14 marzo 2021, un giorno di grande ciclismo

14.03.2021
6 min
Salva

In questa domenica di marzo che introduce l’Italia in zona rossa, il dio del ciclismo ha messo in tavola una giornata di grande ciclismo e grandi riflessioni fra la Tirreno-Adriatico e la Parigi-Nizza. Un mix di leggenda e destino che ci ha mostrato da una parte la grandezza sfacciata di Van der Poel e quella più lucida di Tadej Pogacar, mentre sul fronte francese Primoz Roglic ha fatto la conoscenza di un insolito destino e del cinismo del gruppo.

Dopo 52 chilometri di fuga, Van der Poel arriva con 10″ su Pogacar
Dopo 52 chilometri di fuga, Van der Poel arriva con 10″ su Pogacar

Grazie Mathieu

Diceva bene Degenkolb alla partenza della Kuurne-Bruxelles-Kuurne.

«Quando c’è in corsa Van der Poel – diceva il tedesco – non si può mai stare tranquilli, perché è capace di stravolgere qualsiasi corsa».

La profezia che quel giorno si avverò in parte, si è attuata alla Strade Bianche e oggi a Castelfidardo.

L’olandese è partito a 52 chilometri dall’arrivo, con la stessa spavalderia di una gara di cross. Correre a quel modo è spettacolare e accende i tifosi, ma alla lunga anche VdP ha rischiato di non raccogliere nulla, vittima del freddo come ai mondiali di Harrogate. Infatti, quando a 17 chilometri dall’arrivo ha deciso che fosse arrivato il momento, Pogacar gli ha mangiato quasi tutto il vantaggio, arrivando ad appena 10 secondi.

Dopo l’arrivo, crolla stremato sull’asfalto: una fatica bestiale
Dopo l’arrivo, crolla stremato sull’asfalto: una fatica bestiale

Lucidità Pogacar

Van der Poel ha tagliato il traguardo. Si è avvicinato ai suoi uomini. Ha provato a sollevare la gamba per scavalcare le sella ed è franato sotto la bici. E’ rimasto disteso per qualche secondo poi si è seduto contro la transenna. Se a Siena il suo guardare gli altri con una Coca in mano era parso quasi un gesto da cowboy, questa volta neanche uno sguardo di fiamma.

«Avevo freddo – dice Mathieu – volevo attaccare già dal primo giro del circuito finale. Prima che decidessi di andare via da solo, eravamo un gruppo di circa venti corridori, ma non c’era troppo accordo tra di noi. In discesa mi sono messo davanti, stavo mangiando e a quel punto ho realizzato di essere da solo. Inizialmente stavo bene ma poi negli ultimi 20 chilometri ho iniziato ad avere molto freddo e mi sentivo svuotato. Non me l’aspettavo. E’ stato sicuramente uno dei miei giorni più duri in bici. Sono felice della vittoria, sopratutto perché sono riuscito a mantenere qualche secondo di vantaggio su Pogacar che stava recuperando velocemente».

«Quando ho visto Wout Van Aert in difficoltà – gli fa eco Pogacar, più leader che mai – ho attaccato per cercare di guadagnare più tempo in classifica. Non pensavo che sarei arrivato quasi a riprendere Van der Poel. Ora sono contento del vantaggio che ho su Van Aert in classifica alla vigilia della tappa di domani e della cronometro finale».

Van Aert ha pagato la giornataccia e forse il suo peso su certe pendenze
Van Aert ha pagato la giornataccia e forse il suo peso su certe pendenze

Dilemma Trek

Alle spalle dei due, Van Aert ha subito infatti un passivo di 49″ dal vincitore e dietro di lui sono arrivati alcuni fra i più grandi lottatori del gruppo. Felline, Bernal, Formolo, Wellens, De Marchi, Landa e Fabbro. Nibali, che su un percorso come questo e sotto la pioggia nel 2013 ribaltò Froome, è arrivato al traguardo con 4’20” di ritardo, mentre Ciccone ha subito 9’39”.

Le giornatacce ci possono stare, ma forse si impone una breve riflessione. Abbiamo letto nei giorni scorsi del divorzio fra Nibali e Slongo e la notizia ci ha spinto a rileggere le parole profetiche del tecnico veneto che scrivemmo ai primi di gennaio.

«Io rispetto la persona – disse Slongo – ma ho anche metodo. E secondo me, per il mestiere che è il ciclismo, il lavoro, la vita hanno sempre pagato e sempre pagheranno. Il cambiamento che stiamo facendo nasce dal voler rispettare la sua psicologia. «Se una cosa mi pesa e non la voglio fare – è stato detto – è meglio non farla. Cerchiamo alternative per poter essere lo stesso competitivi». Certo il metodo di sempre, già collaudato in tanti anni, fa dormire più tranquilli. Però allo stesso tempo da allenatore devo saper cambiare anche io. Abbiamo fatto un confronto a fine anno per mettere dei paletti. Gli ho detto che se vuole cambiare, non cade il mondo».

Felline autore di una prova caparbia, si esalta sugli strappi
Felline sutore di una prova caparbia, si esalta sugli strappi

La scelta di Nibali

E Nibali ha cambiato, forse stufo di subire lezioni come quelle che sta accumulando dallo scorso Giro d’Italia. Ma allora è in crisi il metodo di allenamento che ha portato anni di vittorie, oppure è in crisi l’atleta sull’orlo dei 37 che oltre al calo fisiologico delle prestazioni, non riesce più a fronteggiare la disciplina di quel modo di lavoro?

Il ciclismo che va per la maggiore farebbe pensare alla prima ipotesi: vale a dire a un ciclismo meno laborioso, meno graduale e con standard elevatissimi. Ma se così fosse, non avrebbe avuto senso cambiare guida tecnica prima ancora di avviare la preparazione invernale? Nibali prosegue la sua marcia verso Tokyo continuando a stupirsi per le andature degli altri: speriamo che presto possano essere loro a chinare il capo davanti a lui.

