Il bilancio della nazionale italiana paralimpica ai mondiali su pista di Rio de Janeiro è di gran lunga il migliore mai conseguito dal nostro movimento. Con 4 medaglie d’oro, una d’argento e 2 di bronzo l’Italia si è assestata al terzo posto nel medagliere, quando fino a pochissime stagioni fa eravamo completamente assenti dai vertici. Se i piazzamenti sono tutti ad opera dei tandem, il poker dorato è tutto di Claudia Cretti, che in terra brasiliana si è presa una grande rivincita non solo sulle recenti esperienze, ma sulla vita.
E’ l’approdo di un lungo percorso, che in quella maledetta giornata del Giro Rosa 2017 non s’interruppe con il terribile incidente e i giorni di coma in ospedale, con la lunga rieducazione, ma anzi fu proprio allora che iniziò la sua rinascita, facendone uno dei grandi personaggi del ciclismo paralimpico. Non è stato facile, ci sono stati anche momenti bui e delusioni come il 4° posto nell’inseguimento a Parigi 2024 e la rabbia per l’andamento degli ultimi mondiali su strada, ma tutto è servito per arrivare all’apoteosi.
Claudia Cretti è nata a Lovere (BG) il 24 maggio 1996. Oro europeo junior nel 2013, ha iniziato nel paraciclismo nel 2019Claudia Cretti è nata a Lovere (BG) il 24 maggio 1996. Oro europeo junior nel 2013, ha iniziato nel paraciclismo nel 2019
Tornata a casa dalla lunga trasferta brasiliana, Claudia si è ritrovata quasi travolta da un’ondata di popolarità perché pian piano anche lo sport paralimpico guadagna la ribalta, non solo nei giorni a cinque cerchi. Un trionfo che non si aspettava: «Volevo tornare a casa con qualcosa di concreto, puntavo tutto sullo scratch, ma ad esempio il chilometro da fermo era la prima volta che lo facevo. Invece mi riusciva tutto al meglio».
La gara del chilometro è stata quindi la più difficile?
Quella più inaspettata. A Parigi avevo fatto i 500 metri, ma partendo sono un po’ lenta, invece dopo spingo forte come anche nell’inseguimento. Rivedendo la mia gara, a metà sarei stata seconda o terza, invece gli ultimi 500 metri sono stata la più forte. Ottenendo per due volte il record del mondo.
La volata vincente dell’azzurra nella sfida dell’eliminazione. La Cretti non aveva mai vinto un oro (foto UCI)La volata vincente dell’azzurra nella sfida dell’eliminazione. La Cretti non aveva mai vinto un oro (foto UCI)
Dove allora hai sofferto di più?
La velocità ero abituata a farla quando competevo nell’omnium. Nello sprint è stata più dura la semifinale, con la russa che ha fatto lo scatto proprio appena partite e l’ho raggiunta e battuta in volata, lei e la canadese. Nella finale contro la Murray ero un po’ preoccupata perché anche lei è veloce, ma l’ho gestita molto bene, standole a ruota fino all’ultimo giro. Lì è stato fondamentale l’apporto di Fabio Masotti…
Perché?
Mi ha detto quando dovevo partire e far la volata. Infatti sono riuscita a scattare nel lato opposto dell’arrivo e superarla nel migliore dei modi. Quindi anche quella è stata una sorpresa, ma soprattutto per il nome e il prestigio della battuta. Tornando alla prima domanda, la gara più difficile per me è stata l’ultima, lo scratch con la polacca che è partita quando mancavano 6 o 7 giri alla fine. E io ero nel gruppo, ci guardavamo e tra l’altro pensavo che qualche mia avversaria partisse perché erano due argentine, australiane, due della Nuova Zelanda. Pensavo che si sarebbero messe d’accordo per andare, una va a prendere la fuga e l’altra fa la volata.
Il podio dell’eliminazione, con la Cretti fra la neozelandese Murray e la polacca Harkowska (foto UCI)Il podio dell’eliminazione, con la Cretti fra la neozelandese Murray e la polacca Harkowska (foto UCI)
Come ne sei uscita fuori?
Non nascondo che mi stavo innervosendo e temevo di perdere tutto. Addesi e Masotti però mi dicevano di aspettare e partire secco a 5 giri dalla fine. Ero un po’ indecisa, ma poi ho detto «sì, vado a prenderla, anche se ce le avrò tutte a ruota». Quando sono partita mi sono ritrovata presto sola, ai -3 ho detto che era il momento di prenderla con un grande sforzo. Sentivo la fatica salire lungo il corpo ma mi dicevo di non mollare. Quando è suonata la campana dell’ultimo giro mi sono mentalizzata: «Claudia, hai vinto il chilometro, qual è la differenza? Ce la fai a andare a tutta?». Così ho pedalato, pedalato, pedalato. L’ultimo giro è stato il più difficile perché era un po’ volata, un po’ inseguimento, ma alla fine l’ho presa.
La cosa più bella di questa trasferta?
Potreste pensare che sono le vittorie, ma per me c’è qualcosa che vale di più: tutte le avversarie, a ogni gara diversa, sono venute lì ad abbracciarmi e stringere la mano e dire che ero la più forte e me la meritavo.
La bergamasca con Bernard e Totò, argento nell’inseguimento, dietro lo staff azzurro (foto Federciclismo)La bergamasca con Bernard e Totò, argento nell’inseguimento, dietro lo staff azzurro (foto Federciclismo)
Anche la Murray che per quattro volte ha dovuto mandar giù il boccone amaro?
Sì, anche lei dopo la finale della velocità era tutta sudata e distrutta. E’ venuta da me e ci siamo abbracciate e mi ha fatto i complimenti. L’anno scorso succedeva il contrario, Murray prima o seconda e io seconda o terza dietro di lei.
Questo salto di qualità a che cosa si deve?
Devo dire grazie a Pierpaolo Addesi che sin da tre anni fa mi diceva «Claudia, se mi segui, tu da oggi in poi puoi vincere tutte le gare a cui parteciperai». Io nel 2023 ero un po’ indecisa su queste cose, all’estero vanno più forte di me e a raggiungere il loro livello e a vincere mi sembrava quasi impossibile, però seguendo i suoi allenamenti, i suoi consigli e dando il massimo in ogni tipo di preparazione, sia in pista che strada quest’anno, i risultati sono arrivati.
L’Italia ha vinto anche 2 argenti e un bronzo. Qui Bissolati e Agostini, argento nel mixed team dello sprint con Ceci e Meroni (foto Federciclismo)L’Italia ha vinto anche 2 argenti e un bronzo. Qui Bissolati e Agostini, argento nel mixed team dello sprint con Ceci e Meroni (foto Federciclismo)
Proprio Pierpaolo diceva al tempo dei mondiali su strada che non era stato tanto semplice per te quel periodo…
Eh, mi sono molto arrabbiata a Ronse, è andato tutto storto. La crono l’ho fatta così per riscaldamento, puntavo tutto sulla strada perché mi sentivo la più veloce, mi dicevo che non mi avrebbero staccato di un centimetro… Alla partenza non mi saliva il rapporto più duro, quindi sono andata lì alla partenza con tutti i meccanici che cercavano di modificare il rapporto e il cambio. Alla fine mi hanno dovuto adattare la bici di Giancarlo Masini e già ero nervosissima. Al secondo giro ho alzato la mano per chiedere assistenza della Shimano di scorta, ma eravamo un gruppetto ristretto e la macchina era lontana, quindi sono dovuta scendere dalla bici, aspettare la Shimano, abbassarmi la sella e poi in un gruppetto ho tirato un po’ per recuperare, col risultato che dopo tre giri ho spinto troppo e mi si è spaccata la catena. Ero fuori di me, poi mi sono detta: «Mi rifarò a Rio perché sono forte, sono preparata bene». Sono riuscita a dimostrare chi ero. La voglia di riscatto che avevo, tutta questa rabbia che avevo accumulato dentro sono state la mia benzina…
E’ chiaro che manca ancora tanto tempo, ma con un biglietto da visita del genere adesso non si può non pensare a Los Angeles…
Infatti parlando con Addesi e Masotti già ci siamo detti che questo è un punto di partenza. Ora bisogna mantenere questa andatura e migliorare in tante cose, perché l’appuntamento vero è quello.
Masotti, braccio destro di Villa con le donne junior, spiega come hanno lavorato per i mondiali di Cali. E come faranno per sostituire Federica Venturelli
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
L’Italia paraciclistica torna da Ronse, sede belga dei mondiali con 14 medaglie, lo stesso numero della rassegna zurighese dello scorso anno, solo che gli ori sono più che raddoppiati, arrivando all’esatta metà. La spedizione italiana guidata dal cittì Pierpaolo Addesi è stata trionfale, riportando alla memoria antichi bottini, quelli dell’epoca dello sfortunato Zanardi. Ma rispetto ad allora le differenze ci sono e sono sostanziali.
Addesi è appena sceso dall’aereo che lo riportava a casa, ritrovando sul cellulare una pioggia di chiamate inevase, di messaggi WhatsApp, di complimenti espressi da ogni parte e la prima cosa che ha notato è che mai come questa volta i successi dei suoi ragazzi hanno avuto un così forte riscontro mediatico, quando in passato (ecco una delle differenze…) avevano, se andava bene, una “breve” sui quotidiani sportivi.
Doppietta d’oro per l’olimpionico Cornegliani, battendo sempre lo storico rivale sudafricano Dui Preez (foto FCI)Doppietta d’oro per l’olimpionico Cornegliani, battendo sempre lo storico rivale sudafricano Dui Preez (foto FCI)
«E’ una reazione a catena – sottolinea Addesi – La giornata storica di Rovescala non ha solo dato spinta al nostro gruppo sul piano tecnico e agonistico, ma ha anche attirato i fari dell’attenzione. C’era un’atmosfera speciale, si respirava sin dalla vigilia, ma io dico che era nell’aria già al primo ritiro stagionale. Si capiva che qualcosa stava cambiando, che si stava creando un vero e proprio gruppo, dove ognuno sostiene l’altro. Dove innanzitutto ci si diverte. Così sembra tutto più facile e ed è una cosa che ripeto da ogni volta che facciamo le riunioni: non è che si diventa felici dopo che si vince la medaglia, ma si vince la medaglia se si è felici».
