Dagli anni ’90 ad oggi, il settore velocità con Federico Paris

26.08.2022
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Dai mondiali juniores di Tel Aviv stanno arrivando altre buone notizie dal settore velocità. Mattia Predomo ha conquistato la maglia iridata nel keirin e giusto pochissime ore fa anche l’oro nella velocità. Il bolzanino milita nella squadra di Matteo Bianchi, la Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino, che ha collezionato maglie europee ad Anadia tra gli under 23 e medaglie più un record italiano agli europei di Munich 2022. Sono primi segnali di un movimento che sta iniziando a muovere i primi passi, con il coordinamento azzurro di Ivan Quaranta.

Mattia Predomo fra Bragato e Quaranta, tecnico che proprio 30 anni fa conquistò questo titolo
Mattia Predomo fra Bragato e Quaranta, tecnico che proprio 30 anni fa conquistò questo titolo

Ritorno al passato

Giovani che riportano risultati in discipline in cui l’Italia iniziava a soffrire una nostalgia ancorata a nomi che hanno scritto la storia della velocità. Gli anni Novanta per il nostro movimento sono stati forse l’apice di un settore che oggi si sta riscoprendo e movimentando.

Federico Paris, Roberto Chiappa e Gianluca Capitano erano gli interpreti di un decennio costellato da titoli mondiali e vittorie in Coppa del mondo che hanno fatto sognare i tifosi italiani. Lo stesso Sir. Chris Hoy ci ha detto in una recente intervista. «A metà degli anni ’90 voi avevate gente come Roberto Chiappa e Federico Paris. Erano delle vere star. Noi britannici ci siamo ispirati a loro». 

Ripercorriamo ciò che era e chiediamo un parere su ciò che è e potrà essere il movimento velocità in Italia proprio con Federico Paris. Attualmente ricopre il ruolo di Coordinatore dei Responsabili di strada e pista per la Lombardia.

Federico Paris è coordinatore di strada e pista della Lombardia
Federico Paris è coordinatore di strada e pista della Lombardia
Come funzionava negli anni Novanta il settore velocità, c’era una coordinazione federale presente?

La maggior parte di quel periodo è stata coordinata da Mario Valentini (al centro fra Paris e Capitano, nella foto in apertura, ndr). La Federazione seguiva il settore a 360 gradi con le prime prove della Coppa del mondo che in quegli anni cominciavano ad essere organizzate e i mondiali che rappresentavano il fulcro della stagione.

Che momento era per la pista italiana?

C’era un settore solido, la squadra era composta prevalentemente da noi tre ma anche da altri ragazzi. I primi anni che ho iniziato la mia attività su pista, non c’erano le prove di Coppa del mondo così come sono organizzate ora. C’erano ancora i gran premi internazionali, si disputavano principalmente in giro per l’Europa. Ancora oggi ne esiste qualcuno. 

I gruppi sportivi erano importanti per realizzazione di una carriera in questo settore?

Facendo riferimento a noi tre, quindi il sottoscritto più Roberto Chiappa e Gianluca Capitano, facevamo parte tutti e tre di Corpi di Polizia. Io e Roberto alla Forestale e Gianluca nelle Fiamme Azzurre. Per cui sicuramente la cooperazione tra CONI e Corpi di Polizia allora come oggi veniva sfruttata e questo consentiva a noi di fare questa attività con una tranquillità economica. 

Il movimento velocità in quegli anni in cui c’era ancora il tandem ha vissuto uno dei momenti più vittoriosi di sempre
Il movimento velocità in quegli anni in cui c’era ancora il tandem ha vissuto uno dei momenti più vittoriosi di sempre
Che differenze vedi con l’attività attuale?

A livello nazionale c’era una buona attività. Forse oggi manca un po. Negli anni Novanta c’era un bel calendario fitto per i velocisti, fatto di gare nazionali e internazionali. Oggi soffriamo sul nostro territorio. Ma è come un circolo vizioso, senza puntare il dito, oggi ci sono meno praticanti e anche meno gare. La concorrenza in quegli anni era tanta.

La velocità sembra aver ritrovato nuovo entusiasmo…

Quest’anno sono stati fatti sicuramente dei risultati più importanti rispetto agli anni passati. Senza guardare i numeri e vedendo il momento. Quando ho smesso di correre in bici ho seguito per un po’ di anni il settore della velocità sia nella categoria junior che in quelle maggiori. Quando non l’ho seguito più, ho notato che sono mancati i riferimenti. Si è verificato un appiattimento non tanto di risultati ma di praticanti. Il fatto che oggi Ivan Quaranta, una persona con una passione smisurata, segua esclusivamente il settore può dare dei risultati sicuramente importanti. Una sorta di ripotenziamento del settore. 

Federico Paris ha iniziato a raccogliere i primi risultati da dilettante per poi affermarsi e diventare pistard
Federico Paris ha iniziato a raccogliere i primi risultati da dilettante per poi affermarsi e diventare pistard
Le infrastrutture sono determinanti per il movimento?

Assolutamente si. Le strutture come il nostro Montichiari, un velodromo da 250 metri coperto, è uno strumento indispensabile per lavorare e fare risultati in pista. Soprattutto per il settore veloce che ha bisogno della pista dodici mesi all’anno. E con un velodromo scoperto non è difficile da capire che sia una cosa impossibile. Pe questo molti atleti migravano in altre strutture. Ce ne fossero di più, è facile da dire, ma sarebbe un passaggio determinante. 

Voi come Regione Lombardia vi state muovendo per scovare talenti della velocità?

A livello regionale è difficile occuparsi in maniera specifica di un settore. Un occhio di riguardo per la velocità ce l’ho avendola praticata per tanto tempo. Anche Roberto Chiappa collabora con il comitato regionale attraverso il velodromo di Dalmine e anche con il responsabile tecnico della pista regionale. E’ chiaro che avendo queste caratteristiche c’è una predisposizione immediata. Se in Lomabardia ci accorgessimo di ragazzi motivati, appassionati o attratti dalla velocità quello che possiamo assicurare è un sostegno e un supporto immediato

Le squadre sono importanti per la crescita in questa direzione?

Gli atleti crescono all’interno di società. Per cui quando trovano al suo interno un appoggio e un sostegno per fare questo tipo di attività riescono a fare un certo tipo di percorso.  Bisogna tener presente che il ciclismo in Italia per tradizione è il ciclismo su strada. Quello su pista ad alti livelli si allontana sempre di più da quello tradizionale stradista.

