Per Vauquelin Bologna è un sogno. Per Pogacar… un giallo

30.06.2024
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BOLOGNA – I due volti di un successo. Quello di profondo di Kevin Vauquelin e quello quasi di “abitudine” di Tadej Pogacar. Il primo è il sorriso di chi cerca la vittoria di tappa e ci riesce. Il secondo è quello di chi sta cercando di vincere il Tour de France e conquista la maglia gialla dopo un test… perché di test si è trattato. A Bologna, dunque un sorriso per due, ma un sorriso parecchio diverso.

Didier Rous assalito dai giornalisti francesi. Erano 56 anni che due francesi non vincevano le prime due tappe del Tour
Didier Rous assalito dai giornalisti francesi. Erano 56 anni che due francesi non vincevano le prime due tappe del Tour

Un normanno a Bologna

Kevin Vauquelin, 23 anni, da Bayeux, Normandia. Insegue il sogno di partecipare al Tour de France. Ma si capisce presto nel corso della stagione che nell’Arkea-B&B Hotels un posto per lui alla Grande Boucle c’è. Primo nella crono dell’Etoile de Besseges, secondo alla Freccia Vallone e un’ottima costanza di rendimento.

«Eravamo al Tour per provare a vincere una tappa – dice assalito dai giornalisti francese il direttore sportivo dell’Arkea, Didier Rous – e ci siamo riusciti. E’ la nostra prima grande vittoria».

Di certo questa squadra, la più piccola fra le WorldTour si sta facendo spazio tra i giganti. Non dimentichiamo anche il secondo posto di Luca Mozzato al Fiandre.

Vauquelin (classe 2001) già da solo sul San Luca. Si è dovuto trattenere dal partire un giro prima
Vauquelin (classe 2001) già da solo sul San Luca. Si è dovuto trattenere dal partire un giro prima

Lucidità e gambe

«Sapevo che muoversi in quel punto sarebbe stata una buona mossa – ha detto Vauquelin – perché Abrahamsen e Oliveira sono due bravi corridori. Sul primo San Luca mi sentivo bene, stavo quasi per attaccare, ma era troppo lontano. Conoscevo questo arrivo, ho già corso qui al Giro dell’Emilia e mi ricordavo a memoria la salita».

Kevin Vauquelin è dunque il re di Bologna. Racconta della sua vittoria con gioia, ma anche con compostezza e lucidità. La stessa lucidità che ha avuto per tutta la tappa. Sempre guardingo, secondo su tutti i Gpm, tranne che sull’ultimo dove appunto è transitato in solitaria. Sin lì non aveva speso una goccia di energia in più del necessario. E una volta affondato il colpo ha gestito il tempo e lo spazio con la sapienza del cronoman.

«Ho capito che veramente avrei potuto vincere – prosegue – quando ero sullo scollinamento del secondo passaggio sul San Luca e ho sentito che il distacco era buono e che le mie gambe spingevano ancora forte. Lì, con la salita alle spalle, sapevo che dovevo “solo” continuare a spingere». 

«Non me ne rendo conto ancora, è pazzesco. E’ la più bella vittoria della mia carriera e dire che ieri sera dopo la prima tappa non ero affatto contento. Oggi sono partito con uno spirito vendicativo. Mi sono detto che la ruota avrebbe girato dalla mia parte».

Quanta gente lungo le strade della Cesenatico-Rimini. S’intravede Bardet… nel suo unico giorno in giallo
Quanta gente lungo le strade della Cesenatico-Rimini. S’intravede Bardet… nel suo unico giorno in giallo

E’ subito duello

Le strade che portano il Tour de France dalla Romagna all’Emilia sono infuocate. Per fortuna c’è un po’ di vento a raffreddare i “radiatori”. E caldo è anche il pubblico. Quanto ce n’è su ogni salita, sul San Luca e Bologna. Anche noi per vedere i passaggi ci siamo arrampicati su delle colonne.

E’ il boato nelle orecchie di cui hanno parlato anche Giulio Ciccone e Tadej Pogacar, che dopo un Tour di astinenza torna a vestirsi di giallo. Un giallo più d’occasione che cercato. Venuto per “misurare la febbre” a Jonas Vingegaard per capire se davvero il danese non fosse al top.

«Per noi è stata una buona giornata – ha detto il Ceo della UAE Emirates, Mauro Gianetti – abbiamo avuto un’ottima squadra con quattro corridori che sono arrivati nel primo gruppo. L’idea era di vedere lo stato degli altri e abbiamo visto quello che ci aspettavamo e cioè che Vingegaard ha un’ottima condizione, altrimenti non sarebbe stato qui in Francia come capitano.

«Domani c’è una tappa per velocisti e non dobbiamo pensare alla maglia, ma da dopodomani oltre che prestigiosa c’è una tappa dura e se si vuole vincere il Tour bisogna stare davanti. Io credo che ci siano poche tattiche da fare. Oggi abbiamo visto Tadej attaccare e Vingegaard entrare nella ruota senza sforzo».

Pogacar si affaccia sul palco. Non sembra super felice di aver già preso questa maglia
Pogacar si affaccia sul palco. Non sembra super felice di aver già preso questa maglia

Il giallo del giallo

L’attacco quindi c’è stato. Pogacar ha detto che con il grande caldo, suo storico nemico, non se l’è sentita di spremere la squadra, anche perché la fuga davanti è andata forte e rintuzzarla sarebbe stato davvero dispendioso. Davvero quindi il suo è stato uno scatto-test. Un colpo di stiletto. E alla fine è emerso quel che tutti più o meno si aspettavano: il Tour sarà ancora un discorso a due. O meglio, ha due fari, perché gli altri non sono affatto lontani.

Il finale di oggi ci è sembrato strano, non in linea con le attitudini da killer di Pogacar. In volata ci è sembrato quasi si volesse defilare. Come se addirittura non volesse la maglia gialla. O forse perché dopo un vuoto clamoroso sul San Luca ha visto rinvenire forte da dietro Remco Evenepoel e Richard Carapaz. E magari ha perso quella verve. 

E infatti lo stesso Pogacar, nel dietro le quinte (qui il video), mentre era sui rulli dà il cinque a Remco e gli chiede: «Sei tu in giallo, sì?». Il belga lo guarda un po’ spaesato e Tadej riprende: «Ho cercato di lasciare un varco», così che la potesse prendere qualcun altro.

Dobbiamo quindi parlare di missione compiuta o di missione fallita? Un bel “giallo” quando si prende la maglia gialla… senza farlo apposta!

