Nuove ruote Syncros Capital, l’asticella molto in alto

17.07.2023
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Capital SL sono le nuovissime ruote in carbonio di Syncros, costruite per essere un unico pezzo. In questo progetto (che è parte del portfolio Scott), che vede il suo risultato dopo uno sviluppo che dura da circa un lustro, coincidono aerodinamica, leggerezza e un insieme di tecnologie legate alla lavorazione del carbonio.

Le versioni disponibili sono due, quella più leggera da 1.170 grammi, ovvero la Syncros Capital SL e quella con un concept aerodinamico estremizzato, la Capital SL Aero da 1.290 grammi, alte rispettivamente 40 e 60 millimetri. Entriamo nel dettaglio.

La versione Capital SL da 40 (foto eltoromedia-Scott)
La versione Capital SL da 40 (foto eltoromedia-Scott)

Nuove Syncros, un pezzo unico

Le Capital SL sono un sistema che si basa sulla costruzione monoblocco, in cui è considerato anche lo pneumatico ai fini della performance complessiva. Dal cerchio ai raggi, fino ad arrivare all’inserimento al mozzo (che è disegnato sulla base del DT Swiss 240 EXP), tutto è un unico blocco di carbonio. Spariscono i nipples in acciaio e vengono eliminate le flange del mozzo di tenuta dei raggi. Tecnicamente si tratta di un prodotto hors categorie che ha obbligato Syncros a sviluppare anche una serie di nuove metodologie di lavoro.

Sono fatte a mano grazie ad un processo di pre-tensione dei raggi, fattore che rende la ruota un corpo unico, ma al tempo stesso permette di personalizzare la tensione dei raggi nelle fasi di costruzione. Il tessuto di carbonio non è interrotto tra il cerchio ed i raggi, fino ad arrivare alla flangia ad anello che si accoppia al mozzo. Anche qui non c’è interruzione, perché la fibra di carbonio prosegue dall’altro capo del cerchio.

Traducendo: si aumenta e migliora la rigidità torsionale, il valore alla bilancia è inferiore (se paragonato ai profilati in acciaio) e sono più resistenti. Le ruote risultano più precise, rigide e guidabili in diverse situazioni, ma anche più reattive nel corso delle accelerazioni. Le Syncros Capital sono anche più guidabili e stabili nelle fasi di piega e curva.

Il cerchio è hookless

In entrambe le versioni il cerchio adotta la soluzione hookless ed ha una larghezza del canale interno pari a 25 millimetri. Questo permette di sfruttare in modo ottimale le coperture (tubeless) da 28 millimetri di sezione (e anche oltre), grazie ad un’interfaccia perfetta tra cerchio e gomma, il tutto in linea con gli standard ETRTO.

Anche la lenticolare che debutta al Tour

Al pari delle nuove Capital SL, debutta anche la lenticolare di Syncros, che vedremo domani sulle Scott Plasma RC TT dei corridori del Team DSM-Firmenich, abbinata all’anteriore da 60 (Capital SL Aero). La Capital SL Disc è una ruota specifiche per le prove contro il tempo, con un valore alla bilancia dichiarato di 970 grammi e con la predisposizione tubeless.

Sviluppate a braccetto con Schwalbe

Le Syncros Capital SL sono state sviluppate grazie al contributo di Schwalbe, anche per questo motivo si parla e si scrive di “sistema”. Grazie a questa collaborazione tra i due brand nasce anche il nuovo tubeless Schwalbe, il Pro One Aero, che presenta un design maggiormente efficiente in termini di aerodinamica, più da facile da abbinare ai cerchi di ultima generazione come lo sono i nuovi Syncros.

Disegno differenziato

Gli Schwalbe Pro One Aero sono dei tubeless da 28 millimetri di sezione, che però presentano una costruzione differenziata tra anteriore e posteriore. Questo fattore fa si che la larghezza reale cambia tra davanti e dietro, a parità di cerchio. Davanti abbiamo uno pneumatico con un’ampiezza compresa tra i 27,5 e 28,5 millimetri, mentre dietro è tra i 29,5 e 30,5 millimetri. Cambia anche lo spessore del battistrada, 0,8 (davanti) e 1,2 millimetri (posteriore).

Questi tubeless sono ovviamente compatibili con la tecnologia hookless del cerchio e ottimizzati per i canali interni da 23/25 millimetri di larghezza.

Syncros

EDITORIALE / Le moto e le barriere mancanti sul Joux Plane

17.07.2023
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Speriamo tutti che finisca a minuti. Che fra la crono, Courchevel e la tappa di sabato, Vingegaard e Pogacar trovino lo spunto per l’attacco decisivo, che renda memorabile questo Tour. Ma se le differenze dovessero restare di secondi, come spiegare a Pogacar che quei pochi non guadagnati sul Col de Joux Plane per colpa di una moto sono stati cosa di poco conto? E come convincere Hindley che sia stato giusto perdere il terzo posto grazie alla scia delle auto e delle moto grazie alle quali Carlos Rodriguez è rientrato sui primi?

Sul Col de Joux Plane, Rodriguez è rientrato sui rpimi anche grazie alle scia di moto
Sul Col de Joux Plane, Rodriguez è rientrato sui rpimi anche grazie alle scia di moto

Una macchina infallibile

Il Tour de France cresce, se non nei numeri certo nei dettagli. L’organizzazione è così curata che in certi momenti ti lascia senza fiato. La chat per i giornalisti accreditati fornisce informazioni così puntuali, che potresti startene a casa e raccontare di essere in Francia, tanti sono i dati di cui sei inondato quotidianamente. Le squadre raccontano con sollievo ed entusiasmo che quasi ogni giorno (di certo in quelli che potrebbero presentare problemi), ci sono moto della Polizia che le scortano fino agli hotel. Per non parlare delle evacuazioni dopo gli arrivi in salita. Quando parte il convoglio scortato dalla Gendarmerie, il resto del mondo – auto di tifosi, camper e ogni altro veicolo – vengono fermati con un rigore unico. Al Giro d’Italia successe un bel trambusto per gli elicotteri del Gran Sasso, qui tutte le squadre sono sicure di avere un percorso netto dall’arrivo all’hotel. Anche perché quest’anno gli hotel non sono stati quasi mai a distanze proibitive dagli arrivi.

