Arenberg 2022

Tre settori e le loro pietre: tutta l’epica della Parigi-Roubaix

17.04.2022
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La classica più dura, difficile da interpretare, più eroica nella storia del ciclismo. La Parigi-Roubaix è qualcosa a parte, forse un ultimo retaggio del ciclismo degli albori. Per quanto il progresso vada avanti, per quanto le bici cambino e si evolvano, quando si pedala su quelle pietre sconnesse, che gli organizzatori cercano con pazienza certosina e le amministrazioni locali preservano come un monumento nazionale, si torna all’antico.

L’edizione di quest’anno avrà all’interno dei suoi 256 chilometri ben 30 settori di pavé, per un totale di 53,8 chilometri. I settori sono indicati da una a cinque stelle in base alla loro difficoltà: solo tre di questi hanno il massimo degli indicatori. E proprio in questi tratti la Roubaix ha vissuto alcuni dei momenti più epici. Raccontarli significa rivivere non solo attimi della storia di una corsa indimenticabile, ma anche quasi sentire sotto i piedi quelle pietre ormai famose in tutto il mondo.

Roubaix Arenberg 2021
La lunga fila di corridori nella foresta di Arenberg, tratto di 2,3 chilometri
Roubaix Arenberg 2021
La lunga fila di corridori nella foresta di Arenberg, tratto di 2,3 chilometri

L’Arenberg e Stablinski

La Foresta di Arenberg ha fatto il suo ingresso sul percorso della Roubaix relativamente tardi, nel 1968. “Responsabile” fu Jean Stablinski, storico gregario di Anquetil, ma anche vincitore di una Vuelta nel 1958 e soprattutto uno dei più inattesi campioni del mondo, nel 1962. Quel tratto di pavé lo conosceva bene, conosceva tutta la zona, lì suo padre polacco si era trasferito lì con la famiglia per cercare lavoro, finendo a sgobbare in miniera. Su quelle strade Stablinski aveva iniziato a correre in bici, facendone il suo lavoro, ma mai la sua passione perché, come disse una volta a Poulidor, «un minatore non deve amare il suo piccone, così io non devo amare la bici».

Jacques Goddet, organizzatore della gara, sapendo della sua storia gli chiese di qualche nuovo tratto di pavé nella sua zona da inserire in corsa: «Non osavo presentarglielo – racconterà in seguito Stablinski – sapevo come sarebbe andata a finire…». Quando fece vedere le foto a Goddet, questi rimase senza fiato: «Avevo chiesto ciottoli, non buche…» disse quasi risentito.

Il primo anno, Stablinski c’era, con la gente vestita da minatore per salutare l’eroe di casa. A lato del pavé, c’è una porzione morbida, ma gli organizzatori l’hanno impedita al transito delle bici, sennò che gara è?

Roubaix Boonen 2008
Il trionfo di Boonen a Roubaix nel 2008, su Cancellara e Ballan
Roubaix Boonen 2008
Il trionfo di Boonen a Roubaix nel 2008, su Cancellara e Ballan

Mons en Pevele, battaglia!

Il tratto di Mons-en-Pevele è considerato fra i più duri, con i suoi 3.000 metri e la distanza di una cinquantina di chilometri dall’arrivo. Quel tratto Tom Boonen lo conosce bene, perché fu decisivo nel 2008. Davanti erano tutti i migliori, lui lanciò all’attacco Stijn Devolder, reduce dal trionfo al Giro delle Fiandre, al quale si accodò l’australiano Stuart O’Grady.

Si ha un bel dire che la Roubaix è una corsa individuale, quel giorno Boonen giocò come un consumato scacchista. Devolder non poteva essere lasciato andare, così il suo rivale Leif Hoste fu costretto a sacrificare nell’inseguimento Vansummeren, ma quando più avanti, a 35 chilometri dall’arrivo, Boonen portò il suo attacco con Cancellara, solo Ballan rispose, Hoste andò alla deriva. I tre accumularono un vantaggio enorme, oltre 3 minuti, poi Boonen dispose allo sprint dell’elvetico e dell’italiano.

Non è lo stesso tratto, ma Mons en Pevele è sempre stato un luogo storico per la Roubaix. Forse perché sin dal Medio Evo era terreno di scontro tra francesi e belgi, nel 1304 fu teatro di una famosa battaglia. Ciclisticamente non meno famosa è stata quella del 1955: Jean Forestier con la sua offensiva disperde “l’armata belga” con Impanis, Planckaert, Schotte, Scodeller, Derycke, Van Steenbergen, non ne resta più nessuno. Alla vigilia, chi era del posto aveva detto a Jean e ai suoi: «Quando vedete la chiesa di Mons, in lontananza sul colle, andate all’attacco». Forestier vincerà con soli 15” su un terzetto, regolati allo sprint da Fausto Coppi.

Demol Roubaix
Dirk Demol, belga vincitore della Parigi-Roubaix nel 1988
Demol Roubaix
Dirk Demol, belga vincitore della Parigi-Roubaix nel 1988

Dove la Roubaix non si vince più…

Facciamo un salto, 1998: a raccontare quel che succede è Thierry Gouvenou, allora finito 7° e oggi direttore di corsa della Roubaix.

