Niente di facile, ma tutto secondo copione: la Liegi è di Pogacar

21.04.2024
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LIEGI (Belgio) – Facile come una lezione imparata così bene da non ammettere repliche. Tadej Pogacar ha fatto quello che si era proposto e agli altri non è restato che il podio. Una giornata fredda. Due gradi al mattino a Baraque de la Fraiture, la neve sugli alberi. Pioggia a scrosci a rendere davvero crudele una domenica già dura di per sé. Poi lentamente il sole si è fatto largo e la corsa è entrata nel vivo. La UAE Emirates ha scandito la marcia su ogni salita in direzione di Liegi, lasciando intuire una strategia chiara e condivisa. Lo spauracchio Van der Poel non si è mai visto se non alla fine, costretto a inseguire dopo una caduta, ma mai realmente in gara. Se la sua presenza era dovuta al voler omaggiare la corsa, la maglia che indossa e il suo grande rivale, l’applauso sarà ampiamente meritato.

L’attacco è arrivato sulla Redoute, dopo che Novak ha dato l’ennesima tirata di una giornata per lui memorabile. A quel punto non restava che andare e Tadej è andato. E’ partito nella parte bassa della salita: presto rispetto al solito, ma se avesse aspettato magari qualcun altro avrebbe avuto la stessa idea. Ci ha provato Carapaz a stargli dietro, poi anche il campione olimpico di Tokyo ha perso il conto dei battiti e si è rimesso a sedere.

Nella prima fuga della Liegi, anche Christian Scaroni: il gruppetto è arrivato fino a Stavelot
Nella prima fuga della Liegi, anche Christian Scaroni: il gruppetto è arrivato fino a Stavelot

Il copione perfetto

Da quel punto, la Liegi-Bastogne-Liegi si è trasformata in un assolo. Un copione cui dovremmo ormai essere abituati, dato l’andamento recente delle grandi classiche, ma che ci lascia ogni volta senza fiato. Elegante come chi non è davvero al limite, cattivo come chi non ha bisogno di mettersi strane espressioni sulla faccia. Pogacar ha spinto duro per 34 chilometri con la guarnitura 55-38 che ha scelto dente dopo dente e gli è stata consegnata a tempo di record, perché aveva in mente un’azione simile e ha voluto avere gli strumenti giusti.

«C’era una strategia – spiega il diesse Hauptman, che blocchiamo appena scende dall’ammiraglia – ma la teoria è una cosa e la corsa un’altra. Bax ha tirato quasi 160 chilometri, ha fatto un gran lavoro. Poi Novak, con Finn e Diego (Ulissi, ndr), hanno fatto un ritmo forte in salita per far soffrire gli altri. Il nostro programma era che Tadej partisse sulla Redoute e abbiamo lavorato per questo. Quando Van der Poel è caduto, noi eravamo già davanti a tirare, ma abbiamo fatto un passo normale, visto che sono rientrati pur avendo già un minuto e mezzo.

«Cosa ho pensato quando Tadej è partito?  Ho incrociato le dita (sorride, alzando gli occhi al cielo, ndr), perché non sai mai. Dopo una classica così, se vai in crisi negli ultimi 10 chilometri, puoi avere un grande vantaggio, ma perdi tutto. Per cui, finché non siamo arrivati all’ultimo rettilineo, ero un po’ teso. Guidare uno come Tadej è un orgoglio, una responsabilità e anche una preoccupazione. Però mi piace…».

Sullo Stockeu, come su tutte le salite della Liegi, il UAE Team Emirates ha scandito un ritmo alto
Sullo Stockeu, come su tutte le salite della Liegi, il UAE Team Emirates ha scandito un ritmo alto

La forza del gruppo

La zona dell’arrivo è un ribollire di birre e tifosi, attirati dalla tregua del maltempo. Davanti al pullman della UAE Emirates, in attesa di parlare con Pogacar, c’è Matxin che ne descrive la grandezza, la perfezione, l’ineffabilità. E così dopo questa lunga teoria di lodi, ci viene la curiosità di chiedergli se in realtà non sia difficile essere così perfetti. E lui risponde con un sorriso.

«Secondo me – dice – la cosa più difficile è creare un gruppo, quando ci sono corridori dal livello di Hirschi, Almeida e Ulissi. Come lo convinci uno come Diego, con il palmares che ha, che deve tirare quando mancano tanti chilometri perché consideriamo che è la cosa giusta da fare? Sono orgoglioso di avere creato l’atmosfera giusta. E credo che la squadra abbia funzionato bene anche quando Tadej era solo. Quando hanno visto che Hirschi e Almeida facevano buona guardia, quelli dietro hanno capito che non si sarebbero potuti organizzare e contro un Pogacar in condizione così perfetta hanno perso la speranza».

Attacco sulla Redoute: ci siamo. Pogacar fa il vuoto e se ne va
Attacco sulla Redoute: ci siamo. Pogacar fa il vuoto e se ne va

La dedica speciale

Pogacar arriva riguardandosi l’arrivo nel cellulare. Fende la sala stampa e va a sedersi sulla sedia della cattedra. Oggi la Permanence si trova all’interno di un polo universitario e tutto fa pensare di essere tornati a scuola, a cominciare dai bagni. Il berretto di lana in testa e lo sguardo normale, come se non avesse appena vinto la Liegi. In realtà la scarica delle emozioni le ha tenute dentro sul traguardo, con quelle dita al cielo che ora spiega con un filo di commozione.

«Due anni fa – dice – in questo stesso giorno, la madre di Urska morì poco prima della Liegi e io rinunciai a correre e corsi a casa. Anche l’anno scorso qui sono caduto e ho rovinato la mia stagione. Oggi è stata una corsa piuttosto emozionante e ho pensato molto a Daria, la mamma di Urska. E penso che questo mi abbia dato la forza anche per venire e arrivare da solo fino al traguardo. Ho attaccato davvero forte, a tutto gas dalla base della Redoute fino alla cima. Novak ha fatto un ottimo lavoro tirando per le prime centinaia di metri e poi è toccato a me. Serviva tanta forza e l’ho avuta».

Normalità disarmante

Lo guardi e pensi a quella che per lui è normalità e fai anche fatica a trovare qualcosa da chiedergli, vista l’assenza di pathos in una vittoria così grande da non aver aperto neanche una crepa nella sua corazza.

«In realtà è stata piuttosto dura – ci smentisce – con il vento contrario dopo 230 di gara e con questo freddo. Non è bello e non è scontato, ma una volta che senti che il divario è di un minuto, allora ti sembra più facile. Oddio, facile proprio no. Diciamo che ti dà una motivazione in più (sorride, ndr). Sono azioni che si progettano, in cui credi, ma che non prepari a casa. Non sono cose che alleni, non avrebbe senso. Ma per me le corse sono così: devi provarci. Può andare bene o anche male, ma devi provarci. Cosa vorrei fare adesso? Ci starebbe bene una bella settimana di vacanze, come ha detto Mathieu (lancia lo sguardo a Van der Poel seduto accanto, che ride, ndr) che sta per andare a Dubai. E’ una bella scelta, non dispiacerebbe neanche a me, ma ho un lavoro da fare in Italia».

Liegi, domani si corre e Van der Poel ha pronta la sorpresa

20.04.2024
5 min
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LIEGI (Belgio) – «Ci proverò, ma sarà difficile. Non ho il terreno giusto – dice Van der Poel – e davanti questa volta c’è Pogacar, che è davvero forte in questo tipo di gare. Penso che la stagione sia già stata molto buona e penso che le gare passate fossero le più adatte a me, ma sono qui per provare a vincere».

Il campione del mondo risponde quasi annoiato alle domande che lo speaker deve necessariamente fargli, altrimenti come la scalda la poca gente accorsa sotto al palco? Piove a sprazzi e a sprazzi viene fuori un timido sole, di base però fa ancora freddo. E fredda è pure la presentazione delle squadre, la terza lungo l’argine dell’Ourthe, in un viale senza poesia né nobiltà, ai margini della città. Dopo la Sanremo scacciata da Milano, la Liegi fuori dal centro della città in cui era accolta come una regina lascia un sapore sempre più strano.

Pogacar è l’uomo da battere: lo sanno tutti, a lui in apparenza non crea problemi (foto letour)
Pogacar è l’uomo da battere: lo sanno tutti, a lui in apparenza non crea problemi (foto letour)

La ciliegina sulla torta

Siamo quasi certi che Van der Poel abbia in mente qualcosa di veramente grande per domani. Il suo pullman è l’ultimo in attesa di ripartire, in questa sorta di passerella meccanica in cui i corridori vengono scaricati, presentati, applauditi, intervistati e riportati in hotel. A costo di sembrare vecchi, ricordiamo che fino a prima del Covid, gli atleti passavano fra il pubblico, firmavano autografi e posavano per foto. Oggi c’è distacco e chissà quanto sia positivo.

