La crema per il fondello, uno strumento per la salute

La crema per il soprasella, uno strumento per la salute

11.12.2025
4 min
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Perché è così importante una crema per il soprasella e anti-sfregamento? Lo abbiamo chiesto a Marco Librizzi, International Sales Manager di Chamois Butt’r, azienda americana leader nella categoria delle creme specifiche per il ciclista.

A lui abbiamo posto alcuni quesiti relativi ad un argomento sempre attuale che non conosce epoca e fascia di utilizzatore. La crema protettiva, un argomento sottovalutato, ma che in più di una situazione condiziona il benessere del ciclista e l’esperienza in bici.

Quanto è importante usare una crema specifica per il soprasella?

E’ molto importante perché aiuta a prevenire problemi anche gravi e ci permette di pedalare in meglio in totale comfort. Circa il 50% dei ciclisti soffre di irritazioni in generale e irritazioni cutanee. Chamois Butt’r aiuta a prevenire e limita l’insorgenza di problemi più gravi. L’utilizzo della crema a prescindere, aggiunge ulteriore comfort, anche quando non si hanno problemi di pelle.

Quali fattori considerare nella scelta di una crema anti-sfregamento?

E’ bene acquistare una crema di qualità da un marchio affidabile. Nel momento in cui si acquista un prodotto in farmacia, questo deve essere specifico per i fondelli. Anche se non è sempre possibile, provare un campione di crema diventa una buona soluzione. La specificità del prodotto è da considerare, ad esempio se la crema è specifica per uomo o per la donna. Chamois Butt’r produce 5 creme, alcune specifiche per le pedalate più lunghe, altre per le donne.

La crema per il fondello, uno strumento per la salute
Le tipologie di creme sono diverse, specifiche per differenti esigenze
La crema per il fondello, uno strumento per la salute
Le tipologie di creme sono diverse, specifiche per differenti esigenze
Il prezzo è sempre un fattore?

In parte sì, ma l’aspetto da considerare è il buon rapporto qualità/prezzo. Preferisco dire all’utilizzatore, dove è possibile, di capire da chi sia prodotta una crema, cercando quei marchi che producono direttamente e hanno come focus principale le creme anti-sfregamento per fondelli. Noi di Chamois Butt’r siamo un esempio, siamo leader della categoria e produciamo creme specifiche da 30 anni.

Quando dovrebbe essere utilizzata una crema?

Sono da considerare alcuni fattori chiave. Il primo è sicuramente la durata della pedalata. Qualsiasi attività superiore all’ora ad esempio, situazione in cui la crema non fa altro che aggiungere comfort. Un altro fattore molto importante da considerare è il clima. Se fa molto caldo e c’è parecchia umidità, situazioni in cui la crema diventa un plus. E poi l’utilizzo dei rulli e le attività indoor dove si suda tantissimo e si accumula calore. Qui la crema diventa uno strumento di protezione. Non in ultimo l’off-road, il gravel dove si verificano sempre situazioni di movimento extra sulla sella e lo sfregamento aumenta.

Come si riconosce una crema di qualità?

Un paio di fattori sono fondamentali, ovvero la durata e i vestiti non si dovrebbero mai macchiare. Prendendo ad esempio alcune creme della nostra linea, Original, Her, Eurostyle e Coconut, queste sono progettate per durare 4/5 ore. Un delta temporale che copre il 95% delle uscite. Le creme di qualità durano così a lungo. Offriamo anche la crema Ultra, che dura più di 12 ore. Le creme di qualità non dovrebbero mai macchiare e rovinare i vestiti, oltre ad essere facili da lavare. C’è poi anche il capitolo test, in modo che ogni singola crema non presenti problemi per nessun tipo di pelle e rispetti standard e normative. Quelle UE sono molto severe.

La crema ha una data di scadenza? E come si conserva una volta aperta?

Una confezione di crema Chamois Butt’r, se non viene aperta, dura molti anni senza data di scadenza. Una volta aperta deve essere utilizzata entro un anno. Dopodiché non andrà a male, inizierà semplicemente a seccarsi.

La crema per il fondello, uno strumento per la salute
Talvolta molte indicazioni utili sono presenti direttamente sulla confezione
La crema per il fondello, uno strumento per la salute
Talvolta molte indicazioni utili sono presenti direttamente sulla confezione
I ciclisti dovrebbero adottare anche altre misure per mantenere le proprie parti intime in buone condizioni? Se sì, quali?

L’igiene è fondamentale, anche per prevenire le irritazioni ed in questo includo anche il lavaggio dei pantaloncini dopo ogni uscita. La posizione in bici è il punto successivo da controllare, non si dovrebbe mai essere scomodi.

Christophe Laporte

Laporte, l’anno più duro e un podio che vale una rinascita

16.10.2025
4 min
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E’ stato un anno complicato, quasi da dimenticare, per Christophe Laporte. Il corridore della Visma-Lease a Bike ha vissuto la stagione più sfortunata della sua carriera. Il francese, reduce da un 2023 di altissimo livello, nel 2024 ha passato una stagione altalenante e quest’anno addirittura è stato più tempo a curarsi che a correre. Pensate, appena sedici giorni di gara fino a ieri.

Il primo numero di dorsale dell’anno Laporte l’aveva appuntato il 17 agosto alla Classica di Amburgo, e domenica scorsa ha ritrovato il sorriso con un bellissimo secondo posto dietro al nostro Matteo Trentin. Un podio che sa di liberazione, ma anche di ripartenza.

Christophe Laporte al prologo notturno del Tour of Holland, in scena in questi giorni
Christophe Laporte al prologo notturno del Tour of Holland, in scena in questi giorni

Stagione nata male

Tutto è iniziato già in primavera, quando Laporte si è visto costretto a rinunciare alle Classiche che lo avevano consacrato tra i migliori interpreti del Nord. A fermarlo è stato un virus che ha messo a dura prova il suo fisico e la sua serenità. Il francese ha dovuto dare forfait per tutte le Monumento e non solo, a partire dalla E3 Saxo Classic e dalla Gand-Wevelgem, due corse che nel 2023 lo avevano visto protagonista.

Laporte ha spiegato quanto sia stato pesante affrontare quei mesi di inattività: «E’ stato il periodo più difficile della mia carriera. Non riuscivo a capire cosa avessi, il corpo non rispondeva. Ogni volta che provavo ad aumentare il carico, tornavano stanchezza e dolori. Non avevo energia, né fiducia». In pratica Laporte ha contratto nell’ordine: prima il citomegalovirus, che lo ha fermato a lungo. E quando stava per riprendersi ecco la varicella. Questo lo ha tenuto lontano anche dal Tour de France.