Una volta si parlava di due gruppi separati, handbike e gli altri…
Non è così, almeno non più. Si sta tutti insieme, ma vorrei sottolineare anche lo staff che c’è dietro. Ci aiutiamo anche in ruoli diversi, cioè non facciamo distinzioni. E questa disponibilità i ragazzi la avvertono. Domenica sera sono uscite parole bellissime nella festa finale.
Come Cornegliani e Farroni, anche Roberta Amadeo ha vinto l’oro sia in linea che a cronometro (foto FCI)Come Cornegliani e Farroni, anche Roberta Amadeo ha vinto l’oro sia in linea che a cronometro (foto FCI)
Che livello hanno avuto questi mondiali?
Ormai andiamo sempre più verso il professionismo, ogni edizione lo dimostra maggiormente. Il nostro bilancio non deve trarre in inganno, c’è ancora differenza con altri Paesi dove i corridori sono inseriti anche in squadre WorldTour e fanno i professionisti a tutti gli effetti. Ma noi ci stiamo arrivando, io sono ottimista, se riusciremo a coinvolgere le nostre squadre, anche se in Italia non è che ne abbiamo tante, ad aprirle a questi ragazzi. Come fanno in Francia – ammette Addesi – dove per esempio la Cofidis ha nell’organico due atleti in gara ai mondiali. E’ questione di tempo, ma stiamo andando nella direzione giusta. Infatti ci sono nomi che corrono e vincono fra Elite e Under 23 che già hanno le peculiarità per correre fra noi e sono molto interessati, il prossimo anno avremo tanti volti nuovi. Ma ci dobbiamo arrivare piano, anche se le società ancora ci guardano in modo diverso. Ma quel che è successo a Rovescala e questi risultati iridati sono un grande aiuto.
Il terzetto del team relay, con Cortini, Mazzone e Testa, bronzo dietro Francia e Australia (foto FCI)Il terzetto del team relay, con Cortini, Mazzone e Testa, bronzo. In alto a sinistra il cittì Addesi (foto FCI)
Fino a qualche anno fa c’era sempre una sproporzione nel medagliere a favore delle handbike. La situazione adesso qual è?
Sta cambiando profondamente, anche se i campioni dell’handbike continuano a raccogliere allori. Ma lo dico apertamente, avremmo potuto ottenere molto di più con un pizzico di fortuna. Stacchiottistava correndo un mondiale favoloso, era nella fuga decisiva di 5 corridori e il finale era a suo favore, ma una foratura ha spento i suoi e i nostri sogni. Sarebbe stata quantomeno un’altra medaglia perché l’arrivo era per lui. Anche nel tandem femminile Noemi Eremita e Marianna Agostini hanno perso per foratura un possibile bronzo. Senza dimenticare la Cretti che era in forma perfetta, ma ha avuto un problema meccanico prima della partenza. Ha corso con la bici di riserva, ma mentalmente non c’era più ed è comprensibile. Aspetteremo il mondiale su pista di Rio per rifarci. Non dimentichiamo che qualche anno fa non avevamo più neanche un ciclista, c’erano solo handbike. Ora diventiamo sempre più competitivi dappertutto.
La gioia di Di Felice e Andreoli per un oro atteso da ben 11 anni, vinto anche grazie a Totò e Bernard (foto FCI)La gioia di Di Felice e Andreoli per un oro atteso da ben 11 anni, vinto anche grazie a Totò e Bernard (foto FCI)
Tra tante medaglie qual è quella che ti ha emozionato di più?
Dico la verità, l’oro del tandem, perché mancava da 11 anni ed è il frutto di un lavoro prolungato. Vedere un tandem che a distanza di due anni dalla sua costituzione vola sul gradino più alto del podio vuol dire che abbiamo lavorato bene (e a tal proposito Addesi racconta un episodio, ndr). Lo scorso anno a ottobre ho invitato Di Felice a provare il tandem con Andreoli. Sono venuti nella mia zona, a casa mia abbiamo fatto un test, ho visto subito che c’era qualcosa di buono.
Qual è la loro storia?
Di Felice, dopo le brutte vicissitudini culminate con la lunga squalifica ha trovato con noi la strada per riscattarsi. Io penso che avrebbe avuto tutto per fare il professionista. Le vicissitudini passate io le conosco in parte, non tutte, ma sono parte del passato. E’ molto determinato, ha una testa che è impressionante. Andreoli da parte sua l’agonismo lo aveva già masticato nello sci. Io però ho visto un Andreoli cambiato nel giro di un anno, che fa da guida anche agli altri. Sono andati proprio forte, le altre nazioni sono venute a complimentarsi e non dimentichiamo che ai piedi del podio sono finiti Totò e Bernard che hanno giocato di squadra.
Nella categoria H3 Testa e Pini hanno fatto compagnia sul podio al dominatore francese Bosredon (foto FCI)Nella categoria H3 Testa e Pini hanno fatto compagnia sul podio al dominatore francese Bosredon (foto FCI)
Nelle handbike continuiamo a vincere con campioni che prolungano negli anni i loro successi, ad esempio Mazzone, il portabandiera di Parigi…
Le categorie di Mazzone, Cornegliani tengono conto di disabilità molto gravi, che portano gli atleti a prolungare negli anni la loro attività perché arrivare a quei livelli, anche per chi è giovane, è difficile. Nelle loro condizioni l’attività richiede enormi sacrifici, basti dire che se si gareggia o ci si allena alle 10, per espletare tutte le proprie attività bisogna alzarsi anche alle 4 di notte. Non tutti sono disposti a fare questi sacrifici. Le categorie con la C sono diverse, spesso sono legate a incidenti, per la maggior parte in moto.
Per Addesi non c’è nemmeno il tempo di rifiatare perché c’è subito da mettersi a lavorare per i mondiali su pista…
Sarà un mondiale un po’ ridotto perché lontano e non dà punti per le qualificazioni olimpiche, ma posso garantire che già dal prossimo anno avremo un livello più alto, a partire già dai materiali. Stiamo lavorando per trovare situazioni a nostro vantaggio. Stiamo lavorando proprio per Los Angeles, con calma, perché le cose si fanno per tempo, ma sono sicuro che nell’arco di un paio d’anni avremo un gruppo solido e forte sia su strada che su pista. Quest’anno però non andrò a Rio per cambiare aria con gli atleti che ho. Mi aspetterò piazzamenti importanti, potrebbe arrivare anche qualche medaglia. Guardando solo alle specialità olimpiche perché non dobbiamo disperdere le energie. La Federazione ci sta sostenendo, sono sicuro che anche il Comitato italiano Paralimpico ci metterà delle condizioni migliori per arrivare alle prossime Paralimpiadi con una squadra veramente di livello forte. Io voglio vincere, parliamoci chiaro…
A gennaio, Elena Bissolati ha lasciato il gruppo di Quaranta e ha accettato l'invito di Perusini. Obiettivo Paralimpiadi, con una gran voglia di divertirsi
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
Quella di domenica è stata una “prima” storica, che potrebbe rivoluzionare anche una certa cultura ciclistica imperante nel nostro Paese. Al GP Colli Rovescalesi, classica internazionale per Elite e U23 in terra pavese, si è presentata al via anche la nazionale paralimpica, al suo ultimo test prima dei mondiali di Ronse (BEL) che prendono il via proprio oggi. Mai in passato c’era stata questa commistione e la cosa, al di là dei risultati, ha fatto certamente notizia.
Quella di domenica a Rovescala è stata una prima assoluta per il ciclismo paralimpico. Prima di una serie?Quella di domenica a Rovescala è stata una prima assoluta per il ciclismo paralimpico. Prima di una serie?
Alla vigilia delle gare titolate, il cittì Pierpaolo Addesi rivive quella che è stata un’esperienza forte, che personalmente ha voluto profondamente: «L’idea è nata dal fatto che le categorie C4 e C5 all’estero fanno abitualmente queste gare, per noi invece è una novità a cui non siamo abituati, anche perché fuori dai nostri confini molti corridori paralimpici sono all’interno di squadre Continental. Quando poi andiamo a gareggiare con loro abbiamo sempre difficoltà perché i ritmi sono diversi, l’approccio alla gara è diverso. Troviamo una concorrenza molto più allenata. I chilometraggi sono aumentati, le altimetrie anche. Questo tipo di gare sicuramente mi permettono di preparare meglio i ragazzi. Ci avevo già pensato lo scorso anno, ma devi anche avere il materiale umano giusto».
Nella squadra presentata a Rovescala e quindi ai mondiali, avevi invece gente abituata a questi confronti…
Sì perché il mio impegno è quello di trovare nuove leve, di fare proprio una propaganda, di cercare di reclutare il più possibile. E sto avendo un buon riscontro. Ci sono anche altri ragazzi che adesso non sono qui al mondiale, che però comunque ho già coinvolto in qualche ritiro federale e che dal prossimo anno sicuramente entreranno a far parte della rosa. Ragazzi di livello, Devo dire grazie al Consiglio Federale che ha appoggiato questa mia proposta e agli organizzatori che sono stati molto disponibili, con un’accoglienza bellissima.
Il gruppo azzurro impegnato da oggi fino a domenica alla rassegna iridata di RonseIl gruppo azzurro impegnato da oggi fino a domenica alla rassegna iridata di Ronse
Con che obiettivi vi siete presentati al via?
L’obiettivo era allenarsi e il fatto che 3 su 5 abbiano finito la gara è un ottimo segnale, anche perché gli altri due li abbiamo fermati noi non ritenendo necessario arrivare al termine, ma anzi sarebbe stato dannoso vista la differenza di chilometraggio. Quel che si è visto è che avevano tutti quei ritmi rimanendo comunque nel gruppo, quindi hanno onorato al meglio l’impegno.
