Pirelli P Zero Race: nuova era della velocità

15.03.2021
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Embargo fino al 15 marzo (oggi) alle 14,30: gli amici di Pirelli sono stati chiari. Poco male, pensiamo, c’è più tempo per capire come sono fatti i nuovi P Zero Race. Ci hanno chiesto di sceglierne un tipo e francamente non è stato facile, fra un modello da gara e uno da allenamento. Alla fine però ha prevalso l’anima corsaiola ed ecco qui questi nuovi copertoncini con sezione da 26, disponibili tuttavia anche da 28 e 30. Abbiamo scelto di montarli e scoprirli presso un’officina Pirelli, Cicli Antonelli di Villanova, per avere il riscontro di chi maneggia questi prodotti già da un po’.

Test WorldTour

Quando sviluppi un prodotto da gara, devi per forza sapere che cosa ne pensino i corridori. Così i test sulla nuova gamma sono iniziati da tre anni a questa parte. Ricordate il mondiale di Harrogate, con il sole al sabato e il diluvio la domenica? Anche lì i corridori della Trek-Segafredo, della attuale Team Bike Exchange e della AG2R furono pregati con preghiera di riservatezza di dire che cosa ne pensassero.

La versione che abbiamo ricevuto è quella con sezione da 26 e peso di 205 grammi
La versione che abbiamo ricevuto è quella con sezione da 26 e peso di 205 grammi

Tubolari addio?

Come annunciato anche da altri marchi concorrenti nei primi giorni di gare in Belgio, Pirelli punta a rendere più affidabile e performante il pneumatico con camera d’aria, cercando di voltare la pagina sui tubolari. Non è stato semplice però, i test come detto sono andati avanti per tre anni e la ricerca ha portato all’impiego della nuova mescola SmartEVO e alla concezione della struttura TechBELT.

La struttura Tech Belt, con uno strato al di sotto della mescola, riduce il rischio foratura
La struttura Tech Belt, con uno strato al di sotto della mescola, riduce il rischio foratura

Gomme da gara

Una volta montati su cerchi con il canale largo, la sensazione è quella di una consistenza da gomma da corsa per auto. E il perché è presto detto. Il nuovo compound SmartEVO utilizza una mescola di 3 diversi polimeri, ognuno dei quali fornisce prestazioni specifiche e garantisce un perfetto equilibrio di caratteristiche, come grip e scorrevolezza. Per ottenere la composizione voluta, Pirelli ha sfruttato la sua eccezionale esperienza sviluppata in oltre 100 anni di corse nel modo dei motori e ha individuato una miscela di polimeri con caratteristiche di comportamento “intelligenti”. Ottenendo una superiore aderenza su asciutto e bagnato e riduzione della resistenza al rotolamento

Ecco la tabella pressioni in base al peso
Ecco la tabella pressioni in base al peso

Anti foratura

La struttura Tech Belt è ciò che rende il P Zero Race anche più resistente alle forature. Trattandosi di una gomma da gara, va da sé che il ritardo causato dal dover cambiare la ruota costituisca un imprevisto da esorcizzare.

La carcassa da 120 tpi è stata resa pertanto più resistente grazie a uno strato aggiuntivo di tessuto sottostante la mescola, appositamente studiato per aumentare la protezione alla foratura in diverse condizioni di utilizzo. Nonostante questo, il peso della gomma è di 205 grammi, che sale a 245 con sezione da 30.

Al Team Bike Exchange si preparano le ruote della crono, con copertoncini Pirelli
Al Team Bike Exchange si preparano le ruote della crono, con copertoncini Pirelli

Pressioni inferiori

La sezione maggiore del copertoncino permette pressioni inferiori, come nell’orientamento di questa fase utilizzando cerchi dal canale largo. Scordatevi i gonfiaggi a 9 atmosfere e fidatevi della tabella fornita da Pirelli, con pressioni fino a 8 bar per atleti di 85 chili, ma inferiore ai 7 per corridori sotto i 70 chili e sotto agli 8 per quelli fino agli 85.