La Visma-Lease a Bike a quel punto ha preferito non rischiare, fermandolo del tutto e consentendogli di recuperare completamente. Una scelta obbligata – non scontata per un atleta di tale portata – ma dolorosa, perché significava dire addio a tutta la prima parte di stagione, proprio nel momento in cui si entrava nel vivo.

Mentre i suoi compagni lottavano con gli eterni rivali della UAE Emirates, lui era a Sierra Nevada a ricostruire almeno il finale di stagione. Il rientro è così slittato ad agosto inoltrato, con un lavoro di riabilitazione graduale e tanta pazienza, nella speranza di ritrovare finalmente le sensazioni giuste.

In tutto ciò, i tecnici della Visma hanno tenuto la bocca serrata limitandosi a dire che, trattandosi di problemi di salute, Christophe non era ancora guarito, prima, e che stava lavorando, poi.

Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte
Parigi-Tours: Trentin precede uno stanchissimo, ma soddisfatto, Laporte
Parigi-Tours 2025, Matteo Trentin vince per la terza volta, battendo Christophe Laporte
Parigi-Tours: Trentin precede uno stanchissimo, ma soddisfatto, Laporte

La luce dopo il buio

Il ritorno in gruppo è arrivato, come detto, il 17 agosto alla Classica di Amburgo: ben 315 giorni dall’ultima corsa. Poi ecco la gran fatica al Renewi Tour. Ma alla Binche-Chimay-Binche, Laporte ha colto già un incoraggiante terzo posto, segnale che la condizione stava finalmente tornando. La conferma più bella è arrivata a Tours, con quel podio che ha sancito il suo vero ritorno.

Alla Parigi-Tours Laporte ha lottato fino alla fine con Matteo Trentin, arrendendosi solo per pochi metri. Tra l’altro era anche il campione uscente.

«Quando finisci secondo o terzo c’è sempre un po’ di delusione – ha raccontato Laporte – ma stavolta è stato diverso. Stavolta posso guardare alla mia gara con soddisfazione. Nel finale ero isolato, ma ho saputo rispondere bene agli attacchi. Alla fine ho deciso di muovermi io, e siamo riusciti a chiudere il gap. In volata ho sentito arrivare i crampi e non potevo spingere più forte per questo ho dovuto fare lo sprint da seduto. Ho dato tutto, ma Matteo è stato semplicemente più forte. Sono contento della mia forma in questo autunno».

Christophe Laporte
L’ex campione europeo era partito bene. In ritiro andava benone e veniva da un gran finale di stagione (foto Visma-Lease a Bike)
Christophe Laporte
L’ex campione europeo era partito bene. In ritiro andava benone e veniva da un gran finale di stagione (foto Visma-Lease a Bike)

Testa già al 2026

Laporte non si nasconde: l’obiettivo è tornare il prima possibile al livello che aveva raggiunto tra il 2022 e il 2023. Per farlo, la parola d’ordine è una sola: correre. In questi giorni il francese ha ripreso il ritmo delle competizioni e sta disputando il Tour of Holland con l’intenzione di accumulare chilometri e sensazioni positive. Non punta ai risultati, ma alla continuità: ogni gara deve essere un passo verso il 2026.

La Visma-Lease a Bike ha bisogno dei suoi uomini più forti per ricostruire la leadership e affrontare con nuove ambizioni la prossima stagione. Laporte e Van Aert restano i pilastri della squadra nelle Classiche, e i tecnici contano su di loro per riportare il team ai vertici dopo un 2025, sì buono, ma non dei soliti standard a cui ci avevano abituato.

Il francese guarda avanti con serenità: «Adesso voglio solo stare bene, fare il mio lavoro e accumulare corse. Ogni giorno in sella mi avvicina al livello che conosco. Dopo tutto quello che ho passato, poter di nuovo lottare per un podio è già una vittoria. Adesso, anche in vista del prossimo anno, l’importante è correre e trovare costanza».

Kigali, Rwanda 2025, respirazione, fatica

Quota e clima tropicale: Giorgi spiega le difficoltà di Kigali

26.09.2025
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In questi giorni in Rwanda molti atleti hanno manifestato difficoltà respiratorie. Una sorta di affanno latente che si accentua in fase di sforzo. Kigali si trova ad una quota di montagna medio-alta, superiore ai 1.550 metri.

Di questo affanno si sono fatte più ipotesi, tra cui la ionizzazione dell’atmosfera, che ai poli e all’Equatore, dove si trova quasi perfettamente Kigali, è accentuata. O anche la qualità dell’aria. Aria che invece risulta essere piuttosto buona per una città africana, simile a quella di una media città europea. Non è però elevata come a Lubiana o Lisbona, per fare un paragone.

Per fare chiarezza in merito a questa situazione, abbiamo chiamato in causa il dottor Andrea Giorgi, medico impegnato in attività di ricerca e in forza alla VF Group-Bardiani.

Andrea Giorgio, è medico e coach, della VF Group-Bardiani. E’ molto attivo anche nella ricerca
Andrea Giorgio, è medico e coach, della VF Group-Bardiani. E’ molto attivo anche nella ricerca
Dottore, i corridori avvertono difficoltà respiratorie. La latitudine, oltre all’altitudine, può incidere? Ci sono altri fattori ambientali?

Il discorso è che siamo sopra i 1.000 metri, ma in un’area tropicale. Quindi umidità e quota. A parità di quota rispetto all’Europa, il clima è diverso e due fattori incidono sulla condizione fisica e sulla prestazione. L’altitudine non è poi così bassa: a Kigali si sta tra i 1.500 e i 1.600 metri. Da quella quota in su, ogni 1.000 metri, il VO2 max si riduce di circa il 5-10 per cento.

Quindi il clima ha un ruolo determinante?

Esatto. Non è il clima secco tipico delle zone europee di altitudine, ma un clima tropicale, con umidità molto più elevata. Questo fattore influisce sensibilmente sulla prestazione. L’atleta, muovendosi, produce calore e cerca di disperderlo con la sudorazione. In un clima umido, però, la dispersione del calore tramite sudore è ridotta perché l’aria è già satura di vapore acqueo. Di conseguenza, la temperatura corporea resta più alta e l’atleta si affatica più rapidamente. Questo porta anche a una disidratazione precoce, soprattutto nei primi giorni. Ecco perché un acclimatamento adeguato è fondamentale.

