Nibali a Tokyo deve andarci e casomai sarà lui a chiamarsi fuori o accettare un ruolo diverso. Ci sono corridori che il posto se lo devono guadagnare, per i quali è giusto aspettare i campionati italiani. E ci sono corridori che il posto lo meritano a prescindere: se così non fosse, neppure Viviani dovrebbe andare a Tokyo. E badate bene, non si tratta di campare sugli allori: si tratta di rispetto, costruzione e programmi.
Nel leggere le interviste (e nel farle) in certi momenti si cade nel rischio di appiattire tutto e ricondurre ogni valutazione non già al coraggio, ma alla matematica. Nibali non ha fatto un gran Giro d’Italia, si è visto. Sarà così anche il 24 luglio? Si disse che Bugno non meritasse il posto per i mondiali di Benidorm. Vogliamo parlarne?
Vincenzo Nibali a Rio 2016 attaccò per vincere: solo la caduta gli impedì di arrivare in fondoVincenzo Nibali a Rio 2016 attaccò per vincere: solo la caduta gli impedì di arrivare in fondo
Alfredo e Gianni
Alfredo Martini lo prese da parte al Trofeo Melinda del 1992 e da quel caffè nacque il secondo mondiale di Gianni. Non gli chiese di vincere per dimostrare chi fosse. Se Nibali si lancia nella sfida delle Olimpiadi, i posti a disposizione sono quattro: uno è il suo. Starà a Cassani offrirgli il caffè e le parole giuste.
Nello sport ci sono o dovrebbero esserci parametri che vanno oltre la conta dei risultati. Basterebbe ricordare la scivolata di Firenze dopo la selezione con Scarponi sulla salita di Fiesole. La rincorsa all’azzurro di Innsbruck, pur avendo una vertebra rotta. L’attacco dello scorso anno. E soprattutto la caduta di Rio, quando l’oro era ben più di un’ipotesi.
Pantani fu convocato per Sydney 2000 per il campione che eraPantani fu convocato per Sydney 2000 per il campione che era
Bandiera azzurra
Nibali a Tokyo deve andarci e casomai deve essere lui a chiamarsi fuori o accettare un ruolo diverso, per il rispetto che si deve all’uomo e al campione. Parliamo delle Olimpiadi, non di un europeo o di un mondiale. Parliamo di un atleta che non ha bisogno di portare la bandiera, perché lo è egli stesso. Parliamo di un campione che fa la differenza ogni volta, fosse anche per tenere al riparo i compagni. Pantani lo portarono a Sydney non perché potesse vincere le Olimpiadi, ma perché era Pantani. In certi casi vale più l’attesa del commento successivo. Non abbiamo il mattatore designato, abbiamo però il più grande degli ultimi 20 anni. Se non fa lui il passo indietro, una maglia è chiaramente sua.
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Martina Fidanza è a Livigno con le sue compagne di nazionale, circondate dal bel panorama si allenano tra palestra e bici. La notizia dell’annullamento degli europei, dove lei avrebbe puntato allo scratch, le ha un po’ turbate.
Gli europei saranno recuperati? Intanto si lavora sodo…Gli europei saranno recuperati? Intanto si lavora sodo…
Come è iniziato questo ritiro ?
I primissimi giorni non abbiamo fatto molto, solo un po’ di palestra; poi sono arrivate le prime tre ore di bici da fare in tranquillità, tra virgolette, che da una parte sono passate velocemente e sono state piacevoli, dall’altra però con tutto quel dislivello… Non vedevo l’ora che finissimo (ride, ndr). Questo ritiro è più tranquillo rispetto agli altri, perché abbiamo lavorato tanto nei mesi scorsi. Lo sto concependo come un recupero attivo… più o meno.
Come vivi l’avvicinamento ad una possibile Olimpiade?