«Ero in testa al gruppo all’imbocco del tratto di Mons. Dietro era Timo Steels, uno dei favoriti: all’improvviso lo sento sterzare, mi volto e lo vedo scivolare e come lui altri, cadono uno sull’altro. Poi vedo Franco Ballerini, si piega sul manubrio, è come se cambiasse marcia, non mi passa, vola via…».

«E’ un luogo mitico – racconta Dirk Demol, vincitore nel 1988 – senti spesso il vento laterale, la strada è in leggera salita e soprattutto non riesci a vederne la fine, è interminabile. Non sempre decide chi vince, ma stabilisce immancabilmente chi quella Roubaix non la vincerà».

Madiot Roubaix
Marc Madiot, oggi manager della Groupama FDJ, vincitore della Roubaix nell’85 e ’91
Madiot Roubaix
Marc Madiot, oggi manager della Groupama FDJ, vincitore della Roubaix nell’85 e ’91

L’Arbre e il ristorante…

Il tratto del Carrefour de l’Arbre è entrato nella Roubaix nel 1958. Anquetil maledisse a lungo quel pezzo di strada, vittima di una foratura vide svanire quell’anno le sue speranze di vincere. Il nome deriva dal ristorante posto ai margini del lastricato: per molto tempo fu aperto solo il giorno della Roubaix. Ora è aperto sempre, al suo interno ha un affresco con raffigurati molti dei corridori vincitori.

Marc Madiot, due volte vincitore della corsa, qui è diventato talmente famoso da essere ritenuto quasi una gloria locale. A chi gli chiede che cosa serve per vincere la Parigi-Roubaix, ti risponderà che tutto è soprattutto nella testa: «E’ una gara che devi metterti nel cervello. Se non sei preparato psicologicamente per questo, non farai nulla in questa prova». Poi però ci sono le gambe…

E’ stato ascoltando anche le sue gambe che Madiot ha costruito i suoi due successi su questo tratto: «Mi sono ritrovato a giocarmi la vittoria quattro volte alla Parigi-Roubaix proprio in prossimità del Carrefour de l’Arbre ed è lì che sapevo di avere le gambe giuste, o al contrario che era finita per non averle. Qui è inutile stare tanto a guardare i watt – riprende Madiot – si combatte con la baionetta, con il coltello, si fa da uomo a uomo! Questa gara non si corre sul computer…».

EDITORIALE / Botta e risposta sull’utilità dei ritiri

07.02.2022
4 min
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I discorsi di Madiot. Il richiamo agli alleati che nel 1944 sbarcarono in Normandia. Il dichiarare che il 2022 sarà diverso perché finalmente si sono potuti fare dei ritiri completi. Lo spirito di squadra. Sarà vero?

Romanticismo o ragione?

La prima sensazione va in questo senso. Chiamatelo romanticismo, ci piace immaginare la squadra insieme a tavola, nella condivisione di obiettivi comuni. Il pedalare insieme. Il farsi la mezza ruota per marcare il territorio. E tutto sommato crediamo siano dinamiche utili per consolidare il gruppo. Ma sarà davvero così?

«Non credo proprio – dice Roberto Damiani, in partenza per il Tour of Oman – che i ritiri servano per creare lo spirito di squadra. Non si creano certe dinamiche in una settimana e neanche in due. Il ritiro permette a noi direttori di conoscere meglio i corridori, questo sì, soprattutto i giovani. Allenarsi bene è un vantaggio, ma non è decisivo. Lo conferma il fatto che lo scorso anno, con i ritiri impediti dal Covid, c’erano lo stesso squadre subito compatte, perché avevano al loro interno uomini capaci di fare gruppo. Il non aver lavorato insieme non cambia lo spirito».

Damiani guida la Cofidis. Qui al Tour of Oman 2019
Damiani guida la Cofidis. Qui al Tour of Oman 2019

Il mondo dei social

Qui il discorso si fa interessante e torna su un tema che si è spesso affrontato con corridori e tecnici. E che dal nostro punto di vista è condizionato anche dal tipo di hotel che ospitano i corridori nei ritiri di dicembre e gennaio. Strutture mastodontiche in cui diventa difficile incontrarsi rispetto agli hotel in cui ad esempio negli anni 90 le squadra alloggiavano in Toscana.

«Rispetto ai ritiri pre-social – dice ancora Damiani – è cambiato tutto. Non voglio andare indietro a Gimondi, ma a poco tempo fa. Prima si faceva goliardia, i corridori passavano del tempo insieme. Adesso è in voga l’abitudine che ognuno fa quel che deve e poi basta. Devi cercarli nelle camere. E’ quello che succede alle corse, dove però è più comprensibile, perché dopo la gara devi recuperare. Puoi provarci, ma si riesce a legare molto meno. Capita più che siano momenti utili per lo staff, loro davvero li trovi insieme a farsi una birra e raccontarsi le cose della vita».

Marc Madiot è certo che la sua squadra sarà più unita grazie ai due ritiri svolti (foto Groupama-Fdj)
Marc Madiot è certo che la squadra sarà più unita grazie ai ritiri svolti (foto Groupama-Fdj)

Manca qualcosa?

