Quattro continenti in un mese: il viaggio infinito di Honoré

16.10.2025
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Nell’era del padrone assoluto Tadej Pogacar e dell’invincibile Uae Emirates, la miglior difesa è l’attacco. Mikkel Honoré non è uno che si tira indietro e nelle ultime settimane ha trasformato il suo pensiero sulla strada. Smaltito il Covid che l’aveva debilitato a metà stagione, il danese della EF Education-EasyPost si è lanciato senza timore nel primo mondiale africano, pilotando il connazionale Mattias Skjelmose a un passo dal podio. Poi ancora si è messo in luce nelle classiche italiane, provando l’assolo al Giro dell’Emilia tra le due ali di folla del San Luca e di nuovo con un’azione alla Bernocchi.

La gamba sarebbe stata buona per l’amato Lombardia, ma il fitto calendario e le esigenze del team di fare punti l’hanno dirottato verso il Tour of Guanxi. Prima di fiondarsi in aeroporto accompagnato dalla moglie Marilisa e partire alla volta della Cina, il ventottenne di Fredericia ci ha raccontato delle ultime, intense settimane in giro per il mondo. 

Tour of Slovenia 2024, Michel Honoré, sua moglie Marilisa
E’ stata la moglie Marilisa ad accompagnare in tutta fretta Honoré a Malpensa per la partenza inattesa verso la Cina
Tour of Slovenia 2024, Michel Honoré, sua moglie Marilisa
E’ stata la moglie Marilisa ad accompagnare in tutta fretta Honoré a Malpensa per la partenza inattesa verso la Cina
Sei pronto a una nuova sfida in un altro continente?

Devo dire in effetti che in questo finale di stagione non mi sono fatto mancare nulla: prima il Canada, poi il mondiale in Rwanda, il ritorno in Europa e ora l’Asia. La logistica è un po’ complessa, ma mi sento molto bene, per cui sono fiducioso. Sarà interessante vedere come reagisce il fisico a tutti questi viaggi, perché quattro continenti in un mese non è proprio una passeggiata.

Con la condizione che hai mostrato non hai un po’ di rammarico di esserti perso il Lombardia?

Sinceramente un po’ sì, perché è la mia gara preferita sin da bambino ed è quella di casa. Ho vissuto due anni a Bergamo e sei anni a Melide, in Svizzera, a 10 chilometri da Como: quindi sono tutte strade che conosco ed è davvero speciale. Poi è la corsa in cui si celebra il nuovo campione del mondo, anche se oramai da un paio d’anni resta lo stesso. 

Che cosa ti aspetti dalla trasferta cinese?

Sulla carta dovrei essere io il capitano, per cui spero di far un bel risultato. Finalmente, ho ritrovato il mio equilibrio, che mi mancava da qualche stagione. Da diverse settimane sentivo che girava tutto bene. In realtà, ero in forma anche al Giro della Polonia, ma poi ho preso il Covid e sono stato otto giorni senza bici che mi hanno costretto a ripartire da zero. In Canada ho ritrovato buone sensazioni, a Montréal ho attaccato un po’ di volte e fatto andare via Powless. Avrei potuto ottenere un buon risultato anche io, solo che sull’ultima curva sono caduto. Infatti, ci sono state proteste come alla Vuelta e io sono scivolato per la pittura gettata sull’asfalto che si è attaccata alla gomma e mi ha fatto perdere aderenza. 

Giro dell'Emilia 2025, attacco di Mikel Honoré sul muro di San Luca
L’attacco di Honoré al Giro dell’Emilia è stato il tentativo di sottrarsi alla legge di Del Toro
Giro dell'Emilia 2025, attacco di Mikel Honoré sul muro di San Luca
L’attacco di Honoré al Giro dell’Emilia è stato il tentativo di sottrarsi alla legge di Del Toro
E l’avventura iridata in Rwanda?

E’ sempre un onore rappresentare la Danimarca e per me quella del mondiale è una delle settimane più belle dell’anno. Mi sono allenato a San Marino, facendo sessioni specifiche, simulazioni gara e dietro-moto. E’ stato tutto bellissimo, anche per la grande atmosfera che abbiamo trovato. Tutti avevano tanti pregiudizi e cattivi pensieri, ma è stata una esperienza bellissima. Gente straordinaria, strade in ottimo stato, tutto ha funzionato come doveva.

E voi danesi siete andati davvero forte…

Abbiamo corso bene tutti dal chilometro zero e penso che siamo stati la squadra più organizzata e strutturata: il risultato si è visto, gli unici con due corridori nei primi dodici. Io ho anticipato lo scatto, così da permettere a Skjelmose di stare a ruota per poi avere le energie per seguire l’attacco successivo di Remco. In un mondiale del genere, ogni piccolo dettaglio faceva davvero la differenza. Mattias era contento del risultato, anche se la medaglia è sfuggita davvero di poco. Però, quando a batterti sono corridori più forti di te, non puoi far nulla, per cui eravamo contentissimi della nostra prestazione. 

Avversari per un giorno, compagni tutto l’anno: te l’aspettavi Ben Healy sul podio coi due alieni?

So che aveva il mondiale in testa da un bel po’, diciamo subito dopo l’ottimo Tour che ha fatto. Lui è un corridore molto bravo in questi appuntamenti, per cui devo dire che per me non è stata una sorpresa vederlo col bronzo al collo. Certo, forse in tanti aspettavano Del Toro, ma avevo i miei dubbi su Isaac perché una corsa con così tanti chilometri e quel dislivello tremendo, alla sua età, era qualcosa di totalmente nuovo.

