Bettiol è un campione, ma bisogna conoscerlo bene

05.10.2022
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Si torna rapidamente a parlare del mondiale, questa volta con Leonardo Piepoli. Il pretesto è rallegrarsi con lui per la vittoria del “suo” Enric Mas al Giro dell’Emilia, con la conferma che il corridore spagnolo ha grandi mezzi fisici e solo da poco sta iniziando a crederci. E per una rapida associazione di idee, siamo stati noi a portare il discorso su Bettiol. Il toscano è arrivato in Australia con una condizione eccellente, avendo dimostrato di essere il solo a reggere le accelerazioni di Van Aert. E siccome Piepoli è il suo allenatore e a volte gli fa anche da motivatore, abbiamo cercato di capire come l’abbia visto nella corsa australiana.

Ai mondiali, Bettiol ha risposto facilmente a ogni allungo di Van Aert: aveva una grande condizione
Ai mondiali, Bettiol ha risposto facilmente a ogni allungo di Van Aert: aveva una grande condizione

La testa del velocista

Partiamo da un’osservazione fatta da Bennati nei giorni prima del mondiale, sulle rare occasioni che i nostri corridori hanno di fare la corsa e il fatto che siano spesso a disposizione di altri leader. Il cittì azzurro aveva portato l’esempio della tappa di Mende al Tour de France, in cui Bettiol stesso fu battuto da Matthews, dopo che nella fuga aveva tirato e anche tanto per Uran.

«Ma lui ha tirato – dice Piepoli – perché gli è stato chiesto alla radio come stesse e ha detto di non stare bene. E in parte è lo stesso discorso del mondiale, nel senso che se parti per vincere, parti per vincere come i velocisti. Il velocista fa 30 volate l’anno e anche il peggiore ha un compagno di squadra che gli dà una mano. Quindi ha 30 occasioni in un anno: molti non ne vincono neanche una, eppure ogni volta sono lì a pretendere “il sacrificio” del compagno di squadra e poi perdono o vincono. Alberto invece non ragiona così. Per lui deve essere tutto perfetto, quindi senza mal di gambe e nessun altro problema».

La Coppa Agostoni è stata la corsa del rientro dopo il mondiale in Australia
La Coppa Agostoni è stata la corsa del rientro dopo il mondiale in Australia

Gestire il campione

Nei suoi momenti lucidi e autoironici, Bettiol è il primo a scherzare sulle sue doti e sul fatto che comunque vinca poche corse. Però probabilmente in alcuni casi il pallino della corsa dovrebbe averlo in mano la squadra.

«Conoscendo quello che hai in mano – conferma Piepoli – devi agire di conseguenza, anche se queste cose è facile dirle a posteriori. Quindi se io oggi ho Bettiol in mano, gli direi: «Stai male? Non mi interessa, tu tiri a vincere!». Oppure, opzione B, faccio finta e gli dico: «Okay, non preoccuparti, cerca di stare tranquillo, poi vediamo se ti riprendi in finale». La metterei giù così, cercherei il modo di non eliminarlo, perché so già che lui non mi dirà mai che sta bene. O meglio, se sta bene dice di volare. Ma nella sua testa, non concepisce che in una corsa di sei ore, si possa avere un momento di difficoltà o si senta di essere meno brillanti. Però sai com’è fatto e sai che devi “gestire” il cavallo che hai. Quindi, fra molte virgolette, devi cercare di manipolarlo».

Ieri al via della Tre Valli Varesine assieme a Battistella, altro reduce da Wollongong
Ieri al via della Tre Valli Varesine assieme a Battistella, altro reduce da Wollongong

Mancavano le radio

Il guaio è che in una corsa come il mondiale, il margine di intervento è ridotto all’osso e alle parole che al corridore possono dire gli uomini della nazionale appostati ai box e lungo il percorso. Del tema delle radio da vietare in due occasioni all’anno si è già detto.

