EDITORIALE / Sullo Stelvio tutti peccatori

19.06.2023
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Quello che è successo subito dopo la tappa dello Stelvio al Giro Next Gen, con 31 corridori squalificati per traino, fotografa perfettamente una serie di situazioni così emblematiche, che si potrebbe metterle in scena e ricavarne uno spettacolo teatrale.

Quarto giorno, lo Stelvio

Non era mai successo che gli under 23 arrivassero su una salita così importante, per giunta al quarto giorno. Ci fu il Fedaia come ultima tappa nel 2019, ma la Marmolada non è lo Stelvio. Eppure pochi, in sede di presentazione della corsa, si sono allarmati/interrogati sull’opportunità di piazzare un simile “moloch” a metà corsa. Nel folto gruppo degli squalificati non ci sono solo italiani , ma anche 8 stranieri di squadre blasonate. Di solito il primo arrivo in salita serve a scremare la classifica, lo Stelvio l’ha decisa.

Si capisce che se una società riceve l’incarico di organizzare la corsa a metà febbraio e abbia da gestirne contemporaneamente altre tra cui UAE Tour, Strade Bianche, Tirreno-Adriatico, Sanremo e Giro d’Italia, possa metterci mano solo nei ritagli di tempo. Se in questo quadro, trovi la Valtellina che ti… regala lo Stelvio, non ci pensi troppo e metti la firma. I tecnici di RCS Sport hanno fatto un gran lavoro in poco tempo, la politica se ne è preso molto di più per i necessari incastri. A Vegni hanno chiesto di fare il miracolo e tutto sommato c’è riuscito.

Che cosa c’è stato però dietro l’assegnazione del Giro d’Italia U23 e quello 2024 delle donne? Perché scrivere quel bando ha richiesto tempi così lunghi?

Presentazione del Giro Next Gen, con Mauro Vegni, il ministro Abodi, Cordiano Dagnoni e Paolo Bellino
Presentazione del Giro Next Gen, con Mauro Vegni, il ministro Abodi, Cordiano Dagnoni e Paolo Bellino

Le 35 squadre

Con una dichiarazione piuttosto pilatesca, il presidente Dagnoni si è scusato con RCS Sport per avergli chiesto di invitare tutti i team italiani. Perché invece non si è scusato per il calendario italiano degli U23 e la mancanza di progettualità?

Lo Stelvio è stato l’amplificatore di una situazione per niente sconosciuta. Se per Staune Mittet il Giro Next Gen era la quarta corsa a tappe di stagione, per una larga fetta dei nostri si trattava della prima: non per scarsa volontà, ma perché nel calendario U23 italiano non ci sono corse a tappe prima di giugno e si sa che i nostri all’estero non ci vanno. Mancano soldi e volontà, si può ragionare sull’ordine in cui scriverli.

Perché, avendo in mano la gestione del movimento, la FCI non interviene personalmente con le risorse tanto sbandierate (siamo curiosi di conoscere l’esborso per la produzione televisiva del Giro Donne), propiziando la nascita di un calendario migliore? Perché non prendere otto organizzatori di corse di un giorno, unirli e provare a farne gli organizzatori di una corsa a tappe?

Staune-Mittet, corridore norvegese della Jumbo Visma Development, ha conquistato lo Stelvio (foto LaPresse)
Staune-Mittet, corridore norvegese della Jumbo Visma Development, ha conquistato lo Stelvio (foto LaPresse)

Il livello degli atleti

Se non sei in grado di arrivare sullo Stelvio 37 minuti dopo il vincitore (questo il tempo massimo), forse hai sbagliato mestiere. Non è obbligatorio essere corridori, ma se hai direttori sportivi che ti fanno attaccare alla macchina, allora sei spacciato. E’ come il doping, ma senza aghi. Non è obbligatorio neppure essere direttori sportivi.

Non si può pretendere di andare al Giro d’Italia contro certe squadre, allenandosi come dieci anni fa. Non basta dire di essere andati in altura il mese prima, se da febbraio a maggio s’è fatta la caccia alle vittorie del martedì, del sabato e della domenica.

Quando la corsa era in mano a Extra Giro e inizialmente la selezione avveniva per punteggio, si capì che i nostri arrivavano a giugno svuotati di ogni energia, mentre le squadre straniere (invitate) avevano freschezza e forze superiori. Per questo si passò agli inviti.

Busatto che vince la Liegi non è un fenomeno venuto dal nulla. Il corridore, che qui non aveva mai vinto ma era stato cresciuto con lungimiranza, è andato in Belgio e ha cambiato pelle semplicemente per la diversa programmazione. Nella sua squadra questo non sarebbe mai successo e il diesse Rosola ha avuto l’onestà di ammetterlo. E poi ci lamentiamo perché i procuratori li portano via?

Negli ultimi 2,5 chilometri, qualcuno si attaccava e qualcuno faceva immagini (foto cyclingpro.net)
Negli ultimi 2,5 chilometri, qualcuno si attaccava e qualcuno faceva immagini (foto cyclingpro.net)

Guerra fra bande

Si è detto: con RCS certe furbate di attaccarsi alle macchine non si possono più fare. E’ una sciocchezza: la giuria viene inviata dall’UCI, l’organizzatore non c’entra nulla. Ma è vero che sia gli organizzatori, sia i giudici del Giro Next Gen avrebbero fatto volentieri a meno di una simile figuraccia. Come mai non c’erano auto e moto della Giuria in coda al gruppo, mentre i corridori erano attaccati come grappoli? Non esiste alcuna prova, ma la sensazione è che, avendo fiutato l’aria, i giudici siano andati davanti lasciando a quelli dietro la possibilità di arrangiarsi. Hanno pensato che si è sempre fatto e hanno sbagliato: infatti è scoppiata la guerra fra bande.

Imbufaliti per aver portato solo cinque atleti, lasciando così spazio a squadre non all’altezza, i membri di alcuni staff hanno fotografato e filmato lo spettacolo, condividendolo su varie piattaforme. Erano convinti di colpire avversari indegni, ma hanno sporcato inutilmente tutti. Tanto che poi, alla fine delle condivisioni, le immagini sono arrivate alla Giuria, che si è attivata.