Tutta la scalata del Col de Joux Plane ha visto una folla numerosa e poco disciplinata sul percorso
Tutta la scalata del Col de Joux Plane ha visto una folla numerosa e poco disciplinata sul percorso

Le moto sul Joux Plane

Si potrebbe andare avanti a magnificare la bravura degli uomini di ASO, ma proprio per questo quanto è successo sabato nella tappa di Morzine merita una riflessione a fin di bene.

Mancavano circa 600 metri dal GPM del Col de Joux Plane, quando Pogacar è scattato per prendere l’abbuono sulla cima e ha dovuto rialzarsi a causa della presenza sulla strada di due moto che ne hanno frenato lo slancio. Una della televisione francese, l’altra di Bernard Papon, storico fotografo de L’Equipe, che da queste parti è il vero padrone della strada. I due sono stati squalificati per la tappa successiva e multati di 500 franchi svizzeri.

Un passo indietro, tuttavia. Per rendere più avvincente la sfida su alcune montagne, il Tour ha previsto che sulla cima vengano dati degli abbuoni. Il sistema funziona, ma non tiene adeguatamente conto della folla sempre più numerosa, invadente e spesso – bisogna dirlo – indisciplinata. Alcuni tifosi, molto più di prima, pensano di poter fare come vogliono, quasi siano protagonisti della tappa al pari degli atleti.

Bernard Papon è il fotografo di punta de L’Equipe. Ha spiegato bene la dinamica delgi eventi (foto Nikon France)
Bernard Papon è il fotografo di punta de L’Equipe. Ha spiegato bene la dinamica delgi eventi (foto Nikon France)

Parla il fotografo

Nel giorno del pasticcio, le due moto erano certamente troppo vicine agli atleti, non dovevano essere così attaccate. Se però fossero state 10 metri più avanti, non avrebbero potuto riprendere quelle immagini, perché nel mezzo si sarebbero infilati i tifosi. Lo spazio di lavoro per gli operatori si riduce: crescono la folla e i mezzi dei VIP. Come se ne esce? E chi ci dice che al momento di ripartire, non avessero davanti troppa gente che ne impediva l’accelerazione?

«C’erano così tante persone – ha spiegato Papon – che è stato chiamato il pool (cioè una sola moto che poi darà le foto a tutti gli altri fotografi, ndr). Quando ho visto che Pogacar è partito, l’ho detto al mio pilota, che mi ha risposto semplicemente di non poter accelerare. E quando Pogacar ci ha raggiunto, ci siamo trovati in una situazione delicata. Il pubblico era così fitto che al momento c’era da fare una scelta: interrompere lo sforzo del corridore o buttarsi tra il pubblico e ferire le persone.

«Non difenderò l’indifendibile: non dovremmo mai trovarci in questo tipo di situazione. Avrei dovuto chiedere al mio pilota di prendere spazio più velocemente e in anticipo. La prossima volta accelero e non scatto la foto, peccato. E’ tutto pianificato dal punto di vista dei regolamenti per queste situazioni. Abbiamo commesso un errore e sono profondamente dispiaciuto per Tadej Pogacar e per lo spettacolo».

Quando Vingegaard ha attaccato ai 300 metri dal GPM, un cordone teneva il pubblico lontano dalla strada. Poteva iniziare prima?
Quando Vingegaard ha attaccato ai 300 metri dal GPM, un cordone teneva il pubblico lontano dalla strada. Poteva iniziare prima?

Barriere ai 500 metri

A 300 metri dalla cima, dei cordoni tenevano i tifosi lontani dalla strada e questo ha permesso a Vingegaard di scattare e prendere 8 secondi di abbuono, mentre Pogacar ha dovuto accontentarsi di 5. Ma soprattutto, il loro rallentamento dopo quel pasticcio, ha permesso a Rodriguez di rientrare.

Dietro i primi due c’era una tale coda di moto e auto e non tutte con un ruolo specifico in corsa, da chiedersi se il gigantismo e la presenza di Vip in carovana in certi momenti non rischi di influenzare la competizione. Quando Pogacar per quei 300 metri ha smesso di attaccare e si è messo a salire ai 15 all’ora, alle sue spalle questa colonna si è compattata, si è allungata e ha permesso a Rodriguez di avere un riferimento nella sua rincorsa.

Forse questa giornata merita una riflessione, che siamo certi gli uomini di ASO avranno già fatto. Belli i traguardi della montagna con abbuoni. Sbagliato che quelle due moto fossero così vicine (tutti vorremmo quelle foto, siamo onesti). Ma forse se là in cima ci si giocano secondi importanti per la maglia gialla, occorre mettere barriere o corde dai 500 metri. Quando si abitua il proprio popolo alla perfezione, basta una sbavatura perché tutti si storca il naso.

Sagan e Alaphilippe: Boucle anonima, destini diversi

16.07.2023
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In questo Tour de France, al di là di chi lotta per la maglia gialla o compete comunque da protagonista, ci sono due figure già storiche per il ciclismo, che hanno vestito a ripetizione la maglia iridata, ma che hanno perso parte dello smalto che avevano. Ci sono molti punti in comune fra Peter Sagan e Julian Alaphilippe, dato da un passato fatto di grandi vittorie nelle classiche e nelle edizioni iridate. Il presente li vede un po’ ai margini, anche se lo stanno vivendo in maniera diversa perché anche il futuro si prospetta differente.

Due corridori posti su binari diversi, che Gianni Bugno, altro corridore capace di conquistare due titoli mondiali a distanza di un anno (Sagan a dir la verità ne ha vinti addirittura tre) guarda con la sua lente d’ingrandimento.

Peter Sagan chiuderà a fine stagione, per dedicarsi alla mountain bike, con il sogno delle Olimpiadi
Peter Sagan chiuderà a fine stagione, per dedicarsi alla mountain bike, con il sogno delle Olimpiadi

«E’ chiaro che non sono più i campioni di qualche anno fa – inizia Bugno – anche se la gente vedo che li guarda sempre con grande affetto, quando arrivano alla partenza. Questo Tour però lo stanno vivendo in maniera diversa, mi colpisce soprattutto Sagan, che vedo molto al di sotto dei suoi standard. Credo che il fatto di aver già annunciato l’intenzione di smettere a fine anno gli precluda molte possibilità».