«Con le radio – annuisce Piepoli – le corse cambiano, quello a priori. Poi in questo caso qua, non so se a favore o a sfavore, però le cose cambiano. E’ evidente. Se parte Remco e tu lo sai che Remco parte fra i 70 e gli 80 chilometri dall’arrivo, se anche nessuno gli risponde, dici alla squadra di chiudere. Qualcosa fai. Impedisci che si apra subito quella distanza e la chiudi subito. La chiudi un attimo».

L’obiettivo finale di Bettiol è il Lombardia. La Tre Valli è stata un test sulla condizione
L’obiettivo finale di Bettiol è il Lombardia. La Tre Valli è stata un test sulla condizione

L’uomo dei miracoli

Bettiol è tornato in Europa con il fastidio di essersi sentito additato come il colpevole, in una corsa in cui tuttavia l’Italia ha corso bene e nessuno ha sentito la necessità di rintracciare il responsabile di una mancata vittoria. Soprattutto in una spedizione tacciata dai più di non avere la giusta consistenza e invece super attrezzata e battagliera. Ci sarebbe da aspettarsi la vendetta al Lombardia, sarebbe davvero un grande segnale.

«Il fatto però – dice Piepoli – è che adesso non sta tanto bene. E’ tornato in Italia con una forte tosse e questa è la cosa peggiore, perché il Lombardia voleva farlo bene. Era anche mentalmente predisposto. Però sinceramente, per quanto lo stia spronando a tenere duro, non ha la condizione del mondiale. Però lui è l’uomo dei miracoli, quindi magari alla fine un bel Lombardia lo farà pure».

La paura è finita? Ragioniamo con Piepoli sul Mas ritrovato

18.09.2022
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Ultimi appunti della Vuelta. Enric Mas, secondo a Madrid. Avevamo parlato di lui con Leonardo Piepoli, che lo allena da un anno e mezzo. Lo avevamo visto crescere alla Tirreno e ai Paesi Baschi, poi ogni volta cadere. Stessa storia al Delfinato. Lo aspettavamo al Tour, ma dalla figuraccia l’ha salvato il Covid che ha fatto passare in secondo piano le sue mille incertezze. I colleghi spagnoli dicono sia stato il nuovo contratto, più corposo e di riflesso pesante. La serie Netflix che lo ha messo sotto una pessima luce nel rapporto con Lopez. E forse anche il fatto di non avere più accanto un Valverde dominante e la necessità inattesa di prendersi la Movistar sulle spalle. Il ritiro dopo la tappa di Hautacam è parso un provvidenziale salvagente. Poi finalmente lo si è visto ai livelli sperati alla Vuelta. Che cosa è successo all’eterna promessa del ciclismo spagnolo?

Nel giorno di Sierra Nevada la ruggine con Lopez lo ha frenato, ma veniva da un malanno
Nel giorno di Sierra Nevada la ruggine con Lopez lo ha frenato, ma veniva da un malanno

Una lenta risalita

Siamo tornati da Piepoli per capire in che modo Mas sia uscito dal pozzo, per ritrovare smalto e fiducia nella corsa di casa.

«Gli sono stati tutti accanto – racconta Leonardo – per ricostruire la fiducia. Al Tour c’è stato un errore di gestione delle emotività e probabilmente avere la responsabilità della squadra ha creato qualche limite mentale. Ne parlavo con “Purito” Rodriguez, che spesso dice cavolate, ma a volte tira fuori perle di saggezza. Mi diceva che quando la gente è stressata, perde capelli, mangia le unghie, ingrassa o perde peso. Mas invece veniva dalle cadute ripetute della Tirreno, dei Paesi Baschi e del Delfinato e lo stress è andato a colpire il suo punto debole: le cadute. Alla fine era diventato quasi incapace di andare in bici. Ma tutti gli sono stati accanto. Ciascuno ha fatto la sua parte, anche i compagni per allenarsi a fare le curve a tutta. Ciascuno ha messo il suo sassolino e alla fine ne siamo usciti».