Ferito e con una spalla slogata, Roglic ha lottato da leone
Ferito e con una spalla slogata, Roglic un leone

Roglic, il conto…

In Francia, dopo il presunto sgarbo di ieri, Roglic ha conosciuto il dolore di una spalla slogata e la beffa della maglia gialla sfumata l’ultimo giorno. Qualcosa di già masticato, ma non per questo meno doloroso. Ieri il gruppo non aveva apprezzato la sua vittoria su Mader, ripreso a 30 metri dall’arrivo. E così, mentre la corsa ha messo fine alle battute, la discesa del circuito della tappa ha messo fine ai sogni di gloria. Prima caduta dopo 25 chilometri di gara, la seconda a 25 chilometri dall’arrivo e una scongiurata proprio nel finale.

Con i glutei scoperti e nessun compagno a parte Kruijswijk nei dintorni, Roglic è rimasto indietro dopo la seconda caduta e a quel punto il gruppo ha dato gas. Primoz ha provato a inseguire. E’ arrivato a 80 metri dai primi, poi si è arreso.

«Come dirlo? Non è stata la tappa che speravamo – ha detto lo sloveno – ho commesso degli errori. A causa del primo mi sono lussato la spalla sinistra e poi sono caduto ancora. Ho dato tutto ma sfortunatamente non sono più riuscito a riprendere i primi. E’ un peccato, ma ci saranno altre occasioni. Ho dato il massimo. Ho superato me stesso, ma non è bastato. Certo, sono deluso, ma il mondo non si ferma qui».

I complimenti di Roglic a Schachmann, re della corsa
I complimenti di Roglic a Schachmann, re della corsa

Chissà se oggi Pogacar, avendolo ripreso, avrebbe lasciato vincere Van der Poel. Chissà se in realtà, avvisato via radio, non lo abbia fatto. Nel ciclismo si vive di equilibri e valori antichi: una sorta di codice cavalleresco che alcuni non hanno mai accettato. Il leader lascia la tappa al fuggitivo e in cambio, se ad esempio cade, il gruppo rinuncia ad attaccarlo. Questo è quello che è successo alla Parigi-Nizza, né più né meno. Che poi servirà di lezione o sia semplicemente la spia di un altro cambiamento cui rassegnarsi, lo scopriremo col passar dei chilometri.

Roglic, Mader: il destino in trenta metri

13.03.2021
3 min
Salva

Parigi-Nizza, uno di quei giorni che ti restano dentro. Esiti di una corsa che possono anche influire sul prosieguo della tua carriera. Roglic, quel maledetto responso della cronometro finale dell’ultimo Tour de France se lo porta ancora dentro, un ricordo indelebile, forse un patrimonio che pesa su tutte le sue scelte. A lui, la vittoria nella tappa della Parigi-Nizza a La Colmiane cambiava poco, a Gino Mader, in fuga sin dalle prime fasi, tantissimo. Tutto è cambiato a 30 metri, soli 30 metri dal traguardo (foto in apertura).

Una tappa così non la si può semplicemente raccontare con gli occhi, bisogna entrare nei pensieri dei protagonisti.

Il momento dello scatto di Roglic verso La Colmiane
Il momento dello scatto di Roglic verso La Colmiane

I fantasmi di Roglic

«Sono Primoz Roglic, 31 anni, leader della Jumbo-Visma. Da quel giorno a La Planche des Belles Filles quella sensazione non mi ha mai lasciato, per questo penso che ogni gara, ogni traguardo vada inseguito. E dobbiamo tutti lavorare per quello. Ho vinto ieri ma che sarà domani? Non posso saperlo».

«Sono Gino Mader, 24 anni, svizzero appena arrivato alla Bahrain Victorious. Già, vittoriosa e io di vittorie non he ho. Ma stamattina ho visto partire la fuga di giornata e mi sono messo dentro, chissà mai che…».

Gino Mader all’attacco nella 7ª tappa della Parigi-Nizza
Gino Mader all’attacco nella 7ª tappa della Parigi-Nizza

Il sogno di Mader

Mader: «La tappa sta finendo e io, Gino Mader, sono in testa, da solo. Ho staccato anche Powless. Una quarantina di secondi, basteranno? Mancano 4 chilometri, vado su, ci metto sui pedali tutto quello che ho».

Roglic: «Vogliono farmi la guerra? La maglia gialla ce l’ho io addosso, è normale che sia così, ma tra tutti questi scatti e rallentamenti non ci capisco più nulla. Si avvicina Kruiswijk. Sì Steven, dai un bello strappo, vediamo chi tiene. Grande ragazzo, Steven, era il capitano rima che arrivassi io nel team. Avrà le sue occasioni, ricambierò…».

Mader: «Eccolo, lo striscione dell’ultimo chilometro, non si vede nessuno dietro. Ce l’ho quasi fatta, ci sono, ci sono…».

Roglic: «Questo non lo accetto, Maximilian Schachmann che mi scatta in faccia. Va bene che è il campione uscente, ma il più forte sono io e devo dimostrarlo. Sempre».

Mader: «Il traguardo, eccolo, un ultimo sforzo, ma dietro “lui” sta arrivando. Lo sento che sta arrivando, 50, 30 metri: passa allora, ma questo successo era mio, doveva essere mio».

Roglic: «Sono tre vittorie, di seguito. Un cannibale? Forse, ma quando l’ho visto davanti mi sono detto perché no? Ero lì e sapevo di poter vincere. Domani c’è ancora una tappa difficile, la Parigi-Nizza non è ancora conquistata finché non oltrepassi l’ultimo metro. Lo so bene io, troppo bene».

Storie già viste

La storia del ciclismo ha vissuto centinaia di episodi simili e altri ne vivrà, ma sono proprio questi, o ancor meglio i sentimenti e i pensieri che si annidano in queste vicende che hanno reso lo sport delle due ruote il più epico che ci sia. Uno sport di vincenti e di perdenti e non sempre chi taglia il traguardo per primo vince in toto.