Ruote montate con i nuovi P Zero Race, si può partire per il test
Ruote montate, si può partire per il test

Casi estremi

Ovviamente poi la casistica è ampia. La stessa Pirelli suggerisce di diminuire di 0,3 bar all’anteriore se si va in cerca di comfort, mentre per la guida aggressiva sarà meglio non avere differenze fra le due ruote. Altra variabile da considerare invece è la pioggia o il freddo sotto i 7 gradi, nel qual caso può essere utile ridurre la pressione di 0,3 bar in entrambe le ruote.

La guida conferma le sensazioni del primo sguardo, con un appoggio clamoroso nelle curve veloci e la grande scorrevolezza. Ma il parere che davvero conta è quello dei corridori. E non c’è nessuno nelle squadre che li usano ad aver storto il naso.

Vision con Bike Exchange. E Durbridge ringrazia…

20.02.2021
4 min
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Il Team Bike Exchange, che nel 2020 si era affidato a Shimano, passa al marchio Vision per la fornitura di ruote da crono. I primi test sono stati positivi, visti i due podi nelle crono ai campionati nazionali australiani, ottenuti da Luke Durbridge (foto di apertura) e Grace Brown fra le donne. La notizia dell’accordo è uscita in extremis e coincide probabilmente con il passaggio alla guida del team di Brent Copeland, che con Vision aveva collaborato e anche bene nei suoi anni come team manager al Team Bahrain.

«In questa importante disciplina, ogni secondo conta – ha detto Darach McQuaid, presidente del team – e i guadagni marginali che le ruote Metron di Vision offriranno ai nostri ciclisti saranno un altro elemento decisivo nel nostro obiettivo di vincere le gare più grandi del mondo».

Un altro bel traguardo raggiunto nel WorldTour per l’azienda, che sponsorizza ancora il team Bahrain Victorius e il team EF Education-Nippo. Noi di bici.PRO abbiamo fatto una chiacchierata con Claudio Marra Vice Presidente globale FSA e Vision per scoprire qualche dettaglio in più…

Per l’anteriore, le Metron 81 SL. Al posteriore le Metron Disc (foto GreenEdge Cycling)
Per l’anteriore, il team userà le Metron 81 SL (foto GreenEdge Cycling)
Come è nata la collaborazione con il Team Bike Exchange?

E’ semplice, la squadra ci ha contattato per migliorare l’aspetto tecnico nelle prove contro il tempo. Non è stato difficile decidere, siamo stati ben felici di fornire i nostri materiali a un team cosi ben organizzato.

E’ una bella opportunità, il team Bike Exchange vanta la presenza di corridori molto esperti nelle prove a cronometro, vi hanno fatto qualche richiesta in particolare?

No, gli abbiamo fornito il materiale e i primi riscontri ottenuti sono stati positivi. Abbiamo però cercato di adattare al meglio le ruote in base alla struttura dei loro telai.

Che cosa significa adattare le ruote in base alla struttura dei telai?

Significa cercare l’allineamento corretto tra la ruota, la forcella e il carro posteriore, al fine di favorire al meglio la scorrevolezza, senza tralasciare l’aspetto pratico dello sgancio rapido. La cura dei dettagli ci stimola ad aumentare la qualità dei nostri materiali.

Ecco la Bianchi da crono in uso al Team Bike Exchange
Ecco la Bianchi da crono in uso al Team Bike Exchange
Avete cercato di migliorare qualche dettaglio delle ruote?

Certo, abbiamo utilizzato un tipo di cuscinetto che non necessita di alcun lubrificante o olio per la scorrevolezza. Comparando i risultati ottenuti con quelli precedenti, ci siamo accorti di aver migliorato la performance. Siamo soddisfatti.

Che tipo di ruote utilizzeranno gli atleti?

Le Metron 81 SL per tubolare, che hanno un profilo da 81 mm e sono realizzate esclusivamente a mano. Lo stesso vale per la lenticolare Metron Disc realizzata a mano, in carbonio e con un peso di 1.050 grammi.

Testate le ruote anche nella galleria del vento?

Assolutamente, cerchiamo di perfezionarci e di innovarci sempre.