Pensi che influisca mentalmente?

Sì, ho come l’impressione che abbia mollato, che non ci creda più. E quando sei tu il primo a non crederci, è difficile che i risultati arrivino. Non so neanche quale sia la sua reale condizione, mi pare sia un po’ a terra moralmente e non abbia la spinta giusta per provarci. Si accorge che in volata non può tenere testa a Philipsen, anche sui percorsi misti che una volta erano il suo forte non emerge, è un po’ alla deriva.

Nonostante gli scarsi risultati, la passione per Sagan non accenna a diminuire
Nonostante gli scarsi risultati, la passione per Sagan non accenna a diminuire
E’ uno stato che emerge in questo Tour o lo avevi notato già prima?

No, è un po’ tutta la stagione che va così. L’ultima vittoria è stata il titolo nazionale dello scorso anno, sono 12 mesi che non vince. Ogni tanto riesce a cogliere qualche piazzamento e nulla più. Per questo dico che è una questione soprattutto di testa. Ha bisogno di nuovi stimoli.

Poteva averli dal team, in quanto a supporto diverso?

E’ un discorso più personale. Io credo che ormai sia proiettato verso nuove dimensioni, non è un caso se ha detto che vorrebbe riprovare la mountain bike per tentare di andare alle Olimpiadi oppure se sia sempre molto interessato al gravel. Ha bisogno di una nuova dimensione, che in questo ciclismo su strada non trova più.

Alaphilippe è spesso in fuga e vuole centrare una tappa. La Soudal lo sta supportando?
Alaphilippe è spesso in fuga e vuole centrare una tappa. La Soudal lo sta supportando?
Veniamo ad Alaphilippe: stesso discorso?

Il francese non è sicuramente quello dello scorso anno, si vede anche quando prova a entrare nelle fughe, ma nel suo caso ci sono ragionamenti diversi da fare. Non ha dalla sua un team che lo supporta e questo mi dispiace, perché si ci è dimenticati un po’ troppo in fretta di come con i suoi titoli mondiali abbia tenuto su la squadra, di quanto sia stato importante anche come immagine. Il fatto di essere visto dai vertici del team con un po’ di sufficienza lo condiziona. Però…

Continua…

Io guardandolo bene noto che in questo Tour, pur non ottenendo risultati, sta impegnandosi e la sua condizione è in crescendo. Secondo me uscirà dal Tour con una gamba notevole e non dimentichiamo che subito dopo ci sono i mondiali…

Il francese inseguito da Van Aert, una sfida che potrebbe ripetersi al mondiale in agosto
Il francese inseguito da Van Aert, una sfida che potrebbe ripetersi al mondiale in agosto
Secondo te il francese può essere un fattore a Glasgow?

Io penso di sì, perché il percorso è abbastanza adatto al suo modo di correre. Io non lo sottovaluterei, potrebbe anche dire la sua in quel contesto, considerando che altri, quelli che stanno lottando nei quartieri alti della classifica, saranno comunque un po’ stanchi, anche mentalmente.

Il suo futuro come lo vedi?

Sarà importante per lui scegliere una giusta squadra per il 2024. Può fare ancora molto, ha solo 31 anni e tutte le qualità per emergere nelle corse a lui più adatte. Anche nel suo caso servono nuovi stimoli, ma può trovarli tranquillamente nel “suo” mondo.

Bugno nel 1998, l’ultimo suo anno chiuso con un’importante vittoria alla Vuelta
Bugno nel 1998, l’ultimo suo anno chiuso con un’importante vittoria alla Vuelta
Le loro storie hanno qualcosa che ti riporta al tuo passato?

Io ho chiuso a 34 anni, ma anche nella mia ultima stagione vinsi, il mio ultimo successo è stato una tappa alla Vuelta. So però che alla fine comincia a mancarti il morale e quando non c’è quello, tutto diventa più difficile. E’ successo anche a me. Molto però dipenderà da quel che vorranno fare, credo che le loro strade andranno diversificandosi sempre più.

Ciccone, sia benedetto il coraggio di riprovarci

15.07.2023
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MORZINE – Lo aveva detto al via, raccontandoci in un video quello che avrebbe voluto fare. Per questo, quando abbiamo visto Giulio Ciccone portare via la fuga, abbiamo pensato che forse da italiani avremmo vissuto una bella giornata. Ne avremmo tanto bisogno, ma dovremo accontentarci del trofeo del più combattivo (foto di apertura). Infatti gli uomini di classifica hanno deciso che oggi si sarebbero giocati la tappa e la fuga non è mai andata davvero. Anche se dentro non c’erano soggetti pericolosi.

Ciccone ha provato a portare via la fuga di forza, ma il gruppo non ha mai lasciato spazio
Ciccone ha provato a portare via la fuga di forza, ma il gruppo non ha mai lasciato spazio
E’ andata storta, insomma?

Era una tappa importante. Pensavamo che si potesse entrare nella fuga con le gambe e che si andasse all’arrivo. Le gambe c’erano, abbiamo provato, però non era la giornata buona. Abbiamo toppato, però alla fine questo è il ciclismo e non ci possiamo fare niente. Proveremo ancora nei prossimi giorni.

Mai arrendersi, no?

Ho provato a prendere qualche punto per la maglia a pois (al momento Ciccone è quarto, ndr) e abbiamo ancora una missione, quindi riproveremo. E’ un Tour veramente particolare. Ci sono delle giornate dove la fuga sembra non andare mai. Si va fortissimo e magari poi va di colpo. Ho tentato mille volte e non ci sono riuscito e oggi che invece è andata via di gambe, è mancata la fortuna. Le squadre dietro hanno deciso che non fosse il giorno.

E domani?

Voglio riprovarci, vincere una tappa è il mio obiettivo principale e non voglio arrivare a Parigi con un rimpianto.

Quanto andavano forte quando ti hanno ripreso?