Il mondo cambia, impossibile opporsi al fluire del tempo. Impossibile e anche inutile. I ragazzi sono coinvolgibili soltanto proponendo argomenti che li interessino davvero, altrimenti trovano più stimolante passare il proprio tempo nella casa virtuale del proprio device. Bramati ad esempio è un direttore della nuova scuola, che sa coinvolgere i propri corridori che, non a caso, nel ritiro di Calpe abbiamo trovato spesso attorno a un tavolo a chiacchierare, bevendo un caffè.

«Soprattutto se la squadra ha avuto dei cambiamenti – dice il bergamasco della Quick Step-Alpha Vinyl (la foto del ritiro in apertura è di Wout Beel) – il ritiro è importante per conoscersi e unirsi. Noi siamo riusciti a farne due anche lo scorso anno, ma mi rendo conto che laddove ci siano stati dei divieti per Covid, aver perso il ritiro può essere stato una bella mancanza. Secondo me il ritiro è importante per farsi conoscere e lavorare bene al caldo, soprattutto quando hai tanti corridori che vivono in luoghi freddi come il Belgio. Credo che a Calpe abbiamo lavorato bene, nelle prime corse si è visto».

Bramati rivendica l’utilità del ritiro per compattare la squadra
Bramati rivendica l’utilità del ritiro per compattare la squadra

Scuole diverse

Chi ha ragione? Alcuni diesse che sono stati corridori fino a ieri assecondano la voglia dei corridori di starsene da soli. Quelli più esperti stanno un passo indietro e magari masticano amaro. Serve grande carisma per proporre un modello di squadra diverso. Madiot sembra essere uno di quelli che ci provano, Bramati appare in sintonia. Benvenga il lavoro dei preparatori, più che mai necessario. Benvengano i nutrizionisti e gli psicologi. Benvengano tutti. Ma questa voglia di non condividere nulla più del dovuto è qualcosa su cui dobbiamo interrogarci o ci sta bene così?

Madiot, il Tour de France e lo Sbarco in Normandia

29.01.2022
4 min
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I discorsi motivazionali di Madiot. Quando Lorenzo Germani nei giorni scorsi ce ne ha parlato, sapevamo esattamente di cosa stesse parlando. E da uno di questi interventi è iniziato il 2022 della Groupama-Fdj (in apertura gli uomini del Tour de France, come nella locandina di un grande film).

«Durante il briefing generale nel ritiro di Calpe – ha raccontato Marc a L’Equipe – ho fatto un confronto che potrà sembrarvi sconcertante, ma stavamo per iniziare la nuova stagione e avevamo le nostre domande. Ho pensato al 5 giugno 1944, a tarda sera, quando dei ragazzi salirono sulle loro barche. Non parlavano una parola di francese, non avevano mai messo piede in Francia, non era la loro guerra. Gli era stato detto: “Sbarcate! Molti di voi moriranno lì e gli altri, gli altri dovranno provare a conquistare Pointe du Hoc (il promontorio in cui si svolse la battaglia più dura, ndr)”. Così ho detto alla squadra: “Amici miei, salite sulla vostra barca. Non vi spareranno, ma ci sarà qualcosa davanti. Frontiere. Pavé. L’Alpe d’Huez. Volate. Quindi poche storie, andate!”».

Pinot è guarito? Eccolo con Madiot in una foto del Tour 2019, chiuso col ritiro dopo la vittoria del Tourmalet
Pinot è guarito? Eccolo con Madiot in una foto del Tour 2019, chiuso col ritiro dopo la vittoria del Tourmalet

Il terzo gradino

Ci sono stati finora molti segnali che la squadra francese di Pinot, Gaudu e Demare voglia partire con il piede giusto e punti decisamente in alto. Il fatto che il leader più solido abbia in apparenza superato i suoi problemi fisici ha portato nuova fiducia. E con la necessaria dose di cinismo di quando si punta così in alto, l’incidente di Egan Bernal ha riaperto una porta sul podio del Tour che altrimenti sarebbe stato probabilmente già assegnato.

«Se guardo i ragazzi che lo hanno conquistato negli ultimi anni – ha spiegato Madiot – perché non noi? E poi se non ci fissiamo questi obiettivi, tanto vale mettersi da una parte a vedere correre gli altri. Hanno due braccia, due gambe, quindi ci siamo anche noi. Pogacar e Roglic potrebbero essere un po’ sopra, ma c’è da occupare un altro gradino. E poi, guardate cosa è successo l’anno scorso a Roglic… Il nostro obiettivo sarà salire sul podio, dobbiamo sentire che è possibile. Pinot l’ha già fatto (3° nel 2014), Gaudu (11° nel 2021), se cresce un po’ non sarà lontano».

Nel ritiro di dicembre il team si è riunito. E dal 2022 sono arrivate le nuove Lapierre (foto Groupama-FDJ)
Nel ritiro di dicembre il team si è riunito. E dal 2022 sono arrivate le nuove Lapierre (foto Groupama-FDJ)

La rifondazione 

A Madiot, che ha 63 anni e da corridore vinse due Roubaix, non è sfuggito che il 2021 sia stato al di sotto delle aspettative. La squadra ha investito parecchio, ma per vari motivi i risultati non lo hanno soddisfatto.