Oggi un quasi sconosciuto svizzero, col suo sguardo perso in quegli ultimi venti metri, è entrato nella memoria di molti, ci si può scommettere.

Parigi-Nizza: vince Bennett, riparte Roglic

07.03.2021
4 min
Salva

A quattro mesi dall’ultima tappa della Vuelta, alla Parigi-Nizza è tornato oggi in gruppo Primoz Roglic. Il numero uno al mondo del 2020 ha rimesso sul tavolo lo stesso programma dello scorso anno, anche se proprio allora il rifiuto del team di partire nella corsa francese lo costrinse a cominciare direttamente dopo il lockdown. Al campionato di Slovenia, vinto il 21 giugno. Che cosa ha fatto Roglic per tutto questo tempo?

La sua ultima corsa era stata la Vuelta
La sua ultima corsa era stata la Vuelta

Poche distrazioni

Dopo la Vuelta ha passato qualche giorno in Svizzera, poi è andato in Slovenia per salutare i parenti e già alla metà di dicembre era di nuovo a Monaco. Pochi giri reali per compiacere gli sponsor, sostituiti da incontri virtuali perché il Covid non permetteva di fare diversamente. La stessa Jumbo Visma ha chiesto il giusto, ma soltanto quando era davvero possibile, anche perché in questo tempo è meglio evitare di prendere troppi voli. Facile intuire che se si fosse trattato di un corridore olandese, vinte la Liegi e la Vuelta e perso il Tour al penultimo giorno, avrebbe avuto il suo bel da fare in giro per aziende. Ma Roglic si è dato una disciplina tutta sua, segue a dovere i pochi nomi che gli stanno a cuore e per il resto respinge ogni invito.

Al via della Parigi-Nizza, anche Nizzolo e il suo nuovo casco
Al via della Parigi-Nizza, anche Nizzolo e il suo nuovo casco

Bici e fondo

Ovviamente un corridore di simile livello non è stato per quattro mesi a perdere tempo. Roglic infatti si è allenato forte, concedendosi anche una parentesi sugli sci di fondo a gennaio, mese dell’unico ritiro con la squadra. In quella stessa occasione, come tutti gli altri membri del team, Primoz ha dovuto digerire il saluto di Dumoulin che davvero non si aspettava. Non ha commentato, ma come tutti ne è rimasto spiazzato. Al di là dell’aspetto umano, l’olandese era un importante valore aggiunto e avrebbe fatto molto comodo.

Obiettivo Ardenne

Al momento di disegnare la sua stagione, inaugurata appunto oggi con la Parigi-Nizza, Roglic ha chiesto di eliminare dal programma una corsa a tappe, per concentrarsi sulle corse ardennesi (nel 2019, ultima annata… normale prima del Covid, dopo la Tirreno-Adriatico, corse infatti il Romandia). Di certo aver vinto la Liegi dello scorso anno potrebbe averlo ingolosito, anche se quelle gare lo hanno sempre affascinato. Nel 2020, uscito dal mondiale, saltò la Freccia Vallone e puntò dritto sulla Liegi. Quest’anno il menù potrebbe essere completo.

Prima tappa della Parigi-Nizza a Saint Cyr L’Ecole per Sam Bennett
Prima tappa della Parigi-Nizza a Saint Cyr L’Ecole per Sam Bennett

Nodo Dumoulin

L’argomento Dumoulin in realtà non può essere liquidato in poche parole, al netto del rispetto dovuto alla sua scelta. E se anche in un angolo c’è la timida speranza che Tom ci ripensi, l’atteggiamento di Roglic è di totale fiducia nei confronti della squadra. La Jumbo Visma infatti lo ha sempre ben sostenuto, ha fatto scelte sensate e contemporaneamente ha coltivato una bella schiera di giovani che faranno certamente la loro parte.

L’unico nodo da sciogliere riguarda forse George Bennett. Lo scalatore neozelandese dovrebbe essere infatti uno dei pilastri del team sulle salite del Tour, ma ha anche espresso la volontà di tornare al Giro d’Italia, puntualizzando cautamente che non lo farebbe pensando alla classifica. Di certo occorre individuare un nome in grado di esprimersi al livello di Dumoulin e non sarà facile.

Alaphilippe_Roglic_Hirschi_Liegi2020
L’anno scorso Roglic ha vinto la Liegi al fotofinish su Alaphilippe. Terzo Hirschi
Alaphilippe_Roglic_Hirschi_Liegi2020
L’anno scorso ha vinto la Liegi al fotofinish su Alaphilippe

Obiettivo Tokyo

Il Tour è già di per sé un impegno piuttosto oneroso e quest’anno, fra le incognite di cui tenere conto, c’è anche il poco tempo fra la tappa di Parigi e le Olimpiadi di Tokyo. Si tratta a ben vedere di un problema per tutti i corridori che dalla Francia voleranno in Giappone. Per Roglic, Pogacar e Bernal che lotteranno per la classifica. Per Hirschi che magari dovrà lavorare per Pogacar. E forse per lo stesso Van Aert, che sarà proprio al fianco di Primoz. Quelli più liberi da compiti particolari saranno Alaphilippe e Nibali, come pure Valverde, Van Avermaert e Fuglsang. La stagione dello sloveno è appena iniziata, ma gli impegni e le variabili sono già tanti. E al momento giusto sarà bene per lui avere a disposizione tutte le energie possibili. Forse alla luce di questo, l’inizio ritardato della stagione non è poi così sballato.

GALLERY/Prova delle nuove bici in casa Jumbo Visma

22.01.2021
4 min
Salva

Le novità non mancano alla Jumbo Visma, che si è affrettata come prima cosa a far rinnovare il contratto a Wout Van Aert fino al 2024, mettendo al sicuro una delle pedine più importanti del presente e del futuro. Il passaggio repentino di Hirschi alla Uae Team Emirates ha fatto scattare qualche allarme e chi ha in casa un gioiello si è affrettato a metterlo al sicuro.