Fanno un ritmo diverso. Quando sei in fuga prendi l’aria e tiri continuamente, mentre gli uomini di classifica fanno un ritmo forte e costante, ma stanno a ruota. Sono due modi di correre completamente diversi. Quando mi hanno preso, erano rimasti in pochi, quindi il ritmo che si stava facendo era già alto.

Dopo essere stato rirpeso, l’abuzzese ha gestito lo sforzo, pensando alla tappa di domani
Dopo essere stato rirpeso, l’abuzzese ha gestito lo sforzo, pensando alla tappa di domani
Perché si può parlare di una tappa anomala?

Pochissime volte avevo visto una situazione così. Nella fuga non c’era nessuno di troppo pericoloso, il primo era Pinot, che però ha parecchi minuti. Però hanno deciso…

Quando ti hanno ripreso, sei riuscito a gestirti?

Non essendo in classifica, dovevo essere anche intelligente a salvarmi per i giorni successivi. E domani è un altro giorno, siamo qui per riprovarci…

Pogacar attacca, ma Vingegaard gli mette paura

15.07.2023
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MORZINE – Pari e patta. Anche oggi le due star del Tour si sono sfidate testa a testa e la conferma che si trae sull’arrivo è che i due sostanzialmente si equivalgano. Carlos Rodriguez ha vinto la tappa, anche perché una moto dell’Equipe e una della televisione, quasi ferme in mezzo alla strada, hanno costretto Pogacar e Vingegaard a fermarsi durante l’ultimo scatto. A quel punto sulla testa della corsa è calata una cortina di torpore e Rodriguez ha riguadagnato terreno.

Carlos Rodriguez, spagnolo classe 2001, marca la terza vittoria spagnola al Tour
Carlos Rodriguez, spagnolo classe 2001, marca la terza vittoria spagnola al Tour

I piani di Vingegaard

Adesso c’è da capire chi dei due terrà questa condizione sino in fondo o chi eventualmente dovrà calare. Il lavoro ai fianchi di Pogacar riuscirà a demolire le difese di Vingegaard? Oppure il danese, sornione e cinico, sta prendendo le misure al rivale, riservandosi di sparare tutte le sue cartucce in un giorno prestabilito, come fu lo scorso anno sul Granon?

«Penso ancora – dice la maglia gialla – che a un certo punto ci saranno differenze maggiori fra noi. Facciamo sempre dei piani, l’anno scorso come quest’anno. Noi continuiamo a seguire quello che abbiamo progettato e forse sarò in maglia gialla a Parigi. Manca qualcosa più di una settimana. Pogacar ha fatto un bell’attacco, io ho preso il mio tempo e alla fine sono riuscito a raggiungerlo. Ho anche guadagnato un secondo, ora ne ho 10 di vantaggio. Non so dire se ne esco vincitore, ma sono soddisfatto. Stiamo andando molto veloci, più dello scorso anno. Siamo felici di quello che abbiamo fatto. Voglio ringraziare tutti i compagni che hanno lavorato sodo».

Poagacar ha attaccato forte, ma non è riuscito a distanziare Vingegaard
Poagacar ha attaccato forte, ma non è riuscito a distanziare Vingegaard

La lettura di Vanotti

Probabilmente la riflessione giusta la faceva stamattina alla partenza da Annemasse quella vecchia volpe di Alessandro Vanotti, che il Tour lo vinse nel 2014 accanto a Vincenzo Nibali.

«Non credo che Vingegaard sia in calo – ha detto il bergamasco – fateci caso. Quando Pogacar lo attacca, lui si spinge fino ad un certo punto, poi è come se chiudesse il gas per non andare fuori giri. Prende la sua velocità e non molla. Lo tiene nel mirino e poi semmai torna sotto».

Esattamente quello che è successo oggi sul Col de Joux Plane. Pogacar ha messo Yates a tirare e poi ha attaccato, guadagnando un massimo di 5 secondi. Voltandosi ripetutamente, mentre l’altro faceva il suo ritmo e alla fine è riuscito a riprenderlo, dando la sensazione di non essere affatto sfinito. Considerando che il Tour è appena giunto a metà strada, viene da chiedersi quale sia la tattica che paga maggiormente.

Sepp Kuss è il valore aggiungo della Jumbo-Visma: l’ultimo uomo più solido del Tour
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Le tattiche di Pogacar

Pogacar bisogna capirlo e probabilmente aspettarlo alla distanza. Sa di dover attaccare oppure vuole farlo. Potrebbe aspettare la crono, ma la sensazione è che fra i due sia in corso anche una guerra psicologica per eleggere il maschio alfa.

«Tadej è un ragazzo intelligente – spiega Gianetti, team principal della UAE Emirates – non devi dirgli le cose per tre volte. Cosa deve fare? Ha capito che la differenza tra lui e Vingegaard è minima e quindi deve correre bene, non può buttar via energie perché l’altro è un gran corridore. Sappiamo che sulle grandi montagne abbiamo un blocco più completo rispetto alla Jumbo, fermo restando che loro hanno un super Kuss, che da solo fa un lavoro eccezionale.

«Speravamo che il lavoro fatto fosse già sufficiente e a Bilbao eravamo contenti. Invece abbiamo perso terreno nella prima tappa pirenaica, forse per le troppe energie spese prima. Però Tadej ha avuto una bella reazione e ha iniziato a migliorare. Certo, parliamo di una crescita comunque minima. Vingegaard è arrivato con un’ottima condizione e la sta mantenendo, Tadej ha trovato l’equilibrio che cercava».

Rodriguez e la Bmx

In tutto questo, quel lungagnone di Carlos Rodriguez è rientrato sui due subito prima che iniziasse la discesa e poi li ha lasciati lì a sfidarsi anche nella picchiata.

«E’ una sensazione incredibile essere qui – dice lo spagnolo – vincere lo è ancora di più. Non so se riuscirò a salire sul podio, anche gli altri sono molto forti. Lo prenderò giorno per giorno, cercando di fare del mio meglio e sperando che da qui in poi le mie gambe mi rispondano. Quando stavo inseguendo Pogacar e Vingegaard, mi sono concentrato per rendere il resto della salita il più breve possibile. Salivano molto forte, però a un certo punto hanno iniziato a guardarsi e questo mi ha permesso di riprenderli. Poi in discesa, mi sono concentrato solo a scendere il più velocemente possibile. So di andare forte, ho vinto per questo e per i tanti anni di Bmx che ho fatto da piccolo».