«Credo che abbiamo gestito bene il 2020 – ha detto – che tranne per l’incidente di Pinot, aveva dato dei bei responsi. Nell’inverno successivo invece siamo stati traballanti, non abbiamo fatto i soliti ritiri, non siamo mai riusciti a riunire tutto il team e così l’anno scorso siamo stati sempre fuori passo, mancava qualcosa. L’unico che ha fatto bene nel complesso è stato Gaudu, ma è passato in secondo piano per le difficoltà di Thibaut e di Demare. Perciò finito il Tour, ho pensato che fosse ora di fare un check-up generale. Abbiamo dedicato molto tempo ad analizzare il funzionamento della squadra. Ci sono stati tagli, persone che non ci sono più, sono state fatte delle scelte e siamo tornati in una dinamica diversa. E finalmente nel ritiro di Calpe a dicembre ci siamo ripresi tutti insieme».

La mezza ruota in allenamento li farà crescere: Madiot ne è certo (foto Groupama-FDJ)
La mezza ruota in allenamento li farà crescere: Madiot ne è certo (foto Groupama-FDJ)

L’unione sacra

Il paragone con lo Sbarco in Normandia. La necessità di avere una squadra e non un insieme di persone vestite allo stesso modo. Il richiamo a uno spirito più elevato. Il Covid ha fatto perdere il senso dell’unità. Allenarsi insieme ha rimesso in moto la sana concorrenza interna di cui ha parlato anche Pinot.

«Lo scopo di quel discorso – ha sorriso – era di far capire loro che dipende soprattutto da loro, da noi. Non voglio più sentire che domani andrà meglio. No, dobbiamo far andare bene l’oggi. Voglio che fra tutti quelli che vestono questa maglia ci sia una forma di unione sacra. Devono credere in quello che sono. A Pinot è stato detto che deve credere in se stesso e che si riprenderà. Ma ha anche bisogno di essere convinto. Perché il dolore tornerà e lui deve sapere di poterlo superare. E’ presto per parlare di gerarchie al Tour, ma credo che fra questi ragazzi coraggiosi ci sarà competizione. La mezza ruota in allenamento che fa male agli amici si fa ancora. C’è sempre un momento in cui c’è un confronto tra le forze. Anche in ritiro, delimiti il tuo territorio. Ho parlato con Thibaut, mi ha detto: “Dannazione, a Calpe non sono stato il migliore”. Beh, questo mi rassicura».

Un Pinot tutto grinta in caccia della vittoria

21.01.2022
5 min
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Gaudu è cresciuto e anche Storer si sta facendo grande con i suoi 24 anni. Per questo, sentendo parlare Marc Madiot nella conferenza stampa in cui ha annunciato il 2022 della sua Groupama-Fdj la sensazione che Pinot non sia più il solo ad avere grandi responsabilità ha sollevato il diretto interessato e dato un sospiro di sollievo ai tifosi francesi. Madiot in sostanza ha detto che i suoi scalatori punteranno al podio del Tour, non ha detto quale di loro porterà la bandiera o la… croce.

Per Thibaut, che non vince una corsa dalla famosa tappa del Tourmalet al Tour del 2019, l’obiettivo sarà quello di farlo ancora. Ma la domanda che ormai affligge la Francia è solo una: avrà superato gli acciacchi derivanti dalla caduta in avvio di Tour 2020 che hanno vanificato anche tutto il suo 2021?

La squadra ha leader molto forti, ma per lasciare spazio agli scalatori, Demare verrà al Giro (foto Groupama Fdj)
La squadra ha leader molto forti, ma per lasciare spazio agli scalatori, Demare verrà al Giro (foto Groupama Fdj)

«E’ davvero una libertà e mette meno pressione – ha raccontato – condividere il ruolo di leader del Tour. Il mio inverno è stato un po’ più complicato del solito a causa del tempo. Mi sono allenato, ma faceva davvero freddo e ha piovuto spesso. Ogni tre giorni ero sui rulli, quindi le sessioni di allenamento non sono state necessariamente di buona qualità. Sono stato ben contento di andare a Calpe prima di Natale e poi a Gran Canaria all’inizio dell’anno. Il prossimo ritiro a Tenerife mi farà un gran bene. Il peggio è passato».

Schiena a posto?

Pinot è un tipo particolare, lo è sempre stato, sin da quando voltava le spalle al Tour per tentare di vincere il Giro d’Italia. Con i suoi modi schivi da montanaro, nato e cresciuto ai piedi dei Vosgi, amante più dei suoi animali che dei cliché social. E così mentre Instagram e le sue stories mostravano il gruppo ormai trapiantato stabilmente fra la Spagna, le Canarie e qualche spicchio alle Baleari, lui non si è mosso da casa.