Nella gara delle donne, Grace Brown ha ottenuto il 2° posto a 17″ da Sarah Gigante (foto GreenEdge Cycling)
Nella gara delle donne, Brown al 2° posto (foto GreenEdge Cycling)

Ai campionati australiani a cronometro, conquistato dal giovanissimo e fortissimo Plapp, Durbridge non è riuscito a vincere per una serie di contrattempi legati alle normative anti Covid e ad un caso di positività dopo il Santos Festival of Cycling di Adelaide, che hanno reso il suo avvicinamento parecchio complicato. In sostanza, l’aumento delle restrizioni ai confini per chi proveniva da altri Stati hanno fatto sì che Luke sia arrivato giusto in tempo per partire nella crono.

«E’ stato stressante – ha raccontato Durbridge a Cyclingnews – ma in questi tempi di Covid è quello che devi fare e abbiamo agito abbastanza rapidamente e chiesto un’esenzione. Sono stato così fortunato che me ne hanno concessa una sottoponendomi a ogni test possibile, ma certo sono state 48 ore molto stressanti. E il secondo posto era tutto ciò che avevo nelle gambe».

Il Team Bike Exchange in ritiro con abbigliamento Giordana

Giordana, ecco come si vestono Yates e Fuglsang

04.02.2021
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Continuiamo il nostro viaggio nel mondo delle aziende che riforniscono i professionisti. Questa volta abbiamo sentito Giordana e nello specifico Giorgio Andretta, fondatore e titolare dell’azienda. Il marchio italiano collabora con il Team Astana e il Team Bike Exchange (foto in apertura).

Misure personalizzate

Sempre più spesso le aziende ci dicono che i professionisti vengono equipaggiati con prodotti che sono uguali a quelli che si trovano in commercio. Vediamo se anche per Giordana vale lo stesso approccio.
«Tutti i materiali che usano i professionisti sono gli stessi che si trovano nelle nostre linee rivolte ai ciclisti normali – esordisce Giorgio Andretta – quello che facciamo è personalizzare le misure. Diciamo che i professionisti sono talmente magri che di partenza riduciamo tutto di una taglia rispetto al normale».

L’obiettivo di Giordana è quello di soddisfare al meglio le esigenze dei corridori: «Alcuni ragazzi hanno delle misure particolari e in questi casi andiamo a realizzare dei capi su misura, però i materiali sono quelli che trovi in negozio nelle nostre linee top di gamma».

Astana in ritiro invernale 2021
Il Team Astana in ritiro con le nuove divise Giordana (Credit @gettysport)
Astana in ritiro invernale 2021
Il Team Astana in ritiro con le nuove divise Giordana (Credit @gettysport)

In galleria del vento

Il punto su cui Giordana lavora molto è la ricerca e sviluppo di nuovi materiali e in questo campo i professionisti giocano un ruolo attivo.
«Tutti i capi che produciamo vengono testati in galleria del vento – ci spiega Andretta – dal body fino al giubbino invernale. Nello sviluppo dei nuovi prodotti cerchiamo sempre di soddisfare le richieste che i corridori ci fanno».

Un esempio che il titolare di Giordana ci ha fatto riguarda la membrana che viene usata per i giubbini invernali, che è molto traspirante, ma è poco elastica ed è difficile realizzare capi attillati: «Per ovviare a questo inconveniente sui punti meno traspiranti mettiamo un tipo di membrana che è più ergonomica e rimane più aderente al corpo, in questo modo favoriamo l’aerodinamicità del capo».

I pro’ come tester

A conferma del ruolo fondamentale dei professionisti nello sviluppo dei nuovi materiali Giorgio Andretta ci ha spiegato che: «Tutte le linee di abbigliamento sono derivate dai professionisti. Usiamo i corridori come tester, perché loro richiedono delle cose particolari e le mettono sotto torchio per bene. Possiamo dire che se vanno bene a loro, vanno bene a tutti».

Ma la fase di test non si limita solo ai professionisti.
«Oltre ai corridori usiamo come tester anche alcuni amatori evoluti e una serie di ambassador che abbiamo sparsi per il mondo. Questo ci permette di adattare i nostri capi anche a fisionomie ed esigenze diverse rispetto alle nostre».