Per la Ineos, seconda vittoria in 24 ore, dopo il successo di ieri di Kwiatkowski
Per la Ineos, seconda vittoria in 24 ore, dopo il successo di ieri di Kwiatkowski

Una dedica e si riparte

Ha gli occhi lucidi. Uno spagnolo prova a chiedergli che cosa pensi del possibile cambio di maglia del prossimo anno, ma prima lo incenerisce lo sguardo dell’addetta stampa britannica e poi Rodriguez stesso finge di non aver sentito e risponde a un’altra domanda.

«Sono molto grato al mio team – dice – e a tutti i miei colleghi per il loro supporto. Se però devo dedicare questa vittoria a qualcuno, è ai miei genitori e alla mia famiglia, che mi hanno sostenuto fin da piccolo. Hanno fatto tutto il possibile per me; mi hanno dato tutto. Essere qui sarebbe stato impossibile senza di loro. Mi supportano ancora oggi e cercano di essere con me in tutte le gare che possono. Questa vittoria è per loro. Il ciclismo spagnolo è di buon livello. Non possiamo essere sempre i migliori, ma i tifosi spagnoli possono essere sicuri che facciamo tutto il possibile per renderli orgogliosi».

Domani si riparte. Vingegaard ha 10 secondi su Pogacar, 4’43” su Rodriguez e dopo un secondo c’è Hindley. I primi due avranno accumulato altra fatica e la tappa di Saint Gervais Mont Blanc promette sfracelli, con i suoi 179 chilometri e le tante salite. Eppure vedendoli sfidarsi oggi con scatti che non erano scatti, ce ne andiamo da Morzine con la consapevolezza di quanto sia stato un privilegio veder correre Marco Pantani.

Gli azzurri a Glasgow con ruote Campagnolo

15.07.2023
3 min
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La prima parte del 2023 si sta rivelando davvero ricca di importanti novità per Campagnolo, uno dei marchi più iconici del ciclismo mondiale. A inizio maggio è stato lanciato sul mercato il tanto atteso Super Record Wireless, che in questi giorni sta “gareggiando” sulle strade del Tour de France sulle BMC del team AG2R Citroen. Pochi giorni fa, l’azienda vicentina ha invece ufficializzato di aver definito una partnership con la Federazione Ciclistica Italiana. Si tratta di una collaborazione tecnica che guarda ai prossimi mondiali su pista di Glasgow, ma soprattutto alle Olimpiadi di Parigi 2024.

I team di endurance e sprint correranno con le nuove ruote di Campagnolo: le Ghibli
I team di endurance e sprint correranno con le nuove ruote di Campagnolo: le Ghibli

Il meglio per la pista

Grazie alla nuova partnership Campagnolo diventa sponsor ufficiale delle ruote da pista delle nazionali azzurre di ciclismo. Da oggi la squadra maschile e quella femminile potranno contare su prodotti top di gamma, a partire dalle nuove ruote da pista Ghibli 0.9 che saranno utilizzate dalla Federazione Ciclistica Italiana per le squadre endurance e sprint. Le nuove ruote faranno il loro debutto ufficiale in occasione dei campionati del mondo su pista di Glasgow del prossimo mese di agosto.

Gli azzurri saranno in pista a Glasgow dal 5 al 13 agosto, con l’obiettivo di ripetere i risultati degli scorsi anni
Gli azzurri saranno in pista a Glasgow dal 5 al 13 agosto

Soddisfazione reciproca

L’accordo tra Campagnolo e Federazione Ciclistica Italiana ha incontrato sin da subito la soddisfazione reciproca di entrambi gli attori. Per Campagnolo ha parlato Nicola Baggio, Chief Sales & Marketing Officer dell’azienda vicentina.

«La nostra mission – ha dichiarato – è applicare l’immaginazione alla tecnologia, per creare prodotti straordinari per ciclisti appassionati: belli da usare, da possedere e da guardare. Siamo orgogliosi di supportare la Federazione Ciclistica Italiana con il nostro ultimo output progettuale dedicato alle ruote, con il chiaro obiettivo di raggiungere l’eccellenza in pista.

«La ricerca e lo sviluppo Campagnolo – ha aggiunto – progredisce quotidianamente per stabilire le migliori prestazioni per le ruote lenticolari più leggere al mondo, un impressionante miglioramento della resistenza al rotolamento e i risultati aerodinamici più avanzati. Decisamente orientate ad ottenere grandi risultati a Parigi 2024». 

Per la Federazione Ciclistica Italiana non poteva mancare il contributo del Presidente Cordiani Dagnoni: «Da quasi un secolo la qualità e la precisione dei prodotti Campagnolo contribuiscono alle vittorie dei più grandi campioni di ciclismo di tutti i tempi. Siamo orgogliosi di poter contare su un partner di così alto spessore».

Fra poche settimane avremo modo di poter ammirare le nuove Ghibli 0.9 sulla pista di Glasgow, con la speranza che si tratti di un debutto vincente.

Campagnolo

Izagirre riapre una vecchia ferita, Vasseur piange. Domani le Alpi

13.07.2023
6 min
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Un giorno di ordinaria follia al Tour de France e vittoria di quel Ion Izagirre che sette anni fa ci fece quasi piangere, sfilando una vittoria quasi sicura dalle mani di Vincenzo Nibali. Lo Squalo aveva vinto il Giro, ma in Francia faticava a collegare i puntini, sulla strada delle Olimpiadi di Rio. Erano giorni pesanti e duri, fra attacchi sui giornali e colpi bassi.

Nel giorno di Morzine, con il Col de Joux Plane e la conseguente discesa, Nibali era riuscito a scollinare davanti e tuffarsi nella picchiata con la solita verve. Poi la pioggia e la voglia di non rischiare gli suggerirono di tirare i freni e sul traguardo alpino fu passato da Pantano e Izagirre, che vinse. Ironia del destino, a Rio Nibali cadde proprio in discesa, rimpiangendo forse quella tappa sfumata. Alla fine della stagione, chissà se dopo averlo visto in azione al Tour, Nibali portò con sé Ion e suo fratello Gorka nella neonata Bahrain-Merida.