Pogacar nel mirino

Il secondo aspetto, più sottile, è quello di fare fronte comune proprio contro la squadra degli Emirati, con una serie di dichiarazioni che, sia pure in modo blando, hanno già cominciato ad aumentare la pressione su Pogacar.

Quando i tre leader della Jumbo Visma – Roglic, Dumoulin e Kruijswijk – hanno iniziato a definire “sorprendenti” le prestazioni del giovane sloveno e la stampa ha dato l’inevitabile risalto, Pogacar ha dovuto divincolarsi dalla presa, definendo le sue gesta “inattese, ma non certo sorprendenti”.

In ogni caso, Jumbo Visma ha ribadito che sarà al Tour de France con il tridente, volendosi riprendere dall’orrendo smacco dello scorso anno, da cui sono nate sì la Liegi e la Vuelta di Roglic, ma è difficile fingere che il giorno della Planche des Belles Filles non si agiti come uno spettro.

Arriva Cervélo

Per la nuova sfida, il team ha lasciato Bianchi ed è passato alle Cervélo che lo scorso anno equipaggiavano il Team Sunweb. Della notizia vi avevamo già raccontato, ma nel frattempo oltre ai telai è stato definito l’equipaggiamento meccanico, che vede confermare sulle bici canadesi i gruppi Shimano: Dura Ace per i team WorldTour maschile e femminile e l’Ultegra per il Developement team.

Shimano nel cuore

Richard Plugge, direttore del Team Jumbo-Visma, ha voluto sottolineare la forza e la portata della collaborazione.

«Sono estremamente orgoglioso e grato di continuare con Shimano – ha detto – e di estendere la collaborazione alla nostra nuova squadra di ciclismo femminile. La qualità è la chiave e sappiamo che con Shimano possiamo averla. Dopo tanti anni sarebbe stato difficile farne a meno». 

Nel team WorldTour femminile, nato appunto quest’anno, correranno 12 ragazze, con Marianne Vos come elemento di maggior carisma.

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020

Quel giorno Casagrande ha sofferto per Roglic

03.12.2020
7 min
Salva

Il nome Casagrande-Milani campeggia sulla maiolica colorata. Intorno la campagna fiorentina è sprofondata nel silenzio, qualche auto appena e un sottile filo di vento. Non si veniva da queste parti da oltre 15 anni e quando la porta si apre, la sensazione del tempo passato è mitigata dal fatto che Nando non è poi cambiato tanto da allora. Anche se a settembre ha compiuto 50 anni.

Vent’anni fa, ben prima di Roglic al Tour, anche lui perse la maglia (rosa) il penultimo giorno in una crono di montagna e poi chiuse la stagione da numero uno al mondo. Così, con il racconto come pretesto, ci siamo arrampicati dall’uscita di Ginestra Fiorentina per un fantastico viaggio indietro nel tempo.

«Il primo ricordo – ride – è del Giro delle Regioni. Si era tutti giù nelle Marche, ho in testa una gelateria. E Rebellin che prese un gelato grosso così…».

Ottima memoria. Era il 1992, gelateria sotto l’hotel Pamir di Civitanova Marche. Petito in maglia di leader, la nazionale lanciata verso le Olimpiadi di Barcellona, ma Casartelli al Regioni non c’era perché aveva fatto la Settimana Bergamasca. Invecchiando, si fa notare, la memoria a lungo termine è lucidissima. E giù risate.

Come Roglic

Ci ha pensato anche lui a Primoz e a cosa possa aver passato in quella mezza giornata alla Planche des Belles Filles. Il ciclismo resta la passione di casa, non c’è diretta che sfugga.

«Perdi il Tour in quella maniera – dice – e prendi una botta che sei stordito per una settimana. Nemmeno si può dire che Roglic abbia fatto una brutta crono, è arrivato quinto. Ma si vede che l’ha sofferta, quel casco messo male significa che proprio non ci stava. Ho l’immagine di lui per terra e Dumoulin che prova a scuoterlo. M’è venuto male per lui…».

Quando una botta del genere l’hai presa anche tu, fai presto a riconoscerne i segni sul corpo di un altro.

«Io se non altro – racconta – ho l’attenuante del nervo sciatico. Se fossi andato come nei giorni precedenti, me la giocavo. Partii bene, dopo 3 chilometri avevo 5″ di vantaggio su Garzelli, poi la gamba iniziò a intorpidirsi. Di colpo era come morta. Mi aveva già dato noia nella crono precedente. Poi si è scoperto che ero troppo piegato sulla bicicletta e mi si schiacciava il nervo che poi si infiammava. E da un secondo all’altro è cambiata la storia. Sprofondavo e pensavo alla delusione che davo ai compagni. Non volevo andare al Giro di Svizzera. Mi mandarono lo stesso, perché partivo col numero 1, ma mi fermai. Lui invece è stato bravo a reagire al mondiale, alla Liegi e alla Vuelta».

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020, Trofeo numero 1 al mondo 2000
Quel vaso trasparente è il trofeo Uci per il primo posto nel ranking mondiale 2000
Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020, Trofeo numero 1 al mondo 2000
Il vaso è il premio per il 1° posto Uci nel 2000

Pantani e l’Izoard

Non è mai solo la crono, però. Certe sconfitte nascono prima. La sua e pure quella di Roglic…

«Secondo me – dice – hanno sottovalutato Pogacar. Sembrava il ragazzino da far contento lasciandogli spazio, invece quello puntava a vincere. E poi la crono non so come l’hanno gestita, ma se spingi a tutta e alla radio ti dicono che stai perdendo, si fa dura. Se ti dicono di aumentare perché il Tour ti sta sfuggendo e tu non ne hai, ti demoralizzi. Forse in certi casi l’ammiraglia un po’ dovrebbe mentire, per vedere se con un po’ di morale le cose vanno meglio. Anche se Roglic ha cominciato a perdere da subito, segno che l’altro andava di più.