Team Bike Exchange donne 2021
Giordana rifornisce anche il Team Bike Exchange femminile
Team Bike Exchange
Giordana rifornisce anche il Team Bike Exchange femminile

Ricerca e professionisti

Possiamo dire che i professionisti riforniti da Giordana partono a inizio stagione con materiale che è uguale a quello che si trova in commercio e durante l’anno testano nuove soluzioni tecniche, che una volta approvate vengono immesse nelle collezioni dell’anno dopo. E’ un circolo virtuoso che vede al centro di tutto la ricerca e i professionisti.

Giorgio Andretta ci ha raccontato un paio di aneddoti per farci capire meglio come funziona lo sviluppo dei prodotti.
«Di recente volevo cambiare il fondello per migliorarlo. Quando l’ho comunicato alle squadre mi hanno detto tutti di non farlo, di lasciarlo così com’è perché va benissimo – e poi aggiunge – noi non facciamo molti tipi di fondelli, ne abbiamo due modelli per uomo e due da donna. Il segreto di un fondello è la semplicità, deve essere morbido, elastico e deve traspirare. Noi incapsuliamo all’interno del filo del tessuto che va a contatto della pelle dell’Aloe vera, che è antibatterica, rinfresca ed è anche lenitiva».

Astana abbigliamento Giordana
Un capo importantissimo è il pantaloncino soprattutto il fondello (Credit @gettysport)
Abbigliamento Giordana
Un capo importantissimo è il pantaloncino soprattutto il fondello (Credit @gettysport)

Materiali diversi

E poi ci sono i body da cronometro e da tutti i giorni.
«Il body da cronometro è arrivato ad uno sviluppo altissimo, sono testati in galleria del vento e devono essere pensati per fornire la massima velocità per un tempo di utilizzo limitato. Discorso diverso per il body per le gare normali. Non si possono usare gli stessi materiali, perché i ragazzi lo devono usare per diverse ore al giorno. Per le gambe usiamo dei materiali leggerissimi che forniscono anche una compressione graduata che aiuta il recupero – e poi continua Andretta – mentre per la parte alta usiamo dei materiali più traspiranti e più morbidi rispetto al body da cronometro proprio per dare più comfort».

Kevin scalda i motori per il debutto negli Emirati

03.02.2021
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Kevin Colleoni – come pure Filippo Conca, suo… gemello per tre anni alla Biesse-Arvediè tornato da poco dal primo training camp tra i professionisti. Anche lui in Spagna e anche lui in una squadra WorldTour, il Team Bike Exchange, dopo aver optato in un primo momento per la Androni Giocattoli-Sidermec. E le cose sono andate bene, forse meglio di quanto si aspettasse.

Di lui avevamo parlato nei giorni scorsi con Imelda Chiappa, sua madre, ricordando le origini della passione per la bicicletta, ma ora che il bergamasco sta muovendo i primi passi nel ciclismo che conta, la palla passa a lui e presto anche le sue esperienze agonistiche saranno sempre più lontane da quelle della mamma argento olimpico.

Kevin Colleoni, Giovanni Aleotti, Aprica, Giro d'Italia U23 2020
Kevin con Aleotti al traguardo di Aprica, dopo aver provato a far saltare il banco del Giro d’Italia U23 sul Mortirolo
Kevin Colleoni, Giovanni Aleotti, Aprica, Giro d'Italia U23 2020
Ultima tappa del Giro U23, Kevin con Aleotti, dopo l’attacco sul Mortirolo
Vi eravate già incontrati con la squadra?

Ci eravamo già visti a Varese alla fine dell’anno per fare le visite e prendere le bici, ma il ritiro è stato una nuova dimensione. Ci siamo trovati a Oliva, dopo che l’anno scorso con la Biesse eravamo stati in Liguria.

La differenza principale?

In Liguria era comunque freddo, meno che a Bergamo ma freddo. In Spagna ci si allena in pantaloncini, che fa una bella differenza.

Un salto nel buio?

