Un giorno in giallo con Bardet: Emily Brammeier racconta

03.07.2024
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VALLOIRE (Francia) – «Avevamo già avuto la maglia gialla in squadra – dice Emily Brammaier, responsabile delle comunicazioni nel Team DSM – ma non avevo mai lavorato con la maglia gialla. Quindi sabato è stata una bella giornata. Avevo lavorato con altri leader. C’ero quando Nicholas Roche prese la maglia della Vuelta e anche quando Wilko Kelderman e Jay Hindley presero la rosa nel 2020. L’anno scorso ancora in rosa con Andreas Leknessund. Questa volta c’è stato Bardet, ma l’attenzione che porta la maglia gialla è nulla in confronto delle altre due».

Emily Brammeier è una bella ragazza bionda, per metà inglese e metà irlandese, che da qualche anno lavora per il Team DSM Firmenich. Ci si saluta ogni giorno, si scambiano poche battute, ma questa volta abbiamo deciso di chiederle qualcosa di più per capire che cosa significhi quando in una squadra (che non ci è abituata) arriva la maglia gialla. Che cosa è successo nel team olandese quando Bardet ha vinto la prima tappa del Tour e ha conquistato la maglia gialla? Lo chiediamo a lei, che ha seguito Bardet in ogni passo. E poi le chiederemo qualcosa di sé: chiunque passi tanti giorni lontano lavorando sodo all’ombra dei campioni merita che il proprio lavoro venga riconosciuto.

Vi aspettavate che Bardet potesse vincere tappe e maglia in avvio del Tour?

Mia cugina si è appena sposata a Firenze ed è in luna di miele in Italia. Così le ho procurato dei biglietti per venire all’ospitalità la mattina della prima tappa. E lei mi ha chiesto: «Allora, qual è il tuo programma per la giornata?». E io le ho risposto che sarei andata a Rimini per conquistare la maglia gialla. Le ho detto che sarebbe stato un sogno assoluto, anche se il piano di attaccare e provare c’era davvero. Volevamo essere nel vivo della gara e quando è arrivata la sera, abbiamo scoperto che il sogno si era avverato.

Da quanto tempo sei in questa squadra?

Dal dicembre 2016. Ho iniziato a occuparmi dei social media e poi, dopo circa un anno, sono passata al ruolo di addetto stampa. Ora invece sono responsabile delle comunicazioni. Mi sono avvicinata al ciclismo perché in realtà provengo da una famiglia di ciclisti. Mio fratello era un ciclista professionista così pure sua moglie, Nikki Harris. Mio padre andava sempre in bicicletta quando eravamo bambini. E poi, per fare sì che i miei due fratelli maggiori continuassero a stare bene, evitando che frequentassero le persone sbagliate, li arruolò nel club ciclistico locale.

Cresciuta fra le bici, insomma…

Abbiamo trascorso tutta la nostra infanzia partecipando a gare ciclistiche. Io ero di supporto per i miei fratelli. E alla fine, come si diceva, uno di loro è stato per alcuni anni un ciclista professionista e ora è allenatore nella nazionale britannica: si chiama Matt Brammaier. Per cui, ecco spiegato come mai io lavori nel ciclismo. Invece sono nelle comunicazioni perché ho studiato pubbliche relazioni e media e quindi… eccomi qui.

Emily con il fratello Matt: ex corridore e ora tecnico della Gran Bretagna (foto Instagram)
Emily con il fratello Matt: ex corridore e ora tecnico della Gran Bretagna (foto Instagram)
Come è stato aspettare l’arrivo di Bardet a Rimini?

Piuttosto folle, perché non avevamo una visione d’insieme. Non avevamo schermi televisivi, a dire il vero, perché il nostro pullman si è rotto mentre arrivavamo a Rimini (in sostituzione è stato chiamato Daniele Callegarin con il pullman Vittoria, ndr). Quindi è stata una fortuna che io sia riuscito ad arrivare al traguardo. Ho avuto un passaggio dalla Israel Premier Tech. Hanno caricato me e il mio operatore in una stazione di servizio sull’autostrada. Il pullman aveva tutte le spie accese sul cruscotto, per cui ho inviato un messaggio ai miei colleghi e ho detto se ci fosse qualcuno dietro di me in autostrada che potesse venire a prendermi. E alla fine, grazia alla Israel, sono arrivata al traguardo con il cibo, le bevande e la borsa per l’arrivo.

Che cosa ha significato gestire la maglia gialla del Tour?

Buona domanda. In realtà c’è differenza tra averla per pochi giorni e quando invece si punta davvero alla classifica. In ogni caso devi provare a gestire la quantità di tempo in cui il corridore è impegnato a partire dai protocolli post gara. Quando lo fai per giorni e giorni di seguito, ci vuole molta energia. Sei sempre l’ultimo corridore a lasciare la gara. Hai il podio, molteplici conferenze stampa, controlli antidoping. Può volerci un’ora e mezza, anche due ore prima che torni in hotel. Quindi penso che se lo fai giorno per giorno e il tuo obiettivo è davvero mantenere la maglia, allora devi cercare di gestire davvero il tempo. Ma per noi, ovviamente, in questo caso non era quello l’obiettivo.

Che cosa ha rappresentato quella maglia per Bardet?

E’ stato un momento davvero speciale, per cui abbiamo vissuto le varie fasi insieme e senza stress. Ci siamo goduti tutta la trafila di cosa significhi essere in maglia gialla. La serata è stata impegnativa. Ogni sera il Tour è affollato, ma credo che questa volta sia stata eccezionale. Come ho detto, non avevamo un pullman al traguardo, quindi i corridori sono saliti in macchina e se ne sono andati. Noi invece (ride, ndr) siamo tornati in bicicletta dal traguardo all’hotel.

Bardet in giallo, Van den Broeck in verde: grande inizio di Tour (foto Instagram)
Bardet in giallo, Van den Broeck in verde: grande inizio di Tour (foto Instagram)
In bici?

Bardet e Van den Broeck erano entrambi reduci dal podio, quindi sono saliti in macchina e sono andati via con il medico. Noi rimasti, quindi il nostro allenatore e il capo delle operazioni, abbiamo preso le loro bici di scorta e abbiamo fatto 10 chilometri fino all’hotel. E’ stato molto diverso dal solito viaggio in macchina…

In che modo avete gestito la maglia sul piano della comunicazione?

Abbiamo cercato di realizzare quanti più contenuti possibili. Commercialmente, la maglia gialla è super interessante ed è un momento che abbiamo voluto massimizzare anche dal punto di vista dei social media e delle pubbliche relazioni. Abbiamo fatto venire un paio di giornalisti in hotel e più tardi la sera abbiamo fatto alcune interviste dal vivo sia con Roman che con Frank Van den Broeck. Però abbiamo avuto anche un momento con lo champagne per fare festa tutti insieme. E mentre eravamo nella hall a fare questo brindisi, in televisione riproponevano la tappa. Così ci siamo seduti e abbiamo visto il finale tutti insieme.

Dai social media si è visto che i ragazzi hanno detto qualcosa.