«Ho ricaricato le batterie – dice il campione del mondo – sono andato in Spagna e sono riuscito a fare qualche buon allenamento al caldo. Sono tornato in Belgio giovedì sera per fare la recon del percorso con i miei compagni di venerdì, ma alla fine ho deciso di farne a meno. Diluviava e anche se non partecipo dal 2020, credo di conoscere queste strade a memoria. Non credo che l’Amstel significhi che sono in calo di forma: non avevo gambe, ma non ero neppure tanto male. Certo però Pogacar sarà un rivale difficile da sorprendere: è un corridore di classe purissima che correrà sul suo percorso preferito. Però penso che posso vincere. Se non ne fossi convinto, non parteciperei nemmeno. Ma tutto dovrà essere perfetto. E se dovesse andare bene, sarebbe anche più della ciliegina sulla torta».

Van der Poel è molto rilassato, posa per i selfie e intanto cova qualcosa per domani (foto letour)
Van der Poel è molto rilassato, posa per i selfie e intanto cova qualcosa per domani (foto letour)

Il malumore di Madiot

Hanno presentato le donne insieme agli uomini: le stesse squadre sullo stesso palco. E mentre il meccanismo andava avanti, abbiamo trovato il modo di fare due domande a Marc Madiot. Il team manager spesso ribelle della Groupama-FDJ ha espresso nei giorni scorsi una serie di valutazioni molto chiare sulla sicurezza delle corse.

«E’ tutto il sistema che non funziona – dice – a cominciare da chi valuta i percorsi. Dopo la caduta nei Paesi Baschi, sono stati accusati gli organizzatori, ma credo sia tempo che le valutazioni vengano fatte con qualche mese di anticipo da persone davvero indipendenti. E questa è la minima parte, perché dobbiamo parlare anche dei corridori.

«Avete fatto caso che la prima cosa dopo l’arrivo è spingere un tasto sul manubrio? Sono delle macchine che producono watt, in corsa come a casa. Dalla macchina gli dicono come è fatta la curva, poi però succede che il gps non ti segnala che ci sono anche i tombini e il corridore cade. E così passiamo alle radio, che dovrebbero essere uguali per tutti e solo con informazioni di servizio. E poi alle biciclette, che sono sempre più al limite. L’UCI potrebbe mettere mano a tanti aspetti per rendere questo ambiente più sicuro, ma si batte per la lunghezza dei calzini. Perciò domani andrò in corsa e i dimenticherò di tutto. Perché la Liegi è la Liegi e quando si comincia comanda l’istinto».

Pidcock alza il tiro

Quelli della Ineos Grenadiers sono venuti con Pidcock e Bernal, il primo per fare la corsa, il secondo per continuare a migliorare sulla strada di un pieno recupero. E Pidcock, che ha vinto l’Amstel poi si è congelato alla Freccia Vallone, ha lasciato intendere di aver recuperato.

«Sicuramente mi sono riscaldato – sorride – e non posso dire di essere orgoglioso della mia prestazione di mercoledì, ma ho preferito prevenire che curare. Per domani mi sento veramente bene. Questa è una delle mie gare preferite: so quanto sarà difficile, ma sono pronto per affrontare la sofferenza che certamente ci sarà. L’anno scorso arrivai secondo dietro Remco e se ci penso, dico che la feci molto bene. Tatticamente e anche fisicamente tirai fuori il massimo di quello che avevo, ma questa volta ci arrivo meglio. Il podio va bene, ma vincere una Monumento avrebbe un altro sapore».

Pogacar è passato e ha ripetuto quello che ha detto ieri. La sua presenza, al pari di quella di Van der Poel alla Roubaix, è il fattore con cui fare di conto. Eppure non deve essere facile sentire tutti gli occhi puntati e sapere che sono tutti lì ad aspettare una tua mossa. Lui se la ride e strizza l’occhio, probabilmente il segreto è tutto nella leggerezza.

Van der Poel tra Roubaix e Amstel: l’analisi di Zanini

20.04.2024
5 min
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Ancora 24 ore, o poco più, e sarà Liegi-Bastogne-Liegi. Già pregustiamo lo scontro fra Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel. Certo, il percorso vallone gioca a favore dello sloveno, ma se l’olandese avesse di nuovo (o ancora) la gamba della Roubaix allora vedremmo scintille.

Ed è proprio su questo punto che vogliamo insistere. Se ieri in ricognizione abbiamo visto un Pogacar pimpante, ci si chiede come stia davvero Van der Poel. Com’è la sua gamba? E’ di nuovo o ancora fortissima come a Roubaix o è in fase di stallo come abbiamo visto all’Amstel Gold Race (sbuffante nella foto di apertura)?

Abbiamo fatto un’analisi insieme a Stefano Zanini. Oggi “Zazà” è uno dei tecnici dell’Astana-Qazaqstan, ma più che come direttore sportivo lo abbiamo tirato in ballo in quanto ex corridore. Ex corridore che sapeva andare forte alla Roubaix e fortissimo, tanto vincerne anche una, all’Amstel Gold Race.

Dopo una lunga fuga solitaria nel vento, Stefano Zanini vince l’Amstel Gold Race: era il 1996 (foto Instagram)
Dopo una lunga fuga solitaria nel vento, Stefano Zanini vince l’Amstel Gold Race: era il 1996 (foto Pinterest)
Stefano, com’è dunque possibile che Van der Poel passi dalla gamba “fotonica”, che ha mostrato e dichiarato di aver avuto alla Roubaix, alla “non gamba” dell’Amstel in appena sette giorni? 

E’ possibile che la situazione cambi così nettamente anche in pochi giorni. Ed è possibile proprio perché come ha detto lui stesso, alla Roubaix era in giornata di grazia, quindi ha pescato un picco eccezionale. Magari in quel momento non pensava di sprecare tante energie… ma le spendeva eccome. E poi non bisogna considerare solo la Roubaix e l’avvicinamento alla Roubaix, ma bisogna inquadrare il tutto, nella sua Campagna del Nord.

Spiegaci meglio.

Nel senso che l’olandese ha fatto tutte classiche importanti. Ed erano tutte corse in cui puntava a vincere: queste alla fine lasciano il segno. Quindi questo calo per me ci sta.

Tu hai corso la Roubaix e sai cosa significhi a livello muscolare. Quei sobbalzi, quegli “urti” continui possono incidere più del previsto? Posto che VdP sul pavé ci danza senza guanti.

Anche se è fortissimo, parliamo sempre di un umano. E’ normale che paghi dazio anche lui. La Roubaix in qualche modo ti esce fuori dopo qualche giorno, a chi di più a chi di meno, ma esce. Come ho detto queste gare, le classiche, vanno valutate tutte insieme e sono gare esigenti. Riguardo ai guanti, ce ne sono in tanti senza.Io anche non avevo le piaghe alle mani. Idem Boonen e Museeuw. Dipende molto da come stai sulla bici e da quanto stringi i comandi e il manubrio, ma quella è una conseguenza di come affronti il pavé.

Anche se più sciolto degli altri, i muscoli di Van der Poel hanno pagato dazio dopo la Roubaix
Anche se più sciolto degli altri, i muscoli di Van der Poel hanno pagato dazio dopo la Roubaix
Tu cosa facevi nei giorni post Roubaix? VdP per esempio dopo il Fiandre è tornato in Spagna, ma è la stessa cosa farlo dopo la corsa fiamminga e farlo dopo quella francese?

Ai nostri tempi il calendario era diverso. Dopo la Roubaix non c’era l’Amstel, ma c’erano la Freccia Vallone e il Gp Escaut, quindi Liegi e infine Amstel. Io all’epoca non tornavo a casa, ma restavo in Belgio. Facevo Freccia e Liegi in appoggio ai capitani, mentre Escaut e Amstel come leader. Restando su in Belgio cosa succedeva? Che prima di tutto non ti allenavi, ma uscivi in bici solo per scioglierti, per recuperare quell’ora e mezza, due al massimo tra una corsa e l’altra. Avevi sempre il tuo massaggiatore che tra sgambate e massaggio ti aiutava moltissimo nel recupero. E terzo se stavi lassù per tutta la Campagna vuol dire che stavi bene, che eri in forma e quindi recuperavi in fretta. Il massaggio post Roubaix era importante per le gambe ovviamente, ma anche per le braccia e la schiena.

