La tripletta di Roche, prossimo traguardo di Pogacar?

06.08.2024
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Tadej Pogacar lo ha detto senza mezzi termini: «Ora punto tutto sul mondiale». Il suo obiettivo è realizzare la tripletta Giro-Tour-gara iridata che in passato è riuscita solo due volte. La prima a Eddy Merckx in quella che fu l’ultima sua grandissima stagione, il 1974. La seconda a Stephen Roche, l’irlandese della Carrera che visse un anno magico nel 1987, mai più replicato.

Lo sprint vittorioso di Roche al mondiale di Villach. La tripletta è compiuta, 13 anni dopo Merckx
Lo sprint vittorioso di Roche al mondiale di Villach. La tripletta è compiuta, 13 anni dopo Merckx

Oggi l’irlandese gestisce con passione il suo albergo a Sainte Maxime, sulla Costa Azzurra ma resta sempre legato al vecchio mondo. Sa bene che quella tripletta è rimasta storica, anche per come arrivò, soprattutto per il carico di polemiche che si portò dietro nella sua prima tappa, il Giro d’Italia vinto contro tutto e tutti.

Tra Giro, Tour e mondiali, quale fu la corsa più difficile da conquistare e quella che ti diede maggiore soddisfazione?

Ognuna delle tre è molto difficile da vincere. Il Giro lo conquistai avendo problemi con alcuni dei miei compagni di squadra che hanno corso contro di me. E’ stato molto, molto difficile mentalmente perché mi trovavo nell’assurda situazione di dover convincere il pubblico italiano che non ero un cattivo ragazzo e che onoravo la patria che mi stava ospitando e dando lavoro. Quello che è successo con Roberto Visentini è stato qualcosa che è capitato, non c’era acredine fra noi, ma chiaramente molti tifosi italiani mi erano contro. Ogni giorno combattevo con i media e con i miei compagni di squadra, quindi era molto complicato.

L’irlandese insieme a Millar, ribatte in maniera polemica ai fischi del pubblico
L’irlandese insieme a Millar, ribatte in maniera polemica ai fischi del pubblico
Tu hai vinto il Giro senza l’appoggio della tua squadra, con il solo Schepers dalla tua parte. Com’era l’atmosfera nel team fuori dalla corsa, alla sera o prima delle tappe?

Dopo il primo giorno o due ci siamo messi intorno a un tavolo. La squadra voleva la maglia rosa. Visentini era il campione uscente, io venivo dalla vittoria al Romandia. Ma un giro di 3 settimane è qualcosa di diverso. L’accordo era di proteggere entrambi, ma principalmente di puntare su di me perché avevo dimostrato che l’87 era stato un buon anno per me, era da febbraio che ero competitivo. Quindi la squadra ha deciso di darmi la mia possibilità. Ma l’atmosfera era difficile, tra me e i miei compagni di squadra. Ma poi le cose sono andate lentamente meglio perché anche io mi stavo comportando bene. Come detto, al team interessava vincere perché le vittorie portano finanziamenti. E’ chiaro però che tutto quel che avvenne ebbe un prezzo, gli equilibri erano infranti.

Ho letto che la Panasonic si schierò dalla tua parte, come raggiungesti un accordo con il team di Millar e pensi che sia possibile fare lo stesso oggigiorno?

Molte persone nell’87 erano un po’ disgustate dalla reazione del popolo italiano e da quello che mi stava succedendo. Millar era un mio caro amico, quindi voleva vincere una tappa e pensò che fosse un buon compromesso aiutarmi per ottenere il suo scopo. Cosa che avvenne, quindi ci guadagnammo entrambi. Penso che oggi, sì, questo può ripetersi e avvenga. Tutto e niente di ciò che abbiamo fatto è stato eccezionale.

Roche in maglia gialla. Vinse il Tour superando Delgado al penultimo giorno, a cronometro
Roche in maglia gialla. Vinse il Tour superando Delgado al penultimo giorno, a cronometro
Pogacar punta a ripetere la tua impresa, tu pensi che possa farlo?

Penso onestamente, sì, ci sono stati corridori in passato capaci di farlo come Indurain, Armstrong, Pantani. Potevano. Ma per essere in grado di fare queste tre cose con tre vittorie, tutto deve andare di pari passo, devi programmarti bene. Devi anche avere la fortuna di trovare un percorso adatto: se sei forte in salita e ti trovi un mondiale pianeggiante, diventa tutto complicato. Quest’anno abbiamo lui che ha già vinto Giro e Tour e ha un campionato del mondo a Zurigo molto, molto ondulato. Quindi sì, penso che tutto sia possibile per lui quest’anno perché sta mostrando una forza incredibile nel recupero ed è anche uomo da classiche. Certamente comunque la concorrenza non mancherà con gente come Evenepoel e Van Aert. Deve avere il meteo dalla sua. Deve avere fortuna, non deve avere forature. Deve avere una squadra. Tutto deve coincidere.

Vista la sua superiorità a Giro e Tour, al suo posto proveresti a vincere anche la Vuelta?

In Irlanda diciamo «il cimitero è pieno di eroi morti» – dice Roche sorridendo – Puoi andare e provare a vincere, ma poi se non funziona, allora potrebbe essere più dannoso per lui anche fisicamente perché ha solo 25 anni. Ha già fatto così tanto nella sua breve carriera finora. Non deve rischiare di bruciarsi anzitempo. La gente potrebbe pensare che vincere Giro e Tour non fosse troppo difficile per lui, l’opposizione non c’era. Forse, ma nonostante ciò lo ha fatto accumulando migliaia di chilometri, caldo, fatica. Penso che potrebbe essere un po’ troppo. E’ molto più saggio concentrarsi ora sul campionato mondiale.

Il podio del mondiale austriaco, con Argentin secondo e lo spagnolo Martin terzo
Il podio del mondiale austriaco, con Argentin secondo e lo spagnolo Martin terzo
Segui il ciclismo irlandese e rispetto ai tuoi tempi lo trovi migliorato come livello?

Sì, il nostro ciclismo è molto cresciuto. Abbiamo gente forte come Healy, Ryan. OK, Sam Bennett sta andando un po’ giù, ma ci sono alcuni bravi ragazzi lì che stanno arrivando nell’EF Education EasyPost che fanno sperare. E penso che la federazione stia lavorando bene, avremo sempre più ragazzi di cui parlare in futuro. Healy mi impressiona, io dico che presto vincerà anche una grande gara.

Quello di oggi è un ciclismo che ti piace?

Sì, penso che il ciclismo di oggi sia cambiato un po’ rispetto all’ultima generazione. I ciclisti sono più aggressivi, sono un po’ più istintivi, vanno forte in salita come a cronometro, nelle corse d’un giorno come in quelle a tappe. Quindi penso che per i prossimi due anni vedremo un po’ di ciclismo davvero buono.

Pogacar in trionfo all’ultimo Tour. Ora il suo obiettivo è il mondiale di Zurigo
Pogacar in trionfo all’ultimo Tour. Ora il suo obiettivo è il mondiale di Zurigo
Guardandoti indietro, come giudichi la tua carriera ciclistica?