Hanno fatto un bel discorso e abbiamo bevuto tanto champagne, che alla fine gocciolava dal soffitto. Romain era felice. Penso che indossare la maglia gialla sia stato il sogno di una vita, quindi è stato bello poterlo condividere con lui. Era decisamente emozionato, soprattutto quando è tornato in albergo e ha visto i compagni di squadra e gli altri membri dello staff.

L’intera squadra è stata felicissima per Bardet, in giallo al suo ultimo Tour
L’intera squadra è stata felicissima per Bardet, in giallo al suo ultimo Tour
Il giorno dopo è stato necessario fare qualcosa di particolare, avendo la maglia gialla?

Siamo arrivati un po’ prima alla partenza, in modo da avere abbastanza tempo per fare tutto il necessario. Non abbiamo creato una strategia mediatica, ma di certo è stato un momento di altissima intensità al quale ci eravamo preparati dal mattino. Per ogni Grande Giro prepariamo oggetti su misura, per cui al Tour ne abbiamo gialli, verdi, a pois nel caso arrivi quella maglia. Da un punto di vista commerciale è utile, per cui abbiamo poi passato la mattinata a fotografare quel genere di cose. A scattare foto di gruppo tutti insieme, perché per tutti noi è stato un momento speciale da ricordare.

Quanta attenzione c’è per la maglia gialla?

E’ stato piuttosto folle, considerando che si trattava di un francese dopo una prestazione così spettacolare. Non è stata solo la sua vittoria, ma una vera vittoria di squadra e penso che tutto il mondo del ciclismo sia stato davvero contento vedendoli arrivare al traguardo. Abbiamo ricevuto un quantitativo incredibile di messaggi di complimenti per la strategia e la sua esecuzione. E’ stato davvero speciale farne parte.

Incontri, feste e autografi nel suo unico giorno in giallo: qui con Prudhomme
Incontri, feste e autografi nel suo unico giorno in giallo: qui con Prudhomme
Peccato sia durata per un solo giorno…

Quando abbiamo perso la maglia, ovviamente, c’è stata una certa delusione. Sarebbe stato carino per Romain portarla fino in Francia. Ma se avessi detto a chiunque di noi che avremmo avuto una giornata con la maglia gialla, vinto una tappa e anche un secondo posto, che avremmo preso una maglia verde e una maglia bianca e il premio di corridore più combattivo nel primo giorno di Tour, avrebbe firmato subito. Quindi la delusione iniziale, anche per Romain, di aver perso a Bologna, si è ribaltata nell’aver capito che sia stato probabilmente uno dei giorni più speciali della sua carriera. Ed è fantastico che tutti noi lo abbiamo condiviso con lui.

Un corridore speciale come lui al suo ultimo Tour de France.

E’ stato davvero bello essere con Romain nell’ultimo Tour de France. Lavoriamo molto bene insieme, è un ragazzo fantastico da avere in squadra. Dà tantissima energia. Non siamo una squadra che vince spesso, ma quando vinciamo, è davvero speciale. E quel primo giorno di Tour è stato davvero speciale, uno dei migliori della mia carriera nel ciclismo.

Colpo imprevisto alla solita storia: arrivo in parata, Bardet in giallo

29.06.2024
5 min
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RIMINI – Allora le storie impreviste in questo ciclismo di super calcoli e di fenomeni possono ancora accadere. Allora è ancora possibile uscire fuori dalle righe. Poco dopo, ecco le parole di Romain Bardet: «Nel ciclismo accadono ancora momenti inaspettati». Pensieri che si abbracciano dunque.

Un arrivo in parata a Rimini, con due corridori della Dsm-Firmenich, Romain Bardet e Frank Van de Broek, non lo avrebbe potuto immaginare neanche lo scrittore più fantasioso del mondo.

Il Tour de France si apre così con un fantastico colpo all’insolita storia. La suspence è stata diversa. Si è accesa proprio nel finale. 

A Rimini Bardet e Van den Broek arrivano insieme. Il vecchio elogia il giovane e dopo 11 Tour indossa la maglia gialla per la prima volta
A Rimini Bardet e Van den Broek arrivano insieme. Il vecchio elogia il giovane e dopo 11 Tour indossa la maglia gialla per la prima volta

Spingere, spingere

Si è accesa solo nel finale perché tutti li davano per spacciati. «Li prendono». «Non arriveranno mai». Si sentiva dire sul lungomare di Rimini. In questa luce piatta tutti avevano gli occhi stretti a scrutare gli schermi sui bus, sugli smartphone o sul traguardo. 

«A 400 metri mi sono voltato ancora una volta. E ho visto che c’era ancora un po’ margine», racconta Bardet di giallo vestito per la prima volta in carriera. «Ho pensato che si poteva fare per davvero. Poi la linea d’arrivo, vicino a Van der Broek, al suo primo Tour. Era nervoso e per questo non stava bene nei giorni scorsi. Un’emozione incredibile».

Tra i protagonisti della fuga di giornata anche Matej Mohoric
Tra i protagonisti della fuga di giornata anche Matej Mohoric

Pazzia francese…

Ma questo è solo il finale. Quando ad una quarantina di chilometri dall’arrivo, verso San Marino esce dal gruppo Bardet, sembra un’altra azione alla francese: bella sì, ma poco sensata. O almeno più adatta alle gare di Coppa di Francia che non al Tour. 

E sembrava poco sensata anche perché il compagno, Van den Broek, si era defilato dagli altri due fuggitivi per attenderlo. In quel momento era un autogol pazzesco. Abrahamsen e Madouas andavano forte. E invece…

«Frank era davanti – ha proseguito Bardet – era molto forte oggi. Mi sono detto: “Cercherò di riprenderlo, anche se ci dovessi mettere 20 minuti”. Poi una volta davanti è stato un inferno. Una vera lotta al fronte». 

Una lotta che i due Dsm-Firmenich accettano eccome. Verso Montemaggio scappano via. Dietro, l’assalto della UAE Emirates rientra e così il gruppo piomba a due minuti.

E qui inizia un’altra corsa. La solita corsa, quella dei fuggitivi contro il gruppo. Perché se non tira Pogacar, tira la EF Education-Easy Post di Bettiol. 

Sul Barbotto la UAE Emirates prende in mano la corsa. Poi si sposta e Bardet spicca il volo
Sul Barbotto la UAE Emirates prende in mano la corsa. Poi si sposta e Bardet spicca il volo

Spingere ancora

«Non ce la fanno. Un minuto e mezzo a 16 chilometri è poco», dice il pubblico sempre con gli occhi stretti.

«Pensavo che ci avrebbero ripreso in pianura – ha detto ancora Bardet – dalla macchina ci dicevano di spingere. Che il gruppo andava forte. Ma che potevamo insistere». Rapporto lungo per Bardet, come da tradizione del resto. Gambe che frullavano per il ragazzino. I due compagni sono compatti, stretti. Sembrano una cosa sola che fende il vento.

Il distacco cala ancora. Dietro ora spinge con violenza la Lidl-Trek. E’ dal Giro d’Italia che li vediamo in questa situazione. Sembra vagamente di ritornare alla tappa di Napoli. Solo che stavolta l’Alaphilippe e il Narvaez della situazione sono insieme. E i 40 metri che mancarono proprio a Narvaez avanzano invece a Bardet e Van den Broek.