Pinot e Bardet, classe 1990, sono stati per anni le bandiere francesi al Tour con risultati altalenanti
Pinot e Bardet, classe 1990, per anni bandiere francesi al Tour

«Non sono un grande fan dei rulli – ha ammesso – e di solito riuscivo a compensare facendo jogging, ma questa volta sono venuti fuori dei piccoli dolori, una periostite (infiammazione vicino alla tibia, ndr), quindi ho smesso alla svelta. Ma non sono particolarmente preoccupato, vivo senza grossi allarmi. Anche per la schiena. Quando il mio corpo è stanco, spesso mi fa male. Ma era mal di schiena per la fatica, non per la mia caduta al Tour. Per quella ho fatto molto lavoro con il fisioterapista e l’osteopata per recuperare tono muscolare alle catene della schiena e in genere la parte superiore del corpo. Il periodo sui rulli e il fatto di non poter uscire così spesso mi ha consentito di continuare questo lavoro».

Rinascita in Spagna

Come dire che aver cominciato a rivedere il sole e la sensazione di aver ultimato il recupero gli hanno restituito anche un approccio positivo. E non è detto, fanno sapere i suoi preparatori, che un inverno leggermente più blando sul fronte dei lavori specifici non gli permetta di arrivare più fresco alle sfide d’estate.

La squadra è dalla nascita in mano a Marc Madiot, che qui parla al team in avvio di ritiro (foto Groupama Fdj)
La squadra è dalla nascita in mano a Marc Madiot, che qui parla al team in avvio di ritiro (foto Groupama Fdj)

«L’inverno è stato lungo – ha confermato anche a L’Equipe – non ho avuto il tempo che speravo e quindi nemmeno la condizione giusta. Novembre e dicembre non mi sono mai piaciuti. Manca la luce, il sole, tutto il resto. Divento più scontroso del solito e non va bene in un momento in cui voglio solo voltare pagina sugli ultimi due anni, smettere di parlarne. Le persone che incontro, non tutte ma quasi mi parlano del mal di schiena. Per me è diventato faticoso, ecco perché voglio andare forte. In Spagna sono migliorato ogni giorno. Quando fai 34-35 ore di allenamento alla settimana e ti senti bene dopo uscite di 5-6 ore, sei felice.  L’unica cosa (ride, ndr) è che mi piace essere il più forte di tutti in ritiro e chiaramente non ho potuto esserlo…».

Il Giro è meglio

Poi finalmente, a margine delle parole del capo e confermando che la sua isola è differente, Pinot ha lasciato capire che il suo programma sarà incentrato sul Tour, ma se fosse per lui sarebbe differente.

Una lavagnetta per raccontarsi. Pinot è nato nel 1990 e vuole tornare a vincere (foto Groupama Fdj)
Una lavagnetta per raccontarsi. Pinot è nato nel 1990 e vuole tornare a vincere (foto Groupama Fdj)

«Il percorso del Giro è stato davvero disegnato per gli scalatori – ha ammesso – quindi mi ha fatto venire voglia di andarci. Ci sono delle scelte che devono essere fatte e la squadra quest’anno ha deciso di portarmi al Tour, con argomenti altrettanto sensati. Abbiamo discusso, come è giusto che sia, lo stiamo ancora facendo. E’ normale che gli sponsor vogliano la squadra migliore in Francia e quest’anno la avremo. Anzi, secondo me in montagna avremo la migliore squadra che abbiamo mai schierato. Eppure se potessi scegliere, farei Giro e Tour ogni anno. L’obiettivo è tornare a vincere. La prossima estate saranno due anni dall’ultima vittoria. Non è la fine del mondo, ma ero abituato a lasciare il segno ogni anno e mi manca il gusto di alzare le braccia. Va bene tutto, ma la vittoria è la medicina migliore».

Il punto con Basso a metà del cammino

29.06.2021
5 min
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Nei primi giorni del Giro d’Italia, quando Lorenzo Fortunato era soltanto il numero 115 nell’elenco dei partenti e la Eolo-Kometa faceva fatica a mostrare la sua identità, fra le tante voci che si rincorrevano nel gruppo – peraltro confermate dallo stesso Ivan Basso – c’erano anche quelle per cui si fosse sulle piste di Nibali e Viviani. A distanza di un mese dalla fine della corsa rosa, il punto di vista è cambiato e quella personalità latente è venuta fuori in modo inatteso e importante.

«Avevamo tre step – spiega Basso – e il primo prevedeva in effetti l’innesto di un top rider fra Elia e Vincenzo. Il secondo era continuare nella dimensione attuale, il terzo punto era tenere i gioielli di famiglia e inserire qualche rinforzo. E alla fine abbiamo scelto quest’ultimo, continuando il processo di crescita naturale previsto all’inizio del progetto».

E proprio dall’inizio vogliamo partire con il varesino, avendo vissuto al suo fianco i vari step della nuova squadra, per capire in che modo stiano andando le cose. E anche per parlare della sua voglia di ricreare l’ambiente Liquigas, tirando dentro per il prossimo anno il dottor Corsetti e probabilmente anche un ex compagno di squadra con un ruolo più vicino al marketing. Un punto della situazione dopo i primi mesi di viaggio.

Dopo la vittoria sullo Zoncolan, Fortunato nei 10 anche all’Alpe Motta
Dopo la vittoria sullo Zoncolan, Fortunato nei 10 anche all’Alpe Motta
Insomma, come va?