Al Tour del 2021, Mas era arrivato al sesto posto e per il 2022 puntava molto più in alto
Al Tour del 2021, Mas era arrivato al sesto posto e per il 2022 puntava molto più in alto
Il Mas della Vuelta era al suo massimo?

Secondo me al Tour sarebbe andato più forte, ma era comunque a un ottimo livello. La volta che è andato via con Roglic a Sierra de la Pandera e si è staccato in cima, aveva problemi intestinali, altrimenti sarebbe arrivato con Primoz. Secondo me in salita andava più forte di Roglic, pari a Remco. In salita non si sarebbe staccato, ma nella crono avrebbe beccato ugualmente.

Quindi Evenepoel rimaneva imbattibile?

Non lo avrebbe fatto fuori. Il giorno che è stato male e ha perso tempo, non era una tappa da cedere terreno. A Sierra Nevada il giorno dopo poteva andare più forte, ma forse aveva ancora in testa la paura per quello che era successo il giorno prima. Sapeva di essersi staccato e quella è diventata una debolezza. Veniva dal Tour che gli ha creato un miliardo di insicurezze. Ha attaccato fin troppo per le sue caratteristiche.

Mas è andato avanti a sprazzi. A Sierra Nevada ha guadagnato, il giorno prima aveva perso
Mas è andato avanti a sprazzi. A Sierra Nevada ha guadagnato, il giorno prima aveva perso
E’ parso più battagliero degli anni scorsi.

E’ cambiato, il processo che si è iniziato a vedere alla Vuelta dell’anno scorso è stato un crescendo. Alla Tirreno andava, ai Paesi Baschi è andato fortissimo, ma di arrivi ne ha visti pochi, perché cadeva sempre. A Madrid prima dell’ultima tappa gli ho detto di stare attento, che sbadato com’era, rischiava di non finire la Vuelta (ride, ndr).

Volendo immaginare il suo 2023 cosa faresti?

Intanto farei un programma diverso e lo manderei al Giro. Vingegaard e Pogacar oggi come oggi sono sopra a tutti. Possono anche avere giornate storte, nessuno pensava che Vingegaard potesse dare una paga simile a Pogacar. Come nessuno poteva pensare che l’anno dopo il Tour di Bernal, arrivasse un altro ragazzino a far fuori il più giovane vincitore del Tour. Tutto può succedere, come nessuno pensava che Ayuso potesse fare terzo alla Vuelta più giovane di come l’ha fatto Pogacar. Io però, anche per cambiare programma, lo porterei al Giro. Farei Giro e Vuelta, così avrebbe il tempo per prepararli entrambi al 100 per cento. Però questa è un’idea mia, personale.

Dopo il Tour Mas non si è allenato nelle prove a cronometro, ma ugualmente ha sfoderato buone prove alla Vuelta
Dopo il Tour Mas non si è allenato nelle prove a cronometro, ma ugualmente ha sfoderato buone prove alla Vuelta
Sul fronte della preparazione cambieresti qualcosa?

Continuerei a battere sul tasto della brillantezza, perché ha ancora margine. Poi la crono va lavorata e migliorata, è talmente evidente che non bisogna dirlo. In quella della Vuelta è andato forte, decimo in una prova molto veloce. Con i suoi watt non era facile. Un po’ si possono migliorare i materiali, un po’ la sua attitudine. Il fatto è che per i problemi del Tour non ha mai usato la bici da crono. Avevamo da migliorare altrove.

Sarebbe cambiato qualcosa?

Il solo lavoro che ha fatto sulla bici da crono, a fine allenamento, è stato andare avanti e indietro in un tratto di un chilometro. I suoi problemi erano diversi, non aveva senso lavorare su altro. Non dico che se si fosse allenato avrebbe fatto tanto meglio, però non ci siamo allenati.

Mas ha lasciato la Vuelta con un secondo posto importante a livello psicologico
Mas ha lasciato la Vuelta con un secondo posto importante a livello psicologico
Il prossimo anno avrà davvero la squadra sulle spalle.