Bardet e Van den Broek in fuga. «Era previsto di correre all’attacco in questo inizio Tour», ha detto il giovane olandese
Bardet e Van den Broek in fuga. «Era previsto di correre all’attacco in questo inizio Tour», ha detto il giovane olandese

Ecco il gruppo

Ultimo chilometro. Ancora 9”. «Allez, allez les gars», forza ragazzi, urla nelle radioline la macchina della Dsm-Firmenich ed è lì che poi si volta Bardet e si accorge che forse ce la possono fare.

Van der Broek esegue alla lettera le consegne del capitano. Consegne ad intuito. I due non si sono quasi mai parlati, come ha confermato poi uno sfinito, quanto felice, Van den Broek dopo l’arrivo. Il giovane olandese, spinge e resta vicino anche nei cambi. I loro gomiti si sfiorano.

I due restano uniti. Il contachilometri non scende sotto i 45-50 all’ora, il vento è anche contro. Vanno forte dunque. Negli ultimi metri si concedono persino il lusso di alzare le braccia al cielo.

Adesso Rimini, che attendeva Pogacar, come al Giro, tifa per loro. Li accoglie con un boato di sorpresa seguito però da un grande applauso. Un applauso sincero. D’istinto. E’ vero dunque: la storia a volte va come non ci si aspetta.

Un abbraccio corale e Bardet coccola Van den Broek, che prende la maglia bianca di miglior giovane
Un abbraccio corale e Bardet coccola Van den Broek, che prende la maglia bianca di miglior giovane

Sogno giallo

«Questa è una vittoria di squadra – ha ribadito Bardet – non solo per come abbiamo corso con Van den Broek, ma anche per come tutti noi abbiamo gestito questa gara. Ero davanti per pedalare in sicurezza. Se terrò questa maglia fino in Francia? Sono partito in questo Tour per dare il 100 per cento ogni giorno. Chiaro che sarebbe bello. Ma oggi ho pedalato come fosse una classica (ricordiamo che Bardet ad aprile è arrivato secondo alla Liegi, ndr) e non potrà essere sempre così». 

In cuor suo Romain ci pensa a portarla almeno oltre il Monginevro, quando la Grande Boucle entrerà nella sua terra.

«Non dover lottare per la generale mi toglie un’enorme pressione. Sono finalmente me stesso. Non conoscevo il percorso, ma ho giocato d’istinto. Indossare la maglia gialla è sempre stato un obiettivo della mia carriera. Ci ho anche pianto. Troppe volte ci sono andato vicino per non pensarci. Oggi però questo sogno si è realizzato ed è stupendo».

Proprio prima del Tour, Romain ha detto che smetterà il prossimo anno. Appenderà la bici al chiodo dopo il Giro d’Italia, vuole una tappa nella corsa rosa. In Italia ha vinto… “peccato” per lui che fosse il Tour! Ma va bene così.

Bardet e la sua Foil RC: un bel… mostro da competizione

25.05.2024
6 min
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ALPAGO – Le strade del Grappa saranno l’ultima occasione di questo Giro per vedere all’opera in salita Romain Bardet. Il francese classe 1990 corre dal 2021 al Team DSM Firmenich e come tutti i corridori della squadra olandese è passato dall’avere a disposizione due tipi di bici – aero e da salita– al fare tutto con lo stesso modello. Scott infatti ha spinto affinché i team sponsorizzati utilizzino unicamente la Foil RC. In DSM è scelta comune per i team WorldTour maschile e femminile e per i devo team. Stessa scelta per la Q36.5 in Svizzera.

Si può dire senza troppi dubbi che la scelta di Scott sia stata avveniristica e abbia convinto altri marchi a creare una bici leggera che fosse anche aerodinamica. A ben guardare ormai tutti i team puntano a ridurre al minimo la scelta di bici, traendone vantaggi logistici ed economici.

Una bici standard

Felipe Ennes Houdjakoff, il cui soprannome è Capo e ha una vera venerazione per Ayrton Senna, è brasiliano, fa il meccanico e lavora con DSM da dieci anni. E’ lui a condurci nelle specifiche della bicicletta di Bardet, prendendo la scorta dal tetto dell’ammiraglia, perché quella da gara è già montata sui rulli in previsione di una partenza veloce.

«In realtà – dice guardandola – nessuno dei nostri corridori usa qualcosa di particolare. Ne parlano con i vari esperti e già prima del Giro predispongono il materiale, quello che serve per eventuali situazioni più o meno delicate. Poi per il resto, niente di speciale. E Bardet non fa eccezione. Usa ruote da 35 per le tappe di montagna e più alte per quelle veloci. Il telaio ha misura standard, una L. La posizione l’ha rivista a inizio stagione, ma lui è qui già da qualche anno, per cui non ha dovuto cambiare misure. Ricordo che venne con le sue schede, fece il bike fitting con i biomeccanici e da allora non s’è più spostato».

Bardet pedala in salita in posizione non troppo avanzata e con ruote Dura Ace C35
Bardet pedala in salita in posizione non troppo avanzata e con ruote Dura Ace C35

Aerodinamica e regole

Scott e la squadra hanno fatto un ragionamento piuttosto ampio, considerando un solo sistema quello composto dall’uomo, la bici e i componenti. Solo in questo modo si possono valutare, a loro avviso, gli effettivi vantaggi aerodinamici. Perciò, quando nel 2021 l’UCI ha varato le nuove regole in termini di geometrie e misure, avendo la Foil come punto di partenza, il team ha iniziato a rielaborare la bicicletta che voleva dare ai suoi atleti.

Il primo step conseguito da Scott è stato quello di ridurre la resistenza aerodinamica di ciascun tubo. Per questo sono stati ridotti al minimo gli incroci fra i vari segmenti. Inoltre per ciascun atleta si è messa a punto una posizione in linea con i valori di avanzamento imposti dall’UCI e in grado di produrre un sensibile guadagno. A questo scopo concorre anche il tubo di sterzo, evidentemente sovradimensionato. Oltre a consentire il passaggio interno di ogni cablaggio, funge anche da carenatura, tagliando l’aria in abbinamento con la forcella dai foderi larghi e sottili.

La cura dei dettagli

Il tubo obliquo e il piantone si integrano nel sistema. I foderi obliqui sono stati abbassati, aumentando il comfort, ma riducendo la resistenza all’aria. A ciò concorre anche una rotazione di 10 gradi verso l’interno favorendo l’espulsione dell’aria che passa attraverso i raggi mentre girano. Inoltre grazie all’abbassamento dei foderi, è stato possibile “nascondere” le pinze dei freni a disco, riducendo la resistenza aerodinamica e donando alla Foil una superiore pulizia estetica.

«La bici è veloce – spiega Felipe – a maggior ragione quando si fa la giusta scelta di ruote. Anche nelle tappe di salita, il cerchio Dura Ace C35 di Shimano tiene basso il peso complessivo, dà rigidità in discesa e negli scatti e non compromette la velocità della bici in discesa. Nelle corse veloci invece la ruota C50 esalta la velocità di questa bici, che trova così il massimo della sua aerodinamica. Sulle ruote per tutti ci sono dei tubeless che variano in base al percorso e alle condizioni della strada. Quanto ai rapporti, Romain usa una scala piuttosto standard. Anche oggi una guarnitura 40-54 e pacco pignoni 11-34.

