocista sia bipolare».

Quel pizzico di follia che affiora nelle foto sui social assieme a Ferrigato per promuovere inziative
Quel pizzico di follia che affiora nelle foto sui social assieme a Ferrigato per promuovere inziative
Spiegati meglio.

Il velocista vive di paradossi. E’ una persona calmissima, nasconde agli altri il mondo che ha dentro. Come nel film “A Beautiful Mind”. Per essere velocista non basta avere gambe grosse e picchi altissimi, peraltro una tipologia di velocista che sta sparendo. Devi avere qualcosa dentro, una sorta di settimo senso. Non so come spiegarlo. Velocista si nasce e non si smette di esserlo. Lo vedo quando sono in macchina e quello davanti sbaglia una curva o mi scopro a immaginare la traiettoria più breve per arrivare prima.

Lo tiene nascosto fino a un certo punto, hai mai osservato gli occhi di un velocista?

No, cosa fanno?

Anche quando è a riposo, non stanno mai fermi. Sono veri scanner. Come si fa a convivere con quest’ansia?

Devi trovare il modo per sfogarla, altrimenti diventa qualcosa di pericoloso. Io ad esempio prendo la mountain bike e faccio le mie belle discese a filo di rocce. Pratico sport che richiedono un’attenzione estrema. Se in qualche modo non liberi la bestia che hai dentro, rischi la tristezza o di andare giù di testa.

Quando c’erano Cipollini e Petacchi – dice Furlan (a destra in maglia Alessio) – il terzo era quello che sopravviveva ai colpi del finale
Con Cipollini e Petacchi – dice Furlan (a destra in maglia Alessio) – il terzo era quello che sopravviveva ai colpi del finale
Un tuo collega un giorno raccontò che in volata sembra di vivere tutto al rallentatore.

Diventa tutto chiaro, hai i sensi così amplificati che riesci a vedere anche quello che succede alle tue spalle. Capisci chi frena, chi si sposta. Io lo chiamo il matrix…

Ce lo racconti?

Entri in un’altra dimensione. Adesso mi prenderanno per matto, ma mi è capitato più volte di vedermi dal di fuori. Raggiungevo lo stesso tipo di introspezione nelle tappe alpine, in cui la scelta era fra morire o staccare l’anima dal corpo. Di solito era la seconda, perciò mi risvegliavo dopo un’ora e mezza che in qualche modo ero rientrato nel tempo massimo ed ero arrivato in hotel. E sì che per noi anche la volata era una fase eterna. Quando c’erano Cipollini e Petacchi con i loro treni, noi altri arrivavamo alla volata già finiti. Il terzo era quello che usciva dall’incontro di boxe fatto di gomitate e scatti per tutti gli ultimi 10 chilometri. Garzelli un giorno venne a dirmi che non si capacitava di come facessimo.

Alla Parigi-Tours del 2010, secondo dietro Freire, terzo Steegmans: sul podio, gradini invertiti
Alla Parigi-Tours del 2010, secondo dietro Freire, terzo Steegmans: sul podio, gradini invertiti
Cosa succede quando guardi una volata in tivù?

Mia moglie dice ai bambini di uscire dalla stanza perché papà ha da guardare la volata. E io mi trasformo.

Potresti avere la bestia dentro perché pensi di non aver dato tutto?

No, in realtà no. Ho fatto 13 anni da professionista e sempre al massimo livello. Ho smesso per restare in famiglia. Non ho nostalgia del preparare la valigia e per questo non ho fatto il diesse, ma sapevo che quella parte non sarebbe più tornata. Smettere è stato un inizio. Sono sempre nel ciclismo e la seconda carriera mi sta dando quasi più soddisfazioni della prima. L’unica cosa che mi brucia è quando Freire mi passò sul filo alla Parigi-Tours del 2010.

Furlan racconta che in salita scindeva l’anima dal corpo per riuscire ad andare avanti
Furlan racconta che in salita scindeva l’anima dal corpo per riuscire ad andare avanti
Ti capita mai di fare volate con gli amici?

Sì, ma devo stare attento, perché mi si chiude la vena e rischio di fare disastri (ride, ndr). Mi sono allenato per una vita con Fabio Baldato, che è un amico al pari di Andrea Ferrigato. E dopo un po’ che pedalavamo, Fabio mi faceva spostare sulla sinistra perché non mi rendevo conto sistematicamente di dargli gomitate e di spingerlo verso il ciglio.