In proiezione, oltre ogni più rosea aspettativa. Ovvio che le analisi vanno fatte quando le cose vanno male, quando vanno bene e quando vanno più che bene e le abbiamo comunque affrontate. Così come credo che la prima valutazione positiva vada data allo staff coeso che ha messo i corridori nelle condizioni di esprimersi. 

Ecco, i corridori. Tanti dicevano non fossero poi un granché…

Abbiamo iniziato a fare mercato in agosto e abbiamo puntato su ragazzi che per diverse ragioni non si erano ancora espressi. Ma se uno è forte nelle categorie giovanili e poi sparisce, le responsabilità sono da suddividere anche con il contesto in cui si trovava. L’atleta talentuoso difficilmente sparisce. Ma ha bisogno del giusto ambiente.

E torniamo allo staff di poco fa…

Se devo prendermi un merito, è proprio quello di aver messo insieme un gruppo di altissimo livello. L’esperienza di due direttori sportivi come Zanatta e Yates si è vista e la freschezza di Jesus Hernandez ha completato il quadro. E ora la squadra si è rivalutata di parecchio. I corridori ci hanno messo del loro, il gruppo di lavoro li ha supportati.

Nel rilancio (ancora in corso) di Albanese, la mano di Zanatta
Nel rilancio (ancora in corso) di Albanese, la mano di Zanatta
Come va con il grande capo Luca Spada?

Ci assomigliamo, abbiamo lo stesso modo di buttarci nelle cose e Pedranzini, titolare di Kometa, è lo stesso. Spada vive la squadra, come dovrebbero fare i presidenti delle società sportive, per capire in che modo il team possa essere funzionale all’azienda e viceversa. Ha investito. Per la prima volta dai tempi di Pantani, tolta qualche apparizione di Nibali con il turismo delle Marche, un corridore vestito da ciclista è tornato protagonista di uno spot televisivo.

La vittoria ha cambiato la partecipazione di Eolo?

Più che vincere, che ovviamente fa piacere, gli piacciono la progettualità e la costanza. Se vincessimo una corsa e poi sparissimo, non sarebbe una gran cosa. Ma se vinciamo una corsa, siamo protagonisti e poi ne vinciamo un’altra, allora vuol dire che la struttura funziona. E la squadra è andata tanto al di sopra, per cui abbiamo cominciato a pensare al modo migliore per continuare.

Come farete?

Prima cosa, abbiamo scelto di mantenere i talenti migliori. Chiaro che il loro valore sia aumentato e non è neanche servito parlarne tanto con i nostri sponsor, che sanno benissimo che il prezzo di un atleta lo fanno i risultati e il mercato. Dove lo trovi uno scalatore italiano di 25 anni, che vince sullo Zoncolan e sul Grappa e con cui si può pensare di fare una classifica al Giro? Perdere Fortunato significherebbe rinunciare a quella progettualità, per cui siamo vicini a chiudere.

Pensavi che sarebbe sbocciato in questo modo?

Quando è arrivato siamo partiti da zero. Gli ho detto che non credevamo che il suo valore fosse quello che aveva espresso. Gli ho detto quello che mi aspettavo da lui. Lo abbiamo resettato. E i risultati sono venuti.

Il talento a volte si perde anche per l’aspetto psicologico.

Infatti l’allenamento mentale viene prima di tutto il resto, è il primo punto Quando guardi i file dei corridori, a meno che non sei davanti a un lazzarone seriale, hanno sempre numeri buoni. Poi vanno in corsa e non rendono. Il blocco è nella testa. Non puoi essere costantemente 4 chili sopra il peso forma, c’è qualcosa che non va. E’ un corto circuito. Ti sfiduci e si mette in moto un circolo vizioso da cui è difficile venir fuori.

Ottimo Gavazzi, con il secondo posto a Guardia Sanframondi e il ruolo di regista
Ottimo Gavazzi, con il secondo posto a Guardia Sanframondi e il ruolo di regista
Quindi non vedremo grossi nomi?

Vedremo qualche rinforzo, ma nessuno che dia un’accelerazione troppo violenta al gruppo. Non eravamo pronti per supportare uno come Viviani, per fare un esempio. La squadra sarà strutturata allo stesso modo.

E il team under 23?

Ecco, questo è un bel punto e una bella novità. Il team migliorerà: diventerà per metà italiano e per metà spagnolo. Montoli e Piganzoli sono i due fiori all’occhiello. Entrambi hanno fatto la maturità e Piganzoli ugualmente ha fatto un ottimo Giro d’Italia.

Tutto secondo i piani?

Anche meglio. La squadra si è rivalutata di un 30 per cento e faremo di tutto per proseguire così. E poi la stagione non è mica finita…

Elicotteri, moto, tifosi, auricolari: cosa sentono i corridori?