Quanto cambia per i ragazzi gareggiare solo in prove paralimpiche e invece gareggiare in una gara del genere?
C’è un abisso. Ho sempre detto che per creare un gruppo di ciclisti dobbiamo metterli anche nelle condizioni di potersi preparare al meglio. Non nascondiamoci che comunque parliamo sempre comunque di atleti lavoratori. Stacchiotti ad esempio è in cantiere tutto il giorno. In una gara paralimpica c’è un numero molto più ristretto di corridori, quindi è meno stimolante.
Giacomo Salvalaggio, già Elite dell’Uc Pregnana in gara questa volta con la nazionale paralimpicaGiacomo Salvalaggio, già Elite dell’Uc Pregnana in gara questa volta con la nazionale paralimpica
Un esperimento che avrà un seguito?
Io dico che è solo la prima, queste gare a me serviranno per far diventare il settore ancora più competitivo. Spero vivamente che questo sia stato l’inizio di una lunga serie di questi appuntamenti, perché per noi è fondamentale in una programmazione di allenamento di un macrociclo, per prendere il ritmo e per avere un approccio completamente diverso alla gara. Io dico si è aperto un nuovo capitolo del paraciclismo.
Per gente come Totò e come Stacchiotti la gara di domenica era quasi ordinaria amministrazione. Per gli altri?
Anche Di Felice e Salvalaggio hanno abitudine a questi contesti, anzi soprattutto quest’ultimo fa attività normale. Un po’ diverso il discorso per Tarlao, che certamente non è un ciclista professionista, lavora come bancario, ma ha dimostrato di avere un gran motore, perché ha concluso i 5 giri tranquillamente. Andando avanti così, il livello lo alzeremo tanto anche noi. Io guardo in prospettiva, si sono avvicinati molti ragazzi, anche nomi importanti che non voglio svelare. E devo dire grazie anche voi media che vi occupate di noi: c’è un ragazzo che proprio leggendo di noi sulle vostre pagine mi ha contattato per provare…
Il GP Colli Rovescalesi ha premiato alla fine Marco Palomba della Padovani (foto Rodella)Il GP Colli Rovescalesi ha premiato alla fine Marco Palomba della Padovani (foto Rodella)
Per Stacchiotti un ritorno al passato
Tra i protagonisti di questo evento storico anche Riccardo Stacchiotti, che ha rivissuto esperienze ormai perse nella memoria: «L‘ultima gara disputata tra i dilettanti l’ho fatta nel 2013, anche per questo l’idea mi stuzzicava. Tornare ad attaccare il numero in una categoria molto competitiva, non mi dispiaceva affatto, anche se temevo di non reggere i ritmi, visto che il livello si è alzato ulteriormente. Quindi diciamo che c’era curiosità e anche un po’ di apprensione».
Cinque di voi con la maglia azzurra: come vi vedevano gli altri?
E’ stato bello veramente presentarsi con le maglie azzurre, fa sempre un certo effetto e ho visto che nelle squadre che ci hanno visto arrivare, destavamo tanta curiosità. Soprattutto quando si sono accorti che eravamo pienamente competitivi, penso che sia stata una bella scoperta per tutti. Anche il pubblico ci ha sostenuto, io non ho visto alcun preconcetto, c’era un appoggio pieno e quel calore che la maglia azzurra sempre suscita.
Stacchiotti è in piena crescita, dopo il bronzo conseguito in Coppa del mondo a ManiagoStacchiotti è in piena crescita, dopo il bronzo conseguito in Coppa del mondo a Maniago
Tu sei uno di quelli più esperti da questo punto di vista, i vostri avversari come vi hanno accolto in gara?
Ho visto un’enorme rispetto verso di noi, un mio compagno nazionale che conosceva un po’ più l’ambiente mi raccontava che gli andavano a chiedere se pure noi potevamo fare classifica, quasi impauriti perché ad esempio io e Totò avevamo un passato da professionisti. Devo dire che questo rispetto nei miei confronti e nei confronti dei miei compagni mi ha fatto davvero piacere.
In base alla tua esperienza, il fatto di gareggiare tra i normodotati può essere davvero un aiuto?
Sicuramente e spero che sia l’inizio di una lunga serie di esperienze perché si alza il nostro livello atletico e di corsa in generale. Dobbiamo proseguire su questa strada…
Si corre il tappone dei Sibillini, area devastata dal terremoto. Su queste strade nel 2016 un gruppo di pro' si radunò con Scarponi. Stacchiotti ricorda
Paolo Totò l’avevamo lasciato nel 2021, a chiusura di una carriera da pro’ neanche tanto lunga e con belle soddisfazioni, ad esempio la piazza d’onore al Trofeo Laigueglia 2018 dietro Moreno Moser, seppur non fosse mai uscito dall’universo delle continental, senza riuscire ad avere una chance per un livello superiore. Quando appese la bici al classico chiodo sembrava che la sua vita ciclistica fosse conclusa, non poteva sapere che, come dice il proverbio, chiusa una porta si sarebbe aperto un portone che lo avrebbe portato addirittura a vestire la maglia azzurra.
Con Fabio Colombo, Totò aveva colto un prestigioso podio agli europei 2023 (foto Instagram)Con Fabio Colombo, Totò aveva colto un prestigioso podio agli europei 2023 (foto Instagram)
Paolo infatti è ora una colonna portante della nazionale paralimpica, ma per capire com’è nata questa sua seconda vita ciclistica bisogna tornare indietro nel tempo, alle sue scelte di 4 anni fa.
«Avevo già lasciato il il ciclismo ed ero pronto a dedicare la mia passione al mondo amatoriale, mi ero già tesserato con il Team Go Fast. In quello stesso anno ho avuto la proposta di Pierpaolo Addesi di provare l’esperienza paralimpica. Non ho avuto dubbi nell’accettare subito, ho pensato che poteva essere davvero una bellissima esperienza, una cosa nuova per me. Mi ha dato subito una motivazione giusta per riprendere. E sono contentissimo di aver preso questa decisione».
Il fermano, parallelamente alla sua attività in nazionale, si tiene in allenamento nelle Granfondo (foto Facebook)Il fermano, parallelamente alla sua attività in nazionale, si tiene in allenamento nelle Granfondo (foto Facebook)
Facciamo un salto indietro, quando tu hai chiuso con il professionismo, cosa hai fatto dal punto di vista professionale?
Ho iniziato a lavorare in un ristorante-pub. La sera ho frequentato la scuola per massaggi diplomandomi e e ho iniziato a fare i massaggi a casa, aprendo una mia attività. Collaboravo con una palestra, poi dopo ho chiuso l’attività e la mia partita IVA perché comunque la nazionale mi portava via moltissimo tempo e non riuscivo a gestire la mia attività di massaggi. L’anno scorso si è aperta la possibilità di andare a fare le Paralimpiadi, è stato un motivo in più per concentrarmi su quello.
Che ambiente hai trovato nel mondo paralimpico?
Un ambiente tutto nuovo per me, ma sicuramente molto più bello di quando correvo fra i professionisti. Più rilassante, un mondo particolare, con tante storie e tanti racconti che mi hanno portato a essere sempre più coinvolto a 360°.
Il podio del Laigueglia 2018 con il marchigiano secondo, battuto da Moser in maglia azzurraIl podio del Laigueglia 2018 con il marchigiano secondo, battuto da Moser in maglia azzurra
Tu quest’anno hai cambiato, diventando la guida di Bernard, prendendo il posto di Plebani sul tandem medagliato paralimpico…
Ogni anno c’è stato un cambiamento per me, perché sono passato da avere Fabio Colombo il primo anno, poi l’anno scorso con Federico Andreoli le Paralimpiadi e adesso quest’anno sono con Lorenzo ed è arrivata subito la prima vittoria in Coppa del Mondo a Ostenda. A Magnago siamo stati sfortunati, abbiamo avuto un problema meccanico al secondo giro e non siamo potuti ripartire, ma stiamo molto bene insieme.
Quanto cambia per una guida la sostituzione del compagno di tandem?
Cambia moltissimo, sia caratterialmente che fisicamente. Lorenzo ha una marcia in più perché ha un passato da atleta, è stato medagliato anche nel canottaggio, era già un atleta ben strutturato rispetto agli altri ragazzi. Poi è quello dei tre che comunque assomiglia di più alle mie caratteristiche.
Negli ultimi tre anni Paolo Totò ha cambiato sempre compagno di tandem. Ora c’è l’olimpico Bernard (foto Instagram)Negli ultimi tre anni Paolo Totò ha cambiato sempre compagno di tandem. Ora c’è l’olimpico Bernard (foto Instagram)
Si dice sempre che nel ciclismo paralimpico di oggi si stia raggiungendo un livello professionale enorme. All’estero, praticamente sono veri e propri professionisti. Trovi più differenza adesso rispetto a questi o quando correvi in team Continental contro quelli del World Tour?
Beh, diciamo che quando correvo fra i professionisti mi sono scontrato con gente di calibro molto importante. La differenza lì si notava perché comunque essendo in una squadra Continental erano davvero due mondi diversi, con possibilità economiche neanche comparabili. Qui tra l’altro ho trovato tanti che correvano con me, che hanno fatto la mia stessa scelta, ma sono rimasti professionisti, lo fanno per lavoro in squadre professionistiche. Sia le guide che gli atleti. Negli ultimi due anni il livello qualitativo si è alzato enormemente. Volete sapere una cosa? Mi alleno anche più di quando correvo fino a 4 anni fa…
Vedi nel livello del paraciclismo italiano un gap da colmare rispetto agli altri?
Tecnicamente sì, soprattutto su pista. Siamo in linea con i tempi, ma è a livello di materiali che in questi tre anni si deve lavorare per colmare il divario. E noi possiamo migliorare anche la nostra capacità atletica. Su strada diciamo che noi possiamo dire la nostra. Possiamo competere con i migliori, soprattutto nelle prove in linea perché a cronometro torna in ballo il discorso materiali. Ma io sono ottimista, mancano tre anni all’appuntamento principe, abbiamo il tempo necessario.