In Spagna VdP ha scelto di rilassarsi giocando a golf e di allenarsi al sole…

Sì, ma credo che a quel livello abbia avuto di certo il suo massaggiatore di fiducia con sé. E se non aveva proprio il suo, avrà avuto un referente in Spagna visto che ci va spesso. Non posso immaginare che non abbia fatto i massaggi… dopo la Roubaix servono.

Sarebbe un’ingenuità insomma. E sul piano mentale? Di fatto Van der Poel  i suoi due maggiori goal li ha centrati (Fiandre e Roubaix, appunto): questo può incidere sull’approccio psicologico?

Può starci anche questo punto di vista, certo. L’Amstel, anche se era la corsa di casa, già ce l’aveva in bacheca. E poi è umano anche lui, magari pensava più alla Liegi. Mathieu ha passato un inverno senza corse su strada. Ha esordito con la Sanremo e poi ha fatto le sue gare tutte con l’obiettivo di vincere. Aveva perciò le sue pressioni.

Dici possa essere un fatto di pressione?

Dico che si può essere più o meno motivati. A lui magari la pressione piace pure, ci si motiva e la gestisce bene. Anche perché se vinci le gare che ti sei prefissato significa che la pressione la reggi.

VdP vanta una sola partecipazione alla Liegi: 6° a 14″ da Roglic nel 2020. Eccolo, sulla Redoute
VdP vanta una sola partecipazione alla Liegi: 6° a 14″ da Roglic nel 2020. Eccolo, sulla Redoute
E allora forse questo duello con Pogacar gli può ridare lo stimolo giusto?

Van der Poel è fortissimo, ma ha vinto gare dove non ci sono salite lunghe, corse con strappi brevi che richiedono sforzi esplosivi tipo quelli che fa nel cross. Al massimo ha vinto la Strade Bianche, ma è una corsa particolare, e comunque le salite restano brevi. La Liegi invece è un’altra gara. Sì, forse VdP avrà avuto un calo mentale all’Amstel, ma sul piano fisico sono convinto che stia ancora bene. Alla fine ha iniziato a correre alla Sanremo. La forma è ad alto livello ancora.

Nella sua unica apparizione alla Liegi, VdP vanta un sesto posto. Ma va detto che era quella della particolare annata del Covid…

Il problema per lui è che Pogacar è difficile da battere su un terreno così. Ci può stare che arrivi davanti, ma sulle salite lunghe lo sloveno può fare la differenza. Poi dipenderà anche da come andrà la corsa.  E’ una sfida interessante senza dubbio. Se vogliono togliersi Van der Poel devono rendere la corsa dura dal chilometro 150, da Vielsam da dove poi inizia la sequenza delle cotes di: Monte le Soie, Wanne e Stockeu.

Un giorno con Pogacar, fra bici, interviste, sogni e paure

19.04.2024
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BILZEN (Belgio) – L’hotel dove Tadej Pogacar incontra i giornalisti nel pomeriggio è un vecchio castello rimesso a nuovo, con mura in mattoncini fuori e vetrate scure che affacciano su prati verdi a perdita d’occhio. Si fa presto a capire perché mai il Belgio sia tanto verde, dato che anche oggi ha piovuto ininterrottamente dal mattino e soltanto alle 16 ha deciso di smettere.

Quando stamattina lo sloveno e i suoi compagni hanno arrestato il pullman sulla strada fra Trois Ponts e Stavelot, è servita tutta la loro grinta per vestirsi e partire lungo gli ultimi 100 chilometri della Liegi. Ulissi, che mercoledì si è sciroppato la Freccia Vallone, guardava il cielo poco convinto, ma Tadej è arrivato ieri sera e i compagni lo hanno aspettato per la “recon”. Si sono coperti con guanti in neoprene degni di un sub, hanno chiuso ogni possibile spiffero e sono spariti alla volta della Cote da Wanne, prima salita di giornata.

«Abbiamo fatto una bella ricognizione – dice Pogacar – mi piace sempre ripassare le strade di una delle mie corse preferite. Sta diventando una tradizione, da sei anni facciamo più o meno sempre gli stessi allenamenti e oggi non ha fatto eccezione. Siamo andati e abbiamo spinto forte per non avere freddo. Così la distanza è passata molto velocemente».

Dopo la recon del mattino, Pogacar ha incontrato i giornalisti nel primo pomeriggio
Dopo la recon del mattino, Pogacar ha incontrato i giornalisti nel primo pomeriggio

La Freccia Vallone è rimasta negli occhi di tutti i corridori e se ne fa ancora un gran parlare. Anche Pogacar l’ha seguita in televisione e ammette di aver sofferto per i suoi compagni. Il ragazzo ha la solita faccia pulita e gli occhi stanchi, ma come al solito appare molto ben disposto, per cui le domande arrivano e spaziano. Non solo la Liegi, ma anche le cadute e tutto quello che per un motivo o per l’altro popola la fantasia di venti giornalisti venuti da tutte le parti soltanto per lui.

Domenica scontro con Van der Poel: chi di voi due secondo te è fisicamente più attrezzato per queste gare?

Non vedo l’ora di affrontare di nuovo Mathieu, ma non penso che ci sia solo lui da tenere d’occhio. La Liegi è adatta agli scalatori più che ai corridori più pesanti come Mathieu, ma sappiamo che lui può fare tutto. Penso che domenica sarà una gara abbastanza aperta, con molti attacchi da lontano e tutto può succedere. E’ una gara molto lunga, una delle più lunghe dell’anno, con tanti metri di dislivello in salita. Si adatta meglio ai ciclisti un po’ più leggeri, ma comunque incisivi.

Che cosa pensi di quello che ha fatto Mathieu in questa primavera?

Ogni anno, ormai. Quello che fa ogni anno è fantastico, anche se questa volta si riconosce di più con la maglia di campione del mondo. Sta scegliendo le sue gare e si esibisce ogni volta ad altissimo livello. Per questo è anche divertente correre contro di lui, anche se forse divertente non è la parola giusta.

La UAE Emirates è partita alle 11 del mattino da Vielsalm: c’erano 8 gradi e pioveva
La UAE Emirates è partita alle 11 del mattino da Vielsalm: c’erano 8 gradi e pioveva
Cambiando discorso, che cosa ti è parso delle cadute che si sono viste di recente?

Penso che quest’anno ho visto uno dei due incidenti più orribili di sempre mentre guardavo la televisione. Non è stato bello vedere queste enormi cadute, in cui i corridori a terra non si muovevano nemmeno. Erano sdraiati e fermi e da casa ero lì a sperare che qualcuno venisse a prenderli velocemente e ad aiutarli. Purtroppo non ci si può fare nulla, è già successo. Gli incidenti accadono continuamente e altri ne accadranno. Il ciclismo è uno sport molto pericoloso, spero che tutti lo sappiano. Ogni anno andiamo sempre più veloci. Abbiamo attrezzature più veloci. Superiamo i limiti dei nostri corpi e delle bici. Ovviamente non possiamo provare tutte le tappe, tutte le strade. Hai le mappe per studiarle. Puoi farlo con Google Maps, Earth View, qualunque cosa. Puoi vedere la strada, ma non è la stessa cosa se la conosci. Per cui andiamo e basta.

Pensi che ci sia un po’ di responsabilità anche dei corridori?

Certamente sì. Molti corridori incolpano gli organizzatori, ma a volte è solo colpa nostra. Andiamo troppo veloci. Non sempre le cadute sono dovute a buche o crateri, ma certo non abbiamo la fortuna di correre sempre su asfalto nuovo. Andiamo più veloci in ogni discesa, in ogni salita, in ogni tratto pianeggiante. Poi si somma la stanchezza dei corpi e normalmente ci sono cadute. Anche io sono caduto alla scorsa Liegi, ma la colpa fu soltanto mia. Mi stavo concentrando per risparmiare quanta più energia possibile. Ero dietro al mio compagno Vegard, che è piuttosto grande e non vedevo niente. Così, quando Michael Honoré è caduto, non ho potuto evitarlo

E comunque domenica si torna alla Liegi, nella stagione del Giro e del Tour: in che modo la Doyenne si inserisce nel programma?

