Nell’eterno testa a testa, Michele Bartoli fa il giudice

28.01.2023
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Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel. Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert. Il duello storico va avanti. Va avanti anche nel web, dove i due sono messi più a confronto di Pogacar ed Evenepoel. Ma anche noi vogliamo metterli a duello e giudice di questo confronto è niente meno che Michele Bartoli.

Il grande ex campione, ora preparatore, è stato un grandissimo delle classiche e anche un esperto di ciclocross. Ha tutti gli ingredienti per imbastire questa sfida.

Van Aert, classe 1994, belga, corridore in forza alla Jumbo-Visma, 39 vittorie su strada all’attivo. Ottimo cronoman, super “gregario”, forte in salita, fortissimo in volata. E’ alto 190 centimetri per 78 chili.

Van der Poel, classe 1995, olandese, corridore in forza alla Alpecin-Deceuninck, 40 vittorie su strada all’attivo. Scattista eccelso, tiene, anzi distrugge quasi tutti, nelle brevi salite, va forte a crono. E’ alto 184 centimetri per 75 chili.

Michele Bartoli (classe 1970) è oggi preparatore di molti pro’. Eccolo con un giovane Daniel Martinez (foto Instagram)
Michele Bartoli (classe 1970) è oggi preparatore di molti pro’. Eccolo con un giovane Daniel Martinez (foto Instagram)
Michele, Van der Poel e Van Aert, proviamo a fare un’analisi dei due…

Van Aert è un cecchino, Van der Poel spara col bazooka! Van Aert è più completo, quando si muove difficilmente sbaglia. Van der Poel è più imprevedibile, ciò che gli viene in mente fa. E spesso butta via il risultato. Lo abbiamo visto lo scorso anno al Giro d’Italia. Però forse anche per questo piace molto.

Sono due fenomeni, in ogni caso…

Ad oggi ciò che vince Van Aert, Van der Poel non lo può vincere, mentre vale il contrario e questo dipende soprattutto da differenti capacità tattiche, visto che come potenzialità sono lì. Come si fa a dire chi è più forte dei due? Posso però dire che Van Aert dà più affidamento. A me piacciono gli Avengers… Si fa sempre il confronto tra chi sia il supereroe più forte, se Thor o Hulk. Ecco, VdP è uno degli Avengers, Van Aert è uno tra Thor e Hulk.

Con questa metafora hai vinto, Michele! Torniamo al mondo reale. Van Aert dà più affidamento, però in questa stagione del cross tra i due ha dominato Van Aert, ma magari il mondiale lo vince VdP come quale anno fa…

Se VdP indovina la tattica lo fa per fortuna e quando va così può vincere. Il cross poi, anche se non sembra, è una disciplina estremamente tattica, che richiede la gestione di ogni singolo metro di gara molto più della strada: la curva, lo sforzo, l’ostacolo… e in questo Van aert è più preciso. Può capitare quindi che quella volta su dieci che vince VdP possa essere il mondiale.

VdP ha grande tecnica e tende a scendere meno di sella rispetto a Van Aert (comunque un asso anche lui)
VdP ha grande tecnica e tende a scendere meno di sella rispetto a Van Aert (comunque un asso anche lui)
Hai parlato di tattiche un po’ sconsiderate, di fare ciò che gli passa per la mente: per te incide il fatto che l’olandese sia anche un biker? E quindi abbia una mentalità più “free”?

Questo non lo so di preciso, ma ci sta che derivi da lì. Semmai credo sia più una questione caratteriale. Se Mathieu non si diverte, si annoia… E fa quello che poi vediamo.

Invece il Michele Bartoli preparatore che giudizio dà dei due?

Da quello che si vede, Van Aert alla soglia aerobica riesce ad esprimere più qualità: lo si è visto anche al Tour e alle sue prestazioni in salita. Per fare quel che ha fatto un corridore della sua stazza deve avere una soglia aerobica enorme, un motore gigantesco. Mentre Van der Poel ha maggior capacità lattacida. 

Se dovessimo metterli di fronte ai cinque monumenti: chi vedresti favorito?

Immagino dovrei escludere il Lombardia e la Liegi e quindi per Sanremo, Fiandre e Roubaix sono lì.

Mettiamoci anche Liegi e Lombardia, che tra l’altro Van Aert ha detto di voler fare…

Beh, se devo considerare anche queste due allora prendo ancora Van Aert. Ricordo la Tirreno 2021 quando volle tenere duro dietro a Pogacar in salita. Pensavo: «Ma questo è pazzo, che tiene a fare?». Invece aveva ragione, perché per poco non vinse la generale. Pertanto se tiene in quelle tappe mi dà più garanzie per Liegi e Lombardia. Van der Poel invece con la sua esplosività lo vedo un pelo meglio in ottica Sanremo. Chiaro, parliamo sempre di gare di un giorno in cui tutto può succedere.

A crono?

Ritorno al discorso del motore. Van Aert è fortissimo. Nelle crono lunghe non c’è storia, mentre in un prologo o in una crono corta Van der Poel può essere anche avvantaggiato. Però nelle crono lunghe, specie in quelle dei grandi Giri, Van Aert è inavvicinabile.

E in volata, Michele?

Nel testa a testa secco forse è meglio Van der Poel, più che altro perché nelle volate a ranghi ristretti in cui in teoria lo sprint parte da velocità più basse l’olandese può sfruttare la sua potenza e la sua esplosività. Mentre in una volata di gruppo, in cui si arriva a velocità più alte, è avvantaggiato Van Aert.

Guardiamo il loro calendario tra ciclocross e strada, cosa ti aspetti anche in ottica futura?

Mi stupisce che abbiano tanta continuità nel fare la doppia attività e nel farla a quel livello. E’ di una difficoltà enorme, credetemi. Però la gestiscono bene. Gestiscono con attenzione i loro calendari, anche perché i risultati che raccolgono parlano chiaro. E riescono sempre ad avere le forze necessarie. Magari arriverà il momento che non faranno più le due discipline, però è anche vero che non sono più due ragazzini. Hanno trovato il loro equilibrio, almeno fisico. Perché io lo dico sempre ai miei atleti: «Se sei stanco, con una buona cena e una bella dormita, la mattina dopo recuperi fisicamente, ma mentalmente?». Se fai troppa attività rischi che alla lunga ti passa la voglia.