Veloce e leggera

L’ultima annotazione del meccanico riguarda proprio la scelta dei componenti, considerati appunto tutt’uno con la bici.

«Esiste un equilibrio tra aerodinamica e peso – dice – la bici aerodinamica di solito è più pesante, invece questa Foil è leggera e i corridori se ne sono accorti e sono contenti. Con la stessa Foil RC lo scorso anno il vostro Dainese faceva le volate, quindi è veloce, leggera e anche rigida. Sono stati disposti meglio i fogli del carbonio, non ci sono tante giunzioni, i collarini sono minimali per forme e peso. Abbiamo ridotto il peso senza rinunciare a sicurezza e rigidità. Il manubrio è una delle parti che Romain preferisce. E’ nato per la bici come il reggisella. Forse non hanno bisogno di personalizzazioni perché va già tutto bene così com’è…».

Assalto francese. Paret-Peintre sogna. Bardet fa spallucce

14.05.2024
5 min
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CUSANO MUTRI – Succede che ad una dozzina o poco più di chilometri dall’arrivo Valentin Paret-Peintre e Romain Bardet si parlino. In francese ovviamente. Sono a ruota di Andrea Bagioli. Davanti c’è Jan Tratnik che continua a guadagnare.

Un segno. È il momento. I due scappano. E l’affondo è buono. Ora o mai più, altrimenti lo sloveno avrebbe guadagnato troppo.
Rapporto lungo per il corridore della Decathlon-AG2R La Mondiale, lunghissimo per quello della DSM-Firmenich. Sono due scalatori, se lo possono permettere.

Valentin Paret-Peintre (classe 2001) e Romain Bardet (1990) cercano di rintuzzare Tratnik
Valentin Paret-Peintre (classe 2001) e Romain Bardet (1990) cercano di rintuzzare Tratnik

Francesi all’attacco

Il più giovane dei francesi sembra più brillante. È pimpante sui pedali. L’altro giorno eravamo stati in fuga con lui verso Prato di Tivo. Nell’ammiraglia, il suo diesse Cyril Dessel approvava quell’attacco sul Gran Sasso.
«Bene, gli dà fiducia», diceva. Poi man mano che la UAE Emirates tirava, il gruppo dei big si assottigliava e lui era ancora lì, un po’ si stupiva. Forse neanche lui immaginava che il più piccolo dei Paret-Peintre stesse così bene.

«E’ stato stupendo – dice con un filo di emozione e occhi sinceri Valentin – è incredibile. La mia prima vittoria da professionista ed è una tappa in un grande Giro. Tra l’altro con un grande campione come Romain. Dall’ammiraglia mi dicevano di tenere d’occhio lui (come a Prati di Tivo, ndr)».

Ai -3 km dall’arrivo Valentin parte secco. Riprende e stacca Tratnik. Dopo quello di Thomas è il secondo successo francese in questo Giro
Ai -3 km dall’arrivo Valentin parte secco. Riprende e stacca Tratnik. Dopo quello di Thomas è il secondo successo francese in questo Giro

Dessel stratega

Oggi di nuovo in fuga, stavolta Valentin Paret-Peintre ha fatto centro. Gestito ancora magistralmente da Dessel, che gli spiegava il finale e gli immediati chilometri con precisione.

«Cyril – riprende Valentin – mi ripeteva di stare tranquillo, che la salita era lunga, che mi dovevo gestire. Però mi ha detto anche che gli ultimi tre chilometri erano i più duri. Ho capito che quello era il momento. Dovevo approfittare di quelle pendenze. E dopo che sono partito mi incitava. Mi diceva: “Vai, è il tuo momento”. “Ce la puoi fare”».

Campione in crescita

Valentin Paret-Peintre è il figlio di una nuova generazione di ciclisti cresciuti in casa. Non solo la Groupama-FDj in Francia lavora bene, anche la Decathlon-Ag2R La Mondiale, specie con gli juniores, vanta un bel vivaio. E Valentin, come suo fratello Aurelien, è un campioncino costruito in casa. E i suoi margini sono ampi.

«L’obiettivo era quello di andare in fuga – ha detto Paret-Peintre – sapevo che si poteva vincere, ma non era facile. Soprattutto nella prima parte con tutta quella pianura. E infatti mi hanno aiutato molto Touzé e Tronchon: mi hanno consentito di risparmiare molte energie. Ma tutta la squadra ha fatto un grande lavoro. La salita lunga, la fuga giusta, i compagni, le gambe buone… era questione di tante cose che si allineassero».

«Davvero sono felice. Ho preparato bene questo Giro d’Italia, ho fatto per la prima volta in carriera un ritiro in quota. Ho alzato il mio livello. Non so se in futuro vorrò puntare alla generale. Vedremo. Mi piace andare in fuga. So che ogni anno voglio puntare forte su uno dei tre grandi Giri: una volta il Giro, una il Tour, una Vuelta e poi ricominciare».

Romain Bardet all’arrivo di Bocca di Selva. Ha incassato 29″ da Valentin Paret-Peintre
Romain Bardet all’arrivo di Bocca di Selva. Ha incassato 29″ da Valentin Paret-Peintre

Ecco Bardet

Se Valentin Paret-Peintre è preso in carica dai ragazzi del podio, Romain Bardet può far scorrere la sua bici verso il massaggiatore, che lo attende con indumenti caldi ed asciutti e il bibitone per il recupero.

Magro, anzi magrissimo: le sue costole sembrano quasi corpi esterni, Bardet si cambia con calma

E’ dispiaciuto ma non deluso. «Ho cercato di anticipare – ha detto Bardet – perché non stavo benissimo. Anzi, non avevo belle sensazioni alle gambe. Ma questo succede dopo il giorno di riposo, specie quando l’età avanza».

Aurelien completa la festa di famiglia Paret-Peintre. Stacca il drappello dei big, arriva quinto e festeggia per la vittoria del fratello
Aurelien completa la festa di famiglia Paret-Peintre. Stacca il drappello dei big, arriva quinto e festeggia per la vittoria del fratello

Parole da saggio

Intanto sfila Aurelien Paret-Peintre, fratello maggiore di Valentin ed ex compagno di Romain. I due si abbracciano.

Un sorriso e Bardet riattacca: «Vero, ci siamo parlati con Valentin. Volevamo capire come stesse davvero Bagioli. Gli ho detto che dovevamo andare perché perché Tratink aveva un bel vantaggio. Bisognava fare un buon ritmo. Abbiamo collaborato bene. Sapevo che gli ultimi chilometri sarebbero stati difficili per me, come detto le sensazioni non erano positive. Complimenti a Valentin, ha giocato bene le sue tappe».

Infine prima di congedarci, a Bardet viene fatto notare che in classifica generale ha recuperato un bel po’ (ora è 7° a 4’57”). Ma lui fa spallucce. Glissa del tutto. Dice che non ne sa nulla. Scaramanzia? O dubbio eterno degli uomini da corse a tappe se mollare o tenere duro? E’ chiaro che se tiene duro i pretendenti al podio e alle posizioni di vertice non gli lasceranno spazio. Come si è visto oggi con l’inseguimento della Bahrain-Victorious.