Ci voleva pazienza con te…

Qualcuno ti sceglie per essere velocista. Quando vedi una riga che taglia la strada, chiunque o qualsiasi cosa si frapponga fra te e lei, è un nemico. Non distingui più i colori, vedi solo la riga. Alla Vuelta del 2002 in cui vinsi due tappe, non volevo i compagni davanti, ma dietro, per dirmi cosa accadesse alle mie spalle.

Il contrario del treno…

Ero un velocista da trincea, le volte che ho vinto con il treno non sono state altrettanto belle.

Greipel ricorda ogni volata? Possibile. Qui il tedesco lo batte al Turchia del 2010
Greipel ricorda ogni volata? Possibile. Qui il tedesco lo batte al Turchia del 2010
Petacchi ammise di non essere un velocista, ma un corridore potente che con il treno diventava imbattibile.

Analisi corretta, anche se un po’ di predisposizione deve esserci. Pozzato poteva essere come Petacchi a livello di numeri, ma non faceva le volate perché aveva paura. Lo stesso Cancellara oppure Backstedt.

Di recente Greipel ci ha detto di ricordare tutte le volate che ha vinto.

Ha ragione. Io ho rimosso dalla mente tante salite che ho fatto, ma delle volate ricordo anche gli odori.

Consonni i passi giusti per diventare capitano

25.01.2022
6 min
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Capitano, ma se suona arcaico diremo leader. Dopo la partenza di Elia Viviani, Simone Consonni è uno dei leader della Cofidis. Nei giorni scorsi, il suo preparatore Luca Quinti ci ha spiegato in che modo lo sta allenando, ma quel che più ci piace annotare è la reazione del bergamasco davanti alla nuova responsabilità.

«Sto molto bene – dice Consonni – è un bel peso da portare. Si lavora per quello. Nella mia pur breve carriera, ho sempre avuto delle occasioni. Nasco come uno che si gioca le sue carte. Per cui sentire che sono leader mi gasa. A livello mentale, non credo che si possa provare un’ansia superiore a quella dei mesi dopo Tokyo. Mi hanno fatto maturare, perché li ho sentiti davvero».

Finale di stagione con il dolce in bocca per il corridore della Cofidis con l’iride nel quartetto
Finale di stagione con il dolce in bocca per il corridore della Cofidis con l’iride nel quartetto

Sempre lo stesso

Professionista da cinque anni, Simone è uno dei fantastici campioni olimpici di Tokyo nel quartetto. E quando hai la forza di restare concentrato su sfide ad alta tensione nelle quali ti giochi tutto in 4 minuti, probabilmente hai anche la lucidità e la consapevolezza per farti carico di un finale in volata.

«In squadra sono sempre lo stesso – sorride – non mi sento cambiato. Non essendoci più un leader come Elia, in ritiro ci siamo dati le nostre bastonate in volata, fra chi partiva lungo e chi succhiava le ruote. Siamo in tanti veloci, tutti reclamano il loro spazio. Ma io voglio il peso della squadra».

Consonni è diventato un uomo chiave della squadra francese (foto Team Cofidis)
Consonni è diventato un uomo chiave della squadra francese (foto Team Cofidis)
Di solito quando ci sono tre velocisti, si rischia di combinare dei bei disastri…

La necessità di ruoli chiari l’ho imparata da junior. Il mio diesse era Paolo Lanfranchi, l’ex professionista. E se in volata facevamo secondo e terzo, ci mandava a casa in bici. Che due della stessa squadra si piazzino alle spalle del vincitore non si può vedere. Nel mio DNA c’è vincere, ma bisognerà fare fronte a questa situazione che resta strana.

E’ cambiato qualcosa nella preparazione per far fronte al nuovo ruolo?

Ho fatto tante più volate. Più palestra e tante più volate. Perché è un altro lavoro. L’anno scorso il mio ruolo prevedeva che lavorassi per 20-30 secondi, mentre gli ultimi 10 erano affare di Elia. Adesso tocca a me, per cui ho tolto alcuni giorni di lavoro al medio in salita e grazie alla palestra mi sento più potente, ma non credo di aver perso resistenza sugli strappi.

Palestra particolare o come in pista?

Uguale a quella della pista. Nel quartetto sono il secondo, per cui devo avere l’esplosività per non risentire del primo giro di Lamon. Sto facendo le stesse cose.

Secondo Morkov, il velocista che viene dalla pista si riconosce facilmente…

Con la pista mi porto dietro qualcosa di più, soprattutto il colpo d’occhio negli ultimi 100 metri. Però anche quello devo ritrovarlo. Finora sono andato con il pilota automatico fino ai 150 metri e poi avevo finito, invece adesso cambia anche l’approccio agli ultimi 2-3 chilometri.