Si capisce che trovare alcuni velocisti attaccati alle macchine, immaginandoli poi vincitori nel finale di Giro, possa dare ai nervi, ma la Giuria li avrebbe squalificati anche se il filmato l’avesse ricevuto con maggiore discrezione. Questo non significa che si sarebbe dovuto insabbiare la cosa, ma avrebbero dovuto e potuto gestirla meglio, senza la valanga di fango che ancora una volta è scesa sul ciclismo. Se devi denunciare un furto, lo metti sui social o vai prima dai Carabinieri?

Per il norvegese, lo Stelvio ha significato maglia rosa, difesa poi agevolmente sino a Trieste (foto LaPresse)
Per il norvegese, lo Stelvio ha significato maglia rosa, difesa poi agevolmente sino a Trieste (foto LaPresse)

La prima pietra

La morte di Gino Mader ha fatto calare il silenzio sul triste spettacolo dello Stelvio. In due giorni il ciclismo è passato dallo squallore al dolore. Pensare che un campione come lo svizzero possa essere accomunato a quei 31 squalificati del Giro Next Gen provoca fastidio. RCS Sport ha messo insieme la solita grande squadra e organizzato una bella corsa, forse con un errore di valutazione di percorso. Per decenza e a meno che non ci siano altri sviluppi, chiudiamo qui la storia, frutto di molteplici peccati. Nessuno ne è stato immune, eppure tanti si sono affrettati a lanciare la prima pietra.

Lo Stelvio incorona Staune-Mittet nuova maglia rosa

14.06.2023
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PASSO STELVIO – Staune-Mittet e Faure Prost escono dall’ultima curva appaiati, la strada sotto le loro ruote sale e li respinge. Il norvegese è a tutta, così come il francese della Circus-ReUz. Vince il corridore della Jumbo-Visma Development, che esplode in un urlo liberatorio che riecheggia sulle pareti delle montagne. Il Passo dello Stelvio si è confermato il Re di questo Giro Next Gen e con i suoi 36 tornanti ha guardato tutti negli occhi, sputando sentenze.  

Subito dopo l’arrivo Johannes Staune-Mittet litiga con i rulli prima di fare defaticamento, dal volto sembra quasi che la parte più difficile della giornata sia questa. Sale in bici e pedala, si copre e pedala, di nuovo. A 2.758 metri fa freddo ed il vento non perdona. 

Nuovo leader

Conquistare il binomio tappa e maglia sullo Stelvio è un qualcosa da ricordare, un motivo di orgoglio. Staune-Mittet lo realizza pian piano, tra una pedalata e l’altra, mentre ringrazia compagni e staff. 

«Sono molto felice – racconta con un sorriso che non finisce più – abbiamo avuto una prima parte di Giro molto positiva, siamo rimasti uniti e lontani dai pericoli. L’Italia è un Paese che mi piace molto, c’è una grande passione per il ciclismo e indossare la maglia rosa è fantastico. Qui da voi ho corso molto da inizio stagione, prima la Coppi e Bartali e poi Belvedere e Recioto. Non è la mia prima volta a queste altitudini, l’anno scorso al Tour de l’Avenir abbiamo corso su Iseran e Col de la Madeleine. Ho fatto anche tanti training camp in altura dove ho imparato a gestire certe situazioni».

«Lo Stelvio è una salita mitica – conclude – vincere qui è qualcosa di eccezionale, è una giornata che non dimenticherò mai. Conquistare anche la maglia rosa ha reso questa tappa davvero leggendaria».

Faure Prost ci crede

Il francese della Circus-ReUz ha dato le prime risposte, prima di questa tappa tutti si chiedevano in che modo avrebbe reagito allo Stelvio. Secondo posto e maglia bianca di miglior giovane, una bel modo di mettere tutti d’accordo. La sua squadra si è messa davanti fin dai primi chilometri della salita ed ha imposto il ritmo. 

«Stavo bene e ci credevo – spiega Faure Prost seduto nella mixed zone – ho chiesto ai miei compagni di lavorare perché oggi era una tappa fondamentale. Forse la più importante del Giro. Era la prima volta che lottavo con Staune-Mittet, fin dalla riunione del mattino sapevamo fosse lui l’uomo da battere. E’ molto forte ed oggi ha vinto lui, ma anche io ho avuto buone sensazioni. Ora indosso la maglia bianca, ho dimostrato di stare bene e non mi accontento, punterò a quella rosa. Le prossime tappe saranno fondamentali, quella di sabato ci metterà davanti ad una grande chance». 

La grinta di Martinelli

Alessio Martinelli si ferma in cima, si sdraia e fa fatica anche a rialzarsi, i massaggiatori della Green Project-Bardiani lo devono sostenere. Lui si piega in due e respira affannosamente, poi si prende la gamba destra e la tira, i crampi mordono. 

«Ho dato tutto – racconta una volta rialzato – non potevo arrendermi, oggi era la tappa di casa. Avevo tante persone sul percorso che mi incitavano, mi sono spinto davvero oltre i miei limiti. Alla prima casa cantoniera, a 14 chilometri dall’arrivo, il gruppo ha alzato il ritmo e ho un po’ sofferto. Però ero a conoscenza del fatto che la salita spianasse e allora ho stretto i denti. Ho preferito andare su del mio passo, anche quando mi sono staccato una seconda volta non sono andato in panico. Il fatto di vedere davanti a me il gruppetto di testa mi ha aiutato a non perdermi d’animo. E’ stata la scelta giusta, alla fine sono riuscito anche ad arrivare quarto e conquistare la maglia di miglior italiano».

Enjoy Stelvio Valtellina, è iniziata l’estate della bici

01.06.2022
8 min
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L’eco del Giro si è spenta da poco e sulle salite della Valtellina è tornato il rotolare di copertoncini sull’asfalto e il fiato grosso dei ciclisti che ogni giorno le sfidano rincorrendo la calma interiore, la scoperta, la forma fisica e la conquista.

La Valtellina, al pari di poche altre aree del mondo, strizza l’occhio al ciclista con la grandiosità delle sue montagne e dei suoi passi in quota. Meta per amatori e corridori che già da qualche giorno hanno iniziato a spostarsi a Livigno per recuperare dalla prima parte di stagione, ricaricarsi e gettare le basi per quel che segue.