Kigali sorge a 1.567 metri, sul filo dell’Equatore. Il tasso di umidità in questi giorni di sole ha toccato anche il 96% (depositphotos.com)
Kigali sorge a 1.567 metri, sul filo dell’Equatore. Il tasso di umidità in questi giorni di sole ha toccato anche il 96% (depositphotos.com)
Ma quanto è reale questa fatica? C’è anche un aspetto psicologico?

E’ reale ed è un fattore fisiologico, anche se difficilmente quantificabile. Dipende dal percorso di acclimatamento dell’atleta. Se uno arriva e sente di non riuscire a spingere, entra in un circolo vizioso: la prestazione cala, non riesce a reintegrare i liquidi persi, subentra disidratazione e la sensazione peggiora. Poi può esserci anche una componente psicologica, che può amplificare il problema, ma la base è fisiologica.

Idratazione e acclimatamento sono le chiavi per affrontare la situazione?

Assolutamente sì. L’acclimatamento è fondamentale: senza, non riesci a gestire bene lo sforzo. Ad esempio, Remco Evenepoel è arrivato in Rwanda con un certo anticipo, mentre Tadej Pogacar è passato dai 19-20 gradi del Canada, al livello del mare, a un clima tropicale in quota. Un cambio così netto può rappresentare un piccolo shock ambientale. Non a caso, lui stesso e il suo staff hanno detto che domenica andrà meglio, proprio pensando all’acclimatamento.

Questa mattina al via, Lorenzo Finn si bagnava per refrigerare il corpo. Con questa umidità la temperatura percepita è amplificata
Questa mattina al via, Lorenzo Finn si bagnava per refrigerare il corpo. Con questa umidità la temperatura percepita è amplificata
Quindi alla fine la quota influisce in modo concreto? Non si sarà ai 1.800 metri di Livigno, ma neanche così bassi…

Influisce eccome. Sopra i 1.000 metri il VO2 max cala e questo condiziona la prestazione. Nello sprint secco, invece, l’aria rarefatta aiuta. Pensiamo al famoso 19″72 di Mennea a Città del Messico, a quasi 2.000 metri di quota. Ma se parliamo di sprint ripetuti, o di sforzi prolungati, già dai 1.500 metri si sente la differenza e la fatica aumenta.

Anche i massaggiatori hanno segnalato corridori più affaticati. A livello muscolare: può esserci un legame?

Sì, perché se l’atleta si affatica di più e non si idrata a sufficienza, l’affaticamento generale si ripercuote anche sull’apparato muscoloscheletrico. I muscoli possono risentirne e accumulare più stanchezza del normale.

Ciclismo, cadute, densità ossea: Pallini e un discorso complesso

20.08.2025
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Un tema che sta emergendo parlando di sport di alto livello è quello della densità ossea. Nei ciclisti questo parametro risulta leggermente inferiore rispetto ad altre discipline, in quanto la bici, come il nuoto, è uno sport antigravitazionale. Tennisti, calciatori e soprattutto runner hanno invece ossa più robuste e massicce, per dirla in modo semplice. Chiaramente parliamo di differenze minime.

Viene quindi da chiedersi se alla base delle fratture dei ciclisti quando cadono ci sia anche questo aspetto da valutare. Per tale motivo abbiamo coinvolto Michele Pallini, massaggiatore esperto oggi in forza alla XDS-Asana e anche osteopata e fisioterapista.

Da circa 30 anni Michele Pallini è un massaggiatore del ciclismo professionistico. E’ stato un riferimento per tutta la carriera di Nibali
Da circa 30 anni Michele Pallini è un massaggiatore del ciclismo professionistico. E’ stato un riferimento per tutta la carriera di Nibali
Michele, è vero che i ciclisti hanno ossa meno dense?

E’ vero, ma bisogna fare dei chiarimenti. La produzione di osteoblasti nell’attività sportiva c’è sempre, indipendentemente dal fatto che si faccia ciclismo o running. Nel running c’è una quantità maggiore perché lo stimolo gravitazionale, cioè l’impatto del piede sull’asfalto, favorisce questa produzione. Però considera che nello sport, aumentando il metabolismo basale, qualsiasi disciplina si pratichi, il metabolismo osseo non va incontro a osteopenia: questo è un assioma. Poi è vero che sport come la corsa generano più osteoblasti e quindi più cellule ossee, mentre altri ne stimolano meno.

E nel ciclismo?

Non è che nel ciclista sia più facile andare incontro a osteoporosi rispetto al runner. Il problema fondamentale del corridore in bici è che manca essenzialmente la protezione del tessuto adiposo, insomma sono super magri. Ed essendo molto magri, le ossa sono meno protette e quindi con l’impatto il rischio di frattura aumenta. Inoltre oggi le cadute sono più rovinose rispetto al passato: le frenate sono più brevi, le posizioni più estreme, la fatica mentale e lo stress maggiori. Tutto ciò porta a incidenti più violenti.

Dal punto di vista fisiologico, che differenze ci sono per le ossa tra sport gravitazionali e antigravitazionali nel corso degli anni?

Secondo me queste differenze sono minime, se non nulle, di certo trascurabili… parlando di sport a livello professionistico. Nel runner, come detto, ci può essere una produzione leggermente maggiore di cellule ossee, ma non è che nel ciclismo si sviluppi osteopenia e nel running no. In entrambi i casi il metabolismo basale aumenta e protegge l’osso. La corsa, essendo gravitazionale, stimola di più strutturalmente, ma non cambia il quadro generale.

Wout Van Aert, corsa a piedi 2020
A prescindere dal cross, Wout Van Aert ricorre spesso alla corsa nei suoi allenamenti. E lo stesso fanno Roglic, Velasco…
Wout Van Aert, corsa a piedi 2020
A prescindere dal cross, Wout Van Aert ricorre spesso alla corsa nei suoi allenamenti. E lo stesso fanno Roglic, Velasco…
In età giovanile è importante praticare più attività per rinforzare l’ossatura?

E’ proprio questo che manca nel ciclismo, specie in Italia. Negli ultimi dieci anni qualcosa è migliorato, c’è più trasversalità a livello sportivo. All’estero i ragazzi molto spesso arrivano da altre discipline e quindi hanno una mentalità più aperta verso lavori complementari a secco. In questi miei trent’anni di carriera ho notato che la fatica maggiore emerge nei muscoli non deputati alla propulsione.