“Zona 3” o “medio”: la base per costruire una stagione

07.11.2022
5 min
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Le vacanze per i corridori stanno lentamente terminando, il periodo di pausa è finito e tra poco si inizierà a parlare della nuova stagione. La ripresa dell’attività è un argomento importante, visto che fin dalle prima fasi della preparazione bisogna lavorare bene per arrivare pronti nel cuore della stagione (nella foto Instagram di apertura Evenepoel in ritiro con la QuickStep Alpha Vinyl nello scorso inverno). L’anno scorso con Michele Bartoli ne avevamo parlato in generale. Questa volta entriamo nello specifico, approfondendo il tema del “medio” o “zona 3”. 

Ad inizio stagione è meglio lavorare sui dati della frequenza cardiaca, sono più affidabili
Ad inizio stagione è meglio lavorare sui dati della frequenza cardiaca, sono più affidabili
Innanzitutto c’è differenza tra frequenza cardiaca e watt?

Sostanzialmente – spiega Bartoli – tra cardio e potenza non dovrebbe esserci alcuna differenza. All’inizio della stagione però, soprattutto alla ripresa dell’attività, è meglio lavorare sulla frequenza cardiaca e non sui watt. 

Come mai?

Perché nelle prime due o tre settimane si ha un affaticamento precoce del fisico. Se si dovesse guardare ai watt, avremmo un avanzamento nelle altre zone di lavoro, come zona 4 o addirittura zona 5. 

Quindi i dati sulla frequenza cardiaca, ad inizio stagione hanno più valore?

Assolutamente, mantenere la zona di medio (o zona 3, ndr) della frequenza cardiaca ci permette di lavorare con più serenità. Anche perché ora al medio mantieni i 200 watt, più vai avanti nella stagione più questo numero aumenta, mantenendo sempre uguale la zona cardiaca. 

Le prime 3-4 settimane di lavoro sono uguali per tutti: tanto volume e meno qualità
Le prime 3-4 settimane di lavoro sono uguali per tutti: tanto volume e meno qualità
Si tratta di costruire una solida base di lavoro…

Il medio alla fine è quel valore che ti permette di lavorarci sopra. Potremmo definirlo come le fondamenta di una casa: più queste sono solide più la casa sta in piedi. Aumentare il volume di lavoro permette poi di aumentare i parametri man mano. Il lavoro in zona 3 permette di lavorare meglio poi quando aumentano i volumi, ovvero si passa a carichi massimali.  

Questo allenamento ha un impatto anche sui picchi di forma? 

Certamente, più base fai più i picchi di forma durano più a lungo. Inizialmente bisogna lavorare sull’equilibrio, una volta trovato si fanno lavori su zone più alte.

Quando si lavora sul fondo si fanno comunque dei lavori specifici o no?

Sì, io faccio fare lavori di forza e di ritmo, rimanendo sempre nella frequenza cardiaca di medio. 

Per i velocisti i lavori specifici iniziano presto: bisogna farsi trovare subito pronti
Per i velocisti i lavori specifici iniziano presto: bisogna farsi trovare subito pronti
Si guarda anche ad altri parametri, come la soglia del lattato?

Fino a qualche anno fa si pensava che la soglia del lattato fosse di 4 millimoli per tutti i corridori, ma non è così. Se si fa una media si rimane intorno a quel valore, ma qualcuno lo ha più alto e qualcuno meno. Il lattato fornisce dei dati sulle condizioni e miglioramenti nei test ma non fornisce altro. Si aggiusta il carico di lavoro in base ai test che si fanno, ad ogni livello di lattato corrisponde un carico di lavoro, tenendo sempre conto dei periodi. Magari a inizio stagione a 3 millimoli si hanno 200 watt, mentre a metà stagione 300. Questi valori sono di per sé dei riferimenti ma non dei dati su cui lavorare. 

E per quanto riguarda la soglia aerobica?

Qui ci sono già più riferimenti da prendere e soprattutto si iniziano a fare più differenziazioni tra i vari corridori. Un atleta che ha come obiettivo le gare a tappe avrà una mole di lavoro maggiore sul medio. Il punto è che tutti lavorano al medio ma lo fanno in maniera differente: chi deve correre a gennaio in Australia ci lavorerà di meno. 

Quando si iniziano a fare le prime differenziazioni?

Il lavoro considerato di “risveglio” è uguale per tutti: le prime tre o quattro settimane per intenderci. Poi ci si allena ognuno secondo il suo campo. 

Chi ha come obiettivo i grandi Giri farà tanto volume, c’è bisogno di benzina per massimizzare i periodi di forma
Chi ha come obiettivo i grandi Giri farà tanto volume, c’è bisogno di benzina per massimizzare i periodi di forma
Gli allenamenti in zona 3 portano benefici anche ad altri parametri?

Sì, lavorando bene in zona 3 si alzano i livelli generali e si portano in alto i limiti. Si migliora la zona 4, la soglia e anche il VO2 max

Il medio è un valore che in gara si riesce ad allenare?

Se si guarda ai file delle gare si nota che o si va a tutta, quindi zona 5, oppure al lento, quindi zona 2. Ci sono dei passaggi al medio, ma sono così brevi che non si massimizzano. In gara si tende a perdere il lavoro fatto al medio, questo perché si tratta di un lavoro “costruttivo” quindi che si fa in allenamento.

Di questi allenamenti si fanno anche dei richiami durante la stagione?

Di medio, per quanto mi riguarda, più se ne fa meglio è. Si cura all’inizio perché è la prima prova di sforzo importante, non si può saltare subito oltre. Non si sarebbe neanche pronti metabolicamente a sopportare zone di lavoro più alte. Si rischierebbe di andare in condizione prima ma sarebbe una “condizione fantasma” che dopo 20 giorni sparisce.

Lo stacco di fine stagione: ce lo spiega Bartoli

13.10.2022
5 min
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L’autunno porta con sé tanti cambiamenti, l’aria diventa più frizzante, gli alberi cambiano d’abito, passando dal verde vivo al rosso. Le giornate si accorciano inesorabilmente, con la notte che viene ad accoglierci sempre più presto. Per i corridori l’autunno coincide con la fine della stagione agonistica, inizia il periodo di stacco. Ma come si affronta? Cosa è meglio fare?

C’è chi preferisce abbandonare subito la bici per riprenderla all’inizio di novembre. Poi c’è chi si dedica alla stagione del cross, come ad esempio Van der Poel (foto di apertura). Al contrario, c’è anche chi non vuole lasciare in cantina il mezzo troppo presto e godersi ancora qualche giorno di pedalata. “No more racing, still riding” (niente più gare, solo passeggiate, ndr) così scrive in una storia Instagram Mohoric. Per analizzare quello che lo stacco autunnale comporta è meglio però chiedere ad un esperto come Michele Bartoli.