Totò ha corso nelle continental dal 2016 al 2021, cogliendo molti podi in Italia e all’esteroTotò ha corso nelle continental dal 2016 al 2021, cogliendo molti podi in Italia e all’estero
Prossimi appuntamenti?
Siamo in ritiro con la nazionale a Campo Felice fino al 13 agosto e poi partiremo il 24 agosto per i mondiali strada e cronometro a Ronsse in Belgio. Che cerco di prendere senza assilli. Lo scorso anno ho pensato continuamente alle Paralimpiadi e poi è andata com’è andata. Questo è un anno più di transizione perché non portano punti per le qualificazioni olimpiche, quindi diciamo che sono molto più tranquillo. E chissà che non sia meglio così…
La pista paralimpica azzurra è appena nata e già lancia bei segnali. I tandem puntano in alto. Si lavora su tecnica e affinità, con ampi margini di crescita
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
Una seconda opportunità, per certi versi anche più grande della prima. Riccardo Stacchiotti aveva chiuso la sua lunga carriera professionistica nel 2021, con un buon numero di vittorie, pronto a vivere la sua vita lontano dal ciclismo. Ma il destino voleva altrimenti. Tutto è nato da uno sfortunato giorno del 2023, un incidente in moto, una lussazione al ginocchio particolarmente sfortunata.
Stacchiotti nella volata di Ostenda davanti all’ucraino Yegor Dementiev, iridato che corre fra i pro’Stacchiotti nella volata di Ostenda davanti all’ucraino Yegor Dementiev, iridato che corre fra i pro’
Riccardo e la caviglia bloccata
«L’osso, uscendo dalla sua sede, ha lesionato alcuni nervi – ricorda il marchigiano – col risultato che non posso più muovere la caviglia. Nella vita di tutti i giorni è un danno serio ma relativo, ma in bici non posso più dare spinta con la gamba, questo ha cambiato un po’ le cose. Le misure della bici non sono mutate ma nella spinta disperdo molta energia. Non è la stessa cosa di prima».
Sapendo del problema, il cittì della nazionale paralimpica Pierpaolo Addesi ha così preso contatto con l’ex professionista: «Mi ha spiegato la sua idea, mi ha illustrato l’ambiente della nazionale e il mondo paralimpico, ma soprattutto mi ha fatto capire che quell’incidente e la successiva menomazione mi davano l’opportunità di tornare a gareggiare in una particolare categoria. Ci ho pensato un po’ e poi ho accettato».
L’ultima corsa di Stacchiotti da pro’ è stato il Giro del Veneto nell’ottobre 2021. 10 vittorie in carrieraStacchiotti da pro’ è stato il Giro del Veneto nell’ottobre 2021. 10 vittorie in carriera
Una scoperta sorprendente
Che impressione ha avuto nel suo primo approccio con le gare, con l’ambiente? «Fino ad allora ne avevo sentito parlare ma le mie uniche testimonianze erano state attraverso la televisione. Ho amici che hanno disabilità, alcuni lavorano anche come guide cicloturistiche e ammetto che la loro perseveranza, la loro forza interiore mi hanno sempre affascinato. Quando però sono entrato dentro quest’ambiente mi sono accorto di un livello generale, organizzativo davvero altissimo. Ho trovato un’attenzione profonda per ogni dettaglio. Poi è arrivata la trasferta in Belgio, per la Coppa del Mondo e in alcuni momenti mi sembrava davvero di essere tornato professionista».
Com’è stato il primo approccio con la prova internazionale? «Mi avevano detto prima di partire che mi sarei trovato di fronte atleti davvero forti, ma non credevo che il livello fosse così elevato. So che ci sono alcuni atleti che fanno anche attività continental, che avrei potuto tranquillamente affrontare quando correvo. Io sono nella categoria MC5, dove ci sono disabilità abbastanza lievi, infatti si sviluppano gare che hanno ben poco da invidiare a quelle che affrontavo prima. In generale devo dire che è un mondo incredibile, dove ti confronti con una forza d’animo enorme, con persone che vanno al di là di problemi fisici enormi con una carica contagiosa».
Una delle vittorie del recanatese nelle prove amatoriali, vissute come preparazione per l’attività paralimpicaUna delle vittorie del recanatese nelle prove amatoriali, vissute come preparazione per l’attività paralimpica
Un 5° posto per cominciare
Come hai affrontato la tua prima avventura internazionale? «Diciamo che ci sono andato un po’ con i piedi di piombo, non sapevo quale poteva essere la mia condizione, a che livello ero in confronto agli altri. Alla fine posso dire che è stata una bella esperienza, molto incoraggiante. Il 5° posto finale lo reputo un inizio, una buona base, perché ho visto che ho già una buona condizione fisica e che non posso che migliorare».
Un’attività interpretata in maniera diversa rispetto a prima? «Certo, non potrebbe essere altrimenti. Allora ero un corridore al 100 per cento, pensavo solamente a quello. Oggi sono un uomo che lavora 8-9 ore al giorno e posso dire che se riesco ad allenarmi 8 ore a settimana è già tanto. Per questo mi sono tesserato per una squadra amatoriale, il Team Crainox e sfrutto le Granfondo e le prove amatoriali per allenarmi, affrontandole senza grandi velleità agonistiche. Ma quell’impegno domenicale mi consente di tenermi in forma. Diciamo che le sfrutto per mettere nelle gambe chilometri e ritmo».
Stacchiotti gareggia anche nelle Granfondo, sfruttando le domeniche per fare ritmoStacchiotti gareggia anche nelle Granfondo, sfruttando le domeniche per fare ritmo
La molla del sogno olimpico
Questa è la stagione del primo approccio, il progetto di Addesi però ha mire lontane, al 2028…: «Effettivamente è stata un po’ la molla che mi ha spinto ad accettare. Non avrei mai pensato che, dopo aver chiuso la mia carriera, potessi ancora ambire a un traguardo così alto. Ma io sono abituato ad andare per gradi, quel pensiero l’ho messo lì, nel cassetto, da studiarci sopra per preparami al meglio. Ho tempo, ora devo procedere con calma imparando tante cose e migliorando progressivamente, gara per gara».
E a questo proposito è alle porte già la seconda tappa di Coppa del Mondo a Maniago. Stacchiotti, in gara oggi nella cronometro, guarda però con ambizioni a domenica, alla sfida in linea: «Contro il tempo non sono mai stato un asso, mi servirà però per prendere confidenza con l’evento e studiare gli avversari. Sarà un antipasto alla prova di domenica dove non nascondo che vorrei fare meglio di Ostenda, ora che so meglio come muovermi in gara».
Il marchigiano in gara anche nelle cronometro, ma solo per migliorare la condizioneIl marchigiano in gara anche nelle cronometro, ma solo per migliorare la condizione
Un ambiente altamente professionale
Che cosa ti ha stupito maggiormente della tua prima esperienza internazionale? «Il fatto che, alla fin fine, non c’è così grande differenza con molte delle gare professionistiche alle quali ho partecipato, soprattutto nel livello organizzativo, nella cura per ogni singolo aspetto, nell’attenzione che tutto lo staff della federazione mette in ogni cosa. E’ un grande gruppo, che voglio ripagare con i risultati, ma visto quanto gli altri vanno forte non sarà per nulla facile…».
DopoZurigo il cittì Addesi va in cerca di giovani per il paraciclismo. E getta l'occhio oltre la siepe del ciclismo di U23 ed elite: all'estero lo fanno già
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute
Anche l’attività paralimpica è ripartita e anzi ha già vissuto un importante evento internazionale come la prova di Coppa del Mondo di Ostenda (BEL) dove la rinnovata nazionale ha fatto davvero faville, con 13 medaglie in totale (5 ori, 2 argenti e 6 bronzi).
Era il primo test per Pierpaolo Addesi, rinnovato alla guida del settore dopo la chiusura del quadriennio olimpico. Anzi, con una prospettiva diversa, essendo state unificate sotto la sua guida strada e pista. E il tecnico azzurro si è subito messo all’opera per trovare forze fresche, considerando l’età avanzata di alcuni esponenti storici. Una ricerca non scevra anche di qualche mugugno, considerando che c’è chi dice che stia andando a cercare nuovi azzurri nel mondo professionistico o giù di lì andando a spulciare eventuali appigli sanitari per inserirli fra le categorie paralimpiche.
Pierpaolo Addesi, impegnato in un difficile lavoro di scouting sostenuto da FCI e CIPPierpaolo Addesi, impegnato in un difficile lavoro di scouting sostenuto da FCI e CIP
Addesi non si tira indietro rispetto a un argomento che può risultare spinoso, ma per affrontarlo bisogna farlo con la giusta attenzione: «Siamo in un momento di passaggio, come ogni quadriennio. Già ai mondiali di Zurigo si era capito che avevamo bisogno di forze fresche perché alcune delle nostre colonne volevano chiudere o non erano più al livello d’eccellenza. Ho iniziato a girare, a prendere contatto con le società ma mi sono trovato di fronte un muro che spero di abbattere con la loro collaborazione».
Perché?
Basta guardare all’estero, dove ci sono tanti ciclisti elite che fanno la loro regolare attività su strada ma che hanno malformazioni, o dalla nascita o frutto di qualche incidente, che consente loro di fare anche attività parallela nel paraciclismo. Cosa significa ciò? Che alla società non si toglie nulla, anzi si aggiunge qualcosa a livello di vetrina, di messaggio culturale. Invece si pensa che se a un ciclista si propone di fare attività nel nostro settore, lo si vuole portar via.