Qui insieme a Gianluca Capitano alla premiazione del campionato del mondo nella specialità tandem
Qui insieme a Gianluca Capitano alla premiazione del campionato del mondo nella specialità tandem
Un esempio che sta facendo scuola è la Campana Imballaggi Geo&Tex Trentino

Non a caso il diesse è proprio Alessandro Coden. E’ un direttore sportivo che ha un’esperienza in questo settore specifico, ha fatto europei, mondiali e ha corso in pista da protagonista. La passione è l’elemento fondamentale per queste specialità. La velocità è un settore molto difficile, per tante ragioni. Per poterlo seguire ma anche per praticarlo serve una grande passione. Coden e Quaranta hanno recentemente raccolto risultati con i propri ragazzi ed entrambi hanno un background da interpreti di questo sport e non è un caso. 

Le discipline veloci sono differenti da quelle endurance anche come approccio?

La prestazione finale non è solo la realizzazione di un allenamento. Somministrare tabelle e tirare una riga come magari può essere per le discipline endurance che si avvicinano di più ad una scienza esatta, una causa effetto parzialmente prevedibile. Nella velocità c’è un aspetto psicologico che determina tanto ed è molto stressante. Se non c’è passione e dedizione questo non è possibile. Ritengo che Ivan Quaranta su questo possa fare molto bene. 

Chris Hoy vi ha citati come star e come esempi da emulare. Credi che oggi i risultati possano servire anche a creare interesse anche per atleti di altre discipline?

I risultati sono importanti per creare interesse, e farlo una specialità come questa è fondamentale. Noi nei primi anni novanta eravamo molto competitivi. La Gran Bretagna stava muovendo i primi passi. In quel periodo ha gettato le basi per il futuro diventato presente con risultati prestigiosi e un movimento che detta legge.

Sangalli: continuità, porte aperte e più trasferte con le junior

10.11.2021
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Paolo Sangalli raccoglie l’importante eredità di Dino Salvoldi, con il quale ha collaborato negli ultimi 12 anni. Dice convinto che se non fosse stato necessario spostare il milanese al settore degli juniores, avrebbe continuato senza problemi a collaborare con lui.

Sangalli si è tagliato i capelli dopo aver raggiunto lunghezze inaudite. Aveva scommesso che lo avrebbe fatto quando un’azzurra avesse vinto il mondiale e la vittoria di Elisa Balsamo ha fatto scattare le forbici.

Come tutti gli altri tecnici azzurri, anche il bergamasco è reduce dai meeting che si sono svolti a Milano per impostare i programmi e creare le sinergie in vista della prossima stagione. E come tutti i suoi colleghi appare entusiasta del lavoro svolto.

«Sono stati due giorni belli – dice – abbiamo fatto gruppo. Ognuno ha portato i propri programmi, che poi saranno valutati. Il presidente e Amadio hanno le idee chiare. La pandemia ha fatto saltare il banco, ma vogliamo recuperare. Uno dei punti del mio programma sarà quello di fare attività internazionale con le junior, che già due anni fa volevamo fare, ma il Covid lo ha impedito. Quindi cominceremo quasi sicuramente con la Gand-Wevelgem, che fanno anche gli junior maschi e gli under 23. Un bell’appuntamento di una nazionale unita».

Amadio e il presidente Dagnoni hanno spostato Salvoldi agli juniores e Villa è ora il coordinatore di tutta la pista
Amadio e il presidente Dagnoni hanno spostato Salvoldi agli juniores e Villa è ora il coordinatore di tutta la pista
Come ti approcci a questo ruolo? Diciamo che in fondo resti in casa tua… 

Il mio ruolo è la continuazione dell’ottimo lavoro di Dino (Salvoldi, ndr) con cui ho lavorato in questi 12 anni. Quindi resto in casa con responsabilità maggiori, in un ambiente in piena salute perché così lo ha lasciato il lavoro di Salvoldi. L’hanno mandato in un settore che aveva bisogno di un cambiamento e lui, se non è il più bravo, è di certo uno dei migliori della Federazione.

In assoluto c’è aria di continuità. Come gestirai le donne?

Per quanto riguarda le élite, ormai sono professioniste come gli uomini. Hanno il loro programma, i loro preparatori, il mental coach. Questa sarà una figura introdotta anche dalla Federazione nella persona di Elisabetta Borgia (in procinto di essere inserita anche in modo permanente alla Trek-Segafredo, ndr), che già seguiva alcune ragazze e ora fa parte del nostro staff. E’ in gambissima. Davvero si sta facendo un ottimo lavoro, che sarà l’ideale anche per il futuro

Se sono professioniste, dovrai seguirle le loro gare?

Andrò a vedere praticamente tutte le gare WorldTour. In alcune occasioni, quando ci sarà la concomitanza delle prove maschili, mi muoverò assieme a Bennati. Questo è un punto fermo, voglio seguire anche le grandi corse a tappe, anche se durante il Giro d’Italia c’è la concomitanza dei Giochi del Mediterraneo

Europei e mondiali 2022 si annunciano veloci e noi abbiamo atlete che in volata si difendono. Qui una certa Balsamo…
Europei e mondiali 2022 si annunciano veloci e noi abbiamo atlete che in volata si difendono. Qui una certa Balsamo…
Le nazionali di Salvoldi non prescindevano da alcuni punti fermi…

Ci sono delle atlete indiscutibili. Abbiamo la campionessa del mondo, Longo Borghini, Bastianelli. Abbiamo tantissimi nomi. C’è la Cavalli, Bertizzolo se torna ai suoi livelli. Sarà come con Dino, nessuna chiusura. Chi andrà forte, farà parte della nazionale, ovviamente con le caratteristiche giuste per il percorso. Vedremo i percorsi, darò le indicazioni alle interessate e assieme ai loro tecnici stabiliremo il miglior avvicinamento.

Cosa si sa dei percorsi?

Gli europei di Monaco di Baviera hanno qualche strappo nel tratto in linea, poi non sembrano difficili. I mondiali in Australia sembrano per velocisti, almeno da quanto hanno detto. Quindi servirà gente veloce e in Italia atlete con questo profilo non ci mancano. 

E’ uno svantaggio non avere più il controllo del gruppo pista?

E’ uno svantaggio se chi fa strada non ha la percezione dell’importanza della pista, ma io con Marco Velo e con Villa avrò dei contatti non dico giornalieri, ma ogni 2-3 giorni. Vogliamo creare un percorso e quindi non ci sarà nessunissimo problema. Siamo da tanto in Federazione, sappiamo come funziona. Io sono convinto che la pista sia fondamentale. Magari il prossimo anno le ragazze daranno più spazio alle loro società, ma dovranno fare richiami periodici che permettano loro di non perdere il colpo di pedale e tutto il resto. Nessuno si arroccherà in difesa e l’esperienza degli ultimi anni, delle donne e degli uomini, conferma che si va forte in pista e anche su strada.