Guardo tutta la mia carriera e dico OK, posso dire che questo anno è stato buono. Quello no, quell’altro è stato pessimo. Tutto sommato, il complesso è stato positivo. Sai, è molto facile dire che avrei dovuto, avrei potuto…. Ma non è una cosa che potrei cambiare. Ripensandoci, l’unica cosa è che non avrei lasciato la Carrera alla fine dell’87. Avrebbe potuto essere meglio, ma non ne avrò mai la certezza.

DMT Pogi’s: è il momento di celebrare un’altra impresa

02.08.2024
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La fame di vittoria di Tadej Pogacar nel 2024 è stata pressoché inarrestabile. Il fuoriclasse sloveno dopo aver vinto il suo primo Giro d’Italia ha portato a casa anche il terzo Tour de France. Pogacar è riuscito, 26 anni dopo Marco Pantani, nella celebre doppietta Giro-Tour. Un’impresa che lo fa entrare direttamente nell’olimpo del ciclismo. Il corridore del UAE Team Emirates ha “costretto” DMT, azienda che gli fornisce le scarpe, a creare un altro modello celebrativo delle Pogi’s

Questa volta il colore è il giallo, come quello della maglia che contraddistingue il vincitore della Grande Boucle. Simbolo che Pogacar ha conquistato a Valloire e che ha portato fino a Nizza, senza vacillare nemmeno una volta. 

Sempre migliori

Le DMT Pogi’s migliorano anno dopo anno, come il talento dello sloveno. Nella nuova versione sono tanti i particolari che portano queste scarpe ad essere uno dei prodotti più ambiti. Innanzitutto la particolarità rimane sempre una: la chiusura con i lacci, richiesta dallo stesso Tadej e diventata celebre con le sue imprese. Per una maggior sicurezza in corsa e una migliore aerodinamicità DMT ha pensato di creare e perfezionare la tasca Aerosafe. Posizionata nella parte superiore della scarpa permette di riporre il nodo in maniera ottimale, senza ingombri. 

La tomaia, invece, leggerissima e traspirante, è realizzata con tecnologia Knit. Il tutto è arricchito con un nuovo filato super tecnologico che ne aumenta le qualità tecniche. Le Pogi’s diventano così una combinazione perfetta, avvolgendo comodamente il piede. Il collarino Flex Fit assicura una calzata unica e confortevole anche dopo tante ore di attività. 

La suola, realizzata con un mix di fibre di carbonio è rigida e leggera
La suola, realizzata con un mix di fibre di carbonio è rigida e leggera

Sicura e performante

Per un ciclista il trasferimento di potenza è importante, riuscire a trasmettere alla bici ogni singolo watt sprigionato è fondamentale. DMT ha così deciso di realizzare una suola rigida e leggera, creata con un mix di carbonio unidirezionale ad alta resistenza. La pedalata risulta sempre piena e permette di spingersi oltre i propri limiti. 

Anche la chiusura è un aspetto fondamentale, le Pogi’s hanno un sistema di canaline integrate 3D che fanno scorrere i lacci perfettamente. Non sarà più necessario stringere ogni singolo passaggio, ma basterà tirare dall’estremità per avere una chiusura omogenea. Per assicurare la chiusura DMT ha pensato ad un sistema di aggancio comodo e immediato. Tramite due alette è possibile assicurare i lacci, senza alcuna preoccupazione. 

Il prezzo al pubblico è di 499 euro.

DMT

Cytal Carbon, il nuovo super casco POC dall’anima italiana

01.08.2024
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POC ha da poco presentato il suo nuovissimo casco da strada top di gamma, il Cytal Carbon, che si propone come pioniere di un nuovo approccio alla sicurezza, all’aerodinamica e alla ventilazione. Tutto questo grazie ad un’ala in carbonio realizzata a mano in Italia, integrata perfettamente nella calotta. Quest’innovazione ha permesso agli sviluppatori del brand svedese di realizzare un casco più aperto nella parte anteriore. Sono migliorate in un colpo solo l’ingresso dell’aria nel casco, la resistenza agli urti e le prestazioni in galleria del vento.

«Con il Cytal Carbon – dice Oscar Huss, Chief Product Officer di POC – ci siamo chiesti come potessimo sfruttare le nostre conoscenze nello sviluppo di caschi da strada ad alte prestazioni. L’obiettivo era di portarle a un altro livello. Abbiamo sfidato il pensiero convenzionale, utilizzando materiali unici e sviluppando nuove forme: E alla fine abbiamo trovato una risposta creando un casco nuovo di zecca e integrando un’ala in carbonio realizzata a mano in Italia. E siamo estremamente soddisfatti del risultato».

Andiamo quindi a scoprire nel dettaglio gli aspetti più importanti del Cytal Carbon.

Ventilazione e aerodinamica totali

Il segreto del Cytal Carbon è appunto quest’ala in carbonio, ispirata a quella delle auto da corsa. E’ stata costruita con forma e spessore variabili per aumentare la velocità dell’aria e migliorare così il raffreddamento del casco. Il suo design unito alla resistenza del carbonio ha consentito anche di aumentare la dimensione delle prese d’aria frontali. Questo, in combinazione con i canali interni che guidano il flusso d’aria, ne fa – a detta di POC – il casco più ventilato che l’azienda abbia mai realizzato.

Per quanto riguarda l’aerodinamica, Cytal Carbon è stato sottoposto ad un grande numero di test. Parliamo sia in simulazioni CFD (fluidodinamica computazionale) che in galleria del vento. Poi la palla è passata ai corridori della EF Education-EasyPost che l’hanno provato a lungo prima di indossarlo al Tour de France 2024. In apertura, Alberto Bettiol, mentre Carapaz lo indossava nel giorno in cui a Torino ha conquistato la maglia gialla.

Anche qui, comunque, il punto forte sono state le generose prese d’aria frontali che l’adozione dell’ala in carbonio ha permesso di realizzare. Infatti le dimensioni e gli angoli delle prese d’aria catturano e conducono l’aria all’interno del casco anziché intorno ad esso. Si riducono così in modo significativo le turbolenze. Mentre si mantiene un flusso lineare anche al di fuori della calotta, migliorando in questo modo le prestazioni aerodinamiche.

Carapaz lo aveva in testa quando a Torino ha conquistato la maglia gialla
Carapaz lo aveva in testa quando a Torino ha conquistato la maglia gialla

Sicurezza iper-testata

Abbiamo parlato di ventilazione e aerodinamica, ma la funzione principale di un casco resta pur sempre la sicurezza. In POC non si sono accontentati dei normali test di certificazione. Il Cytal Carbon è stato sottoposto anche a tutta una serie di test interni, che ormai costituiscono una guida fondamentale per l’azienda. Ed essi hanno ispirato anche un’altra miglioria in termini di resistenza agli urti. Tra le lamine di carbonio dell’ala è stata infatti inserita un’anima realizzata con tecnologia Koridion. Si migliora così la sicurezza gestendo e trasferendo le forze attraverso il casco, rafforzandone in questo modo l’integrità complessiva.

Per finire, nello sviluppo e nella progettazione del Cytal Carbon è stato utilizzato il Whole Helmet Concept™. Si tratta di un sistema che garantisce che il casco sia superiore alla somma delle sue parti. Tutti i dettagli del prodotto – la qualità e la forma dei materiali, la costruzione uni-corpo, le diverse zone di densità dell’EPS, le cinghie ergonomiche e il sistema di regolazione – lavorano insieme per garantire la massima qualità possibile.