Il consiglio di Bartoli è il riposo assoluto, fondamentale per recuperare le energie fisiche e mentali
Il consiglio di Bartoli è il riposo assoluto, fondamentale per recuperare le energie fisiche e mentali

Obiettivi diversi

Per i corridori iniziano le vacanze, ma non si potrebbe dire altrettanto per tecnici e preparatori. Loro, imperterriti nel lavoro e nella programmazione, iniziano a lavorare già sugli impegni futuri. Quando chiamiamo Bartoli, è in pieno svolgimento una riunione per i suoi ragazzi dell’Academy, Michele ci ripromette di chiamarci al più presto e noi attendiamo.

«Innanzitutto – inizia a raccontare Bartoli – dipende dal programma che un corridore ha. Ci sono atleti che ripartono dall’Australia, quindi a metà gennaio devono già essere in condizione. Questi ragazzi, di conseguenza, anticipano il termine della stagione, il riposo e anche la ripresa degli allenamenti. Anche perché in Australia ci sono gare WorldTour (il Tour DownUnder e la Cadel Evans Great Oceans Road Race, che tornano dopo la pausa Covid, ndr), quindi chi ci va ha voglia di fare bene». 

Con il ritorno delle corse in Australia la preparazione cambierà, soprattutto per gli sprinter: qui Viviani nel 2019 alla corsa di Evans
Si torna in Australia e cambia la preparazione degli sprinter: qui Viviani nel 2019 alla corsa di Evans

Consiglio: riposo assoluto

In gergo il periodo che intercorre tra la fine della stagione e l’inizio della preparazione si chiama “stacco”. Non è un caso, il senso di quei giorni è proprio quello di spegnere il motore e riposare, dimenticare la bici in box e fare altro.

«Ci sono varie metodologie – riprende – io consiglio di fare fra le tre e le quattro settimane di riposo, anzi di ozio assoluto. Se proprio uno non riesce a stare fermo, può fare un po’ di attività ma ad intensità davvero bassa. Io personalmente preferivo fermarmi completamente, anche perché poi la stagione è lunga e piena di gare, si fa fatica a fermarsi quando si è in piena attività.

«Non staccare comporta delle conseguenze negative, che magari non si vedono nell’immediato, ma hanno degli effetti negativi a lungo andare. Si deve riposare più per la mente che per il corpo, se si riparte anche al 99% non va bene. Pensate a far così stagione dopo stagione, quell’uno per cento che perdiamo si accumula fino ad arrivare ad un punto di non ritorno. Poi si sente dire: “E’ andato forte per 4 anni e poi si è spento”. Ma se ogni anno tiri la corda, questa prima o poi si spezza».

Il riposo è fondamentale per presentarsi con la giusta condizione e motivazione agli impegni di inizio stagione
Il riposo è fondamentale per presentarsi con la giusta condizione e motivazione agli impegni di inizio stagione

Metodo a ritroso

Le squadre ora hanno molti atleti tra le loro file, questo porta ad avere altrettanti metodi di lavoro e di allenamento. 

«Rispetto a quando correvo io – spiega Bartoli – non è cambiato il numero di gare, ma la loro distribuzione. Ora si corre tanto fuori dall’Europa, il riposo a casa, per logica conseguenza diventa minore. Per questo lo “stacco” diventa fondamentale, l’autunno è l’unico periodo dove ci si può fermare tutti. Ora le squadre fanno lunghi periodi di preparazione al caldo, negli anni ’90 era raro, io mi spostavo spesso per allenarmi, ma ero uno dei pochi. Un corridore era influenzato anche dalla zona d’Europa o del mondo nella quale viveva. Alcuni atleti spagnoli facevano fatica a fermarsi ad ottobre perché da loro faceva caldo e la voglia di pedalare rimaneva. Sfruttavano più a lungo l’autunno, ma nel tempo si è arrivati a capire che era un errore. Il segreto, dal mio punto di vista, è andare a ritroso dalla prima data di corsa, così riesci a costruire i giusti periodi di lavoro».

Stacco e bilancia

E’ inevitabile che nel periodo di pausa dall’attività agonistica i ciclisti prendano qualche chilo, d’altronde lo “stacco” passa anche dalla tavola, ma bisogna sempre avere un occhio di riguardo…

«Io stesso – conclude Michele – collaboro con dei nutrizionisti, sono dell’idea che per fare un buon lavoro ognuno debba fare il suo. Nel periodo autunnale è consigliabile prendere qualche chilo, per dare anche salute al muscolo.

«Il periodo di “stacco” alimentare va di pari passo con quello atletico, i corridori non posso pensare di mantenere la stessa dieta anche in vacanza. Il consiglio fondamentale che mi sento di dare è quello di non esagerare, è comunque il loro lavoro, va bene distrarsi ma non troppo. Anche perché, se si sforano i canonici 4-5 chili poi questo ha delle ripercussioni sulla ripresa dell’attività, portandoti a fare troppa fatica fin da subito».

Scalatori puri in via di estinzione? Un fatto di preparazione

26.06.2022
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Come si fa sempre più dura i velocisti puri, anche per gli scalatori altrettanto puri non corrono tempi facilissimi. Da quel che ci disse Locatelli, circa lo sviluppo dei ragazzi qualche tempo fa, e da quello che ci hanno detto i direttori sportivi al Giro d’Italia U23, nell’inchiesta uscita ieri, di certo qualcosa si muove (in apertura Van Eetvelt, foto Isola Press).

Come nostra abitudine, abbiamo coinvolto due preparatori di estrazione diversa, sia per le epoche in cui hanno corso, sia per le caratteristiche fisiche che avevano. Stiamo parlando di Michele Bartoli e Alessandro Malaguti.

Michele Bartoli
Michele Bartoli (classe 1970) ha smesso di correre nel 2004, oggi è un preparatore
Michele Bartoli
Michele Bartoli (classe 1970) ha smesso di correre nel 2004, oggi è un preparatore

Bartoli sale in cattedra

«A mio avviso – dice Bartoli – la figura dello scalatore non sta sparendo, ma sta cambiando. Si sta evolvendo perché stanno cambiando le preparazioni. Oggi si hanno molte più informazioni, queste sono alla portata di tutti e tutti migliorano le performance. Vai a colmare i tuoi buchi, le tue lacune.