Elisa Longo Borghini è un altro dei capisaldi della nazionale delle donne elite
Elisa Longo Borghini è un altro dei capisaldi della nazionale delle donne elite
C’è polemica per gli juniores che passano professionisti, in realtà fra le donne è la regola…

La categoria juniores donne è una fase di studio. Devono capire quel che serve per diventare corridori. Quindi bisogna lavorare nel modo giusto, senza l’ossessione del risultato che semmai è la conseguenza indiretta del buon lavoro. Hanno bisogno di tutto, anche di capire come mangiare. Faccio un esempio: prendiamo una ragazza di 17 anni che va a scuola e in famiglia non ha nessuno sportivo. Magari è una banalità, ma se si allena appena uscita da scuola, che cosa dovrà mangiare e quando? Deve essere davvero una scuola, in modo che quando andranno nelle WorldTour, saranno preparate.

Sei a favore della creazione della categoria U23 per le donne?

Sono fermamente convinto che serva, perché c’è dispersione di talento fra le junior e le elite. Il livello è altissimo e nelle WorldTour corrono in sei, quindi è difficile entrare in squadra. Questo alla lunga diventa un problema. Con le U23, hai la gradualità di un livello vicino al tuo.

Ci saranno dei ritiri collegiali?

Per le junior di sicuro, per le grandi solo se ci sarà lo spazio e se qualcuna avrà necessità. Se ad esempio c’è un ritiro invernale del gruppo pista e due o tre stradiste hanno bisogno di lavorare, potranno andare con loro e ci sarò anche io. Non credo che torneremo in altura all’inizio dell’anno. Aveva un senso l’anno scorso con gli europei della pista a marzo, poi rinviati. Casomai si andrà in alto con le junior, sarà per spiegare loro a cosa serva e quali potrebbero essere le reazioni fisiologiche.

E se davvero europei e mondiali saranno così veloci, anche Bastianelli farà di sicuro la sua parte
E se davvero europei e mondiali saranno così veloci, anche Bastianelli farà di sicuro la sua parte
Terrai lo stesso staff tecnico di sempre?

Ci sarà interscambio fra gruppi pista e strada, fra Dino e me e anche con quelli del professionismo. Invece sono contento di avere come collaboratrice la Rossella Callovi, che sarà preziosa anche per la pista.

Quindi, stringendo, sarai selezionatore con le elite, mentre con le junior entrerai anche nella preparazione?

Esatto! Come dicevo prima, faremo formazione nel rispetto delle società. Avrò un rapporto forte con loro, lo stesso già creato con Dino. Sanno come lavoro, non ci saranno problemi. Abbiamo sempre concordato le convocazioni, la linea resta la stessa.

Ma parliamo del commissario tecnico Sangalli. Hai detto di aver fatto 12 anni con Salvoldi e magari, se Di Rocco fosse rimasto presidente, ne avresti fatti altri 12. Hai mai avuto la voglia di uscire in prima persona?

No, perché io ho sempre lavorato bene, tranquillo. Non c’era questa necessità da parte mia. Neanche a livello di ambizione personale, perché ero contento di quella collaborazione. Non si trattava di dire chi fosse primo e chi il secondo. Lavoravamo agli stessi obiettivi, condividendo tutto. Il fatto di diventare tecnico neanche me lo aspettavo. E aggiungo che se non ci fosse stata questa necessità, forse non sarebbe neanche successo.

Quando te lo hanno detto?

Dopo i mondiali di Roubaix e dopo aver parlato con Dino. Prima doveva essere lui ad accettare. De Candido ha fatto tanto, ma la categoria è difficilissima. Per Dino sarà una grande sfida.

Ciabocco e Barale: una resta junior, l’altra diventa elite. Il salto è netto: c’è bisogno di lavorare tanto
Ciabocco e Barale: una resta junior, l’altra diventa elite. Il salto è netto: c’è bisogno di lavorare tanto
Il ciclismo come è entrato nella tua vita?

E’ una passione, non ho mai corso. Mio padre, che è mancato tantissimi anni fa, era ai mondiali di Coppi a Lugano nel 1953. Mio zio ha allenato i giovanissimi della Pagnoncelli e io andavo con lui per divertirmi un po’.

Sembri entusiasta…

Lo sono. Vorrei passasse il messaggio che nessuno è venuto a stravolgere il buon lavoro che si era fatto. Vedo Marco Velo molto competente e coinvolto con le crono, spero che si possa tornare presto ad avere il velodromo. Abbiamo bisogno di Montichiari, per le nazionali e per l’attività di base da cui arriva la nuova linfa. Se dici in giro che la nazionale italiana, dopo tutti i risultati che ha fatto, non ha un velodromo per allenarsi, forse non ci credono neanche. Dovremmo essere senza fino a marzo, ma sono certo che Dagnoni e Amadio non molleranno la presa. C’è davvero tanta voglia di fare bene…

Velocista in Italia, la solitudine e il velodromo che non c’è

10.11.2021
6 min
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Fare il velocista (su pista) in Italia è molto suggestivo, ma in fondo è come vendere frigoriferi agli esquimesi. E d’altra parte le ultime scelte della Federazione fanno capire che l’intenzione di mettere mano al settore sia per ora piuttosto tiepida. Partendo da questo presupposto, sentire la voce di Matteo Bianchi è la cosa giusta da fare per raccontare che cosa significhi aver scelto le specialità veloci in Italia.

Matteo vive a Laives, sud di Bolzano. E proprio lì dove i più sognano i tornanti e le altezze delle Dolomiti, un bel giorno di qualche anno fa lui decise di guardare più in basso e di andare contro il comune modo di vivere il ciclismo.

«Velocisti si nasce o si diventa – sorride – io lo sono diventato. A un certo punto decidi se specializzarti nelle discipline di endurance o quelle veloci. Io ho corso su strada da allievo e fino al primo anno da junior, poi ho scelto. Il passaggio non è facile. In Germania ci sono squadre che fanno solo tornei di velocità, perché hanno un calendario completo. Qui non c’è niente di tutto questo. Le società danno la precedenza alla strada, devi avere la fortuna di trovarne una disposta a farsi carico della spesa in cambio di una visibilità davvero minima. Io per questo devo ringraziare tanto la Uc Trevigiani-Campana Imballaggi, perché ci crede e mi dà una grandissima mano. Essere velocista su pista da under 23 è un’altra cosa. Fai quasi un altro sport».

La voce sicura, vent’anni compiuti il 21 ottobre, il senso di ottimismo e fiducia che permea attraverso le parole. Matteo racconta di essersi diplomato, di essersi preso poi un anno sabbatico e ora di essere iscritto a Economia in una facoltà online che gli permette di conciliare lo studio e lo sport. Ma qua il problema è proprio il suo sport che non si concilia con quello che abbiamo a disposizione nella culla del ciclismo.

Che cosa fa un velocista?