Sull’arrivo Pogacar lascia sfilare, ma la giuria non rileva il “vuoto” e lo classifica con lo stesso tempo di Vingegaard ed Evenepoel
Sull’arrivo Pogacar lascia sfilare, ma la giuria non rileva il “vuoto” e lo classifica con lo stesso tempo di Vingegaard ed Evenepoel

Gianetti soddisfatto

«E ‘ stato un po’ particolare questo finale, ma non ho ancora parlato con Tadej – ci ha detto a botta calda Gianetti – quindi non so esattamente come si sia rialzato. Però credo che abbia fatto un ottimo lavoro nel cercare di guadagnare del tempo, capire come stavano tutti gli avversari per la classifica generale.

«Mi ha colpito il bel rientro di Evenepoel con Carapaz. Chiaro, Tadej non ha trovato molto supporto da parte di Vingegaard, a parte un paio di volte che lo ha passato in discesa, e questo probabilmente poteva essere anche un vantaggio per loro due. Chissà, probabilmente Vingegaard ritiene che l’unico avversario per lui sia Tadej. Ma questo è il modo di correre di Jonas. Lui ha sempre corso in questa maniera, cercando di mettere la pressione su Tadej e anche il peso del lavoro. Fa parte del gioco. Sono le tattiche di ognuno.

«Una cosa è certa: abbiamo la maglia gialla e le informazioni che volevamo. Sapevamo che le prime due tappe erano impegnative e che avremmo avuto già una visione più globale sullo stato di forma di ognuno. Va bene così».

Ciccone realista: «Quando sono scattati, salivamo a 500 watt»

30.06.2024
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BOLOGNA – Quando Pogacar e Vingegaard hanno attaccato, il gruppo di testa saliva a 500 watt. Mentre lo racconta, Ciccone solleva lo sguardo come a dire che aveva poco da farci. L’abruzzese gira le gambe sui rulli davanti al pullman della Lidl-Trek e intanto racconta. Fino a pochi secondi fa si è confrontato con Steven De Jongh, anche se a parlare era soprattutto il diesse belga. Prima di arrivare a chiedergli qualcosa, lo osserviamo. A tratti è pensieroso, nel cuore di questa stagione che lo ha visto saltare il Giro per una cisti al soprasella e iniziare il Tour in ritardo per un altro Covid.

L’ordine di arrivo lo colloca in quindicesima posizione, a 2’42” dal vincitore Vauquelin e ad appena 21” da Pogacar, Vingegaard ed Evenepoel. Alle sue spalle sono finiti tutti gli altri leader del Tour: non è stata una cattiva giornata. E soprattutto, oltre alla propria prestazione, gli ha permesso di analizzare la condotta dei primi della classe.

«E’ stata una tappa molto dura – dice – specialmente dopo la giornata di ieri che è stata esigente, fra il caldo e il percorso. Il finale di oggi era molto movimentato, bellissimo. Il San Luca è stato uno spettacolo di gente, veramente emozionante. Però bisogna essere realisti sul livello che ho e seguire quei due mostri era praticamente impossibile. Perciò ho cercato di gestire con le forze che ho e farò così giorno per giorno. Pogacar e Vingegaard non li stiamo scoprendo adesso, hanno una marcia in più e oggi l’hanno dimostrato sul San Luca».

Ciccone ha un bel numero di tifosi dall’Abruzzo che lo cercano e lo sostengono
Ciccone ha un bel numero di tifosi dall’Abruzzo che lo cercano e lo sostengono
Solo da lì?

Il ritmo era altissimo già da tanto. Quando si va a più di 500 Watt per un tot di minuti, solo i grandi campioni come loro riescono a fare la differenza. Si era visto che Pogacar volesse provare qualcosa, sennò non mandi avanti Yates a quel modo. Sono state due giornate veramente strane, perché con il caldo il fisico si adatta, le sensazioni cambiano tantissimo e a volte la prestazione viene anche un po’ falsata. Per cui se ad esempio Roglic ha pagato è perché ieri può aver speso troppo, però non è necessariamente un brutto segno.

Quanto era forte il caldo oggi?

A dire la verità, oggi è stata molto meglio di ieri, meno estremo. Facendo delle salite veloci e grazie al vento, abbiamo avuto sensazioni migliori. Ieri invece abbiamo pagato tutti, perché era proprio afoso, non girava l’aria, non si respirava.

Quando Pogacar e Vingegaard hanno attaccato – dice Ciccone – si saliva a 500 watt
Quando Pogacar e Vingegaard hanno attaccato – dice Ciccone – si saliva a 500 watt
Pensi che i 4-5 giorni di allenamento che hai saltato per il Covid ti stiano condizionando?

Io sono sincero, in questi primi giorni mi manca la brillantezza, il cambio di ritmo. Però sono comunque soddisfatto perché voglio vivere giorno per giorno, facendo il mio massimo. L’importante è che riesca a mantenere il mio livello ed essere costante. A questi livelli, come ho già detto, si raggiungono dei picchi di potenza veramente alti, quindi se ti manca anche un 2 per cento, lo senti e lo paghi. Ci sta, siamo al Tour de France ed è giusto che ci sia anche questa differenza.

Oggi ci si aspettava che la UAE Emirates attaccasse, invece si sono ritrovati con Vingegaard di nuovo sul groppone…

Devo dire che su tutti gli strappi c’è stato molto nervosismo. Siamo alla seconda tappa del Tour e si sa che le prime tappe sono sempre più nervose. Siamo anche fortunati che queste giornate siano dure, perché la salita fa ordine e si rischia meno che nelle tappe piatte.

Giulio Ciccone, classe 1994, è alto 1,76 per 58 chili. Nel 2019 vestì la maglia gialla
Giulio Ciccone, classe 1994, è alto 1,76 per 58 chili. Nel 2019 vestì la maglia gialla
La gente sul San Luca ti ha dato una spinta in più per tenere duro?

E’ stato qualcosa di impressionante. Ho fatto tante volte il San Luca in diverse occasioni: all’Emilia e al Giro d’Italia, ma oggi davvero scoppiava la testa dalle urla. Penso che sia stato uno dei momenti che sicuramente mi ricorderò tutta la carriera.

Tour, secondo atto: Vingegaard alla prova del San Luca

30.06.2024
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RIMINI – La guerra dei nervi è già cominciata, lo avevamo già notato nelle conferenze stampa della vigilia. Dopo la prima tappa, è evidente che Pogacar e Vingegaard giochino di fino, lanciando messaggi apparentemente casuali che però accendono già la sfida con un pizzico di pepe in più.

La tappa di Bologna sembra fatta apposta per far esplodere la corsa e qualcosa certamente accadrà, sperando che il pubblico sappia stare al suo posto, come purtroppo non è successo ieri in partenza.

Subito dopo la caduta, Hirt assistito dal team (foto AS/Het Nieuwsblad)
Subito dopo la caduta, Hirt assistito dal team (foto AS/Het Nieuwsblad)

L’assalto di Firenze

In barba a chi sostiene che a Firenze ce ne fosse poca, al via dal Parco delle Cascine la gente ha pensato bene di aprire le transenne e accedere direttamente alla zona dei pullman, senza lasciare spazio ai team, ai corridori e a chi aveva la pretesa di lavorare alla partenza della prima tappa del Tour. E così è successo che Jan Hirt, corridore della Soudal-Quick Step, è finito a terra spezzandosi tre denti. Pare che sia stato galeotto l’aggancio con lo zaino di un tifoso che non sarebbe dovuto essere lì.