Peso, prezzo e altri dettagli

Il nuovo Cytal Carbon è disponibile in due colorazioni, Hydrogen White e Uranium Black. Sono invece tre le taglie disponibili: S (50-56 cm), M (54-59 cm) e L (56-61cm).

Il peso in taglia M è di 250 grammi, mentre il prezzo consigliato al pubblico sul sito di POC è di 400 euro. Ricordiamo che il distributore italiano di POC è Summit Sports.

POC

Fancellu: «Il talento di Evenepoel non è mai stato un segreto»

01.08.2024
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Il recente exploit di Remco Evenepoel, che ha conquistato il terzo posto al Tour de France e l’oro olimpico a cronometro pochi giorni dopo, merita di essere celebrato ancor più di quanto è stato fatto. Il campione belga ci ha abituato bene, ma queste prestazioni vanno oltre quanto fatto vedere fino ad ora e lo consacrano tra i grandi. Il nome di Evenepoel gira da tempo nel ciclismo ed è salito alla ribalta quando era uno junior. Di fatto è stato lui l’atleta che ha aperto la caccia ai giovani, una ricerca forsennata che ne ha portati alla luce molti, ma ne ha offuscati altrettanti. E Alessandro Fancellu lo sa bene.

I due hanno avuto un percorso simile fino alla fine del 2018, ultimo anno da juniores (in apertura la foto del podio al mondiale di Innsbruck di quell’anno). Poi da lì in poi le strade si sono divise. Ora Fancellu ha ritrovato continuità grazie al Q36.5 Pro Cycling Team dopo anni difficili pieni di stop e problemi fisici. Il giovane lombardo si prepara ad un finale di stagione ricco di impegni per ritagliarsi lo spazio che vuole e può meritarsi

La corsa all’oro

Fancellu, da junior, si è scontrato spesso con il belga e nel 2018 i confronti sono stati ripetuti e tirati, dal Giro della Lunigiana in cui Evenepoel vinse tutte le tappe tranne una e poi agli europei e ai mondiali. Che cosa ricorda di Evenepoel lo scalatore di Como?

«Quello che sta facendo ora Evenepoel – dice Fancellu, il quale ora è in ritiro a Sestriere per preparare il finale di stagione – non è una sorpresa. Già da juniores, quando veniva alle gare, si vedeva che faceva un altro sport rispetto a noi. Ricordo che al campionato europeo era scattato dopo pochi chilometri ed era arrivato da solo al traguardo. Il ritardo del secondo? Quasi dieci minuti. (9’44” sullo svizzero Balmer, ndr). E’ partito da solo e lo hanno rivisto solamente all’arrivo, un numero incredibile. L’azione più bella che gli ho visto fare dal vivo è stato quello del mondiale di Innsbruck. Era caduto e aveva due minuti di svantaggio, ci ha ripresi e ce ne ha dati altri due».

Sguardo affamato

Il volto di Evenepoel, magro e sempre più delineato, nasconde negli occhi una fame di vittoria incredibile e impareggiabile. Ha dentro di sé un fuoco che lo spinge sempre a fare un passo in avanti, a cercare la vittoria e lo spettacolo. Non importa quanto lontano sia il traguardo. 

«Questo tratto distintivo – spiega Fancellu – lo ha sempre avuto. Ricordo che al Giro della Lunigiana del 2018 aveva perso la cronoscalata nella seconda semitappa. Aveva pagato un secondo a Karel Vacek. Il giorno dopo si è presentato al via della tappa con gli occhi in fiamme. A 50 chilometri dall’arrivo è partito e non lo abbiamo visto più, eppure dietro spingevamo parecchio per chiudere. Le stesse azioni che ha riproposto alla Liegi, in entrambe le vittorie ottenute e alla Clasica San Sebastian. Non gli interessa quanto manca, lui attacca e si toglie tutti di ruota. Alla Liegi dello scorso anno Pidcock era rimasto con lui inizialmente, ma poi aveva pagato dazio. Seguirlo è impossibile. E’ capace di fare 50, 60 o 70 chilometri da solo a velocità impossibili, una caratteristica che lo porta ad essere un cronoman eccezionale».

Alcuni gesti hanno portato il pubblico ad assegnargli il titolo di “spaccone”
Alcuni gesti hanno portato il pubblico ad assegnargli il titolo di “spaccone”

Gesti estremi

Evenepoel lo abbiamo conosciuto da acerbo forse, quando ogni vittoria era seguita da una celebrazione evidente. Quasi fastidiosa per chi al ciclismo associa una maggiore timidezza e umiltà.

«A volte passa da arrogante, anche in passato è stato così – continua Fancellu – ma questa idea non corrisponde alla realtà. Non gli piace perdere e questo lo abbiamo capito fin da subito. Al Tour sarà stato felice del podio, ma non crediate che si accontenti. Il suo passare da arrogante in corsa non è mai andato di pari passo con la persona. Ci ho parlato e non mi ha dato questa impressione. Io userei il termine esuberante, d’altronde quando hai uno strapotere così evidente ti viene da fare tutto». 

In vista del Tour Evenpoel ha limato molto il peso, avvicinandosi a quello degli scalatori puri
In vista del Tour Evenpoel ha limato molto il peso, avvicinandosi a quello degli scalatori puri

Cambiamenti fisici

Fisicamente l’ex campione del mondo di Wollongong sembra non essere mai cambiato. La sua più grande trasformazione è arrivata con la partecipazione al recente Tour de France, prima del quale ha limato molto il peso

«Quando era junior – ricorda ancora Fancellu – aveva un fisico molto più formato. Arrivava dal calcio e muscolarmente era impostato diversamente, le forme erano ben pronunciate. Con il passare degli anni il suo fisico ha subito delle modifiche che lo hanno portato ad essere quello che è ora. Al Lunigiana lo guardavo e vedevo due gambe grosse, enormi. Infatti era forte, ma negli strappi brevi era ancora giocabile. Nel falsopiano invece, con un po’ di vento contro, non lo prendevi mai. E per fortuna che all’epoca (nel 2018, ndr) gli juniores avevano ancora il blocco dei rapporti. Altrimenti avrebbe dominato ancora di più le gare. In pianura a 50 all’ora era costretto a fermarsi, più forte di così non poteva andare. Con i rapporti liberi avrebbe messo il 54×11 e lo avremmo rivisto solamente una volta tagliato il traguardo. Evenepoel le stigmate del campione le ha sempre avute, così come la mentalità».

Il manubrio di Pogacar e la gestione del tappone dei record

26.07.2024
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Una foto del manubrio di Pogacar. Mancava un’ora circa alla partenza della tappa di Plateau de Beille, quella del record di Pantani e dei numeri pazzeschi. Era il 14 luglio, Festa nazionale francese. Tadej aveva già 1’57” di vantaggio su Vingegaard, accumulato nella crono vinta da Evenepoel e soprattutto il giorno prima a Pla d’Adet, quando era riuscito a staccare nuovamente il danese. Le schermaglie sugli sterrati di Troyes, ma soprattutto la vittoria di Vingegaard a Le Lioran avevano autorizzato qualche dubbio.