Si allena e in teoria corre. Al velocista serve una parte di fondo, per cui esci con la bici da corsa. Ma siccome su strada i lavori specifici non puoi farli tanto bene, allora fai anche tanta pista e tanta palestra. D’estate mi sono allenato a Dalmine e a Montichiari. La mia ragazza vive a Milano, per cui ho una buona base logistica. Ma adesso Montichiari è chiuso e probabilmente dovrò allenarmi in velodromo all’aperto anche d’inverno, tra Dalmine e Busto Garolfo. Ci sarebbe anche quello di Mori, che è vicino casa mia, ma non c’è nessuno che possa aiutarmi dietro moto e allora non va bene. Di sicuro la stagione comincerà per tutti lo stesso giorno e quello che altri fanno al chiuso, dovrò riuscire a farlo comunque.

Si può parlare di solitudine del velocista?

E’ brutto da dire, ma è così. A volte parlo con amici e rivali olandesi e tedeschi e sentire il racconto di come vivono e si allenano loro fa pensare. In Italia siamo fermi, per colpa di tutti e di nessuno. Per fortuna da gennaio scorso assieme a Miriam Vece siamo entrati nel Gruppo Sportivo dell’Esercito, che ci aiuta con le spese. Ma l’Esercito non può costruire un velodromo per due-tre atleti.

Perché Amadio parlando di te ha fatto riferimento al Centro Uci di Aigle?

Sono un sacco di mesi che spingo per andarci. Il guaio è che non ci sono posti. Hanno un ostello che fa da base per i ragazzi della pista e ora sono pieni (il centro di Aigle nasce per dare supporto agli atleti di Paesi poco sviluppati, difficile reclamare un posto per gli italiani, oltre quello già ottenuto da Miriam Vece, ndr).

Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Quest’anno Villa lo ha portato in Coppa del mondo a San Pietroburgo
Sarebbe una soluzione?

La numero uno. Hai la pista, la palestra, un allenatore e talenti di alto livello con cui confrontarti e crescere. Nel 2019 mi invitarono per dieci giorni di stage e mi trovai benissimo. Poi concordo che vivere lassù in certi giorni possa essere duro affettivamente, ma sono cose da sopportare se hai un traguardo da raggiungere.

Essere velocista significa gonfiarsi come Harrie Lavreysen che domina il settore?

Negli ultimi dieci anni la velocità è cambiata. Mi sono confrontato più volte con Roberto Chiappa, che è stato l’ultimo velocista di alto livello dell’Italia, e sono cambiati i rapporti e il modo di fare le volate. Erano dei giganti anche loro, ma correvano in modo molto diverso da oggi.

Con che rapporti si corre?

Sono diversi in qualifica e in finale e per arrivare a quelli dei big, c’è da lavorare tanto. Da junior facevo il lancio con il 53×13, ora uso il 63×13-14. Quelli forti davanti mettono il 70. Ci si arriva per step, adesso non avrei la forza per lanciarlo. Negli anni di Chiappa usavano rapporti più corti e facevano sprint più brevi ad altissima frequenza di pedalata. Ora la volata finale del keirin dura praticamente per tre giri.

Come è fatta la settimana del velocista?

Varia in base ai programmi e alle gare. Di solito comunque fai 3 sedute in palestra, 3 in pista, a volte la doppia sessione e un giorno di recupero. Poi hai il giorno in cui esci su strada, inserendolo magari quando fai palestra, e lì dipende se hai o meno la disponibilità del velodromo.

La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
La volata nel keirin ormai è lunghissima e dura per gli ultimi tre giri
Che cosa vuoi dire?

Che se hai la pista, i lavori specifici li fai lì. Ma se come adesso la pista non c’è, allora devi provare a farli su strada. Solo che la bici da strada non è abbastanza performante, non è fatta per certe sollecitazioni e allora ci sarebbe quasi da usare su strada la bici da pista.

Senza freni e col fisso: ti è mai capitato?

Non ancora, ma so che si fa. Devi trovare una strada poco trafficata per fare partenze da fermo, senza arrivare mai al picco massimo di velocità. Altrimenti su strada fai 3-4 ore ed è anche il modo per distrarti un po’, perché quando lavori in pista devi essere molto concentrato.

Hai già un’idea di calendario per il prossimo anno?

Di solito il primo picco stagionale è a luglio con gli europei. Per prepararli si fanno internazionali di classe 1-2 e magari da elite non vai alle gare under 23. Prima del Covid i Paesi più frequentati erano Repubblica Ceca e Germania.

Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
Al momento, in partenza Bianchi usa il 63×13-14. I big spingono anche il 70
In Italia cosa c’è?

A proposito di solitudine, in Italia non c’è niente. Dalle Sei Giorni estive il programma veloce è stato cancellato e magari li capisco se si trovano al via solo dieci atleti.

Allora perché un ragazzino dovrebbe appassionarsi a uno sport che non vede neanche in tivù?

Bella domanda (ride, ndr). In tivù riesci a vedere due gare all’anno, perché Eurosport almeno trasmette i mondiali. Ora è nata la Champions League, vediamo come andrà. Io mi appassionai da allievo, dopo aver partecipato ai tricolori. Prima facendo tutte le specialità, poi capendo che continuando nella velocità avrei avuto più risultati e più soddisfazioni.

In questa Italia che non si decide, le Olimpiadi di Parigi sono un obiettivo o un miraggio?

Un obiettivo. Bisogna vedere come evolve la situazione già quest’anno, perché mancano solo tre anni che nella vita di un atleta non sono tanti. Possiamo puntare alla qualifica, se però cambia il metodo di lavoro anche qua. Se potessi, andrei subito fuori. Forse, stando così le cose, è il solo modo per puntarci seriamente.

Ma adesso Villa dice la sua sulla velocità

07.01.2021
5 min
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Villa ha letto le interviste di Chiappa, Guardini e Ceci. Ha mescolato tutto e l’ha lasciato lì. Poi quando la lievitazione è stata completa, essendo il cittì della pista un uomo flemmatico e poco avvezzo alle polemiche, ha sentito il legittimo desiderio di dire la sua. Del resto, se hai la sensazione che ti abbiano sparato contro e non reagisci, questo probabilmente il suo ragionamento, qualcuno potrebbe pensare che i colpi fossero giusti.

In questi giorni, Marco sta completando le prenotazioni per un ritiro alle Canarie con gli inseguitori rimasti orfani della Vuelta San Juan. Ganna gli ha dato l’idea, suggerendogli l’hotel in cui è andato prima di Natale, e in un baleno Villa ha fatto le prenotazioni. Il suo scopo è arrivare a giugno senza differenza abissali di chilometri e corse nelle gambe fra quelli che correranno da professionisti e gli altri che dovranno accontentarsi dell’attività su strada delle continental. Ma adesso si parla della velocità.