Bardet vuole una tappa al Giro per chiudere il cerchio

30.01.2024
4 min
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Il primo corridore a mettere nel sacco le vittorie di tappa in tutti e tre grandi Giri fu un italiano. E che italiano: Fiorenzo Magni. Era il 29 aprile del 1955 e sfrecciando per primo sull’arrivo di Barcellona (era una cronometro) Magni diede vita a questa particolare classifica. Dopo 69 anni ci sono riusciti altri 106 atleti oltre a lui. Il 108° vorrebbe essere Romain Bardet.

Il francese della DSM-Firmenich è di fronte ad un bivio però. All’Equipe, nelle settimane passate, in diverse occasioni ha parlato del suo futuro. Quello prossimo e quello più a lungo termine. Ma il tutto con un obiettivo ben chiaro: vincere una tappa al Giro d’Italia appunto.

Giro 2022, sul Blockhaus arriva secondo alle spalle di Hindely e davanti a Carapaz e Landa. E’ il suo miglior piazzamento nella corsa rosa
Giro 2022, sul Blockhaus arriva 2° dopo Hindely, Carapaz e Landa. E’ il suo miglior piazzamento nella corsa rosa

Giro e Tour

Bardet è rimasto folgorato dal Giro. Non lo ha mai negato. Certo, non è al livello di Pinot, ma la corsa rosa gli piace eccome. Nel sacco ha solo due partecipazioni: il Giro lo ha “scoperto” a 31 anni.

Due anni fa era messo davvero bene prima che una caduta lo tagliasse fuori dai giochi. Forse è stata l’ultima vera volta che lo abbiamo visto lottare per le generale. 

Per quest’anno dunque Bardet di sicuro sarà al Giro d’Italia: «Voglio provare ad entrare nel club di coloro che sono riusciti a vincere le tappe in tutti e tre i grandi Giri e a me manca una vittoria nella corsa italiana».

Il suo cammino verso la corsa rosa passa per il debutto stagionale nelle corse francesi, il UAE Tour, la Parigi-Nizza e il Tour of the Alps.

Di tappe adatte a lui ce ne sono parecchie al Giro. Già ad Oropa, Romain potrebbe mettere il sigillo. Ma forse la salita piemontese arriva un po’ troppo presto. Sia perché c’è di mezzo anche la maglia rosa e magari Pogacar e colleghi potrebbero voler “fare la tappa”. Sia perché immaginare una fuga da lontano con Bardet dentro è difficile. E’ pur sempre Bardet e lasciargli spazio potrebbe essere pericoloso. Romain è uno che tiene.

Il confronto generazionale è sempre più forte. Ma Bardet tiene botta: eccolo con Evenepoel all’ultima Vuelta
Il confronto generazionale è sempre più forte. Ma Bardet tiene botta: eccolo con Evenepoel all’ultima Vuelta

Estate decisiva

E poi c’è il futuro a lungo termine. Bardet è uno dei prodotti della classe 1990, bella e dannata. Tanto talentuosa quanto delicata. Il tempo passa e il francese va per i 34 anni e in questo ciclismo restare al vertice è sempre più dura. Uno suo ritiro non sarebbe impensabile.

Bardet a fine anno sarà senza contratto. Continuare o meno è solo una decisione sua. Anche se la DSM-Firmenich non lo tenesse, le squadre francesi specie quelle non WorldTour farebbero la fila per prenderlo. Classe, professionalità e un nome che non lascia mai indifferenti.

«Per ora – ha detto Bardet – non voglio pensarci troppo. Voglio concentrarmi sul Giro. Poi a metà stagione, magari prima del Tour de France dirò cosa farò. E lo dirò soprattutto a me stesso. Se capirò che sono ancora competitivo. Se capirò che questa vita, che da qui a fine maggio mi vedrà a casa sì e no 20 giorni, mi andrà ancora bene. Se devo continuare, voglio farlo per lasciare un segno e non per fare la comparsa».

E magari c’è da capire ancora se questo è davvero ancora il ciclismo di Bardet. In tempi non sospetti aveva lasciato intendere che questo sport sta diventando sempre più come la Formula1, in cui vince chi ha i tecnici migliori e non il bravo pilota. Lui aveva parlato di “ciclismo della scienza e dei preparatori”.

E’ il 2012 e un giovane Bardet esordisce con la maglia dell’Ag2R. Da allora ha messo nel sacco 10 vittorie tra cui 3 tappe al Tour e una alla Vuelta
E’ il 2012 e un giovane Bardet esordisce con la Ag2R. Da allora ha messo nel sacco 10 vittorie

Quale futuro?

La DSM-Firmenich sembra propensa ad un prolungamento di contratto. Almeno sono queste le informazioni che trapelano. Da quest’anno poi Bardet ha anche il supporto del connazionale Barguil. E magari questo potrebbe essere un incentivo a continuare in questa squadra.

«Vengo da una stagione – ha detto il francese – in cui le cose non sono andate benissimo. Mi sono sempre trovato in una situazione poco chiara e ciò non mi induce a continuare. Per questo voglio decidere con calma e al momento opportuno». 

Prima però c’è il Giro e un successo di tappa potrebbe essere decisivo per il suo futuro. Se dovesse riuscirci, poi al Tour potrebbe prendersi la sua “passerella”.

«Il Giro – ha detto Bardet ad Eurosport – l’ho fatto solo due volte e l’ho completato una. Come detto, quest’anno vorrei vincere una tappa e magari arrivare nei primi cinque». 

Bardet a cuore aperto prima della Parigi-Nizza

28.02.2023
5 min
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Romain Bardet ha iniziato la stagione non muovendosi dalle corse casalinghe. Una sorta di tributo alla sua patria: «Non è che lo scorso anno volessi boicottare la Francia – ha raccontato a Nice Matin prima del suo esordio – ma la squadra ha voluto un programma diverso, facendomi gareggiare a Giro e Vuelta. Certamente però le corse di casa mi sono mancate, come mi sta mancando altro».

E’ un Bardet diverso quello che si presenta in questo 2023. Un po’ malinconico forse. Un Bardet assolutamente competitivo, lo si è ben visto lo scorso anno con la conquista del Tour of the Alps e quel Giro che gli è rimasto sul gozzo con un ritiro quando sembrava pronto per spiccare il volo. Ma che sente su di sé il peso dei suoi 32 anni compiuti.

Il rapporto coi tifosi è sempre stato fortissimo. Ritrovarli a inizio stagione è stato molto importante
Il rapporto coi tifosi è sempre stato fortissimo. Ritrovarli a inizio stagione è stato molto importante

Il più vecchio del team. Quasi…

«Intendiamoci, provo ancora lo stesso piacere di andare in bici e mettermi alla prova – sono le parole riportate da L’Equipe – ma molto è cambiato. E’ un ciclismo diverso, che consuma più in fretta. Nella mia squadra Degenkolb è l’unico più grande di me e questo mi fa pensare, mi ricorda gli ultimi anni all’Ag2R dove ho visto ragazzi lasciare la casa da giovanissimi con una voglia sfrenata di emergere, di entrare nel gruppo».