In particolare quest’ultima. L’attacco violentissimo dello sloveno sul Pas de Peyrol e il suo spegnersi progressivo a fronte del rientro di Jonas avevano fatto pensare a una crisi di fame. Troppo netta la differenza delle forze quel giorno. Invece alla partenza della tappa di Saint Lary Soulan, alla vigilia di Plateau de Beille, il nutrizionista Giorka Prieto l’aveva esclusa dalle possibilità, parlando di uno sforzo eccessivo al momento dell’attacco. Quasi si fosse trattato di un errore tattico e non di un problema alimentare. Per questo il cartoncino sul manubrio della bici col numero 11 ci era sembrato così interessante (foto di apertura). E ci siamo messi a studiarlo in relazione all’altimetria della tappa di giornata.

Ecco l’altimetria della 15ª tappa del Tour, da Loudenvielle a Plateau de Beille
Ecco l’altimetria della 15ª tappa del Tour, da Loudenvielle a Plateau de Beille

Sei salite in 199 chilometri

La 15ª tappa da Loudenvielle a Plateau de Beille misurava 197,7 chilometri e proponeva sei gran premi della montagna. Il Peyresourde in partenza, dopo 6,9 chilometri. Quindi il Col de Mente al chilometro 50, il Portet d’Aspet al 65,5. E a seguire il Col d’Agnes al chilometro 139, il Port de Lers al 147,5 e la salita finale, dal chilometro 181,3 al 197,7.

La tabella sul manubrio indicava i punti in cui mangiare, un utile memorandum per evitare qualsiasi imprevisto. Per dargli una forma che in qualche modo sia esplicativa per chi, come noi, va in bici ma non ha le gambe di Pogacar, abbiamo chiesto un commento a Paolo Calabresi, Direttore Marketing Sport & Fitness di Enervit.

«Questo è un classico esempio di tabella chilometrica – spiega – con alcune informazioni riguardanti lo schema di integrazione che deve seguire l’atleta, come da indicazione del suo nutrizionista. Utile per evitare che il corridore trascorra troppo tempo senza integrarsi e farsi trovare scarico nel finale della gara. Insieme ci sono alcune indicazioni utili sul percorso come salite, sprint intermedi, feed zone».

A un chilometro dal GPM

La collocazione dei punti in cui alimentarsi non è ovviamente casuale. Si nota ad esempio come Pogacar debba mangiare circa un chilometro prima della fine della salita: un passaggio invece non indicato per la scalata finale. Si suggerisce un gel poco dopo l’inizio dell’ultima salita e acqua a 10 chilometri dall’arrivo.

«Relativamente ai prodotti – spiega Calabresicon XX è contraddistinta la borraccia di Enervit Isocarb caricata con 60 grammi di carboidrati. Se ci fosse la X singola, sarebbero invece 30 grammi. In rari casi, alcuni atleti la chiedono anche la tripla X, ossia 90 grammi di carboidrati.

«Con la w è contraddistinta la borraccia di acqua. Ice sta ad indicare quando viene fornito il sacchettino di ghiaccio da posizionare sul collo. Il gel corrisponde al Carbo Gel Enervit C2:1PRO che nelle tappe più calde può essere la versione arricchita con sodio. Quando si legge caf, si intende il Carbo Gel Enervit C2:1PRO con caffeina. Là dove è indicato XX caf o XX gel oppure w caf vuol dire che hai una borraccia con nastrato un gel con o senza caffeina, quelle che solitamente si vedono passare dal massaggiatore lungo il percorso. Water gel o caf sta per borraccia di acqua con attaccato un gel con caffeina o senza».

Alimentazione continua

Ovviamente non si tiene conto in questo schema di ciò che Pogacar aveva in tasca alla partenza e che certamente avrà preso al rifornimento che il gruppo ha incontrato dal chilometro 92,5. Ciascun corridore ha le sue esigenze e spetta al nutrisionista individuarle e gestirle. Quel che interessa è il dato assoluto. Che si tratti di professionisti o amatori, nel momento in cui si è dotati di una strategia alimentare, quanto si deve essere precisi nel rispettare certi tempi e certe scadenze?

«Oggi i corridori sono sempre full gas – spiega Calabresi – iniziano ad alimentarsi fin dai primi chilometri. Non è tanto una questione di timing. Loro sanno che devono continuamente alimentarsi per mantenere un livello di carboidrati circolanti il più costante possibile, per non farsi mai trovare in carenza. Il ciclismo moderno non è a richiesta: non funziona più che prendo un gel nella fase finale per la volata. E’ un continuo alimentare il fisico con il carburante dei carboidrati, per mantenere e soddisfare la richiesta di performance per tutta la tappa. In modo da mantenere le riserve energetiche il più possibile costanti e stabili e salvaguardarle anche per il giorno successivo. L’evoluzione dei nuovi prodotti consente l’assunzione in grandi quantità, in termini di grammature di carboidrati, rispetto al passato».

Domani la crono di Parigi, ma prima rileggiamo il Tour di Remco

26.07.2024
6 min
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Nella sua giovane carriera da professionista, che a 24 anni lo vede vincitore di 56 corse fra cui due Liegi e due mondiali (uno in linea e uno a crono, foto di apertura), Remco Evenepoel ha concluso tre Grandi Giri. Uno lo ha vinto (Vuelta 2022), nel secondo è arrivato 13° (Vuelta 2023), il terzo – il primo Tour de France della sua carriera – lo ha chiuso al terzo posto. Gli è andata male solo al Giro d’Italia. Ne ha corsi due e in entrambi si è ritirato: nel primo per caduta (2021) e per la scelta assurda di schierarlo come prima corsa al rientro dall’infortunio al Lombardia, nel secondo per il Covid (2023). Il motivo per cui si sente spesso dire che il ragazzino (ha due anni meno di Pogacar e quattro di Vingegaard) non sia adatto per queste corse rientra fra le etichette social affibbiate col gusto di colpire e non di capire.

Abbiamo parlato del suo Tour con Tom Steels e Koen Pelgrim, questa volta lo facciamo con Davide Bramati, che con lui ha preparato ben più di una vittoria e anche i due sbarchi sfortunati al Giro.

«Come abbiamo sempre detto – racconta il tecnico bergamasco – e come ha detto più volte anche Remco, avevamo un obiettivo definito. Puntare a un posto fra i primi cinque e vincere una tappa. Ha vinto la crono, una grande crono. Mentre io, dopo la tappa nello sterrato, mi sono sempre più convinto che avrebbe fatto un grande Tour».

Bramati, classe 1968, è stato pro’ dal 1991 al 2006 e da allora è ds alla Soudal-Quick Step
Bramati, classe 1968, è stato pro’ dal 1991 al 2006 e da allora è ds alla Soudal-Quick Step
Quello che ha colpito da fuori è stata la tranquillità nel gestire ogni momento, duro e meno duro, sebbene fossimo al Tour.

L’ho già detto: passano gli anni, sta maturando e sta imparando tanto. Non dimentichiamoci che Remco ha saltato gli under 23 e penso che non sia stato facile. Sappiamo tutti che la pressione di tutti i giornalisti in Belgio è altissima, soprattutto avendo un corridore così e dopo tantissimi anni che uno di loro non saliva sul podio del Tour. Penso che sia stato bravo, si è gestito veramente alla grande. Anche nei giorni in cui si è staccato da Pogacar e Vinegaard, ha sempre gestito veramente bene tutte le situazioni.