«Se avessi due corridori – dice Villa, che nella foto di apertura è a Rio dopo l’oro di Viviani nell’omnium – se avessi due Ganna anche per la velocità, farei il tecnico di specialità 24 ore al giorno. E non c’entra il fatto che io non sia mai stato un velocista. Non sono mai stato neppure un inseguitore, però mi sembra che nell’inseguimento qualcosa l’abbiamo portato a casa. Ceci ha raccontato di aver avuto come tecnico suo zio e poi anche Valoppi. Quando è arrivato in nazionale ha chiesto di lavorare con il suo staff e le sue tabelle. Gli abbiamo dato carta bianca, ma a patto che venissero i risultati. Invece sono 4 anni che non ci qualifichiamo per i mondiali…».

Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Francesco Ceci e Marco Villa ai campionati del mondo del 2013 a Minsk
Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Francesco Ceci e Marco Villa ai mondiali di Minsk 2013
La sensazione è che Ceci lamenti la poca attenzione.

La sensazione non so. Il dato certo è che quando c’erano gli altri in ritiro, lui è sempre venuto. Francesco ha fatto più Coppe del mondo di tutti, nonostante a quelli forti per qualificarsi ne bastino solitamente tre. Lui forse ne ha saltata una su sei, ma i risultati non sono stati sufficienti. E questa è matematica.

Sei tu il tecnico dei velocisti?

Sono il responsabile dell’attività su pista. Ho io in mano il portafogli, ma il dato oggettivo, purtroppo, è che non ci sono velocisti e non c’è un calendario. Li scelgo in base ai risultati della strada e li porto ai mondiali senza gare. Ho visto quel che ha detto Guardini, con Mareczko nella sua stessa situazione. Ma io vi parlo di Peschiera, che forse era il più velocista di tutti. L’hanno voluto portare a fare le volate su strada e dopo due anni ha smesso. Vi parlo di Gasparrini, che era un signor velocista e ha vinto titoli italiani di chilometro, keirin e velocità.

RIno Gasparrini, Gp Mezzana 2011
Rino Gasparrini, marchigiano come Ceci, qui vince il Gp Mezzana del 2011
RIno Gasparrini, Gp Mezzana 2011
Gasparrini vince il Gp Mezzana del 2011
Chiappa ha raccontato di quando i velocisti venivano incentivati con borse di studio e un posto nei Corpi militari.

Le Fiamme Azzurre ci dicono che per entrare ci sono dei corsi da passare e servono titoli di merito che derivano da vittorie di campionati europei, medaglie ai campionati del mondo o in specialità olimpiche. Non è semplice prendere uno junior e mandarlo da loro. Devi fare la gavetta, come su strada. Solo che i ragazzi sono disposti a tirare la cinghia per diventare stradisti, mentre scappano se gliela proponi in pista. Credono alle squadre che li ingaggiano per vincere le volate nei piattoni del martedì e non a noi che gli proponiamo i mondiali e le Olimpiadi. E’ una questione di mentalità. Mi piacerebbe che venisse un giovane velocista a dirmi che ha intenzione di investire su se stesso in queste specialità. Ma non ci sono. E allora l’ideale forse è cercarli in ambienti in cui non ci sia il sogno di fare il Giro d’Italia. Nella Bmx o nel pattinaggio, ad esempio.

Non può essere solo Villa a farlo…

Potrebbe essere l’attività ideale del Centro Studi della Federazione in accordo con quello del Coni. Si può fare reclutamento nelle scuole, andando in giro con una watt bike e facendo dei test a tappeto. Negli ultimi anni siamo andati avanti con Ceci, che l’ultima volta comunque ha chiesto di essere seguito dai tecnici federali e gli è stato assegnato Bragato.

Andrea Guardini, campionati europei juniores keirin, 2007
Andrea Guardini, primo ai campionati europei juniores keirin del 2007
Andrea Guardini, campionati europei juniores keirin, 2007
Guardini, campione europeo juniores 2007 nel keirin
Quanto vale Ceci?

Nel quartetto di adesso poteva essere un Lamon. Ha scelto la velocità, ha vinto tanti titoli, ma forse gli manca la punta per essere al livello dei migliori. In pista si inventa poco, basta guardare i tempi.

Servirebbe un Viviani della velocità…

Il quartetto grazie a lui e a Ganna, ma anche grazie all’attenzione dei media, adesso ha una grande visibilità. Al punto che c’è gente che vorrebbe fare le tattiche e le formazioni. Benvenga. La velocità ha bisogno di più gare. Vedo degli juniores interessanti ora. Napolitano, che sembra mentalizzato. Anche Bianchi. Ma non ci sono gare in cui fare esperienza e andare all’estero si può fare, ma il budget è lo stesso per tutti.

Significa che si spende solo per gli inseguitori?

No, significa che se devo togliere soldi al settore endurance, bisogna che si vada all’estero a fare risultati. Ma ad ora non abbiamo questo livello, per cui prima di andare fuori, sarebbe bene fare esperienza in Italia. Di fatto, per me sarebbe una bella sfida allenare i velocisti, come lo è stato studiare per allenare gli inseguitori. Con loro abbiamo invertito la rotta e ci siamo guadagnati la fiducia dei tecnici dei club. Riuscirci con la velocità sarebbe davvero una bella sfida.

Francesco Ceci, europei Chilometro da fermo, Apeldoorn 2019

La ricetta di Ceci: un tecnico e un metodo di lavoro

04.01.2021
5 min
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E’ bastata un’intervista a Roberto Chiappa per rimettere improvvisamente in moto l’attenzione attorno al settore della velocità che, come dice il gigante umbro, fra uomini e donne assegna 18 medaglie olimpiche. Può una Nazione come l’Italia rinunciarvi a cuor leggero?

L’ultimo azzurro che ha sfiorato la qualificazione per Rio 2016 è stato Francesco Ceci, ascolano classe 1989 come Guardini, sulla cui esclusione si è molto dibattuto. In sintesi, il 7 marzo del 2016, il marchigiano era convinto di aver ottenuto la qualificazione tramite ripescaggio dopo l’ultima prova di Coppa del mondo. Ma mentre i festeggiamenti erano al culmine, ci si è accorti che il suo nome non risultava fra quelli indicati dall’Uci. La federazione internazionale infatti aveva interpretato a modo suo una norma del regolamento, ripescando due giapponesi e mettendo Ceci come prima riserva. Secondo Coni e Fci, invece, non sarebbe stato possibile ripescare più di un atleta per Nazione. Si arrivò fino alle porte di un ricorso al Tas, cui però alla fine si rinunciò per i costi elevati e le ridotte possibilità di spuntarla. E indirettamente si venne ricompensati con il ripescaggio del quartetto, data l’esclusione dell’equipaggio russo.

Francesco Ceci, campionati del mondo Pista 2013 Minsk, Keirin
Francesco Ceci nel keirin, ai campionati del mondo 2013 a Minsk
Francesco Ceci, campionati del mondo Pista 2013 Minsk, Keirin
Ceci ai mondiali di Minsk 2013, nel keirin

Grazie alla possibilità di qualificarsi, tuttavia, Ceci ha ottenuto l’assunzione nelle Fiamme Azzurre e nei due anni scorsi ha riprovato a qualificarsi per Tokyo, perdendo ogni chance per una clavicola fratturata, che lo ha tagliato fuori dalle prove decisive.