Campionati del mondo Kigali 2025, Remco Evenepoel, Ben Healy, Mattias Skjelmose
Il lavoro di Honoré ai mondiali ha permesso a Skjemose di giocarsi il podio con Evenepoel e Healy
Campionati del mondo Kigali 2025, Remco Evenepoel, Ben Healy, Mattias Skjelmose
Il lavoro di Honoré ai mondiali ha permesso a Skjemose di giocarsi il podio con Evenepoel e Healy
Tornando sulla Danimarca, pensi che sia l’età dell’oro per il vostro ciclismo?

Stiamo andando fortissimo. Anche per questo, essere il corridore danese con più mondiali consecutivi da pro’ (sei, ndr) come mi ha fatto notare un giornalista del mio Paese, è davvero qualcosa di unico per me. Tengo duro da Imola e spero di esserci anche negli anni prossimi perché ci aspettano bei percorsi, a partire dal Canada che conosco molto bene. La fortuna è che, qualunque sia il percorso, possiamo schierare una squadra molto forte che lotti per la vittoria. Non a caso siamo secondi nella classifica mondiale.

Sei convinto che anche Vingegaard possa dire la sua in una gara di un giorno?

Senza dubbio. Non mi ha sorpreso che abbia faticato all’europeo, perché dopo aver corso Tour e Vuelta da capitano, è normale che il fisico presenti il conto. Jonas è un fenomeno, ma quello che fa Tadej è veramente di un altro livello, ha una classe superiore. Pogacar corre tutte le gare per tutto l’anno, è sempre lì, ha una testa e una passione che lo spingono a imprese incredibili. La differenza è anche a livello di squadra perché Jonas è un po’ sacrificato nelle classiche dalle strategie della Visma, che nelle corse di un giorno punta su fuoriclasse come Van Aert e preferiscono preservarlo per il Tour, che è sempre l’obiettivo numero uno. Capisco la loro decisione, anche se ovviamente il pubblico vorrebbe sempre vedere il duello Pogacar-Vingegaard.

Pedina preziosa per il successo di Powless contro i tre Visma alla Dwars door Vlaanderen, poi ancora gregario instancabile per il podio di Carapaz al Giro: nel 2026 ti vedi anche più libero da compiti in qualche corsa?

Assolutamente sì e ne parleremo a fine stagione. Ci ho messo tanto tempo a ritrovare questo colpo di pedale e ora non spero più, sono sicuro che l’anno prossimo mi vedrete più protagonista. All’Emilia ho provato un po’ l’impossibile perché tutti sapevamo che Del Toro avrebbe vinto, ma non mi piaceva stare lì ad aspettare uno scenario scontato. Ogni tanto bisogna sognare e tentare il tutto per tutto: se mi fosse venuto un corridore Uae a ruota, magari saremmo potuti andare al traguardo e magari mi giocavo il successo o almeno facevo un podio. 

Campionati europei Drome et Ardeche 2025, alla partenza Tadej Pogacar, Remco Evenepoel, Jonas Vingegaard, Joao Almeida
Gli europei hanno proposto il confronto fra Pogacar e Vingegaard per la prima volta in una gara di campionato
Ti sembra che tanti si siano arresi alla legge Pogacar-Del Toro?

Esatto e si è visto anche al Gran Piemonte. Bisogna osare un po’ di più ed inventarsi qualcosa. All’Emilia sapevo che è impossibile anticipare le operazioni perché non c’era un metro di pianura che ti regalasse secondi, era tutta salita e discesa: mi piace rischiare e giocarmi tutte le carte, a costo anche di perdere una possibile top 10. Comunque, mi porto tante buone sensazioni per l’anno prossimo.

Il tuo sogno?

Le classiche delle pietre in primavera come il Fiandre, ma soprattutto la Sanremo. E’ una gara che mi piace un sacco e in cui voglio dimostrare di poter far bene. Ma prima, vediamo come andrà in Cina.

Namur, parte la Freccia. Alla Lidl-Trek si scommette su Nys

23.04.2025
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«Da bambino, quando andavo lì con mio padre e la sua squadra di ciclocross – racconta Thibau Nys ai microfoni della Lidl-Trek – ancora prima di diventare uno junior e di pensare di intraprendere una carriera su strada, ho sempre pensato che ci fosse una sola gara in cui avrei avuto una possibilità di vincere ed era la Freccia Vallone. Non so se sia possibile, ma la penso ancora allo stesso modo. Questa è la gara che più si avvicina al tipo di corsa che faccio, al tipo di gare che mi piacciono. Quindi forse ci sono delle possibilità, anche se sarà sicuramente molto dura».

Subito dopo la vittoria al GP Indurain, Nys accolto e festeggiato dal massaggiatore (ed ex corridore) Alafaci
Subito dopo la vittoria al GP Indurain, Nys accolto e festeggiato dal massaggiatore (ed ex corridore) Alafaci

L’investitura di Skjelmose

Thibau Nys, belga e figlio d’arte, arriva alla Freccia dei suoi sogni dopo aver vinto il GP Indurain in Spagna, aver lavorato sodo al Giro dei Paesi Baschi e dopo il dodicesimo posto all’Amstel, vinta dal compagno Skjelmose. E proprio il danese, che ha messo nel sacco Pogacar ed Evenepoel, subito dopo il trionfo olandese, ha avuto per lui parole di grande fiducia.

«L’ho già detto e lo ripeto – ha profetizzato Skjelmose – c’è una persona al mondo che può battere Pogacar sul Mur de Huy ed è Thibau. Partiremo per fare la corsa in due, ma se lui avrà uno dei suoi giorni migliori, allora credo che sia quello di cui abbiamo bisogno».

