Dal buio a tre medaglie: la devozione di Cretti per la bici

09.08.2023
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GLASGOW – Tre medaglie in un ciclismo che raramente ci capita di raccontare e spesso vive nell’ombra. Bronzo nell’inseguimento, argento nello scratch e nell’omnium. Forse l’unica nota positiva di questo mondiale caotico e sovrapposto è la possibilità di vedere all’opera i ragazzi della nazionale paralimpica, che solitamente si sfidano lontano dai riflettori dei grandi. Potremmo discutere a lungo su cosa sia veramente grande, ma così vanno le cose. Perciò quando ieri pomeriggio mi sono seduto con Claudia Cretti nella hall del velodromo, non nascondo di essermi sentito un po’ emozionato e anche un po’ in colpa.

Scusate la prima persona: di solito non si usa, ma quando si parla di emozioni è inutile girarci attorno. Claudia non la conoscevo prima del suo incidente al Giro d’Italia. Era il 2017, settima tappa da Isernia a Baronissi. Cadde, finì in coma e le notizie che uscivano sui giornali non autorizzavano a sperare in nulla di buono. Invece il destino aveva in serbo altre strade. Si risvegliò e quando tornò a casa chiese ai suoi di rimetterla in bicicletta. Ricordo di aver letto un’intervista in cui riferiva di una frase sentita dalla bocca di Alex Zanardi: «Non guardare la metà che non hai, ma quella che ti è rimasta». Serve tanta forza per dire certe parole, crederci davvero e rialzarsi. Osservando le sagome degli atleti in gara, ho pensato a tutte le scuse che trovo per non uscire in bicicletta e mi sono sentito un po’ piccolo.

Nella volata dello scratch, fuggita l’australiana, ha regolato facilmente le altre
Nella volata dello scratch, fuggita l’australiana, ha regolato facilmente le altre
Torni a casa con tre medaglie, te l’aspettavi?

No, soprattutto non pensavo mai di arrivare sul podio nell’omnium. L’emozione più grande è stata fare il terzo posto nell’inseguimento: pensavo di essere la più scarsa del mondo, invece ho dimostrato il mio valore. Poi nello scratch ho fatto notare a tutti la mia volata. Se avessi avuto il guizzo per andare dietro all’australiana, avrei vinto sia lo scratch sia l’omnium e sarebbe stato un passo in più.

Eppure quando l’australiana è partita, sembravi avere tutto sotto controllo…

Stavo anche per partire, in effetti, però ho visto che le mie avversarie, che nell’omnium erano messe bene, mi controllavano a ruota. Allora mi sono detta: se le porto sotto, magari in volata riescono a battermi. Così le ho tenute d’occhio e ho pensato a fare la mia volata. Speravo di raggiungere l’australiana, invece ho vinto solo la volata alle sue spalle. Però me ne torno a casa con un’esperienza gigante per i prossimi mondiali.

Hai ripreso subito su strada, già nel 2019: volevi riprenderti quello che hai lasciato in quell’incidente?

Appena sono arrivata a casa, dopo quattro mesi in ospedale, volevo andare in bici. Nelle prime uscite, ho fatto fatica. Però la mia passione è stata da sempre il ciclismo, quindi passando i mesi e gli anni, ho dimostrato di migliorare. Noto che i risultati in Italia migliorano, per cui mi piacerebbe arrivare passo dopo passo al podio nelle Coppe del mondo e ai mondiali. Non guardo il passato, ma al presente: sono le prime medaglie di questo nuovo segmento della mia vita. Quindi sono orgogliosa e punterò a migliorare ancora.

Due medaglie nello stesso giorno che si sommano all’inseguimento: niente male
Due medaglie nello stesso giorno che si sommano all’inseguimento: niente male
Il settore pista ha adesso un tecnico come Silvano Perusini, come ti trovi?