E’ una maturazione che sta arrivando con i mesi oppure qualcosa su cui state lavorando?

Già l’anno scorso eravamo venuti al Giro d’Italia con il grande obiettivo di provare a fare i primi cinque e vincere una tappa. L’idea non confessata, se proprio si voleva puntare in alto, era di arrivare al podio, ma quello si poteva capire strada facendo. Penso che fino alla crono di Cesena si sia gestito tutto bene. Remco aveva vinto alla grande la crono iniziale. Avevamo lasciato andare la maglia per non sprecare energie tutti i giorni, andando al podio e alle conferenze stampa. Stava andando tutto bene e poi purtroppo è successo quello che è successo. Penso che la stessa situazione si sia vista quest’anno al Tour de France. Il Covid c’è e negli sport di resistenza come il ciclismo, non è facile andare avanti se un corridore lo prende.

Finalmente il Tour e il podio al primo colpo: non è un risultato banale.

Il Tour è il Tour e giustamente prima di arrivarci, ha fatto la Vuelta. Mi correggo, Remco ha vinto la Vuelta alla prima partecipazione. Forse si dimentica troppo spesso che Remco ha già vinto un Giro di tre settimane a 22 anni. Adesso ne ha 24 e abbiamo pensato che avesse la base per chiudere il cerchio con una grande esperienza. Mancava il Tour e penso che correndolo abbia imparato tanto. Si è gestito veramente bene in tutte le tappe. Anche se magari veniva staccato, non è mai andato veramente in difficoltà. Ha sempre fatto il suo, sapendo che Pogacar quest’anno era di un altro livello. Per adesso Tadej è di un altro pianeta. Sicuramente questo terzo posto fa ben sperare anche per il futuro.

Nella penultima tappa a Col de la Couillole, Remco ha attaccato Vingegaard, ma la risposta è stata inesorabile
Nella penultima tappa a Col de la Couillole, Remco ha attaccato Vingegaard, ma la risposta è stata inesorabile
Ha vinto tanto, ma resta sempre un giovane, no?

Infatti penso che questo podio gli dia tanta convinzione anche per i prossimi anni. Ha già un palmares notevole, ma sono convinto che non sia finito lì. Già domani e poi la settimana prossima ci saranno le Olimpiadi, la crono e la strada, e penso che lo vedremo lottare per una delle tre medaglie.

A proposito di crono, l’ultima vi ha un po’ deluso oppure si capiva che era sarebbe stata una prova di gambe e quindi il terzo posto va bene?

Si è fatto tutto quello che si doveva per provare a vincerla. Sapevamo che non era una cronometro facile, anche perché arrivava dopo due tappe molto impegnative e abbiamo trovato nuovamente Pogacar su un altro livello. Vingegaard era già più vicino, però siamo contenti così. Penso che tutti abbiano visto l’emozione che aveva dopo l’arrivo. Tanti continuavano a dire che non avremmo mai potuto portare qualcuno sul podio del Tour. Per noi è il frutto di un lavoro di squadra iniziato da anni e che ci ripaga tutti. Ci abbiamo sempre creduto, siamo sempre stati coi piedi per terra, abbiamo lavorato giorno dopo giorno. Nessuno mai è uscito dicendo che fossimo in Francia per vincere il Tour, nemmeno lui. Tutto quello che veniva sarebbe stato un’esperienza molto importante. Penso che questo sia un passaggio importante da far capire.

Nella tappa di sabato, sembrava che voleste attaccare a fondo.

Abbiamo provato ad andare per il secondo posto. Il giorno prima ci era sembrato che Vingegaard fosse arrivato al limite e ci siamo detti: «Perché non provare?». Non si sa mai e poi il giorno dopo c’era la cronometro. I corridori erano tutti molto motivati, si è fatto quello che si è potuto, ma abbiamo trovato Pogacar e Vingeegaard che sicuramente erano ancora in giornata di grazia. E’ stato giusto provarci e comunque abbiamo imparato qualcosa.

Si temeva che la squadra non fosse all’altezza, invece nonostante le defezioni, se la sono cavata bene. Cosa possiamo dire?

Niente di negativo. Moscon ha fatto il suo. Landa ha lavorato ed è arrivato quinto al Tour a 34 anni. Magari alcune tappe per velocisti sembra che si siano vissute tranquillamente, ma in gruppo c’è sempre stress, paura di cadute, paura del regolamento dei tre chilometri, con certi giorni in cui lo hanno spostato ai 4 e ai 5 chilometri. Tutto sommato è stato un Tour di livello altissimo, ma con poche cadute. I corridori sono sempre rimasti concentrati e la nostra squadra ha fatto la sua parte. Hirt è stato chiamato in extremis e nell’ultima settimana si è fatto trovare pronto. Purtroppo abbiamo avuto le due defezioni di Cattaneo e Masnada che da italiano mi sono dispiaciute. Abbiamo dovuto fare delle scelte e per vari motivi non erano pronti. Credo sia stato per tutti un Tour utile per il futuro, che ci ha dato tante certezze in più.

Il futuro è un’incognita. Già lo scorso anno si era parlato prima della fusione con la Ineos Grenadiers e poi in modo più concreto con la Jumbo Visma. Evenepoel ha il contratto con la squadra belga fino al 2026, ma non è un mistero che nei giorni del Tour sia stato legato già per il prossimo anno alla Red Bull, con cui la Soudal-Quick Step condivide il marchio delle bici. Abbiamo visto passaggi di maglia pagati con sacchi di euro, al punto che per blindare Pogacar, il UAE Team Emirates ha innalzato la sua clausola rescissoria a 150 milioni di euro. Quel che si può osservare è che nel gruppo Quick Step, Remco stia seguendo una crescita coerente e progressiva, con le tutele che i suoi 24 anni rendono necessarie. Siamo sicuri che finire in uno squadrone che da lui si aspetterà certamente il risultato sia la scelta più giusta?

Con Anastopoulos nel backstage di Progetto 35

25.07.2024
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Al netto dello strapotere di Tadej Pogacar e della sua strabiliante doppietta, l’altra grande news di questo Tour de France è stato il record di vittorie di Mark Cavendish. Vincendo a Saint Vulbas l’inglese dell’Astana Qazaqstan ha portato a termine “progetto 35”, come il numero di vittorie nella Grande Boucle. Ma per certi traguardi l’atleta da solo non basta: serve una squadra dietro e persone di fiducia totale, come Vasilis Anastopoulos.

Anastopoulos è il preparatore che lo ha seguito in questa sfida ambiziosa, sarebbe più corretto dire che lo segue da anni. Della squadra ci aveva detto già Stefano Zanini. Il direttore sportivo ci parlò di un team compatto attorno a Mark, di una disposizione totale nei suoi confronti, di una ricerca capillare dei materiali… Dopo la caduta dello scorso anno e il ritiro rimandato, l’obiettivo era solo questo. Ma serviva di più e in questo di più c’era il lavoro a stretto contatto con il suo coach storico.