Il cross e la strada

Dopo la stagione del cross che lo ha visto vincere gli europei a novembre, poi duellare con Van Aert e Van der Poel conquistando il podio ai mondiali e vincere in tutto cinque trofei internazionali, Nys ha staccato la spina per otto giorni, andando a sciare a Val Thorens. In ogni intervista ha ribadito che il cross aiuta la strada e viceversa, dandogli l’intensità e l’esplosività che lo stanno rendendo un corridore migliore. Tuttavia ha anche ammesso che le ore dedicate al fuoristrada sono una rinuncia in termini di allenamento su strada. Ma un domani potrebbero essere una risorsa cui attingere nel momento in cui decidesse di lasciare il cross un po’ in disparte.

«Voglio solo essere la versione migliore di me stesso – dice – e sono pienamente consapevole che alla Freccia potrei anche correre la migliore gara possibile ed essere comunque staccato. Va bene qualunque risultato da cui potrò imparare qualcosa per i prossimi anni. Sento di aver fatto tutto il possibile. Nei ritiri abbiamo avuto una preparazione impeccabile e penso di essere pronto per dimostrarlo. Sono davvero in ottima forma e ne sono molto felice».

Thibau Nys, classe 2002, è pro’ dal 2023. E’ alto 1,76 per 64 kg. Suo padre Sven è una leggenda del ciclocross
Thibau Nys, classe 2002, è pro’ dal 2023. E’ alto 1,76 per 64 kg. Suo padre Sven è una leggenda del ciclocross

L’ossigeno nelle gambe

Nys non ha mai partecipato alla campagna delle Ardenne, che sono il suo principale obiettivo di questa stagione. La Freccia Vallone di oggi (il via alle 11,30 da Namur) è il sogno principale, ma nella sua fantasia di giovane corridore spiccano anche i campionati nazionali di giugno.

«Eppure – dice e un po’ ti spiazza – sento di non aver ancora bisogno di vincere certe gare per essere soddisfatto, perché so che il 2025 sarà un grande passo avanti verso il livello a cui correrò l’anno prossimo. Penso però che bisogna allenarsi e impegnarsi per vincerle, provare a farlo. Alla Freccia Vallone, hai bisogno della giornata migliore per avere una possibilità in quegli ultimi 30 secondi, forse un minuto, e anche per le salite prima del Muro finale. Se infatti ci arrivi già al limite, sarà davvero difficile far arrivare di nuovo un po’ di ossigeno alle gambe per gli ultimi scatti. E io non ho esperienza in questo genere di cose».

Sul Muro di Huy alla cieca

Di lui i compagni dicono tutti la stessa cosa: si percepisce il suo essere leader dalla calma e la lucidità con cui dice le cose. Non parla da sbruffone, riesce ad andare al cuore delle questioni con poche parole ed è molto lucido nel valutare se stesso. Per cui è molto interessante sentirlo ragionare ancora sulla sfida che si accinge ad affrontare per la prima volta.

«Conosco la salita, conosco la mia forma – spiega – so cosa posso fare in uno sforzo di questo tipo, ma non sono paragonabile agli altri corridori che lassù hanno già fatto ottime corse e addirittura le hanno vinte. Sarà come procedere alla cieca, ma con una certa sicurezza. Non dirò mai che mi sento pronto per vincerla, ma neppure che mi tiro indietro. Quello che voglio per questa stagione è tagliare il traguardo per primo il più spesso possibile e anche il più velocemente possibile. Solo pensarci o pensare che sia possibile mi fa sentire bene».

Tra i due litiganti il terzo gode: Skjelmose!

20.04.2025
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E’ proprio vero: i detti non sbagliano mai e così, tra i due litiganti, il terzo gode ed è Skjelmose. Oggi, alla Amstel Gold Race, Tadej Pogacar pensava di seguire il suo solito copione: squadra che tira, ritmo che cresce e la sua bordata. E più o meno le cose stavano andando così. Il problema, e forse se n’è reso conto abbastanza presto, è che stavolta il largo non lo ha preso ed è rimasto sempre abbastanza a tiro dei suoi avversari. Uno su tutti: Remco Evenepoel.

Remco è stato molto intelligente. Lo ha lasciato sfogare, ha inseguito, ha tirato, si è nascosto a tratti… Forse si è esposto un po’ di più anticipando Mattias Skjelmose, che quando lo ha riacciuffato gli ha fatto cenno con la testa: «Andiamo, vieni dietro a me».

L’epilogo di questa Amstel lo abbiamo visto tutti. I tre erano molto stanchi e alla fine si è risolta in volata. A quel punto era immaginabile che potesse vincere Skjelmose, visto che è veloce di suo. E in più era quello che aveva speso un po’ meno rispetto ai due compagni di fuga.

“Suicidio” Pogacar

Capitolo Tadej: parte, va forte, prende il largo, ma non apre la solita voragine. La sua pedalata è agile ma non ficcante come sempre. Si gira più volte, stira i muscoli, si guarda attorno.

«E’ stata una bella gara – ha detto il corridore della UAE Team Emirates con tono meno squillante del solito – una corsa davvero buona per noi, ma alla fine il traguardo era un po’ troppo lontano: cinque metri di troppo per il primo posto. Ovviamente è stata una grande battaglia, ma io ero da solo, loro erano in due: fa una grande differenza. Quando io e Alaphilippe siamo andati via, speravo che rimanesse con me più a lungo, così da poter collaborare e restare avanti, ma forse eravamo troppo entusiasti nell’attaccare così presto».

«Alla fine ho provato da solo, ma una volta che Remco e Skjelmose sono andati via dal gruppetto tutto è cambiato. Eravamo uno contro due e con quel vento forte negli ultimi 15 chilometri non sono riuscito ad aumentare il distacco. Così ho deciso di aspettarli e giocarmela nel finale. E’ stata un’azione un po’ un azzardata e alla fine è arrivato il secondo posto. Avevo una trentina di secondi, ma sapevo che in salita si sarebbero avvicinati, quindi ho cercato di rilanciare sempre in cima e in discesa, ma come ho detto prima, con 15 chilometri da fare non era facile e ho pagato gli sforzi. Forse sarebbe stato meglio aspettarli prima, restare con loro due e giocarsela nel finale».