Ai Laghi di Cancano si arriva da Bormio. La strada è bellissima. Qui al Giro 2020 vinse Hindley (foto Parco Nazionale dello Stelvio)
Ai Laghi di Cancano si arriva da Bormio. La strada è bellissima. Qui al Giro 2020 vinse Hindley (foto Parco Nazionale dello Stelvio)

Enjoy Stelvio Valtellina: strade chiuse

Da oggi e fino al 17 settembre, in date prestabilite e descritte nell’apposito calendario, scatta il progetto Enjoy Stelvio Valtellina 2022: calendario di giorni in cui i valichi della Valtellina sono chiusi al traffico motorizzato, lasciando via libera agli sportivi che possono godere dei paesaggi in assoluta sicurezza.

Il programma coinvolge le salite più classiche (Stelvio, Gavia, Cancano, Mortirolo e Bormio 2000), cui si aggiungono il Passo Spluga, il San Marco e la salita a Campo Moro. Sedici giorni, per otto salite.

Così i valichi che già normalmente sono meta di migliaia di ciclisti, costretti in alcuni giorni a convivere con il rombo delle moto e le manovre delle auto nei tornanti, diventano rotte esclusive e silenziose. Un’occasione da non perdere.

Dalla Colombia allo Stelvio

Valtellina, paradiso dei ciclisti. Alcuni arrivano da molto lontano. Una nota influencer colombiana, nostra amica, che si chiama Caro Ferrer e vive di ciclismo e per il ciclismo, vi ha appena trascorso dei giorni nel quadro di un viaggio ben più lungo su tutto l’arco alpino.

«Impossibile descrivere qui cosa provo per questa montagna – ha scritto su Instagram ai suoi 291 mila follower a proposito dello Stelvio – è un amore assurdo, quasi malato. Le sorrido e le piango dall’inizio alla fine. Questo mio piccolo corpo non riesce a contenere tutta l’emozione. Voglio solo guardare ovunque, scattare 800mila foto, ballare, cantare e continuare a piangere per l’emozione.

«Lo Stelvio ha qualcosa che ipnotizza, che ti innamora, che ci fa sentire pieni anche quando stiamo soffrendo lungo ognuno dei suoi 36 tornanti».

Basso, ambasciatore di lusso

Ivan Basso di queste zone è testimonial d’eccezione. Abbiamo già raccontato delle origini valtellinesi di sua madre Nives e delle sue prime scalate allo Stelvio e al Mortirolo, ma ovviamente c’è di più.

«La Valtellina – dice – è una bomboniera in cui trovi tre salite mitiche come Stelvio, Gavia e Mortirolo, conosciute in tutto il mondo. Più ci sono gli altri luoghi, altrettanto iconici. Aprica. Livigno. Il Santa Cristina, appena fatto dal Giro. La Forcola. Il Foscagno. Chiunque vada lassù con la sua bicicletta, porterà a casa dei trofei indimenticabili, che non hanno niente da invidiare a salite altrettanto impegnative come l’Alpe d’Huez o il Tourmalet che negli anni sono diventati dei veri brand».

Dalla Colombia al Mortirolo

La montagna però è una cosa seria. Perciò, al netto della voglia di eroismo, bisogna andare lassù con le gambe pronte. Ugualmente leggendo dal diario online di Caro Ferrer, si capisce l’impatto di salite come il Mortirolo.

«Vi dico la verità – scrive – questa è una salita che ho sempre voluto togliere dal programma! Ma la sua conquista è così infinitamente soddisfacente che ti rimane per sempre nel cuore. Per molto tempo mi sono prefissata il compito di “terrorizzare” i ragazzi che sono venuti qui con me, affinché si convincessero che sarebbe stata un’impresa durissima e solo oggi mi hanno detto: “Caro, non pensavamo sarebbe stata così dura”. Potete immaginare la sorpresa quando hanno affrontato le 33 curve e hanno visto sui computer della bicicletta che nella maggior parte del percorso non si scendeva mai sotto l’11 per cento».

Allenamento ed esperienza

Basso conferma. Un po’ le pendenze e un po’ anche la quota potrebbero giocare brutti scherzi ed è per questo che la Valtellina offre anche… prelibatezze meno estreme, ai ciclisti con pedalata assistita e ai muscolari, mentre aspettano di acclimatarsi per sfidare i giganti.

«Servono preparazione e allenamento – dice – e i rapporti giusti, anche perché non tutti sono corridori e non tutti hanno l’esigenza di arrivare in cima a ritmo di record, anzi. E dato che le salite poi capita di farle anche al contrario, occhi aperti alle discese. L’alta montagna va affrontata con rispetto, soprattutto da parte di chi magari ha noleggiato una bici con la pedalata assistita, è riuscito ad arrivare in cima a salite molto dure e farà bene a prestare attenzione a discese comunque impegnative».

I piaceri della tavola

E a proposito di prelibatezze, mentre la bicicletta si avvicina nei numeri allo sci e va fatto notare come l’e-Bike abbia dato nuovo impulso a un certo modo di fare cicloturismo, anche l’enogastronomia di questo territorio merita un approfondimento. Un territorio che nelle cime è aspro e pungente, mentre in valle è morbido e verde.

«La Valtellina – conclude Basso – è sicuramente conosciuta per lo sport, ma anche per la cucina. Basta parlare di pizzoccheri, bresaola, formaggi, vino e amari e qualunque turista capisce esattamente a quale zona si stia facendo riferimento. E’ una valle che funziona sotto ogni aspetto, quello enogastronomico non è secondo agli altri».

Sedici date, per otto salite

Perciò basta sfogliare la locandina con i primi appuntamenti che da oggi inaugurano l’estate a pedali della Valtellina e individuare il giorno in cui potremo pensare di voler sfidare i giganti di lassù. Ci sono 16 date per 8 salite, da oggi al 17 settembre. Rispetto al programma iniziale sono state annullate le giornate del 5 giugno e del 3 luglio dedicate al passo dello Spluga.

Sarà un viaggio fra emozioni, sapori e grandi fatiche. Eppure, come ogni volta che scendiamo di sella e ci ripromettiamo sfiniti che non la prenderemo mai più in mano, basteranno poche ore per riaccendere il desiderio. Nel frattempo la tavola, lo shopping e il ritmo blando di un’estate fresca e silenziosa saranno gli ingredienti perfetti per lasciarci alle spalle per qualche giorno le nevrosi di quaggiù.

www.valtellina.it

www.enjoystelviopark.it

Hotel Funivia, salite e passione per la bici sono di casa

10.03.2022
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Situato a Bormio alle pendici di piste da sci e delle salite più iconiche italiane come Stelvio e Gavia, Hotel Funivia rappresenta la casa della bici a 1.200 metri sul livello del mare. Tanti servizi dedicati e altrettante storie da raccontare, questo Bike Hotel è un nido da cui spiccare per i ciclisti che vogliono immergersi nelle strade leggendarie del Giro d’Italia.