Piazza d’onore per Chiara Colombo ed Elena Bissolati, tandem che finora ha privilegiato la pistaPiazza d’onore per Chiara Colombo ed Elena Bissolati, tandem che finora ha privilegiato la pista
Dall’altra parte però c’è chi dice che si cercano scorciatoie…
Non è assolutamente così. Io applico solamente quelle che sono le regole in vigore. Se un ciclista, per fare un esempio, ha un polpaccio inferiore all’altro, per qualsiasi ragione, potrebbe rientrare in una specifica categoria e può competere in quella. Perché non farlo allora? Molti non lo sanno neanche. Guardate ad esempio Dementiev, l’ucraino campione paralimpico che da tanti anni fa la sua attività nelle continental. O la stessa Cofidis, che nel suo roster ha due atleti con regolare contratto professionistico che fanno attività paralimpica.
E’ anche un problema culturale?
Forse, ma io ci vedo più ignoranza, nel senso letterale del termine. Dimenticando che facendo attività nazionale paralimpica si acquisiscono i requisiti per avere un contratto con un corpo militare e quello puoi tenerlo per tutta la vita. Si va anche al di là del puro discorso sportivo – avverte Addesi – Deve essere chiaro il fatto che da parte mia e della federazione non c’è alcuna forzatura, applichiamo solo la classificazione internazionale. Per rientrare in una categoria paralimpica bisogna superare rigidi esami medici da parte della commissione internazionale, che fra l’altro è diventata anche molto più severa e a tal proposito posso raccontare un aneddoto…
Protagonista assoluta in Belgio Roberta Amadeo, vincitrice sia in linea che a cronometroProtagonista assoluta in Belgio Roberta Amadeo, vincitrice sia in linea che a cronometro
Prego…
A Parigi c’è stato un atleta che cogliendo il secondo posto ha impedito a Giorgio Farroni di vincere la medaglia olimpica. Questo atleta aveva una malformazione che fino all’anno prima lo faceva appartenere a un’altra categoria, poi era stata cambiata la regola. Ora è stata nuovamente cambiata e quell’atleta è tornato alla categoria precedente. Il danno è stato tutto per Farroni, che si ritrova senza una medaglia ampiamente meritata.
La tua ricerca ha portato risultati?
Qualche atleta nuovo c’è come Giacomo Salvalaggio dell’Uc Pregnana oppure Riccardo Stacchiotti, che aveva chiuso la sua carriera nel 2021. A causa di un incidente in moto nel 2023, Riccardo ha qualche problema nella mobilità di una caviglia. Sapendolo, l’ho consultato e gli ho proposto l’idea che ha accolto con entusiasmo. A Ostenda ha chiuso 5° perché deve riprendere confidenza e perché si è reso conto che le competizioni paralimpiche sono molto diverse, ma la volata del gruppo l’ha vinta con facilità.
Per Giacomo Salvalaggio, under 23 dell’Uc Pregnana, subito un bronzo nella categoria MC5Per Giacomo Salvalaggio, under 23 dell’Uc Pregnana, subito un bronzo nella categoria MC5
Le gare di Ostenda che cosa ti hanno detto?
E’ un risultato complessivo molto buono considerando anche che in questo periodo tradizionalmente non siamo al massimo e paghiamo dazio rispetto ad altre nazioni. In primis la Francia che ha un movimento pauroso. Ne parlavo con il mio omologo transalpino, Laurent Thirionet, mi diceva che dopo Rio 2016 hanno fatto una profonda ristrutturazione del settore, con 50 atleti scaturiti da una grande ricerca. Noi ci stiamo ispirando e stiamo prendendo esempio da quel sistema. Tornando alle gare belghe, ho raccolto molte positive indicazioni
L’handbike resta il nostro pezzo forte?
Sicuramente, lì abbiamo un gruppo consolidato e sono molto fiducioso su quel che potremo fare da qui in avanti. Ma stiamo crescendo anche nelle altre categorie. Il tandem ad esempio mi dà molte speranze, con la coppia Toto-Bernard che possono solo crescere dopo aver vinto la gara in linea. Paolo rispetto a Davide Plebani è più stradista e quindi si deve ancora amalgamare con Bernard, ma sono convinto che soprattutto a cronometro hanno margini enormi, come anche Bissolati-Colombo, una coppia più per la pista ma che credo anche su strada potrà far bene.
Lo sprint vincente di Paolo Toto e Lorenzo Bernard, vittoriosi alla loro prima uscita internazionaleLo sprint vincente di Paolo Toto e Lorenzo Bernard, vittoriosi alla loro prima uscita internazionale
Poi c’è la Cretti…
Credo che a Ostenda si sia visto il suo vero valore – afferma Addesi – Finalmente posso lavorare con lei a pieno livello, fra strada e pista. E’ un’atleta nuova, la volata che le ho visto fare mi ha riempito il cuore. Ha chiuso la parentesi dello scorso anno lavorando duro, anche fisicamente è molto più asciutta e tirata. In questo vorrei dire grazie al Team Performance che ci sta dando una grande mano, sia per la pista che per la strada. Con una direttiva ben chiara.
La smorfia di Claudia Cretti al traguardo, dopo la sua volata tanto imperiosa quanto vincenteLa smorfia di Claudia Cretti al traguardo, dopo la sua volata tanto imperiosa quanto vincente
Quale?
Privilegiare quelle che sono le categorie e le specialità olimpiche. Vincere medaglie europee e mondiali in altre prove, dove la partecipazione è ridotta perché a tante nazioni non interessano, non serve a molto, noi dobbiamo concentrarci sulle prove olimpiche perché sappiamo bene che il nostro lavoro viene giudicato ogni quattro anni, in quello che è l’evento principe.
Si corre il tappone dei Sibillini, area devastata dal terremoto. Su queste strade nel 2016 un gruppo di pro' si radunò con Scarponi. Stacchiotti ricorda
Una settimana fa eravamo a Zurigo scrivendo gli ultimi pezzi. Si parlava della meraviglia di Pogacar. Del bilancio azzurro tenuto in piedi da crono, donne e juniores e del passaggio a vuoto dei professionisti. Sembrava un discorso concluso, invece mancavano all’appello le 14 medaglie del paraciclismo. Tre maglie iridate (in apertura quella di Cornegliani), per la precisione, nove argenti e due bronzi.
Quello del paraciclismo è un mondo complesso. Ci sono infinite categorie, strane manovre di classificazione, retaggi, storie ed esigenze particolari. La ricerca tecnologica e della performance progrediscono con passi da gigante. Le altre Nazioni reclutano atleti giovani, provenienti da altre esperienze se non addirittura dal professionismo. Così, viste anche le polemiche delle ultime settimane, siamo tornati a bussare alla porta di Pierpaolo Addesi, referente del settore strada da meno di due anni.
Zurigo, ultime medaglie anche per Pasini, Amadeo e Farroni. A sinistra Pierpaolo Addesi, con il presidente Dagnoni e Amadio (foto Borserini/FCI)Medaglie per Pasini, Amadeo e Farroni. A sinistra Pierpaolo Addesi, con il presidente Dagnoni (foto Borserini/FCI)
Come è andata la trasferta di Zurigo?
Bene, considerando che abbiamo cominciato a lavorare sul serio da un anno. Tutti i talenti che sono arrivati fanno parte di un progetto nato nel 2023 e, anzi, alcuni sono arrivati anche dopo. Marianna Agostini, ad esempio, oppure lo stesso Lorenzo Bernard sono arrivati dopo. L’unico che ha iniziato a gennaio è stato Andreoli, perché con lui ho preso i contatti a dicembre, l’ho incontrato a Milano e gennaio è stato inserito nel gruppo azzurro. Nonostante tutto, penso che ci siamo difesi abbastanza. A Parigi e poi a Zurigo.
Si continua a dire che i risultati si coglieranno nel prossimo quadriennio: sei scaramantico oppure non credevi che gli atleti fossero già al livello giusto?
Adesso lo posso dire. Andando a Zurigo, avevo scritto un numero di medaglie volutamente più basso, vale a dire otto come a Parigi, perché ho cercato di tenere i piedi per terra. Sapevo che sarebbero state di più. Avevo una nazionale che mi aveva dato tantissime conferme anche in Coppa del mondo. E se non ci fosse stata l’ingiustizia di Bosredon inserito in H3 (*), lui che di fatto è un H4, a Parigi avremmo raccolto un argento nella crono e forse su strada sarebbe arrivato l’oro. A Zurigo, la stessa cosa. Se non ci fosse stato lui, Martino Pini avrebbe vinto il mondiale. Sono abbastanza sicuro che dal prossimo anno il francese tornerà H4, ma nel frattempo con lui si sono garantiti tre medaglie d’oro alle Paralimpiadi.
Ti ha stupito che Mazzone sia riuscito a vivere un altro mondiale?
Tanto. In concomitanza con la sua crono c’era l’incontro con il Presidente Mattarella e a Parigi, Luca era stato uno dei due portabandiera. Mi ha chiamato anche il CIP chiedendomi se fosse possibile portarlo a Roma, così ne ho parlato con lui. Ci siamo ricordati quanto andasse forte in pianura dietro moto nel ritiro di Campo Felice. Quella di Zurigo era una cronometro dove avrebbe potuto esprimere il suo massimo. Non c’erano curve, non era un percorso tecnico. Era un drittone. E lui, se lo metti in un percorso così, ancora oggi distrugge tutti. Infatti ha stravinto, in 18 chilometri ha staccato di 40 secondi atleti che negli ultimi anni lo hanno sempre battuto. Non era scontato. Luca è forte, è un atleta molto determinato, si è impegnato tantissimo.
Martino Pini ha colto l’argento nella gara H3 su strada dietro Bosredon (foto Borserini/FCI)Bosredon ha vinto 3 titoli a Zurigo dopo la crono di Parigi. C’è polemica sulla sua classificazione (foto FFC)Il pugliese Mazzone ha vinto la crono iridata di Zurigo a 53 anni (foto Borserini/FCI)Martino Pini ha colto l’argento nella gara H3 su strada dietro Bosredon (foto Borserini/FCI)Bosredon ha vinto 3 titoli a Zurigo dopo la crono di Parigi. C’è polemica sulla sua classificazione (foto FFC)Il pugliese Mazzone ha vinto la crono iridata di Zurigo a 53 anni (foto Borserini/FCI)
Mazzone ha 53 anni ed è ancora vincente. Si parla di ricambio, immagini che sarà lui a decidere quando fermarsi?