Davide Cimolai aiuterà Consonni nelle prime corse, poi farà le sue volate (foto Team Cofidis)
Davide Cimolai lo aiuterà nelle prime corse, poi farà le sue volate (foto Team Cofidis)
In che modo?

Quando hai il velocista a ruota, devi stare sul lato giusto della strada per tenerlo al coperto. Sai che dai meno 5 prenderai aria e dovrai fare le classiche passate in gruppo per portarlo davanti casomai fosse rimasto indietro.

Ci sarà un pilota per Simone?

Nessuno assegnato in pianta stabile. Al Saudi Tour ci sarà Cimolai, che viene da una storia simile alla mia. Doveva essere una corsa poco combattuta, invece ci saranno Gaviria, Groenewegen e pure Cavendish. Cimolai ci sarà anche ad Almeria, poi prenderà la sua strada verso le classiche e le sue volate. Non avrò un treno di riferimento e dovrò creare il giusto feeling con l’ultimo uomo.

Qualche idea?

C’è Walsheid che lo faceva per Nizzolo e anche Coquard potrebbe fare la sua parte. In ritiro l’ho trovato concentrato e forte. La strada darà le sue gerarchie. In allenamento ridevamo e scherzavamo, ma le volate che abbiamo fatto sono come le prove del quartetto a Montichiari, che sorridevi ma non mollavi un metro. Cimolai mi stava dietro e per saltarmi si è spaccato il fegato. Mentre io per non farmi passare ho sputato l’anima. Una situazione che in ritiro ci ha spronato. Questa abbondanza potrebbe farmi bene, se non hai stimoli non migliori. Come con il quartetto olimpico.

La squadra correrà ancora su De Rosa, ma quest’anno con ruote Corima (foto Team Cofidis)
La squadra correrà ancora su De Rosa, ma quest’anno con ruote Corima (foto Team Cofidis)
Nel frattempo avete cambiato le ruote…

Siamo passati da Fulcrum a Corima e mi trovo ugualmente benissimo. Rispetto alla doppia scelta di Fulcrum, con cerchi da 44 e 58, Corima ci dà più profili in base ai diversi percorsi.

I velocisti usano ormai tutti il 54: fai così anche tu oppure da buon pistard sei più agile?

Uso il 54 anche io, ma in certi giorni per le volate servirebbe il 55. L’anno scorso in Belgio, in una delle ultime corse vinte da Viviani in circuito, visto che prima della volata c’era la discesa di un cavalcavia, Elia ha chiesto al meccanico di cambiargli la guarnitura e di mettere il 56. Ha cambiato bici e alla fine ha vinto.

Cosa ti porti degli ultimi due anni con Elia?

Tante cose, anche se sono stati più i momenti brutti di quelli belli. Però quando nell’ultima parte di stagione abbiamo ingranato, è stato bellissimo. Vedergli vincere la prima maglia iridata in pista è stato emozionante. Porto con me due anni bellissimi in cui mi sono proprio divertito e impegnato. Elia è uno preciso, è impressionante come analizzi ogni cosa e questo credo di averglielo rubato. O almeno ci sto provando.

Vedere Viviani vincere il primo mondiale su pista è una delle gioie del 2021 per Consonni
Vedere Viviani vincere il primo mondiale su pista è una delle gioie del 2021
Come sarà fare volate contro di lui?

Quando hanno annullato l’Argentina, gliel’ho detto: «Cerca di non venire a rompere!». Sarà strano. Neppure lui avrà il treno, per cui spero di non trovarmelo in mezzo al gruppo. Non sarà facile, ma succederà. E vorrà dire che ci daremo qualche testata e qualche gomitata… in amicizia!

Perché sarà strano?

Perché quando ero junior, avevo la cartolina col suo autografo. L’ho sempre visto come il prototipo del corridore che fa doppia attività. Sarà strano sfidarlo, ma non sarà la prima volta. E’ già successo. Al UAE Tour del mio debutto e poi a Dubai e anche nella mia prima Vuelta. Lui era già Elia Viviani, io ero un ragazzino. Ma adesso sono cresciuto.

Malucelli ritrova serenità, consapevolezza e volate

16.12.2021
5 min
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A volte le cose succedono quando meno te lo aspetti e da un anno che più brutto non poteva essere salta fuori l’occasione da cogliere al volo. Per questo Matteo Malucelli è passato in un lampo dallo sconforto all’incredulità e ora ha addosso la carica dei tempi migliori. Intorno la notte di Calpe rende ancor più scintillanti le insegne natalizie.