Che cosa fa oggi Ceci e cosa pensa di quello che hanno detto Chiappa e Guardini?

Ceci ha ripreso ad allenarsi. Ho tolto la placca dalla clavicola e sto aspettando di avere un calendario. Dal 2015 sono nelle Fiamme Azzurre e questo mi permette di continuare a fare attività sportiva, in un settore da cui l’Italia è progressivamente scomparsa. Tirano fuori sempre la scusa che non ci sono ragazzi, ma vedendo che al mondo stanno emergendo Polonia, Lituania e Kazahstan, mi rifiuto di credere che il nostro bacino non sia alla loro altezza. Piuttosto mancano un tecnico di riferimento e investimenti adeguati.

E’ un calendario costoso?

E’ particolare. Nel mio caso, l’unico modo per andare all’estero è con la nazionale. Le Fiamme Azzurre sono un corpo operativo sul suolo italiano, per cui possono sostenere la mia attività soltanto in Italia. Quindi, se non vado con la nazionale, devo pagare da me. Noi andiamo avanti grazie alla squadra, prima Ceci Dream Bike e ora Piceno Bike, ma il calendario è limitato. In Italia nel 2020 ci sono state due sole gare.

Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Sempre ai mondiali di Minsk 2013, con Marco Villa che lo lancia in pista
Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Con Marco Villa, ai mondiali di Minsk 2013
Davanti alla parola “investimenti” qualcuno potrebbe vacillare.

Non sto parlando di cifre proibitive, semplicemente individuare un tecnico preparato e fare la giusta programmazione. Le grandi Nazioni fanno ritiri, si allenano insieme. In Italia non servirebbero 7 mesi di ritiro ogni anno, ma se avvicini un ragazzo, per coinvolgerlo devi proporgli un programma e un metodo di allenamento.

Come funziona l’attività di un velocista?

Ho lasciato le gare su strada al primo anno da U23 ed era già tardi, perché alcuni miei coetanei si sono specializzati su pista sin da juniores. Eravamo un gruppo di una decina, con Federico Paris e Pavel Buran come tecnici e dopo di loro Collinelli e mio zio Vincenzo (Vincenzo Ceci, che partecipò alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, ndr). La stagione delle gare era prettamente invernale, con le Coppe del mondo da ottobre a febbraio, quindi gli europei e i mondiali a chiudere. A primavera un po’ recuperavi e poi ricominciavi la preparazione e le prove di qualificazione alla Coppa del mondo in giro per l’Europa. Adesso il calendario è in fase di riforma.

Francesco Ceci, campionati italiani 2018, Vigorelli
Ai campionati italiani del 2018 al Vigorelli, vince il tricolore keirin su suo cugino Luca
Francesco Ceci, campionati italiani 2018, Vigorelli
Tricolore nel keirini al Vigorelli nel 2018
Esisteva un calendario italiano?

Fino al 2010 abbiamo avuto il Giro d’Italia delle Piste, un circuito di 4 prove che non davano punti internazionali, ma servivano per visionare i ragazzi. Si correva prettamente su pista scoperta, anche perché Montichiari è stato inaugurato a maggio del 2009.

Hai letto le parole di Chiappa, che cosa pensi della situazione?

Ho sempre la speranza di uno scatto in avanti. Servirebbe trovare un tecnico con la giusta competenza, senza andare a cercarlo all’estero, come si provò a fare con Morelon, che chiese anche un sacco di soldi e alla fine non venne. La velocità è un mondo a sé, quali sono i tecnici giusti nell’ambiente si sa. Anche all’estero sono tutti ex velocisti, che sono titolari del settore oppure affiancano altri tecnici. La preparazione è molto diversa e sta cambiando.

Diversa da cosa?

Dal settore endurance, ad esempio, anche se pure loro si stanno spostando verso la forza, usando rapporti come il 60×13. Nel 2008, facevo le volate con il 48×13, nel 2019 in Bielorussia per il keirin usai il 58×13 e so che alcuni vanno più duri. C’è stata evoluzione in ogni dettaglio.

Francesco Ceci, europei Glasgow 2018, velocità
Non va bene nella velocità agli europei di Glasgow 2018
Francesco Ceci, europei Glasgow 2018, velocità
Glasgow 2018, campionati europei velocità
Cosa pensi di quello che ha detto Guardini?

Ho letto la sua intervista. Andrea me lo ricordo bene, perché nella fase di transizione dalla pista alla strada, facemmo parecchia attività insieme. Nel 2009 vincemmo insieme, con lui e mio fratello Luca, il campionato italiano della velocità a squadre. Da junior per me era imbattibile, ma già l’anno successivo iniziò a perdere smalto e specializzazione e cominciai ad arrivargli davanti.

Quindi trovi corretto quello che dice sull’incompatibilità tra velocità e volate su strada?

Sono due mondi diversi. Ricordo che fosse parecchio contento di andare di là a guadagnare di più, anche perché per noi velocisti non c’erano grandi prospettive. Ho fatto da poco il corso per tecnico di 3° livello e si è parlato molto di multidisciplina. Ai miei tempi, nessuno mi propose il cross o la mountain bike, ma certo il velocista a un certo punto deve fare una scelta. Da junior ero 71 chili, ora sono a 81, ma sono cambiamenti che fai quando sei certo che ne valga la pena.

Si può tornare a un settore pista che funzioni e richiami i ragazzi?

Alle due condizioni dette prima: un tecnico e un metodo di lavoro. Se fai vedere alle famiglie che i ragazzi non sono abbandonati, le piste tornano a riempirsi. Che poi in questo periodo di paura della strada…

Andrea Guardini, Mark Cavendish, Vedelago, Giro d'Italia 2012

Guardini, Chiappa, parole chiare e un’idea su Parigi

03.01.2021
6 min
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«Se domani mi dicessero che c’è la possibilità di qualificarsi nella velocità per le Olimpiadi di Parigi – dice Guardini – ci proverei subito e mi viene già la pelle d’oca. Avrei 35 anni, non c’è competizione più importante e per la pista ho sempre un vero amore. Ho letto l’intervista a Roberto Chiappa, sono anni che penso questa cosa…».

Prima domenica del 2021, Guardini è a casa. La chiamata dopo aver parlato con Chiappa è nata spontanea. A proposito dei velocisti passati su strada, l’umbro è stato chiaro.

«Oggi per fare le volate – ha detto – devi andare bene in salita e se vieni dalla pista, resti sempre un velocista. Viviani fa le volate, ma non viene dal settore veloce. Guardini era un Chiappa, ma ha vissuto gli anni in cui si investiva poco. Con il suo oro europeo nel keirin, avrebbe potuto continuare e fare le Olimpiadi».