«Io il Giro l’ho perso sull’Izoard, il giorno prima. Se non c’era Pantani, Garzelli finiva a 2 minuti, invece è arrivato alla crono con 25″. Marco quel giorno fece un capolavoro e soprattutto lo aiutò a tenere i nervi saldi. In certi casi, più delle gambe fa il panico. La squadra serve a quello. Ma lo stesso non mi sarei mai aspettato di crollare così. La mattina stavo bene. Feci la ricognizione. Poi la gamba diventò di legno. Mi sbloccai un po’ dopo il Monginevro, ma pedalavo sapendo che stavo perdendo. Fu abbastanza deprimente».

Come sparito

Un metro e 72 per 64 chili e un palmares da campione, smise e sparì. Nella sua bacheca e anche adesso sparsi per la casa, ci sono i trofei di 46 vittorie, tra cui la Freccia Vallone, due Clasica San Sebastian, il Giro di Svizzera, due Giri del Trentino e il Giro dei Paesi Baschi.

«Smisi e sparii – ricorda – perché ci rimasi male. Ero alla Naturino con Santoni, sicuri di fare il Giro. Invece non ci invitarono. Avevo lavorato bene, mi passò la voglia. Poi nessuno mi ha cercato, neppure a livello federale. Sicuramente non è piacevole, ma lo sappiamo bene come funziona questo ambiente. Qualche chiamata per fare il diesse nei dilettanti, ma volevo stare a casa. Sono rimasto in contatto con i vecchi amici. Con Bartoli e Petito, soprattutto. Devo dire che appena smesso, mi mancava l’agonismo. Mi misi a fare le mezze maratone, ma vennero fuori mille dolorini. Così diedi ascolto a degli amici e a fine 2008 mi tesserai amatore in mountain bike con Cicli Taddei. Non volevo fare l’elite, stavo bene così. Invece arrivò Celestino e ci mise lui lo zampino».

Debora, Matilde, Anastasia, Francesco Casagrande
Con la moglie Debora, Matilde e Anastasia. Camilla invece studia a Bologna
Debora, Matilde, Anastasia, Francesco Casagrande
Con Debora, Matilde e Anastasia

La Mtb e la strada

Al primo anno da cittì azzurro della mountain bike, infatti, il ligure lo chiamò per i mondiali marathon del 2017 a Singen, in Germania. Nando aveva già centrato un secondo posto in una gara Uci all’Isola d’Elba e accettò la chiamata, tornando nel grande giro.

«Non era male – sorride – fare un mondiale a 47 anni. In più l’ambiente della mountain bike non smuove tanti soldi e grandi interessi, sembra più genuino. Vedi bei posti, l’ambiente è familiare. E poi si sta diffondendo tanto fra i bambini. Io a 12 anni uscivo su strada e facevo 50 chilometri da solo, adesso chi se la sente di mandare fuori i figli? Però non ho mai voluto fare le gran fondo su strada, c’è troppa esasperazione. E nel tempo ho visto arrivare anche altri corridori. Failli, per esempio. E anche Paolini. Lui forse pensava di avere vita facile, invece un giorno mi disse: “Nando, si fa fatica qui, è impegnativo davvero!”. E lo credo, Gerva! In Mtb, pronti via e sei già a gas aperto. E’ una guerra, uno sport individuale. Capisco perché Van der Poel e Sagan vanno così forte. Tornassi indietro, abbinerei Mtb a strada, ma ai miei tempi non si sapeva. Fai lavori di forza, ti abitui a stare tanto fuori soglia, impari a guidare la bici, potenzi il tronco, fai ritmo…».

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020
I ricordi di ieri e il racconto di oggi, come fra vecchi amici a casa Casagrande
Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020
Un paio d’ore fra ricordi e racconti

I suoi rapportoni

L’assist è facile, ricordando quanto andasse duro in salita e nelle crono. Era il termine di paragone per descrivere un corridore: va duro come Casagrande…

«Andavo duretto – dice Casagrande e se la ride – ma adesso i rapporti aiutano. Noi si faceva l’Angliru con il 39×29. Pengo, il meccanico alla Lampre, mi disse che l’alternativa era montare la tripla. Eri proprio portato ad andare duro. Se c’era da fare la Marmolada, andava bene il 39×23. Ora esiste la compact, anche se vedi corridori come Formolo che vanno duri… come Casagrande».

Segue il ciclismo. Si allena sei giorni a settimana, e al settimo corre. Sua moglie Debora, che come sempre sta in disparte ma segue tutto, ha la testa che gira a mille e sguardi che parlano più di mille parole. «E’ bene che faccia qualcosa – dice piano – durante il lockdown era un animale in gabbia».

«Faccio 19 mila chilometri l’anno – dice – ma non sono più fissato come prima. Durante il lockdown? Ero sempre nel bosco, conoscevo i cinghiali per nome…».

Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020
Dal 2009 Casagrande corre in Mtb, ma è diventato elite soltanto dal 2017
Francesco Casagrande, Ginestra Fiorentina, 2020
Dal 2009 ha ripreso a gareggiare, ma in Mtb

Uomo di casa

E’ tempo di fare le ultime foto. Francesco e Debora hanno tre figlie. Camilla, 23 anni, studia a Bologna e presto tornerà per Natale.

«E’ in astinenza – sorride la moglie indicandolo – non la vede dai primi di novembre!».

«Senza figli – le risponde – come fai?».

Anastasia e Matilde, 14 e 12 anni, quando vengono a sedersi sul divano per una foto hanno gli occhi davvero stupiti e orgogliosi. Loro il papà campione non l’hanno mai visto e un giornalista in giro significa che tanti racconti erano veri. Ce ne andiamo che il sole ha iniziato a scendere, trovando un foglietto sul parabrezza. Qui, nel mezzo del nulla. Vi si prega di non parcheggiare perché è proprietà privata. Casagrande ride: «Non sapevano che eri da me, avranno pensato che fossi un cacciatore!».