Sfida raccolta

Nel grande hotel c’è un andirivieni di corridori con tute del Team Dsm e della Gazprom Rusvelo. Il romagnolo veste ancora quella dell’Androni con cui ha corso nel 2021. Venendo qui dopo l’allenamento con la squadra di Savio di cui vi abbiamo raccontato in apertura di giornata, abbiamo scambiato due battute con Alessandro Spezialetti, uno dei tecnici del team piemontese.

«Malucelli era un mio corridore – ha sorriso – quando ci parlate, ditegli che l’anno prossimo con Grosu lo facciamo a fettine…».

Matteo ascolta e sorride a sua volta, i due erano e sono in ottimi rapporti: «Gli piacerebbe – risponde – ma non ci conterei».

La sfida è raccolta. Quando il ciclismo è anche provocazione e goliardia, per gli appassionati saltano fuori motivi di interesse da ogni angolo.

Matteo Malucelli ha vinto a gennaio la prima tappa della Vuelta al Tachira
Matteo Malucelli ha vinto a gennaio la prima tappa della Vuelta al Tachira

Doppio Covid

Il passaggio di Malucelli alla Gazprom arriva dopo un periodo davvero buio. Il racconto fluisce che è quasi l’ora di cena.

«E’ stato un cambiamento improvviso – racconta – dopo aver fatto per due volte il Covid. La prima a ottobre 2020, mi fermai e lo lasciai passare. La seconda a febbraio 2021 ed ebbi fretta. Appena tornato negativo, sono andato in ritiro, poi alla Tirreno e poi… mi sono piombati addosso due mesi di fatica. Aver ripreso subito è stato un errore e il Covid mi ha presentato il conto. Non riuscivo a recuperare, la mattina mi svegliavo più stanco della sera prima. Non riuscivo a capire che cosa avessi e quanto sarebbe durato. Richeze, che l’aveva avuto due volte, mi spiegava che sarebbe stato durissimo uscirne.

«Ho cominciato a rivedere la luce a maggio con un paio di piazzamenti fra Ungheria e Francia e a quel punto il mio procuratore, Moreno Nicoletti, mi ha parlato dell’interessamento di Gazprom. A giugno ho deciso di cambiare. Lo abbiamo detto a Savio che, da persona rispettabile quale è sempre stato, mi ha detto di andare, come era già successo quando passai alla Caja Rural. E in pratica nell’anno più balordo, ho trovato la nuova squadra a giugno».

Nel 2019 e 2020 ha corso in Spagna alla Caja Rural
Nel 2019 e 2020 ha corso in Spagna alla Caja Rural

Signor ingegnere

Piace pensare che alla fine la vita restituisca quel che pretende e così per Matteo si è aperta una nuova porta nel segno di un’identità finalmente precisa.

«Ho parlato con Sedun (team manager della Gazprom, ndr) – racconta – e mi ha detto che la prima preoccupazione doveva essere guarire per bene. E così ora sono al punto di aver capito cosa devo fare da grande. Sono stato velocista puro. Poi mi sono messo in testa di tenere in salita e alla fine non ero più niente. Qui mi hanno chiesto di fare le volate e a 28 anni ho finalmente capito di cosa ho bisogno. Non ci si conosce mai abbastanza, ma l’aspetto della tranquillità è il più importante. So come fare per andare forte, so che facendo certe corse la condizione migliora. Non sono più al punto dei primi anni in cui restare senza squadra poteva sembrare un incubo. Mi impegno al massimo, ma se mi diranno o sentirò che questo non è più il mio posto, ho studiato Ingegneria Meccanica e so che fuori un posto per me da qualche parte c’è. Questo mi dà serenità e mi permetterà di lavorare nel modo giusto».

In maglia Androni, Malucelli ha centrato 11 vittorie. Qui all’Aragona nel 2018
In maglia Androni, Malucelli ha centrato 11 vittorie. Qui all’Aragona nel 2018

La legge della giungla

Si potrebbe chiamare atteggiamento consapevole, la capacità di dare alle cose il giusto peso e mettere ordine fra le priorità. E adesso la sua è lavorare, andare forte, vincere.