Conoscevo soltanto Konychev, ma ero in camera con Tsgabu Grmay. Quello che è saltato subito agli occhi è stata la diversa organizzazione. Anche il modo di allenarci mi ha colpito, dovuto forse al fatto che dovevamo iniziare fra Mallorca, Murcia e la Valenciana, che sono saltate, per cui inizialmente abbiamo fatto tante ore ma senza lavori specifici, che sono iniziati in un secondo momento.

Ti hanno assegnato un preparatore con cui lavorare?

Marco Pinotti, che non conoscevo di persona, ma abita a 15 chilometri da casa mia. E’ bravo, si vede che ha esperienza. Abbiamo fatto dei test sulla bici da crono nel velodromo di Valencia, ma prima di arrivarci abbiamo fatto la posizione sui rulli, quindi una fase di adattamento su strada e il riscontro finale in pista. Rispetto allo scorso anno, credo di aver mantenuto uguale soltanto l’altezza di sella, per il resto fra la Pinarello e la Bianchi del team ci sono angoli diversi e di conseguenza anche la posizione non sarà identica.

Nel velodromo di Valencia, anche per Kevin la fase finale dei test per la crono
Nel velodromo di Valencia la fase finale dei test per la crono
Hai parlato di lavori specifici…

Quando ho cominciato mancava un mese alla prima corsa, che per me sarà lo Uae Tour (21-27 febbraio, ndr) e oltre al fatto di aver aumentato le ore, i lavori sono diversi da quelli che facevo prima. Le ripetute sono di più e più lunghe. I lavori di 10 minuti ora sono di 20, con diversi tempi di recupero.

Hai già a casa la bici da crono?

Sì, in realtà ce l’avevo anche l’anno scorso e un po’ la usavo, ma ad esempio mai per fare lavori specifici. In ritiro, tolta la fase in pista, la abbiamo usata durante i lunghi per provare la posizione. Se capitava di fare un’uscita di 7 ore, ci mettevamo dentro una porzione sulla bici da crono. Ma con Pinotti questo è un fronte su cui lavorerò tanto.

Cosa ti è parso dell’ambiente?

Siamo tanti, ma credo di aver conosciuto quasi tutti. Nessuno se ne stava sulle sue. Con Yates ho cenato una sera allo stesso tavolo ed è parso di parlare con un amico, nonostante fosse la prima volta. Chaves si vede che è una brava persona e anche alla buona. Vederli lì accanto le prime volte un po’ è stato emozionante.

Brent Copeland, che è il manager del team, parlando di te ha individuato da subito un probabile futuro nelle corse a tappe.

E’ quello di cui abbiamo parlato, confermo. E il mio calendario infatti avrà soprattutto corse di questo tipo, sia pure minori. E’ chiaro che andrò soprattutto per fare esperienza, ma con l’idea di mettermi alla prova. Cominciamo dallo Uae Tour, non vedo l’ora.

Imelda d’Atlanta, mamma di Kevin

01.02.2021
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Imelda sfrecciò sul traguardo di Atlanta con lo sguardo sfinito e l’argento olimpico al collo. Chi c’era ricorda che la bergamasca non sapeva se gioire o prendere a pugni il manubrio. La Longo e il suo oro erano sempre rimasti a tiro, ma non c’era stato verso di acchiapparla. In volata, sarebbe stato quasi certamente trionfo azzurro, dopo gli ori su pista di Martinello, Collinelli e Bellutti e a quello della mountain bike di Paola Pezzo.

Sono passati 25 anni, su Atlanta e quel clima surreale di controlli e antiterrorismo è stato girato anche un film, mentre Imelda Chiappa è mamma di due figli. Uno grande, che dello sport non ha mai voluto sentir parlare. E uno un po’ più piccolo, nato agli sgoccioli della sua carriera, che è appena passato professionista al Team Bike Exchange: Kevin Colleoni.

A voi non è ancora venuta la curiosità di sapere in che modo le loro storie ciclistiche si siano intrecciati a quella familiare, da quando Imelda ha passato il testimone?