Andrea Guardini
Andrea Guardini, classe 1989, è passato professionista nel 2011 con la Farnese Vini
Andrea Guardini
Andrea Guardini, classe 1989, pro’ dal 2011

Un siluro allo sprint

Torna alla memoria lo sguardo inferocito di Cavendish a Vedelago nel 2012 (foto di apertura), battuto in volata dal giovane velocissimo, ma probabilmente troppo vicino all’ammiraglia di Scinto sull’unica salita. Tornano alla memoria le battute sarcastiche di alcuni direttori sportivi sul fatto che il veronese non si allenasse abbastanza e ne fosse riprova il fatto che in salita si staccava sempre. E’ un po’ come se si prendesse Usain Bolt e lo si accusasse di essere poco professionale perché dopo una maratona piena di salite, nei 100 metri non è il più veloce o magari in pista nemmeno ci arriva. Guarda caso, la situazione è andata peggiorando mano a mano che i percorsi venivano induriti e la tappa con arrivo in volata ha perso le connotazioni veloci di un tempo.

La colpa è dei corridori…

Sempre del corridore, che non fa la vita. Non del fatto che ti danno una bici con cui perdi 10 secondi a chilometro, oppure che una volta le tappe per i velocisti avevano al massimo 1.500 metri di dislivello, mentre adesso non sono mai sotto i 2.000. Nel 2011 facevo molte più volate di adesso.

E’ vero che qualche settimana fa avevi pensato di smettere?

Non lo nascondo. Ho finito il 2020 vincendo e speravo di trovare una squadra di livello superiore. Anche Giuliani mi diceva di guardarmi intorno. E proprio quando avevo gettato la spugna, ho fatto un esame di coscienza e mi sono detto che se devo smettere io, altri dovrebbero farlo prima. Non per puntare il dito, ma per darmi una scossa. E allora ho ripreso, perché credo di poter dare ancora molto. Mi concedo un’altra possibilità, sperando in una stagione normale. Anche se normale probabilmente non sarà. Dovevamo andare a fare un bel blocco di lavoro in Turchia, ma il Tour of Antalya è saltato.

Dicevi di aver letto l’intervista di Chiappa.

Sono tanti anni che penso a queste cose. Vinsi l’europeo del derny alla prima partecipazione e feci 5° nel mondiale della velocità. Ero già al secondo anno da junior, non avevo esperienza. Forse facendo pista a quel livello dall’anno precedente, avrei potuto vincere anche il mondiale. Poi da under 23 mi portarono a fare una sola prova di Coppa del mondo e a quel punto, avendo già il contratto con la Farnese Vini, parlai con Marco Villa. E gli dissi che se non c’erano un progetto e un calendario, forse era meglio concentrarsi sulla strada.

Andrea Guardini, Tour of Oman 2015, 2a tappa
La salita non è nel suo dna. Al Tour of Oman 2015, ha vinto la 1ª tappa, nella 2ª paga pegno
Andrea Guardini, Tour of Oman 2015, 2a tappa
Tour of Oman 2015: vince la 1ª tappa e poi si stacca nella 2ª
Hai ricevuto una controproposta, come dice Chiappa, di borsa di studio e posto in un gruppo sportivo militare?

A parole qualcosa arrivò, niente di concreto. Come tecnico delle specialità veloci c’era Federico Paris, ma a fine anno uscì anche lui e il settore si sciolse. A differenza di Viviani e Nizzolo, io vengo da una specialità che non va tanto d’accordo con la strada. Siamo cresciuti insieme e nelle gare veloci li ho sempre battuti, perché i percorsi erano meno duri. Il mio fisico è fatto così. Fibre bianche per sprint ad altissima velocità, ma le corse ora sono sempre più impegnative e quelli come me fanno una gran fatica ad arrivare in volata.

Chiappa ha parlato anche di Mareczko…

E’ quello in cui più mi rivedo. E guardate che correre alla CCC e fare piazzamenti al Tour Down Under non è stato banale, perché si va forte e le tappe non sono piatte. Con certe caratteristiche muscolari, correre su strada è quasi snaturarsi. Per contro, nel 2014 partecipai al mio ultimo campionato italiano della velocità. E senza allenamenti specifici, feci secondo dietro Ceci. La predisposizione resta.

C’è rammarico per la scelta di aver lasciato la pista?

Adesso posso dire di sì, ma a suo tempo feci le mie scelte in base alle proposte ricevute e il settore velocità non c’era, come non c’è oggi. Chiappa ha ragione. Se non li trovi da piccoli, non li hai da grandi, ma oggi è tutto così esasperato che tanti smettono senza aver valorizzato le loro doti naturali. E’ un cane che si morde la coda. Se non investi, i risultati non arrivano. A meno che non trovi un Viviani…

Abi Dhabi Tour 2015, Andrea Guardini, Daniele Bennati, Tom Boonen
Nello stesso anno, all’Abu Dhabi Tour 2015, batte Bennati e Boonen
Abi Dhabi Tour 2015, Andrea Guardini, Daniele Bennati, Tom Boonen
All’Abu Dhabi Tour 2015, batte Bennati e Boonen
Prego?

La pista italiana deve tanto a Elia, perché è stato lui che ha continuato a crederci avendo attorno il vuoto. Poi piano piano si è messo in moto un meccanismo, si sono fatti investimenti e ora i risultati li vedono tutti. Io potrei anche pensare di rimettermi in gioco, pur notando che il mondo è cambiato. Io facevo le volate con il 49×14 e il 51×14 nel keirin. Oggi è tutto più veloce e tanto incide il fatto che si gareggi sempre in pista chiusa.

Simion, tuo compagno alla Giotti Victoria, è tornato nel giro dell’inseguimento.

Con Paolo ho parlato tanto e non è ammissibile che un corridore come lui non sia stato confermato. Per carità, ognuno fa le sue scelte, ma qui parliamo di uno dei migliori nel lanciare le volate. Ripartiamo insieme. Voglio scommettere su me stesso, sapendo che sono ancora integro e che negli ultimi anni ho corso davvero poco: 24 giorni nel 2020, 56 nel 2019, 59 nel 2018…

Un anno per riscattarsi?