E su Remco: «Questa mattina ho detto che non sarei rimasto sorpreso da un grande Evenepoel. E avevo ragione. Mi aspettavo fosse così forte. Ha dimostrato a tutti di essere in forma, ma alla fine Skjelmose è stato il più forte. E adesso ci aspettano due belle battaglie».

Insomma, non è il solito Tadej schiacciasassi. Forse anche per lui le fatiche della Roubaix si sono fatte sentire. E questo, da una parte, ci rende felici: perché il verdetto dice che anche Tadej è umano. E forse piace ancora di più.

Recriminazioni Remco

E poi c’è Remco. Evenepoel arrivava da una delle settimane più particolari della sua carriera: il rientro con vittoria alla Freccia del Brabante, dopo un lungo stop, l’infortunio e tanti dubbi. Magari anche lui oggi si è sentito più forte di quanto non fosse realmente.

Il corridore della Soudal Quick-Step è andato fortissimo. Ci ha messo il cuore, forse anche troppo, e alla fine non aveva più quella gamba esplosiva per fare la differenza. Il fatto che né lui né Pogacar siano scattati sul Cauberg finale la dice lunga: erano tutti e due a corto di energie. Va detto, però, che Remco era stato coinvolto anche nella caduta che ha messo fuori gioco diversi big.

«Stavo bene, mi sentivo forte – ha detto con un po’ di rammarico – ma ho speso tante energie per inseguire dopo la caduta. Narváez è finito giù davanti a me, sono quasi riuscito a rimanere in piedi, ma la sua bici ha rimbalzato contro la mia e sono caduto. Se non fosse successo, forse sarei andato via da solo o con Pogacar. Forse ero il più forte in gara, ma non lo sapremo mai. Ho dato tutto nello sprint, anche se sono partito presto e con vento contrario. Senza contare che prima avevo speso moltissimo per chiudere su Pogacar».

Infine Remco chiude con una bordata che fa salire l’attesa per Freccia Vallone e Liegi: «Ho lavorato tanto per tornare e quindi non ho nulla da rimproverarmi. Oggi in salita mi sentivo il più forte. Peccato solo per la caduta. Ma questo è un segnale positivo per le prossime settimane. Posso solo migliorare».

Skjelmose, non svegliatelo!

Infine parola al vincitore. Mattias Skjelmose era, giustamente, il più felice al traguardo. Non solo per la vittoria, ma anche perché ha messo dietro due nomi non da poco: Evenepoel e Pogacar. Neanche nel migliore dei sogni poteva andare così bene al danese della Lidl-Trek.

«Non so se questa vittoria all’Amstel valga più del Giro di Svizzera – ha detto Skjelmose – ma di certo oggi ho battuto i migliori corridori al mondo. Come ci sono riuscito? Non lo so! Speravo di poter vincere, ma ero al limite da 50 chilometri e più volte ho dovuto chiedere a Remco di tirarci fuori dai guai, sia quando eravamo nel gruppo che poi in due».

Nelle sue parole c’è franchezza, forse anche un po’ di ingenuità. Ma quando racconta la volata, di ingenuo non c’è nulla.

«Allo sprint – spiega – ho cercato di prendere un po’ di spazio e di andare sul lato sinistro, perché il vento veniva da lì ed era più riparato. Solo che Remco ha anticipato e a quel punto sono stato costretto a seguirlo al centro. Quando ho avuto strada libera, sono tornato sul lato sinistro (che però era ormai il centro della carreggiata, ndr). Credo di essere riuscito a superarli perché, con il vento, ho potuto fare uno sprint corto. Di sicuro ho lanciato una volata più breve rispetto a Remco».

«Sarei stato felice anche solo con il podio – ha aggiunto – ero davvero al limite, e contro due corridori così sarebbe andato bene comunque. Credo mi servirà del tempo per capire davvero cosa ho fatto».

Infine la dedica: «Due mesi fa ho perso mio nonno. In questo periodo ho cercato di essere forte per la mia famiglia, perché di solito è mio padre a tenerla unita ed essere forte. Ma ora tocca a me. A lungo non sono riuscito e non ho potuto esprimere i miei sentimenti. Voglio dedicare questa vittoria a mio nonno. Ci penso da quando è iniziata la stagione. Lui ha sempre seguito le mie corse. Questa Amstel è tutta per lui».

Il Gottardo accende lo Svizzera, Yates affonda il colpo

12.06.2024
5 min
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La strada verso il Tour è una sorta di grande mosaico, le cui tessere si vanno evidenziando in tutte le corse di giugno. E se il Delfinato ha segnalato i nomi di Roglic e Jorgenson, Carlos Rodriguez, Evenepoel e Buitrago, il Giro di Svizzera va ancora in cerca dei suoi tasselli. Oggi il primo arrivo in salita sul San Gottardo ha dato un bello scossone alla classifica. La tappa se l’è portata a casa Torstein Træen, norvegese di 28 anni, che dopo sette stagioni alla Uno X (quattro nel devo team e tre nella professional), ha fatto il grande salto nel WorldTour. Una bella intuizione dei manager del Team Bahrain Victorious, visto che il ragazzo non aveva ancora vinto una sola corsa, né si era distinto per clamorose azioni da gregario. Chapeau! Alle sue spalle intanto oggi si è accesa la lotta fra Yates e Skjelmose.