«In realtà – sorride lei – io non ho mai smesso. Al di fuori del periodo stretto della maternità, ero un’atleta e fino al settimo mese ero in palestra. Ho sempre fatto sport. Con il primo figlio ho corso per sette anni. Quando poi è nato Kevin, ero tesserata con l’Edil Savino. Dissi che avrei corso per capire se fossi ancora all’altezza, ma mi sarei fermata se avessi avuto un altro bimbo. E così fu. Con il primo mi ero reso conto di quanto fosse complicato fare la mamma e anche l’atleta, così decisi di dedicarmi alla famiglia. Ma non ho rammarichi. Negli anni successivi non ho mai partecipato a una Gran Fondo, ma esco tutti i giorni, salvo che non ci sia qualche impegno. Vado con i soliti amici e con il solito agonismo. Se vedo un uomo, devo staccarlo. Non vado affatto piano…».

Nel 2020 ha seguito Kevin quando si è potuto, compreso il Giro
Nel 2020 ha seguito Kevin quando si è potuto, compreso il Giro
Sempre così motivata?

Ho iniziato tardi, a 16 anni, anche per un incidente che da ragazza mi costò tibia e perone. Ho vinto 94 gare da elite, si vede che ero portata per questo sport. Ma prima non sapevo che ci fosse il ciclismo anche per le donne. Andavo al bar della Roberta Bonanomi con mio padre e lei aveva già cominciato. Così ci provai anch’io. Qualsiasi sport facessi ero molto competitiva, sempre in lotta con i maschietti. Ai Giochi della Gioventù era sempre una battaglia. Non c’è mai stato un giorno senza sport. Per cui quando ho cominciato, ero già pronta. Dovevo solo imparare ad andare in bicicletta. Ero davvero imbranata. Facevo le curve con il pedale giù e cadevo. Ci andavo in bici, ma con quella da donna.

C’è qualche vittoria che ricordi più delle altre?

Tutte belle, perché me le sono sempre sudate. Mi piaceva attaccare. Il mio diesse Sottocornola faceva le tattiche, ma si rendeva conto che fosse impossibile gestirmi. Ne ridiamo ancora. Quando poi ero con la nazionale, esageravo sempre. Ma era un altro ciclismo. Mi allenavo da me, non ho avuto il cardio se non gli ultimi due anni. Quando arrivò come tecnico Broccardo, ci portò qualche volta a Roma all’Acqua Acetosa per fare dei test. Ero uno spirito libero. Con le preparazioni mirate, avevo due picchi all’anno e andavo forte, ma mi logoravano psicologicamente, perché a me piaceva andare forte sempre.

E Kevin come fa?

Lui è nato in questo tempo, in cui tutti lo fanno, per cui immagino che lo trovi normale. Ha iniziato a farlo come lavoro solo da poco, finché c’è stata la scuola si allenava il giusto. Ha debuttato a 6 anni, dopo che suo fratello Maurizio non aveva voluto saperne.

Ai mondiali di Capo d’Orlando del 1994 va in fuga e alla fine arriva il 5° posto
Ai mondiali di Capo d’Orlando del 1994 va in fuga e alla fine arriva il 5° posto
Lo mettesti tu sulla prima bici?

In realtà no. C’era un signore anziano che lo invitava tutti gli anni a mangiare il panettone. Io gli proponevo di fare altri sport, un anno gli proposi anche di fare danza e dovreste vedere con quale sguardo mi chiese se fossi impazzita. Kevin non ha mai voluto fare altro al di fuori della bici, ad eccezione del nuoto cui l’ho obbligato per due anni.

E’ andato subito forte?

In realtà era tanto piccolino, come me. Poi ha iniziato la crescita e ha cominciato a far vedere che c’era. Fino ad allievo è stato con me alla Caluschese, lo allenavo io perché ho il secondo livello. Non abbiamo mai preteso che dovesse vincere e nessun genitore si permetteva di sgridare i ragazzi per i loro risultati. Fino a un certo punto devono maturare, ma per come va oggi, se non pedali non trovi nemmeno squadra da junior. Non a caso, di tutti quelli che erano allievi con Kevin, è rimasto soltanto lui. Ma non si tratta di vincere, quanto di dimostrare che ci sei. Mio figlio non è mai stato uno che vinceva corse a palate, da junior ha vinto appena una cronoscalata battendo Bagioli.