Hirt ha corso la prima tappa con il labbro gonfio e giustamente la cosa è stata sottolineata da Patrick Lefevere: «Ci sono 100 regole per la squadra – ha scritto su X – ma qualcuno con uno zaino ha fatto cadere Jan Hirt tra le firme e l’autobus».

«E’ stato un caos completo – ha dichiarato invece il compagno Lampaert alla televisione belga – l’organizzazione non ha avuto alcun controllo. La gente camminava ovunque. Jan ha continuato a vacillare ed è caduto. Come corridori riceviamo continuamente multe per piccole cose, l’organizzazione dovrebbe guardarsi allo specchio. E’ inaccettabile».

Una prima tappa positiva per Vingegaard, che forse in partenza temeva di pagare pegno
Una prima tappa positiva per Vingegaard, che forse in partenza temeva di pagare pegno

La guerra dei nervi

Per il resto, sulla strada di Rimini ci si aspettava una giornata di inferno da parte del UAE Team Emirates, più che mai intenzionato ad approfittare del previsto ritardo di condizione di Vingegaard. La cronaca dice che la squadra ha sì forzato il ritmo sul Barbotto, ma che poi non abbia voluto o potuto affondare il colpo. Vingegaard ha accusato il forcing?

«Sono molto contento di come è andata la giornata – ha detto il vincitore uscente del Tour – ma naturalmente siamo un po’ delusi di non aver ripreso i due fuggitivi. Van Aert era molto forte e ha vinto lo sprint per il terzo posto, che poteva essere una vittoria. Ci siamo sentiti entrambi bene, quindi possiamo essere contenti della prestazione. Sono contento delle mie sensazioni, posso guardare con ottimismo alle prossime tre settimane. Ho le gambe per lottare per la classifica generale, ma lottare per la vittoria è un’altra cosa.

«La tappa di Bologna sarà più dura e più esplosiva – ha ragionato Vingegaard – con una salita breve da fare per due volte (il San Luca: 1,9 km al 10,6 di pendenza) e meno salite in totale. Sarà diverso. Ho acquisito molta fiducia nella prima tappa. Vedremo come mi sentirò, farò del mio meglio e poi vedremo».

Ayuso e Pogacar: ieri anche lo spagnolo si è staccato e ha faticato per rientrare
Ayuso e Pogacar: ieri anche lo spagnolo si è staccato e ha faticato per rientrare

Tutti in attesa di San Luca

Anche Pogacar è consapevole che oggi a Bologna sarà un altro andare, se non altro perché il doppio San Luca potrebbe restare nelle gambe a chi già ieri fosse arrivato al traguardo con le energie al lumicino. Come è andata davvero fra Pogacar e il grande caldo della prima tappa, che ha raggiunto i 37 gradi?

«E’ andata davvero bene – ha detto Pogacar – il ritmo era buono e nonostante il caldo mi sono sentito benissimo. Per me questo è un vero vantaggio. Nello sprint ho visto un varco, così mi sono buttato in mezzo ed è arrivato il quarto posto. Ho quasi battuto due degli uomini più veloci del gruppo con Van Aert e Pedersen, ma non ce l’ho fatta.

«Però sulla salita di San Luca ci saranno tattiche più aperte e assisteremo ad una battaglia più grande. Le differenze stanno già aumentando. Ho potuto testare le mie gambe sulle salite ed ero in buona forma nonostante il caldo…».

Cavendish inizio shock. Ma “progetto 35” è ancora in piedi…

30.06.2024
5 min
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RIMINI – Quando arriva al bus Mark Cavendish ha lo sguardo perso nel vuoto. E’ un automa. Gli fanno spazio tra i tifosi e i giornalisti che lo attendono. Ad aspettarlo c’è anche il team manager, Vinokourov, il quale gli dà un buffetto d’incoraggiamento e gli apre la tenda del bus. Cav vi s’infila dentro silenzioso.

La sua giornata di debutto al Tour de France è stata molto, molto più dura di come si sarebbe aspettato. Okay, che la Firenze-Rimini non era per lui, ma così… Penultimo a 39’12” da Romain Bardet.

All’arrivo Cavendish era pallido in volto
All’arrivo Cavendish era pallido in volto

Allarme rosso

Che i velocisti come lui verso Rimini avrebbero potuto fare fatica era cosa risaputa. E di fatto così è stato. Anche Fabio Jakobsen, per esempio, non è andato bene. Lui addirittura ha chiuso ultimo, proprio alle spalle di Cav, e non ha avuto i problemi dell’inglese.

Qualcosa deve essere successo in fase di avvio in casa Astana. Il caldo? Una bevanda troppo fresca o qualcosa di solido prima del via? Di certo qualcosa ha inceppato gli intestini dei turchesi. Di colpo hanno ceduto “Cav” e Gazzoli. Michele addirittura è stato costretto al ritiro.

Entrambi hanno vomitato (c’è persino un video dell’inglese). Mark era in discesa quando è successo. Pensate che grinta, che determinazione: vomita, ma tira dritto. Non perde la concentrazione, continua a guidare. In quel momento era già era staccato di oltre 8′ dalla testa della corsa.

L’Astana-Qazaqstan che è tutta per lui gli fa quadrato. Al primo scricchiolio vengono fermati Gazzoli, Bol, Morkov e Ballerini, in pratica coloro che compongono il suo treno per gli sprint. Qualche chilometro dopo, quando il distacco inizia a diventare preoccupante e Gazzoli ha alzato bandiera bianca, viene richiamato anche Fedorov.

L’ex iridato scortato dai suoi con grande professionalità
L’ex iridato scortato dai suoi con grande professionalità

Le parole di Zazà

Un vero peccato, perché tutto sommato Cav sembrava stare bene. Alla presentazione dei team era davvero raggiante. E giusto pochi giorni prima Stefano Zanini, il diesse, ci aveva detto che tutto sommato Cav arrivava a questo Tour in condizioni più che buone.

«L’ho visto in gara allo Svizzera – ci aveva detto Zanini – e anche se il percorso non era propriamente per velocisti si era ben comportato. In salita, quando si staccava, già era rimasta indietro parecchia gente. Mi sentirei di dire che il Giro di Svizzera se proprio non è stato un banco di prova è stato il completamento di un bel blocco di lavoro per Mark».