«Mi spiego. Ai miei tempi, il passista faceva il passista, il velocista faceva il velocista, anche in allenamento. Entrambi non dico che se ne fregavano della salita, ma quasi. Invece oggi tutti, dai velocisti agli scalatori, limano il peso, curano ogni zona del copro al 100%, fanno core stability e di conseguenze le prestazioni si appiattiscono, ma si appiattiscono in alto.

«Pantani, che è il simbolo dello scalatore, non credo si sia mai davvero allenato a crono. Oggi lo scalatore che punta alla classifica prende due volte a settimana la bici da crono e questo gli consente di andare forte anche su altri terreni. Anche il velocista cura la crono, specie se c’è un prologo in vista e a seguire tappe piatte dove vincendo può prendere la maglia di leader».

In pianura velocità sempre più alte: lo scalatore puro e leggero fa più fatica (foto Isola Press)
In pianura velocità sempre più alte: lo scalatore puro e leggero fa più fatica (foto Isola Press)

Passisti-scalatori avvantaggiati

Carlo Franceschi, il manager della Mastromarco Sensi Nibali, ci aveva detto che dovendo inseguire le vittorie, il ragazzino scalatore rischia di restare nascosto. E serve un buono scouting per non perderlo. E allora ci si chiede: alla lunga anche lo scalatore giovane sta cambiando?

«Per me – riprende Bartoli – cambia perché è una necessità generale. Ma ritorno al discorso di prima. Tu oggi sai che certi esercizi ti fanno andare forte, a prescindere da che tipo di corridore sei. Il core stabity per esempio ha inciso molto. Ai miei tempi io ogni tanto negli allenamenti invernali inserivo un po’ di leg press, ma tutto il resto… zero.

«Ne guadagna il passista scalatore? Sì, questa teoria ci può stare. Magari un Van Aert venti anni fa non ci sarebbe stato. Lo avrebbero fatto correre “solo” per il Fiandre e qualche corsa veloce e invece te lo ritrovi a crono, in volata, nelle classiche e sul Ventoux. Ha lavorato sulla percentuale di grasso corporeo, sulla resistenza aerobica ed ecco che ti può vincere anche una Tirreno».

«Questa cosa, forse perché l’avevo intuita già all’epoca, la dicevo a Petacchi, compagno di tanti allenamenti. Gli dicevo di non mollare dopo la Sanremo, di non curare solo le volate che con quel fisico, e qualche lavoro diverso, avrebbe potuto vincere un Fiandre».

Alessandro Malaguti (al centro) con i ragazzi della #inEmiliaRomagna: segue loro e alcuni professionisti
Alessandro Malaguti (al centro) con i ragazzi della #inEmiliaRomagna: segue loro e alcuni professionisti

Ecco Malaguti

Da Bartoli passiamo ad Alessandro Malaguti. La cosa sorprendente è che sostanzialmente il discorso non cambia: contano le nuove preparazioni.

«Se nel ciclismo moderno resiste ancora la figura dello scalatore puro? Rispondo “ni”, ma più no che sì. Semmai – dice il preparatore romagnolo – è cambiata la tipologia delle gare. Sono aumentate le velocità e il classico scalatore colombiano fa più fatica. Anche perché molto spesso oggi non sanno guidare bene la bici (prendono aria, non limano, ndr) e in questo modo faticano di più in pianura e arrivano più stanchi ai piedi della salita».

E quest’ultimo aspetto tutto sommato ce lo ha confermato anche ieri il piccolo Juan Carlos Lopez.

«Il secondo punto principale riguarda le tecniche di allenamento. Tutti si allenamento al massimo e tutti prima di essere ciclisti sono atleti. Queste sono anche le direttive della Fci. E alla fine vediamo che nel tappone del Fedaia arrivano ai 10 chilometri dall’arrivo in 50-60 corridori tutti insieme».

Evenepoel è piccolo di statura (170 centimetri) eppure spinge fortissimo anche sul passo
Evenepoel è piccolo di statura (170 centimetri) eppure spinge fortissimo anche sul passo

La statura non conta

Anche a Malaguti poniamo il discorso sui giovani, ai quali è richiesta una maturazione sempre più precoce. E lo scalatore che di base dovrebbe essere il più piccolo e meno sviluppato resta nell’ombra.

«Che il piccolo resti dietro perché è meno sviluppato ci può stare – dice Malaguti – ma non perché sia scalatore o meno. Semplicemente perché è indietro. Da un punto di vista meramente tecnico deve continuare a lavorare su tutti i fronti. In particolare mi riferisco al rapporto potenza/peso, che è quello che più di tutti conta.

«E in tal senso dico: non facciamoci ingannare dalla statura. Guardiamo Evenepoel. E’ piuttosto basso e l’altro giorno ha vinto il campionato nazionale a crono stracciando i suoi avversari. E lo stesso vale per il giovane Martinez».

Fanno ancora male gli scatti di Landa?

26.05.2022
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Chi ieri li ha visti passare sul Vetriolo e poi sul Menador, spettacolare salita finale scavata dai militari nella roccia, ha avuto la sensazione che i primi andassero piano. Che quei rapporti quasi da mountain bike nascondessero più che un diverso stile di pedalata una mancanza di forza. Facce scavate, scatti accennati. Soprattutto da Landa ci si aspettava qualcosa di più, avendo negli occhi le accelerazioni di un tempo.

L’impressione è che i tre di testa e Almeida subito dopo si siano sistemati su un valore di potenza sostenibile e che Landa nei suoi attacchi abbia… inflitto agli altri delle tirate prolungate per capire se reggessero lo sforzo. Non scatti, ma serie di progressioni.

Mikel Landa è nato il 21 dicembre 1989, è professionista dal 2011, è alto 1,73 e pesa 60 chili
Mikel Landa è nato il 21 dicembre 1989, è professionista dal 2011, è alto 1,73 e pesa 60 chili

Livellamento fra i primi

«La sensazione – dice Michele Bartoli che del basco è l’allenatore – è che non ci sia troppa diversità di prestazione fra i primi tre. Questa volta, Mikel è arrivato al Giro in condizione e magro. Ma è difficile aspettarsi a questi livelli lo scatto secco. Anche perché se fai uno scatto forte e poi ti fermi, gli altri vengono sotto spendendo meno. Se riguardate la sua storia, Landa ha sempre dovuto attaccare di rimessa perché era al servizio di un leader. Quando nel 2015 Aru si staccava da Contador, Mikel chiudeva il buco. Alberto faceva il lavoro di sfiancamento e poi lui partiva in contropiede. Sembrava che fosse uno scatto, in realtà erano accelerazioni cui gli altri non riuscivano a rispondere».