A raccontarci la struttura è il titolare, Daniele Schena, soprannominato “Stelvioman”. Non a caso visto che le sue scalate sulla omonima salita contano più di 400 passaggi.

«Da noi – spiega – si respira la passione vera per la bici. Si discute di materiali, ruote, trasmissioni. Le salite, sono democratiche, in questo ambito non importa che tu sia un idraulico o un manager, su di esse siamo tutti uguali. Pantaloni corti, borraccia e via…».

Il titolare della struttura è Daniele Schena soprannominato “Stelvioman”
Il titolare della struttura è Daniele Schena soprannominato “Stelvioman”

Lo Stelvio

Il contesto per un Bike Hotel è fondamentale e spesso determina la qualità del soggiorno. La località di Bormio è sinonimo di salite e storie sportive di ogni tipo, soprattutto per le ruote strette. Lo Stelvio su tutti è la salita più iconica presente a pochi passi dall’Hotel Funivia.

«Stelvio è una parola – dice Schena – molto cliccata dal ciclista. Tutti vogliono farlo una volta nella vita. Io l’ho fatto più di 400 volte. Ho costruito la mia figura dietro la passione atavica per questa leggendaria salita. Non mi interessano follower o altro, adoro l’idea di farne parte a mio modo. L’ho odiato da giovane e oggi non ne posso fare a meno. Ma non siamo solo quello, siamo anche Gavia e Mortirolo. Ci sono anche tante altre salite non convenzionali che ti portano in località fuori dal tempo».

A pochi passi dal Bike Hotel è possibile scalare l’iconico Passo dello Stelvio
A pochi passi dal Bike Hotel è possibile scalare l’iconico Passo dello Stelvio

Servizi dedicati

L’idea di Bike Hotel deriva da un’intuizione ben precisa. «L’idea l’ho avuta – racconta Schena –  prendendo spunto dagli hotel della riviera che frequentavo. L’ho importato in montagna adattandolo alle esigenze di questo ambiente. Dalla sua creazione posso dire di aver intrapreso la strada giusta. I clienti arrivano come tali e vanno via come amici. Tutto quello che riguarda il mondo della bicicletta, è legato dalla passione più genuina».

La struttura è cucita sulle esigenze delle due ruote. Sono infatti presenti servizi di noleggio in collaborazione con partner dell’Hotel. Percorsi guidati alla scoperta del territorio. Spazi comuni dove poter conoscere altri ciclisti e confrontarsi. E ancora, la bike room videosorvegliata, l’officina attrezzata e il servizio lavanderia. Anche il momento dei pasti è adattato, è disponibile il packed lunch, frutta secca e sandwich alla partenza dell’escursione e una merenda dedicata al rientro dal tour. 

Sono tanti i servizi dedicati alle due ruote tra cui la bike room e l’officina attrezzata
Sono tanti i servizi dedicati alle due ruote tra cui la bike room e l’officina attrezzata

Il legame con i pro’

Per strutture di questo tipo il mondo dei pro’ è all’ordine del giorno. L’orbita del panorama professionistico è intorno a Bormio e di conseguenza all’Hotel Funivia. Allenamenti, ritiri e passaggi del Giro d’Italia rendono questo luogo un riferimento logistico. Sono tanti i professionisti che passano su quelle strade e che si fermano per un saluto.

«Sonny Colbrelli, Alberto Bettiol e Davide Formolo – dice Schena – sono diventati amici. A volte ci si allena insieme. O meglio, assistiamo al loro lavoro da professionisti. Un aneddoto bello fu quello con Bettiol. Io vendo la birra Kwaremont. Una sera Alberto venne a cena poco dopo aver vinto il Fiandre e ho servito questa birra in suo onore. Le foto vennero ricondivise dalla azienda produttrice. Sono dettagli che valorizzano e arricchiscono l’esperienza nella nostra struttura».

Gli itinerari del territorio sono infiniti, alcuni dedicati anche a gravel, Mtb e E-bike
Gli itinerari del territorio sono infiniti, alcuni dedicati anche a gravel, Mtb e E-bike

Da tutto il mondo

Che il concetto di Bike Hotel sia apprezzato all’estero non è un segreto. Quando la vetrina funziona allora il ritorno economico e umano e naturale.

«La svolta ci fu quando Thomas De Gent – racconta Schena – ha vinto la tappa dello Stelvio nel 2012. Da quel momento in particolare è stato dato il via all’arrivo della clientela belga. Loro hanno conosciuto la salita attraverso la sua vittoria». 

Non solo Europa ma anche da altri continenti, infatti il concetto dell’Hotel Funivia è sbarcato dall’altra parte del mondo in Australia. «Siamo legati con l’Australia dal punto di vista dell’amicizia e dei rapporti di lavoro. Abbiamo molti clienti che vengono da là e noi siamo clienti a nostra volta. Loro sono innamorati di questo territorio. Un mio amico australiano ha fatto ben 50 volte lo Stelvio. Se ci si pensa, un australiano che ha fatto così tante volte questa salita fa capire quando sia affascinante questo posto».

HotelFunivia

Stefano Oldani, Giro d'Italia 2020

Oldani, la prima volta e quella chat…

27.10.2020
3 min
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Stefano Oldani è un libro da sfogliare. Il milanese di 22 anni, che dal 2020 corre con la Lotto Soudal, ha appena concluso il primo Giro d’Italia e nel momento in cui gli abbiamo chiesto come si sentisse, se fosse contento di tornare a casa, ha risposto con un candore illuminante.

«Sono contento perché sono riuscito a finirlo – ha detto – ma ho un po’ di malinconia perché dopo così tanto tempo con i compagni e il personale della squadra, andare via e pensare di non vederli per qualche mese è un po’ triste».

Stefano si è prima messo in luce con il Team Colpak, poi è passato alla Polartec-Kometa e al Giro di Val d’Aosta del 2019, dopo un secondo posto di tappa, assieme al suo procuratore Manuel Quinziato, ha scelto di firmare per la squadra belga che più delle altre si è fatta avanti con decisione. Oltre a parlarci di sé, tuttavia, Stefano racconterà un dettaglio molto interessante (e inedito) sullo sciopero di Morbegno: lettura da consigliare ai vertici di Rcs e a coloro che hanno sostenuto di aver saputo delle richieste dei corridori soltanto all’ultimo momento.