Quanto hai potuto raccontargli della tua storia oppure quanto ti ha chiesto lui?

Non è che parli molto, come me. Gli piace stare in silenzio, ascoltare. A casa ho le mie maglie appese, ma ogni volta che provavo a raccontargli qualcosa, mi zittiva. Gli piaceva correre, non guardare il ciclismo in tivù. Quello che gli ho trasmesso è che il ciclismo è un impegno che va mantenuto, ma non è mai andato in giro a vantarsi della mamma. Semmai erano gli altri che glielo dicevano.

Giro d’Italia del 1998, Imelda tricolore accanto a Fabiana Luperini, che vincerà la rosa
Giro 1998, Imelda tricolore accanto a Luperini
Uscite ancora in bici assieme?

Fino da allievi sempre, adesso è antipatico. Parte subito a tutta e io sono già in affanno, ha il passo da pro’. I figli sono buoni (ride, ndr), ma non hanno rispetto per le mamme.

Tuo marito Marco correva anche lui?

E’ arrivato ai dilettanti, ci siamo fidanzati che avevo 19 anni e quando ha iniziato Kevin, non era tanto d’accordo. Di fatto, diceva, non abbiamo mai smesso di andare appresso alle bici. E ha ragione. Lui lavora in Ungheria e rientra solo nei weekend, così io sono a casa a mandare avanti tutto. Non ho mai lavorato, ma ho tanto da lavorare.

Ti manca mai l’adrenalina delle corse?

Adesso ovviamente no, i primi anni sì.

Atlanta fu una vittoria sfumata?

L’ho sempre pensato, ma ugualmente è un gran ricordo. Anche perché non volevano portarci. Ai mondiali dell’anno prima si erano qualificate Bonanomi e Cappellotto, io rientrai alla fine e fu davvero magnifico.

Avresti preferito che Kevin si trovasse un lavoro normale?

Ma lui è come me, non pensa al futuro. Era già contento dell’Androni, l’apertura WorldTour è stata inaspettata. E poi anche i lavori normali, di questi tempi, oggi li hai e domani spariscono. Per cui adesso ha davanti gli anni in cui potrà dimostrare di essere all’altezza. E per andare a lavorare, semmai, avrà sempre tempo. Ha 21 anni, ha il suo diploma alberghiero, può sempre iscriversi all’Università.

Imelda ha due figli: Kevin nella foto e Maurizio
Imelda ha due figli: Kevin nella foto e Maurizio
Ha una chance importante e in squadra lo adorano.

Con mio marito abbiamo visto che lo portano già allo Uae Tour e ci siamo chiesti se non sia troppo presto, ma significa che ci credono ed è bello.

Che corridore sarà?

E’ uno scalatore atipico, non si alza mai in piedi. Ha fatto anche qualche crono e non va male. Fisicamente è come me, in proporzione ovviamente… Ha il cavallo da 1,90 pur essendo 1,80. Ha delle leve lunghissime. In pianura non lo staccano, ma deve fare esperienza. E secondo me non sarebbe fermo nemmeno in una volata ristretta. Quando faccio certi ragionamenti, viene fuori la mamma e non il direttore sportivo. Me lo dicono che sono troppo buona, anche quando vado a girare con i bambini…

Konychev, pit stop forzato prima di ripartire

14.01.2021
4 min
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Alexander Konychev è a casa con le scatole girate. Doveva essere al ritiro della squadra, invece s’è preso il Covid e sta aspettando semaforo verde per rientrare in pista. Ancora 22 anni, la sua prima stagione alla Mitchelton era un bel punto interrogativo. C’era chi voleva che restasse ancora nella continental del gruppo Qhubeka, ma l’offerta di un contratto WorldTour ha potuto più di mille ragionamenti. E tutto sommato, visto l’andazzo generale e i suoi immensi margini di miglioramento, alla fine ha fatto bene lui.