Da quest’anno il toscano è uno degli allenatori del Team Bahrain Victorious e ieri avrebbe voluto essere al Giro, dato che la tappa l’ha vinta Buitrago, uno degli atleti che segue direttamente. Lo abbiamo interpellato per capire cosa possiamo aspettarci da Landa: lo scalatore più scalatore fra i primi della classifica, che a causa del passaggio a vuoto di Torino (36 secondi persi da Carapaz), si ritrova terzo in classifica con 1’05” di ritardo.

Che cosa gli è successo a Torino?

Allergia. Mikel è un po’ allergico, ero andato anche a studiare la tappa e ho visto una vegetazione… tremenda. Mi sono detto: se supera questa, siamo a posto. Me ne sono reso conto la mattina, potevamo farci poco. Senza quei secondi, oggi sarebbe molto più vicino in classifica.

Forse, viste le sue caratteristiche, finora in questo Giro è mancato il vero arrivo in salita?

Vero, a parte il Blockhaus che però era il primo e non sapevano ancora come stessero gli altri. Per cui si sono presi le misure e alla fine sono arrivati in cima tutti insieme. Nell’arrivo in salita dai tutto e vada come deve andare

Il Blockhaus è stato finora l’unico arrivo in salita del Giro, in cui i primi si sono studiati
Il Blockhaus è stato finora l’unico arrivo in salita del Giro, in cui i primi si sono studiati
Infatti l’impressione è che aspettino tutti la Marmolada di sabato.

Quello effettivamente è un arrivo in salita vero, ma lassù secondo me più che per caratteristiche si andrà per energie rimaste. Mikel normalmente è uno che nella terza settimana dei grandi Giri ha sempre fatto bene.

Visto che scatta per stancarli, non sarebbe stato meglio che Buitrago fosse rimasto con lui anziché andare in fuga, aiutandolo a fare il forcing?

Normalmente i corridori in fuga vengono fermati quando ci sono dei tratti in pianura e hai bisogno che ti tirino. Ma lì in salita, la differenza la fai o non la fai. E poi con Mikel c’era Poels, che è andato fortissimo…

Poels ha assistito Landa per gran parte della salita finale
Poels ha assistito Landa per gran parte della salita finale
Ecco, la sensazione vedendolo staccarsi e poi rientrare è stata che davanti allungassero e poi si fermassero.

Non è così, sono sempre andati a tutta. Poels rientrava perché in salita è forte. Anche quando era con Sky, spesso davanti rimanevano soltanto lui e Froome. Ieri tutta la squadra ha corso benissimo e ha fatto quello doveva. Hanno raccolto il massimo di quello che era disponibile. 

Quindi Landa sta bene?

Vedo equilibrio. La violenza degli scatti, il fatto che facciano male oppure no dipende anche da quanta energia hanno gli avversari. Se quelli mollavano, sarebbe sembrato uno scatto violento. In realtà, aumenti quel poco che ti fa fare la differenza e speri che sia uno scatto redditizio. Poi in televisione non te ne accorgi dell’intensità che metti. Se uno ti viene dietro, sembra che tu non abbia neanche aumentato, però se guardi i watt lo vedi

Michele Bartoli
Michele Bartoli ha 52 anni. Da quest’anno è uni dei preparatori del Team Bahrain Victorious
Michele Bartoli
Michele Bartoli ha 52 anni. Da quest’anno è uni dei preparatori del Team Bahrain Victorious
Dici che il Giro è ancora aperto?

Speriamo proprio di sì. E’ un bel Giro d’Italia, avrei messo qualche arrivo in salita in più. Anche il Mortirolo fatto da quel versante era meno duro del solito e ha fatto meno selezione. Però non puoi dire che non sia un Giro duro, solo è stato disegnato in modo che la parte tattica conti di più.

Chirico: debutto in Turchia a metà aprile, come si è preparato?

23.04.2022
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Luca Chirico ha dato il via alla sua stagione solamente al Giro di Turchia (foto apertura Getty Images), dopo più di due mesi rispetto al resto del gruppo. Tutto sommato non si è affatto comportato male, sempre davanti ed un 18° posto nella classifica finale. Il Giro di Turchia, il cui nome completo è Presidential Tour of Turkey, non è di certo una gara estremamente impegnativa, ma neanche Luca si sarebbe aspettato di andare così bene, perché sono stati mesi complicati.

«E’ da un po’ che non ho molta fortuna – dice con un misto di tristezza tra una risata e l’altra il corridore della Drone Hopper Androni – sei mesi fa, ad ottobre, mi sono rotto la clavicola. Ho dovuto rallentare la preparazione, riprendendo la bici solamente a fine novembre». 

Il Giro di Turchia è un’ottima gara per iniziare, il clima mite permette di correre e recuperare al meglio (foto Instagram)
Il Giro di Turchia è un’ottima gara per iniziare, il clima mite permette di correre e recuperare al meglio (foto Instagram)
Vi avevamo incontrati in ritiro in Spagna e tu stavi facendo dei lavori a parte.

Già, al ritiro di fine novembre con la squadra non avevo fatto grandi lavori di preparazione, mantenendo un ritmo più blando perché ero in fase di recupero. A dicembre avevo iniziato ad allenarmi con più intensità, ed il programma, in accordo con la squadra, era di fare un paio di corse a Mallorca per prendere il ritmo gara. Poco prima di partire, ho preso il Covid e sono saltate anche quelle.

Con il Covid quanto ti sei dovuto fermare?

In realtà poco, non ho avuto particolari sintomi, sono stato fermo 5-6 giorni e subito dopo mi sono negativizzato. Si era deciso di ripartire con il Gran Camino, ma il 25 febbraio in allenamento sono caduto e mi sono rotto il quinto metacarpo. La degenza è durata sei settimane, poi io in accordo con la squadra ho deciso di prolungare leggermente la convalescenza, decidendo di ripartire dal Giro di Turchia.

La condizione di Chirico è aumentata tappa dopo tappa (foto Instagram)
La condizione di Chirico è aumentata tappa dopo tappa (foto Instagram)
Una preparazione a “macchie” con tanti giorni di stop, come hai fatto a trovare la condizione?