Secondo me ha imparato quest’anno. E’ crollato per questo al Tour, ma non succederà più. Penso che alla Vuelta abbia dimostrato di avere lo spessore. Gli ho detto che non deve avere paura di un grosso contratto con Eusebio. Con Lefevere forse potrebbe averne, perché loro ti mettono pressione. Con Eusebio (Unzue, team manager della Movistar, ndr) o le francesi, puoi stare tranquillo e al limite prendi anche pochi calci nel sedere.

Come la mettiamo con Netflix?

Credo che sia finito il ciclo Movistar, quindi sarà un problema in meno. Lo sport sta diventando così, che ci vuoi fare? Il problema è stato che anziché ammettere di averne sofferto, continuava a dire che se ne fregava. Avrebbe dovuto ammettere che gli aveva fatto male e a quel punto avremmo potuto aiutarlo. Ma se dici che non è niente e invece soffri, arriva lo stress e sei già morto. Spero che per il futuro queste cose qui non le farà più. 

Ma questo Mas è forte davvero? Chiediamolo a Piepoli

23.01.2022
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Partiti Lopez e Soler, dando per scontato che Valverde farà l’ultima stagione in assoluta libertà e aspettando che Einer Rubio e Ivan Sosa oltre al profumo mostrino l’arrosto, il leader del Movistar Team al Tour e poi alla Vuelta sarà Enric Mas. Ventisette anni, professionista dal 2017, 60 chili e quasi 1,80 di altezza, il corridore di Mallorca da qualche mese ha cambiato preparatore ed è stato affidato a Leonardo Piepoli.

Il ragazzo ha 27 anni, non è più un bambino e frequentando il mondo delle corse si è avuta spesso la sensazione di una certa insicurezza per la quale ha spesso commesso degli errori tattici.

Il secondo post finale della Vuelta ha fatto scattare una molla decisiva in termini di autostima
Il secondo post finale della Vuelta ha fatto scattare una molla decisiva in termini di autostima

«E’ un corridore che in carriera – commenta Piepoli – farà podio al Tour e vincerà un grande Giro. Due volte secondo alla Vuelta, quinto e sesto al Tour non li fai per caso. Ma è vero che non è il tipo che parte da leone, ha bisogno prima di rafforzare l’autostima e poi diventerà anche lui un leone…».

Come si faccia a trasformarlo in leone è quello che cercheremo di capire nei prossimi minuti parlando con Leonardo, da poco rientrato in Puglia dal ritiro della squadra. Anche in questo il mondo Movistar è cambiato parecchio, dagli anni recenti in cui i ritiri venivano ritenuti superflui mentre il resto del mondo ne aveva fatto un passaggio cruciale. L’arrivo di Patxi Vila alla guida dei tecnici ha razionalizzato le abitudini e allineato la Movistar con il resto del gruppo.

A Valdepenas de Jan alla Vuelta tiene testa a Roglic, mostrando un nuovo cambio di ritmo
A Valdepenas de Jan alla Vuelta tiene testa a Roglic, mostrando un nuovo cambio di ritmo
Secondo te Mas è forte davvero?

Adesso posso dire di sì. Prima non lo conoscevo. Lo avevo visto andare subito forte alla Quick Step, appena passato. Due vittorie al secondo anno e un gran lavoro al Nord per Alaphilippe. Finché è arrivato qua e ha chiesto di lavorare con me. Purito Rodriguez mi diceva che è molto forte e ha metodo nel lavoro, così a fine gennaio scorso ho cominciato a lavorarci. Come prima cosa ho guardato i file di allenamento e ho notato che nell’arco di una settimana faceva solo due salite lunghe e per giunta a Mallorca. Gli capitava di fare sei ore per cinque volte all’anno. Lo prendevo in giro dicendogli che non si allenasse e lui mi guardava strano. Infatti nonostante ciò, finiva i Giri in crescendo. All’ultimo Tour ha avuto un giorno storto, ma era con i migliori. E alla Vuelta ha fatto uno step decisivo.