Ex pro’, Vasilis Anastopoulos è oggi un preparatore affermato. Da anni lavora con Cav (foto Instagram)
Ex pro’, Vasilis Anastopoulos è oggi un preparatore affermato. Da anni lavora con Cav (foto Instagram)

Da corridore a coach

Originario del Peloponneso, Vasilis Anastopoulos oggi vive ad Atene, con la la moglie e i suoi due figli «Che – dice lui – sono i più grandi sostenitori miei e di Mark! Oltre al ciclismo seguo il calcio e sono un tifoso dell’Olympiakos. Il mio cognome è molto popolare in Grecia, poiché uno dei giocatori di calcio più famosi degli anni ’80, Nikos Anastopoulos, ha giocato per l’Olympiakos e anche in Italia, nell’Avellino». 

Non è cosa consueta vedere un greco al ciclismo di alto livello. In qualche modo Vasilis è stato un pioniere in tal senso. E’ stato infatti il primo ciclista greco a diventare professionista. Era il 2000 e firmò per la squadra austriaca, Vorarlberg. Ha corso fino al 2006 e nel 2003 ha vinto il Giro di Grecia. Dopo aver terminato la carriera Anastopoulos ha concluso i suoi studi all’Università, laureandosi in Scienze Motorie. Da lì è diventato coach della nazionale e man mano l’approdo nei team professionistici.

Saint Vulbas, ore 17,39 del 3 luglio 2024, Cavendish ottiene la 35ª vittoria al Tour de France e stacca Merckx
Saint Vulbas, ore 17,39 del 3 luglio 2024, Cavendish ottiene la 35ª vittoria al Tour de France e stacca Merckx
Vasilis, missione compiuta: ora che l’obiettivo è stato raggiunto: quanto credevi davvero fosse possibile? Oggettivamente era davvero difficile… 

Da novembre, da quando abbiamo iniziato a lavorare su Progetto 35, non potevo immaginare che Mark avrebbe ottenuto questa vittoria, era davvero lontana! Da allora abbiamo lavorato davvero tanto e non abbiamo mai smesso di credere che sarebbe stato possibile. Anche se in primavera abbiamo dovuto superare alcuni momenti difficili.

Ed è stato quello secondo te l’ostacolo più difficile in quest’ultimo anno?

Proprio la sua malattia a marzo. Quello è stato un periodo difficile che abbiamo dovuto gestire con molta attenzione, ma alla fine abbiamo modificato il suo programma di gare e siamo riusciti a rimetterlo in carreggiata.

Dopo tanto tempo, qual è secondo te un punto di forza e un punto debole del Cav?

I punti di forza sono il suo approccio mentale, la sua velocità, la sua potenza assoluta e la resistenza alla fatica. Per quanto riguarda una debolezza, direi il suo sistema aerobico, come per la maggior parte dei velocisti del resto.

Dopo la sua vittoria hai analizzato i suoi dati: com’è andata?

Quel giorno ha fatto uno dei suoi migliori sprint vincenti.

Come è iniziato il vostro rapporto di collaborazione?

Abbiamo iniziato a lavorare insieme nel dicembre 2020 quando lui si è riunito al gruppo Quick Step. La nostra collaborazione è continuata fino alla fine del 2022, quando poi lui è andato all’Astana e abbiamo ripreso a lavorare insieme in questa stagione, quando anche io sono arrivato in Astana (su richiesta di Cav, ndr).

Vi è mai capitato di litigare sui programmi o su alcune scelte? E se sì, quali?

Abbiamo iniziato la stagione con un ritiro in quota in Colombia e poi abbiamo fatto il Tour of Colombia, che è andato molto bene, dato che lì ha vinto una tappa. Successivamente si è ammalato, quindi abbiamo dovuto modificare il suo programma di gare, saltando alcune corse di un giorno in Belgio. Abbiamo aggiunto il Giro di Turchia nel suo piano, come parte della sua preparazione, ma abbiamo mantenuto il suo piano originale, come stabilito già a novembre, fino al Tour.. 

È insolito che un atleta, soprattutto uno di punta come il Cav, decida di venire in Grecia: perché? E quando tutto questo è iniziato?

Nell’aprile del 2021 gli ho chiesto di venire per un training camp ad Atene, così ha fatto e gli è piaciuto molto. Lì nessuno lo riconosce perché il ciclismo non è così popolare in Grecia e possiamo allenarci sulle strade che io conosco molto bene. Da allora è venuto in Grecia altre quattro volte e ogni volta organizziamo dei camp davvero di ottima qualità. C’è una serie su Netflix che rende bene l’idea…

Ad Atene spesso a fine allenamento Cav era stremato, voleva mollare, ma Vasilis insisteva (foto @nassostphoto)
Ad Atene spesso a fine allenamento Cav era stremato, voleva mollare, ma Vasilis insisteva (foto @nassostphoto)
Tecnicamente come hai impostato tutto il lavoro?

A seconda del periodo e delle esigenze del corridore modifico il mio programma ma mi piace mescolare le sessioni (base, potenza, sprint) e le componenti del fitness. Ad esempio lavoro sulla massima potenza e sugli sprint per tutto l’anno e non solo in periodi specifici. 

In queste bellissime storie ci sono sempre aneddoti particolari: qual è il tuo? 

Abbiamo trascorso molto tempo insieme in allenamento, sicuramente ci sono stati momenti in cui era stanco e non riusciva a finire una sessione di allenamento difficile. In quelle occasioni  ho dovuto spingerlo al limite, perché sapevo che poteva farcela. E lui si arrabbiava con me, ma poi era felice che avessi insistito per completare la sessione. 

Puoi raccontarci della giorno di Saint Vulbas?

Prima dell’inizio abbiamo discusso della possibilità di vincere e il direttore ha fatto un piano chiaro che tutta la squadra ha eseguito al meglio. Durante quella tappa ho fatto la ricognizione e ho passato tutte le informazioni aggiornate sulla direzione del vento, i punti pericolosi sulla strada… a Zanini e Renshaw che erano i direttori sportivi in ammiraglia. Successivamente mi sono seduto sul bus della squadra insieme ad Alex Vinokourov e ad altri membri dello staff per guardare gli ultimi 20 chilometri della gara. Devo dire che eravamo tutti davvero in ansia perché sapevamo di avere buone possibilità di vincere. L’ultimo chilometro è stato davvero stressante ma dopo aver tagliato il traguardo eravamo al settimo cielo a festeggiare sull’autobus. Per me è stato un enorme sollievo dopo una stagione molto difficile e un grande premio per tutto il duro lavoro che abbiamo svolto insieme in questi ultimi mesi. È stato un momento di pura gioia!

E la sera?

Ovviamente eravamo tutti molto contenti. Più tardi in serata, durante la cena, Mark ha tenuto un discorso e ha ringraziato tutti i corridori e lo staff che hanno creduto in lui e in questo progetto a cui tutti lavoriamo da novembre. Abbiamo bevuto dello champagne, ma a parte questo si vedeva che tutti erano davvero felici e sollevati perché la missione è compiuta!