Dal Barbotto in poi, Cav ha incassato altri 23′. Da notare alle sue spalle Jakobsen, quasi un automa. Taglieranno il traguardo penultimo e ultimo
Dal Barbotto in poi, Cav ha incassato altri 23′. Da notare alle sue spalle Jakobsen, quasi un automa. Taglieranno il traguardo penultimo e ultimo

Cav preparato

Queste parole del direttore sportivo lombardo sono state un tuono quando oggi il primo a staccarsi e con largo anticipo è stato proprio Cavendish.

«Il programma di avvicinamento di Mark – aveva detto Zazà – è stato buono. Nell’ultima corsa era motivato e come lui anche la squadra che aveva intorno, la stessa del Tour de France. Dopo lo Svizzera Mark è stato qualche giorno a casa e poi di nuovo in Grecia dal coach Vasilis Anastopoulos. Anche se lì fa caldo, si trova bene. Ha svolto un altro blocco di lavoro. Era nei programmi che andasse laggiù. E anche questo ha contribuito a renderlo tranquillo».

Un “castello” costruito bene insomma, ma che è crollato dopo 45 chilometri di Tour de France. Deve per forza esserci qualcosa.

Cav è esperto. Ne ha passate tante e ha tanta grinta. Adesso l’obiettivo è riprendersi al più presto e non sarà facile visto il livello e il percorso che propone questo Tour de France.

Non si molla

Dopo l’arrivo Cavendish ha provato a smorzare i toni dicendo che voleva correre così, al risparmio. Magari avrebbe preferito staccarsi nella salita successiva. E in parte poteva essere una disamina corretta, ma tra le immagini che lo inchiodano, il ritiro di Gazzoli e un ritardo mega è chiaro che non poteva essere solo una scelta tattica.

Una scelta tattica, ripetiamo, condivisibile e che tutto sommato forse covavano anche in casa Astana.

«Più che la distanza della frazione di Torino in sé, ben 230 chilometri, in ottica della prima volata potrebbe fare la differenza lo sforzo che si accumula nelle prime due tappe – ci aveva detto sempre Zanini – Sono due frazioni dure: si affrontano 3.700 metri di dislivello nella prima e oltre 2.000 nella seconda». 

Come a dire che l’idea di correre a risparmio era effettiva, concreta.

Un fotomontaggio con Cavendish e Merckx. I due vantano 34 vittorie al Tour. Qualcuno ha ribattezzato la sfida dell’inglese “Progetto 35”
Un fotomontaggio con Cavendish e Merckx. I due vantano 34 vittorie al Tour. Qualcuno ha ribattezzato la sfida dell’inglese “Progetto 35”

Progetto 35

L’inglese punta deciso al record assoluto delle 35 vittorie per staccare Eddy Merckx e appunto nella Piacenza-Torino avrà questa prima grande possibilità. Qualcuno ha ribattezzato la sfida dell’inglese “Progetto 35”. Non si molla niente. E la voglia con cui ieri Cav ha voluto raggiungere il traguardo è proverbiale.

«La terza è una tappa per velocisti – ha detto Zanini – Verso Torino ci sono giusto delle salitelle di quarta categoria, una delle quali a 50 chilometri dall’arrivo. Dal vivo l’ha visionata Mark Renshaw. E’ una tappa piatta che ci darà la prima volata del Tour e speriamo che vada subito bene. Tolto il dente, tolto il dolore!».

«Il finale è abbastanza lineare negli ultimi chilometri. Ci sono dei bei rettilinei, ma anche parecchie rotonde e spartitraffico e spesso ormai questi ostacoli sono decisivi (almeno ai fini delle posizioni e di conseguenza del resto della volata, ndr). Ci sono due curve nel chilometro finale, due “sinistra-sinistra”, l’ultima delle quali termina a 750 metri dal traguardo. Ma per il resto, come detto, è un arrivo filante. L’ho visto su VeloViewer. E’ tutto asfalto e sembra anche buono».

Colpo imprevisto alla solita storia: arrivo in parata, Bardet in giallo

29.06.2024
5 min
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RIMINI – Allora le storie impreviste in questo ciclismo di super calcoli e di fenomeni possono ancora accadere. Allora è ancora possibile uscire fuori dalle righe. Poco dopo, ecco le parole di Romain Bardet: «Nel ciclismo accadono ancora momenti inaspettati». Pensieri che si abbracciano dunque.

Un arrivo in parata a Rimini, con due corridori della Dsm-Firmenich, Romain Bardet e Frank Van de Broek, non lo avrebbe potuto immaginare neanche lo scrittore più fantasioso del mondo.

Il Tour de France si apre così con un fantastico colpo all’insolita storia. La suspence è stata diversa. Si è accesa proprio nel finale. 

A Rimini Bardet e Van den Broek arrivano insieme. Il vecchio elogia il giovane e dopo 11 Tour indossa la maglia gialla per la prima volta
A Rimini Bardet e Van den Broek arrivano insieme. Il vecchio elogia il giovane e dopo 11 Tour indossa la maglia gialla per la prima volta

Spingere, spingere

Si è accesa solo nel finale perché tutti li davano per spacciati. «Li prendono». «Non arriveranno mai». Si sentiva dire sul lungomare di Rimini. In questa luce piatta tutti avevano gli occhi stretti a scrutare gli schermi sui bus, sugli smartphone o sul traguardo. 

«A 400 metri mi sono voltato ancora una volta. E ho visto che c’era ancora un po’ margine», racconta Bardet di giallo vestito per la prima volta in carriera. «Ho pensato che si poteva fare per davvero. Poi la linea d’arrivo, vicino a Van der Broek, al suo primo Tour. Era nervoso e per questo non stava bene nei giorni scorsi. Un’emozione incredibile».

Tra i protagonisti della fuga di giornata anche Matej Mohoric
Tra i protagonisti della fuga di giornata anche Matej Mohoric

Pazzia francese…

Ma questo è solo il finale. Quando ad una quarantina di chilometri dall’arrivo, verso San Marino esce dal gruppo Bardet, sembra un’altra azione alla francese: bella sì, ma poco sensata. O almeno più adatta alle gare di Coppa di Francia che non al Tour. 

E sembrava poco sensata anche perché il compagno, Van den Broek, si era defilato dagli altri due fuggitivi per attenderlo. In quel momento era un autogol pazzesco. Abrahamsen e Madouas andavano forte. E invece…

«Frank era davanti – ha proseguito Bardet – era molto forte oggi. Mi sono detto: “Cercherò di riprenderlo, anche se ci dovessi mettere 20 minuti”. Poi una volta davanti è stato un inferno. Una vera lotta al fronte». 

Una lotta che i due Dsm-Firmenich accettano eccome. Verso Montemaggio scappano via. Dietro, l’assalto della UAE Emirates rientra e così il gruppo piomba a due minuti.

E qui inizia un’altra corsa. La solita corsa, quella dei fuggitivi contro il gruppo. Perché se non tira Pogacar, tira la EF Education-Easy Post di Bettiol. 