Ho anch’io il mutuo da pagare. Il lockdown mi ha permesso di veder crescere mia figlia e questo è stato molto positivo. D’altro lato però mordo il freno, vediamo che cosa riuscirò a fare. Mi farebbe un gran comodo che si tornasse a correre in Oriente. Là le tappe per velocisti sono tappe per velocisti. E poi c’è quest’idea di Parigi, che tutto sommato…

Roberto Chiappa, Pechino 2008

Quando in pista c’erano i giganti. Chiappa racconta…

01.01.2021
5 min
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Quando in pista scendevano i giganti della velocità, il pubblico sgranava gli occhi. Hubner era una montagna. Al confronto Fiedler sembrava più esile, ma era anche lui un colosso. Nothstein era un lottatore di wrestling, Rousseau ti agitava in faccia il suo essere francese. Finché un giorno in mezzo ai quei bestioni spuntò un giovane umbro di nome Roberto Chiappa. Le Olimpiadi di Barcellona erano state inaugurate da Freddy Mercury e Monteserrat Caballé, l’Italia della strada avrebbe presto applaudito l’oro di Fabio Casartelli, mentre in pista sarebbe toccato a Giovanni Lombardi e a quel… ragazzino di Terni, 1,84 per 90 chili, che l’anno prima aveva vinto il mondiale juniores nella velocità.

«Quel mondiale e il record del mondo di 10″200 – ricorda – non me l’aspettavo. Terza prestazione di sempre. Ma il bello doveva ancora venire. Mi portarono alle Olimpiadi che dovevo ancora compiere 19 anni. Mi buttai dentro e finii quarto, battuto in semifinale da Fiedler che poi avrebbe vinto l’oro».

Roberto Chiappa, Federico Paris, bronzo mondiali di Palermo 1994
Chiappa e Paris, equipaggio collaudato nel tandem. Nel 1993 vinsero il mondiale ad Hamar
Roberto Chiappa, Federico Paris, bronzo mondiali di Palermo 1994
Con Paris coppia fissa nel tandem

Chiappa è stato l’ultimo grande velocista italiano. Carabiniere forestale, dopo le Olimpiadi di Atlanta si trasferì a Bergamo e di quel suo accento umbro restano appena poche inflessioni. Ve lo raccontiamo in questo primo giorno dell’anno, sperando porti l’ispirazione a chi guiderà il prossimo quadriennio federale. E lo facciamo partendo da una frase di Ivan Quaranta.

«Per ricreare un Roberto Chiappa – disse il cremasco, a sua volta iridato juniores della velocità – serve prenderli da giovani, mentre sognano di essere Viviani o Nizzolo».

Roberto, ha ragione Quaranta?

Sono stato l’ultimo a fare certi risultati. La Fci ha investito e ha dato la possibilità di riaprire il settore velocità, però forse si sono sbagliate le tempistiche. Bisognerebbe chiederlo al presidente Di Rocco. Ora che vivo il ciclismo da fuori, vedo chiaramente che i velocisti non hanno prospettive. I campionati italiani si fanno, ma i ragazzini veloci vengono dirottati nel quartetto. Perché Villa ha un futuro, mentre per le discipline veloci non c’è un tecnico.

Michael Hubner, mondiali Palermo 1994
Michael Hubner, gigante tedesco, ai mondiali di Palermo 1994. Chiappa è a sinistra
Michael Hubner, mondiali Palermo 1994
Contro Hubner ai mondiali di Palermo 1994
Si dice che la strada richiami di più…

E’ un discorso sbagliato. Fino agli allievi in Toscana incontravo spesso e battevo Petacchi e Bettini, dato che ho solo un anno di più. Facevo anche pista e un giorno il tecnico di categoria venne a cercarmi, proponendo borsa di studio, un lavoro in Forestale per quando avessi smesso e un bel calendario. Se non avessi avuto questi incentivi, sarei passato su strada, dove potevo smettere o diventare Cipollini. Oggi se vai da un ragazzo di 18 anni, gli offri la borsa di studio, la possibilità di fare mondiali e Olimpiadi e un posto di lavoro, pensi che la famiglia dica di no?

Avrebbe senso reclutare qualcuno del gruppo degli inseguitori per le discipline veloci?

No, perché sono inseguitori. Il velocista devi prenderlo da esordiente e capire di che colore sono le sue fibre. Velocista si nasce e noi ne abbiamo avuti di buoni. Guardini. Mareczko. Lo stesso Quaranta.

Ma sono tutti passati su strada.

Senza grandi risultati, perché oggi per fare le volate devi andare bene in salita e se vieni dalla pista, resti sempre un velocista. Viviani fa le volate, ma non viene dal settore veloce. Guardini era un Chiappa, ma ha vissuto gli anni in cui si investiva poco. Con il suo oro europeo nel keirin, avrebbe potuto continuare e fare le Olimpiadi.

Velocisti si nasce…

Devi avere fibre bianche e avere da 2.200 a 2.600 watt. In Italia certi numeri non ci sono. Vanno cercati forse nella Bmx o nel pattinaggio. Io sono curioso e sono in contatto con Theo Bos, che ha 10 anni meno di me e ancora corre. Mi dice che Hoogland secondo agli ultimi due mondiali, fa 2.600 watt. Non voglio immaginare Lavreysen che quei mondiali li ha vinti. 

Roberto Chiappa, Apeldoorn 2011
Agli europei di Apeldoorn 2011 come accompagnatore delle ragazze di Salvoldi
Roberto Chiappa, Apeldoorn 2011
Roberto Chiappa agli europei 2011 con le azzurre
Tu come eri messo?

Io ne facevo 2.300, ero un gran velocista, ho vinto la Coppa del mondo, ma non ero il migliore. E’ cambiato tutto. Mi dicono che adesso si sprinta con il 60×13 a 120 pedalate. Noi usavamo il 49×14 e solo nel 2008 passai al 52×13, grazie ai francesi che mi spiegarono il loro metodo di lavoro. Oggi Miriam Vece usa il 62×15.

A quante Olimpiadi hai partecipato?

Barcellona, Atlanta, Sydney e Pechino. Saltai Atene 2004 perché il presidente Ceruti chiuse il settore velocità, paragonandoci agli omini Michelin. E io che nel 2001 avevo vinto la Coppa del mondo della velocità, non potei qualificarmi. Poi tornarono Di Rocco e Martinello e mi fecero rientrare. Nel 2008 vinsi la prova di Coppa del mondo di Los Angeles e mi qualificai per Pechino nella velocità e nel keirin. Pechino fu l’anno in cui mi sentii più forte.

Vai ancora in bici?

Dopo aver smesso, ebbi 3-4 anni di fatica mentale. Quattro Olimpiadi e 21 mondiali, oltre a tutto il resto, ti logorano. Ora mi è tornata la passione.

Sei sempre un gigante?

Qualcosa ho perso, ma le gambe sono sempre quelle. Seguivo un sistema di lavoro per cui sulla pressa spingevo 580 chili di massimale. Prima evitavo le salite, sono cresciuto con il lavaggio del cervello che facessero male. Le usavo per i lavori specifici, sui Colli Euganei. Facevo 2-3 minuti a fiamma con l’occhio sull’Srm, a 800 watt. Ora vado sulla Roncola o sul Selvino per staccare con la testa. E una cosa la dico. Mi piacerebbe prendere tutta questa esperienza e metterla a disposizione dei giovani.