Credo che in quelle categorie sia l’atleta a decidere. Dopo aver vinto ancora, non credo sia tornato a casa pensando di smettere. Io non gli dirò mai di farlo. Ma è logico che quando non arriveranno più i risultati e si renderà conto che nella sua categoria sono arrivati giovani più forti, sarà lui a capire il momento. Il quarto posto di Francesca Porcellato a Parigi, visti anche i risultati dei mondiali precedenti, fa capire che ormai eravamo fuori dalla lotta per le medaglie.
E allora come avviene il reclutamento dei giovani?
Questa sarà la sfida del prossimo anno. Vorrei tanto che in Italia si aprisse un po’ la mentalità. In Francia è appena arrivato nei C4 un ragazzo nuovo, Mattis Lebeau, che ha vinto il mondiale crono ed è arrivato secondo su strada. Se andate a vedere il suo palmares, ai primi di settembre ha fatto il Giro di Guadalupe in mezzo agli elite, una corsa a tappe di otto giorni. Ha 25 anni e durante la stagione ha anche vinto gare su strada. Lui ha un problema alle gambe, probabilmente qualcosa a livello di sviluppo e ha un polpaccio leggermente più piccolo, che è bastato per rientrare nella categoria C4.
Vuoi dire che la ricerca è anche fra atleti che corrono nel gruppo dei normodotati?
Esatto. Devo andare a cercare situazioni come questa nel panorama nazionale. Il problema è che nel momento in cui le trovo, con chi affronto il discorso? Parlo per esperienza. Sono andato dal tecnico di una continental italiana e gli ho fatto il nome di un atleta giovane e forte, nella stessa situazione di Lebeau. Gli ho detto che il ragazzo può fare la sua attività da U23 oppure elite, però per tre volte all’anno potrebbe venire a correre con noi. Ebbene, quando gli dici questo, si offendono. Mi ha risposto che il ragazzo è normale. Come devo fare io?
Mattis Lebeau ha vinto la crono di Zurigo nella categoria C4 del paraciclismo. In preparazione ha corso il Giro di Guadalupe (foto L’Equipe)Lebeau ha vinto la crono di Zurigo nella categoria C4 del paraciclismo. In preparazione ha corso il Giro di Guadalupe (foto L’Equipe)
E’ un problema culturale, l’handicap in Italia è motivo di disagio. Non tutti sanno che il ciclismo paralimpico sia anche quello su una bici normale e non per forza una handbike.
Esattamente. Servirebbe uno step culturale. Non è una diminuzione, non è qualcosa per cui essere presi in giro, ma una possibilità. Dovrei far capire a questi ragazzi, ma soprattutto ai loro manager, che la categoria C5 nel paralimpico equivale alla categoria elite dei normo. Non è niente di meno. Se andate a vedere gli ordini d’arrivo di tutte le gare che fanno in mezzo agli elite, davanti ci sono anche loro. Penso a Dementiev, che corre regolarmente su strada, ma anche a tanti altri che per tutto l’anno gareggiano in mezzo agli elite.
Qualunque corridore italiano avrebbe paura di essere preso in giro. La diversità a tutti i livelli nel ciclismo è uno sbarramento insormontabile: non sono neanche certo che qualcuno leggerà questo articolo…
Chiedo solo di pensarci. Parliamo di una categoria di professionisti, perché ormai a certi livelli non si va più avanti allenandosi part time. Mettiamo che trovo un atleta forte e ancora giovane, che corre da U23 oppure elite. Se il prossimo anno viene al mondiale in Belgio e mi vince una medaglia d’oro, cosa che è molto probabile, a dicembre riceve il Collare d’Oro. L’anno successivo, un corpo di Polizia lo prende al 100 per cento, perché diventa interessante in chiave olimpica. E lui si è praticamente guadagnato lo stipendio a vita, perché starà lì fino alla pensione. Considerando che una medaglia d’oro alle Olimpiadi frutta 100.000 euro. In più, se corre da U23 oppure elite, farà il corridore fino a quando ne avrà voglia.
Parigi e Zurigo hanno visto anche un bel rimescolare di equipaggi tandem.
Corentin Ermenault, uno che ai mondiali di Grenchen 2023 era nel quartetto di bronzo dietro l’Italiadi Ganna, non ha vestito la maglia francese nel 2024 per fare le Paralimpiadi e vincere delle medaglie. Possibile che non riesco a prendere un atleta forte della pista per puntare a Los Angeles? Dobbiamo mettere davanti un inseguitore fortissimo e in parte ci siamo riusciti con Plebani. Date anche a noi un atleta che nel 2027 escludete dalla maglia azzurra, un inseguitore forte per puntare le Paralimpiadi di Los Angeles nel tandem e la medaglia d’oro ce la giochiamo pure noi.
Dietro un atleta paralimpico ci sono la sua squadra e la famiglia: qui la sorella e i nipoti di Pini a Zurigo (foto Borserini/FCI)Dietro un atleta paralimpico ci sono la sua squadra e la famiglia: qui la sorella e i nipoti di Pini a Zurigo (foto Borserini/FCI)
La guida forte fa la differenza?
Lorenzo Bernard l’ho incontrato l’anno scorso a marzo. Gli altri hanno detto che l’avevano già testato, lui racconta che fece una prova col tandem e poi fu scaricato. Quando a marzo l’ho testato qui a Francavilla, si è visto subito che c’era un motore molto grande, ma anche che era acerbo. Però una volta che hai uno così e gli metti una guida competitiva a livello mondiale, i risultati arrivano. Prendi un atleta che fa 4’10” nell’inseguimento, lo abbini a Bernard e il tandem non può andare piano. Al primo assalto con Plebani ha preso il bronzo, no? Gli altri hanno fatto questi ragionamenti, che sono replicabili anche su strada.
Dove hai puntato su Totò…
Un ex professionista, anche se nella sua carriera forse non ha sempre fatto il professionista sul serio. Ma se prendo un qualsiasi corridore che abbia dei numeri, il tandem è la somma dei numeri. Watt davanti, watt dietro. Se questa somma è alta, il tandem vince. Poi servono anche la scaltrezza, abilità a guidare e resistenza, ma quelle si affinano col lavoro.
I corridori hanno raccontato che l’ambiente della nazionale è sereno e per questo hanno potuto lavorare bene.
Dico sempre che io non sono il capo di nessuno e non devo diventare l’amico dei corridori, altrimenti qualcuno potrebbe permettersi di dire cose fuori posto. Serve rispetto. Ho un ruolo, che è guidare la nazionale. Non sono l’allenatore, non mi prendo meriti che non ho, a differenza di qualcun altro. I ragazzi vincono perché si sono impegnati e hanno fatto risultati grazie a chi li ha preparati. Alle società che ci sono dietro e alle famiglie. Perché un disabile non fa leva solamente sulla società, c’è anche il lavoro delle mogli, dei figli, di chi li circonda. Io cerco di metterli nelle condizioni di lavorare al meglio, di esprimere il massimo e cerco di farli restare sereni e tranquilli.
I due tandem azzurri: un fronte su cui lavorare. Sono Totò e Andreoli e dietro Caddeo e Bernard (foto Borserini/FCI)Momento commovente durante la prova percorso, con Bernard e Caddeo fermati da bambini in cerca di autografi (foto Borserini/FCI)I due tandem azzurri: un fronte su cui lavorare. Sono Totò e Andreoli e dietro Caddeo e Bernard (foto Borserini/FCI)Momento commovente durante la prova percorso, con Bernard e Caddeo fermati da bambini in cerca di autografi (foto Borserini/FCI)
Il tuo ruolo in gara?
Sicuramente intervengo a livello tattico. Tutte le volte che abbiamo deciso qualcosa prima, è sempre andata bene. Al contrario, tutte le volte che non hanno fatto quello che avevamo concordato, è andata male. Farroni e a Vitelaru potevano vincere il mondiale, ma hanno fatto cose diverse da quelle concordate.
Che cosa?
A Giorgio avevo detto di superare Clement a destra nella volata, perché il vento tirava da sinistra. Era nella posizione ideale fino ai 200 metri. Poi, partita la volata, anziché rimanere a destra si è spostato sul lato opposto. Ha preso vento, ha allungato e ha perso la volata di poco. A Vitelaru invece avevo ho detto che fino a 150 metri doveva rimanere a ruota, perché lei è molto esplosiva e doveva fare una volata corta. L’olandese è stata più furba e ha fatto la finta di partire a 350 metri. Lei ha abboccato ed è partita. L’altra si è messa a ruota e poi l’ha saltata nel finale. Li ho ripresi entrambi, anche in modo severo.
Severo?
Sono stato anche io atleta e mi dava più fastidio se dopo un pessimo risultato mi dicevano che andava bene lo stesso. Se il tecnico analizza gli errori, magari sul momento ci resti male, però vuol dire che ci tiene. Farroni dopo l’arrivo piangeva. Però il giorno successivo l’ho accompagnato all’aeroporto e mi ha detto grazie. Che era giusto che lo avessi richiamato perché aveva sbagliato. La mia fortuna è essere stato nei loro panni e fare con loro quello che avrei voluto facessero con me.
Farroni beffato in volata dal canadese Clement, probabilmente per un suo errore in volata (foto Borserini/FCI)Farroni beffato in volata dal canadese Clement, probabilmente per un suo errore in volata (foto Borserini/FCI)
Qualcuno ha fatto notare che il bilancio di Zurigo è buono, ma che le medaglie sono meno di altri mondiali. Parlano di Cascais nel 2021…
E’ una vecchia disputa. Vincemmo 13 titoli mondiali, ma non ci si sofferma mai sul livello di partecipazione. Quell’anno le nazionali più forti avevano puntato tutti su Tokyo. Lo conferma il fatto che quei 13 ori di Cascais a Tokyo si ridussero all’oro della staffetta, cinque argenti e un bronzo. Oggi quegli atleti hanno smesso quasi tutti e a livello mondiale è venuta avanti una nuova generazione fortissima. Restano davanti soltanto Mazzone e Cornegliani, mentre abbiamo scoperto che dietro non c’era niente.