Sul Barbotto la UAE Emirates prende in mano la corsa. Poi si sposta e Bardet spicca il volo
Sul Barbotto la UAE Emirates prende in mano la corsa. Poi si sposta e Bardet spicca il volo

Spingere ancora

«Non ce la fanno. Un minuto e mezzo a 16 chilometri è poco», dice il pubblico sempre con gli occhi stretti.

«Pensavo che ci avrebbero ripreso in pianura – ha detto ancora Bardet – dalla macchina ci dicevano di spingere. Che il gruppo andava forte. Ma che potevamo insistere». Rapporto lungo per Bardet, come da tradizione del resto. Gambe che frullavano per il ragazzino. I due compagni sono compatti, stretti. Sembrano una cosa sola che fende il vento.

Il distacco cala ancora. Dietro ora spinge con violenza la Lidl-Trek. E’ dal Giro d’Italia che li vediamo in questa situazione. Sembra vagamente di ritornare alla tappa di Napoli. Solo che stavolta l’Alaphilippe e il Narvaez della situazione sono insieme. E i 40 metri che mancarono proprio a Narvaez avanzano invece a Bardet e Van den Broek.

Bardet e Van den Broek in fuga. «Era previsto di correre all’attacco in questo inizio Tour», ha detto il giovane olandese
Bardet e Van den Broek in fuga. «Era previsto di correre all’attacco in questo inizio Tour», ha detto il giovane olandese

Ecco il gruppo

Ultimo chilometro. Ancora 9”. «Allez, allez les gars», forza ragazzi, urla nelle radioline la macchina della Dsm-Firmenich ed è lì che poi si volta Bardet e si accorge che forse ce la possono fare.

Van der Broek esegue alla lettera le consegne del capitano. Consegne ad intuito. I due non si sono quasi mai parlati, come ha confermato poi uno sfinito, quanto felice, Van den Broek dopo l’arrivo. Il giovane olandese, spinge e resta vicino anche nei cambi. I loro gomiti si sfiorano.

I due restano uniti. Il contachilometri non scende sotto i 45-50 all’ora, il vento è anche contro. Vanno forte dunque. Negli ultimi metri si concedono persino il lusso di alzare le braccia al cielo.

Adesso Rimini, che attendeva Pogacar, come al Giro, tifa per loro. Li accoglie con un boato di sorpresa seguito però da un grande applauso. Un applauso sincero. D’istinto. E’ vero dunque: la storia a volte va come non ci si aspetta.

Un abbraccio corale e Bardet coccola Van den Broek, che prende la maglia bianca di miglior giovane
Un abbraccio corale e Bardet coccola Van den Broek, che prende la maglia bianca di miglior giovane

Sogno giallo

«Questa è una vittoria di squadra – ha ribadito Bardet – non solo per come abbiamo corso con Van den Broek, ma anche per come tutti noi abbiamo gestito questa gara. Ero davanti per pedalare in sicurezza. Se terrò questa maglia fino in Francia? Sono partito in questo Tour per dare il 100 per cento ogni giorno. Chiaro che sarebbe bello. Ma oggi ho pedalato come fosse una classica (ricordiamo che Bardet ad aprile è arrivato secondo alla Liegi, ndr) e non potrà essere sempre così». 

In cuor suo Romain ci pensa a portarla almeno oltre il Monginevro, quando la Grande Boucle entrerà nella sua terra.

«Non dover lottare per la generale mi toglie un’enorme pressione. Sono finalmente me stesso. Non conoscevo il percorso, ma ho giocato d’istinto. Indossare la maglia gialla è sempre stato un obiettivo della mia carriera. Ci ho anche pianto. Troppe volte ci sono andato vicino per non pensarci. Oggi però questo sogno si è realizzato ed è stupendo».

Proprio prima del Tour, Romain ha detto che smetterà il prossimo anno. Appenderà la bici al chiodo dopo il Giro d’Italia, vuole una tappa nella corsa rosa. In Italia ha vinto… “peccato” per lui che fosse il Tour! Ma va bene così.

Si parte. Da Firenze a Rimini: Pogacar e la UAE già favoriti?

29.06.2024
4 min
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FIRENZE – Mancava una notte al via del Tour de France numero 111 e con Joxean Fernandez Matxin si parlava della prima frazione dell’indomani, cioè oggi. Da Firenze a Rimini: 206 chilometri, quasi 3.700 metri di dislivello, un’infinità di curve e salite e 176 corridori imbizzarriti (in apertura foto Instagram – @alenmilavec).

Chiaramente il tecnico della UAE Emirates pensava alla corsa dei suoi ragazzi e di Pogacar in particolare. Il clima era sereno e disteso. I corridori erano rilassati. Qualcuno era in camera, Almeida parlottava nella hall con il suo manager… Solo Auyso si gironzolava con un velo di tensione, vestito da corridore e gli scarpini in mano.

Con Matxin si studia la prima frazione
Con Matxin si studia la prima frazione
Matxin, si riparte. Un’altra super sfida vi attende. Come è andato questo mese tra Giro e Tour?

Bene, veramente bene. Soprattutto per la soddisfazione di un Giro d’Italia splendido, che è andato come volevamo, di una settimana di riposo molto tranquilla ed importante per Tadej e anche per le tre settimane successive di lavoro. Un lavoro molto intenso, di qualità. 

Quindi arrivate a questo Tour come volevate?

Sì, abbiamo fatto un test questa settimana ed è stato perfetto. E questo ha dato ulteriore tranquillità a tutti. Anche i compagni dicono che Tadej va forte. C’è un bel gruppo. Davvero le cose vanno bene.

Firenze-Rimini: tutti aspettano una vostra azione, il che è anche giusto sapendo che Vingegaard potrebbe non essere al top. Che corsa possiamo attenderci da parte vostra?

Abbiamo un piano chiaramente. E non lo abbiamo solo per domani ma per tutte le tappe: quando corriamo per fare risultato, quando per difenderci, quando dobbiamo cercare di vincere, per tenerci lontano dalla guerra dei velocisti…

Non ti scopri! Van der Poel potrebbe essere un alleato verso Rimini?

Certo, lui ma anche Van Gils, Bettiol che è in grande forma e viene dalla vittoria del campionato nazionale… ce ne sono parecchi che possono vincere. E prendere la maglia…

Da Firenze a Rimini: 206 km (più 16,4 di trasferimento). Una prima tappa molto dura
Da Firenze a Rimini: 206 km (più 16,4 di trasferimento). Una prima tappa molto dura
Avere attaccato nella prima tappa del Giro è stata un’esperienza importante anche per questa prima tappa del Tour? Una sorta di test?

E’ diverso. Al Giro c’era un finale più esplosivo. Si decideva tutto sullo strappo di San Vito e sapevamo che era quello e basta. Che era il posto giusto per attaccare e lì infatti si è fatta la selezione… però non abbiamo vinto!