«Gli ultimi chilometri sono stati emozionanti – racconta Izagirre – volevamo continuare la linea dopo la vittoria di tappa di Lafay. Eravamo venuti al Tour per vincere una tappa, ma averne già vinte due è fantastico. Ero felice di essere nella fuga giusta. La collaborazione è stata buona fino all’ultima salita, così ho deciso di attaccare. Avevo molta fiducia nelle mie gambe. Negli ultimi chilometri mi sono passate per la testa un sacco di cose. E’ stato un giorno emozionante».

Dopo il traguardo il team manager Cedric Vasseur (foto di apertura) non ha fatto nulla per trattenere le lacrime. Per la squadra che lo scorso anno lottò per non retrocedere, due vittorie di tappa sono più dell’ossigeno.

Jakobsen a casa

Già, la fuga giusta. Nel giorno in cui l’invisibile Jakobsen ha lasciato il Tour (l’olandese accusa i postumi di una caduta), la corsa è stata a dire poco esplosiva. Verrebbe da appuntare la vena di ironia che popola le vicende più recenti dei velocisti di casa Soudal-Quick Step. Lasciato andare Cavendish per puntare su Jakobsen, le prestazioni dell’olandese al Tour si sono limitate alla tappa di Nyborg dello scorso anno, antipasto del titolo europeo di Monaco. Per lasciargli spazio, la squadra ha lasciato partire anche Merlier, salvo scoprire che dal 2024 Jakobsen se ne andrà, probabilmente al Team DSM.

Comunque stamattina c’è stato appena il tempo perché Prudhomme abbassasse la bandierina di partenza e Mads Pedersen ha attaccato.

Ha continuato a insistere per tutta l’ora successiva, mentre Van Aert sembrava iperattivo in testa al gruppo, senza tuttavia riuscire a guadagnare metri. La fuga giusta è partita dopo 70 chilometri da mal di testa e ha visto a fasi alterne gli attacchi di Van der Poel e Amador, mentre dietro il gruppo esplodeva. Poi Van der Poel ha deciso di fare da sé, ma ha pagato l’assolo, staccandosi dopo aver iniziato con un piccolo vantaggio anche l’ultima salita.

Un circolo virtuoso

Izagirre è partito con un vantaggio di 25 secondi proprio sulla cima della rampa finale, mentre dietro Guillaume Martin faceva la guardia con astuzia e grande tempismo.

«E’ stata molto dura dall’inizio alla fine – racconta il filosofo della Cofidis, venuto al Tour per fare classifica – e davanti tutti hanno finito la tappa con l’energia che gli era rimasta. Il gruppo in fuga alla fine si è sbriciolaro. Abbiamo pedalato anche con le orecchie – ha riso – come si suol dire in questi casi, ma questi sono giorni belli e bei ricordi. 

«Ho provato a controllare, non è stato facile perché alla fine attaccavano a turno e sono contento di avere di nuovo gambe che rispondono bene. Ion (Izagirre, ndr) prima ha chiuso su Thibaut Pinot e poi ha attaccato ed è riuscito a vincere. E’ un circolo virtuoso, la vittoria chiama vittoria e noi della Cofidis potremmo non fermarci qui».

Van der Poel è stato anche da solo al comando, ma ha dovuto arrendersi alla gamba che ancora non c’è
Van der Poel è stato anche da solo al comando, ma ha dovuto arrendersi alla gamba che ancora non c’è

La resa di Van der Poel

Secondo Sonny Colbrelli, che oggi a Reggio Emilia ha presentato la Merida prodotta col suo nome in edizione limitata, Van der Poel ha fatto ancora un po’ di prove per il suo vero obiettivo: il campionato del mondo.

«Mi sono sentito meglio oggi – ha detto Mathieu, ancora rauco – ma il mio corpo non è ancora pronto per una prestazione vincente. Sono tre giorni che mi sento male. Ricevere il numero rosso è un bel premio, ma avrei preferito vincere. Oggi potrebbe essere stata la mia ultima possibilità di fare qualcosa, ma non ho avuto abbastanza vantaggio per passare l’ultima salita. Nei prossimi tre giorni il percorso non fa per me. Se non altro, sono contento di essermi sentito meglio rispetto agli ultimi tre giorni».

Largo ai giganti

Da domani infatti il gruppo attaccherà le Alpi, con l’arrivo in salita a Grand Colombier, in una tappa breve di 138 chilometri.

Sabato giornata più lunga, con 152 chilometri e l’arrivo a Morzine con lo stesso finale di quella volta nel 2016.

Infine domenica, altri 179 chilometri fino a Saint Gervais Mont Blanc. Le tappe interlocutorie sono finite, da domani riprenderanno in mano le operazioni le squadre dei giganti. E Pogacar, tanto per scaldare la gamba, come risposta implicita agli scatti del mattino di Vingegaard, ha fatto la volata di gruppo.

Bagioli e Sobrero, niente Tour. Ricordate le parole di Amadio?

13.07.2023
5 min
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L’Italia in questo Tour de France ha il record non proprio bello di annoverare al via soltanto sette atleti, che sono diventati sei dopo il ritiro di Jacopo Guarnieri. Riallacciandoci al discorso fatto qualche giorno fa con Roberto Amadio sul fatto della mancanza di una squadra italiana e dei pochi corridori nostrani nelle grandi gare, ci sono due casi emblematici. Stiamo parlando di Matteo Sobrero e Andrea Bagioli.

La squadra che non c’è

I due ragazzi erano stati entrambi precettati per la Grande Boucle dai rispettivi team. Si erano ben preparati, ci credevano e soprattutto per questo obiettivo che era stato loro “promesso” o quantomeno inserito nei programmi, avevano anche sacrificato il Giro d’Italia.

Invece sono rimasti a casa con il classico pugno di mosche in mano. 