«Non credevo fosse possibile – ha raccontato il norvegese – perché stamattina non pensavo di avere le gambe. Poi, durante la fuga, ho iniziato a pensare a tutto quello che mi è successo negli ultimi anni e, ovviamente, a Gino (Mader, scomparso lo scorso anno prorio al Tour de Suisse, ndr). Ho sperato solo di poter resistere, e fortunatamente l’ho fatto. L’ultimo chilometro sembrava non finire mai. Yates arrivava velocemente. Non era asfalto, ma ciottolato e c’era vento contrario.

«Vincere la tappa dedicata a Gino è stato incredibile. Manca a tutti. Personalmente non lo conoscevo perché l’anno scorso non ero in questa squadra, ma sento quanto manca. Sono onorato di aver vinto questa tappa per lui, soprattutto con la sua famiglia presente. Significa così tanto…».

Prima vittoria da pro’ per Torstein Træen, norvegese classe 1995
Prima vittoria da pro’ per Torstein Træen, norvegese classe 1995

Gli scatti di Yates

Alle sue spalle, è mancato poco che Adam Yates riuscisse nella grande rimonta. L’inglese ha attaccato quando forse mancava troppo poco all’arrivo e alla fine non è riuscito a recuperare gli ultimi 23 secondi: quando è partito il fuggitivo viaggiava oltre quota 3 minuti. In più con i suoi 58 chili, quando ha messo le ruote alte in carbonio sul selciato che sale al Gottardo, che ha il simpatico nomignolo “Tremola”, la sua azione si è un po’ disunita. Ugualmente il britannico ha conquistato la maglia gialla.

«E’ stata una bella tappa – ha detto – anche se il piano oggi non era di attaccare. Dopo aver dato un’occhiata agli arrivi, volevamo cercare di risparmiare un po’ di energia. Ma durante la salita mi sentivo bene e così ho deciso di mettere i ragazzi davanti e fare un bel ritmo. Ho attaccato solo per vedere se qualcuno mi avrebbe seguito, non ero molto sicuro di me nel tratto con i ciottoli. Non mi piacciono le strade così, perché quando pesi meno di 60 chili, vieni sballottato qua e là ed è piuttosto difficile trovare la giusta trazione. Quindi prima ho attaccato solo per vedere. E visto che nessuno mi ha seguito, ho deciso di continuare.

«Penso che la salita di domani mi si addica un po’ meglio. E’ un po’ più ripida, ma d’ora in avanti ogni giorno si arriva in cima ad una montagna, anche la crono ha l’arrivo in alto. Quindi il difficile sta per arrivare. Sarà una settimana molto dura, ma la squadra sembra forte e motivata. Quindi spero che alla fine diremo che sarà stata una bella settimana».

Skjelmose nella scomoda posizione di avere Almeida (compagno di Yates) così vicino
Skjelmose nella scomoda posizione di avere Almeida (compagno di Yates) così vicino

Le risposte di Skjelmose

La tappa di domani di cui parla Yates prevede l’arrivo a Carì, a quota 1.636, a capo di una salita di 10,2 chilometri all’8 per cento di pendenza media. La classifica è ancora corta, ma oggi alle spalle di Yates si è mosso bene il vincitore uscente Mattias Skjelmose.

«Credo che oggi abbiamo corso bene – ha detto  Skjelmose – come squadra abbiamo fatto quello che dovevamo. I ragazzi hanno creduto in me e hanno fatto un ottimo lavoro per tenere sotto controllo la situazione per molto tempo, Jacopo (Mosca, ndr) in particolare. L’attacco di Yates è stato violento. Se fossi stato alla sua ruota, forse avrei potuto provare a seguirlo. Comunque è andato forte, ma io ho avuto sempre la sensazione di buone gambe, quindi ho deciso di aspettare il momento giusto per forzare il ritmo e minimizzare le perdite. Sono contento della mia prestazione.

«Per me era il primo test in montagna dopo aver staccato e aver fatto il training camp in altura. Si arriva a giorni come questo sempre con un po’ di dubbio, invece alla fine mi sono sentito davvero bene e questa è la cosa più importante. Anche se Yates oggi ha mostrato un’ottima forma, sento che la gara per la classifica generale è ancora aperta. Sono in una buona posizione. Avremo tre tappe di montagna e una cronometro per giocarci le nostre possibilità. Ci proveremo».

Bettiol ha difeso la maglia, ma le pendenze e una caduta hanno reso il compito impossibile
Bettiol ha difeso la maglia, ma le pendenze e una caduta hanno reso il compito impossibile

I dubbi di Bernal

Skjelmose ha lo stesso distacco di Almeida e questo potrebbe rendergli la vita molto difficile. Il portoghese e il britannico, entrambi di maglia UAE Emirates potrebbero metterlo facilmente in mezzo e questo aggiunge un tocco di pepe al Giro di Svizzera. Per dare l’idea della forza della UAE Emirates, consideriamo che i due andranno al Tour per fare da gregari a Pogacar!

Oggi nella scia di Skjelmose e Almeida si è visto anche Bernal, che ha ceduto 12 secondi soltanto nell’ultimo chilometro. Il colombiano viaggia a 49 secondi nella generale e c’è da capire a che punto sia il suo recupero della miglior condizione. Nei giorni scorsi ha detto che qualora non si sentisse all’altezza dei migliori, potrebbe rinunciare al Tour. Difficile da credere, ma merita di essere seguito. La sensazione è che i giochi siano appena agli inizi.