Ci chiama spesso durante la settimana, ci dice cosa fare durante il giorno e ci siamo trovati spesso a Montichiari. E’ cambiato un sacco, in pista è nato anche il miglioramento nell’inseguimento rispetto a Parigi, facendo ripetute e tutti i lavori specifici. Anche prima ho ottenuto medaglie col quartetto e anche nello scratch, però nel paraciclismo è tutto nuovo. Ogni anno scopro cose nuove, per questo ora puntiamo ai prossimi mondiali a Rio, sapendo che essere più vicini ai migliori in pista diventa utile anche su strada. Sono contentissima di poter fare doppia esperienza, sia strada che pista.

In questi mondiali ci si lamenta perché ci sono troppi eventi e tutti insieme. Forse invece per voi è il modo di avere una vetrina superiore? 

Si, è vero. In Italia tre quarti delle persone non sanno cosa sia il paraciclismo. Invece questa visibilità, avendo i mondiali con normodotati e paraciclisti insieme, rende più appetibile anche il nostro settore. Ognuno degli atleti che è qui arriva da brutte cadute, brutti incidenti e così via. Però per tirarsi su nuovamente, contano la testa, alzarsi e riuscire a ottenere medaglie importanti.

Per te è stato più difficile ripartire o arrivare qui a vincere queste medaglie?

E’ stato un miracolo che sia riuscita a sopravvivere al mio incidente. Devo dare un ringraziamento gigante all’ospedale di Benevento e alla mia famiglia che mi è stata vicina sin dal primo giorno. E anche la nazionale para ciclistica che ci segue un sacco bene e a Luca Cecchini, che mi sono stati vicino sino alla partenza dell’inseguimento. Sono davvero soddisfatta.

Scusa la domanda, se si può chiedere: qual è la tua disabilità?

Il trauma cranico che mi è successo il 6 luglio del 2017, mi ha provocato dell’epilessia. Ho fatto diverse verifiche e visite mediche per capire in quale categoria fossi per il paraciclismo e l’anno scorso facendo i mondiali di Parigi mi hanno messo in C5 definitiva. Il paraciclismo ha tante disabilità. Mi hanno messo in categoria C5 e sarà quella, se sarà possibile e se crederò in me, con cui potrei partecipare alle Olimpiadi. E anche lì la mia testa va verso le medaglie, quindi ce la metterò tutta.

E’ il sogno più grande?

Effettivamente sì. Da quando ero piccola e ho iniziato ad andare in bici, le Olimpiadi erano un sogno gigante. Mi piacerebbe dimostrare quanto valgo.

Nella finale per il bronzo dell’inseguimento eri contro una britannica…

Facevano tutti il tifo per lei. Ma io a quel punto non pensavo a queste cose, pensavo a spingere a dare il massimo. E quando ho sentito lo speaker dire il mio nome, ho cominciato a esultare. E’ stata una bella esperienza.

L’abbraccio con il tecnico Perusini corona un periodo di duro lavoro
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Com’è stato in questi giorni il rapporto con gli altri atleti della nazionale?

Siamo stati nello stesso hotel e loro chiedevano a noi alcune cose specifiche, su come facciamo le gare. Loro a noi, capito? In teoria sarebbe il contrario. Ho visto Filippo Ganna parlare con Andrea Tarlao, chiedendogli alcune cose per fare la gara. C’è tanta sintonia facendo i mondiali insieme. 

Frequenti ancora le ragazze con cui correvi?

Ci sentiamo con le mie compagne della Valcar. Quando ci siamo viste qua in hotel, hanno detto che hanno pianto per me il giorno dello scratch, anche Martina Alzini, Miriam Vece. C’è tanta sintonia, l’amicizia continuerà. E se ho ripreso a correre, lo devo a Valentino Villa.

La sera del doppio argento, grande festa nell’hotel degli azzurri
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Torni a casa e come riprende la vita?

Bici, bici, bici, bici e bici. Voglio migliorare le cose in cui sono un po’ sotto tono, anche su strada. Ho fatto due Coppe del mondo quest’anno, ma sono andate male. Però l’anno prossimo faccio vedere alle altre quanto valgo.

Ci saranno altri grandi appuntamenti per quest’anno?

Vediamo se ci sarà la possibilità di fare gli europei, altrimenti parteciperò ai campionati italiani di ciclocross e forse di mountain bike fra settembre e ottobre. Non mi fermo di certo, questo ormai l’avete capito bene…