Però Tadej l’altro ieri ha detto: «Al Giro abbiamo attaccato il primo giorno e poi è andata bene»…

Ma questa è una tappa diversa. Più lunga, più dura. Ci sono diversi punti in cui si può fare la differenza. Si farà di certo la selezione in precedenza. Magari l’ultimo strappo di questa prima frazione non sarà tosto come quello di Torino o così decisivo, però le salite che si fanno in precedenza sono più dure. E in generale è più dura l’altimetria, senza contare che sono più di 200 i chilometri da fare. Ed è anche una frazione più complicata da gestire perché ci sono tante curve.

Avete fatto la ricognizione mercoledì scorsa: ne è emersa qualche scelta tecnica particolare?

Io credo che sarà una corsa da 54-55 e 39-40, davanti e nulla di particolare.

Torino, il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito al Giro. Il canovaccio potrebbe essere lo stesso verso Rimini
Torino, il forcing di Pogacar sullo strappo di San Vito al Giro. Il canovaccio potrebbe essere lo stesso verso Rimini
Oggi nel ciclismo si conta ogni dettaglio. Verso Firenze ci sono da affrontare oltre 16 chilometri di trasferimento, che la tabella oraria del Garibaldi stima in 40′. Questi chilometri vengono considerati nel computo degli zuccheri da reintegrare e dello sforzo in generale?

Certo, soprattutto perché dobbiamo sapere quando avverrà il momento dello sforzo intenso e quindi quando dover mangiare prima di quel forcing. I carboidrati che servono, anche in base ai ritmi che ci saranno in corsa. Le cose cambiano sul momento se si va a tutta o se si dovesse andare tranquilli.

Ci sono quattro team nettamente più forti: voi della UAE Emirates, RedBull-Bora, Ineos Grenadiers e Visma-Lease a Bike. Cosa ti preoccupa di loro e dove invece credi che la tua UAE Emirates sia più forte?

Sappiamo che ci sono squadre importanti. Le studiamo, le analizziamo nel loro modo di correre, vediamo e rivediamo dei video, però non mi sento di parlare di loro. Non mi sembra elegante e non ho sufficienti informazioni per farlo. Preferisco parlare dei miei. Certo, poi sappiamo quali sono i punti di forza e di debolezza di ognuno.

Torniamo e chiudiamo con la frazione di Rimini: arrivo in solitario o di un drappello?

Credo un gruppo piccolo, un massimo di 20 corridori e con gli uomini di classifica davanti.

Puccio: «Carlos Rodriguez capitano e occhio a Bernal»

28.06.2024
5 min
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Dopo aver ascoltato Edoardo Affini, ecco un altro grande regista che fa le carte alla sua squadra impegnata al Tour de France: Salvatore Puccio. In questo periodo il tenente di lungo corso della Ineos Grenadiers è in una fase di stacco ma presto lo rivedremo all’opera.

«Correrò in Repubblica Ceca – ha detto Puccio – a luglio e poi vedremo: se farò la Vuelta ci sarà un certo programma, altrimenti farò altre corse. La Vuelta mi piacerebbe, ma è anche vero che tutto sommato cambiare un po’ non mi dispiacerebbe. Si esce dalla routine!».

Il clima è quello ideale per analizzare dunque cosa potranno combinare i suoi compagni da domani al 21 luglio, quando la Grande Boucle si concluderà a Nizza.

Salvatore Puccio (classe 1989) corre in questo gruppo ininterrottamente dal 2011
Salvatore Puccio (classe 1989) corre in questo gruppo ininterrottamente dal 2011
Salvatore anche la tua Ineos Grenadiers si presenta con una formazione da urlo…

Negli ultimissimi anni più di prima si è tornati a puntare molto sul Tour, che resta una grade vetrina. Guardate solo in questi giorni cosa hanno fatto a Firenze… non si può negare che sia la corsa più grande e pertanto la squadra ha portato i migliori atleti, quelli più in forma. C’è gente che ha impostato la propria stagione tutta sul Tour. Partiamo con due capitani importanti.

Due capitani?

Carlos Rodriguez ed Egan Bernal. Rodriguez sta vivendo una delle sue stagioni migliori, ha fatto un bel salto di qualità, ha vinto diverse tappe e la generale del Romandia. E poi Egan quest’anno ha fatto uno step importante per quel che riguarda il suo recupero. Gli manca un ultimo piccolo gradino, ma è tornato ad alti livelli. E forse non tutti se lo aspettavano. Quindi io immagino che loro due saranno i capitani. Carlos Rodriguez leader assoluto e Bernal jolly a seguire.

E Thomas e Pidcock?

Da quel che so io Geraint è al Tour soprattutto in funzione di supporto, anche se è un grandissimo. Mentre Pidcock forse punterà più sulle tappe.

Pidcock è un capitolo grande e non scevro da qualche punto di domanda: tu dici le tappe, ma poi c’è chi dice abbia lavorato per la generale.

Potrebbe anche provare a fare classifica all’inizio e poi dopo il primo giorno di riposo fare una valutazione. Però, ripeto, per quel che riguarda l’uomo per la classifica quello è Rodriguez. Alla fine ha chiuso quinto l’anno scorso e con una brutta caduta alle spalle.

Secondo Puccio Bernal è in netta ripresa. Eccolo impegnato al Giro di Svizzera
Secondo Puccio Bernal è in netta ripresa. Eccolo impegnato al Giro di Svizzera
Ma come è Pidcock in squadra? E’ un compagnone, è un fumantino… Non è facile da decifrare da fuori.

E’ un talento ed è un giovane. Ecco, diciamo che è ancora giovane, in alcune cose si deve assestare, ma i talenti sono così, che poi è il bello del ciclismo. E’ un po’ come poteva essere il primo Sagan, fuori dalle righe, estroso… Però posso dire che in squadra quando siamo tra di noi è disponibile, tranquillo. Un bravissimo ragazzo.

E il fatto che faccia la spola con la mtb anche in piena stagione. Sembra come se fosse solo…

Ma no e poi si è visto anche con Van der Poel e con Van Aert: anche loro facevano la doppia attività. Tom fa la tripla visto che d’inverno fa anche il ciclocross. Poi gli dà comunque qualcosa in più sul piano tecnico. I loro cambi di ritmo sono superiori.

Salvatore, con questi ragazzi che sono al Tour quanto hai corso quest’anno?

Beh, con Thomas e Bernal ero allo Svizzera. Ed è proprio lì che ho rivisto un bell’Egan. Ha fatto un salto incredibile. Era davanti, o a 10”-15” da Yates e dagli UAE Emirates e posso assicurarvi che andavano fortissimo. Lo dicevo prima: lui è un talento e gli si è riaccesa la luce.

A proposito di UAE e degli altri team, chi sono gli uomini da battere?

