C’è un vento (ancora troppo leggero) cui bici.PRO vuole dare il suo contributo per evidenziare i comportamenti estremi nel gruppo, che danneggiano i corridori e privano le corse dello spettacolo: questa volta ne parliamo con Marc Madiot. Potete anche non leggere questi articoli, poi però non lamentatevi per corse noiose e pilotate. Guardate la foto di apertura: dopo il terzo scatto sulla salita di Jebel Hafeet al Uae Tour 2021, Adam Yates guarda il computerino. Cosa sta cercando? Vuole capire se ha recuperato. Se ne ha ancora. E quanta forza ancora servirebbe per staccare Pogacar. Come sarebbe finita se non lo avesse avuto?
I nostri pezzi sui disordini alimentari ne hanno ispirati altri, in Italia ma soprattutto all’estero, dove L’Equipe ha iniziato un bel lavoro di indagine. E nel segno di questa implicita collaborazione, avendo letto un’intervista a Marc Madiot, abbiamo approfittato del raduno di partenza dell’Het Nieuwsblad per aggiungere qualche domanda al manager della Groupama-Fdj.
Buongiorno Marc, riallacciamo i fili. Hai parlato di corridori privi di libertà.
C’è un controllo eccessivo nel gruppo. Se si fa una bella riunione pre gara, non è necessario intervenire ogni 3 secondi via radio. E’ una pressione permanente e aggiuntiva. Sapete qual è il guaio?
Quale?
Non possiamo più correre il rischio di perdere le corse. Arriviamo al punto di consigliare al corridore da quale parte prendere le rotonde. Mandiamo avanti una macchina per riferire del vento. Si capisce che tutta questa organizzazione alla lunga pesi proprio sui corridori. Guardano sempre più spesso il computerino, mi sembra che stiano perdendo la spontaneità del gesto sportivo. Solo pochi riescono a liberarsi da questa morsa.
I corridori provano a ribellarsi?
Con qualche battuta, raramente. Se gli chiedi di fare a meno di certi strumenti, ti dicono di no perché hanno paura del vuoto. Provate a immaginare di guidare senza più il navigatore che vi indica la strada, è la stessa cosa.
Abbiamo letto delle frasi abbastanza dure sulle abitudini social degli atleti…
Osservo. Leggo. Ascolto. Vedo i corridori pubblicare su Strava tutto il lavoro che stanno facendo. Magari sarò vecchio, ma io non direi mai agli altri cosa sto facendo in allenamento, proverei semmai a sorprenderli in gara. Per come va oggi, puoi sapere esattamente la condizione del tuo rivale. Vedere se è veloce, se soffre in salita. Puoi addirittura simulare il tuo allenamento per contrastarlo. Quando correvo io, solo mio fratello sapeva come mi allenavo.
Cosa cambieresti?
Tutto, ma non si può… Potremmo impedire al corridore di leggere i dati in corsa. Saranno registrati perché servono per allenarsi, ma facciamo in modo che non siano disponibili per la lettura in diretta. Il fatto di non leggere sempre quel che c’è sullo schermo, diminuirebbe la pressione.
Hai mai pensato di dare tu l’esempio?
In realtà anche noi facciamo come tutti gli altri e se non fosse così rimarremmo indietro. Stiamo trasformando sempre più corridori in robot. Si alzano al mattino e recitano la parte che hanno imparato a memoria, dall’alimentazione all’allenamento. E se si discostano, li correggiamo in tempo zero. Siamo vicini a una perfezione che tuttavia merita una riflessione.
Chi dovrebbe farla?
Chi dovrebbe farla… Forse quelli che ci tengono, forse nessuno. Di certo non l’Uci e nemmeno le squadre più grandi che vogliono mantenere il controllo del gioco. Ma questo non è più un gioco, perché ha perso spontaneità.
All’Equipe hai fatto il paragone di quello che accadde il giorno della caduta di Evenepoel al Lombardia.
Si parlava della geolocalizzazione dei corridori in corsa, che con i transponder è possibile e viene utilizzata. Quando Remco finì nel fossato, un direttore sportivo dichiarò che era sparito dai loro schermi. Ecco, io credo che non sarebbe mai dovuto entrare in uno schermo.