Stiamo parlando di due buoni atleti, che senza una tutela, un’attenzione che può avere nei loro riguardi una dirigenza italiana rischiano di perdere mesi preziosi. E quando diciamo tutela, non intendiamo favoritismi, ma un modo diverso di lavorarci, nell’approcciare la loro professione.  

E parliamo di team, che in fatto di lavoro e programmazione sono tra i migliori in assoluto. Due come loro magari potrebbero fare il salto di qualità definitivo.

Sobrero (classe 1997) ha vinto la 4ª frazione del Giro d’Austria. Non ha mai disputato il Tour
Sobrero (classe 1997) ha vinto la 4ª frazione del Giro d’Austria. Non ha mai disputato il Tour

Sobrero, rabbia austriaca

Matteo Sobrero, in questo suo “non Tour” è persino riuscito a tirare fuori una vittoria. Il piemontese della Jayco-AlUla (che l’anno prossimo è indiziato di cambiare squadra) ha infatti conquistato la quarta frazione del Giro d’Austria, con uno sprint a ranghi ridotti in cui c’era tanta cattiveria agonistica.

Matteo, eri uno dei forti indiziati per il Tour della tua squadra. Poi cosa è successo?

Dovreste fare questa domanda allo staff o alla squadra! Diciamo che mi è dispiaciuto particolarmente non fare il Tour… però alla fine penso sia stata più una scelta legata al fatto che probabilmente andrò via e quindi hanno preferito puntare su altri che una scelta tecnica.

Una decisione tra virgolette politica. Anche perché poi hai dimostrato di andare forte, grazie alla vittoria in Austria.

Sì, esatto. Avevo comunque preparato il Tour quindi la condizione era buona per quella corsa. E’ logico che mentalmente e moralmente dopo una notizia così, dopo aver perso l’obiettivo per cui ti stavi allenando, ti rilassi un po’. Dici: e ora cosa faccio? Mi hanno proposto il Giro d’Austria e ho accettato. Ho preferito correre piuttosto che stare a casa. E ho fatto bene: alla fine la vittoria fa molto piacere e anche come squadra siamo andati bene nella generale.

A conferma che la preparazione per il Tour l’avevi fatta bene…

Ero in crescendo. Magari al Giro di Svizzera non ero ancora del tutto pronto, come agli italiani d’altronde. Ma stavo migliorando dopo il tanto lavoro accumulato.

Quando ti hanno detto che non saresti andato in Francia? L’hai capito strada facendo o c’è stata una comunicazione precisa?

Una comunicazione specifica, poco prima dell’italiano, che credo non sia stato il massimo anche per quello. 

Guardiamo avanti: adesso il programma cosa prevede?

Farò il Polonia e quindi la Vuelta.

E come ci arrivi alla Vuelta se stavi preparando il Tour?

Dopo l’italiano ho fatto quattro giorni di riposo totale, poi ho ripreso gradualmente. Da ieri sera sono a Macugnaga, in altura, dove vado sempre con Pippo (Ganna, ndr). Ci resterò una dozzina di giorni e poi appunto farò il Polonia e la Vuelta.

Andrea Bagioli (classe 1999) si era ben comportato al Delfinato. Tra l’altro è un ottimo supporto per Alaphilippe
Andrea Bagioli (classe 1999) si era ben comportato al Delfinato

Bagioli sogna l’azzurro

Molto simili a quelle di Sobrero, sono le parole di Andrea Bagioli. Il corridore della Soudal-Quick Step (in scadenza di contratto) credeva fermamente nel progetto Tour e tanto si era impegnato. Ma anche per lui a giugno, una decina di giorni prima del tricolore è arrivata la doccia gelata. E anche per lui la delusione c’è stata.

Andrea, come si fa con gli stimoli?

Ti crolla un po’ il mondo addosso dopo che ci avevi lavorato tanto. Dopo la Liegi avevo fatto una settimana di stop per riposare bene. Avevo ripreso ad allenarmi ed ero andato a Sierra Nevada, in altura (col gruppo del Tour, ndr). Al Delfinato ero in crescita secondo me, infatti sono uscito da quella corsa che stavo molto bene. Poi è arrivata la notizia e tutto si un po’ fermato.

Come te l’hanno giustificata?

Mi hanno detto che volevano portare una squadra tutta (o quasi) per Fabio Jakobsen, il velocista. E io non facevo parte di quel gruppo, di quella formazione.

Andiamo avanti Andrea. Stesse domanda fatta a Sobrero: adesso qual è il tuo programma?

Ma sì dai, ormai è tutto passato, anche la delusione. Sto già pensando ai prossimi obiettivi. Dal 22 al 26 luglio disputerò il Tour de Wallonie e poi andrò alla Clasica de San Sebastian. E poi ancora spero che le cose vadano bene per ottenere una convocazione per i mondiali.

Al Wallonie avrai un po’ di spazio per te?

In teoria sì, dovrei avere un po’ di carta bianca. Anche perché il percorso è mosso, con salite brevi, dunque è adatto alle mie caratteristiche. Mentre a San Sebastian no. Lì ci sarà Remco e si lavorerà per lui. Il che, per uno così, fa anche piacere. Sai chi è, cosa può fare e lavori con un certo stimolo.

Come hai rivisto la programmazione atletica?

Dopo il campionato italiano mi sono fermato giusto quattro giorni per riposare, soprattutto mentalmente. All’improvviso, dopo l’obiettivo saltato, ero stanco. Ho ripreso gradualmente facendo principalmente ore di sella, in quattro giorni non perdi moltissimo la condizione. Non sono andato in altura ma mi sto allenando a casa.

Bennati “legge” da dentro il poker di Philipsen

12.07.2023
5 min
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«L’anno scorso – dice Bennati – l’ho visto vincere a Parigi veramente alla grande. Quest’anno ha vinto l’ultima tappa alla Tirreno, sta crescendo veramente forte. Poi è arrivato secondo alla Roubaix. Questo secondo me è un cagnaccio anche al mondiale».

L’analisi di Bennati

Jasper Philipsen ha appena vinto la quarta tappa su cinque volate disputate e il commissario tecnico della nazionale, che di tappe al Tour se ne intende, lo ha seguito con grande attenzione, visto l’appuntamento di Glasgow che ormai si intravede in fondo al rettilineo. Nella giornata in cui Daniel Oss ha conquistato il numero rosso, le parole di Bennati sono molto interessanti.