Cerco di avvicinarmi all’appuntamento al massimo delle mie potenzialità. Sicuramente fare le cose al meglio significa non saltare gli allenamenti e seguirli nel dettaglio. Allenarmi con le altre mi serve per crescere e perfezionarmi nelle piccole cose. Pian piano cerco di dimostrare quanto valgo, so che siamo tutte ragazze che meritano di andare a Tokyo, ma sarà la scelta del momento che deciderà chi dovrà andare. Sono entrata in quello stato di tranquillità per cui faccio ciò che meglio so fare, al massimo… Nel caso in cui dovesse arrivare la convocazione, sarò felicissima e cercherò di dare il meglio di me per la nazionale. Se non dovesse andare bene, mi allenerò ancora meglio e ancor di più per concretizzare questo sogno.
Balsamo-Fidanza, coppia d’oro della pista azzurra durante il ritiro di febbraio in SiciliaBalsamo-Fidanza, coppia d’oro della pista azzurra durante il ritiro di febbraio in Sicilia
Ci sono tensioni tra voi?
A livello personale non lo percepisco così tanto, poi io… mi lascio scivolare le questioni di sopra e placo gli animi quando c’è bisogno, ma non abbiamo mai vere e proprie discussioni. Alcune ragazze si sono già meritate un posto per le Olimpiadi, altre lo devono ancora confermare. Se non dovessi andare mi dispiacerebbe davvero tanto, ma non punterei il dito su nessuna, ce lo meritiamo davvero tutte.
L’annullamento degli europei…
I piani non cambiano! La selezione per Tokyo si potrà fare anche in pista facendo delle prove a tempo tra di noi.
Mi piacerebbe riprovare lo scratch e fare la mia migliore prestazione. Per il resto, sono pronta a tutto!
Una specialità che ti piacerebbe veder vincere alle tue compagne?
Mi piacerebbe che nel quartetto riuscissero a fare una bella prestazione e sarebbe la prova del bel gruppo che si è creato e dell’affinità, indipendentemente dal risultato. Poi penso a Maria Giulia Confalonieri con la corsa a punti, se lo merita davvero tanto.
Martina Fidanza, oro nello scratch agli europei Plovdiv 2020Martina Fidanza, oro nello scratch agli europei Plovdiv 2020
Rachele Barbieri ti ha recentemente battuta in volata…
Sono felice per la sua vittoria. Personalmente ho dato il massimo e non potevo fare di più. Vedere due ragazze che si allenano principalmente in pista, riuscire a fare bene anche su strada, è la conferma dell’ottimo lavoro che facciamo in nazionale, con la Polizia ( entrambe sono nel gruppo sportivo Fiamme Oro, ndr) e individualmente.
Il sogno olimpico…
Rimarrà tale, anche se si dovesse concretizzare (sorride, ndr ). Ho poca esperienza, ho corso poco nel quartetto e questo un po’ mi penalizza, ma non mi arrendo.
Che cosa sta facendo Roberto Amadio? Nominato alla presidenza della Struttura Tecnica Strada e Pista della Federazione, il friulano è un po’ sparito dai radar, inghiottito dalla macchina federale e dalla necessità di capirne dinamiche e segreti.
«Il progetto di questa Federazione – spiega Ruggero Cazzaniga, suo predecessore e ora vicepresidente federale – è salire di livello, passando per un ammodernamento che consenta di coinvolgere partner che ci facciano crescere. Amadio riveste la funzione del team manager e coordinatore delle nazionali. Deve imparare che cosa vuol dire catapultarsi in questa realtà che non è 100% privata, ma vive in favore delle società. Vedo da parte sua una grande volontà e vedo una squadra diversa dal passato, che sta nascendo con ottimi presupposti».
L’obiettivo finale sarà gestire le nazionali come un team WorldTour per tutto l’annoL’obiettivo finale sarà gestire le nazionali come un team WorldTour per tutto l’anno
In ufficio
In questi giorni Amadio (che nella foto di apertura è con Moreno Argentin) vive una strana situazione, con un occhio sul Giro d’Italia e l’altro sul nuovo incarico, che lo prende parecchio.