Nonostante tutte le sfortune, ho avuto un bel mese di dicembre, nel quale i carichi di lavoro sono stati normali. Il Covid non mi ha destabilizzato molto, anche perché arrivavo da 4 giorni di carico, quindi è stato un “recupero” forzato.

E la frattura?

Quella mi ha tenuto fermo pochi giorni, solamente una decina, poi ho fatto un tutore apposito in una clinica di Lugano e sono tornato ad allenarmi su strada. Prima di andare in Turchia sono andato 15 giorni a Livigno, dal 23 marzo al 5 aprile, il giovedì siamo partiti. Mi ha aiutato molto mettere il focus su una gara, per gestire il rientro ed i carichi di lavoro.

Come hai lavorato?

Nei giorni successivi alla frattura, ho fatto qualche sessione di rulli, dalla mezz’ora all’ora e mezza. Sono stati utili per non rimanere completamente fermo e mantenere un discreto ritmo.

Prima di partire per la Turchia, Luca Chirico ha affrontato un ritiro di 15 giorni in altura (foto Instagram)
Prima di partire per la Turchia, Luca Chirico ha affrontato un ritiro di 15 giorni in altura (foto Instagram)
In altura?

Lì mi trovo molto bene a lavorare, riesco a concentrarmi e fare la vita da atleta al cento per cento. Di base sono uno che si allena bene, non mi tiro mai indietro. Preferisco andare in ritiro, anche da solo. Ho visto che nelle gare di ritorno dall’altura riesco ad andare sempre bene.

Il ritmo gara ormai è fondamentale per entrare in condizione, come lo hai sostituito?

Con il mio preparatore, Michele Bartoli, ho fatto un piano di allenamento improntato su tante ore con degli allenamenti ad alta intensità. Su 5 ore di lavoro, allenavo molto la forza, ma soprattutto i cambi di ritmo.

Quelli li facevi in salita immaginiamo.

Sì, sceglievo una salita a lunga percorrenza, per esempio il Foscagno. All’inizio facevo i primi 20 minuti a ritmo medio. Poi, più vicino alla cima, inserivo i cambi di ritmo o le ripetute. Questo per avvicinarmi di più alla quota dei 2.000 metri e lavorare anche per massimizzare il consumo di ossigeno. 

Prima di partire per la Turchia si è allenato spesso con l’amico Diego Ulissi (foto Instagram)
Prima di partire per la Turchia si è allenato spesso con l’amico Diego Ulissi (foto Instagram)
Il confronto con Bartoli com’è?

Direi che è costante, siamo spesso in contatto. Lui ti fornisce la tabella con i lavori e poi ti chiama per discuterla insieme. Ci confrontiamo anche sui numeri e sui valori, io solitamente li faccio controllare a lui, ma poi mi piace curiosare. Vedevo che i valori corrispondevano a quelli degli altri ritiri in altura che facevo gli anni precedenti.

Sei arrivato con più certezze in Turchia?

Anche se sai di aver lavorato bene hai sempre il dubbio sul livello degli altri. I più grandi dubbi sono sulla resistenza e sul ritmo di gara nelle grandi distanze. Il Giro di Turchia però è stata la corsa perfetta per rientrare, 8 giorni di gara, di cui 2 sopra i 200 chilometri. Poi c’erano tappe di “recupero” con chilometraggio ridotto e poco dislivello (ad esempio la terza, 118 chilometri piatti, ndr). 

Quindi la condizione è in crescendo?

Considerate che la sfortuna non mi abbandona, sono tornato dalla Turchia e stavo poco bene, ho provato la temperatura ed avevo qualche linea di febbre. Per fortuna tampone negativo, è una forma di polmonite che sono riuscito ad individuare presto, evitando complicazioni. Ora sono ancora sui rulli, forse nei prossimi giorni parto per il Giro della Grecia, vediamo come sto.

Sul Muro d’Huy, la vendetta di Teuns su Valverde

20.04.2022
5 min
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«Sono contento – dice Valverde – sono stato bene tutto il giorno e molto vicino alla vittoria. Sono mancate un po’ di gambe. Abbiamo fatto un bel lavoro di squadra, ma nel finale Teuns è stato superiore. Si è meritato questa Freccia, la mia ultima Freccia Vallone. Ho avuto buone sensazioni, credo che per domenica sarò pronto».

Il Re del Muro

Lo spagnolo ha fatto tutto alla perfezione, ma quando si è trattato di cambiare ritmo per l’ultima volta, ha scoperto che Dylan Teuns aveva più forza di lui e si è seduto. La Freccia Vallone si è conclusa sul Muro d’Huy strapieno di gente e profumi. Il Belgio si è riappropriato delle sue corse, come i francesi domenica a Roubaix hanno presidiato le stradine del pavé. Seguendo il copione di sempre, dato che tutte le squadre lavorano per arrivare col gruppo ai piedi del Muro, i migliori si sono giocati la corsa sullo storico strappo. E quando s’è capito che la vittoria stava sorridendo a un belga, la folla è esplosa.

«Cinque anni fa – dice Teuns – ero ugualmente con Valverde, ma non riuscii a rispondere alla sua accelerazione e arrivai terzo (era il 2017, anno dell’ultima Freccia del Bala, ndr). Per questo oggi è speciale avere come secondo alle mie spalle il Re del Muro, sono super orgoglioso. Per lui ho grandissimo rispetto. Non credo che a 42 anni sarò ancora in gruppo, ma vedrò queste corse dal divano di casa. Ma soprattutto non so se a 42 sarei in grado di andare così forte».

La vittoria nata, a detta di Teuns, nel buon recupero dopo il Covid
La vittoria nata, a detta di Teuns, nel buon recupero dopo il Covid

Ricordando Ciccone

Teuns è quello che fece andare di traverso il Tour del 2019 a Ciccone. Per fortuna alla Planche des Belles Filles per l’abruzzese arrivò la maglia gialla, altrimenti l’impatto della sconfitta di giornata sarebbe stato ben più pesante…

«Ma c’è una grande differenza – spiega il corridore del Team Bahrain Victorious – fra quella tappa e la corsa di oggi. Allora vinsi in una fuga di corridori forti, oggi ho vinto lasciandomi dietro tutti i migliori. Dire perché io vada bene sulle pendenze estreme rischia di essere banale. Potrei spiegarlo col fatto che sono molto leggero, la verità è che faccio anche io fatica come gli altri. Mentre più degli altri soffro lo stress. Prima dell’inizio del Muro mi sono tormentato per arrivarci nella giusta posizione. Poi però ho cercato di non pensare più a niente. Quando è partito Valverde, ho pensato che fosse il punto giusto anche per me. L’ho visto che risaliva, ma per fortuna avevo ancora un po’ di margine per accelerare ancora».