Bardet si è messo in discussione, quando nel 2021 ha cambiato squadra. Ha lasciato un team dove aveva vissuto tutta la sua carriera, ha lasciato la Francia, ma anche un modo molto più tranquillo di affrontare la sua attività per immergersi in un sistema estremamente selezionato e scientifico, quello del Team DSM.

«Durante i ritiri ogni sera – dice – vengono effettuati lunghi incontri di brainstorming, dove ognuno tira fuori i suoi pensieri e le sue sensazioni. Questo per creare uno spirito di gruppo che è alla base del team. Bisogna adattarsi, chi non lo fa ha vita breve. Prima forse era tutto molto più empirico e mi chiedo: ma se avessi affrontato prima il ciclismo da questo punto di vista, avrei vinto di più?».

Il momento più alto per il francese, il 2° posto al Tour 2016, a 4’05” da Froome
Il momento più alto per il francese, il 2° posto al Tour 2016, a 4’05” da Froome

Il podio al Tour non basta più

Cambiare squadra e nazione ha avuto il suo prezzo. Pian piano il corridore di Brioude si è sentito scollato dalla sua realtà e non fatica ad ammetterlo.

«Forse i miei podi – spiega – avevano un po’ falsato la mia dimensione. In Francia tutti vogliono la vittoria del Tour, il podio non basta più. Così ogni anno mi sentivo dire: è per quest’anno. E questo mi aveva logorato, non nego di aver versato lacrime per le mie sconfitte. Ora non ci penso più, anche se al Giro ci contavo davvero sulla vittoria. Ma Hindley e Carapaz sono battibili, uno come Pogacar al massimo no».

Bardet dice che un podio al Tour è ancora possibile e che gli piacerebbe vincere una tappa al Giro per completare la sua collezione nei tre grandi Giri, ma un problema c’è e torniamo al discorso di prima: l’età che pesa in questo ciclismo che consuma tutto rapidamente. L’annuncio dell’imminente ritiro del suo avversario di mille battaglie, Thibaut Pinot lo ha molto colpito.

«E’ vero che ha avuto una carriera piena e ricca di successi – osserva – ma sapere che molla alla mia età sorprende anche perché non credo sia un caso isolato. In questo ciclismo, continuare a correre dopo i 35 anni sarà sempre più raro e non dipende da un declino fisico, quanto di testa. Essere ai vertici consuma, molto più di prima».

Al Giro 2022 dietro Carapaz. Il ritiro è arrivato quando Bardet stava per puntare alla maglia rosa
Al Giro 2022 dietro Carapaz. Il ritiro è arrivato quando Bardet stava per puntare alla maglia rosa

Il peso dei sacrifici

Questo influisce sulla voglia di sacrificarsi, senza la quale continuare questo mestiere, a qualsiasi livello, è pressoché impossibile: «Stare lontano dalla famiglia è sempre più difficile, ma sai che devi farlo, per questo si dice che il ciclismo è un mestiere che non fa sconti, che ti chiede di essere sul pezzo 7 giorni su 7, per 24 ore al giorno ed è sempre più difficile e logorante. Io non mi faccio programmi in testa, vado avanti anno dopo anno per rendere sempre al meglio, ma il futuro resta una pagina tutta da scrivere, sapendo che gli anni indietro sono comunque molti di più di quelli avanti in sella a una bici».

Al dopo, ci sta già pensando: «I progetti sono tanti che mi frullano nella testa, ma partono tutti da alcuni comuni denominatori, come il viaggiare sempre con la mia famiglia e il pedalare sono ed esclusivamente per divertimento, perché alla bici non rinuncerò mai».

All’AG2R Bardet è rimasto dal 2012 al 2020. Una dimensione familiare, ma con delle controindicazioni
All’AG2R Bardet è rimasto dal 2012 al 2020. Una dimensione familiare, ma con delle controindicazioni

Alla Parigi-Nizza per colpire duro

L’inizio non è stato neanche male: in 5 giorni di gara un podio sfiorato al Tour des Alpes Maritimes e tutte prestazioni nei quartieri alti della classifica. Ora lo attende la Parigi-Nizza.

«Mi è mancata, c’è un’atmosfera speciale – sorride – è quasi una famiglia che va riformandosi anche con organizzatori e volontari. Sono felice di aver iniziato la mia stagione a casa, era una tradizione che mi era mancata molto. La condizione mi dice che posso puntare a qualcosa d’importante, ma alla Parigi-Nizza possono capitare tante cose, ogni tappa può essere quella decisiva, nel bene e nel male…».

La Scott Foil di Alberto Dainese e del Team DSM

08.02.2023
5 min
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Presentata ufficialmente l’estate scorsa, l’ultima versione della Scott Foil è una bici marcatamente aerodinamica nelle forme e nel concept. Quello che sorprende però, è il fatto che viene utilizzata anche dagli scalatori del Team DSM, uno su tutti Romain Bardet, corridore attento ai dettagli tecnici, al peso e alle performances della bicicletta. L’atleta transalpino ha usato la Foil anche nel corso delle frazioni più impegnative del Tour.

Dainese al campionato europeo 2022 di Monaco
Dainese al campionato europeo 2022 di Monaco

Ovviamente la Scott Foil è un riferimento per i velocisti e per i passisti. Abbiamo chiesto ad Alberto Dainese di descrivere la sua bici nella versione 2023, che rispetto a quella utilizzata nella seconda parte di stagione 2022 presenta delle differenze. La famiglia Syncros/Scott fornirà anche le selle (al posto di Pro Bike Gear) e ci sarà un’impiego maggiore dei tubeless. Entriamo nel dettaglio

Quando hai iniziato ad usare l’ultima versione della Scott Foil?

Mi è stata consegnata poco prima del Tour 2022 e da quel momento non l’ho più abbandonata. In precedenza non utilizzavo la Foil, parlo della versione precedente, ma la Addict ed effettivamente le due bici sono molto differenti. Di sicuro la bici aero è più adatta alle mie caratteristiche, ma è ampiamente utilizzata anche dagli scalatori.

Il profilo ridottissimo del manubrio Syncros e gli shifters leggermente all’interno (eltoromedia.com)
Il profilo ridottissimo del manubrio Syncros e gli shifters leggermente all’interno (eltoromedia.com)
Quali sono le differenze maggiori che hai notato, rispetto alla Addict?

La Foil è molto veloce, fattore che diventa un supporto notevole alle mie caratteristiche, è una di quelle biciclette che scappa via quando cambi ritmo, davvero facile da lanciare. E’ più rigida della Addict, che invece mi trasmetteva un comfort maggiore. Durante le azioni di rilancio, ad esempio negli sprint, la nuova Foil sostiene di più nella parte anteriore e il carro posteriore sembra scaricare maggiormente la potenza espressa.

La Addict non era ugualmente rigida?

Non è quello, solo che la rigidità della Foil è una delle peculiarità che ha lasciato impressionati parecchi di noi corridori. E poi il peso contenuto, anche questo un fattore che è stato considerato in maniera positiva anche dal gruppo degli scalatori del team.

Effettivamente al Tour è stata usata anche da Bardet!