Stefano Oldani, Giro d'Italia 2020
In fuga a San Daniele del Friuli: primo Giro condotto con un buon piglio
Stefano Oldani, Giro d'Italia 2020
In fuga verso San Daniele del Friuli
Come è stato il primo Giro?

Me lo aspettavo duro, ma in alcune fasi è stato oltre ogni immaginazione. Lo Stelvio è stato una dura prova fisicamente e mentalmente. Più di testa che di gambe, perché ho passato la giornata nel gruppetto e davvero non passava più. E quando siamo arrivati ai piedi della montagna, eravamo già tutti stanchi. In più, due giorni prima ero stato in fuga, e avevo addosso ancora quella fatica.

Qual era il tuo obiettivo?

Finirlo, che per un neopro’ non è scontato. Sapevamo di non avere un leader, quindi potevamo giocare le nostre carte. Io mi sono buttato in qualche sprint, ho centrato due piazzamenti nei dieci e alla fine sono soddisfatto. Qualche dubbio di arrivare in fondo l’avevo, ma ero preparato a fare fatica e non riuscivo a immaginare di ritirarmi.

Come ti sei trovato in gruppo?

Bene, ho parlato con tutti e intanto marcavo a uomo Guarnieri per non andare fuori tempo massimo. Dove c’era Jacopo, c’ero io e stavo tranquillo,

E’ vero in primavera ti sei allenato spesso con Bennati?

Confermo. La mia ragazza si chiama Lavinia e abita dalle stesse parti, così mi è capitato di allenarmi con lui. Lo avevo conosciuto in Spagna, nella stessa corsa in cui cadde e si fece male alla schiena. Gli ho chiesto consigli, è diventato un punto di riferimento cui rubare i segreti del mestiere. Ci sentiamo spesso. La dritta più importante è stata quella di trovare il mio equilibrio. «Non impazzire dietro alle diete e alle preparazioni strane – mi ha detto – come accadde a me prima di un Tour, in cui ero magrissimo ma non avevo forza. In bici devi stare bene, altrimenti non rendi». E io vivo così, vado avanti a sensazioni e non peso il cibo.

Il Giro ti ha detto che corridore sarai?

Sapevo di essere abbastanza veloce, ora ho capito che me la cavo anche in salita. Per cui, quando avrò la forza necessaria, potrò giocarmi le classiche dure che magari si chiudono in volata.

Sei nella Lotto, la squadra additata per aver scatenato lo sciopero di Morbegno. Come è andata?

Sapevo poco. Da diversi giorni, sulla chat del Cpa i ragazzi dicevano di voler accorciare la tappa. Lo so bene perché ero in camera con Adam Hansen, che è il rappresentante dei corridori nel Cpa. Lo chiamavano da giorni, non so se abbiano avvertito prima Rcs, ma a quanto ho capito nessuno ha mosso un dito.

E poi?

E poi… volete ridere? Hansen quel giorno voleva andare in fuga, ce lo diceva da una settimana, perché sarebbe piovuto e a lui piace la pioggia. Così siamo andati alla partenza ed eravamo allineati in venti, ma all’improvviso Adam è stato chiamato ed è dovuto andare a parlare con Vegni per il ruolo che riveste. Mi dispiace per lui, ha dovuto farlo, ma avrebbe preferito andare in fuga.

I vertici del Cpa sono nella chat, quindi sapevano cosa si scriveva da giorni?

Immagino di sì.

Chiudiamo questa porta: cosa farai quest’inverno?

Bisognerà vedere le chiusure Covid. Non avrei fatto vacanze, preferisco starmene a casa. E per fortuna Lavinia è venuta su, quindi alla peggio resterà mia prigioniera a casa mia, a Busto Garolfo, in Lombardia.

Rohan Dennis, Giro d'Italia 2020

Dennis, splendida scoperta del Giro

25.10.2020
4 min
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Alzi la mano chi poteva immaginare che Rohan Dennis sarebbe stato l’ago della bilancia del Giro d’Italia sulle grandi montagne. L’australiano, un metro e 82 per 72 chili e due volte campione del mondo della crono, se ne era andato dal Tour de France del 2019 in polemica con l’allora Team Bahrain-Merida e poche settimane dopo aveva vinto il mondiale con una bici non ufficiale. Portandosi appresso un fardello di nomignoli non troppo lusinghieri, è approdato al Team Ineos e il suo arrivo era stato salutato come il vezzo dello squadrone così ricco da potersi permettere il lusso di una mina vagante. Poi è venuto il Covid e il mondo si è dimenticato di lui fino al giorno dell’Etna, quando scalò il vulcano assieme a Thomas ferito. Di lì un inesorabile climax ascendente. In fuga a Matera, poi a Cesenatico, tutto il giorno all’attacco a Piancavallo nel giorno della vittoria del compagno Geoghegan Hart e l’indomani a San Daniele del Friuli. E quando il Giro ha addentato le grandi montagne, accanto a Tao si è messo lui. Lo ha preso per mano. E sullo Stelvio prima e a Sestriere poi, ne ha sgretolato i rivali.

Rohan Dennis, Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Lo Stelvio è un gigante, tira Dennis, poi Geoghegan Hart e Hinfley
Rohan Dennis, Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Tira sullo Stelvio, selezione netta

Primo contatto

«Non avevo mai lavorato con lui – racconta Dario Cioni – per cui c’era bisogno di conoscerlo. Durante il lockdown ci eravamo tenuti in contatto, ma la prima esperienza sul campo è stata nel primo training camp fatto a Isola 2000 con il gruppo del Giro. Anche se non c’erano ancora Thomas e Carapaz. Il primo perché era nel gruppo Tour e il secondo ancora bloccato in Ecuador. Però c’erano ragazzi di esperienza come Puccio e Swift e il loro parere mi interessava molto. C’era di buono che si sarebbe parlato inglese e questo ha creato subito una buona amalgama, ma al di là di questo, Rohan è piaciuto subito a tutti. Restava solo da vedere il suo ruolo nel team per il Giro d’Italia».

Verso il Giro

Thomas è il capitano designato, dopo che Carapaz è stato spostato verso il Tour. Il Giro ha tre crono e tre cronoman superbi come Thomas, Dennis e Ganna.