Soggetto a stress

Michele Bartoli, che lo allena, parla di un rapporto eccezionale con il belga. E segnatamente aggiunge che Teuns ha sempre avuto capacità di grandi prestazioni, ma gli era mancato finora il risultato che desse sicurezza.

«Non credo di aver mai dubitato di me e dei miei mezzi – dice – ma diciamo che ho passato la vita a combattere le pressioni che altra gente mi metteva addosso. Sono uscito bene dal Catalunya e sono arrivato alle prime classiche con buone sensazioni. Ho sofferto più ad Harelbeke che sul pavé della Roubaix, anche se quella convocazione mi ha spiazzato. Ci voleva un po’ di fortuna. Stavo bene anche all’inizio dell’anno alla Valenciana, ma ho preso il Covid. Credo che questa vittoria sia nata lì. Non sono andato nel panico. Per un po’ ho stressato il dottore della squadra, poi dopo 10 giorni senza bici e con il tampone finalmente negativo, ho cominciato ad allenarmi bene, cambiando programma e restando calmo. No Parigi-Nizza, sì Catalunya. E con l’aiuto di Bartoli le cose hanno iniziato a girare bene soprattutto in queste ultime settimane. Il suo modo di lavorare mi trasmette fiducia. Abbiamo preparato queste corse e adesso tutto funziona».

Un russo che corre

Il baccano nella strada si è attenuato. Resta il picchiettare dei giornalisti sulle tastiere nella sala stampa, mentre con un sorriso vagamente amaro salutiamo Vlasov, venuto a raccontare il suo terzo posto. Quando gli abbiamo chiesto se si senta fortunato a poter correre, nonostante sia russo, ha risposto allargando le braccia. «Io sono un corridore – ha detto – questo è il mio lavoro, per cui certo che mi sento fortunato».

Vorrebbero sentirsi così anche i corridori della Gazprom, ma ancora una volta nessuno si è degnato di dare loro una risposta.

Fare solo corse a tappe in vista dei grandi Giri. Giusto o sbagliato?

14.04.2022
5 min
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Allenarsi per un grande Giro facendo solo, o quasi, corse a tappe. E’ giusto? E’ sbagliato? Molti atleti stanno adottando questa strategia di preparazione. Perché? Rigoberto Uran per esempio è uno di quelli che sin qui ha preso parte solo a corse a tappe. E la stessa cosa vale per Mikel Landa: prima del Giro d’Italia farà, forse, solo la Liegi visto che è impegnato al Tour of the Alps. In pratica sarebbe come fare una tappa in più. Anche Primoz Roglic più o meno è sulla stessa lunghezza d’onda. E Daniel Martinez addirittura ha fatto solo una corsa di un giorno.

A tal proposito, fece quasi scalpore la richiesta dello sloveno di prendere parte ad una piccola corsa francese di un giorno prima della Parigi-Nizza dopo essere sceso dall’altura. Questo “abuso” delle corse a tappe è un argomento curioso di cui abbiamo voluto parlare con Michele Bartoli, coach di tanti pro’.

Michele, solo corse a tappe prima di un grande Giro: quali vantaggi e svantaggi ci sono?

Premesso però che Rigo farà anche la Freccia e la Liegi. Quest’anno è stato spesso malato, ed anche per questo ha iniziato solo alla Tirreno, dalla quale per altro ne è uscito con la febbre. Io non credo si debba parlare di svantaggi o svantaggi in questa scelta delle corse a tappe, quanto piuttosto di opportunità di risultato. Un Roglic ha minor possibilità di vincere un Fiandre, una Liegi o una Sanremo, piuttosto che una Parigi-Nizza o un Catalunya. E questo incide molto sulla scelte delle corse che si andrà a fare.

E sul piano strettamente legato alla preparazione cosa cambia?

La gara di un giorno porta con sé tante dinamiche utili, come sforzi massimali, ritmo, fuorisoglia… che le gare a tappe non hanno, dove invece è priviligiata la resistenza. Una corsa a tappe è molto più lineare: fuga, gruppo che va di passo e finale in crescendo. In una classica, con un giorno fai certe sollecitazioni massimali che in un grande Giro fai in tre settimane. Prendiamo la Freccia del Brabante di ieri: con decine e decine di rilanci dietro ogni curva, su ogni strappo, sui pezzi in pavè… e sono qualità che ti tornano utili a prescindere dalle corse a tappe.

Oggi con potenziometro, test continui, telemetria e dietro motore, si potrebbe preparare un GT quasi senza correre. Ma non una classica
Oggi con potenziometro, test continui, telemetria e dietro motore, si potrebbe preparare un GT quasi senza correre. Ma non una classica
E quindi non sei d’accordo nel preparare un grande Giro facendo solo corse a tappe?

Non sono in disaccordo se un corridore e un preparatore decidessero di fare così. Dico che la corsa di un giorno può fare bene, ma non è necessaria. Poi non vale neanche la regola contraria: cioè preparare un grande Giro facendo solo corse di un giorno. Corse a tappe e corse di un giorno insieme: sono due approcci utili entrambi.

Okay, ma potendo scegliere, potendo disegnare a tuo piacere il calendario come si regolerebbe il Bartoli preparatore?

Per esempio chi fa il Tour e punta alle Ardenne non sbaglia. Può puntare a migliorare le sue qualità atletiche e al tempo stesso può anche cercare il risultato. Prima del Tour de France l’avvicinamento standard ideale è Delfinato, altura e appunto Tour. Ma per quel che mi riguarda un atleta oggi dalla Liegi potrebbe andare direttamente al Tour. Questo ragionando per assurdo e dando per certo che si alleni bene.

Addirittura…

Sì. Quello che voglio dire è che sostanzialmente soprattutto oggi con gli strumenti che ci sono, un grande Giro lo puoi preparare anche solo con l’allenamento. Una corsa di un giorno no. Torniamo al discorso di prima, dei picchi massimali, del ritmo gara… che ti servono in una classica e che solo la corsa di un giorno ti dà. Mentre in un grande Giro lo sforzo è diverso.

Freccia del Brabante, come spiega Bartoli, ci sono moltissimi momenti di fuorisoglia e di sforzi massimali
Freccia del Brabante, come spiega Bartoli, ci sono moltissimi momenti di fuorisoglia e di sforzi massimali
Prima hai detto che l’avvicinamento standard al Tour è Delfinato e altura. Invece una corsa singola dopo l’altura, magari per velocizzare il lavoro fatto, per cercare un po’ ritmo, ci starebbe male?