Matteo Milan: la Lidl-Trek e il confronto (positivo) con i grandi

05.02.2024
5 min
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Abbiamo parlato tanto, in questi giorni, del confronto positivo di cui beneficiano i ragazzi dei devo team o direttamente delle formazioni WorldTour. Pedalare accanto a gente che va forte, e che rappresenta l’elite di questo sport accende qualcosa. Ce lo aveva detto inizialmente Giulio Pellizzari, analizzando la vittoria di Del Toro al Tour Down Under. Sono seguite, alle parole del giovane marchigiano, le frasi di Markel Irizar, responsabile della Lidl-Trek Future Racing.

«I ragazzi – ha detto – crescono tantissimo nel confronto. Soprattutto quando ci alleniamo tipo gara e ne escono con tanta fiducia in più. Un giorno in ritiro, Mads Pedersen ha voluto radunarli e parlarci. Non so cosa abbia detto, ma alla fine del ritiro li abbiamo trovati cresciuti nelle performance e nella consapevolezza».

Matteo Milan (a destra) ha esordito con la maglia della Lidl-Trek alle gare di Maiorca (foto Lidl-Trek)
Matteo Milan (a destra) ha esordito con la maglia della Lidl-Trek alle gare di Maiorca (foto Lidl-Trek)

Pedersen il faro

Quando un corridore come Mads Pedersen prende un’iniziativa del genere, va seguita e approfondita. Allora abbiamo deciso di chiedere a uno di questi giovani cosa vuol dire vivere certe situazioni, e Matteo Milan ha risposto alle nostre domande. 

«In squadra non c’è distinzione – racconta Matteo – vogliono farci sentire parte dello stesso gruppo. Questo vale per tutti team: uomini, donne e under 23. Pedersen è stato uno di quelli che, dal lato dei corridori, ha voluto spingere molto su questo concetto. Ci ha detto che non dobbiamo intimidirci, ma parlare, chiedere e confrontarci. Soprattutto in ritiro, dopo 15 giorni insieme si abbattono un po’ tutte le barriere. Ci ha detto che crede in un gruppo amalgamato, perché in futuro noi potremmo trovarci a tirare per lui. Ma non ha escluso, con grande umiltà, che se un giorno verrà fuori un campione dalla nostra squadra, anche lui potrebbe tirare per noi. E allora è giusto conoscersi e pedalare insieme».

Correre con i pro’ alza il livello e dà una marcia in più quando torni tra gli U23 (foto Lidl-Trek)
Correre con i pro’ alza il livello e dà una marcia in più quando torni tra gli U23 (foto Lidl-Trek)
Come siete usciti dopo questo colloquio?

Motivati, cresciuti, insomma migliorati. Sia nelle performance che nella consapevolezza che il percorso è quello giusto. 

Vi siete confrontati anche su strada con loro?

Sì, io ho sfidato Tao (Geoghegan Hart, ndr) e Skjelmose in salita. Ci siamo sfidati, durante il ritiro, anche se la salita non è esattamente il mio campo. Una simulazione di gara, controllata, ma pur sempre a tutta. E’ uscita una sfida dura, anche perché fatta con gente di un certo calibro. Quando loro aprono il gas si va. Da Tao e Skjelmose mi sono staccato, però mi sono divertito, mi sono gasato, sono anche sensazioni belle da provare a inizio stagione. Provi a starci dietro, vedi che ce la fai…

E loro che ti dicevano?

A tavola Geoghegan Hart mi prendeva un po’ in giro, dicendo che mi aveva visto staccarmi. Però aspetterò il confronto in volata, quello è più il mio campo e posso difendermi meglio (dice con una risata, ndr). Ma mi trovo anche a scherzare e parlare con Consonni o con mio fratello Jonathan. 

Che rapporti hai con lui ora che siete praticamente sotto lo stesso tetto?

Ogni tanto gli chiedevo dei pareri. In ritiro qualche volta bussavo alla sua camera per parlare e fare delle domande. A casa ci vediamo di più, anche se capita di incrociarci per pochi minuti. Jonathan ha guardato le mie gare a Mallorca e mi ha dato dei consigli: posizione, dove spingere o cosa avrei potuto fare. Al di là che sia mio fratello, è sempre bello imparare da chi ne sa. Spesso ci troviamo anche a confrontare i dati delle nostre corse. 

E com’è andato l’esordio in Spagna?

Duro, con tanti corridori di alto livello e in buona condizione. E’ difficile essere competitivi, ma sono soddisfatto di quanto dimostrato, in particolar modo a livello di valori e performance. Era anche giusto che non fossi al top, i miei obiettivi stagionali saranno più avanti.

I ragazzi del devo team devono sentirsi pienamente parte del progetto (foto Lidl-Trek)
I ragazzi del devo team devono sentirsi pienamente parte del progetto (foto Lidl-Trek)
Cosa porti a casa?

Consapevolezza e fiducia. So che se ti confronti con i professionisti quando torni a gareggiare con gli under 23 hai una marcia in più. Non è il risultato che conta ma la crescita. 

E l’ambiente Lidl-Trek come lo trovi?

Bello, stimolante e stancante. Gli allenamenti sono tosti, e si fanno sentire. Però l’ambiente è fantastico, mi sembra tutto nuovo, di vivere una struttura di squadra diversa. Siamo trattati come i pro’, come avrete capito da quello che ho detto prima, facciamo quasi le stesse cose. Mi piace, e sono contento di queste prime esperienze.

Skjelmose è pronto a prendersi tutto. Parola di Andersen

23.06.2023
5 min
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Di Mattias Skjelmose si parla da tempo come uno degli elementi di spicco del nuovo ciclismo, uno di quei corridori capaci di entusiasmare. Al Giro della Svizzera è stato capace di dare scacco matto a gente come Evenepoel e Ayuso, ossia corridori della sua generazione, ma già capaci di prendere parte a classiche e grandi Giri vestendo il ruolo del favorito. Sarà questo il futuro del danese della Trek Segafredo?