Che cosa significa tutto questo?

Che c’è motore ed è allenabile. Così abbiamo preso la sua preparazione e abbiamo cambiato direzione. Ha margini importanti, ma ha fatto fatica a trovare dei miglioramenti. Al Catalunya ha fatto una gran fatica, stessa cosa al Giro dei Paesi Baschi, stentava a fare il salto di qualità.

Ancora la Vuelta, all’Altu d’El Gamoniteiru arriva 3° dietro Lopez e Roglic
Ancora la Vuelta, all’Altu d’El Gamoniteiru arriva 3° dietro Lopez e Roglic
Come mai?

Ci ho pensato parecchio. Nei primi anni era vincente già in avvio di stagione. Le corse nei dilettanti gli avevano dato brillantezza e cambio di ritmo e correndo molto, la qualità non decresceva. Quando poi da professionista il numero delle corse è andato scendendo, ha perso quella qualità. Di suo ha poco cambio di ritmo. Inquadrata questa caratteristica, abbiamo lavorato per costruirla e a quel punto c’è stata la svolta. Sull’arrivo di Valdepenas de Jaen se l’è giocata e alla fine è arrivato a 3 secondi da Roglic: l’anno prima ne avrebbe presi almeno 20. 

Perché la Vuelta è stata lo step decisivo?

Perché è rimasto a giocarsela con Roglic, sia pure con un distacco in qualche modo falsato dalle crono, dove ancora non ci siamo. Due minuti e mezzo sono troppi da regalare.

E comunque è arrivato secondo dopo il sesto posto del Tour…

Anche di questo si può parlare. Fra le due corse c’erano tre settimane in cui ha fatto poco o niente. E’ tornato a Mallorca, mentre come tutti gli altri sarebbe dovuto andare ad Andorra, dove ha la residenza, per lavorare al fresco e fare salite. Sono gli aspetti su cui intervenire, magari partendo dall’osservazione di quello che fanno gli altri.

Crono di apertura della Vuelta a Burgos, passivo di 18″
Crono di apertura della Vuelta a Burgos, passivo di 18″
Lui è convinto di volerlo fare?

E’ contento, perché la Vuelta gli ha dato fiducia. Ha perso terreno solo ai Lagos de Covadonga, ma solo perché il giorno prima era caduto male. Si è visto brillante in salita e gli è venuto morale. E intanto abbiamo iniziato lavorare sulla crono.

In che modo?

Quest’anno è arrivato Velasco, che era responsabile dei materiali all’Astana. Su lui e pochi altri ci stiamo concentrando, sperando di eliminare o ridurre quel gap.

Un inverno diverso quindi per lui?

Sta lavorando tantissimo, cosa che l’anno prima non si era riuscito a fare. Ma c’è da capirlo, con la Vuelta finita a novembre e la ripresa subito a tutta.

Quando debutterà?

Farà 2-3 prove a Mallorca, casa sua. Poi Volta Valenciana, ritiro a Sierra Nevada, Tirreno o Parigi-Nizza. Baschi. Freccia e Liegi. Altura. Delfinato e Tour. Tolti Roglic e Pogacar, il terzo posto del Tour è aperto a 4-5 corridori e lui è uno di questi. Il trend è di crescita ed è positivo che gestisca bene lo stress e situazioni come i ventagli che per uno scalatore di solito sono ostili. Ma lui è alto, si difende bene.

Come ti trovi nel tuo ruolo?

Bene, molto bene. Patxi ha portato una bella organizzazione. Io seguo i ritiri e quando serve vedere un corridore, vado a trovarlo e si fanno 3-4 giorni assieme. Quest’anno non mi dispiacerebbe affacciarmi alla Tirreno-Adriatico, che viene bene anche logisticamente. Ma resto nei miei panni di allenatore, per l’ammiraglia ci sono i direttori sportivi.