In pratica i ciclisti allenano solo i muscoli della pedalata?

Esatto. Mentre avrebbero bisogno di stabilizzare il fisico per produrre meglio la propulsione. Muscoli come medio gluteo, ileopsoas, retto femorale, grande adduttore… non vengono allenati correttamente a secco. Questo porta a problematiche della colonna lombare, quindi lombalgie, e anche a una minore efficienza della pedalata: il ginocchio tende ad andare in valgo verso l’interno invece di restare perpendicolare.

A proposito di trasversalità, Lipowitz viene spesso citato per la sua forza nel core, frutto del biathlon…

Nasce biatleta e quindi cambia la concezione del lavoro. Un atleta che viene dal pattinaggio, ad esempio, sicuramente sa che dovrà rinforzare muscoli diversi per rendere in bici. Il ciclista invece pensa che terminate le sue tre ore di allenamento in bici abbia fatto tutto. Non è così. Oggi si fanno richiami di forza a secco una volta a settimana anche in stagione, a meno che non si stia correndo un Grande Giro. Il lavoro parallelo è diventato fondamentale.

Si dice che uno dei punti di forza di Lipowitz sia la sua core zone e quindi tutti i muscoli stabilizzatori che renderebbero più efficiente la sua pedalata
Si dice che uno dei punti di forza di Lipowitz sia la sua core zone e quindi tutti i muscoli stabilizzatori che renderebbero più efficiente la sua pedalata
Prima accennavi alle posizioni estreme. Puoi spiegare meglio?

La posizione in bici è cambiata molto. Nei corsi che tengo ai fisioterapisti porto spesso l’esempio: una volta si stava più distesi, oggi si utilizzano molto di più i flessori. Per questo i corridori spesso fanno anche corsa a piedi: questo lavoro parallelo riduce la fatica nel generare potenza. Oggi non si vieta più di correre a piedi: una muscolatura posteriore forte stabilizza meglio e rende più efficienti.

A volte però in bici si perde “stabilità muscolare”…

Un esempio: guardando la posizione di Tadej Pogacar, notai una foto frontale di qualche anno fa. Lui attaccava e dietro un corridore della Soudal-Quick Step rispondeva con il ginocchio in valgo, fuori asse. Perché? Perché sotto sforzo si recluta una muscolatura che normalmente stabilizza, come gli adduttori, e questo può causare crampi.

Quindi non sempre è disidratazione…

Esatto. L’adduttore è antagonista del medio gluteo, che è il principale stabilizzatore dell’anca. Quando il medio gluteo è molto sollecitato in bici, in catena cinetica chiusa, può portare al crampo dell’adduttore. Un tempo i corridori con questi problemi facevano esami ematici e biochimici che risultavano normali: si pensava ai sali, ma raramente si valutava la componente biomeccanica.

Torniamo alla densità ossea: avere ossa più dense serve davvero al ciclista?

Serve, ma non in modo esagerato. Anche perché nel ciclismo si presta sempre molta attenzione al peso. Ci può essere una penuria ossea legata al maggiore consumo di calcio, ma parliamo di atleti di altissimo livello e differenze minime. La causa principale delle fratture non va cercata nell’osteopenia, ma nell’estremizzazione della gara e delle condizioni di corsa.

Il coraggio di Santesteban, l’endometriosi e la salute delle donne

08.04.2025
4 min
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«Il 31 di ottobre, al controllo annuale ginecologico, videro una ciste di 5 cm nell’ovaio e iniziarono a sospettare di endometriosi. Non è una cosa buona, ma per me fu una liberazione». Ane Santesteban, punta di diamante spagnola per il Team Laboral Kutxa, rende così pubblico con un post sui social la fine di un calvario, che ha compromesso l’intera stagione passata.

Ane Santesteban ha comunicato la sua endometriosi su Instagram con un post il 23 febbraio

Di colpo un dolore inspiegabile

Troppo spesso, si valuta un atleta – uomo o donna non conta – solo sulla base dei risultati, con verdetti pesanti non appena le performance calano un po’. Ane Santesteban, dopo diversi piazzamenti in gare importanti nel corso degli ultimi anni, nel 2024 decide di approdare nel team basco con le vesti da leader, ma qualcosa non funziona e i risultati non arrivano.

«All’inizio avevo tanto male alla schiena e alla gamba, poi sentivo come un coltello in pancia. Non so quanti esami e visite mi hanno fatto fare – racconta Ane – ma non c’era niente! Dopo il Tour sono stata addirittura completamente ferma per un mese e mezzo perché soffrivo troppo. Mi hanno fatto fare anche gli esami per le intolleranze alimentari, ma era tutto a posto. Così molti mi dicevano: è tutto un problema di testa».

Dopo il Tour, Ane è stata ferma per un mese e mezzo a causa del dolore
Dopo il Tour, Ane è stata ferma per un mese e mezzo a causa del dolore
Come hai reagito a tutto questo?

E’ stato un anno fisicamente e psicologicamente molto duro. Io sapevo che non era un problema legato alla pressione per le gare però, dopo tutti quegli esami negativi, anche io ho iniziato a dubitare di me. Forse il dolore era veramente solo nella mia testa…

Poi cosa è successo?

Durante l’estate il dolore è iniziato a essere più nella parte bassa della pancia, vicino alle ovaie. A ottobre durante la visita ginecologica, hanno visto che c’era una cisti di 5 cm sull’ovaia destra. Così dopo che gli ho riportato tutti i dolori che mi tormentavano da inizio dell’anno, è stata sospettata l’endometriosi. A quel punto, nel giro di poco tempo, con degli esami specifici, la patologia è stata confermata e ho potuto iniziare la terapia.

Al 17° anno da professionista, Ane Santesteban firma alla partenza della sua prima Sanremo
Al 17° anno da professionista, Ane Santesteban firma alla partenza della sua prima Sanremo

Diagnosi complicata

L’endometriosi è una patologia spesso sottodiagnosticata che colpisce le donne. Pensate che mediamente una donna impiega otto anni prima che le sia diagnosticata correttamente. Il problema è causato da un’alterata localizzazione di parti di tessuto endometriale. Queste piccole isole di tessuto, che restano invisibili all’ecografia per anni, sanguinano periodicamente, causando dolori forti alla pancia, gonfiore addominale e spesso disbiosi intestinale. Insomma per molti anni, le donne che soffrono di endometriosi stanno male senza capirne il motivo.