«Tornare velocista puro – dice – significa aver lavorato tanto in palestra a novembre, per riprendere la massa che avevo perso negli ultimi tempi. Essere velocista potrebbe sembrare facile, nel senso che devi arrivare in fondo e fare la volata: esiste solo quel modo per vincere. Ma allo stesso tempo è una grande responsabilità, perché dai miei risultati dipendono il bilancio e la tranquillità della squadra. Per questo sarà importante sbloccarsi subito, come l’attaccante che fa subito goal e poi non si ferma più. La testa fa tanto. Penso a Viviani nel 2021. Sei abituato a vincere, ogni corsa che non va ti toglie un pezzetto di sicurezza e al contempo fa aumentare quella degli altri che capiscono di poterti battere e magari pensano di poterti rispettare di meno. La volata è come nella giungla, vince chi sopravvive».

Il suo procuratore è Moreno Nicoletti: ha avvisato lui Savio dell’offerta Gazprom
Il suo procuratore è Moreno Nicoletti: ha avvisato lui Savio dell’offerta Gazprom

Un treno da costruire

Le idee chiare. E intanto, mentre ci salutiamo, racconta della serenità nella nuova squadra e della sorpresa nell’aver incontrato staff e compagni davvero alla mano e divertenti. Non aveva mai lavorato in un team russo, ma le esitazioni iniziali sono state spazzate via. Intanto ha parlato con Canola, il capitano in campo della squadra, e hanno individuato insieme un paio di compagni che potrebbero aiutarlo nelle volate. Il cantiere è aperto.

«Se vinci – sorride – la squadra si impegna di più e iniziano a crederci. Ecco perché voglio partire subito forte e arrivare ai finali senza ansia e con la carica giusta».

Volate. L’arte (quasi persa) del fare da soli: parola ad Endrio Leoni

26.08.2021
6 min
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Anche alla Vuelta lo stiamo vedendo, vincono i velocisti che hanno un treno o quel che ne resta dell’immaginario comune, cioè il treno rosso della Saeco di Cipollini. E quando manca almeno quel paio di compagni fidati lo sprinter non vince. L’esempio Guarnieri-Demare ne è la prova più calzante. Dov’è finito il velocista che fa tutto da solo? Dov’è finito l’Endrio Leoni della situazione?

Beh, lo chiediamo proprio all’ex ruota veloce veneziana. Oggi Leoni lavora nel settore immobiliare, ma è sempre molto attento a quel succede nel ciclismo. Segue anche i giovani. Leoni ha vinto molto, ma spesso ha avuto degli infortuni e la sua bacheca poteva anche essere più folta.

Endrio Leoni, classe 1968, vanta oltre 20 vittorie in carriera e 13 anni da pro’
Endrio Leoni, classe 1968, vanta oltre 20 vittorie in carriera e 13 anni da pro’
Endrio, dicevamo: facevi le volate da solo. Pronto a fare a spallate, ad infilarti, a saltare da una ruota all’altra…

Le mie volate diventavano un lavoro. Quando non avevi un treno dovevi adattarti. Dovevi portare un risultato a casa ed ogni volta poi era una guerra per trovare un contratto. Oggi magari le cose sono un po’ cambiate, in ogni senso. Velocisti così ce ne sono pochi. In pochi hanno pelo sullo stomaco. Forse un po’ Groenewegen, ma gli altri sono tutti sui binari e se salta il treno non vincono, anzi non riescono neanche a fare la volata.

Sagan però è uno che sa fare anche da solo…

Però Peter non è un velocista puro e poi adesso ha perso un po’ di esplosività. E si è anche un po’ adagiato. Rischia meno.

Che differenze c’erano tra i tuoi tempi (gli anni ’90-2000) e le volate attuali?

Adesso i “treni” partono ai meno due chilometri, tre al massimo. Una volta iniziavano ai -10. Il treno di Cipollini era quello super-collaudato, ma lo poteva fare perché aveva gente adatta e dei “centochilometristi”: Poli, Vanzella, Scirea, Calcaterra, Ballerini… già in quella fase. Era già tanto stargli a ruota. Lì c’era la vera lotta. Però sapevi che stando lì, male che ti andava, facevi secondo o terzo. Era durissima restarci, perché una spallata, un colpo d’aria a 60 all’ora e perdevi un sacco di energie.

Ricordi una delle volte che hai battuto Mario?

A Bassano, avevo preso la sua ruota. Lui aveva Chioccioli e Ballerini. Quel giorno stranamente fu facile prendergli la ruota e restarci. Non ci fu troppa bagarre e arrivai “fresco” allo sprint, altrimenti facevo sempre la volata con “mezza gamba”. In carriera ho fatto 42 secondi posti, una ventina dei quali dietro di lui! Purtroppo non avendo un treno tutto mio negli d’oro è andata così.

Prendevi proprio la ruota di Cipollini o quella di un suo uomo?