Un saluto e una promessa: cerchiamo di vederci prima dei prossimi 15 anni…

Roglic Vuelta Bianchi

Roglic e Bianchi, gran bis alla Vuelta

09.11.2020
3 min
Salva

Per il secondo anno consecutivo Primoz Roglic ha vinto la Vuelta a España pedalando su biciclette Bianchi. Il marchio italiano chiude nel migliore dei modi l’esperienza con il Team Jumbo-Visma. Un punto decisivo della vittoria di Roglic è stata la cronometro corsa in sella alla Bianchi Aquila CV.

Materiali decisivi

L’ultima Vuelta ha dimostrato ancora una volta, che il materiale con il quale competono i corridori è fondamentale per arrivare alla vittoria. Primoz Roglic in sella alla Oltre XR4 ha trovato alcuni colpi vincenti riuscendo a vincere tre tappe e a centrare numerosi piazzamenti, che gli hanno valso ben 48 secondi di abbuoni contro i 16 di Richard Carapaz. Secondi che hanno fatto la differenza ai fini della vittoria finale. Questi secondi sono stati presi da Roglic anche grazie alle caratteristiche della Oltre XR4, che garantisce ottime prestazioni in salita e allo stesso tempo grazie alle sue doti aerodinamiche permettono di sprintare anche negli arrivi veloci.

Altro momento chiave della corsa spagnola è stata la cronometro a Mirador de Ezaro, che Roglic ha vinto in sella alla sua Bianchi Aquila CV, anche se gli ultimi 1,8 chilometri li ha percorsi con la Oltre XR4 per via delle pendenze molto aspre. Lo stesso Roglic, che è molto pignolo nella messa a punto della bicicletta, descrive così la sua bici da cronometro.
«L’Aquila CV è davvero molto veloce. Funziona. Io cerco la perfezione in tutte le bici che utilizzo ed è davvero bello guidare un mezzo veloce come questo».

In questi anni Roglic ha lavorato a stretto contatto con i tecnici di Treviglio per creare la bici più veloce possibile. A dimostrazione dell’impegno del marchio italiano nel ricercare le migliori prestazioni, Francesco Baroni, Marketing and Communication presso Bianchi, ci ha svelato che «in azienda abbiamo due macchinari, di cui uno misura l’integrità e la sicurezza di ogni telaio e l’altro misura la rigidità. Noi selezioniamo quelli che hanno un indice di rigidità migliore e li forniamo al team».

Roglic sulla sua Bianchi Aquila CV durante la Vuelta
Primoz Roglic impegnato sulla sua Aquila CV
Roglic sulla sua Bianchi Aquila CV durante la Vuelta
Primoz Roglic impegnato sulla sua Aquila CV nella cronometro di Mirador de Ezaro

Comfort ok con il Bianchi CV

La Oltre XR4 e l’Aquila CV vantano entrambe il sistema Bianchi CV in grado di cancellare fino all’80% delle vibrazioni che provengono dalla strada. Questo sistema è frutto dell’utilizzo di un materiale esclusivo composito integrato nei telai e nelle forcelle in carbonio. Il vantaggio per i corridori si concretizza in un migliore controllo della bicicletta, un minore affaticamento muscolare che porta a preservare maggiormente le energie, soprattutto nei momenti chiave.

Lotta sui grammi

La ricerca e sviluppo di Bianchi per alleggerire il più possibile il peso delle biciclette ha ideato un esclusivo sistema di verniciatura che riduce in maniera importante il peso molecolare del rivestimento. Il risultato è un risparmio di 80 grammi sul peso totale della bicicletta e miglioramento del rapporto peso/potenza.

Roglic festeggia sull'arrivo della penultima tappa in sella alla Oltre XR4
L’arrivo della penultima tappa in sella alla Oltre XR4
Roglic festeggia sull'arrivo della penultima tappa in sella alla Oltre XR4
Roglic esulta sull’arrivo della penultima tappa in sella alla Oltre XR4

Nel ciclismo moderno in cui i grandi giri vengono vinti o persi per pochi secondi, la ricerca e sviluppo dei marchi che riforniscono i team, è diventata fondamentale. I famosi marginal gains sono diventati l’ago della bilancia che spostano gli equilibri a favore di uno o dell’altro corridore. Per questo motivo anche i componenti rivestono un ruolo fondamentale e anche in questo caso sono stati impiegati marchi leader di settore, come Shimano per il gruppo e le ruote, Vision per i manubri e Fizik per le selle.

Roglic vince la Vuelta e scaccia i fantasmi

08.11.2020
3 min
Salva

Eh già, sembrava impossibile ma ce l’ha fatta: la Vuelta è arrivata a Madrid. Mai come stavolta il traguardo finale è stato come l’ultimo giorno di scuola. E una vera festa, da Roglic, primo, a Mickael Delage, ultimo. Questa era l’atmosfera che si respirava al via dall’Hipódromo de la Zarzuela e ancora di più nella capitale spagnola.

A sinistra Ackermann che precede Bennett
A sinistra Ackermann che precede Bennett

Festa per tutti

Tutti hanno un motivo per festeggiare. Davide Formolo ha iniziato sin dalla sera prima, scappando dalla sua Mirna che stava (sta) per dare alla luce la sua primogenita.

Fa festa Pascal Ackermann che riesce a mettere il sigillo nell’arrivo più prestigioso per gli sprinter. Tanto più che quest’anno ne hanno avuti davvero pochi.

Fa festa la Movistar, che ha vinto la classifica a squadre. Fanno festa gli Ineos-Grenadiers per averci provato fino all’ultimo e perché salutano un grande del loro gruppo, Chris Froome che passerà alla Israel Start-Up Nation.

Fa festa Hugh Carthy al primo podio in carriera. L’inglese era talmente teso che negli ultimi chilometri per evitare cadute o guai vari si è defilato tanto da perdere 28” dalla testa del gruppo.