Movistar dà il benservito ad Arrieta e volta decisamente pagina

27.10.2021
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Alla Movistar qualcosa non va più come una volta e la scelta di non confermare Arrieta sull’ammiraglia lascia intravedere qualche crepa. Oppure, più semplicemente, quel clima da famiglia felice che si era creato negli anni di Echavarri e Indurain, col tempo si è disgregato. Attorno a Unzue e Valverde sono via via arrivati e ripartiti corridori con una rapidità sorprendente, da Landa a Lopez passando per Carapaz, mentre le immagini della serie Netflix dedicata al team hanno svelato un clima interno che appare tutto fuorché sereno. 

Arrieta è stato diesse della Movistar negli ultimi dieci anni
Arrieta è stato diesse della Movistar negli ultimi dieci anni

Addio Arrieta

L’ultima spallata su cui in Spagna ci si interroga è l’allontanamento dai quadri del tecnico di San Sebastian, storico gregario di Indurain e direttore sportivo degli ultimi dieci anni.

«Per me personalmente – ha commentato Unzue – è stata una decisione molto dura, ma che abbiamo dovuto prendere per il bene della squadra».

Tuttavia, proprio andando a rivedere gli episodi di quella serie, si intuisce come alcune decisioni dell’ammiraglia nel tempo abbiano esposto la squadra a figuracce facili da evitare semplicemente usando la testa. Come aver rincorso Carapaz alla Vuelta del 2020 per il semplice gusto della ripicca, favorendo altri e non portando a casa nulla.

Continuo chiaroscuro

I diretti interessati non parlano, ma la Spagna del ciclismo è rimasta colpita dalla scelta, dato che con Arrieta se ne va una bella fetta di quella radice navarra su cui la Banesto e la sua discendenza avevano costruito la loro immagine. Questo non significa, tuttavia, che si sia trattato di un arbitrio. Proprio perché nel team refrattario ai colpi di testa, l’allontanamento di una figura così chiave fa pensare che in qualche modo la misura fosse colma.

Arrieta non ha seguito la squadra alla Vuelta e già questo poteva far pensare che il suo futuro non passasse più per quei colori, anche se l’esito della corsa spagnola è stato un continuo chiaroscuro, con il secondo posto di Mas e il ritiro di Lopez che in qualche modo ha oscurato il risultato del compagno.

Una minicamera Netflix in ammiraglia ha raccontato le decisioni più controverse di Arrieta, qui con Unzue
Una minicamera Netflix in ammiraglia ha raccontato le decisioni più controverse di Arrieta, qui con Unzue

Proprio nei giorni scorsi, il colombiano ha detto di essere tornato all’Astana perché non aveva la sensazione di essere gradito nella squadra spagnola, mentre un altro pezzo da novanta come Soler ha preso la direzione del UAE Team Emirates. Nella Movistar di cui si diceva sempre un gran bene, non si riesce più a mettere radici…

Da Vila a Piepoli

Di certo l’ultima è stata la peggior stagione della squadra da molti anni a questa parte. Nel frattempo, passaggio che forse ha portato in evidenza le eventuali responsabilità di Arrieta o i suoi limiti, in squadra lo scorso anno è arrivato Patxi Vila come capo dei preparatori. E se inizialmente il suo era un ruolo dietro le quinte, per estrazione e capacità, la sua traiettoria si è incrociata sempre più di frequente con quella del direttore sportivo. Ugualmente su Netflix, le osservazioni del basco sulla seconda ammiraglia in occasione di alcune scelte tattiche parlano ora più di mille parole. Perciò il Team Movistar va avanti con lui, con Garcia Acosta, Pablo Lastras, Max Sciandri e José Luis Jaimereña. Mentre si può finalmente dire che sul fronte della preparazione, nel team spagnolo lavora già da un paio di stagioni Leonardo Piepoli. Il pugliese, che ha da tempo fatto pace e ammenda per il passato e allena fior di corridori, proprio in questi giorni ha partecipato al primo ritiro della squadra.