No, no la sua. Mario era talmente tranquillo che non metteva nessuno dietro di lui. Anche perché quella gente che aveva lo portava allo sprint ad un velocità pazzesca. Credo che con le bici di oggi Cipollini avrebbe toccato 3-4 chilometri orari in più. Con i nuovi telai e le nuove ruote non disperdi energia.

Prima hai detto che gli sprinter attuali sono tutti “sui binari”, però è anche vero che hanno molte più regole da rispettare. Il “fair play” è, come dire, molto imposto…

Vero. Non dico che bisogna fare come negli anni ’60 quando in tanti arrivavano senza numero perché si attaccavano alla maglia, ma un po’ più di libertà ci vorrebbe. Le mani non vanno staccate dal manubrio e va bene, era così anche ai miei tempi, 20 anni fa. Però c’era più spazio per delle furbizie, come tenere un avversario alle transenne, mettergli paura, tenerlo in spazi stretti… E si vedeva chi aveva l’esperienza e la scuola della pista. Oggi invece una volta partito lo sprint devono mantenere la linea. Una regola un po’ estremistica per me.

Hai parlato di “guerra di posizione”: come ti sentivi quando era il momento di allargare il gomito?

Istinto – risponde secco Leoni – negli ultimi 10 chilometri sei come il toro che vede rosso. Non ricordi niente. Il velocista senza treno deve solo difendersi dall’avversario che viene a disturbarti, devi chiudere sulla ruota che hai battezzato. Però era bello. Io vivevo per quei dieci chilometri. Era adrenalina pura. E ancora oggi m’immedesimo nelle volate che vedo.

Come proteggevi quella posizione? Dove guardavi?

Ripeto: istinto. Facevi tutto sul momento. Eri a tre centimetri da quello davanti (gli spazi si restringevano) ma non guardavi davanti. Cercavi di capire dov’eri e chi c’era intorno a te. Per questo la volata non è per tutti. Ce n’è di gente forte e veloce, ma non tutta è adatta per la bagarre.

Si frenava?

Il freno non si toccava – esclama Leoni – In volata ti appoggiavi. Se frenavi perdevi posizioni e poi era un bel dispendio energetico per recuperarle. In quel caso, se non ne perdevi troppe, meglio restare dove eri finito e fare la volata magari dalla quinta, sesta ruota che cercare di risalire. Ma io lo dicevo ai miei avversari: non mi venite dietro perché io non freno!

Tra i battitori liberi come te chi è che ti dava più filo da torcere?

Beh, Abdujaparov era un “cagnaccio”. Ma negli ultimi tempi anche McEwen… caspita se ci sapeva fare! E infatti ha vinto tanto. Un altro davvero tosto era Kirsipuu. Lui era forte perché era capace di prendere molto vento ma di riuscire a fare la volata lo stesso. Molto bravo anche Danny Nelissen: fortissimo ma sfortunato.

Guarnieri-Demare, l’esempio migliore del feeling tra velocista e apripista attuali. Il francese è così coperto da Jacopo che quasi non si vede
Guarnieri-Demare, l’esempio migliore del feeling tra velocista e apripista attuali. Il francese è così coperto da Jacopo che quasi non si vede
La grande rivalità è stata con Cipollini e Mario era da volata lunga. Tu come ti allenavi per batterlo? Puntavi sullo sprint lungo o sugli ultimi 50 metri?

Di testa partivo sempre per batterlo, poi magari non ci riuscivo, ma sin da giovane avevo sempre vinto parecchio allo sprint e quella era la mia mentalità. Mi allenavo anche sulle volate lunghe. Le facevo anche da 250 metri e se serviva le facevo più corte, ma tutto stava a come ci arrivavi. Non era tanto la lunghezza dello sprint a fare la differenza, ma quanto spendevi per arrivarci. Con quante energie arrivavi ai 4-500 metri. A volte non avevi neanche la forza per alzarti sui pedali. In questo contava molto anche il ruolo dell’ultimo uomo.

Cioè?

Lui doveva, e deve, essere bravo a portarlo il più avanti possibile, ma in modo regolare. Senza strappare, perché più lo sprinter arriva regolare alla volata e più va forte. E per questo è molto importante che il pilota conosca bene il suo capitano.

Tra i tuoi tanti successi qual’è quello che ti ha dato più emozione?

La prima tappa del Giro (era il 1992 e Leoni prese la maglia rosa, ndr). Era il sogno da bambino, lo vedevi in tv. Ci misi un paio di giorni a realizzare, sul momento non mi resi bene conto.