Felicità Roglic

E poi fa festa lui, Primoz Roglic. O meglio, potrebbe far festa. Lo sloveno ha vinto la Vuelta, la sua seconda. Eppure sembra colui che festeggia meno. E’ fatto così, Primoz. La sua gioia se la tiene dentro. Se la godrà con la famiglia.

«E’ meraviglioso – commenta con ancora il fiatone – sono eccitato e grato alla mia squadra. Sono loro che mi hanno sempre sostenuto ed è così che ho vinto di nuovo in Spagna. E poi aggiunge una frase che fa tremare: «Spero di vincere anche dove non ho ancora potuto farlo».

Il riferimento è chiaramente rivolto alla Francia, al Tour. Una ferita del genere, che se ne dica, non è facile da risanare. E’ vero che Primoz è un ragazzo tranquillo. E’ vero che ha voltato pagina quasi subito, ma è anche vero che quando poi si va a scavare a fondo è inevitabile che certi incubi vengano fuori. 

Da sinistra: Carapaz, Mas, Roglic (sua anche la maglia verde) e Martin
Roglic (sua anche la maglia verde) tra Mas (in bianco) e Martin (pois)

Un rischio strategico

Ieri, quando Carapaz ha giocato il tutto per tutto Roglic è stato magistrale. Prima di controllare lo scalatore ecuadoriano, ha controllato i suoi nervi. Magari avrebbe anche potuto rispondere allo scatto. Tre chilometri in quel caso potevano essere tantissimi. Si è messo di passo e negli ultimi 500 metri, quando ha capito che era fatta, ha anche recuperato qualche secondo.

E’ questa la vittoria che conta più di tutto. E il suo pugno al cielo dopo l’arrivo la dice lunga, per uno che raramente esterna le sue emozioni.

Venire in Spagna è stato strategico per Roglic. Rischioso, ma strategico. Se avesse perso avrebbe passato un inverno nero. Adesso invece ha la consapevolezza di poter continuare a lottare per un grande Giro. Di giocarsela con tutti. E i fantasmi possono finalmente uscire dal suo “armadio”.

E infatti prima di congedarsi da Madrid Primoz ha aggiunto: «Il prossimo anno mi concentrerò su obiettivi che ancora non ho raggiunto». Se a Madrid la stagione su strada è davvero finita per tutti, per Roglic è già partita quella 2021.

Richard Carapaz, Primoz Roglic, La Covatilla, Vuelta Espana 2020

Ai meno tre, la bordata dell’ecuadoriano

07.11.2020
4 min
Salva

La Covatilla ha acceso il fuoco e alla fine lo spettacolo c’è stato. Carapaz, l’ecuadoriano del Giro 2019, ha attaccato come era lecito aspettarsi, Roglic si è difeso con la squadra e con i denti e la tappa l’ha vinta David Gaudu, giovane francese della Groupama-Fdj che merita un approfondimento.

Falso modesto

«Non credo di essere un grande campione – ha detto – ma ho vinto due tappe in questa Vuelta come Wellens, che invece è un grandissimo corridore. Oggi il meteo era a mio vantaggio, c’era il freddo e anche la pioggia, che a me non danno fastidio, sono stato fortunato».

La prima l’ha vinta alla vigilia dell’Angliru ai Lagos de Somiedo. Questo fatto di ribadire di non essere campione David ce l’ha un po’ come un vezzo. Ma se gli ricordi che quattro anni fa ha vinto il Tour de l’Avenir, allora gli occhi scintillano.

«E’ stata anche una stagione difficile – dice aggiustando il tiro – abbiamo lavorato bene per tre mesi e abbiamo perso malamente il Tour. Siamo arrivati a questa Vuelta come cacciatori e anche se Pinot si è arreso, siamo rimasti uniti».

David Gaudu, La Covatilla, Vuelta Espana 2020
David Gaudu, seconda tappa di questa Vuelta a La Covatilla
David Gaudu, La Covatilla, Vuelta Espana 2020
Poels, Valverde a La Covatilla

Ha vinto in quella che Daniel Martin ha definito la corsa più dura che abbia mai fatto e se ne torna a casa con due tappe e un piazzamento nei dieci. Non ci stupiremmo se dal prossimo anno Marc Madiot iniziasse a considerarlo il successore naturale di Pinot. Thibaut ha ancora due anni di contratto, ma pare che i rapporti con il suo mentore di sempre non siano più così idilliaci.

Carapaz va

Carapaz ci ha provato, ma non poteva essere forse un attacco ai 3 chilometri dall’arrivo a disarcionare Roglic, che non sembrava aver tradito grosse difficoltà. 

«Oggi mi è piaciuta molto la tappa – ha detto dopo l’arrivo l’ecuadoriano – ed è un grande piacere finire secondo alla Vuelta. La squadra ha lavorato molto per me, hanno sempre cercato di rimanere davanti per me. Hanno mostrato grinta e coraggio e abbiamo provato tutto il possibile.

«Personalmente, sono molto soddisfatto della mia stagione e penso che anche la squadra possa esserlo».

Wout Poels, Alejandro Valverde, Mattia Cattaneo, La Covatilla, Vuelta Espana 2020
Poels, Valverde, Cattaneo, ma la fuga non va
Wout Poels, Alejandro Valverde, La Covatilla, Vuelta Espana 2020
Poels e Valverde, ma la fuga nn va

Difficile dire se in queste ultime due parole ci sia un pizzico di rivalsa. Vale la pena ricordare infatti che l’ecuadoriano faceva parte del gruppo Giro del team Ineos-Grenadiers e che all’ultimo momento, di fronte alla condizione precaria di Froome e quella ancora acerba di Thomas, era stato dirottato sulla Francia, affinché lavorasse per Bernal. E poi, venuto meno l’apporto del colombiano, si era ritrovato ad andare in fuga e lottare, ottenendo de secondi posti a La Roche sur Foron e a Villard de Lans. Il ragazzo è educato, ma che nessuno provi a lamentarsi.