«Al momento – dice – si sta lavorando all’approvazione delle gare e a dettagli ogni giorno da imparare e altri da aggiustare. Per fortuna ho accanto Giorgio Elli, che è molto preparato, e lo stesso Cazzaniga che mi aiutano a capire i meccanismi. Non è come guidare un team, questo è chiaro. Sono anche in contatto con i tecnici delle nazionali, lavorando sui prossimi appuntamenti. Ma per ora è un ruolo moltoda ufficio e poco sul campo. Ho visto un paio di corse juniores e una di dilettanti, per fortuna c’è lo streaming…».
Obiettivo juniores
Qualche settimana fa avevamo parlato di lui con Michele Biz, proprio a proposito della categoria juniores, dopo che Roberto era andato a seguire le corse organizzate da un pool di squadre friulane per ovviare alla stasi dell’attività.
Biz pensa che la Fci dovrebbe mettere mano alla categoria juniores…
Forse è arrivato troppo professionismo. Forse si dovrebbero lasciare i ragazzi di quell’età più tranquilli, mentre ci sono 4-5 squadre nettamente superiori alle altre, che corrono in modo professionale e ammazzano le altre realtà.
Gran Premio Liberazione juniores, vince Dario Igor BellettaGran Premio Liberazione juniores, vince Dario Igor Belletta
Non si dice che adesso si passa professionisti direttamente dagli juniores?
Io invece credo che la categoria vada protetta ed è un’attenzione importante, perché si tratta della fase in cui si intravedono le potenzialità di un corridore. C’è chi matura prima e chi matura dopo e bisogna tutelare i più interessanti, magari riparandoli dall’equazione che se non vinci, non trovi squadra per l’anno successivo.
Non siamo forse alla ricerca del nuovo Evenepoel?
Ecco, bravi! C’è quest’ansia di trovare il super talento e se poi non funziona, gli danno un calcio nel sedere. Perché funziona così, lo sappiamo. La Fci impone i due anni nelle categorie giovanili, ma poi arrivano i procuratori, si attaccano al diritto al lavoro e nel nome di questo cancellano il diritto più sacrosanto del corridore che è crescere gradualmente. In più si creano della aspettative che non sempre possono essere mantenute.
Il programma elettorale di Dagnoni prevedeva la rifondazione delle squadre nazionali. Senza fare nomi per non metterti in imbarazzo, state ragionando anche sui futuri tecnici?
La gestione futura delle nazionali, proprio come è scritto nel programma elettorale che ha portato Dagnoni alla presidenza, sarà uno dei miei compiti. Come impostarle e come gestirle. La nomina dei commissari tecnici è compito del presidente, io semmai potrò dare qualche indicazione, ma al momento non mi sfiora il dubbio di fare nulla, perché stanno lavorando tutti bene.
Alla Coppi e Bartali, Amadio assieme al presidente Dagnoni e al cittì azzurro CassaniAlla Coppi e Bartali, Amadio assieme al presidente Dagnoni
Cazzaniga parla di nazionali come un team WorldTour.
E’ il motivo probabilmente perché la scelta è caduta su di me. E’ un programma ampio che coinvolge strada, fuoristrada e pista. Un progetto che richiede uomini che ben si integrino, che sappiano lavorare insieme, seguendo la linea. Ma tutto questo è competenza del Consiglio Federale. Per ora mi sto occupando di altro. E vi assicuro che ho tanto da fare. Però visto che bravo ieri Sagan? Gli ho mandato un messaggio. Quando vince uno dei miei ragazzi, salta fuori il vecchio cuore Liquigas.