Marchiori e la vita dello sprinter moderno

02.05.2021
6 min
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Leonardo Marchiori fa parte delle ruote veloci del gruppo. Giovanissimo, 23 anni a giugno, con il corridore dell’Androni Giocattoli Sidermec cerchiamo scoprire come si allena un velocista e cosa significa essere velocisti.

Eh sì perché non basta essere ciclisti e fare gli sprint, per definirsi tale. E’ qualcosa che viene da più “lontano” a quanto pare. Ne abbiamo già parlato con Sabatini, con Chicchi, con Nizzolo. Stavolta vogliamo sentire uno sprinter della nuova, nuovissima, generazione.

Marchiori quest’anno è stato secondo al Gp Slovenian Istria vinto da Maestri
Marchiori quest’anno è stato secondo al Gp Slovenian Istria vinto da Maestri
Leonardo, cosa fa un velocista in corsa?

Se è una gara veramente adatta a lui… non fa nulla in gruppo. Mangia e beve per tutta la gara. Negli ultimi chilometri deve limare il più possibile senza prendere vento. Basta un battito di più e rischia di perdere lo sprint.

E tu riesci a limare bene?

Nelle categorie giovanili sì. Quest’anno, al primo anno tra i pro’, non dico che non sappia più farlo, ma avendo corso poco sono rimasto un po’ spiazzato. Ma già nelle ultime corse le cose sono migliorate. Mi sono detto: devi stare più calmo. All’ultima tappa del Belgrade Banjaluka per esempio, a 15 chilometri dall’arrivo ho anche rotto la bici. Sono rimasto tranquillo, sono rientrato e ho raggiunto le prime posizioni senza prendere un filo di vento (e ha fatto terzo nella tappa finale, ndr).

Tra i pro’ si ha la sensazione che limare sia più facile per certi aspetti e meno per altri, cioè che ci sia più ordine in gruppo, ma che si vada anche più forte: è così?

Si va più forte quello sì, ma non so se sia più facile. Negli under 23 negli ultimi chilometri se sei un po’ dietro, ti sposti a destra o a sinistra, dai una sgasata e risali. Qui no. Se fai quella sparata poi non hai l’energia per fare la volata. L’hai già fatta! Se poi hai un treno come quello della Jumbo-Visma o della Deceuninck-Quick Step è sicuramente più facile.

Il velocista impara a limare o è un qualcosa che ha dentro di sé?

Si può migliorare ma se hai paura… hai paura. Qualcosa devi avere dentro. Io per esempio già da bambino non sono mai stato un attaccante, uno che partiva da lontano. E’ sempre stato così. Non dico tra i Giovanissimi perché lì le gare durano tre chilometri, ma già da esordiente e allievo ho capito che potevo vincere in volata stando coperto.

Immaginiamo che per sgomitare, limare, certe caratteristiche fisiche, come una certa altezza e tanta potenza, aiutino…

Sì, ma serve cattiveria agonistica soprattutto. Non ti puoi spaventare alla prima spallata. Se prendi una spallata devi restare impassibile e ridarla più forte! Io per esempio non sono altissimo, sono 170 centimetri per 72 chili.

Grande cura per l’allenamento a secco: non solo palestra ma anche core stability
Grande cura per l’allenamento a secco: non solo palestra ma anche core stability
Un Ewan, insomma. Lui è anche più piccolo di te…

Più un Cavendish! Sì, ma troppo devo imparare da loro!

Veniamo agli allenamenti del velocista moderno. Chi ti segue?

Andrea Fusaz. E’ il primo anno che sono con lui. Mi piace moltissimo. Ascolta un sacco i miei feedback e per gli allenamenti punta molto sulle mie caratteristiche. Gli altri mi dicevano: sei veloce di tuo, lavoriamo sul resto. Così facevo più salita, ma a cosa mi serve arrivare con i primi 30 in salita e poi non vincere una volata? Un altro che mi segue, che mi sta vicino, è mio fratello Samuele. Lui mi fa fare dietro moto, ha corso nelle categorie giovanili e questo è importante perché comunque ha colpo d’occhio, sa cosa mi serve.

Qual è la tua settimana standard quando non sei alle corse?

La palestra non manca mai. Almeno una vola a settimana la faccio, per lavorare sulla forza. Con Fusaz per esempio, non facciamo partenze da fermo, perché secondo lui si sviluppa meno forza che con esercizi specifici sulla pressa. Per esempio, con le partenze da fermo faccio un lavoro che se riportato sulla pressa sarebbe come fare 10 ripetute con 200 chili, mentre se lavoro direttamente in palestra ne faccio 6 con 240 chili. Poi faccio parecchio core stability: addominali, dorsali, squat monopodalico, esercizi di equilibrio. Altra cosa, quando faccio la forza quasi mai vado anche in bici. Poi dipende dal periodo. Se la devo aumentare non ci vado, faccio quella mezz’oretta di riscaldamento prima e basta. Se invece la devo mantenere dopo la palestra faccio un’ora, un’ora e mezza al massimo.