Ane, ora cosa devi fare?

Devo prendere la pillola anticoncezionale e fare controlli periodici ogni 2-3 mesi. Da quando ho iniziato con la terapia, la mia qualità di vita è migliorata molto. La cisti di 5 cm è scomparsa e ne sono rimaste solo un paio più piccoline. Sto lavorando molto anche con l’alimentazione, curando la dieta e inserendo molti alimenti antiossidanti, per ridurre l’infiammazione legata alla presenza di questo tessuto delocalizzato all’esterno dell’utero. Inoltre mi sottopongo a trattamenti di osteopatia viscerale, che mi aiutano a ridurre le aderenze a livello addominale, che mi causano altrimenti dolore alla pancia.

Al Giro dello scorso anno, in azione sul Blockhaus: i problemi sono già cominciati
Al Giro dello scorso anno, in azione sul Blockhaus: i problemi sono già cominciati
Ti hanno spiegato quale può essere stata la causa?

A livello famigliare nessuna ne ha mai sofferto. Io in passato ho portato per molti anni la spirale, quindi quella già mi aiutava con questo problema senza saperlo. A dicembre 2023 ho però deciso di toglierla, perché non mi piaceva l’idea di prendere sempre ormoni e da lì ho cominciato ad avere problemi.

Come è stata la ripresa? Perché hai deciso di condividere la tua esperienza pubblicamente? Ti abbiamo visto già lottare di nuovo in testa al gruppo quest’anno… 

E’ stato molto il lavoro per recuperare gli allenamenti persi, ma ora è bello vedere che sono capace di tornare al mio livello. Già nelle prime gare sono riuscita a lottare di nuovo in testa al gruppo, così ora ho più fiducia e posso continuare a lavorare. Parlare di mestruazioni e salute femminile non è semplice. Inizialmente provavo vergogna, ma è giusto condividere queste esperienze, perché noi donne spesso sentiamo di dover dimostrare in un mondo maschile, come il ciclismo, di non aver mai dolore e di essere sempre forti abbastanza, ma la salute viene prima di tutto.

Diaframma, ben più di un semplice muscolo

18.01.2024
4 min
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Spesso molti dolori che può avvertire un ciclista, magari legati alla schiena o allo stomaco, non dipendono direttamente da quella specifica zona, ma sono fastidi di riflesso. Di riflesso dal diaframma. 

Il diaframma è il muscolo più importante della respirazione. Non tutti lo “sanno usare” a fondo. Nell’era in cui gli atleti di vertice sono sempre più controllati, questa problematica emerge in modo più frequente.

Emanuele Cosentino, è uno dei massaggiatori e fisioterapisti della VF Group-Bardiani. Non è la prima volta che ci parla di diaframma, ma stavolta con lui andiamo più nello specifico. E il discorso a quanto pare è molto ampio.

Emanuele Cosentino è uno dei massaggiatori e fisioterapisti della VF Group-Bardiani
Emanuele Cosentino è uno dei massaggiatori e fisioterapisti della VF Group-Bardiani

Un muscolo, tanti benefici

«I muscoli che tratto di più – spiega Cosentino – sono soprattutto lo psoas e il diaframma. E li tratto non solo per se stessi, ma anche per la postura. Lo psoas si trova nella parte inferiore della pancia, il diaframma in quella più alta, appena sotto ai polmoni. Sembrano distanti, in realtà sono strettamente connessi. Se l’ileopsoas è contratto o teso, di riflesso il diaframma lavora male. E viceversa».

Il diaframma, come dicevamo, è il muscolo più importante della respirazione. E’ il “motore” della respirazione, quello che attiva tutto il processo. Ha la forma di un ombrello. Si alza e si abbassa a seconda delle fasi di respirazione: inspirazione, espirazione. E’ come fosse una pompa.

Questo muscolo è importante sia per il benessere di una persona normale che per le prestazioni di un atleta.

«Il diaframma è importante – prosegue Cosentino – perché svolge vari ruoli: viscerale, posturale, respiratorio. Partendo da quest’ultimo, il diaframma sbloccato che lavora bene fa sì che i polmoni si dilatino meglio e incamerino più ossigeno. Più ossigeno nei polmoni significa più ossigeno al sangue e ai muscoli, perché anche il cuore di conseguenza può pompare meglio».

Da un diaframma che lavora bene possono escludersi problemi di stipsi, una buona digestione e delle buone funzioni gastrointestinali. Per questo Cosentino lo considera una delle chiavi del benessere. I benefici dunque sono molteplici.

Un disegno che spiega come è fatto e dove si trova il diaframma, chiaramente in rosa (immagine dal web)
Un disegno che spiega come è fatto e dove si trova il diaframma, chiaramente in rosa (immagine dal web)

Più perfomance

Aumentando la sensibilità su ogni fronte, tra cui quello dell’osteopatia e della fisioterapia, anche il ciclista cura di più questo aspetto.

«Nel ciclismo – dice Cosentino – una cattiva postura spesso dipende dalla chiusura eccessiva dell’addome. Quando inquadrano i corridori di lato e si vede che gli si gonfia la pancia, è ottimo. Significa che l’atleta respira bene, sfrutta al massimo le sue capacità respiratorie.

«Un diaframma che lavora bene non so quanto possa influire direttamente sulla prestazione, ma mi sento di dire che che posticipa l’arrivo dell’acido lattico. Magari tra chi ha un diaframma bloccato e chi ha un diaframma che lavora bene ci può essere una differenza del 10-15 per cento.

«Nella nostra squadra per esempio Alessandro Tonelli è molto bravo in tal senso. E’ un ragazzo molto accorto in tutto. Forse anche perché durante un Giro d’Italia ci eravamo accorti che aveva dei problemi alla schiena dovuti proprio al diaframma. Avevamo rivisto la sua posizione in bici, poi le misure della biomeccanica, ma tutto era okay. La schiena tutto sommato era a posto… Andando per esclusione, sbloccando il diaframma ha risolto quel dolore. Oggi, ogni volta che viene al massaggio, mi chiede dello sblocco del diaframma».