«Sono giovane – dice – e ho iniziato a correre solo da juniores. Ho ancora tanti aspetti da migliorare, su alimentazione, recupero dopo le corse, allenamento. Sicuramente in poco tempo, le cose sono cambiate molto. I più giovani hanno una pressione che io due anni fa non avevo. Sembra che si debba ottenere tutto subito. Alcuni arrivano al professionismo che sono già al top. Che margini hanno? Il fisico un po’ può crescere, ma la testa?».

Alla Strade Bianche la ripartenza di Konychev dopo il lockdown
Alla Strade Bianche la ripartenza di Konychev dopo il lockdown
Come descriveresti i tuoi anni da under 23?

I primi due anni, alla Viris e poi alla Hopplà, sono stati i più belli. Una parte del ciclismo che sta svanendo. Negli juniores andare in bici era anche andare a farsi un giro con gli amici, poi da under 23 l’impegno è iniziato a crescere. Quando poi sono passato alla continental della Dimension Data, sono migliorato molto. Ho avuto il primo preparatore, il ritiro a Lucca. E per la prima volta la differenza è stata avere un calendario definito dall’inizio dell’anno, con obiettivi su cui programmare il lavoro.

Primo passo verso il professionismo…

Esatto. In più l’esperienza continental con i ragazzi africani è stata molto bella anche sul piano umano. Ed è stato un anno speciale. Abbiamo vinto l’europeo e il mondiale e io per primo ho vinto la prova di Coppa delle Nazioni, l’Etoile d’Or, preparata con il Tour de Bretagne di sette tappe. Quando lavori così, i risultati arrivano.

Tuo papà ti ha aiutato in questo avvicinamento graduale?

Lui non mi ha mai messo pressione, anzi era molto scettico. Cominciare da junior non è facile e il mio primo anno è stato molto duro. Ho picchiato l’asfalto parecchie volte, ma ormai avevo preso la decisione, perché il ciclismo era quello che mi appassionava. Mai un ripensamento, sapevo dove volevo arrivare. Per cui a metà campionato lasciai la squadra di calcio in cui giocavo da centrocampista e sono salito in bici.

Come è andato il primo anno?

Come per tutti, è stato particolare. Avevo fatto una bella preparazione, altura compresa. Ho fatto le prime due corse in Belgio e poi ci hanno fermato. Riprendere è stato una bella cosa. Ho fatto Strade Bianche, Sandremo, Gand, Fiandre. Tutto il mio programma tranne la Roubaix. Con la squadra va benissimo, sto facendo tanta esperienza, individuando gli aspetti su cui lavorare e i miei obiettivi, che sono le grandi classiche. La Sanremo in testa, il mio sogno.

Nella crono degli europei di Plouay ottiene il 17° posto
Nella crono degli europei di Plouay ottiene il 17° posto
Quali sono gli aspetti su cui lavorare?

Ormai si gioca tutto sui dettagli. Mi piace molto la crono, in ritiro avrei dovuto fare dei test in pista, che spero di recuperare più avanti. E poi l’alimentazione. In squadra stiamo testando una piattaforma che useremo alle corse, in cui ognuno ha i suoi dati e inserendo il peso, il programma ti dice la quota di carboidrati da ricaricare. Io però preferisco gestirmi in autonomia. Se la mattina voglio qualcosa a colazione, la mangio lo stesso. La fortuna di avere una mamma che mi prepara le cose fatte in casa è proprio questa.

Quindi non pensi di andare a vivere da solo?

Per ora no (ride, ndr), magari se trovo una compagna che sappia cucinare. Però mi sa che non sia una cosa da dirle. «Ah, come cucina la mia mamma…».

Sei dimagrito tanto rispetto all’ultimo anno da U23?

Sono stato bravo durante il lockdown. Sono sceso da 80 a 72, a proposito dei margini che potrei avere.

La bici nuova?

Ero un po’ scettico, invece la Bianchi ha delle geometrie ottime. Forse è un po’ più pesante della Scott, ma mi importa poco. Non devo fare il record del Galibier e per le corse che voglio fare, va benissimo una bici rigida e veloce