Sono abbastanza in forma. Vengo dal ritiro di Sierra Nevada e sono già concentrato sul Giro e sul Tour, ma credo di essermi preparato abbastanza bene anche per domenica. Mi piace molto questo programma. Non è troppo pesante e mi lascia molto tempo per allenamento e riposo fra una corsa e l’altra. Al contempo mi aiuta a trovare motivazioni nelle gare che faccio. Quando guardo il Fiandre, l’Amstel o la Freccia vorrei correrle anche io, ma so anche che devo essere più fresco per il Giro e poi per il Tour. Quindi la motivazione arriva con ogni gara che vedo in tivù.

La verifica della pressione delle gomme, che in una giornata come questa è decisiva
La verifica della pressione delle gomme, che in una giornata come questa è decisiva
La caduta dei Baschi ha colpito tre dei pretendenti al Tour, cosa hai pensato quando te ne sei reso conto?

So per esperienza che ci vuole molto tempo per recuperare. Il corpo ha bisogno di tempo, anche se la mente è pronta per andare sulla bici. Vorresti spingere, ma il corpo ha bisogno di riprendersi, qualsiasi sia la frattura o il danno. Un infortunio così influisce sulla preparazione e anche sulla parte mentale, quindi spero che tutti possano recuperare il più velocemente possibile. Che possano andare ad allenarsi in altura più velocemente possibile. So quanto sia importante avere più tempo possibile e penso che ne abbiano ancora abbastanza per il Tour.

Vorresti che Vingegaard fosse al Tour, dunque?

Sì, di sicuro. Sono il tipo di persona che vuole sempre gareggiare contro i migliori e Jonas è probabilmente il miglior scalatore del mondo. Mi auguro che torni allo stesso livello di prima e che possiamo creare ancora una volta un buono spettacolo. E spero che nessuno pensi che sia felice del suo infortunio, altrimenti dovrei pensare che qualcuno lo scorso anno lo sia stato per il mio e non vorrei pensarci.

Prima di partire, piccolo contrattempo per Tadej: il tempo di resettare il cambio e si va
Prima di partire, piccolo contrattempo per Tadej: il tempo di resettare il cambio e si va
Cosa ti aspetti dalla sfida Giro-Tour?

Ci saranno degli alti e bassi in questo programma, ma adoro correre in Italia. Ho corso in Italia per tutta la mia vita e voglio arrivare a Roma con buone sensazioni e vivere bene quelle tre settimane. Poi ovviamente voglio passare una bella settimana dopo il Giro e iniziare il lavoro per il Tour e prepararmi a soffrire in Francia. L’importante sarà finire il Giro bene mentalmente e anche fisicamente, non essere del tutto distrutto. Non servirà fare chissà cosa, in quel mese non servirà sfinirsi. Il corpo sarà ancora in forma, servirà seguire le sensazioni per arrivare al Tour de France non cotti.

Tornando alla Liegi, dopo gli 80 chilometri di fuga alla Strade Bianche e i 60 di Van der Poel alla Roubaix, cosa dobbiamo aspettarci per domenica?

Attaccherò ai meno 100 (ride ndr). Perché no? Si fa per ridere, ragazzi. Penso che questa non sia la Roubaix e neanche la Strade Bianche. Le salite più dure della Liegi si affrontano nel finale, quindi penso che sia piuttosto difficile andare via troppo presto. Vi dirò anche che mi manca Remco nella lista dei partenti, lo ammetto. Perché ha vinto le ultime due edizioni, in cui io non sono stato nei finali. Speravo dall’inizio dell’anno che ci saremmo scontrati qui alla Liegi, perché lui ama questa corsa e la adoro anch’io. Sarebbe stato interessante. Il ciclismo a volte fa schifo, quando succedono queste cose. Quando in gara ci sono tutti quelli del massimo livello e ugualmente riesco a vincere, mi sento sicuramente più soddisfatto.

Un autografo al volo mentre il meccanico lavora: la signora ha riconosciuto Pogacar e si è fermata
Un autografo al volo mentre il meccanico lavora: la signora ha riconosciuto Pogacar e si è fermata
Pensi che domenica potresti perdere?

Non penso a perdere. Voglio dire che in questa gara ci sono così tante salite ed è una gara così lunga, che puoi essere sorpreso da un gruppetto che va via e devi avere una buona squadra per controllare. Penso che ci siano parecchi altri contendenti. Quindi guai sentirsi già vincitori, dovremo essere molto attenti nel finale.

Ci pensi davvero a vincere i cinque Monumenti?

La Sanremo si avvicina ogni anno di più, ma è una delle gare più difficili da vincere. E la Parigi-Roubaix, vedendo come si è corsa negli ultimi due anni, potrebbe essere adatta a me. Potrei vedermi lì dentro. Non è la soluzione migliore per i piani della squadra, ma di certo proverò a vincerla. Non serve neanche parlarne tanto, la squadra lo sa. Penso che sia abbastanza chiaro che cerco di vincere il più possibile e che non mi piacciono i programmi copia e incolla.

La sicurezza di ABUS per Alpecin-Deceuninck e Fenix-Deceuninck

17.04.2024
3 min
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Il brand tedesco ABUS è quest’anno il partner per quanto riguarda la sicurezza dei pro team Alpecin-Deceuninck e Fenix-Deceuninck. E proprio in virtù del ruolo di partner ufficiale per la sicurezza di entrambe le squadre, sia la maschile quanto la femminile, ABUS garantisce che sia le biciclette che le maglie di Mathieu Van der Poel, Jasper Philipsen, Puck Pieterse e tutti i membri del team siano sempre al… sicuro! 

In virtù del proprio “status”, ovvero quello di essere uno dei produttori leader a livello mondiale di tecnologie di sicurezza e soluzioni personalizzate in questo campo, ABUS protegge le proprietà delle squadre sia sul percorso di assistenza che durante le gare e gli stage di allenamento. Oltre a dotarli delle più moderne attrezzature di sicurezza, ABUS svolge anche un vero e proprio servizio di formazione a tutti i membri del team. 

Un partner affidabile

«Noi di ABUS – ha dichiarato Christian Rothe, membro del comitato esecutivo di ABUS – siamo estremamente lieti di poter supportare i team Alpecin-Deceuninck e Fenix-Deceuninck e i loro sostenitori in qualità di Partner ufficiale per la sicurezza. Sono soprattutto le squadre di alto livello ad avere un enorme bisogno di sicurezza. Mettere in sicurezza la bici di Mathieu Van der Poel durante una pausa caffè, oppure durante un giro di allenamento è una cosa, mettere in sicurezza in modo efficace un intero percorso di assistenza, compresa una flotta di veicoli utilizzati in tutto il mondo, è una sfida molto speciale e completa»

«Questa che ci si presenta – continua – è una grande opportunità per ABUS di dimostrare che i nostri due settori di business, Mobile Security e Home Security, sono perfettamente collegati tra loro e che sono in grado di offrire un concetto globale a tutto tondo per la sicurezza sia mobile che fissa».

Anche Alessandro Ballan, qui in versione… Eroico, è testimonial del brand
Anche Alessandro Ballan, qui in versione… Eroico, è testimonial del brand

«ABUS è per noi un partner molto importante – hanno ribattuto i dirigenti del team Philip e Christoph Roodhooft – ed in ogni passo che facciamo, la sicurezza delle piattaforme ricopre un ruolo vitale. Con loro siamo sicuri di lavorare con un partner che può supportarci in qualsiasi passo, con grande esperienza e storia nel mondo della sicurezza. Abbiamo esigenze diverse, nel nostro magazzino e durante i viaggi, ma con ABUS abbiamo trovato un alleato che può guidarci e supportarci in qualsiasi specifica situazione».

ABUS

Van der Poel a Liegi? Bartoli e Bettini dicono di no

16.04.2024
5 min
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Due che la Liegi la conoscono come le strade di casa, per averne conquistata una coppia ciascuno: Michele Bartoli e Paolo Bettini. Il maestro e l’allievo, esperti di Ardenne come pochi altri al mondo. Li abbiamo interpellati sul tema che inizia a tenere banco nei bar: Van der Poel può vincere la Liegi, scalzando Pogacar?

Si sa, quando ti restano negli occhi grandi imprese come quella dell’olandese alla Roubaix, ti sembra che per lui sia tutto possibile. Però poi si torna con i piedi per terra e si capisce che l’impossibile in realtà non esiste.

«Un bel duello fra Pogacar e Remco – dice Bartoli – quello sì che me lo sarei goduto! Ma stavolta è toccato a Evenepoel infortunarsi e per il secondo anno consecutivo, non riusciremo a vederlo. Ma ditemi una cosa: siete anche voi fra quelli che pensano che Van der Poel possa vincere la Liegi? Io non ci credo».