La pancia che si gonfia durante la respirazione è un ottimo segnale, secondo Cosentino
La pancia che si gonfia durante la respirazione è un ottimo segnale, secondo Cosentino

Esercizio costante

Cosentino lavora molto su questo aspetto con i suoi atleti. Durante i ritiri, organizza delle sedute di stretching collettivo, in cui gli fa eseguire anche esercizi di respirazioni. Ce ne sono 3-4 che sono importantissimi affinché il diaframma resti libero e possa lavorare bene. Ma vanno fatti con costanza.

«Il primo esercizio – conclude Cosentino – è quello di respirare con la pancia. Quindi ombelico al cielo se si è sdraiati o sulle punte se si sta in piedi. Altro esercizio: portare le braccia in alto, come se ci si allungasse per prende un oggetto in alto, e inspirare. Quando poi si riportano le braccia in basso bisogna espirare. In questo modo si distende il diaframma e si rilassa anche lo psoas».

Il super fuorigiri, quando il cuore schizza (troppo) in alto

15.07.2023
5 min
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Durante questo Tour de France spesso si è sentito parlare di corridori a tutta. E quando si è a tutto gas, i battiti sono alti, a volte troppo e si fanno dei super fuorigiri, nonostante il potenziometro. Ma quando c’è la verve agonistica – e per fortuna consentiteci di dire – tutto salta e il cuore schizza in alto e il cardiofrequenzimetro (nella foto di apertura) registra cifre incredibili.

Emblematico il caso di Tobias Johannessen che proprio nella prima tappa avrebbe toccato le 210 pulsazioni.

Cosa succede al fisico quando si verifica un caso simile? Ne parliamo con il dottor Andrea Giorgi, in forza alla Green Project-Bardiani. Avvenimenti simili sono parecchio al limite e vanno analizzati con referenti esperti.

Il dottor Andrea Giorgi, dello staff del team Green Project-Bardiani CSF Faizanè
Il dottor Andrea Giorgi, dello staff del team Green Project-Bardiani CSF Faizanè
Dottor Giorgi, i super fuorigiri, chiamiamoli così, quando il cuore va oltre i 195-200 battiti al minuto: cosa succede?

Parliamo di frequenze cardiache massime, quindi molto alte. Per la gente comune la frequenza cardiaca massima si stima con la semplice formula 220 meno l’età. Oppure un altro metodo è quello di moltiplicare la propria età per un coefficiente fisso di 0,7, ma sono tutte approssimative. Per gli atleti si esegue un test massimale. Però di base mi sentirei di dire che al di sopra dei 195-200 battiti al minuto è molto difficile andare, non è qualcosa di normalmente fisiologico.

Cioè?

Posto che molto dipende dal soggetto, quando si va al di sopra delle 200 pulsazioni ci deve essere una forma patologica o comunque un disturbo… Però, ripeto, molto dipende dal soggetto, dalla sua età, dalla freschezza, dalla temperatura esterna. Quei 210 battiti sono davvero tanti, anche per un atleta di 25-30 anni. Sono più normali i 195 a 18-20 anni.

Quanto incide il soggetto, visto che lo ha rimarcato?

Parecchio. Senza fare nomi, durante i test massimali in passato avevo chi arrivava a 195 pulsazioni e chi a 147. Il limite delle 200 pulsazioni è molto alto, raro e può essere causato da patologie. E’ importante valutare l’ambiente circostante.

Tobias Johannessen dovrebbe aver toccato le 210 pulsazioni nella prima tappa. Anche sul Puy de Dome c’è chi ha superato i 195
Tobias Johannessen dovrebbe aver toccato le 210 pulsazioni nella prima tappa. Anche sul Puy de Dome c’è chi ha superato i 195
Johannessen ha detto che sul Pike c’era una grande calore dato dal folto pubblico, poca areazione. Mettiamoci anche che lui era fresco in quanto era la prima tappa. Ma altri hanno detto di aver sfiorato quei battiti sul Puy de Dome…

La temperatura ambientale influisce molto e la temperatura corporea interna ancora di più. Quando quest’ultima tocca i 40 gradi le pulsazioni aumentano di 10-15 battiti al minuto. E se questa sale è facile disidratarsi. Se ci si disidrata diminuisce il volume del sangue e per mantenere la gittata cardiaca il battito aumenta. In pratica il cuore deve battere più forte, deve pompare più sangue, per mantenere quello standard. 

Magari questi atleti che si sono ritrovati ad avere battiti alti erano anche un po’ disidratati…

Quando si superano certi limiti di temperatura e quindi salgono molto i battiti, si arriva a parlare di tachicardia sopraventricolare parossistica ed è una patologia infatti.

Ci sono magari degli integratori che associati al contesto ambientale possono portare a questa situazione?

La caffeina può essere uno stimolante per i battiti, ma non in questa misura. Questi battiti sono difficili da toccare, anche volendolo. Oggi che le prestazioni sono sempre più alte ci si allena a far salire il cuore. Si lavora molto anche con l’interval training: con i 30”-15” o i 40”-30”. Questi lavori si usano ormai di più dei 3′-4′ a tutta proprio perché stimolano di più il cuore a battere forte. Ti portano a lavorare al 110% della loro frequenza massima. Oggi i ragazzi che seguo e fanno questi lavori, mi dicono che in corsa si trovano meglio. Nel caso specifico poi, i norvegesi, grazie anche allo sci di fondo, hanno fatto degli studi importanti sul Vo2Max. Hanno un’ampia letteratura e di certo anche Johannessen si allenerà con battiti alti. Ma comunque quando si toccano i 200 battiti c’è sempre qualcosa che non quadra.

Secondo Giorgi è molto importante analizzare i file post gara, per verificare che non ci sia stato un errore di rilevazione. Il cuore non deve battere così forte
Secondo Giorgi è molto importante analizzare i file post gara, per verificare che non ci sia stato un errore di rilevazione. Il cuore non deve battere così forte
E quando succede il dottore cosa fa?

Innanzi tutto analizzo il file del ragazzo. Verifico se c’è stato un solo picco o se si è trattato di una fase prolungata. Poi contestualmente in quel momento gli chiedo come stava, cosa provava, se aveva il battito in gola… Se c’è stato un errore del cardio, okay: finisce lì. Ma se invece la cosa è vera o si ripete allora vado avanti. Quanto era caldo? Era disidratato? Come si è alimentato? Inizia tutta una serie di esami… tanto più per noi italiani che su questo aspetto siamo severi. Giusto per fare un esempio attuale, Vanmarcke da noi avrebbe smesso già da un po’.