Dopo le convocazioni e prima di partire per l'Australia, parliamo con il cittì Bennati della sua squadra. Tre punte. E un gruppo che non si tirerà indietro
Un giorno, la storia del ciclismo ha preso una piega diversa. Un giorno, la cultura dello sport delle due ruote e quella olimpica si sono finalmente sposate, dopo essersi ignorate per decenni. E’ vero, la storia delle Olimpiadi nel ciclismo affonda quasi ai suoi primordi, ma fino al 1992 nella gara su strada gareggiavano solo i dilettanti, con un’evidente sperequazione tra i Paesi del blocco comunista, dove lo sport era di Stato, e gli altri. Quell’anno però il Cio aveva deciso di aprire le porte delle Olimpiadi ai professionisti: tutti ricordano l’edizione di Barcellona 1992 come quella del Dream Team americano di basket, che offrì uno spettacolo indimenticabile. Nel ciclismo si dovettero attendere quattro anni, ma la gara di Atlanta non colpì la fantasia degli appassionati. Per quella di Sydney, il 27 settembre 2000, fu diverso: allora la storia del ciclismo cambiò e fu grazie a due italiani.
Azzurri guidati dal cittì Fusi, dal dottor Daniele e dal segretario generale StandoliAzzurri guidati dal cittì Fusi e dal segretario generale Standoli
Attacca Ullrich
L’evoluzione di quella gara fu tanto semplice quanto rivoluzionaria: a una trentina di chilometri dalla fine, il tedesco Jan Ullrich, reduce dalla piazza d’onore al Tour de France dietro Armstrong, chiamò a sé due compagni della Telekom, il connazionale Andreas Kloden e il kazako Alexandre Vinokourov e andò in fuga con loro. Tre uomini significava podio monopolizzato ed essendo i tre appartenenti allo stesso team (anche se alle Olimpiadi si corre per nazionali) voleva dire che la loro gara sarebbe diventata da lì una cronometro a squadre. Pressoché impossibile raggiungerli, ma due italiani ci provarono: Michele Bartoli e Paolo Bettini.
Due toscanacci di ferro, compagni nella Mapei. Un tentativo che poteva sembrare velleitario, ma proprio per questa sorta di sfida ai mulini a vento la storia del ciclismo cambiò. Perché? Semplice: fino ad allora, in ogni gara ciclistica, mondiali compresi, si pensava che quel che conta è solo il vincitore, nessuno si ricorda del secondo, men che meno alla rassegna iridata. Alle Olimpiadi vincono in tre e vincono davvero. Loro sapevano che dovevano provarci, anche se era un’impresa disperata.
Fra gli azzurri in Australia, anche Pantani, Di Luca e CasagrandeFra gli azzurri in Australia, anche Pantani, Di Luca e Casagrande
Due azzurri in caccia
A tanti anni di distanza, quando ci ripensa la voce di Michele Bartoli s’increspa ancora: «Mi è rimasta la delusione tipica del quarto posto, perché potevamo vincere. La gara olimpica è particolare perché unisce un po’ di professionisti che affronti durante l’anno a tanti altri corridori che vengono da Nazioni non di primo piano, che non conosci. Poi si corre in 5 per squadra e non puoi controllare la corsa, quindi serve maggiore attenzione e noi, al momento cruciale, non l’avemmo. Per questo l’Olimpiade è così difficile da vincere».
Quell’inseguimento fu meno velleitario di quanto si pensi, perché i due azzurri ci credevano davvero: «Dovevamo provarci e arrivammo davvero vicini ai tre. Diciamo che ci mancò un terzo corridore della Mapei – dice ancora Bartoli – allora avremmo gareggiato ad armi pari, ma sarebbe bastato avere un altro corridore in grado di darci qualche cambio e li avremmo ripresi».
Jan Ullrich scatena la fuga e si fa aiutare da Kloden e Vinokourov compagni alla TelekomJan Ullrich si scatena, lo aiutano Kloden e Vinokourov
Bettini e la curva
Paolo Bettini è ancora più specifico: «Se non li riprendemmo, fu per causa mia. Dal mattino la gara era stata una battaglia e io e Di Luca eravamo quelli deputati a lavorare di più per tenere coperti Bartoli, ma anche Casagrande e Pantani. Nella parte finale di gara ero finito, ma mi ritrovai a inseguire con Michele. Ricordo che nel finale eravamo arrivati a una quarantina di metri, in prossimità di una curva, ma appena girata non riuscii a rilanciare l’azione e il distacco raddoppiò. A quel punto avevamo capito che la gara era finita, ma io non ne avevo più…».