«Anche io sto dalla parte di quelli che indicano Van der Poel fuori dai giochi per la Liegi – dice Bettini – secondo me non può insidiare Pogacar, che su quel tipo di salita se lo toglie di torno quando vuole. Abbiamo già visto come in un’Amstel possa essere messo in difficoltà e la Liegi è un’altra cosa».

Bartoli e Bettini hanno corso insieme dal 1997 al 2001, vincendo 4 Liegi in due
Bartoli e Bettini hanno corso insieme dal 1997 al 2001, vincendo 4 Liegi in due

Le salite delle Ardenne

Michele Bartoli, che accanto ad Adrie Van der Poel ha vissuto il primo anno da professionista e ne fu tenuto a battesimo proprio sulle strade del Nord, all’ipotesi che il campione del mondo possa vincere la Liegi non ci crede proprio. E come già in passato con lui avevamo commentato le imprese dell’olandese e del rivale Van Aert, arrivando a paragonare il primo a un cecchino e l’altro uno che spara a pallettoni, anche questa volta l’analisi è lucida.

«Fa bene a provarci – dice il toscano che la Liegi l’ha vinta per due volte – ma le salite delle Ardenne non sono paragonabili ai muri del Fiandre. Sento dire che potrebbe vincerla, perché ha vinto il mondiale di Glasgow che sarebbe stato uno dei più impegnativi di sempre, ma evidentemente non ho visto la stessa corsa. Glasgow era un Fiandre senza pavé, salite che duravano poche decine di secondi. Alla Liegi alcune durano qualche minuto. E quand’è così, le cose cambiano».

La Liegi non è una corsa semplice: le sue salite non sono pedalabili come il Poggio
La Liegi non è una corsa semplice: le sue salite non sono pedalabili come il Poggio

Analisi sballate

Lo sguardo si fissa prima di tutto sugli avversari e non soltanto su Pogacar che di certo avrà addosso tanti riflettori. La selezione che Van der Poel ha attuato alla Roubaix, anche alla luce delle doti atletiche ben evidenziate da Pino Toni, non sarà replicabile. Il percorso della Liegi non è adatto alle sue caratteristiche e questo potrebbe far accendere la riserva ben prima che la corsa si decida.

«Dipende molto dallo sviluppo della corsa – prosegue Bartoli – perché è chiaro che se lo portano col gruppo compatto e al piccolo trotto sino all’ultima salita, poi non lo staccano di certo. Ma credo che se la corsa si farà come al solito, avversari come Skjelmose, Pello Bilbao, Vlasov, Carapaz e altri scalatori potrebbero metterlo in croce. Starei attento a pensare che possa vincere tutto, ci sono corridori più forti di lui su percorsi di salita. Mi viene in mente l’anno che Petacchi vinse nove tappe al Giro d’Italia e cominciarono a dire che forse avrebbe potuto fare classifica. Oppure quando qualcuno decise che Ganna potrebbe puntare a un Giro d’Italia, senza tenere in considerazione le sue caratteristiche fisiche. Quando leggo certe cose, mi verrebbe di prendere il telefono e chiamare, ma ho imparato a lasciar correre».

Tom Pidcock ha vinto l’Amstel costringendo Van der Poel a un fuorigiri di troppo
Tom Pidcock ha vinto l’Amstel costringendo Van der Poel a un fuorigiri di troppo

Occhio a Pidcock

Fra coloro che potrebbero dire la loro anche in barba a un gigante come Pogacar, Bettini vede il vincitore dell’Amstel Gold Race, che ha dimostrato di essere fra gli scalatori più in forma del momento.

«Non credo a Van der Poel per la Liegi – dice il livornese, che ha vinto anche due mondiali – mentre penso che un nome da seguire sia quello di Pidcock. Lui ha dimostrato che su quei percorsi sa anche vincere. Forse può essere proprio lui quello che può insidiare Pogacar. Ma di certo non sarà Van der Poel, questo mi sento di escluderlo abbastanza nettamente. Lo vedremo domenica alla Doyenne…».

Van Aert ha altre caratteristiche che gli permettono di andare forte anche in salita
Van Aert ha altre caratteristiche che gli permettono di andare forte anche in salita

Van Aert è un altro corridore

L’argomento da cui si prende spunto per dire che Van der Poel in realtà potrebbe davvero centrare la Liegi è legato al fatto che nel 2022 Van Aert, che atleticamente potrebbe ricordare il rivale di sempre, arrivò terzo dopo Evenepoel e Quinten Hermans. E che anche Mathieu nel 2020 conquistò il sesto posto, vincendo la volata alle spalle del gruppetto di Roglic, Hirshi, Pogacar, Mohoric e Alaphilippe.

«Van Aert è diverso – dice secco Bartoli – lui alla Liegi è già arrivato terzo, ma è soprattutto un corridore che ha vinto da solo dopo aver superato il Mont Ventoux. Ed è anche quello che, tirando per Vingegaard sui Pirenei, ha staccato Pogacar. Van Aert ha una predisposizione diversa per la salita, tanto che si parlava di lui come di uno che avrebbe potuto vincere il Tour. Non ci ho mai creduto, ma qualcuno lo ha detto. Bisogna anche ricordarsi che il ciclismo non è il terreno in cui si va per dimostrare le proprie teorie. A conoscerlo si capisce come tutto rientri in una logica precisa. Volete sapere quante possibilità darei a Van der Poel di vincere la Liegi? Direi un 10 per cento. Abbiamo visto vincerla anche da Gerrans, che era un velocista, ma onestamente non credo che sia l’anno delle grandi sorprese».

Nel salotto di Gasparotto con due Amstel sul tavolo

14.04.2024
6 min
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Amstel Gold Race, la più giovane delle classiche del Nord, ma anche una delle più affascinanti. Nata nel 1966 per far sì che anche l’Olanda avesse la sua perla della “Campagna del Nord”, l’Amstel Gold Race a partire dagli anni ’90 è stata anche un buon terreno di caccia per gli italiani. Il primo a vincerla fu Stefano Zanini, oggi diesse dell’Astana-Qazaqstan, nel 1996 e a seguire Michele Bartoli, Davide Rebellin, Danilo Di Luca, Damiano Cunego, e due volte Enrico Gasparotto.

E proprio l’attuale direttore sportivo della Bora-Hansgrohe ci accompagna nel presentare l’Amstel che prenderà il via fra poche ore. Sarà la 58ª edizione della corsa della birra, l’Amstel appunto: 253 chilometri da Maastricht a Berg en Terblijt con tante cotes (qui il dettaglio del percorso).

E quindi con questa ipotetica birra sul tavolo, tuffiamoci nella corsa dell’oro… da bere.

Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016
Amstel 2016, Gasparotto mette a segno una vittoria memorabile. Precede Valgren e dedica la vittoria al compianto Demoitié
Enrico Gasparotto, Amstel Gold Race 2016
Amstel 2016, Gasparotto mette a segno una vittoria memorabile. Precede Valgren e dedica la vittoria al compianto Demoitié
Enrico, due vittorie memorabili 2012 (nella foto di apertura) e 2016. Se chiudi gli occhi qual è la prima che ti viene in mente?

La seconda chiaramente. Correvo con la Wanty all’epoca, squadra professional e dopo anni di WorldTour era come se fossi “retrocesso”. Tra l’altro il team non era organizzato come oggi. Ma soprattutto due settimane prima alla Gand avevamo perso Antoine Demoitié. Un nostro compagno aveva perso la vita in corsa, vi rendete conto. Tagliare quel traguardo, ma anche semplicemente correre, fu da brividi. E i brividi ancora mi vengono ogni volta che ci ripenso.

E’ comprensibile, Gaspa…

Tutti questi eventi hanno segnato il mio modo di essere attuale. Di come interpreto il ciclismo e la vita. Fu un vero shock, una giornata, una corsa… un incidente che può accadere a tutti. Fu una presa di coscienza, uno scossone anche sul come essere, nel rapportarmi con gli altri. Se oggi sono più calmo e più professionale fu anche grazie a quel momento. Prima spesso ero stato scontroso. Chiedetelo a “Martino” (Giuseppe Martinelli, ndr) quando ero in Astana. Dico che quel giorno è nato il Gaspa 2.0.

Enrico, hai vinto due Amstel e altre due volte sei arrivato terzo. Come nasce il feeling con questa corsa? Quando e perché hai capito che era adatta a te?