Chi lo conosce bene è Kim Andersen, diesse di lungo corso con un lungo passato da pro’ negli anni Ottanta e Novanta. Kim lo seguiva già dalle categorie inferiori, ha fortemente insistito per portarlo alla Trek e i risultati gli stanno dando ragione.

«Ho sentito parlare di lui da chi segue il mondo delle corse juniores – racconta il dirigente danese – e mi sono fidato, ho iniziato a seguirlo e ho visto che ha grandi qualità, tali da convincermi a portarlo nel team e per certi versi a bruciare le tappe».

A destra Kim Andersen, ex pro’ di 65 anni nello staff della Trek sin dal 2012
A destra Kim Andersen, ex pro’ di 65 anni nello staff della Trek sin dal 2012
Quali sono i suoi punti di forza e i suoi punti deboli?

Innanzitutto è molto dedito al suo lavoro e fa di tutto per questo. E ovviamente fisicamente ha anche de buoni valori. Può fare bene sia a cronometro che in salita, ma soprattutto moltiplica tutto ciò perché ha la testa del corridore e questo pesa molto.

Che cosa è stato determinante per la sua vittoria in Svizzera?

Penso che il primo passo sia stato in salita perché vista la gente che c’era, le differenze erano minime tra i più forti. Nelle tre tappe di montagna, è arrivato primo, terzo e secondo, con una continuità e una costanza che a questi livelli fanno la differenza, poi nella cronometro finale ha avuto una grande prestazione meritandosi la vittoria finale.

Skjelmose è migliorato molto a cronometro. Ieri è giunto secondo ai campionati nazionali
Skjelmose è migliorato molto a cronometro. Ieri è giunto secondo ai campionati nazionali
Lo vedi più come corridore per corse a tappe o per le classiche?

Quest’anno abbiamo scoperto che in realtà è fortissimo anche nelle corse d’un giorno perché è bravissimo sia nel gestirsi, sia nella guida della bici, ma io non sono rimasto sorpreso, si era visto anche negli anni scorsi che aveva tutte le qualità per essere un corridore completo, me ne sono subito accorto e per questo l’ho voluto con noi, ora poi è cresciuto ulteriormente anche nelle cronometro e questo lo fa crescere ancora in autostima.

La sua più grande delusione è stata probabilmente il Giro d’Italia dello scorso anno: che cosa gli mancò allora?

Penso che puntando alla maglia di miglior giovane abbia fissato un obiettivo troppo alto per quel momento. Qualcosa nell’allenamento non aveva funzionato e i risultati sono stati di conseguenza. Ora ha trovato un suo equilibrio, anche con l’alimentazione, l’allenamento, la gestione dell’altura. Ha fatto tesoro di quella grande delusione. Non dimentichiamo che veniva da due anni difficili con attività ridotta a causa del Covid. Molti dicono che ha pur sempre la stessa età di Evenepoel, ma ognuno matura con i suoi tempi, quelli di Mattias sono solo un po’ più lenti, ma si vede che sta arrivando…

Il danese con Evenepoel. Alla fine Mattias ha vinto lo Svizzera con 9″ su Ayuso e 45″ sull’iridato
Il danese con Evenepoel. Alla fine Mattias ha vinto lo Svizzera con 9″ su Ayuso e 45″ sull’iridato
Come persona che tipo è?

E’ un ragazzo molto simpatico, il tipico ragazzo di città, con tutti gli interessi della sua età, ma ripeto ha una grande concentrazione per quello che fa e per certi versi ciò mi stupisce. E’ una persona con cui è molto piacevole lavorare perché è con i piedi per terra, sa cosa vuole ed è davvero dedito a fare di tutto per raggiungerlo.

In Svizzera ha battuto campioni come Evenepoel e Ayuso: secondo te è ormai ai livelli dei più forti?

Lo dice il ranking, se sei il numero dieci nella classifica mondiale significa che non ci sei arrivato in una sola gara, è quello il tuo status attuale, in questo caso i numeri non mentono. Non penso che Remco fosse comunque al top, ma anche quando non sta bene vuole sempre vincere e non c’è riuscito. Ha vinto Mattias, quindi ovviamente significa che la crescita lo sta portando a quei livelli, dove non deve temere nessuno. Ora lo cercano tutti, ma verranno anche giorni in cui avrà brutte giornate e dovrà essere bravo a superarle.

Il danese della Trek ha vinto la terza tappa finendo sul podio nelle due successive
Il danese della Trek ha vinto la terza tappa finendo sul podio nelle due successive
Al Tour de France che cosa ti aspetti da lui?

Bella domanda. Penso che in realtà possa fare abbastanza bene, ma non rimarrò deluso se un giorno dovesse perdere l’aggancio in classifica. Penso che sappiamo tutti che il Tour è qualcosa di speciale, di molto difficile. E’ tutto. E’ la gara con più stress, ma penso che possa gestirla e la stiamo affrontando con gli occhi aperti e l’obiettivo che deve essere innanzitutto quello di imparare. Lo prendiamo giorno per giorno. Non si era allenato per essere vincitore del Giro di Svizzera, probabilmente è al top della forma. Abbiamo studiato bene il percorso, lo conosciamo, ma c’è ancora molta strada per arrivarci. Quindi vedremo, ma in realtà penso che possa fare abbastanza bene.

Mattias ha ancora 22 anni: secondo te al mondiale sarebbe più utile correre fra gli Elite o fra gli Under 23?

Non correrà mai fra gli under 23, è un capitolo che abbiamo chiuso da molto tempo. Ormai deve guardare al vertice assoluto, senza discussioni.