Penso proprio loro. Guardate che squadra che hanno. Pogacar, Yates, Ayuso, Sivakov, Almeida… i gregari sono all’altezza del capitano quasi. Per attaccarli dovranno trovare un loro momento di difficoltà e penso che li attaccheranno tutti.

Pidcock avrà un ruolo che potrebbe cambiare in corso di Tour. Gli altri uomini della Ineos? Kwiatkowski (a sinistra), De Plus e Turner
Pidcock avrà un ruolo che potrebbe cambiare in corso di Tour. Gli altri uomini della Ineos? Kwiatkowski (a sinistra), De Plus e Turner
Dici? Perché in questi ultimi anni spesso si è visto più difendere le proprie posizioni che guardare avanti…

Ma se questi qui non li attacchi poi fanno la loro gara, praticamente da soli, e fanno male. Quando si mette a tirare gente di quel calibro e Pogacar accelera, significa regalargli la vittoria senza faticare. Siamo al Tour e anche le altre squadre hanno i capitani e gli uomini giusti per tentare qualcosa. I margini per attaccarli, magari con delle alleanze, ci sono. Anche se magari Vingegaard è un’incognita.

Cosa ci dici di lui? Come lo vedi?

Come lo vedo. Torna discorso di prima sui talenti. Lui lo è. Gli basta poco per tornare in forma… anche se è vero che ha ripreso ad allenarsi molto tardi. Per me già dopo la prima settimana capiremo molto di lui. O anche dopo oggi. Questa prima tappa è molto dura e lui non corre da parecchio. Come dicono tutti, la UAE Emirates ci proverà subito.

Salvatore, di solito sei tu il road capitan: chi sarà stavolta?

Castrovejo. Uomo esperto, che sa fare grandi prestazioni. Lui è un uomo squadra e poi, chiaramente, essendo spagnolo ha un certo feeling con chi parla la sua lingua.

Il Tour di Van der Poel finisce ugualmente a Parigi

28.06.2024
5 min
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FIRENZE – Al 28 giugno, cioè oggi, Mathieu Van der Poel – il campione del mondo – ha collezionato sette giorni di corsa, con tre primi, un secondo e un terzo posto. Anche se le vittorie sono, il Fiandre, la Roubaix e il GP E3 Saxo Bank e il secondo posto la Sanremo, non sarà poco? In precedenza aveva disputato la stagione del cross, con 14 gare e 13 vittorie, staccando per 40 giorni fra il mondiale vinto a Tabor e la Sanremo.

E’ vero che i conti si fanno alla fine e che d’ora in avanti lo attendono il Tour, le Olimpiadi e poi forse anche i mondiali, ma non avremmo mai immaginato che l’olandese avrebbe preso così alla lettera i consigli di chi suggeriva una gestione più oculata degli sforzi. Lo scorso anno di questi tempi, i suoi giorni di corsa erano stati 20, l’anno precedente addirittura 31.

Van der Poel ha incontrato la stampa assieme a Philipsen: i loro obiettivi coincideranno di nuovo?
Van der Poel ha incontrato la stampa assieme a Philipsen: i loro obiettivi coincideranno di nuovo?

Settanta giorni

Il suo capo fa scudo. Christoph Roodhooft, che alla Alpecin-Deceuninck si occupa della gestione sportiva mentre il fratello Philip è l’uomo dei contratti, dice che va bene così, invitando a non guardare il dito, ma la luna.

«Ogni volta che ha corso – dice – Mathieu è stato estremamente presente. Non lo sapevamo in anticipo, stavamo correndo un rischio, ma adesso ogni scelta sembra perfettamente giustificabile. Se poi si tratti di uno scenario che possa essere giustificabile per ogni stagione, è un’altra questione. Bisogna considerare l’anno nel suo complesso e alla fine anche Mathieu avrà settanta giorni di gare, come la maggior parte dei professionisti di oggi. A lui piace molto questa pianificazione. Quest’anno abbiamo sacrificato il Baloise Belgium Tour, perché una vittoria lì o al Giro di Svizzera non cambierebbe la sua carriera. Lui ha molte pressioni quando corre, tutto è ingigantito. Per cui, quando facciamo un programma cerchiamo soprattutto l’equilibrio».

La borraccia a un tifoso: correndo così poco, l’entusiasmo di Van der Poel è sempre fresco
La borraccia a un tifoso: correndo così poco, l’entusiasmo di Van der Poel è sempre fresco

Lo sguardo del bambino

Quando ieri ha incontrato la stampa alla vigilia della presentazione delle squadre, Van der Poel aveva lo sguardo di un bambino in gita. Firenze gli porta bene, anche se forse il ricordo di quel 2013 in cui vinse il mondiale juniores davanti a Mads Pedersen ora gli sembra davvero lontanissimo.

Cosa ricordi dei mondial di Firenze 2013?

E’ successo molto tempo fa, quel giorno è sparito da tempo nei ricordi. Ma Firenze è una città bellissima in cui correre. Proprio come il fine settimana di apertura del Tour, anche quel mondiale era una corsa molto dura. Poi ho vinto, ma la differenza è che ora peso dieci chili in più.

Perché hai scelto una preparazione con soli allenamenti e senza gare?

Perché la primavera è stata lunga. La stagione del cross richiede un lungo periodo di forma e concentrazione. Avevo bisogno di una pausa dopo la Liegi. Quando ho ricominciato ad allenarmi, prima a La Plagne con la squadra, poi da solo in Spagna, ci è voluto davvero un po’ prima di avere il giusto feeling con la bici. Le Olimpiadi arriveranno presto, quindi era necessario gettare basi ampie. Preferirei correre più spesso, ma questo è il ciclismo moderno.

Il 28 settembre 2013, Mathieu Van der Poel conquista il mondiale juniores. Secondo Pedersen
Il 28 settembre 2013, Mathieu Van der Poel conquista il mondiale juniores. Secondo Pedersen
Il Tour sarebbe nuovamente un successo per te senza una vittoria di tappa?

Questa domanda mi perseguita. Non ho vinto una tappa l’anno scorso, ma ho pensato che sia stato ugualmente un successo, con molti ringraziamenti da parte di Philipsen che ha preso la maglia verde. Mi è piaciuto far parte di questo suo risultato. E il Tour mi ha aiutato tantissimo anche in vista del mondiale.

Sei qui a preparare le Olimpiadi?

Non ho detto questo. Mi sono allenato duramente per vincere una tappa. Tuttavia, le volate sono ovviamente per Jasper e ci sono pochissime opportunità per i corridori da classiche. Mi aspetto che il fine settimana di apertura sia semplicemente troppo duro. Soprattutto la tappa di domenica.

Per voi corridori del Nord potrebbe esserci la nona tappa con i suoi sterrati?

Quella dovrebbe andarmi bene. Ma un po’ mi conoscete, non ho ancora studiato molto bene il libro di corsa. Non ho guardato oltre il primo giorno di riposo.