29.06.2021
5 min
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A ben guardare, i soli a fare festa ieri al Tour sono stati i ragazzi della Alpecin-Fenix, mentre tutti gli altri hanno passato la serata a leccarsi le ferite e confrontarsi sul tema della sicurezza, che questa volta è arrivato anche al Tour. Caleb Ewan oggi non ripartirà per una clavicola rotta, Roglic invece non ha fratture e prenderà il via. Ma la domanda che ci si pone oggi nel gruppo dei tecnici più accorti riguarda la capacità stessa dei corridori di essere lucidi, nel frastuono degli elicotteri, delle moto attorno, degli auricolari nelle orecchie, dei tifosi che urlano e si sporgono…

Secondo giorno di brindisi per Vdp e i suoi compagni
Secondo giorno di brindisi per Vdp e i suoi compagni

«Gli ultimi 50 chilometri sono stati pericolosi – ha commentato Van der Poel, primo sul traguardo di domenicaero davanti per evitare di cadere. Mi sentivo molto bene. Avevo detto che se avessi potuto avrei aiutato i miei compagni, ma dovevo stare attento a non dare tutto perché sapevo che Alaphilippe avrebbe potuto approfittarne. Il primo giorno con la maglia gialla è stato speciale e speciale è anche quello che abbiamo fatto con la nostra squadra».

Merlier sogna

Merlier al settimo cielo lo ha ringraziato per non aver tirato come l’anno scorso alla Tirreno-Adriatico nella tappa di Senigallia, quando Mathieu lanciò lo sprint con così tanta veemenza, che passarlo fu davvero difficile. E considerando che nel 2019 ebbe problemi nel trovare squadra, al punto da passare per un anno in una continental (la Pauwels), si capisce la sua leggerezza nel raccontare la vittoria e nello stare alla larga dal tema sicurezza che finalmente è diventata motivo di discussione anche in Francia.

Transenne basse e cellulari ad altezza testa: altro fattore di rischio
Transenne basse e cellulari ad altezza testa: altro fattore di rischio

«Avevo già vinto al Giro quest’anno – ha detto – ma il Tour de France è la corsa più grande del mondo e sono molto felice. E’ incredibile quanto nervosismo ci fosse, pensavo che visti i primi giorni e le prime cadute, sarebbe stato tutto più tranquillo, ma alla fine no. Con due tappe vinte, qualunque cosa accada d’ora in avanti, il nostro Tour è già positivo. Sto vivendo un sogno di cui forse non mi rendo ancora conto, ma non credo che lotterò per la maglia verde».

Gouvenou spiega

Chi non ha passato un bella serata è Thierry Gouvenou, 52 anni, professionista dal 1990 al 2002, che dal 2004 lavora con Aso ed è l’incaricato al percorso del Tour de France.

Marc Madiot ha sollevato un allarme molto importante: bisogna cambiare
Marc Madiot ha sollevato un allarme molto importante: bisogna cambiare

«E’ facile dire che il finale fosse pericoloso – ha detto – ma bisogna rendersi conto che è sempre più difficile trovare punti di arrivo. Per questa tappa abbiamo dovuto togliere dalla lista le città di Lorient, Lanester, Hennebont e Plouay, che ci sembravano troppo pericolose. Non abbiamo più una città di medie dimensioni senza rotonde o restringimenti. Nel Tour de France di 10 anni fa, contammo 1.100 punti pericolosi, quest’anno siamo a 2.300».

Sindacato respinto

Ma questa volta il problema non sono state rotonde e spartitraffico, ma il disegno stesso del finale di tappa, con la discesa che catapultava il gruppo a velocità folle in un toboga di stradine strette. Tanto che il Cpa, il sindacato dei corridori, ha provato a dire qualcosa, ma è stato rimandato al mittente.

Nella caduta in cui si è infortunato Haig, anche Demare e Clarke
Nella caduta in cui si è infortunato Haig, anche Demare e Clarke

«Vista la pericolosità del finale – ha spiegato il vicepresidente Chanteur – e a seguito della richiesta di un certo numero di corridori, abbiamo chiesto che la neutralizzazione venisse ampliata fino ai 5 chilometri dall’arrivo. L’ho proposto a Gouvenou che è parso favorevole, ma quando al mattino sono andato a parlare con i commissari della Giuria, loro si sono impuntati. Hanno che la regola era la regola e che non potevano esserci deroghe».

L’allarme di Madiot

Il più netto di tutti è Marc Madiot, team manager della Groupama-Fdj. Perché è vero che le strade sono strette, ma va anche considerato che è ormai sparito dal vocabolario dei corridori il termine prudenza. Si legge che non sono pagati per vincere e che un solo secondo perso può essere decisivo, ma se sommiamo questa determinazione… satanica ai rumori ambientali (elicottero, moto, pubblico che urla e auricolari nelle orecchie) si capisce che per un corridore non è affatto facile mantenere la necessaria lucidità nei finali.

Vincenzo Nibali in salvo al traguardo, nel giorno della convocazione olimpica
Vincenzo Nibali in salvo al traguardo, nel giorno della convocazione olimpica

«Capisco che le famiglie che guardano il Tour in televisione – ha detto Madiot – non vogliono che i loro figli vadano in bicicletta. Sono un padre e non vorrei vedere mio figlio fare il ciclista professionista dopo quello che abbiamo visto ieri. Non è più ciclismo, non possiamo continuare così. Dobbiamo cambiare le cose, sia in termini di attrezzature, di formazione, uso degli auricolari. Dobbiamo cambiare, perché le cose non stanno andando bene. Se non lo facciamo, avremo delle morti e questo non è degno del nostro sport. La responsabilità è di tutti. Il ciclismo sta cambiando, sta a noi decidere fino a dove vogliamo spingerci».