Oldani ingoia il rospo e mette nel mirino il finale di stagione

25.07.2024
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Le energie fisiche e mentali che Stefano Oldani ha messo per prepararsi e migliorare la condizione per il mese di luglio sono state dirottate dal Tour de France ad altre corse. Il corridore della Cofidis sperava in una convocazione per la Grande Boucle, invece questa non è arrivata. Ma, al posto di scoraggiarsi, Oldani ha messo tutte le forze e la volontà in altri obiettivi. Voleva dimostrare di stare bene e far vedere che le ore spese tra ritiri e allenamenti avevano portato a qualcosa (in apertura foto Instagram). 

«La verità – racconta dalla Spagna tra una corsa e l’altra – è che mi sono preparato proprio bene nelle tre settimane passate a Livigno a giugno. La squadra ha deciso di non portarmi al Tour nonostante avessi una bella condizione, così ho cercato di sfruttarla il più possibile. Ho ottenuto tanti risultati, è mancata solamente la vittoria, ma penso di essermi superato. In alcune gare, specialmente in Francia al Tour de l’Ain, resistevo su percorsi duri e rimanevo davanti a giocarmi la vittoria».

Oldani (in seconda posizione) dopo il ritiro di giugno è rientrato alle corse al Giro di Slovacchia
Oldani (in seconda posizione) dopo il ritiro di giugno è rientrato alle corse al Giro di Slovacchia

Mancata occasione

Dalla mancata convocazione al Tour de France Oldani ha collezionato sette top 10 su nove gare. Il riscatto c’è stato, ma è mancata la vittoria, sfumata per poco in Francia e ancora inseguita.

«E’ mancato un po’ il momento tattico – spiega il lombardo – per usare un termine più edulcorato. Alla fine ho perso due occasioni importanti ma nel complesso mi sono comportato bene. Anche alla prima delle due gare qui in Spagna, la Castilla y Leon, ho provato ad anticipare ma c’era poco spazio. I velocisti hanno fagocitato la corsa. Oggi alla Prueba Villafranca le chance per me aumentano, il percorso si avvicina tanto alle mie caratteristiche».

Nella prima volata del Tour de l’Ain è arrivato sesto (foto Instagram)
Nella prima volata del Tour de l’Ain è arrivato sesto (foto Instagram)
Che sentimento ti ha smosso la mancata convocazione al Tour?

Ho voluto dimostrare di esserci. E’ stato un anno difficile il 2024, dalla caduta di gennaio a Marsiglia mi sono sempre trovato a rincorrere. Solo da dopo il Giro d’Italia ho ritrovato le sensazioni giuste. Crescevo e trovavo sempre più il mio livello e la gamba giusta per battagliare in testa alla corsa. L’esclusione dal Tour è diventata una sfida personale. 

Per dimostrare di esserci.

Far vedere che quando mi impegno e mi alleno bene posso dire la mia. Ora però mi serve staccare un attimo e ripartire. Devo capire con la squadra quando potermi prendere una pausa. E’ da gennaio che non riposo un po’ e mi serve recuperare, più per la testa che per le gambe. 

Fermarsi per poi ripartire più forte?

Voglio fare un bel finale di stagione con le gare del calendario italiano. Mi piacerebbe, dopo il periodo di riposo, ripartire e costruire di nuovo la gamba in altura. 

L’esclusione dal Tour ha portato dei buoni risultati in altre corse, alla Grande Boucle non sarebbe stato facile trovare le stesse occasioni…

Nel roster della mia squadra mi sarei visto bene, penso che ne avrebbero tratto un vantaggio dalla mia presenza. Con il senno di poi l’esclusione mi ha permesso di ritrovarmi e ottenere dei risultati importanti.

Oggi si chiude una breve parentesi spagnola con la Prueba Villafranca
Oggi si chiude una breve parentesi spagnola con la Prueba Villafranca
Niente Vuelta in programma?

No, con la squadra non era in calendario. Sarebbe diventato difficile prepararla al meglio. Dopo il Giro, che è andato come avete visto e l’esclusione dal Tour non ci sono altri grandi Giri in programma. Il focus è sul finale di stagione in Italia. 

Quale gare ti intrigano?

Ce ne sono tante: Peccioli, Toscana, Agostoni, Bernocchi e quelle in Veneto. All’Agostoni nel 2022 ho fatto decimo perdendo il momento giusto nel finale. Lo stesso anno alla Bernocchi sono arrivato terzo… L’obiettivo è vincere, come sempre, ma mi piacerebbe creare la giusta condizione per poi essere presente in testa alla corsa. Se corri davanti le probabilità di vincere si alzano.

Ultima crono (dura): specialisti in crisi, comandano le gambe

25.07.2024
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Si avvicina a grandi passi l’appuntamento olimpico, ma prima di chiudere la porta sul Tour, vogliamo condividere con voi alcuni approfondimenti. Uno riguarda la cronometro di Nizza, che ha suggellato il podio francese e a ben vedere avrà riflessi anche sulle sfide olimpiche di sabato. E’ singolare e insieme indicativo che il podio dell’ultima tappa abbia ricalcato alla perfezione quello finale. Evenepoel è stato al di sotto dei suoi standard di specialista? Va bene Pogacar, ma Vingegaard così forte era prevedibile anche contro il tempo?

A Nizza c’era anche Marco Pinotti, allenatore del Team Jayco-AlUla, che in carriera ha vinto per due volte l’ultima crono del Giro. Nel 2008, battendo Tony Martin a Milano su un percorso velocissimo: 51,298 di media. Nel 2012, battendo Geraint Thomas ancora a Milano, a 51,118 di media. Proprio in quest’ultimo caso, la maglia rosa si giocò in quell’ultima tappa, con Hesjedal che recuperò i 31 secondi di ritardo da Purito Rodiguez e conquistò il Giro con vantaggio finale di 16 secondi. Ugualmente, nella classifica di tappa finirono 6° e 26°.

«Il percorso dell’ultima crono – dice Pinotti – era meno adatto a Remco, rispetto a quella che ha vinto nella prima settimana. Era una crono dura e lui è finito terzo, perché ha perso la maggior parte del tempo nella prima parte, quella in salita. Nella parte finale invece, sei minuti tutti in pianura, lui ha fatto il miglior tempo. Secondo Campenaerts, terzo Matthews. Sesto in quel tratto è stato Vingegaard, mentre Pogacar addirittura ottavo o nono, però lui negli ultimi due chilometri ha rallentato. Quindi un parziale in linea con quello che ci saremmo aspettati in una crono piatta, cioè Remco più veloce».

Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Invece nei tratti precedenti?

Dal secondo al terzo intertempo c’era la discesa e Pogacar ha fatto il miglior tempo, perché abita lì. Jorgenson il secondo. Almeida, Buitrago e Tejada hanno fatto una bella discesa perché si giocavano il piazzamento. Sono andati bene anche Ciccone e Matthews, gente che ci vive o che ci ha vissuto. Remco è andato come Yates, che era in ritardo ai primi intermedi ma sempre intorno all’ottavo, nono posto e nell’ultimo tratto è scivolato tutto indietro. Nel senso che era in ritardo in salita e una volta che si è reso conto di non poter vincere la crono, non ha preso rischi. Si è visto che in discesa non era proprio lineare nelle curve.

Quindi un risultato che si poteva scrivere anche prima che corressero?