Una cosa diversa
In una gara differente, come una grande classica, magari non ci si provava neanche: «E’ una cosa diversa – riprende Bartoli – perché hai più compagni di squadra e puoi gestire la corsa in molte altre maniere. Lì è una gara individuale. Dovevamo provarci anche se sapevamo che era difficile».
«E’ vero – ribatte Bettini – ma lì capii che l’Olimpiade è qualcosa di particolare, perché vincono in tre: io per esempio ho vinto un argento ai mondiali, ma non se ne ricorda nessuno, quasi neanche io, perché chi arriva secondo è un … Vabbé, avete capito!».
A Bartoli non resta che la volata per il quarto posto, che sa di beffaA Bartoli non resta che la volata per il quarto posto
Progetto Atene
Eppure quell’epilogo (Bartoli finì per vincere la volata del gruppo dei battuti, Bettini arrivò nelle retrovie e la gara la vinse Ullrich) ebbe un peso enorme per il Grillo livornese, che vinse l’edizione successiva.
«Ero giovane a Sydney – dice – ma capii che potevo vincere, che anzi dovevo lavorare per vincere. Il 2000 fu un anno fondamentale per la mia carriera, avevo vinto la Liegi dimostrando che potevo lottare per ogni classica, poi cominciai a pensare ad Atene e non sbagliai. Tempo fa sono andato in Portogallo a trovare Paulinho, argento dietro di me. Da professionista non ha vinto nulla, ma nel suo Paese è considerato ancora un eroe: l’Olimpiade è questo».
Podio assicurato. Vince Ullrich, poi Vinokourov e terzo uno sfinito KlodenPodio assicurato. Vince Ullrich, poi Vinokourov e terzo uno sfinito Kloden
Due scuole
Da allora la gara olimpica è diventata un grande obiettivo: «E’ cambiata la cultura ed è cambiata la storia – dice Bettini – ai nostri tempi il patron Lefevere odiava le Olimpiadi perché interferivano con la stagione, soprattutto con il Tour. Oggi non è così, tanto è vero che molti stanno programmando la stagione in funzione della gara di Tokyo e sono pronti a rinunciare al Tour, ma nelle squadre nessuno protesta perché sanno quanto conta la gara olimpica».
«Io però sono legato alla vecchia scuola – riprende Bartoli – non riesco a dare alle Olimpiadi lo stesso valore di un mondiale o di una classica monumento, perché è su quelle che si basa una carriera».
«Capisco l’idea di Michele proprio perché è figlia di un pensiero più tradizionale – ribatte Bettini – più legata alla storia del ciclismo, io però vi dico una cosa: ho vinto due mondiali, ma baratterei volentieri una maglia iridata anche per un bronzo olimpico, perché ho provato sulla mia pelle che cosa significa essere un atleta olimpionico. Quando ci penso mi vengono ancora i brividi…».
Nibali a Tokyo deve andarci: non è giusto pretendere da un campione come lui la vittoria nell'indicativa. Se sentirà di non farcela, si chiamerà fuori da sé
All’indomani della quinta tappa del Giro d’Italia Ciclocross, il Ct della nazionale Fausto Scotti ha diramato le convocazioni per gli Europei del prossimo fine settimana a s’Hertogenbosch (Olanda).
Non ci sono junior, il perché è lo stesso Scotti a spiegarlo.
«Vista la situazione pandemica – spiega – la Uec ha deciso di ridurre il programma di gare a soli elite e under 23, dietro la forte insistenza di Belgio e Olanda. Una scelta che ci penalizza, quella junior maschile sarebbe stata forse la categoria con il maggior numero di italiani presenti, ma soprattutto mi dispiace per i ragazzi che ci tenevano. Parlando con il segretario dell’Uec Della Casa, mi è stata prospettata la possibilità di recuperare la gara europea per gli junior in Italia a dicembre: se ci saranno le condizioni sanitarie, faremo tutto il possibile per realizzarla, ma al momento è difficile essere ottimisti».