Si esatto, non solo da lui, ma come dicevo da tutti gli scalatori. Bardet argomentava proprio il fatto che non avendo una grossa differenza di peso con la Addict, ma essendo più rigida, reattiva e fluida anche intorno ai 30 all’ora, ci stava il fatto di usarla anche su ascese lunghe ed impegnative. Ormai si tengono delle andature elevate anche in salita e per lunghi tratti quando il naso è all’insù. Non sono uno scalatore, ma credo che una bici aero possa dare un aiuto e una serie di vantaggi.

Anche la versione dei tubeless N.EXT in dotazione al team (eltoromedia.com)
Anche la versione dei tubeless N.EXT in dotazione al team(eltoromedia.com)
Qual’è il tuo setting preferito per le gare?

Preferisco sempre le ruote con il profilo da 50, che ormai sono da considerare intermedie. Solo in qualche occasione chiedo di usare le 60, quando le tappe sono piatte. Abbiamo i tubeless Vittoria, con sezioni comprese tra i 26 e 28 millimetri. Per i rapporti prediligo la combinazione 54-40 per le corone. Ho montato il 56 solo un paio di volte, una al Giro e una all’UAE Tour, ma onestamente preferisco sfruttare una maggiore agilità.

Hai cambiato qualcosa rispetto al 2022?

Rispetto alla stagione scorsa ho chiesto di allungare lo stem del manubrio integrato e utilizzo, quasi in controtendenza, il manubrio da 42 centimetri di larghezza. Facendo un paragone con la stagione passata, abbiamo cambiato le selle, che ora sono Syncros e io utilizzo la versione Belcarra.

Per quanto riguarda i rapporti dietro?

Lo standard è 11-30, almeno per quello che mi riguarda. Poi ci sono delle situazioni in cui viene montata la scala 11-34, ma è per salvare la gamba nelle frazioni più dure e non adatte a me.

La bici da gara si discosta da quella che hai per l’allenamento?

E’ uguale, non ci sono differenze ed è un vantaggio non da poco, perché il feeling rimane quello. L’unica diversità sono gli pneumatici, in allenamento uso le camere d’aria, più che altro per una questione di abitudine.

Torna il Puy de Dome, per la storia e una promessa

06.11.2022
5 min
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Christian Prudhomme sa coniugare mirabilmente le esigenze tecniche, quelle economiche e la sua anima da giornalista. Così quando alla presentazione di Parigi il direttore del Tour ha raccontato cosa ci sia dietro al ritorno sul Puy de Dome, pochi hanno avuto il fiato per aggiungere qualcosa.

Pare infatti che quando nel 2004 entrò nell’Aso, per provare la tastiera del computer a lui assegnato, scrisse semplicemente: «Objectif Puy de Dôme». Non si trattava di parole messe lì a caso. Quell’obiettivo veniva da un voto fatto a sua sorella scomparsa prematuramente, le finestre della cui casa a Clermont Ferrand si affacciavano sul giovane vulcano dell’Auvergne (in apertura nella foto di Clermont Auvergne Tourisme).

Prudhomme, qui con Vingegaard all’ultimo Tour, ha con il Puy de Dome un legame particolare
Prudhomme, qui con Vingegaard all’ultimo Tour, ha con il Puy de Dome un legame particolare

Un anno prima

Probabilmente l’intenzione iniziale del Tour era tornare sulla celebre salita nel 2024, per celebrare i 60 anni del duello fra Anquetil e Poulidor che si consumò nel 1964. Tuttavia il divieto al transito è caduto quest’anno e nel dubbio che possa essere ripristinato, si è pensato di battere il ferro ancora caldo.

Il Tour non è salito lassù così spesso. Nel 1952 vinse Fausto Coppi. Nel 1964 ci fu il famoso duello fra i due giganti francesi, con vittoria di Jimenez e Anquetil che tenne la maglia gialla, impedendo allo storico rivale di conquistarla per 14″, nonostante i 42″ guadagnati da Poulidor. Tre anni dopo, nel 1967 arrivò il successo di Gimondi. Nel 1975 vittoria di Van Impe con Merckx colpito dal pugno di un tifoso, che venne poi rintracciato, arrestato e liberato con la condizionale. Nel 1986 fu la volta di Eric Maechler con Lemond in maglia gialla. Infine nel 1988 l’ultima volta si registrò il successo di Johnny Weltz.

«A volte possiamo essere criticati per aver parlato troppo del passato – ha spiegato Prudhomme – ma il Tour è troppo grande per non parlare delle sue fondamenta, che ne hanno fatto la forza e la sua leggenda. Quanto a me, è stato Poulidor che mi ha fatto innamorare del Tour, non posso restare indifferente davanti al Puy de Dome».

Il Tour de France 1964 consegnò il Puy de Dome alla storia per il duello fra Anquetil e Poulidor (foto L’Equipe)
Il Tour de France 1964 consegnò il Puy de Dome alla storia per il duello fra Anquetil e Poulidor (foto L’Equipe)

Strada chiusa

Dal 2012, quando fu messa in funzione la cremagliera panoramica, la strada è stata chiusa al traffico, ciclisti e pedoni compresi. Alla presentazione del Tour, David Gaudu ha detto di non averci mai messo piede, così pure Aurelien Paret-Peintre quando gli hanno chiesto se si potranno fare dei sopraluoghi. Mentre Bardet, che vive nella zona, ne ha parlato come di una ferita aperta.

«E’ la salita del mio cuore – ha detto pochi giorni fa a Parigi – ma dall’introduzione della cremagliera la strada è completamente chiusa. E’ diventata una stretta strada di servizio che non consente il passaggio di bici e auto. Il divieto è incondizionato. L’accesso è aperto solo una mattina all’anno, dalle 7 alle 9, e lo scorso settembre si è svolta una corsa a cronometro (il Trophée des Grimpeurs, ndr) e io ci sono stato con mio padre. Ci siamo svegliati alle 6 ed è stato ancora eccezionale. Ma questa grande affluenza è la prova di quanto sia frustrante per i corridori della zona. Questa salita è davvero un mito per noi».

Una salita vera

Il Puy de Dome infatti è una salita vera. Più di 13 chilometri di scalata da Clermont Ferrand, gli ultimi quattro dei quali in media quasi il 12 per cento.

«Fino ad ora – ha spiegato Prudhomme – c’era un rifiuto formale al Tour di scalare il Puy de Dome e lo abbiamo sempre rispettato. Questo rifiuto era dettato dalla volontà di tutelare il luogo, dato che la catena dei Puys fa parte del patrimonio mondiale dell’Unesco dal 2018. E noi ovviamente non vogliamo danneggiare la Francia». 

L’ultimo blocco politico è saltato però l’anno scorso, riaprendo definitivamente le porte agli organizzatori che però si sono impegnati a osservare una serie di prescrizioni.

«Non ci saranno spettatori negli ultimi 4 chilometri – ha spiegato Prudhomme – da dopo il casello in poi. Quindi, anche se la strada è stretta, sarà molto più larga rispetto all’Alpe d’Huez e gli 80 centimetri che il pubblico lascia ai corridori per farli passare».