Philipsen e la sfida per la maglia verde: dopo la conquista 2023, sarà di nuovo sua?
Philipsen e la sfida per la maglia verde: dopo la conquista 2023, sarà di nuovo sua?

Il Tour finisce… a Parigi

Che il Tour servirà principalmente in chiave olimpica è confermato nuovamente da Roodhooft e quasi sembra che si stia lavorando per costruire la… macchina perfetta. Un campione che corre solo quando è certo di poter vincere e per il resto del tempo preferisca allenarsi per i fatti suoi. Con buona pace dei corridori normali che potrebbero vantarsi di averlo battuto, trovandolo in un giorno di condizione mezza e mezza. Si è grandi anche dando dignità e spessore alle vittorie degli altri, ma di questo la modernità del ciclismo non tiene conto. In un modo o nell’altro, il Tour di Mathieu Van der Poel finirà a Parigi con le Olimpiadi.

«Ci sono poche tappe in cui Mathieu potrà perseguire obiettivi personali – dice Roodhoft – ma il resto del Tour è dedicato principalmente alle Olimpiadi. Non bisognerebbe mai definire il Tour una gara di preparazione, ma per corridori del suo calibro ci sono tappe che si possono considerare tali. Nel ciclismo moderno, ogni squadra sa cosa ciascun corridore deve fare ogni giorno. E’ diventato tutto molto ben definito e questo vale anche per lui».

Covid? Non è mai sparito del tutto, la parola d’ordine è precauzione

28.06.2024
4 min
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Il Covid-19 non ha abbandonato il gruppo e la nostra vita di tutti i giorni. L’ultimo caso è quello di Sepp Kuss, il vincitore dell’ultima Vuelta Espana e fido scudiero di Vingegaard non sarà al via del Tour de France. Una perdita importante per la Visma Lease a Bike in vista della battaglia che la attende sulle strade della Grande Boucle. Ieri durante la conferenza stampa alla vigilia del Tour, Evenepoel si è presentato con la mascherina, mentre Pogacar ha raccontato di averlo preso di recente. Ma come viene approcciato ora il Covid dai medici dei vari team? Ne parliamo con Emilio Magni, dottore dell’Astana Qazaqstan Team.

«Da questa primavera – spiega subito – ci sono stati dei casi, in aumento rispetto ai mesi precedenti. Anche noi in squadra abbiamo avuto dei corridori positivi, ma è una storia difficile dalla quale venire fuori. La sintomatologia è meno importante rispetto al periodo pandemico, praticamente è assimilabile ad un’influenza. Il problema è che gli atleti di alto livello devono stare bene per svolgere la loro attività, quindi anche una normale influenza diventa destabilizzante».

Sepp Kuss ha annunciato la sua mancata partecipazione al Tour causa Covid postando questa foto sui social (foto Instagram)
Sepp Kuss ha annunciato la sua mancata partecipazione al Tour causa Covid postando questa foto sui social (foto Instagram)
Però si fanno ancora i test per distinguere il Covid da un’influenza.

Sì, perché è giusto capire di cosa si tratta. Le conseguenze a livello sportivo non sono state importanti, ma ogni squadra ha un alto numero di atleti e devono essere monitorati e tutelati. 

Una delle conseguenza più gravi furono i vari casi di miocarditi e pericarditi che si manifestarono nei soggetti positivi…

Non furono tanti a livello numerico, chiaro che anche un solo caso fa drizzare le antenne a noi medici. Quindi poi sono stati inseriti diversi test a livello cardiologico per controllare lo stato di salute prima di far riprendere all’atleta la sua attività. 

I test sono attendibili?

La fortuna dei test per individuare una positività da Covid-19 è che sono facili da effettuare e direi anche che sono affidabili, soprattutto rispetto all’inizio. 

Evenepoel con la mascherina alla conferenza stampa di ieri al Tour: «Meglio non correre rischi»
Evenepoel con la mascherina alla conferenza stampa di ieri al Tour: «Meglio non correre rischi»
In che senso?

Che nei primi anni (2020 e 2021, ndr) c’erano molti casi di false positività e negatività. Quindi atleti che risultavano negativi dopo qualche ora erano invece positivi e viceversa. Adesso è tutto più lineare, ad una positività anche leggera segue una conferma nel giro di poche ore.

Quindi si fanno più test?

Una volta effettuato il primo e rilevata la positività se ne effettua un altro poche ore dopo. Il corridore viene messo a riposo e nel corso dei giorni in cui è a casa ripete il test in autonomia ogni due o tre giorni, fino alla negativizzazione. 

Il protocollo prevede ancora lunghi stop? 

No siamo nel corso di cinque o sei giorni di fermo dall’attività sportiva. Una volta negativo il corridore viene sottoposto ai test cardiaci che dicevamo prima. Questi sono: elettrocardiogramma a riposo, sotto sforzo e ecocolordoppler cardiaco. Sono gli stessi esami che si effettuavano nel programma “return to play”. 

Gaudu ha corso il Delfinato sotto tono e ne è uscito con il Covid, ma sarà comunque al via del Tour
Gaudu ha corso il Delfinato sotto tono e ne è uscito con il Covid, ma sarà comunque al via del Tour
Se l’atleta li supera?

Semplice, torna in mano ai preparatori e rincomincia con il piano di allenamento. 

Pensa che la non partecipazione di Kuss al Tour de France sia corretta?

Sì, non c’era altra via. A parte che avrebbe dovuto negativizzarsi, ma comunque a pochi giorni dal via del Tour non ci sarebbe stato modo di fare i test cardiaci necessari. E’ più un discorso di precauzione e di tutela, prima dell’atleta stesso e poi dei compagni. 

L’aumento dei casi in gruppo a cosa è dovuto?

Semplicemente ad un abbassamento, naturale, delle misure difensive che si adoperavano in tempi di pandemia. Banalmente non utilizziamo più le mascherine o comunque frequentiamo posti molto affollati.

Per il dottor Magni siamo lontani dal ritorno di protocolli rigidi come nel periodo di pandemia
Per il dottor Magni siamo lontani dal ritorno di protocolli rigidi come nel periodo di pandemia
C’è il rischio del ritorno delle mascherine e della famosa bolla?

Non direi. Anche perché non avrebbe molto senso. Se si tornasse ad utilizzare le mascherine in squadra questa misura cadrebbe nel momento in cui si è a contatto con la gente. Dovremmo tornare alla bolla, ma penso sia impossibile, noi come squadra cercheremo di fare maggiore attenzione. E’ un discorso legato al fatto che se un atleta si ammala poi il rischio è che contagi la squadra e che ci si ritiri dalla corsa. 

Quindi per il Tour avete precauzioni particolari?

Siccome è una corsa che attira tanta gente e avremo degli eventi con ospiti interni alla squadra chiederemo dei test negativi. Se qualcuno dovesse arrivare senza mi preoccuperò io di farglielo.