Alla fine di un Grande Giro è sempre così, quelli di classifica sono più performanti. Primo, perché ultimamente dedicano anche loro tanto tempo all’allenamento e all’aerodinamica. E poi perché quel percorso ha penalizzato gli specialisti. Campenaerts nell’altra crono era arrivato 5° a 52″ da Evenepoel: a Nizza invece è finito 13° a 3’14” da Pogacar. La prima non era una crono piatta, però Evenepoel l’ha fatta a 52,587 di media. A Nizza, Pogacar ha fatto 44,521, vuol dire che è stata dura. Quindi è normale che siano arrivati davanti quelli di classifica, che avevano più riserva. Specialisti non ce n’erano, tranne Campenaerts e Sobrero. Matteo mi ha detto di averla fatta a tutta. E’ arrivato 19° e con le forze che gli erano rimaste si è preso quasi 4 minuti.

In conferenza stampa Remco ha detto che la discesa era troppo pericolosa e avendo l’obiettivo delle Olimpiadi non ha voluto rischiare.

Può essere, perché la discesa non era semplicissima. Se uno abita lì e va a farla cinque volte al mese, è un’altra cosa. Non era pericolosa, però c’erano tantissime curve, dove se sei sicuro di poter lasciare i freni, guadagni 13-14 secondi. Invece nell’altra crono, Remco aveva fatto una bella discesa, perché magari l’aveva vista 2-3 volte come gli altri. E poi a Nizza, una volta che non aveva il miglior tempo in salita, cosa aveva da guadagnare a rischiare? Il terzo posto era consolidato e il secondo irraggiungibile. Avrà visto negli intertempi dov’era rispetto a Vingegaard, ha capito che la crono non la vinceva e ha deciso di non prendere rischi.

Secondo te chi ha puntato al cambio di bici ha fatto un passo falso?

C’era una strategia alternativa possibile: partire con la bici da strada e cambiarla in cima alla seconda salitella. Però c’erano 3 chilometri piatti all’inizio e già lì, con la bici da crono rispetto a quella da strada, guadagnavi minimo 15 secondi. Poi speri di riguadagnarli in salita con la bici più leggera? Può essere, ma sulla prima salita andavano a 24 di media, Pogacar anche a 28. A quelle velocità la bici da crono è ancora vantaggiosa. Altra cosa: noi abbiamo avuto da poco la bici da crono con i freni a disco. E se c’è un feedback che tutti mi hanno dato è di trovarsi meglio come guidabilità anche rispetto alla bici da strada. L’unico svantaggio resta il peso, perché una bici da crono pesa mediamente un paio di chili in più.

Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Uno svantaggio che riesci a colmare con le velocità?

Vi faccio questo esempio. Io ho seguito Durbridge e avevamo davanti Silvan Dillier, che correva con la bici da strada e non andava certo a spasso. Vedendo come muoveva le spalle, si stava impegnando. Durbridge è andato regolare, eppure gli è arrivato sotto già sulla prima salita. Poi ha recuperato e in discesa Dillier con la bici da strada ci ha staccato perché noi siano andati prudenti. Ma quando siamo arrivati alla parte in pianura finale, si è messo a ruota irrispettoso delle regole, ma dopo un chilometro si è staccato. Lottavano per il 50° posto quindi non so neanche se avrà preso la penalità, però è stato divertente vedere questa differenza. Storia simile con Yates.

Cioè?

Ho seguito anche Simon e davanti a lui è partito Gall, che era 13° in classifica e ha scelto la bici da strada. Mi è sembrata una scelta assurda. Infatti, nonostante Yates avesse la bici da crono, lo ha preso sulla prima salita. L’ha passato in discesa e Gall non è più rientrato. E proprio a causa della crono ha perso una posizione. L’anno scorso a Combloux fu diverso, perché la crono era divisa in due: prima la pianura e poi quasi tutta salita. Però quando la velocità media è sopra il 23-24 all’ora, io prendo sempre la bici da crono.

I ragazzi ti hanno spiegato perché con i freni a disco la bici si guida meglio? 

Prima quando avevi i freni rim e le ruote lenticolari o in carbonio, la frenata non era lineare. Adesso con i dischi è come sulla bici da strada. Prima era un problema cambiare da un giorno all’altro. Adesso frenano allo stesso modo, è un passaggio naturale. Corridori come Sobrero avevano la sensibilità per passare senza problemi da una all’altra, però la maggior parte è contenta di questo cambiamento. Adesso usano la stessa forza, staccano alla stessa distanza dalla curva e la frenata è più lineare.

Cambiando argomento, in casa UAE Emirates hanno sottolineato l’importanza della doppia guarnitura 46-60 con 11-34 dietro: perché secondo te?

Partiamo col dire che a Nizza serviva la doppia corona, la mono non andava bene. Se avessi dovuto scegliere, avrei voluto un 60-44, che per noi non era disponibile. Noi avevamo il 58 come corona più grande, l’ideale sarebbe stato un 60 o un 62, perché gli ultimi chilometri erano proprio veloci. Perciò Pogacar con il 60 è andato bene e in salita con il 46×34 era giusto. Secondo me aveva il 46-60 perché il limite del salto tra le due corone sono 14 denti. Io ho chiesto di avere il 44-60: se riescono, siamo a posto perché avremmo una copertura più grande di percorsi. Il 46×34 lo spingi bene, ma idealmente sarebbe meglio avere il 44×30, così ho una scala più lineare. Se metto il 34, uno fra il 17 e il 19 devo tenerlo fuori, invece con il 30 potrei rimetterlo. Però comunque il 46-60 è stato una buona scelta.

Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Perché è stato giusto non usare la monocorona?

Si può usare quando c’è una strada molto veloce o una discesa. Però di solito, se c’è una discesa, prima c’è stata una salita. E se, come in questo caso, non è pedalabile, allora ti serve la doppia corona. Non puoi correre con il 62×38. Anche perché se usi il 62, già passare dal 13 al 14 è un bel salto rispetto a quando hai il 53. Se poi mi togli anche dei rapporti dietro e ne fai due ogni volta per montare il 38, finisce che ti serve anche una catena lunga un chilometro… Io sono più un fan della doppia corona.

Dipende anche dai percorsi?

Ormai mettono sempre sia la salita ripida che la discesa veloce, quindi devi avere l’opzione di due corone. La mono va bene nella crono di Desenzano al Giro, ma già in quella di Perugia secondo me non andava (Pogacar che ha vinto aveva la doppia, Ganna che ha fatto secondo aveva la monocorona, ndr). Le crono più belle in un Giro sono quelle dove ci sono salita e discesa. Diverso magari se si parla di una crono dei mondiali o delle Olimpiadi.

Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
L’anno scorso ai mondiali, la salitella al castello di Stirling premiò Evenepoel e penalizzò Ganna…

Sono scelte che fanno in base ai posti che devono raggiungere, cercando di non favorire i passisti o gli scalatori. Le Olimpiadi ad esempio quest’anno strizzano di più l’occhio agli specialisti, ma non so con quale criterio l’abbiano disegnata così. Chi organizza fa una proposta. Poi c’è una commissione che approva e penso che scelgano un percorso che possa creare la massima indecisione nella vittoria. In un Giro invece è diverso. E soprattutto la crono finale, se la fai dura, sai già che arriveranno davanti quelli di classifica. Al netto di ogni ragionamento, è così che va a finire.