Il Puy de Dome è lungo 13 chilometri: gli ultimi 4 hanno pendenza intorno al 12%
Il Puy de Dome è lungo 13 chilometri: gli ultimi 4 hanno pendenza intorno al 12%

Senza pubblico

La strada è stretta e una sbarra vieta l’accesso a qualsiasi bicicletta, ma intanto il 3 settembre si è svolta una prima gara ciclistica al Puy de Dome: una cronometro amatoriale nell’ambito del Trophee des Grimpeurs, che scala le più grandi salite dell’Alvernia. Tuttavia a causa dello spazio limitato in cima, Prudhomme ha immediatamente escluso una cronometro, ma si è reso conto della necessità che il gruppo arrivi frazionato a quegli ultimi e strettissimi 4 chilometri finali, per cui la scalata finale sarà preceduta sicuramente da altri momenti di selezione. Allo stesso modo in cui il Tour si è impegnato a gestire i tifosi: compito ben più gravoso.

«Ovviamente non vedremo mai più 400.000 spettatori sulle rampe del Puy de Dome – ha spiegato – e sarà interessante vedere quei 4 chilometri terribili senza pubblico. Forse dovremo circondare con la Gendarmerie i 10 chilometri della circonferenza della montagna. Quando sono salito lassù per celebrare il ritorno del Tour, ci siamo detti che sarà per forza spettacolare assistere ad un arrivo in salita lassù senza la folla che tanto ha contribuito alla fama del Puy de Dome. Ma tutte le grandi storie hanno un prezzo. Questo è quello che dovremo pagare per tornare lassù».

Bardet: «Al Giro 2022 sensazioni mai provate prima»

28.10.2022
5 min
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La Roc d’Azur, un mega festival della mountain bike che si tiene a Frejus, nel sud della Francia, è un’ottima occasione per mettere a posto le idee. E Romain Bardet della Roc è un vero habitué. Il corridore della Dsm infatti ha avuto un passato da biker e resta un super appassionato. La sua ultima gara su strada del 2022 è stato il Lombardia, ma la sua vera chiusura stagionale è avvenuta il giorno dopo alla Roc… come è ormai tradizione per lui.

Romain ha ripassato la sua stagione. Ha fatto ragionamenti a tutto tondo sul confronto generazionale e soprattutto, e non può che farci piacere, ha espresso un atto di amore verso il Giro d’Italia. Ecco dunque, dopo Pinot, un’altro “cugino” innamorarsi della corsa rosa. 

Bardet alla Roc d’Azur, disputatasi il giorno dopo il Lombardia. Il francese è un ottimo biker (foto Instagram)
Bardet alla Roc d’Azur, disputatasi il giorno dopo il Lombardia. Il francese è un ottimo biker (foto Instagram)

Giro mon amour

Magari Romain non è stato esplicito come ha fatto nel corso degli anni Pinot, ma le sue parole non sono state da poco.

«Quest’anno mi ero posto come obiettivo principale la classifica generale del Giro d’Italia – ha detto Bardet – Avevo in mente questa gara da dicembre 2021. E ci ero arrivato in condizioni ottimali». Durante la corsa inoltre aveva detto come fosse bello correre il Giro. Percorsi tecnici, salite durissime e meno stress rispetto al Tour. Emergeva più l’aspetto tecnico che il contorno.

Ed è vero. Noi stessi parlammo con lui all’arrivo di Villabassa, al Tour of the Alps, mentre girovagava per le viuzze del paesino altoatesino alla ricerca del suo hotel. Romain ci disse che pensava al Giro dal momento in cui lo avevano presentato e che certe salite lo facevano sognare. 

E sempre in quella corsa, appunto il TOTA, si mostrò così determinato che si portò a casa la classifica generale con una bella azione nell’ultima tappa in una giornata da tregenda.

«Penso che lo scorso Giro – ha proseguito Bardet – sia stato il grand Tour in cui mi sono sentito più sicuro in carriera. E non si è mai del tutto sicuri in una grande corsa a tappe. Invece avevo uno stato mentale che non avevo mai avuto prima. Uno stato mentale di conquista».

Prima di abbandonare il Giro, quest’anno Bardet non aveva perso un colpo. In salita aveva sempre lottato con i migliori
Prima di abbandonare il Giro, quest’anno Bardet non aveva perso un colpo. In salita aveva sempre lottato con i migliori

Doccia fredda

Ma ha ragione Bardet: non si può mai essere del tutto sicuri in un grande Giro. Era lì determinato, quarto nella generale a festeggiare la vittoria del compagno Dainese a Reggio Emilia, e due giorno dopo saliva mestamente in ammiraglia per forti problemi allo stomaco.

Chissà se tornerà ancora al Giro. Il percorso del Tour de France, presentato ieri, non può non piacergli. Primo perché è oggettivamente bello. Secondo perché ci sono solo 22 chilometri a crono. Terzo (forse il motivo più importante) perché la Grande Boucle passa a “casa sua”, sul Massiccio Centrale. Il corridore di Brioude avrà almeno quattro frazioni in un raggio di 70 chilometri da casa sua.

Però abbiamo visto che quando un corridore si focalizza su un determinato obiettivo, quando capisce che ha concrete possibilità di raccogliere qualcosa è disposto a rivedere le sue priorità. Pensate che lo scorso anno su 64 giorni di corsa, Bardet ne ha fatti solo 21 in Francia e sono stati quelli del Tour. Per il resto ha gareggiato soprattutto in Italia: Tirreno, Tour of the Alps, Giro, Tre valli Varesine, Giro di Lombardia. In più Romain ha “scoperto” il Giro solo nel 2021 e ci è voluto tornare l’anno dopo. Come si dice: non c’è due senza tre.

Bardet e la nuova generazione (Pogacar e Vingegaard) che morde alle spalle durante l’ultimo Tour, chiuso al 6° posto
Bardet e la nuova generazione (Pogacar e Vingegaard) che morde alle spalle durante l’ultimo Tour, chiuso al 6° posto

Pensieri profondi

«Durante questa stagione penso di essere stato presente ogni volta che mi aspettavo – ha detto ancora Bardet – C’erano sempre uno o due corridori fuori portata, tranne a maggio (cioè al Giro, ndr). Lì stavo davvero bene».

Quando parla di corridori sopra la media, Bardet si riferisce soprattutto a Jonas Vingegaard, Tadej Pogacar ed Remco Evenepoel.

«Hanno qualcosa in più, sono dei geni in bicicletta. Quando sono al 100%, nessuno può competere con loro. Anzi si può dire che gareggino tra loro. Non si prendono cura di noi.

«Vediamo che andiamo tutti più forte che in passato. In salita il ritmo ormai è incredibile… eppure loro vanno ancora più forte. Io credo che ciò dipenda anche dalla struttura delle loro squadre. Quando vedi la Jumbo-Visma o la UAE Emirates, soprattutto nei grandi Giri, almeno 5-6 dei loro atleti potrebbero essere leader in altri team. E per noi si complica tutto. L’unica cosa che possiamo fare è cercare di mantenere la calma e calibrare le forze per sopravvivere».

Infine Bardet fa una riflessione interessante sulla sua generazione. Il francese è un classe 1990, come Aru, Dumoulin, Pinot…

«Penso di essere incappato in una finestra generazionale che non è mai arrivata del tutto. Le mie non erano parole vuote quando cinque o sei anni fa dicevo che i miei anni migliori dovevano ancora venire.  E infatti i numeri sono chiari: io sono più forte di quegli anni. Il problema è che ci sono giovani ancora più forti».