Quando si parla di treno nel ciclismo si pensa subito a quello che prepara lo sprint, con tutta la squadra in fila per lanciare il proprio velocista. C’è chi lavora da lontano, chi ai meno tre, chi entra in azione agli 800 metri e si sposta ai 300 e chi appunto fa lo sprint. Ma il treno, seppur molto più lento, c’è anche in salita. Le squadre degli uomini di classifica sono delle corazzate che hanno non meno di 2-3 scalatori oltre al capitano. Ed altri uomini che sempre in salita possono dire la loro.
Paolo Tiralongo (foto in apertura) è stato uno dei massimi gregari per la salita. In tanti anni di carriera è stato un punto fisso per Contador, Nibali, Aru… Uno che di quei treni è stato un vagone molto importante. Sia per i ruoli “nobili”, ultimo o penultimo uomo, sia per fare il “mulo” quando si era lontani dal traguardo.
Decide la condizione
«Di solito – spiega Tiralongo – ogni squadra che punta alla classifica ha con sé 2-3 scalatori, anche quattro in alcuni casi a seconda del percorso. Oltre a questi uomini ce ne sono altri due che non sono scalatori, ma che in salita sanno andare forte. In queste squadre non c’è il velocista. O se c’è, lui stesso è consapevole che deve arrangiarsi e che nei finali di tappa la squadra fa quadrato attorno al capitano per proteggerlo».
Rispetto al treno dei velocisti ci sono ruoli meno “prestabiliti”. Negli sprint, soprattutto gli ultimi due sono sempre quelli in quanto servono specifiche attitudini fisiche e capacità funamboliche. In salita il discorso tecnico viene meno e conta di più quello della condizione fisica. E la regola è che chi sta meno bene, chi è meno forte, tira prima.
«Per questo – riprende il siciliano – ci si parla molto in corsa per sapere come si sta. Sul bus vengono assegnati i ruoli, ma appunto possono variare in gara. Inoltre cambia molto l’intensità della trenata: c’è chi tira per 10 chilometri magari lontano dal traguardo e chi ne deve fare 3-4, o anche meno.
«Il ritmo lo decide il capitano, ma il gregario deve essere bravo ad impostare un’andatura giusta. Un’andatura che non tiri il collo al capitano, che in teoria non dovrebbe soffrire proprio perché è il più forte, ma soprattutto che non metta in difficoltà gli altri compagni i quali devono lavorare successivamente. Se esageri dietro si sente, soprattutto nelle uscite dai tornanti si rischia di subire la frustata».
Alla soglia… per vincere
A questo punto però bisogna fare una distinzione: un conto infatti è tirare per tutta la tappa e lontani dal traguardo e un conto è farlo nel finale di tappa per preparare l’attacco del leader.
«Se si tira per controllare la corsa di solito ci si imposta su un ritmo che è inferiore alla soglia, un medio-alto, e magari si tira per molti chilometri. In un Tour lavoravamo per Contador. Poco dopo il via perdemmo due uomini, così mi ritrovai ad entrare in azione molto prima per sopperire a quella mancanza. Tirai per 70 chilometri, lo feci con un’intensità mai massimale e soprattutto correvamo per controllare la tappa e non per vincerla.
«Se invece si tira per fare risultato nella salita finale cambia tutto. Le trenate si riducono. Ognuno tira in base alle proprie possibilità: 3-4 chilometri ma anche meno se la salita è più breve. In questo caso si va anche oltre la soglia. Imposti un ritmo che puoi tenere per 10′-15′ non di più. Deve essere alto e far male.
«Chi subentra non aumenta il ritmo, ma aumenta la sua intensità. Gli basta passare in testa per imprimere sui pedali quei watt in più che risparmiava stando a ruota. Se poi il capitano gli dice di aumentare questo è un altro conto. Significa che lui sta bene e può fare l’azione. Poi certo, tutto questo su carta, perché bisogna vedere che fanno anche le altre squadre!».
Quel treno del 2015
«Avevamo un bel treno nel 2010 alla Tinkoff, con Navarro lavoravamo bene per Contador. Ma credo che il migliore sia stato quello del 2015. In quell’Astana c’erano tanti nomi forti e soprattutto affiatati. Eravamo io, Rosa, Cataldo, Luis Leon Sanchez e Landa. E Zeits che tirava ovunque. Ci scambiavamo spesso i ruoli in base alla condizione. Nella tappa di Cervinia di quel Giro ci avevano assegnato una salita a testa: una Zeits, una a Rosa e una a Cataldo. Mentre io, Sanchez e Landa dovevamo tirare l’ultima scalata, chiaramente con altre intensità. Prima andavamo solo a dare qualche cambio a Cataldo, Rosa e Zeits per farli rifiatare un attimo.
«Nibali di solito aspettava di più per fare l’azione, voleva essere più vicino al traguardo, Aru invece se aveva la gamba partiva prima, come Contador».