Facce nuove

Fra i nuovi arrivi, si segnalano quello di Aranburu dall’Astana e di Ivan Sosa dalla Ineos. Torna dopo vent’anni il “dottorino” Josè Ibarguen finora alla Deceuninck-Quick Step, mentre ancora dall’Astana arriva Ivan Velasco, esperto di meccanica, biomeccanica e sviluppo dell’aerodinamica.

Una svolta decisa che parla di equilibrio da ritrovare e della necessità di mettersi al passo con i team concorrenti che da anni hanno puntato sullo sviluppo tecnologico e la continua ricerca della prestazione. A fronte di una Movistar che per anni e anni si è aggrappata alle prestazioni di Valverde e alle classifiche a squadre di grandi Giri: obiettivo certo di prestigio, ma che poco infiamma il pubblico.

Piepoli senza freni: su Vdp, Nibali, Bettiol e Valverde

15.03.2021
5 min
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Leonardo Piepoli, allenatore di Alberto Bettiol e altri corridori con cui parla raccogliendone i dati e gli umori, sulla vittoria di Van der Poel a Castelfidardo ha una visione di straordinaria leggerezza che, osservando l’olandese, è difficile non condividere. Il guaio però è che a questa leggerezza si affianca il senso di frustrazione che avere a che fare con un corridore così genera nel resto del gruppo. E così, senza averlo premeditato, ci troviamo in un viaggio tecnico che spiega tanti aspetti delle ultime settimane.

Bettiol, secondo Piepoli, non è troppo lontano dai primi tre: gli serve più convinzione
Bettiol, secondo Piepoli, non è troppo lontano da quei tre
Il primo pensiero dopo averlo visto attaccare a più di 50 chilometri dall’arrivo è che avesse finito la benzina, quindi un errore di alimentazione, e che abbia portato a casa la sua immensa impresa raschiando il fondo del barile…

Secondo me la chiave è una dichiarazione di Van Aert di qualche giorno fa. «Quando Mathieu corre con intelligenza, non lo batte nessuno». La sensazione è che lui si diverta a fare quello che fa, con lo stesso spirito di quelli che il mercoledì giocano a calcetto e provano i colpi più impensabili. D’altra parte, essendo uno che vince tutto e tutto l’anno, che differenza volete che faccia una corsa piuttosto che un’altra?

Intelligenza, parola interessante…

Forse anche troppo impegnativa, parliamo di intelligenza tattica. Per come lo vedo io, non è uno che ha bisogno di fare tanti calcoli. A Kuurne è partito a 80 chilometri dall’arrivo, l’anno scorso stessa cosa al Bink Bank Tour. Gli piace. Certo se perdesse per un eccesso di allegria il Fiandre o il mondiale, siate certi che in squadra ci sarebbe più tensione.

In gruppo come lo vivi uno così?

Male, lo vivono malissimo. Non solo lui, ma anche Van Aert e Alaphilippe. Si demoralizzano: cosa andiamo a fare? Si passano mesi a studiare le ripetute e l’altura, ma a che scopo? Tu studi la compensazione e loro arrivano alla prima corsa e vincono. D’accordo che non è la prima corsa, perché prima hanno fatto il cross, ma sono destabilizzanti. Non è detto però che il rimedio sia fare cross e mountain bike come loro.

Non male Valverde alla Strade Bianche, ma lontano dal suo top
Non male Valverde alla Strade Bianche, ma lontano dal suo top
Qualcuno ci starà pensando, in effetti…

Ricordo che un anno mi trovai ad allenarmi con Mondini, che ai tempi correva con Armstrong e andava agilissimo come Lance. Gli chiesi perché. Oppure ricordo quando correvo con Freire, che in allenamento stava sempre a ruota degli amatori, poi prima di Sanremo e mondiali, faceva dei lunghi dietro moto con suo fratello e vinceva. E’ sbagliato voler emulare corridori che hanno talenti fuori dal comune. Non ne vieni fuori e non serve.