Prima ha detto che ci si allena ad alzare i battiti, ma al tempo stesso che sono frequenze pericolose. Quindi?

I ragazzi devono stimolare il cuore a salire, ma a quel livello non ci devono arrivare. Proprio a Bilbao, prima del Tour, c’è stata una riunione dei medici sportivi e si parlava di un’indice, di matrice australiana, che metteva in relazioni dei fattori come la temperatura esterna, quella corporea interna e altri parametri alle prestazioni… Potrebbe essere proprio quel che si è verificato in quella prima tappa di questo Tour.

Nuove posizioni, spuntano i dolori articolari

26.06.2023
5 min
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Qualche giorno fa, Federico Morini, per tutti Fred, massaggiatore ed osteopata della nazionale italiana, ci aveva parlato del mal di gambe. I dolori dei corridori però sempre più spesso non sono solo muscolari, ma anche articolari. E spesso questi sono correlati.

Le motivazioni alla base di questi “nuovi dolori” sono legati soprattutto alle posizioni moderne, se è corretto dire così.

Morini ha anche un suo studio (Physio Sport Clinic a Città di Castello, in Umbria). Eccolo con Simone Consonni
Morini ha anche un suo studio provato (Physio Sport Clinic a Città di Castello, in Umbria). Qui, eccolo con Simone Consonni
Fred, a quanto pare i dolori articolari sono in aumento. E’ così?

Il ciclismo ha sempre vissuto una costante evoluzione. Lo vediamo nei sistemi di preparazione, nell’abbigliamento, nelle posizioni e tutto questo alla fine ricade sul corpo umano. Corpo che viene bersagliato dagli stress, siano essi prestativi che legati alla posizione, almeno per quel che riguarda questo argomento.

Entriamo dunque subito nel merito e inevitabilmente partiamo dalle posizioni appunto.

Negli ultimi 10-15 anni si è cominciato a parlare sempre più di biomeccanica. Si è cominciato a portare le bici, prima quella cronometro poi quella da strada, in galleria del vento e questo perché? Per estremizzare il gesto, per cercare di guadagnare più velocità possibile, quindi per sprigionare sempre più forza. E questo però comporta uno stress non da poco sul corpo, che alla lunga muta in patologia. 

Patologia?

Il corridore soffre di una patologia che può essere un’infiammazione, magari di un’articolazione e di conseguenza si finisce sui tendini. L’atleta avverte un dolore in una parte del corpo dovuta ad una specifica posizione che è costretto a tenere. Per esempio, a cronometro si estremizza il tutto e non solo in termini di velocità, ma soprattutto in termini di posizione appunto. E questo fa sì che a volte ti trovi a gestire l’atleta non più solo con il tradizionale massaggio.

Cos’altro serve?

Il massaggiatore attuale deve avere più competenze perché le problematiche moderne sono diverse. E’ anche osteopata, sa usare dei macchinari, deve saper gestire problematiche lombari o del ginocchio perché magari ha un’infiammazione ai tendini rotulei. Quando prima, lo stesso massaggiatore si occupava dei muscoli e basta.

Oggi il massaggiatore è anche fisioterapista e a volte osteopata. E deve saper utilizzare i macchinari
Oggi il massaggiatore è anche fisioterapista e a volte osteopata. E deve saper utilizzare i macchinari
Le nuove posizioni quindi incidono parecchio?

Oggi devi intervenire a 360 gradi. Per esempio devi saper intervenire sull’articolazione temporomandibolare, cercare di detendere quella zona perché le nuove posizioni costringono l’atleta ad atteggiamenti forzati per più ore. Idem per la cervicale per esempio. L’evoluzione della “specie ciclista” ha sì portato più prestazionima alla fine c’è un biglietto da pagare.

Per la foto di apertura abbiamo scelto Adam Yates, che pedala molto in avanti. Una volta si diceva: quando il pedale in avanti è parallelo al terreno, la perpendicolare per la rotula deve cadere sull’asse del pedale stesso. Adesso stanno parecchio più avanti.

Esatto, io sto portando avanti una ricerca con alcuni corridori, anche della nazionale, con gli under 23, con i quali ho fatto dei test più sofisticati utilizzando degli elettromiografi di superficie, per verificare le buone o cattive attivazioni muscolari. Per capire perché si è  è generata quel tipo di infiammazione sul ginocchio o quel tipo di dolore alla schiena. Molto spesso ci accorgiamo che i muscoli hanno subito un “over use”, perciò uno stress eccessivo che con un tradizionale massaggio non si riesce più a risolvere.

Perché?

Perché ti trovi di fronte ad una vera patologia. Per questo è necessario che tu, massaggiatore moderno, debba ampliare le tue competenze. Cerchi di comprendere meglio il “network” del corpo… Anche chi lavora attorno al ciclista, massaggiatori, osteopati, fisioterapisti, devono cercare di studiare meglio “chi è” il corridore. La scarpetta rigida: benissimo, ma così come la macchina di Formula 1 che è super rigida richiede poi tanto lavoro sul corpo del pilota, lo stesso sta accadendo sul ciclista. E non a caso le squadre ormai hanno più figure professionali, c’è un lavoro più sistemico, più complesso.

Fred, prima hai parlato quasi più di patologia che di stress muscolare del momento. Allora viene da chiedersi: ma come può un corridore che ha una patologia vincere un Tour o una Sanremo?

I corridori a volte sono costretti, così come gli altri professionisti dello sport, a convivere con una situazione patologica. Per i motivi che abbiamo detto: posizioni “forzate” o gesti ripetuti in condizioni estreme o non ottimali. Nel caso di un ciclista, questo magari ha un’infiammazione, ma mancano tre tappe alla fine di un Giro e devi gestire quel problema.

E come?

Prima di tutto cercando di tranquillizzare l’atleta il più possibile. Secondo, togliendogli il dolore, perciò devi lavorare su una vera patologia. Oltre al massaggio devi cercare di risolvere il problema che porta a quello stato infiammatorio… che per noi del settore viene definito patologia. Poi possono esserci anche altre forme di patologie.

Tipo?

Contratture o lesioni più gravi. Ma si spera sempre di non arrivare a quel punto, di lanciare prima l’allarme. In questo caso, l’essere un ex corridore, mi fa comprendere il vantaggio di avere attorno delle figure preparate per gestire queste situazioni e parlare con gli atleti.