«Così la squadra – prosegue Cioni – ha deciso di dare ai due carta bianca nella prima e nell’ultima crono, mentre a Valdobbiadene sarebbero dovuti andare piano, salvando la gamba per aiutare Geraint. E i due hanno accettato. Poi sappiamo come è andata con Thomas, ma a me stava a cuore il fatto che Dennis avesse accettato di non fare a tutta la crono più adatta a lui per essere al servizio del team».

Le montagne

Con Thomas fuori dai giochi e Narvaez ritirato, il Team Ineos-Grenadiers non ha più gregari per le salite. La squadra miete successi di tappa come nessun altro, ma serve qualcuno che possa assistere Tao che nel frattempo sta scalando posizioni nella generale.

«Abbiamo tenuto a quel punto – dice Cioni – un approccio più soft. Non volevamo dargli la pressione di sentirsi l’ultimo uomo in salita, per cui si è concordato di dargli lo stesso ruolo di Ganna. Entrambi corridori in grado di fare il passo sulle salite pedalabili. Ma quando siamo arrivati al giorno dello Stelvio, gli abbiamo chiesto se se la sentisse di dare una mano. Lui ci ha guadato e ha detto che avrebbe tirato fino a 5 chilometri dalla vetta. Bè, cosa dire… l’approccio ha funzionato. E visto che si sentiva bene, ha continuato e ha fatto quel capolavoro di tappa che avete visto tutti. Fermandosi sì ai 5 chilometri, ma dall’arrivo…».

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La missione

Dennis non è soltanto una macchina come l’ha definito Geoghegan Hart dopo l’arrivo di Sestriere. Evidentemente a un certo punto si è sentito così parte della missione di squadra da volerne fare parte.

«Così la sera prima di Sestriere – sorride Cioni – ha preso lui la parola e ha detto che l’indomani avrebbe fatto la differenza in salita. Insomma… l’avete visto tutti. Forse il segreto è stato renderlo partecipe del ruolo, farlo sentire parte di un progetto».

Oggi Dennis, come pure Ganna, darà gli ultimi consigli di questo Giro a Tao per quella che è la sua specialità preferita: la crono. Il giovane gallese pedalerà come tutti gli altri su una Bolide di Pinarello, sperando che i tanti lavori fatti per la specialità diano i loro frutti. In team è fiducioso, ma per come era partita l’avventura del Giro, con il leader fuori dai giochi al terzo giorno, se anche finisse così, anche stasera non potrebbero che brindare…

Wilco Kelderman, Stelvio, Giro d'Italia 2020

Kelderman si stacca, Rizzato racconta…

23.10.2020
5 min
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Stefano Rizzato è quello che il Giro ce lo racconta dalla moto. Come lui c’è Marco Saligari, l’occhio del corridore. Ma Stefano è giornalista e forse se qualche anno fa, prima che vincesse il concorso Rai, gli avessero detto che avrebbe raccontato il Giro d’Italia dalla sella di una motocicletta, si sarebbe fatto una risata. Perché Stefano è appassionato di ciclismo, ma non va sulla bici da corsa. Non va in moto. E tantomeno ama la velocità. Eppure sulla moto che ha accompagnato i corridori lungo i tornanti dello Stelvio c’era lui. E da casa il racconto del Giro nel giorno dello Stelvio l’hanno ascoltato (anche) da lui.

Per chi crede che i giornalisti non si emozionino o non vivano le corse come i corridori, la conversazione che sta per cominciare sarà illuminante.

Vincenzo Nibali, Stelvio. GIro d'Italia 2020
Nibali staccato: il ritmo di Sunweb e Ineos si è rivelato troppo alto
Vincenzo Nibali, Stelvio. GIro d'Italia 2020
Nibali, Stelvio indigesto. La gamba non c’è
Che giornata è stata quella dei laghi di Cancano?

Tosta. In realtà, al di là dell’organizzazione del lavoro, sai che vai incontro a una tappa che dovrebbe dire molto. Stai per raccontare qualcosa che sarà all’altezza della storia del Giro. A questo vanno unite le cose spicciole. Ad esempio, lo Stelvio è stato il primo giorno in cui ho messo la calzamaglia e il doppio calzino.

Era nei programmi che facessi il Giro in moto?

Ho cominciato a Castrovillari, ma devo dire che il giorno di Ganna a Camigliatello è stato molto bello.

Come funziona il vostro lavoro?

Li prendiamo alle 13,30, quindi di solito copriamo le ultime tre ore. Raccontiamo tutto. Quello che non viene detto è inerente alle sensazioni, alle percezioni…

Ad esempio?

Ad esempio a un certo punto ho detto che Hindley poteva attaccare, ma sono cose che in teoria potresti dire solo se ne hai la certezza.

Che cosa non viene raccontato?

Il traffico. Il dialogo con i regolatori. Tutto quello che noi vediamo, ma non è funzionale al racconto. 

Ci si affeziona a corridori?

Non ho grosse spinte nazionalistiche. Non sono tifoso. Però sono legato ad alcune persone per quello che colgo della loro personalità. Alcuni mi colpiscono, come Tao Geoghegan Hart. E’ determinato senza essere feroce. Ciclista senza essere un asceta. L’anno scorso disse di voler assaggiare 21 tipi di crostate, una per ogni tappa del Giro. Non tifo, ma resto colpito. Come Ganna, sono stato a casa sua, conosco i suoi valori. Mi piace perché è un ciclista non convenzionale.

Rohan Dennis, Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Dennis, Geoghegan Hart e Hindley: lo Stelvio ha già scavato il solco
Rohan Dennis, Tao Geoghegan Hart, Jay Hindley, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Dennis, Geoghegan Hart e Hindley, Stelvio crudele
Quanto c’è di retorico nel racconto dalla moto?

Devi enfatizzare, ma c’è un limite. Se si stacca Nibali o vince Ganna, è chiaro che devi metterci qualcosa di più.

Non sei come Giampiero Galeazzi con gli Abbagnale, quindi…

Il Giro è una corsa diversa dal contesto olimpico. Ma certo più stai dentro e più empatizzi con tutti. Anche con quello che cerca la borraccia in ogni macchina e non la trova. Il ciclismo è uno sport feroce, non puoi aver figli e figliastri.

In che modo vi dividete corsa e gruppi con Saligari?