L’ho capito nel 2009 quando feci le Ardenne per la prima volta. Sin lì avevo sempre fatto la parte delle pietre. Tranne che a De Panne, non ero mai andato troppo forte. Non avevo mai finito un Fiandre, per dire… E così nel 2009 mi resi conto che questa poteva essere la mia corsa e dal 2010 è diventata il focus della mia preparazione.

Una caratteristica della corsa olandese sono le sue strade strette, oltre alle tante svolte e alle cotes in successione
Una caratteristica della corsa olandese sono le sue strade strette, oltre alle tante svolte e alle cotes in successione
Bello! Racconta…

Allenamenti, ritiri, gare erano finalizzate all’Amstel. Certe volte ero sul Teide e mi chiudevo in me stesso, mi concentravo su questa corsa. Cercavo di visualizzare le situazioni che avrei ritrovato in gara, sul quel percorso. L’ultima settimana prima dell’Amstel facevo il Brabante. In alternativa, a casa, il giovedì facevo tre ore di dietro motore e al termine dell’allenamento partivo per l’Olanda. Lo facevo con mia moglie che è davvero brava o con un mio amico che dal Friuli veniva in Svizzera appositamente per farmelo fare.

Addirittura dal Friuli…

Sì, loro mi motivavano. Era una responsabilità in qualche modo averli a disposizione.

Analizziamo questa corsa da un punto di vista tecnico. E’ più dura di un Fiandre (altimetricamente) ma meno di una Liegi…

Esatto, è una via di mezzo tra Fiandre e Liegi. Le salite sono lunghe al massimo 1,5 chilometri e non c’è pavé: alla fine diventa una gara veloce. Oggi poi ancora di più. E’ una corsa di posizione. Devi essere concentrato per sei ore, non devi mai farti trovare nel posto sbagliato. Se ci finisci nel momento poco opportuno è la fine dei giochi. E anche nel finale è questione di posizione… e di gamba ovviamente.

Esatto di gamba. Una volta si finiva sul falsopiano in cima al Cauberg, ora l’ultimo muro è il Bemelerberg. Tu adottasti la tattica di fare il tratto duro col 39 e poi di mettere il 53 non appena calava la pendenza.

Esatto, fu così per entrambe le volte: 39 prima, 53 poi. Oggi però è imparagonabile tutto ciò. Altre velocità, altre potenze e altri rapporti. Oggi ci sono il 52 o il 54 davanti e il 12 velocità e non il 10 dietro. In quegli anni al massimo la differenza era fra 54×11 e 53×11.

Gasparotto sul Cauberg nel 2016. Ha ancora il 39 e il tratto duro sta per finire. Lui è in spinta, gli altri arrancano
Gasparotto sul Cauberg nel 2016. Ha ancora il 39 e il tratto duro sta per finire. Lui è in spinta, gli altri arrancano
Questo utilizzo dei rapporti era una scelta ponderata a monte?

Sì, sì… sul Cauberg la vera differenza la si fa nel tratto finale, nel passaggio dal segmento duro al falsopiano. Io usavo il 39 per sfruttare la cadenza, il mio punto di forza. In questo modo riuscivo a preservare i muscoli quel po’ per spingere forte il 53. Era la mia tattica studiata e ponderata: mi dovevo arrangiare in qualche modo, non avevo il motore di Van Aert o di Van der Poel!

C’è il classico aneddoto che potresti raccontare?

Non in particolare. Però ricordo che quando feci terzo nel 2010 forai. Nel 2012 quando ottenni la prima vittoria forai lo stesso e pensai: «Beh, quella volta andò bene, magari sarà così anche stavolta».

Enrico, hai parlato di corsa di posizione, di grande concentrazione, come trasmetterai tutto ciò ai tuoi ragazzi?

Cercherò di spiegargli che bisogna essere concentrati appunto, ma anche che nei primi 100 chilometri ci sono dei punti in cui ci si può “rilassare” un po’. Mentre negli ultimi 75 chilometri se si è fuori dai primi 30, o primi 20 in certi precisi momenti, si è fuori dai giochi. Cercherò di fargli capire che non possono sbagliare. Non sono VdP.

Pogacar è il campione uscente. Quest’anno non ci sarà. Ma ci sarà Pidcock, a ruota dello sloveno. Sarà lui il principale sfidante di VdP?
Pogacar è il campione uscente. Quest’anno non ci sarà. Ma ci sarà Pidcock, a ruota dello sloveno. Sarà lui il principale sfidante di VdP?
Cioè?

Mathieu ha un motore talmente più grande degli altri che anche se sbaglia può recuperare. Loro no e proprio per questo per loro la posizione è ancora più importante.

Hai parlato di Van der Poel. E’ lui ancora il favorito indiscusso?

Direi che nelle ultime gare ha dimostrato di stare bene! Oltre ad essere forte ha grandi abilità di guida che in queste corse gli torna molto utile. Pensate una cosa: Mathieu corre la Roubaix senza guanti e al termine non ha neanche una vescica. Vuol dire che è sciolto, che ha feeling. E poi è massiccio. Non lo sposti facilmente. Quindi sì: credo che sia il favorito numero uno. Inoltre è olandese e immagino abbia voglia di vincere anche entro i suoi confini, visto che tra le altre cose si è sorbito lanci e grida poco gentili nelle altre corse.

Qualche outsider?

Pidcock può essere pericoloso, ma non è del livello di Van der Poel chiaramente. Però per come è andato alla Roubaix, uno leggero come lui, credo stia bene. Poi c’è il blocco UAE Emirates che sta dimostrando di essere ad alto livello con più corridori e dappertutto. Ecco, loro potrebbero sfruttare l’effetto della superiorità numerica. E’ così che potrebbero stanare Van der Poel. Insomma sono questi tre soggetti che produrranno la corsa, che non la subiranno.

Attacco a 600 watt e tanti saluti. Van der Poel e la sua Roubaix

12.04.2024
7 min
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Un po’ quello che ha raccontato Filippo Lorenzon di ritorno da Roubaix e prima ancora dal Fiandre. Un po’ quello che hanno detto gli altri corridori. Aggiungi la resa di un indomabile come Mads Pedersen e poi le parole sbalorditive di Pasqualon sulla differenza palpabile fra il campione del mondo e i corridori normali. Metti tutto insieme e poi fatti la domanda: quanto è forte questo Van der Poel? 

Abbiamo deciso di aggiungere una voce al coro: quella di un preparatore, con cui lo scambio di messaggi in merito alla vittoria nella Parigi-Roubaix non lasciava spazio a dubbi: «La perfezione! Ieri gli guardavo le mani su quel pavè. Sembrano delle “pinze”, non molla mail la presa. Poteva partire a -80 e non cambiava niente».

Le mani stringono il manubrio e appena un dito sui freni: sembra pedali su asfalto
Le mani stringono il manubrio e appena un dito sui freni: sembra pedali su asfalto

Lui è Pino Toni, toscano, allenatore di lungo corso. Uno che lo sponsor Alpecin l’ha visto andar via in cerca di nuovi lidi alla fine del 2017 quando lavorava alla Katusha. Era lampante che il marchio tedesco cercasse qualcuno più qualificato di Zakarin e Kristoff, anche se quando nel 2020 nacque la Alpecin-Fenix (poi Alpecin-Deceuninck) con i fratelli Van der Poel, Merlier, Modolo e Sbaragli, pochi avrebbero immaginato il resto della storia.

Cosa vogliamo dire di questo Van der Poel?

Che è bello da morire in bicicletta. Poi con quella maglia lì, tutto bianco…

Guardando le foto, colpisce per la sua fisicità.

Questo va nella direzione del momento: sono molto più atleti di una volta. Il modello di ciclista è completamente cambiato. E’ importante avere generalmente un VO2 Max altissimo, però l’attenzione si è indirizzata verso le massime potenze sostenibili, quindi ai volumi lattacidi prodotti. Con la nuova alimentazione io mi posso caricare di muscoli e farli lavorare anche se apparentemente non servono per la pedalata. I corridori di prima avevano il tronco definito e ridotto al minimo. Ora questo problema viene meno, perché puoi ingerire 120 grammi di carburanti ogni ora, mentre prima eri legato ai gel e alle barrette. Atleti come Van der Poel, Van Aert, ma anche lo stesso Pogacar, hanno una struttura fisica più importante. Pogacar che vince il Tour non è finito come il Nibali del 2014.

Era magrissimo…

Una volta diventavano brutti. Un preparatore diceva ai suoi corridori che erano pronti ad andare forte perché erano diventati brutti. Diventavano scheletrici per fare la differenza, perché alla fine consumavano meno degli altri e in finale ne avevano di più. Ora questo problema non c’è, ora apri il gas dall’inizio alla fine e poi arrivi in fondo, anche con motori che consumano molto.