Cataldo racconta Skjelmose, il nuovo bambino terribile

27.02.2023
5 min
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Ha solo 22 anni, lo scorso anno si era messo in mostra sorprendendo tutti al Giro del Lussemburgo, portando a casa tappa e classifica finale. Quest’anno è partito alla grande, con vittorie all’Etoile de Besseges e al Tour des Alpes Maritimes e il podio alla Faun-Ardeche Classic di sabato dietro Alaphilippe e Gaudu, ma soprattutto con una condotta di gara sempre all’attacco, giorno dopo giorno, com’è solito fare un certo Tadej Pogacar. Il suo nome è Mattias Skjelmose e sul suo conto c’è molto da dire.

E’ alla Trek Segafredo dal 2020, nel team è entrato in piena era Covid, è stata una scommessa che lo squadrone americano ha voluto fare a tutti i costi seguendo da tempo questo ragazzo, sin da quando era ragazzino.

«Era stato Kim Andersen a portarlo in squadra – ricorda Dario Cataldo – lo teneva d’occhio sin dalle categorie giovanili. I suoi risultati e soprattutto il suo comportamento in gara dimostrano che aveva colto nel segno».

Podio alla Faun-Ardeche Classic, primo inseguitore di Alaphilippe e Gaudu
Podio alla Faun-Ardeche Classic, primo inseguitore di Alaphilippe e Gaudu
Tu sei uno dei più esperti in carovana, che cosa ti ha colpito di lui?

Ha una straordinaria determinazione e voglia di emergere, è difficile vedere uno così giovane tanto attento a ogni aspetto della nostra professione: l’allenamento, l’alimentazione, la cura della bici. Non molla mai la concentrazione e s’impegna sempre al massimo, ha una maturazione soprattutto mentale inconsueta per la sua età.

C’è qualcosa da cui si desume che è così giovane?

Beh, in gara in certi frangenti è ancora un po’ acerbo, soprattutto nella lettura della corsa, ma sarebbe strano il contrario considerando i suoi 22 anni. Un esempio si è visto lo scorso anno al Giro: era partito motivatissimo, voleva spaccare il mondo e puntava apertamente alla maglia bianca, ma poi ha capito che una corsa di tre settimane è qualcosa di molto diverso da come se la aspettava. Ma è stata un’esperienza utile, ha imparato.

Due vittorie in Francia per il giovane Skjelmose, 22enne di Copenhagen già primo in Lussemburgo nel 2022
Due vittorie in Francia per il giovane Skjelmose, 22enne di Copenhagen già primo in Lussemburgo nel 2022
Che corridore è Mattias?

Uno scalatore, ma di quelli di nuovo stampo, con un buon spunto veloce. Anzi è proprio su questo punto che deve lavorare, perché spesso da giovani si hanno punte di velocità che poi si perdono nel corso della carriera, lui deve lavorare per mantenerlo pur progredendo in salita. Io dico che ha un gran motore, è quasi un ibrido, di quelli che possono far bene sia nelle classiche che nei grandi Giri, deve solo maturare tatticamente.

E’ un giovane che ascolta?

Tantissimo, è molto attento, rispettoso, accetta i consigli. E’ chiaro che un po’ dell’esuberanza tipica della sua età c’è, qualche piccolo peccato di presunzione può anche capitare, ma è uno che accetta le critiche, analizza che cosa ha sbagliato insieme ai tecnici e ai più anziani, recepisce e applica. E’ consapevole che per crescere bisogna anche saper ascoltare.

Cataldo è chiamato spesso a guidarlo, nelle fasi di approccio alle salite
Cataldo è chiamato spesso a guidarlo, nelle fasi di approccio alle salite
In questo momento qual è la sua dimensione ideale?

Quella delle brevi corse a tappe, come si è visto anche in questo avvio di stagione. La cosa importante è che faccia di queste corse non un fine, ma un mezzo. Spesso gli faccio l’esempio di Richie Porte, grandissimo corridore, forse il miglior interprete nelle corse a tappe brevi per un buon periodo di tempo, ma nei grandi Giri ha sempre faticato, trovando il podio solo a fine carriera. Lui deve usarle per maturare, per affinare la sua resistenza.

In queste due stagioni ti sei trovato con lui in gara, a gestirlo, accompagnarlo in salita?

Beh, in salita ormai, per tenere il passo dei più forti devi essere anche tu uno scalatore. Nelle salite importanti, nei frangenti importanti ci sono anche altri deputati a sostenerlo, ma capita nel corso della gara di affiancarci, guidarlo, indirizzarlo. Io cerco di portarlo nelle migliori condizioni all’attacco delle salite. Lui segue molto, ma non per imposizione. E’ capace anche di prendere le sue iniziative, di muoversi nel gruppo anche se è stressante e qualche volta si vede che morde un po’ il freno.

Per il danese della Trek Segafredo un Giro ’22 buono (40°), ma non come sperava
Per il danese della Trek Segafredo un Giro ’22 buono (40°), ma non come sperava
Per emergere nelle corse a tappe serve affinare le sue doti a cronometro. Come se la cava?

Non è uno specialista, quindi ci deve lavorare, non ha neanche avuto molte occasioni per cimentarvisi. E’ però molto attento, guarda alla posizione in bici e a tutti quei piccoli ma fondamentali aspetti che servono a limare secondi. Ci si sta dedicando, per questo attende con molta curiosità le occasioni contro il tempo che verranno.

E fuori gara com’è?

Molto socievole, con tanti interessi, ci si sta bene insieme, si è integrato con tutti. Soprattutto è di carattere, non posso dimenticare un episodio dello scorso anno. In discesa era caduto da un dirupo, davvero brutta roba: quando è tornato su era pieno di lividi ed escoriazioni, dall’ammiraglia volevano controllare le ferite, lui invece smaniava per avere la bici e ripartire. E’ fatto così…