Decidiamo all’ultimo, cercando di bilanciare i nostri stimoli. Si fanno scelte equilibrate. Nessuno deve tornare a casa con la sensazione di aver fatto meno degli altri. Io poi ho le interviste flash, quindi devo sfilarmi prima.

Che cosa ti è rimasto in mente della tappa di ieri?

Il momento in cui si stacca Kelderman sullo Stelvio. Mi sono reso conto che era un momento che sarebbe restato anche a fine Giro. Da quel momento ho osservato la sua determinazione, la tensione dei muscoli sullo Stelvio. Parlava della sua determinazione e di una carriera tutta protesa verso quel momento.

E poi?

Il momento in cui siamo passati sullo Stelvio. Il panorama che si è aperto davanti a noi in quel momento – con Tao Geoghegan Hart, Dennis e Hindley già piccoli in basso – mi ha fatto rendere conto del privilegio di essere lì in quel momento. Ne ho parlato anche con il motociclista, Giuseppe Marino, un personaggio fondamentale della storia. Gli ho detto che una volta avrei pagato per essere lì, in quel momento.

Ci sono dei rischi nel vostro racconto?

Quello di andare oltre le righe e di personalizzare tutto perché ti senti testimone della storia. Quello di interpretare cose che non hanno riscontro. La cosa fondamentale per questo è essere onesti.

Un esempio del secondo caso?

Non sapevo perché mai a un certo punto Kelderman avesse rallentato, per mangiare e bere. Un momento teso in squadra? L’interpretazione fa parte del momento. Si può anche essere smentiti, ma questo non mi spaventa. La fallibilità è apprezzata.

Stefano Rizzato e il motociclista Giuseppe Marino
Rizzato e il motociclista Marino
Ci si documenta prima di andare al via, dato che il Covid riduce la possibilità si incontro?

Quest’anno mi poggio molto sul lavoro degli anni passati. Non mi documento sui risultati dei corridori, perché snocciolarli non è il mio lavoro. Essendo specializzato nel ciclismo, tante cose le conosco già. Per cui studio il percorso, ma non vado in cronaca con un foglio di appunti. Se so qualcosa in più, questa arricchisce il racconto.

Chiedi la linea oppure te la danno dalla postazione?

Metà e metà. Io do sempre i miei aggiornamenti al coordinatore e poi in base a quello che dico e quello che succede, ricevo la linea.

C’è più adrenalina in una tappa come quella dello Stelvio?

Di sicuro. A volte penso a me come ad un atleta, che la mattina si sveglia con motivazioni particolari. Pensi che sarà un giorno importante e dovrai trovare le parole giuste. Retorico senza cadere nella retorica. Trovando lo spartito giusto per una giornata che promette di essere un concerto…

Davide Cimolai, Madonna di Campiglio, Giro d'Italia 2020

Cimolai e il gruppetto, un giorno fra amici…

22.10.2020
3 min
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Cimolai sorride e inizia a raccontare la giornata dei velocisti sullo Stelvio, in quella che poteva diventare una tappa infernale. Il friulano della Israel Start-Up Nation ha appena finito i massaggi e ha il tono rilassato di chi sarebbe pronto a ricominciare anche subito, ma la stanchezza è tanta.

«Ma oggi – dice – l’abbiamo gestita alla grande. Non siamo andati mai nel panico, perché con Guarnieri e i ragazzi della Groupama si è fatto un ottimo lavoro. Il gruppetto praticamente è partito sulla prima salita, ma ad essere onesti non pensavamo di perdere così tanto tempo sullo Stelvio. E alla fine c’è toccato andar forte sui Laghi di Cancano. Diciamo che un tappone di montagna come questo per noi velocisti è più da mal di testa che da mal di gambe…».

I buoni rapporti portano il buon umore. Una battuta qua e una là ed entriamo nella giornata del gruppetto, nel tappone con 5.700 metri di dislivello che ha premiato Jay Hindley e vestito Kelderman di rosa.

Arnaud Demare, Davide Cimolai, Elia Viviani, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Demare, Cimolai, Viviani, il gruppetto va…
Arnaud Demare, Davide Cimolai, Elia Viviani, Stelvio, Giro d'Italia 2020
Demare, Cimolai, Viviani, il gruppetto va…
Subito il gruppetto, quindi?

Sulla prima salita verso Campo Carlomagno, è bastato uno sguardo e ci siamo ritrovati. Sempre i soliti, con Viviani, Guarnieri e gli altri. Siamo saliti bene e nella pianura successiva abbiamo raccolto altri venti corridori, perché davanti sono partiti abbastanza forte. Quindi ci siamo gestiti girando e siamo arrivati ai piedi dello Stelvio.

Serve testa per iniziare una gara ah handicap come questa?

Serve testa per gestirsi, tenendosi alla larga dalle nevrosi dei direttori che creano il panico. E poi ci sono i velocisti giovani, quelli che magari esagerano. Ma basta poco, gli si fa arrivare un bel richiamo e si mettono a posto. Alla fine a menare le danze siamo sempre gli stessi

Siete arrivati ai piedi dello Stelvio ed era freddo?

Ma no, alla fine ne avevamo tutti così paura che eravamo davvero coperti bene. E poi in cima ci siamo fermati e ci siamo vestiti per bene.

Si riesce anche a parlare in una salita così lunga?

Abbastanza, ma non crediate che andiamo su chiacchierando come in una passeggiata. Comunque si deve tenere un bel ritmo. E poi siamo velocisti, domani c’è l’ultima volata, quindi qualche considerazione su questo si è fatta.

Dicendo cosa?

Che Vegni ieri si sarebbe lamentato perché non ci sono stati attacchi. Mi rendo conto che potrei sembrare il tipico velocista che si lagna, ma a me alla fine cambia poco. Sarebbero state più spettacolari tappe più brevi e con salite di 8 chilometri da fare due volte, di tappe così lunghe con salite da 20 chilometri. Lo dico da appassionato. Siamo tutti sfiniti e mi rendo conto che l’assenza di attacchi al pubblico magari non piace.

Hai detto che non pensavate di perdere tanto sullo Stelvio…

Esatto, tanto che a un certo punto ai piedi dei Laghi di Cancano è arrivato Guarnieri a dirci di menare perché un po’ rischiavamo. Così abbiamo fatto tre chilometri forte e poi abbiamo potuto mollare ancora. Siamo arrivati a 50’58” con quasi 20 minuti di anticipo sul tempo massimo.