Quello che colpisce di Van der Poel è il senso di potenza della parte superiore del corpo
Quello che colpisce di Van der Poel è il senso di potenza della parte superiore del corpo
Non servono più i diesel potenti?

Proprio lì volevo arrivare. Una volta vincevi col diesel, col tuo Volvo 740. Il serbatoio era per tutti di 50 litri e chiaramente quelli col Porsche a un certo punto finivano alla benzina. Ora partono forte e vanno sempre più forte per tutta la corsa. Succede ormai per la totalità dei corridori, mentre sopra la media ce ne sono pochi con delle potenzialità completamente diverse che fanno la differenza anche come tattica di corsa. Non li freghi, perché possono andare forte dall’inizio alla fine.

Come dire che la volta che Van der Poel ha vinto a Casteldifardo alla Tirreno, arrivando completamente svuotato, gli ha insegnato a collegare i puntini nel modo giusto e adesso non lo fermi più?

Esatto, non lo fermi più. Ha aggiustato veramente tutti i tiri. Ha capito che se sbaglia qualcosa, rischia di non arrivare. Le più grandi scoperte del ciclismo degli ultimi vent’anni sono il misuratore di potenza, i test di valutazione per vedere quanto consumi e la possibilità di integrare fino a 120 grammi l’ora. Basta: finito! Queste sono le più grandi scoperte del ciclismo. In più, a suo favore, aggiungete che sa guidare la bici in modo pazzesco…

Un altro tassello per il mosaico perfetto?

Oh, Dio bono: viene dalla mountain bike e dal ciclocross! Questo significa anche ottimizzare l’utilizzo delle energie, perché uno che sta così bene in bicicletta, che non sbaglia una traiettoria, non ha stress neppure se il percorso è insidioso. Ha il colpo d’occhio di quando scendi a 40-50 all’ora fra le radici e in un attimo devi scegliere la linea. Come il primo Sagan: ve lo ricordate Peter che montava sulle biciclette degli altri?

Ormai una borraccia contiene fino a 90 grammi di carboidrati: l’importante è avere il serbatoio pieno
Ormai una borraccia contiene fino a 90 grammi di carboidrati: l’importante è avere il serbatoio pieno
Quindi non è solo avere grande motore, ma averlo inserito nel giusto contesto?

Un grande motore che deve funzionare per 4 ore e mezzo, perché ora vanno a tutta per quel tempo lì. Per questo ho detto che poteva partire a 80 chilometri dall’arrivo e non cambiava niente. Uno così non finisce la benzina. Sa che da solo a 400 watt consuma 110-120 grammi di carboidrati e riesce a buttarli dentro. Secondo me ha anche più watt medi, perché quando è partito ha sicuramente dato di più e magari avrà pure intaccato la riserva. Ma uno che è alto 1,85 e pesa 75 chilli avrà addosso 500-600 grammi di glicogeno. Quindi prima di avere il senso della crisi può intaccare la riserva fino alla metà.

Stiamo parlando del moto perpetuo oppure esiste una fine?

Ha di certo la soglia sopra i 450 watt. E quando parte può fare 5 minuti a 600 watt. I suoi 5 minuti fanno impressione, la sua capacità di spinta ti mette in difficoltà. Però bisogna pensare che se vai a soglia, consumi 250 grammi di glicogeno ogni ora, quindi sai che in tutta la corsa ci puoi andare per un’ora, non di più.

Insomma, se è solo e lo lasci andare del suo passo, non lo vedi più…

Esatto, quando è da solo e gli altri non si avvicinano, come si dice da noi in Toscana: è cotto il riso! Nel senso che sai già come va a finire, perché questo si mette al suo regime e sa che arriva in fondo anche se ha da fare 60 chilometri. Purtroppo in certi casi, speriamo che nessuno si arrabbi, diventa anche un pochino noioso. E’ come Verstappen che è davanti nel Gran Premio di Formula Uno e si gestisce e non deve fare nemmeno una curva rischiando di mettersi di traverso. E con Van der Poel è uguale. Fa il suo scatto, poi gestisce il vantaggio. Basta: finito!

Nella fase di attacco, la potenza scaricata sui pedali secondo Toni potrebbe essere arrivata a 600 watt
Nella fase di attacco, la potenza scaricata sui pedali secondo Toni potrebbe essere arrivata a 600 watt
Secondo te in questo quadro perché il ciclocross gli è così prezioso?

Gli è servito tantissimo per abituarsi a lavorare e a sfruttare l’acido lattico come energia, quello che ora viene chiamato il volume lattacido massimo. Queste grandi esplosioni di lavoro massimale le ha allenate nel ciclocross e nella mountain bike ed è difficile farlo diversamente. Come glielo dici a uno di fare un’ora fuori soglia? Devi trovare anche le motivazioni.

A inizio anno ha dichiarato che d’ora in avanti potrebbe non fare più inverni con tanto ciclocross.

Ma ormai quel background a livello fisiologico se l’è creato. Ora basta che lo alleni con le menate che fa e poi chiaramente il suo allenatore saprà come farglielo mantenere. Ormai quasi tutti i corridori fanno 45 minuti-un’ora a blocco, magari anche quando sono in altura. Oppure spezzano l’allenamento e fanno quello corto a tutto gas, perché questo è quello che ti richiede adesso il modello gara.

Dici che ha dovuto allenarsi per mangiare 120 grammi di carboidrati per ora?

La tecnologia è altissima. Ci sono delle borracce in cui puoi addirittura mischiare la parte dei sali con la parte dell’energia. Non cambia l’osmosi, quindi non ti dà noia all’intestino. Parliamo di borracce da 90 grammi l’ora: ne prendi una, aggiungi un gel e sei a posto. Chiaramente lo devi provare e soprattutto lo devi provare quando cambiano le temperature, perché devi fare attenzione. Se sei disidratato, infatti, e butti dentro tutti quei carboidrati, puoi avere problemi. Ma ci sono 4-5 aziende che anche con due gel riescono a buttare dentro da 80-90 grammi, però devi stare bene. 

In curva sul pavé con traiettorie perfette, il busto ruotato verso l’interno e la spalla verso il basso: atteggiamento da biker
In curva sul pavé con traiettorie perfette, il busto ruotato verso l’interno e la spalla verso il basso: atteggiamento da biker
Si è detto che nel finale del Fiandre potrebbe aver utilizzato dei chetoni.

Nelle corse a tappe, li utilizzano in tanti. I chetoni ti servono soprattutto nei momenti un po’ morti, quando durante una tappa di transizione allenti un pochino e stai nel gruppo. Quando vai ad andature sub massimali e non sei a tutta, può convenirti ridurre tutta quella quantità di carboidrati. Semmai torni a prenderli soltanto nel finale e allora magari cerchi qualcosa di pronto subito, ad esempio prodotti che contengono beta-alanina oppure caffeina. Il chetone ti aiuta se non vai sempre fortissimo, ma se vai a tutta non ha senso. Magari vanno bene per il recupero o quando sei sotto il medio, ma durante la corsa ti serve a poco.

Infine c’è l’aspetto mentale…

Sicuramente ha delle motivazioni molto forti e sa crearsele. Penso al ricordo di suo nonno e anche al fatto che su quello che fa lui ci campano 70 persone. E questo secondo me qualche stimolo glielo dà. Insomma, se ha attorno altra gente come lui, magari gli tocca far fatica. Ma quando è da solo, tanto vale mettersi comodi e prepararsi a battergli le mani.

VdP è il capitano, ma alla Alpecin la legge è uguale per tutti

11.04.2024
7 min
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La Parigi-Roubaix ha consegnato alle cronache una Alpecin-Deceuninck schiacciasassi, anche più potente della Visma-Lease a Bike. Succede, quando si ha un leader forte come Van der Poel, che anche i gregari meno quotati si ritrovino con le energie raddoppiate e spesso facciano degli autentici capolavori. Se così è stato nelle classiche in presenza del… capo, non si può dire che la squadra si sia tirata indietro nelle altre corse, vincendo una tappa al Catalunya e una al Giro dei Paesi Baschi. Ad oggi il team dei fratelli Roodhooft è arrivato a dieci successi stagionali, tre dei quali nelle tre Monumento finora disputate: Sanremo, Fiandre e Roubaix. La sensazione che si abbiano occhi soltanto per Van der Poel e Philipsen insomma parrebbe sfatata dalla prova dei fatti.