E le salite?

Beh sono di Mestre…

Per forza quindi sei un velocista!

Eh sì! Per le salite prendo la macchina. Vado poco oltre Treviso e lì tra Montello, San Boldo, Cansiglio, scelgo il percorso a seconda di quello che devo fare.

Torniamo alla tua “settimana tipo”: il giorno dopo la palestra cosa fai?

Un lungo, visto che il giorno prima la bici o non l’ho usata o l’ho fatto pochissimo. Faccio anche 5 ore e mezza, ma senza lavori. E’ il giorno in cui mi sposto in auto.

Come prosegui nei giorni successivi?

Poi c’è un giorno di riposo completo, che io inserisco sempre. Lo faccio per rigenerarmi. A questo seguono due giorni di lavori specifici. In uno faccio degli sprint e nell’altro dei lavori ad alta intensità: 30”-30”, 3×3′ a tutta.

E gli sprint come li fai?

Quasi mai in pianura. Le faccio da 15” o 10”. Da 15” le faccio di rapporto (53×12-11) in salita e le altre da 10” in “agilità” (con rapporto libero) solitamente a scendere dai cavalcavia. E’ un lavoro particolare che serve per velocizzare. In pianura magari le faccio nel giorno in cui faccio dietro motore.

Un giorno di palestra, uno di distanza, uno riposo e due di specifici: mancano all’appello altri due giorni…

Magari il giorno dopo gli specifici faccio 3 ore di aerobico o dietro motore. Ma vorrei dire che la mia settimana non è proprio una settimana. Non conosco la mia tabella così a lungo. Con Fusaz ci sentiamo spesso e ogni 3-4 giorni mi dà il programma.

Passiamo dalla bici alla tavola. Il peso è un problema per te?

Quest’inverno tra il Covid e il fatto che sono stato fermo tre mesi ammetto che non ero super magro, ma neanche super grasso. Ero l’8,5% di massa grassa, poi allenandomi sono sceso al 7%. Comunque non sono fissato con il peso. Io mangio tutto, ma bene: riso, pasta, pollo… cerco di evitare cibi non sani, limito dolci e quantità. Fusaz non è un nutrizionista, ma mi dà qualche semplice consiglio. Dove mangio tanto è a colazione. E il cappuccino, proprio non manca mai!

Spiegaci un po’…

Dipende dall’allenamento. Se è un lungo blando, mangio meno carboidrati e più proteine. Se invece è intenso e corto mangio più carboidrati.

Ma non dovrebbe essere il contrario?

Bisogna considerare che le proteine quando si rientra ci sono sempre. E comunque negli allenamenti ad alta intensità si bruciano moltissimi zuccheri. Io poi in bici mangio molto, ogni 30′. E ricorro molto ai liquidi, alle borracce con le maltodestrine. Parto con due borracce e ho con me un paio di bustine dietro che riempio quando sono finite le prime due. Mentre il cibo solido lo prendo quando faccio la distanza.

Anche in allenamento Marchiori utilizza le maltodestrine nella borraccia
Anche in allenamento Marchiori utilizza le maltodestrine nella borraccia
Pranzo e cena?

Pranzo, come detto normale: pasta, riso… le solite cose, mentre a cena sto leggero: un secondo e verdure. Stop. Cerco di alternare le proteine: una volta le uova, una la carne, una il pesce…

Cos’è per te la salita?

Mi difendevo bene nelle categorie giovanili. In un gruppetto di 20 corridori ci arrivavo. Il fatto è che i 20 corridori degli under 23 sono i 100 dei pro’ e i 150 se siamo al Tour! So che devo migliorare, ma è un qualcosa che spero e credo possa accadere con le gare.

E cos’è lo sprint per il velocista?

E’ adrenalina pura.. In 10” devi finalizzare 4 ore di gara. Quando rivedo le volate in tv mi sembrano lente. E ripenso: potevo muovermi di qua, potevo passare di là. Ma poi non è così. Quando sei lì sei il toro che vede rosso e non capisci più niente. Tante volte ai 10 chilometri ti dici: sono già a tutta non ce la faccio. Poi arrivi all’ultimo chilometro e ti butti nella volata.