Nessun giovane?
Ho preso in mano un gruppo di atleti di una certà età, cosa era stato fatto per il ricambio? Se adesso smettessimo di cercare giovani, magari a Los Angeles porteremmo a casa qualcosa. Mirko Testa ce l’ho, Pini ce l’ho, Cortini ce l’ho, ma poi fra 10 anni con chi vinci?
(*) Per capire meglio, le categorie del paraciclismo sono suddivise in C (ciclismo), H (handbike), T (triciclo), Tandem. I numeri accanto sono inversamente proporzionali alla gravità dell’handicap. Si va da 1 che è il caso più grave a 5 che è il più lieve.
Fa le azzurre per Parigi, Longo Borghini è la più solida. Immagina una corsa disordinata e aggressiva. Le nostre saranno unite. Sogna di arrivare da sola
E’ stata una Paralimpiade atipica per Fabrizio Di Somma. Dopo i trascorsi da protagonista con due medaglie (1 argento e 2 bronzi) a Sydney 2000 come guida di Silvana Valente, due titoli iridati e svariati podi di Coppa del mondo, seguiti da dodici anni da tecnico (dal 2010 al 2021) del paraciclismo azzurro, questa volta ha seguito la rassegna di Parigi 2024 da spettatore.
Non gli manca però la voglia di dire la sua su quello che ha visto da osservatore esterno dopo che ha dovuto lasciare l’incarico al termine dell’avventura di Tokyo. Pare che alla base ci sia stata anche una lettera scritta dagli atleti alla Federazione, che ha poi contribuito al cambio al timone della nazionale paralimpica italiana, affidata a Pierpaolo Addesi e Silvano Perusini.
Di Somma ha vissuto per 12 anni la nazionale paralimpica accanti a Valentini. Qui con Alex Zanardi (foto FCI)Di Somma ha vissuto per 12 anni la nazionale paralimpica accanti a Valentini. Qui con Alex Zanardi (foto FCI)
Fabrizio, come hai seguito ai Giochi?
In parte alla tv. Non sono riuscito a seguire proprio tutte le gare, ma ho studiato a fondo i risultati finali, conoscendo tutti gli interpreti. Però diverse cose non mi sono piaciute, come ad esempio la scelta di far arrivare le gare olimpiche nel cuore di Parigi e quelle paralimpiche nei sobborghi, con pochissimo pubblico.
Altre cose che hanno colpito il tecnico Di Somma?
Ho visto che sono usciti molti commenti riguardo alle classificazioni. Fermo restando che nel paraciclismo non verrà raggiunta mai la perfezione, bisogna rendersi conto che non si può più aumentare il numero delle gare perché diminuirebbe l’interesse del pubblico. Ma non è solo questo…
A cosa ti riferisci?
Con l’aumento del numero degli atleti rispetto alle edizioni passate, c’è stata una rivoluzione soprattutto dal basso. Rispetto a Coppe del mondo e mondiali però si è scelto di privilegiare le Nazioni piccole, dando slot a Paesi in via di sviluppo. Così sono state eliminate le possibilità di inserimento per tutti i cosiddetti outsider delle grandi Nazioni, ovvero gli atleti che durante la stagione oscillavano tra il 5° e l’8° posto nelle gare internazionali. In questo modo, le Nazioni forti hanno portato soltanto atleti da podio, lasciando a casa coloro che potevano almeno insidiare le posizioni da medaglie. Mancando gli atleti di mezzo, molte gare avevano un andamento prevedibile e risultavano meno appetibili di quelle di Coppa del mondo. Secondo me, c’è stato meno spettacolo rispetto a Rio 2016 e Tokyo 2020 e l’Ipc dovrebbe fare qualcosa per invertire la rotta.
Mirko Testa è stato campione del mondo 2023 nella categoria H3, a Parigi ha conquistato il bronzo (foto FCI)Mirko Testa è stato campione del mondo 2023 nella categoria H3, a Parigi ha conquistato il bronzo (foto FCI)
Sulla nazionale azzurra, che ha eguagliato il bottino su strada di Tokyo e aggiunto un bronzo in pista, cosa ti senti di aggiungere?
Quello che mi è saltato agli occhi della spedizione italiana è che le medaglie sono state prese tutte da atleti che facevano già parte della nazionale con lo staff precedente o comunque erano nell’orbita. Già dal primo raduno post Covid, ad esempio, avevamo messo gli occhi su Mirko Testa, che si era messo in luce nelle gare del Giro d’Italia in handbike, ma non aveva fatto in tempo ad entrare per Tokyo. Come Martini Pini, che addirittura fece il mondiale pre-paralimpico del 2021.
Però la coppia Bernard-Plebani è stata un’intuizione del nuovo staff…
Lorenzo l’abbiamo contattato noi per primi, il 21 settembre 2021, chiedete anche a lui per conferma. Aveva fatto una prova sui rulli e poi un’uscita con Riccardo Panizza, al quale aveva assistito anche Fabio Triboli. In pratica, avevamo scovato pure lui, mentre ovviamente non potevamo pensare a Plebani perché fino al 2021 faceva ancora attività tra i normodotati. Quindi fino al 2022 non avrebbe potuto avvicinarsi al settore paralimpico.
Insomma, contesti la paternità delle medaglie?
Rispetto alle dichiarazioni rilasciate al vostro sito e ad altri media, voglio sottolineare che non si tratta di nessuna medaglia proveniente da nuovi interpreti. Tutti gli atleti erano già monitorati, appunto con l’unica eccezione di Bernard, che però appena due settimane dopo i Giochi di Tokyo, stavamo già cominciando a seguire. Mi sarei aspettato dalla nuova gestione un ringraziamento a chi aveva gettato le basi negli anni precedenti.
Bernard (a sinistra) guidato da Plebani ha colto il bronzo nell’inseguimento: Di Somma ricorda di averlo testato per primo nel ciclismo (foto FCI)Bernard (a sinistra) guidato da Plebani ha colto il bronzo nell’inseguimento: Di Somma ricorda di averlo testato per primo nel ciclismo (foto FCI)
Di che cosa ti occupi ora?
Sto traghettando una piccola squadra under 23 abruzzese, la Asd Avezzano. Abbiamo un accordo fino a fine stagione, faccio un po’ di attività con loro come direttore sportivo e sono felice di essere tornato in ammiraglia
Ti manca il settore paralimpico?
Molto, ho fatto 5 Paralimpiadi e vorrei farne ancora in futuro. Ma tante cose dette negli ultimi mesi mi hanno dato fastidio, soprattutto certe dichiarazioni. Non mi aspettavo che si tirasse in ballo persino la vittoria del team relay a Tokyo.
Che cosa ti ha infastidito?
Sentir dire che in Giappone è stato un oro fortuito, riferendosi penso alla caduta del francese. Forse bisognerebbe ricordare che dall’argento di Londra 2012 a Brands Hatch, l’Italia ha perso pochissime gare di team relay tra tutte le competizioni mondiali e di Coppa del mondo. Al contrario abbiamo vinto i Giochi sia a Rio 2016 sia a Tokyo 2020. Invece, di fatto, dopo il Giappone, il trend è decisamente cambiato e a Parigi l’Italia ha vinto l’argento in una gara con appena 5 squadre, di cui due erano Brasile e Thailandia, che hanno sempre viaggiato a diversi minuti da noi. Mi aggancio a questo per segnalare che per portare Mestroni, impiegato in questa prova, hanno lasciato a casa Andrea Tarlao. Quest’ultimo avrebbe potuto gareggiare nell’inseguimento su pista e nella cronometro, dove la concorrenza era sì molto forte, ma poi andare a caccia di una medaglia nella prova in linea su strada, in cui è già stato campione del mondo. In virtù di questa situazione, sarebbe stato giusto prediligere un’altra nostra icona del movimento che stava per dare l’addio.
Porcellato, classe 1970, fra sci e ciclismo ha conquistato 2 ori, 3 argenti e 6 bronzi paralimpici. Per Di Somma, meritava Parigi (foto Coni)Porcellato, classe 1970, fra sci e ciclismo ha conquistato 2 ori, 3 argenti e 6 bronzi paralimpici. Per Di Somma, meritava Parigi (foto Coni)
Ti riferisci a Francesca Porcellato?
Proprio lei. In una gara dove il secondo posto, o comunque il podio erano quasi assicurati, lasciarla fuori dal team relay e negarle l’ultima medaglia di una carriera stellare dopo quella sfumata a livello individuale in una situazione molto svantaggiosa (classi accorpate tra H1 e H4; ndr) non è stato un bel gesto. Francesca meritava quella possibilità. Aggiungo ancora una cosa: non è giusto che una Federazione scelga dei tecnici che devono ancora accumulare esperienza paralimpica e lo debbano fare sulle spalle dei corridori della nazionale. Ho sentito parlare di problemi coi criteri di selezione che menzionava Perusini, ma quelli sono sempre stabiliti dall’Ipc all’inizio del quadriennio e mai cambiati. Nel nostro gruppo di lavoro con a capo Valentini, io e agli altri collaboratori ci occupavamo di questo nello specifico. E sapevamo già all’inizio del quadriennio, purtroppo, chi non avrebbe potuto fare i Giochi, pure vincendo medaglie ai mondiali.
Ecco come è stato che Rudy Project fornirà la FCI con i suoi caschi fino a Los Angeles 2028. Ne parliamo con Massimo Perrozzo: «Per noi è puro orgoglio»
Un’Italia forza 8. Tante sono state le medaglie conquistate dalla spedizione azzurra del paraciclismo e delle handbike a Parigi 2024. Con la ciliegina sulla torta della gemma in pista targata Lorenzo Bernard e Davide Plebani, che ha permesso il sorpasso numerico rispetto a quanto fatto dalla precedente gestione a Tokyo (7).