Alla Roubaix, Vermeersch ha fatto gli straordinari per la Alpecin-Deceuninck, arrivando poi al sesto posto
Alla Roubaix, Vermeersch ha fatto gli straordinari, arrivando poi al sesto posto

La Alpecin di Conci

Nella squadra corrono due italiani, contro i quattro delle ultime stagioni. Uno è Luca Vergallito, approdato nel WorldTour dopo la challenge di Zwift e un anno nel devo team. L’altro, che ha seguito un iter più classico, è Nicola Conci, arrivato nel 2022 dopo la chiusura della Gazprom e in precedenza corridore della Trek-Segafredo. Il trentino ha corso ai Paesi Baschi e ora fa rotta sul Giro. Gli abbiamo chiesto di sé e del suo team, per capire se esista una suddivisione interna a favore dei big o se alla fine abbiano tutti le stesse possibilità. Lo sentiamo dopo la prima tappa del Giro d’Abruzzo che ha seguito da casa e l’esordio strappa il sorriso.

«Lo farei volentieri anche io l’Abruzzo – dice – perché non è che finora abbia corso tanto. Da quando la squadra è diventata World Tour, deve fare le corse che magari prima avrebbe saltato e di conseguenza si vede costretta a cancellarne altre a cui magari avrei potuto partecipare. Ad esempio io ho fatto il Giro dei Paesi Baschi e altri il Catalunya. E’ andata bene perché abbiamo vinto una tappa in entrambe, però dubito che nel 2022 le avremmo fatte. Quell’anno feci la Arctic Race e il Giro di Slovenia, mentre adesso siamo costretti, tra virgolette, a fare le prove WorldTour. A questo aggiungiamo che è saltata la Ruta del Sol a inizio anno e di conseguenza ho solo fatto Strade Bianche, Tirreno-Adriatico e Paesi Baschi».

Anche ai Paesi Baschi, con VdP impegnato sul pavé, la Alpecin ha vinto con Hermans
Anche ai Paesi Baschi, con VdP impegnato sul pavé, la Alpecin ha vinto con Hermans
Sei rimasto coinvolto anche tu nella caduta?

Quella famosa l’ho schivata, ma ero caduto il giorno prima, nella tappa che ha vinto il mio compagno Quinten Hermas. A un chilometro dall’arrivo mi è caduto davanti un altro corridore e non c’è stato modo che potessi evitarlo. Diciamo che nel male mi è anche andata bene, devo dire, perché mi sono fatto qualche escoriazione e poi all’inizio avevo un fortissimo dolore al coccige. Questo però è tutto passato, quel che invece resta è un male al torace. Con la botta deve essersi formato un ematoma interno oppure con il dottore si diceva che potrebbe esserci un piccolo danneggiamento nella zona della cartilagine, quindi nella parte finale delle costole. Mi fa abbastanza male quando respiro e soprattutto quando vado in bici.

Anche ora in allenamento?

Nelle tappe successive lo sentivo, poi ho recuperato per due giorni dopo la corsa e stavo bene. Invece martedì, che era il terzo giorno, ho fatto tre ore e ho sentito di nuovo quel fastidio. Si vede che quando respiro, il diaframma va a toccare quella zona. Ci vorrà ancora tempo, ma non c’è niente di rotto e questo è l’importante.

Adesso tutta l’attenzione è puntata sul Giro?

In realtà avevo chiesto con insistenza di fare le Ardenne. Primo perché penso che siano delle belle gare per me, secondo perché non avendo fatto la Ruta del Sol, i giorni di corsa in questa prima parte di 2024 sono veramente pochi. All’inizio sembrava che fosse possibile, invece alla fine mi hanno detto di andare in altura e concentrarmi sul Giro. C’era un programma già fatto e si è deciso di restare fedeli a quello. Al Giro si va per provare una tappa con un velocista come Kaden Groves e con Quinten Hermans che quest’anno sembra aver ritrovato buone sensazioni. Ovviamente parlo di loro, ma anch’io proverò a entrare nella fuga giusta, mentre non ho in testa di fare classifica. Il fatto che quest’anno Pogacar abbia deciso di fare il Giro è un’arma a doppio taglio. Tadej potrebbe voler fare il cannibale oppure chiudere la corsa alla fine della prima settimana e da lì in poi ci sarebbe più libertà per tutti gli altri.

Conci arriverà al Giro con 16 giorni di gara: qui alla Tirreno-Adriatico con Van den Bossche
Conci arriverà al Giro con 16 giorni di gara: qui alla Tirreno-Adriatico con Van den Bossche
Hai parlato di Pogacar, tu corri con Van der Poel: come si convive con simili fenomeni?

Ormai tutti si sono resi conto che questi cinque, sei corridori abbiano capacità ben oltre la normalità. Di conseguenza quando ci sono loro, le corse sono già indirizzate. Se ce l’hai in squadra, sei contento perché sai che lavori, ma c’è grande possibilità di portare a casa il massimo risultato. Quando invece ce l’hai contro, non è che ci siano grandi cose da fare. Per il Giro, la fuga sarà il solo modo di portare a casa una tappa.

Quando ce l’hai in squadra sei contento, va bene, ma si percepisce una differenza nel trattamento che ricevete rispetto a lui?

No, direi che da quel punto di vista sono bravi. Mi sembra che il metodo di lavoro sia molto standardizzato, anche se sostanzialmente Mathieu è la squadra. Non so esattamente come funzioni, però bene o male lui è cresciuto insieme alla Alpecin e fa parte della sua storia. Non voglio dire che sia sullo stesso piano dei fratelli Roodhooft, ma se pensiamo a cosa fosse prima la Alpecin e il modo in cui sono cresciuti, il merito è soprattutto di Mathieu. Nonostante ciò, sono molto metodici: hanno i loro schemi e tutte le programmazioni e non lo ho mai visti cambiare solo perché ci sono Philipsen o Van der Poel.

A proposito di Philipsen, credi che rimarrà o andrà via?

Il presupposto è che non so assolutamente nulla, meno di zero: non ho sentito neanche delle voci. Per come la vedo io, Jasper è uno dei corridori più forti al mondo e sa di andare fortissimo e di poter puntare al massimo risultato in qualsiasi corsa che sia adatta alle sue caratteristiche. Dall’altra penso che ormai si sia visto che i suoi obiettivi cominciano col sovrapporsi a quelli di Mathieu. Ho seguito la Sanremo dalla TV e si è visto che Mathieu si è sacrificato ben volentieri, ma penso che avrebbe voluto fare anche lui la volata. Quindi sinceramente non saprei dire quale sarà la scelta di Jasper, ma so che la sua miglior versione finora si è vista qui alla Alpecin. Per cui da una parte non vedo perché dovrebbe voler andare via, dall’altra ci saranno da capire i loro obiettivi.

Il legame che unisce i fratelli Roodhooft, titolari della Alpecin, a Van der Poel è qualcosa di raro nel ciclismo contemporaneo
Il legame che unisce i fratelli Roodhooft a Van der Poel è qualcosa di raro nel ciclismo contemporaneo
Pensi che se avessero corso in due squadre diverse, alla Roubaix le cose avrebbero avuto un altro sviluppo?

Non so se Jasper avrebbe potuto battere Mathieu, perché comunque sono un po’ diversi. Magari sarebbe arrivato ugualmente secondo o magari ci è riuscito approfittando del fatto di avere davanti il compagno, correndo così sempre a ruota. Difficile da dire…

Prima del Giro su quale altura andrai?

Sull’Etna. E poi, visto che non correrò fino al Giro, potrei fare anche un salto a Livigno. Conosco le tappe del Giro da quelle parti, anche se viste le salite, sono strade che vorresti non conoscere (ride, ndr). Deciderò in base al meteo.

Arriverai al Giro con 16 giorni di corsa: magari sarai più fresco…

Un po’ mi brucerà guardare le Ardenne in tivù, perché le avrei fatte volentieri. D’altra parte andare al Giro d’Italia avendo corso così poco mi permetterà certamente di essere freschissimo mentalmente. E magari quando arriveremo alla decima tappa, questo potrò essere un vantaggio. Magari all’inizio sarò indietro rispetto a chi ha corso di più, ma poi l’equilibrio potrebbe invertirsi. Avrei voluto provare questa soluzione già l’anno scorso ed ero convinto che sarei andato in crescita, purtroppo però mi sono fermato per il Covid. La speranza è quella di fare un Giro di crescita, vediamo se ne sarò capace.