Dorigoni sarà una delle nostre punte agli europei (foto Alessandro Billiani)Dorigoni, punta azzurra agli europei
Con quale spirito partite per l’Olanda?
Non è un Europeo come tutti gli altri, questo è chiaro. Sinceramente avremmo preferito che la manifestazione venisse rinviata vista la situazione, la trasferta si presenta con moltissime incognite, con trasferimenti difficili soprattutto per i mezzi. Noi tecnici partiremo giovedì passando per Bruxelles, i ragazzi partiranno direttamente venerdì con scalo a Eindhoven.
Tamponi per tutti?
Li abbiamo fatti ieri, ma è probabile che le autorità olandesi vorranno comunque controllarci all’arrivo anche se avremo con noi l’esito. Non vorrei che avvenisse un epilogo identico a quello della nazionale di judo per il Grand Prix di Budapest, un paio di settimane fa (tamponi tutti negativi alla partenza dall’Italia, tre atleti e un coach trovati positivi in Ungheria e tutta la nazionale fermata e impossibilitata a gareggiare, ndr). Tutto ciò influisce fortemente, diciamo che partiamo per onorare l’evento.
Che notizie hai sugli avversari?
So che tutte le nazionali principali, seppur con le stesse nostre grandi difficoltà saranno presenti, ultima in ordine di tempo anche la Francia ha avuto la liberatoria per partire. Sarà un Europeo particolare, senza pubblico e chi ha gareggiato da quelle parti sa bene quanto ciò influisca, le gare lì diventano una bolgia per il tifo che si sente.
Il percorso a quale azzurro si adatta di più?
Direi un po’ a tutti, perché non ha grandi difficoltà tecniche. E’ quasi completamente piatto, ci avevamo già gareggiato per gli Europei un paio di anni fa. So che l’organizzatore (l’ex iridato Richard Groenendaal, ndr) ha inserito un centinaio di metri su sabbia, il resto lo verificheremo sul posto. Non partiamo con grandi aspettative, come detto vogliamo onorare la manifestazione facendo il meglio che potremo, cercando i migliori piazzamenti possibili. Probabilmente fra gli junior avremmo avuto maggiori possibilità.
Under 23: Federico Ceolin (Selle Italia Guerciotti Elite), Filippo Fontana (Carabinieri), Samuele Leone (Development-Guerciotti), Marco Pavan (D’Amico Um Tools)
DONNE
Elite: Alice Maria Arzuffi (Fiamme Oro/777), Eva Lechner (Esercito)
Under 23: Francesca Baroni (Selle Italia Guerciotti Elite), Sara Casasola (DP66 Giant SMP), Gaia Realini (Selle Italia Guerciotti Elite)
A Sydney 2000, con lo scontro fra Telekom e Mapei, cambia la storia delle Olimpiadi su strada. Il ricordo di Bartoli e Bettini di quella corsa pazzesca
Marta Cavalli è stata una delle “sorprese” della nazionale di Dino Salvoldi ad Imola. Tuttavia per la ragazza della Valcar la maglia azzurra non è certo una novità. In pista infatti ha raggiunto traguardi importanti specialmente nell’inseguimento a squadre, non ultimo il titolo europeo a Fiorenzuola. Ed anche al Giro Rosa Iccrea la 22enne lombarda è stata tra le migliori: buoni piazzamenti di tappa e seconda azzurra dopo Elisa Longo-Borghini nella generale. Conosciamola meglio.
Ad Imola ha trovato la maglia da titolareAd Imola ha trovato la maglia da titolare
Marta, quando e come hai iniziato a pedalare?
Ad 11 anni, un po’ per gioco e un po’ perché vedevo il Giro, il Tour insieme a papà e poi imitavo Mark Cavendish in cortile mentre faceva le volate. Mio padre, appassionato, ha assecondato questo mio interesse e mi ha portato al C.C. Cremonese, la squadra locale, dove ho iniziato a gareggiare. Da qui l’impegno è andato a crescere fino ad arrivare alla Valcar.