I tormenti di Madiot per liberare i corridori

02.03.2021
4 min
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C’è un vento (ancora troppo leggero) cui bici.PRO vuole dare il suo contributo per evidenziare i comportamenti estremi nel gruppo, che danneggiano i corridori e privano le corse dello spettacolo: questa volta ne parliamo con Marc Madiot. Potete anche non leggere questi articoli, poi però non lamentatevi per corse noiose e pilotate. Guardate la foto di apertura: dopo il terzo scatto sulla salita di Jebel Hafeet al Uae Tour 2021, Adam Yates guarda il computerino. Cosa sta cercando? Vuole capire se ha recuperato. Se ne ha ancora. E quanta forza ancora servirebbe per staccare Pogacar. Come sarebbe finita se non lo avesse avuto?

I nostri pezzi sui disordini alimentari ne hanno ispirati altri, in Italia ma soprattutto all’estero, dove L’Equipe ha iniziato un bel lavoro di indagine. E nel segno di questa implicita collaborazione, avendo letto un’intervista a Marc Madiot, abbiamo approfittato del raduno di partenza dell’Het Nieuwsblad per aggiungere qualche domanda al manager della Groupama-Fdj.

Il manager della Groupama ha parlato spesso degli eccessi del ciclismo moderno
Madiot ha parlato spesso di questi eccessi
Buongiorno Marc, riallacciamo i fili. Hai parlato di corridori privi di libertà.

C’è un controllo eccessivo nel gruppo. Se si fa una bella riunione pre gara, non è necessario intervenire ogni 3 secondi via radio. E’ una pressione permanente e aggiuntiva. Sapete qual è il guaio?

Quale?

Non possiamo più correre il rischio di perdere le corse. Arriviamo al punto di consigliare al corridore da quale parte prendere le rotonde. Mandiamo avanti una macchina per riferire del vento. Si capisce che tutta questa organizzazione alla lunga pesi proprio sui corridori. Guardano sempre più spesso il computerino, mi sembra che stiano perdendo la spontaneità del gesto sportivo. Solo pochi riescono a liberarsi da questa morsa.

I corridori provano a ribellarsi?

Con qualche battuta, raramente. Se gli chiedi di fare a meno di certi strumenti, ti dicono di no perché hanno paura del vuoto. Provate a immaginare di guidare senza più il navigatore che vi indica la strada, è la stessa cosa.

Marc Madiot ha vinto due Roubaix: nel 1985 (qui sopra) e nel 1991
Madiot ha vinto due Roubaix: nel 1985 e nel 1991
Abbiamo letto delle frasi abbastanza dure sulle abitudini social degli atleti…

Osservo. Leggo. Ascolto. Vedo i corridori pubblicare su Strava tutto il lavoro che stanno facendo. Magari sarò vecchio, ma io non direi mai agli altri cosa sto facendo in allenamento, proverei semmai a sorprenderli in gara. Per come va oggi, puoi sapere esattamente la condizione del tuo rivale. Vedere se è veloce, se soffre in salita. Puoi addirittura simulare il tuo allenamento per contrastarlo. Quando correvo io, solo mio fratello sapeva come mi allenavo. 

Cosa cambieresti?

Tutto, ma non si può… Potremmo impedire al corridore di leggere i dati in corsa. Saranno registrati perché servono per allenarsi, ma facciamo in modo che non siano disponibili per la lettura in diretta. Il fatto di non leggere sempre quel che c’è sullo schermo, diminuirebbe la pressione.

Hai mai pensato di dare tu l’esempio?

In realtà anche noi facciamo come tutti gli altri e se non fosse così rimarremmo indietro. Stiamo trasformando sempre più corridori in robot. Si alzano al mattino e recitano la parte che hanno imparato a memoria, dall’alimentazione all’allenamento. E se si discostano, li correggiamo in tempo zero. Siamo vicini a una perfezione che tuttavia merita una riflessione.

Evenepoel soccorso al Lombardia, dopo essere… scomparso dallo schermo
Evenepoel soccorso al Lombardia, dopo essere… scomparso dallo schermo
Chi dovrebbe farla?

Chi dovrebbe farla… Forse quelli che ci tengono, forse nessuno. Di certo non l’Uci e nemmeno le squadre più grandi che vogliono mantenere il controllo del gioco. Ma questo non è più un gioco, perché ha perso spontaneità.

All’Equipe hai fatto il paragone di quello che accadde il giorno della caduta di Evenepoel al Lombardia.

Si parlava della geolocalizzazione dei corridori in corsa, che con i transponder è possibile e viene utilizzata. Quando Remco finì nel fossato, un direttore sportivo dichiarò che era sparito dai loro schermi. Ecco, io credo che non sarebbe mai dovuto entrare in uno schermo.