Non ci sta male. E’ sempre un allenamento utile. In questo caso non sarebbe una corsa che toglie, ma un corsa che dà, tuttavia non è fondamentale.

Ma se un tuo corridore ti chiedesse di fare una corsa in più o di inserire questa o quella gara a tappe, tu cosa fai? Come l’esempio di Roglic all’inizio…

Per me il corridore va sempre ascoltato. Il bravo preparatore deve tirare fuori le potenzialità anche dalla sua testa. Anche perché se poi l’atleta pensa che quello che sta facendo non sia giusto, non va. Non va neanche se si allena. Deve essere convinto di ciò che fa.

Però ci sono dei corridori che preferiscono non pensare e lasciare fare tutto ai loro coach…

A meno che non siano automi totali… ma non ce ne sono molti. A me per esempio piace il corridore che prende decisioni, che dice la sua, che un giorno mi fa: “oggi mi sentivo che dovevo fare una salita a tutta e l’ho fatta”. Significa che ha personalità, che è sicuro, che ragiona. Certo, se poi fa così tre volte a settimana, allora il discorso cambia. Ma generalmente chi sa inserire qualcosa di suo, fosse anche una corsa, si conosce di più.

Cosa succede se la UAE Emirates attacca fortissimo sulla Cipressa?

18.03.2022
4 min
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Lo scenario che si va delineando in vista della Sanremo ha un doppio svolgimento. Da una parte c’è la solita corsa, quella con i velocisti che tenteranno di opporsi allo scatto sul Poggio. E poi c’è la Sanremo di Pogacar, che sembra volersi inventare un copione tutto suo. La voce secondo cui la UAE Emirates sarebbe al via con una squadra di scalatori e le parole di Tadej nella conferenza stampa finale della Tirreno-Adriatico fanno pensare che lo sloveno non si accontenterà del Poggio. E questo, nel ciclismo iperveloce degli ultimi anni, è di certo un’anomalia. Bisogna andare indietro al 1996 di Gabriele Colombo per trovare una Sanremo decisa da un attacco sulla Cipressa.

L’ultima Sanremo decisa da un attacco sulla Cipressa fu quella di Colombo nel 1996, su Gontchenkov e Coppolillo
L’ultima Sanremo decisa da un attacco sulla Cipressa fu quella di Colombo nel 1996

Attacco sulla Cipressa

Uno che la Sanremo non l’ha mai vinta, ma si chiama Michele perché quando nacque, nel 1970, Michele Dancelli vinse la Classicissima, è il toscano Bartoli. Nelle sue 11 partecipazioni, spiccano due quinti posti: quasi dei capolavori, vista l’allergia alla polvere degli ulivi, che gli impediva di respirare bene nel finale sanremese. Fra i suoi tentativi, è impossibile dimenticare l’attacco con Pantani proprio sulla Cipressa nel 1999, ma anche quello naufragò. Che cosa potrebbe inventarsi Pogacar?

«Lui deve fare la corsa dalla Cipressa – parte deciso Michele – perché è fortissimo, ma sul Poggio ritengo non abbia la strada per fare la differenza. Lassù non levi di ruota Van Aert. Al massimo fai una lunga fila, ma non li stacchi. Ma se la squadra porta tanti scalatori, allora il progetto cambia faccia. Se punti la Cipressa come se ci fosse l’arrivo in cima, allora la corsa esplode».

Bartoli e Pantani attaccarono dalla Cipressa nel 1999: azione spettacolare, ma non organizzata
Bartoli e Pantani attaccarono dalla Cipressa nel 1999: azione spettacolare, ma non organizzata
Perché dici che non avrebbe strada sul Poggio?

Lassù c’è da tenere in conto che la pendenza non è come sul Carpegna e poi c’è vento. Sul Carpegna salivano a 25 all’ora e l’utilizzo dei watt è stato lo stesso per tutti, davanti oppure a ruota. Lo scatto per fare il vuoto sul Poggio devi farlo a 40-45 all’ora e in quel caso chi sta a ruota risparmia tanto. Su un percorso veloce può avere una riserva del 2 per cento, non si va via. Per andare via a quella velocità, serve un margine del 30 per cento, ma parliamo di numeri improponibili.

Nibali però riuscì a farlo…

Nibali si giocò la carta della sorpresa e quando attaccò non si misero subito d’accordo per seguirlo. Nessuno se lo aspettava. Lui invece è Pogacar, appena si muove si apre la caccia. Sarà guardato e se attacca, ha tutto il gruppo a ruota.

Pogacar ha già provato l’allungo sulla Cipressa. Era il 2020, con lui Ciccone
Pogacar ha già provato l’allungo sulla Cipressa. Era il 2020, con lui Ciccone
Meglio la Cipressa?

La Sanremo è una corsa rognosa, ma nessuno ha mai portato una squadra di scalatori per attaccare sulla Cipressa. Col “Panta” facemmo un grande attacco. Partì prima lui e poi io gli andai dietro e diedi il mio impulso, ma fu l’attacco di due corridori isolati. Se invece porti la squadra, allora vuoi fare un attacco organizzato, tenendo poi semmai due uomini di scorta per il Poggio.

Attacco di squadra o azione solitaria dalla Cipressa a Sanremo?

Da solo non può neanche lui. Non è la Strade Bianche, in cui c’è una difficoltà dietro l’altra. Dopo la Cipressa è lunga andare al Poggio. Ma se parte, quelli forti non lo lasciano andare. E se si forma un gruppetto importante, allora è diverso. Ne porta via quattro, magari anche Van Aert (avrei detto Alaphilippe se non si fosse ammalato) e allora la storia cambia. Perché dietro ci sarebbero meno squadre per tirare…

Van Aert non si stacca. Nel 2020 sul Poggio rispose ad Alaphilippe e lo bruciò in volata
Van Aert non si stacca. Nel 2020 sul Poggio rispose ad Alaphilippe e lo bruciò in volata
Pensi che Pogacar possa vincere la Sanremo?

Vincere non è facile. Lui vince con facilità quando ha il terreno adatto. E’ una vita complicata. E adesso si troverà davanti Van Aert, che alla Parigi-Nizza ha impressionato. Chiunque di loro due si muova, avrà il gruppo a ruota. Sempre che il gruppo ce la faccia a prenderli…