Quasi fatta

E così sul traguardo Roglic ha alzato il pungo come se la tappa l’avesse vinta lui. In realtà ha vinto la Vuelta, dopo il secondo posto del Tour e la vittoria di Liegi. E se anche il fantasma della sconfitta per qualche giorno fosse passato a fargli visita, questa volta lo ha scacciato stringendo i denti e sfruttando, secondo alcuni, la tattica della Movistar, che di certo non ha reso la vittoria e ha impedito attacchi davvero efficaci.

Primoz Roglic, La Covatilla, Vuelta Espana 2020
Primoz Roglic, sul traguardo un urlo da vincitore. Respinta la minaccia dell’ecuadoriano della Ineos
Primoz Roglic, La Covatilla, Vuelta Espana 2020
Roglic sul traguardo da vincitore

«E’ diventato molto emozionante negli ultimi chilometri – ha detto Roglic – sapevo che per mantenere il primato sarebbe stato sufficiente salire al mio ritmo. Alla fine è andato tutto bene. Carapaz ha dimostrato di essere molto forte. Non ho sempre avuto tutto sotto controllo, ma non ho mai avuto la sensazione che avrei perso la maglia. Sono rimasto concentrato e ho gestito la mia scalata e questo si è rivelato sufficiente per mantenere il primo posto. I miei compagni hanno fatto davvero un ottimo lavoro, come per tutta la Vuelta. Fino ad ora, siamo stati concentrati ogni giorno. Dobbiamo rimanerlo per un altro ancora e poi sarà finita».

Primoz Roglic, cronometro Mirador de Ezaro, Vuelta 2020

Roglic alza la voce. Carapaz cosa farà?

03.11.2020
3 min
Salva

Quest’anno va così: salite ovunque, anche nelle crono. E così, dopo la tappa a La Planche des Belles Filles del Tour e le prove tutto sommato normali del Giro, la Vuelta tira fuori dal cilindro la cronometro del Mirador de Ezaro: 33,7 chilometri con 1,8 chilometri al 14,8 per cento nel finale. Cambio di bici, quindi, e scene già viste. Ma la crono non dovrebbe essere un esercizio fondato sulla velocità?

Comunque, a conferma del gran momento di forma, la vittoria è andata a Primoz Roglic, che avrà pure sofferto sull’Angliru, ma prima di allora in salita (soprattutto quelle esplosive) le aveva suonate a tutti.

Lo sloveno della Jumbo-Visma, che ha così ripreso la maglia rossa con 39” su Carapaz, ha vinto per un solo secondo su Jan Barta (Ccc Team) e 10 su Oliveira. Sesto Mattia Cattaneo, che conferma così il ritorno a un buono stato di forma e a qualità importanti anche nella crono. E’ così (e anche meglio) che vogliamo vederlo. Ma non glielo diciamo, sai mai…

Richard Carapaz, cronometro Mirador de Ezaro, Vuelta 2020
Carapaz ha fatto una buona crono, ma ha chiuso a 49″ da Roglic
Richard Carapaz, cronometro Mirador de Ezaro, Vuelta 2020
Carapaz ha chiuso a 49″ da Roglic

Barta affranto

«E’ stato tutto il giorno un su e giù – ha detto Barta con lo sguardo triste, alzandosi dalla hot-seat su cui sedeva da più di un’ora – ho provato a scavalcare le salitelle, a recuperare in discesa e risparmiare un po’ per il finale perché era una salita davvero dura. Eravamo venuti a ricontrollare ieri il percorso. La cronometro era l’obiettivo più grande di questa Vuelta. Non vedevo l’ora di fare la migliore performance. Sarebbe stato fantastico vincere. Nonostante tutto, sono abbastanza soddisfatto della mia prestazione oggi».

Roglic sorpreso

Roglic, a sentire lui, non se lo aspettava. Anche se le sue performance a crono son ben note, l’ultima vittoria contro il tempo risale proprio alla Vuelta dello scorso anno, con la vittoria nella tappa di Pau, disputata in territorio francese.

«E’ bellissimo – ha detto lo sloveno dopo l’arrivo – è passato molto tempo da quando ho vinto una cronometro, quindi è una giornata super bella. Mi sento forte, sorprendentemente. Pensavo che avrei sofferto molto di più, ma sono andato bene e anche il risultato è buono. Tutti dicevano che avrei guadagnato su Carapaz, ma si parte tutti alla pari. Fare una crono non è un esercizio divertente, però ho scoperto di avere ancora buone gambe e il risultato mi ha premiato. E in ogni caso è meglio stare 39 secondi avanti che 39 secondi indietro».

Carapaz cocciuto

Carapaz, spogliato della maglia rossa dopo aver assaporato il sangue dell’avversario sull’Angliru, se ne è fatto presto una ragione, confidando nel possibile (e da lui atteso) calo di Roglic nell’ultima settimana e in qualche tappa che ancora gli strizza l’occhio.

«E’ stata una cronometro davvero difficile – dice l’ecuadoriano – ma sono molto contento del risultato. Siamo venuti per vincere la Vuelta ed è ancora un obiettivo possibile. Penso che la corsa sia ancora aperta, ci sono molte possibilità. Ci saranno molte giornate molto difficili, dove tutto può cambiare. Questa mattina ci siamo preparati a lottare, semplicemente continueremo a farlo».

Ecco il menù

Che cosa li aspetta ancora? Domani tappa vallonata ad Ourense. Poi salite a non finire per Puerta de Sanabria. Altra tappa impegnativa con due salite a Ciudad Rodrigo. E prima del carosello finale di Madrid, l’arrivo in salita all’Alto de la Covatilla. La crono di solito riporta gli effettivi valori in campo. Ma se il Roglic dell’Angliru dovesse ripresentarsi, allora davvero Carapaz non sarebbe spacciato.