Se nel settembre del 2021 era stata la staffetta delle handbike (con dedica ad Alex Zanardi) a far risuonare l’Inno di Mameli ai piedi del Monte Fuji, stavolta il lampo d’oro ha portato la firma di Fabrizio Cornegliani (non perdete l’intervista domenica 15). Il cinquantacinquenne pavese ha trionfato nella cronometro H1 a Clichy-sous-Bois e cancellato così qualunque amarezza per il titolo sfumato in Giappone. Tre anni fa infatti una caduta lo aveva costretto ad “accontentarsi” dell’argento.
Fabrizio Cornegliani ha vinto l’oro nella cronometro H1, in arrivo una grande intervista con lui (foto CIP/Pagliaricci)Fabrizio Cornegliani ha vinto l’oro nella cronometro H1, in arrivo una grande intervista con lui (foto CIP/Pagliaricci)
L’eterno Mazzone
A Tokyo erano arrivati cinque argenti, mentre stavolta le piazze d’onore sono state due. Uno dell’inesauribile portabandiera Luca Mazzone (cronometro H2, foto di apertura) e l’altro nella staffetta dell’handbike, un bancomat di medaglie oramai da Londra 2012, nonostante cambino alcuni degli interpreti. Accanto a Mazzone, infatti, si sono messi al collo la medaglia due esordienti ai Giochi: Federico Mestroni e Mirko Testa.
Primi sorrisi paralimpici anche per due che hanno calcato il gradino più basso. Dopo aver assaggiato la Paralimpiade a Tokyo, la portacolori di Obiettivo 3 Ana Maria Vitelaru si è piazzata terza nella prova in linea H5 vinta dalla leggendaria Oksana Masters. Il tenace debuttante Martino Pini ha centrato invece l’ultimo posto disponibile sul podio della cronometro H3. Gli altri due bronzi su strada se li erano messi al collo Testa (prova su strada H3) e capitan Mazzone (prova su strada H1-H2). Completando così la cinquina di terzi posti aperta il 29 agosto dalla già citata impresa del tandem Bernard-Plebani. Il paraciclismo si è così confermato la seconda disciplina in quanto ad apporto di medaglie per la delegazione record del Comitato Italiano Paralimpico, che ha chiuso al sesto posto nel medagliere con 71 medaglie. Miglior bottino di sempre dopo l’edizione casalinga inaugurale di Roma 1960, alla quale però parteciparono appena 400 atleti da tutto il mondo.
Ana Maria Vitelaru si è piazzata terza nella prova in linea H5 (foto CIP/Pagliaricci)Ana Maria Vitelaru si è piazzata terza nella prova in linea H5 (foto CIP/Pagliaricci)
Il bilancio di Addesi
Sceso dalla bici in seguito alla Paralimpiade di Tokyo 2020 e salito sull’ammiraglia azzurra per la prima volta ai Giochi di Parigi 2024, sorride il ct Pierpaolo Addesi.
«Sono molto soddisfatto – dice – perché abbiamo raccolto delle medaglie con atleti nuovi, entrati in nazionale in seguito al mio arrivo come tecnico. Il bottino finale mi fa molto piacere perché è arrivato qualcosa in più rispetto a quello che mi aspettavo. Ci sono state delle conferme e, finché ci saranno, avranno un posto garantito in squadra. Ma è stato bello vedere tanti giovani vincere o comunque lottare fino alla fine per le medaglie già alla prima esperienza».
Totò e Andreoli si sono dimostrati competitivi: li ha frenati solo una foratura (foto CIP/Pagliaricci)Totò e Andreoli si sono dimostrati competitivi: li ha frenati solo una foratura (foto CIP/Pagliaricci)
Le nuove coppie
Il pensiero vola alle due nuove coppie ciclistiche della categoria con disabilità visive. «Andreoli e Bernard hanno cominciato un anno e mezzo fa ad andare in bici. Ho sempre detto che per loro non era questa la Paralimpiade in cui puntare alla medaglia, ma la prossima di Los Angeles 2028. Eppure, Lorenzo ci ha riportato sul podio della pista dopo troppi anni bui. Invece Federico ha accarezzato l’impresa nella prova su strada, dove soltanto la sfortuna gliel’ha negata.
«Totò-Andreoli è la coppia su cui avevamo puntato nella gara in linea, con la crono studiata apposta per farli sbloccare. Dopo la vittoria in Coppa del mondo a Maniago eravamo venuti qui con l’obiettivo di giocarci una medaglia e senza i problemi tecnici, eravamo assolutamente in lizza. Basti pensare che dopo la foratura del secondo giro stavano rientrando insieme al tandem olandese. Poi c’è stato il salto di catena, mentre gli oranje hanno proseguito e agguantato l’argento. Comunque, la strada è quella giusta e lo dimostra che, come Francia e Olanda, anche noi ci siamo presentati al via della prova in linea con due tandem competitivi».
Katia Aere è stata quinta nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)Katia Aere è stata quinta nella prova su strada (foto CIP/Pagliaricci)
Si lavora per il futuro
Come si crea una coppia da medaglia nel paraciclismo? «Bernard è entrato in Nazionale nel marzo 2023 e sin da subito ci siamo concentrati sulla pista, studiando le sue caratteristiche. Chi mi ha preceduto forse non aveva percepito che, oltre alle doti dell’atleta, bisogna “giocare” con la guida e trovare quella più adatta. Davide fino al 2022 faceva il quartetto, Paolo è un ex professionista che nel 2018 ha fatto secondo al Laigueglia. Così li abbiamo abbinati a Lorenzo e Federico dopo diverse prove. Per tanti ex-pro’, fare la guida è una seconda chance per allungare di altri 10 anni o persino 15 la propria carriera, continuando a fare ciò che si ama. Mi sono preso del tempo prima di concepire le due coppie definitive, ma è servito. Sono loro il nostro futuro, così come Mirko Testa e Martino Pini nell’handbike. Il primo obiettivo che ci eravamo prefissati era il rinnovamento, perché l’età media era molto alto, ma ora c’è ancora tanto da lavorare, soprattutto nello scovare nuovi ciclisti».
Guai a mordere i freni: «Se io mi fermassi adesso, a Los Angeles raccoglierei ancora qualcosa, ma poi tutto sarebbe da rifare per gli anni a venire. Grazie al Comitato Italiano Paralimpico e ai suoi campus annuali, quest’estate ho visto altri ragazzini interessanti di 14 anni. Probabilmente vestiranno la maglia azzurra ai Giochi di Brisbane 2032. Dobbiamo fare come le grandi nazioni, partire dalla base e puntare sul ricambio continuo, perché solo così si costruisce un movimento vincente».
Davide Plebani e Lorenzo Bernard hanno conquistato a Parigi un bronzo storico nell’inseguimentoDavide Plebani e Lorenzo Bernard hanno conquistato a Parigi un bronzo storico nell’inseguimento
La svolta della pista
E’ d’accordo il responsabile della pista Silvano Perusini. «Rispetto ai normodotati – spiega – quando alleni una squadra paralimpica, non c’è nessun atleta omogeneo. Non è come seguire per esempio una formazione juniores, in cui tutti hanno la stessa età e più o meno le stesse caratteristiche. Nel nostro caso ci sono grosse differenze di età, che vanno dai 20 agli oltre 40 anni. Per poi non parlare dei mezzi in seguito a ciascuna disabilità. Bisogna fare un lavoro certosino e molto personalizzato nella preparazione».
Poi Perusini aggiunge: «La medaglia di Bernard e Plebani arriva dopo due anni di lavoro dai mondiali di Parigi 2022, formando un nuovo gruppo-squadra, affiatato. Siamo arrivati ad avere una buona formazione e non parlo soltanto di chi ha partecipato alla Paralimpiade di Parigi. Mi riferisco anche a chi ha corso i mondiali di Rio, dove abbiamo fatto molto bene. Così come a Glasgow lo scorso anno dove sono arrivate le prime medaglie con Claudia Cretti ed è stato un crescendo. Le due rassegne iridate sono state l’inizio per creare un ambiente sereno in cui lavorare».
I cittì Addesi e Perusini sono tornati da Parigi con ottime indicazioni per il futuro (foto FCI)I cittì Addesi e Perusini sono tornati da Parigi con ottime indicazioni per il futuro (foto FCI)
Sinergie azzurre
Inoltre, Perusini crede nelle sinergie con la squadra olimpica: «Il velodromo di Montichiari – spiega – è stato fondamentale. Come nazionale ci siamo trovati benissimo, grazie al supporto anche di Roberto Amadio, che ci ha permesso di accedere a tutto il materiale che era già a disposizione. Ma anche la conoscenza dei meccanici e la collaborazione da parte di tutti i tecnici, da Ivan Quaranta a Dino Salvoldi, oltre ovviamente a Marco Villa.
«Siamo 5 o 6 gruppi che lavorano quasi contemporaneamente e ci deve essere la massima collaborazione – spiega – perché tutto funzioni e questa si è vista sin da subito. Abbiamo fatto allenamenti insieme, condiviso pranzi e cene, tutto davvero molto bello e stimolante».
Accanto a Francesco Pancani nel velodromo di Parigi c'era Pierangelo Vignati. Lo conoscete? Gli abbiamo chiesto di riportrci a quei giorni col suo sguardo
Francesca Porcellato al lavoro alle Canarie, preparando le Paralimpiadi di Tokyo. Per lei si tratta della 11ª partecipazione, fra Giochi estivi e invernali
IL PORTALE DEDICATO AL CICLISMO PROFESSIONISTICO SI ESTENDE A TUTTI GLI APPASSIONATI DELLE DUE RUOTE:
VENITE SU BICI.STYLE
bici.STYLE è la risorsa per essere sempre aggiornati su percorsi, notizie, tecnica, hotellerie, industria e salute