Per prevenire insomma… Fred ci hai dato un quadro completo: materiali e posizioni più estreme portano a dolori articolari. Quali sono i punti più stressati per te?

La zona cervicale, quella del basso lombare e le ginocchia. Stando così schiacciati e compressi queste sono quelle che più ne risentono.

Il recupero e i suoi parametri in un grande Giro

31.05.2023
5 min
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ROMA – Il Giro d’Italia si è concluso e la quasi totalità dei corridori lo ha portato a termine con le energie al lumicino. Tanta stanchezza e tanto affaticamento… E’ stata un’edizione davvero dispendiosa nella quale ha inciso anche il maltempo. Carlo Guardascione, medico della Jayco-AlUla, ci porta nei meandri di questo aspetto non secondario in una grande corsa a tappe.

Marco Frigo, per esempio, ci aveva detto che al primo giorno di riposo avrebbe tirato dritto, ma che al secondo era già più stanco. E domenica scorsa, al netto delle belle sensazioni ed emozioni, non vedeva l’ora di riposarsi.

Il dottor Carlo Guardascione, medico del Team Jayco-AlUla
Il dottor Carlo Guardascione, medico del Team Jayco-AlUla
Dottor Guardascione, partiamo proprio da questo aspetto. C’è differenza, ed eventualmente quanta, tra il primo e il secondo giorno di riposo?

Molta differenza, perché il secondo giorno di riposo è graditissimo ai corridori. Arriva dopo circa due settimane in cui si è fuori (le squadre si ritrovano dal mercoledì, giovedì prima della grande partenza, ndr) e circa 9-10 di giorni di corsa. E’ un giorno di riposo completo o poco più. I ragazzi vanno in bicicletta un’ora e mezza per fare un giretto. In gergo la chiamano “pausa caffè”,  giusto per tenere la muscolatura in movimento. Si riposano davvero tanto perché ne hanno bisogno. Ma c’è anche un problema: per qualcuno che è abituato alla quotidianità di quei ritmi gara, quel giorno può essere “difficile”. 

E cosa significa difficile?

Allora, dal punto di vista nutrizionale mangiano meno. E’ tutto stabilito dalla nostra nutrizionista (Laura Martinelli, ndr): hanno un introito calorico inferiore. Fanno un massaggio più prolungato, perché come ben sapete arriviamo spesso tardi in albergo e i massaggi non sono lunghissimi, così in quel giorno di riposo si riesce a fare qualcosa di più approfondito. In questo modo anche dal punto di vista del recupero muscolare i ragazzi sono agevolati. Il secondo giorno di riposo, se posso definirlo con un aggettivo, è benedetto.

Durante il giorno di riposo è fondamentale fare una sgambata
Durante il giorno di riposo è fondamentale fare una sgambata
Ma se hanno così bisogno di riposo perché escono in bici, seppur piano, anziché fare un recupero totale?

Uno, per mantenere l’aspetto motorio degli arti inferiori. Due, perché è “il loro lavoro”. Tre, forse il motivo più importante, perché si mantengono alcuni equilibri metabolici in atto. Restano completamente fermi coloro che magari hanno avuto un infortunio o sono malati, altrimenti un minimo di attività ci deve essere.

Perché il terzo motivo, quello degli aspetti metabolici è il più importante?

Perché gli serve per tenere in equilibrio il cortisolo e alcuni ormoni legati alla prestazione che se non si andasse in bicicletta potrebbero vedere delle alterazioni ancora maggiori. Poi, si sa, oggi non si lascia nulla al caso. 

Quali sono i parametri che valutate di più per stabilire se un atleta è più stanco di un’altro?

Usiamo una particolare App che monitora il battito cardiaco dei ragazzi e altri parametri che fanno capire agli atleti, ai loro coach e anche a noi medici in che fase sono. Riguardo ai parametri, la cosa più importante è che ci sia una grande differenza tra pressione massima e pressione minima: più questo differenziale è alto e meglio è.

Nei giorni di riposo il massaggio è più intenso e prolungato (foto Instagram)
Nei giorni di riposo il massaggio è più intenso e prolungato (foto Instagram)
Solo la pressione?

Anche i battiti al mattino, soprattutto al risveglio, devono essere sempre in un determinato range. I ragazzi sono tutti brachicardici, cioè che hanno i battiti molto bassi, e in genere al mattino difficilmente superano le 50-52 pulsazioni. Pertanto se un corridore si svegliasse la mattina e a riposo sul letto avesse 70 battiti farebbe scattare qualche campanello d’allarme. Vuol dire che qualche sistema metabolico di recupero non è ottimale e questo può essere un chiaro segno di affaticamento.

C’è chi studia il sonno, come per esempio fanno in Green Project-Bardiani, voi lo monitorate?

Vi ringrazio per questa domanda, in quanto mi dà l’opportunità di parlare di un progetto che attraverso il nostro patron, Gerry Ryan, stiamo portando avanti con un’università australiana. Stiamo studiando il miglior adattamento del sonno e le sue correlazioni con la miglior performance, attraverso un sistema che comprende anche sedute con degli psicologi e il training autogeno per indurre il sonno in maniera autonoma.

Avere un sonno regolare è molto più complicato nella terza settimana che ad inizio Giro
Avere un sonno regolare è molto più complicato nella terza settimana che ad inizio Giro
Interessante…

E’ un progetto importante e di lungo termine. Per rispondere alla domanda: il sonno è importantissimo. Noi stiamo studiando questa App e probabilmente cominceremo ad applicarla a pieno regime dall’anno prossimo.

Si può dare una percentuale di quanto si stanchino i corridori nel corso di un grande Giro. Per esempio quanta differenza di stanchezza c’è tra il primo e il secondo giorno di riposo? Insomma, quanto varia il livello di stanchezza? 

E’ molto individuale. Ovvio che i corridori che fanno classifica sono meglio dotati da questo punto di vista. Recuperano di più, dormono di più e hanno parametri più stabili e tutto ciò si evince di più nella terza settimana. E’ questo che rende questi atleti tanto performanti in questo tipo di gare.

E facendo un paragone tra un uomo da corse a tappe è un uomo da classiche, che differenze possono esserci mediamente?

Anche in questo caso è impossibile dare una percentuale. L’uomo che non è da corse a tappe è un accumulatore di fatica. La sua capacità di recupero è molto più bassa. Ha percentuali di recupero inferiori. Dare dei numeri è impossibile, direi delle fandonie.