Come avete fatto la discesa dallo Stelvio?

Volando. Come dicevo, ci siamo fermati per vestirci e poi siamo andati a tutta. Vedevo poco fa su Strava e soltanto Masnada ha fatto meglio di me. Devo fargli i complimenti, lui era lì a lavorare per Almeida.

Domani si arriva in volata, avete risparmiato le forze per questo?

Chi è stato furbo lo ha fatto di sicuro. Per questo i giovani che volevano andare troppo forte sono stati messi simpaticamente a posto.

Che volata sarà domani?

Dopo tre tappe di montagna, con la distanza aumentata fino a 260 chilometri perché per il crollo di un ponte si fa un giro più largo e con tutta la giornata sotto la pioggia… sarà una volata al rallentatore.

Hindley è il più forte in salita, Demare in volata. Si parte già battuti?

Non credo. Demare può aver tolto motivazioni a Sagan perché ormai la maglia ciclamino è andata, ma noi non partiremo certo battuti.

Vincenzo Nibali, Stelvio, Giro d'Italia 2020

Ma lo Stelvio per Nibali è il colpo di grazia

22.10.2020
4 min
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Il verdetto dei Laghi di Cancano non lascia dubbi sul Giro d’Italia di Nibali. E anche se Piancavallo aveva già abbondantemente abbassato le luci, per arrendersi serviva uno schiaffo come quello di oggi. Perché Vincenzo ci ha abituati bene. Vincenzo è uno di quei campioni da cui ti aspetti sempre il colpo ad effetto e per questo sin dalla vigilia eravamo tutti lì a ragionare su come si potesse ancora ribaltare un pronostico già scritto. 

La luce si è spenta sullo Stelvio e purtroppo non è stato l’attacco frontale di un rivale diretto a mandarlo fuori giri, ma il ritmo di un cronoman che negli ultimi due giorni è stato sempre in fuga e sullo Stelvio si è ritrovato per un’altra fuga: Rohan Dennis.

Poche parole e grande serenità ai Laghi di Cancano

In quello scenario maestoso e gelido, con la neve a rendere ancor più grigio il profilo delle rocce, vederlo mollare di schianto è stato una pugnalata. La rassegnazione ha presto rimpiazzato la speranza. Come a Piancavallo, quando il ritmo dei primi lo ha asfissiato e Vincenzo non ha potuto fare altro che mollare.

«E’ stata una giornata dura – ha detto dopo essersi cambiato nella Toyota griffata con lo Squalo – perché la tappa di ieri è pesata nelle gambe di tutti. Ci aspettavamo che sarebbe successo chissà cosa, invece non è successo niente. Però abbiamo speso tutti. Sullo Stelvio c’è stato un ritmo forte da subito. Inizialmente da parte della Sunweb, poi quando mancavano 8-9 chilometri alla cima ed eravamo oltre i 2.000 metri di altitudine, c’è stata un’altra accelerazione degli Ineos e praticamente è esploso tutto il gruppetto che si era formato. Sono rimasto da solo e sono andato avanti finché potevo e sono arrivato con la maglia rosa».

L’anno è stato strano. Già alla Tirreno-Adriatico si disse che aver scelto il programma italiano per stare alla larga dai lunghi viaggi avesse privato il motore potente e non più giovanissimo del siciliano delle corse a tappe cui da anni è abituato. Prima della Tirreno, tanto per stare sui primi tre del Giro, Hindley ha corso il Polonia e come lui anche Kelderman. Tao Geoghegan Hart ad agosto ha corso la Route d’Occitanie e il Tour de l’Ain.

Vincenzo Nibali, Joao Almeida, Laghi di Cancano, Giro d'Italia 2020
Nibali con Joao Almeida sul traguardo dei Laghi di Cancano
Vincenzo Nibali, Joao Almeida, Laghi di Cancano, Giro d'Italia 2020
Nibali con Joao Almeida sul traguardo dei Laghi di Cancano

«E’ stata una stagione strana – ha ribadito Nibali – dove in tanti ci siamo concentrati su appuntamenti un po’ particolari. C’è stato chi ha provato ad arrivare subito pronto e chi non c’è riuscito. Siamo arrivati al Giro senza sapere come ci saremmo ritrovati. I piani si sono tutti scombinati. Ci sono state delle scoperte, come Almeida, che anche oggi ha tenuto sempre duro. E’ stato un Giro con tante sorprese, forse strano e che sarà sembrato noioso, ma vi assicuro che alla fine le medie sono state sempre altissime»

Il verdetto di Cancano archivia un 2020 che per tanti motivi non è stato all’altezza delle aspettative per tutto il gruppo italiano, con la resa di Ciccone e la squadra che si è sgretolata giorno dopo giorno. Fra gli addetti ai lavori ci si è chiesto per giorni il motivo per cui non si sia portato al Giro qualche reduce del Tour o non sia stata fatta una diversa ripartizione degli uomini tra Porte e Nibali. Stride soprattutto la scelta di dirottare verso la Francia Elissonde, che pure sarebbe stato utile al capitano italiano. Ma in ogni caso di fronte alla condizione incerta del capitano, la squadra non avrebbe potuto scrivere un diverso finale.

«Si è visto l’altro giorno che Hindley era il più forte – ha detto Nibali – sul primo tratto di Piancavallo ha fatto dei numeri molto alti. Che risposta mi do? Vanno più forte gli altri, non ci sono altre spiegazioni. Un ricambio di generazione c’è, perché qui ci sono tutti corridori che hanno una carta di identità molto più giovane della mia. Io sono del 1984 e non sono tanti i corridori della mia classe che ancora sono qui per provare qualcosa…».

Vincenzo Nibali, Laghi di Cancano, Giro d'Italia 2020
Dopo il traguardo, raggiungendo l’auto in cui si cambierà
Vincenzo Nibali, Laghi di Cancano, Giro d'Italia 2020
Dopo il traguardo, raggiungendo l’auto

La giornata e i suoi 5.700 metri di dislivello vanno in archivio come un Giro che deve ancora scrivere le sue pagine finali. Se l’orgoglio del campione sarà in grado di tirare fuori qualcosa nel giorno di Sestriere, il suo popolo sarà contento come se avesse vinto la maglia rosa. Altrimenti gli vorranno bene lo stesso. Non si può sempre vincere. E metterci la faccia quando si perde è comunque un bel segno di grandezza.