«Con le dovute proporzioni – sorride Bennati, mettendo le mani avanti – mi sono rivisto in una volata che ho vinto alla Vuelta nel 2012. La riguardo spesso, perché è uno di quei casi in cui, come si dice fra corridori, non sentivo la catena. A un certo momento a 300 metri dall’arrivo, Philipsen ha smesso di pedalare per due volte, però è rimasto sempre lì. Poi col colpo d’occhio, è riuscito a capire tutte le situazioni. Quando un velocista è al top della condizione, gli va tutto bene. Si ritrova con una grande consapevolezza di se stesso ed è quello che sta capitando anche a lui. E’ nettamente più forte…».

La tappa di Valladolid alla Vuelta del 2012: Bennati ha rivisto le stesse dinamiche in questo finale
La tappa di Valladolid alla Vuelta del 2012: Bennati ha rivisto le stesse dinamiche in questo finale
Ha anche capito dove si apriva la volata, non ha rischiato di rimanere chiuso…

Ha preso la ruota di Van Aert e poi in un attimo ha capito che quella non era la ruota giusta. Quelli sono sforzi che se non hai la gamba, non fai più la volata. Invece lui ha lasciato Van Aert e ha fatto una prima volata per andare nella scia di Groenewegen. E quando è arrivato alla sua ruota, Groenewegen è partito. Lui è stato lì. E quando ha visto il momento giusto, ha accelerato e gli ha pure dato tre bici.

Al Giro dicemmo che Cavendish aveva vinto la volata di Roma, perché non c’erano grossi rivali. Qui ad esempio Jakobsen non è neppure l’ombra di se stesso…

Qui però ci sono tutti gli altri. E’ vero che Jakobsen non va, però io ho guardato le gare che hanno fatto insieme, dal Giro del Belgio e anche qualche classica di lassù, e negli scontri diretti ha vinto quasi sempre lui. Poi c’è Van Aert, che a volte mi fa venire il nervoso…

In che senso?

Va veramente forte, attualmente è il più forte, non si discute. Mi fa venire il nervoso perché non si risparmia mai e non riesce a concludere quello che potrebbe. Forse sono umani anche loro. Se anche sei un fuoriclasse e spendi più del normale, prima o poi la paghi. Secondo me sta succedendo questo. La settimana scorsa ha fatto quella tappa clamorosa il giorno del Tourmalet e poi l’ha pagata. Secondo me non sarebbe normale se lui facesse quegli sforzi e il giorno dopo vincesse anche le tappe.

Quarta vittoria per Philipsen su cinque volate. Per lui anche un secondo posto
Quarta vittoria per Philipsen su cinque volate. Per lui anche un secondo posto
Cosa ti ricordi di quella tappa di Valladolid?

Avevo l’impressione che la bici andasse dove volevo io, quasi la telecomandassi. Non è solamente un fatto di condizione fisica, ma anche di una consapevolezza superiore. Di conseguenza, se sbagli hai la capacità di recuperare lo sbaglio e di anticipare quello che agli altri richiede più tempo.

Lucidità che deriva dalla condizione?

Oggi Philipsen ha dato la dimostrazione di essere il più in forma. E’ chiaro che stamattina, dopo tre tappe vinte, aveva appetito e la consapevolezza di quando sei forte e sai anche che puoi permetterti qualcosa in più. Quindi, dal punto di vista psicologico, lui approccia la volata in modo molto più tranquillo, molto più sereno. Gli altri invece hanno l’ossessione di vincere e di non sbagliare. E quando hai l’ossessione di non sbagliare è la volta che sbagli. E se sbagli una, due o tre volte, la volata non la fai più.

Oss è stato l’ultimo ad arrendersi nella fuga, ma lamenta la poca convinzione dei compagni d’avventura
Oss è stato l’ultimo ad arrendersi nella fuga, ma lamenta la poca convinzione dei compagni d’avventura

La fuga di Oss

Discorsi da velocisti e non da attaccanti. Quante forze ha buttato via oggi Daniel Oss nella fuga? E quanto è diverso correre spargendo energie con il secchio, anziché centellinarle come fanno i velocisti? Il trentino è sul pullman e sotto si sente la voce di Sagan (all’ultimo Tour) che lo prende in giro, perché avrebbe sfruttato la scia di una moto. Ma Daniel nega e l’altro sotto si mette a ridere, dicendo che una moto a lui servirebbe per tirargli le volate.

«Adesso hanno visto che al Tour – ride Oss – ci sono anche io. L’idea era quella di prendere una fuga un po’ più numerosa, perché era chiaro che si volesse arrivare in volata. Ci sono stati un po’ di scatti, sembrava che andassero via quattro o cinque, invece ci siamo ritrovati solo in tre. Siamo andati via pianissimo, perché il gruppo non ci lasciava. E quando ci hanno messo sotto il minuto, il morale è andato sotto zero. Non è che avessi grandi piani, però sapevo che la strada girava verso destra e il vento sarebbe stato favorevole.

Per il trentino arriva il numero rosso: non era una fuga che potesse arrivare, ma si è goduto la giornata
Per il trentino arriva il numero rosso: non era una fuga che potesse arrivare, ma si è goduto la giornata

«Metti che sei anche abbastanza veloce – prosegue Oss – che puoi tenere un’andatura bella alta, tieni duro, no? Da solo riuscivo ad andare davvero forte. Invece si sono rialzati e mi hanno proprio lasciato lì. Si sono staccati perché non volevano e quello un po’ mi ha infastidito. Però alla fine quei chilometri me li sono goduti. C’era tanta gente, è sempre figo, è bellissimo davanti con il pubblico e quel po’ di pioggia che poteva rallentare il gruppo per paura di scivolate. Potevo pensare che sarei arrivato se fossi stato solo negli ultimi 2 chilometri, però mancava ancora tanto, era tutto un work in progress. Se ci riprovo? Non dipende tanto dalla volontà, ma dalle gambe. Il gruppo ha un livello pazzesco, vanno fortissimo, c’è una concorrenza davvero incredibile».