E hai capito subito che il ciclismo potesse essere più di un gioco?
Fino da juniores lo vedevo solo come un divertimento. In più non che andassi molto bene, avevo paura del gruppo, non vincevo… e più di qualcuno tra i tecnici mi disse che il ciclismo non era per me. Però vedere le altre che miglioravano e vincevano mi fece scattare una molla. Così iniziai anche io ad essere più puntigliosa, ad allenarmi di più e arrivarono le prime soddisfazioni. E’ al secondo anno elite che ho capito che il ciclismo era la mia strada.
Qualcuno mi disse che il ciclismo non era per me. Però vedere le altre che miglioravano e vincevano mi fece scattare una molla.
E le prime gare con le grandi come andarono?
Gli esordi nel World Tour furono devastanti! Mi sono ritrovata con campionesse tipo Vos, Van Vleuten, ho preso delle batoste che la metà bastavano! Però mi sono anche detta: così non vado avanti, adesso mi ci metto al cento per cento. Adesso non sono ancora tra quelle 10-15 top rider, mi manca qualcosa, ma l’obiettivo è quello di far parte di quel ristretto gruppo di atlete.
E cosa ti manca?
Le variazioni di ritmo in salita. Quando una Longo-Borghini o una Van Vleuten attaccano, la differenza la sento. Hanno un altro ritmo. Però anche se mi stacco devo dire che cerco subito il mio passo e quasi sempre riesco a cavarmela limitando i danni. Ci sono alcuni aspetti che miglioreranno da soli col tempo, come la resistenza e la capacità di allenarsi o tenere certi sforzi e altre che invece sulle quali devo proprio lavoraci su, come appunto il cambio di passo in salita.
Dove ti alleni?
Io vivo a Formigara, un paesino della Bassa, in provincia di Cremona. Lì è tutta pianura e spesso per trovare della salita o faccio molte ore oppure prendo la macchina e mi sposto verso l’Appennino piacentino. E lì faccio lavori specifici.
Marta Cavalli corre con la Valcar dal 2017. Passerà alla FDJ NouvelleMarta corre con la Valcar dal 2017
Ti alleni sola? E chi ti segue?
Sì, il più delle volte da sola, però con la nazionale e la squadra spesso facciamo dei ritiri, andiamo anche in pista. Mi allena Davide Arzeni, che è anche il direttore sportivo della Valcar.
C’è una compagna che ti ha fatto da chioccia?
Fino allo scorso anno avevamo in squadra Dalia Muccioli. Lei è davvero brava. Sempre disponibile e sempre pronta a darmi consigli.
Hai parlato della pista, tu vanti una bella storia con il parquet…
E’ lì che ho iniziato a raccogliere i risultati più importanti, tra cui l’oro europeo nell’inseguimento a squadre (era il 2017 e lo ottenne con Martina Alzini, Elisa Balsamo e Francesca Pattaro, ndr). Questo risultato fu poi anche quello che mi aprì la porta tra le elite e alla Valcar. La pista è un vecchio amore e in vista delle Olimpiadi da questo inverno mi ci concentrerò per bene. Anche la strada mi piace. A conti fatti dico che la passione tra le due è 50-50!
Ti aspettavi la convocazione da parte di Salvoldi?
Non me l’aspettavo però ci speravo. L’anno scorso stavo bene ma non fui convocata. Due anni prima il circuito era troppo duro per le mie caratteristiche. Questo è stato l’anno buono per far parte del gruppo azzurro.
Jonathan Milan saluta il pavé e fa rotta sulla pista. Primo appuntamento a Hong Kong. Buon debutto al Nord. Si è ritirato, ma ha ben lavorato per il team
Marta Bastianelli spiega le ragioni del blackout degli ultimi mesi e riparte con una vittoria in Svizzera. Tradita da due virus, ora punta al tricolore
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