Però intanto Nibali ha lasciato Slongo cercando qualcosa di diverso dai soliti schemi…

Nibali ha fatto bene a cambiare, perché forse quel che mancano sono gli stimoli, ma lui e Valverde non sono esattamente l’espressione di un metodo di ciclismo che ora viene messo in discussione. Non sono mai stati un modello di metodicità. Ragazzi seri, puntuali nel lavoro, ma naif. Vincenzo aveva lo schema Nibali, che comprendeva già in partenza di fare meno giorni di altura di quel che prevede la letteratura scientifica, oppure di dormire un po’ più in basso per avere con sé la famiglia. E’ giusto cambiare, ma non è che cambi pelle.

Che cosa intendi?

Tempo fa ero a correre a piedi in Liguria e ho incontrato gli juniores del Casano, la squadra in cui ho fatto i dilettanti. Passandogli accanto, ho notato che il più basso di loro era alto quanto me. Io non sono mai stato il più basso in squadra: ero il più alto dei bassi e il più basso degli alti. Questo per dire che l’uomo si evolve, le prestazioni crescono e ci sono studi veri che lo dicono. Ganna da U23 ha fatto il record del mondo di inseguimento che Collinelli aveva fatto nel pieno delle sue forze, con l’aerodinamica di oggi che ha migliorato quella del manubrio a canna di fucile di allora.

Ha fatto bene Nibali a cambiare, ma secondo Piepoli per vincere non basta più il 70%
Ha fatto bene Nibali a cambiare, ma secondo Piepoli per vincere non basta più il 70%
Quindi?

Quindi si possono inseguire questi giovani più forti, ma sapendo che sono più evoluti di atleti che hanno debuttato 15 anni fa. Ci sta che Nibali faccia fatica e come lui Valverde. Prima per vincere a entrambi bastava essere al 70% e potevano starci per sei mesi all’anno. Ora per vincere devono essere al 98% e ci riescono per quattro settimane. Sono ancora convinto che possano fare grandi cose, ma tutto deve incastrarsi alla perfezione.

E Bettiol come si colloca, lui che è nell’età di mezzo?

Alberto non è troppo lontano da Van der Poel e Van Aert. Se a Van Avermaet servono 10 circostanze favorevoli per batterli, a lui ne basta una. Deve convincersi. E tutto sommato aspettare che scatti questa convinzione per chi lavora con lui è anche frustrante.

VdP si è divertito e ha vinto. Se avesse perso, si sarebbe divertito lo stesso…
VdP si è dicvertito e ha vinto. Se avesse perso, si sarebbe divertito lo stesso…
Quindi tornando alla tappa di ieri?

Van der Poel si è divertito e la squadra ha fatto bene a lasciarglielo fare. Magari al Fiandre gli parlerei diversamente: «Aspettiamo che siano stanchi e non siamo per forza noi a doverli stancare». Ma per lui che ha vinto tutto, dal triciclo alla mountain bike, passando per strada e cross, mondiali ed europei, credete che una tappa alla Tirreno rappresenti tanto più del cross del paese? Si è divertito e ha fatto l’impresa. Ma se anche Pogacar lo avesse ripreso, si sarebbe divertito lo stesso.

Dario Pieri

Nel mondo di Pieri, fra ricordi, pensieri e risate

30.12.2020
6 min
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Quasi scherzando a proposito di Bettiol, giorni fa Leonardo Piepoli disse che a lasciarlo troppo da solo, in certi giorni gli ricordava Dario Pieri, ma che di Pieri ce n’è uno solo poi hanno buttato lo stampo. E qua s’è accesa la lampadina: dov’è finito Dario? E cosa sta facendo? E’ sorprendente come le vite si separino e ragazzi con cui condividevi ore e chilometri di colpo spariscano dai radar. La cosa migliore, più che mandare dei messaggi, è sollevare la cornetta e chiamare. Perciò amici di bici.PRO curiosi di avere sue notizie e amici che non sapete chi sia, riecco a voi il Toro di Scandicci.

A uso di chi non l’ha visto correre, vale la pena ricordare che Pieri, classe 1975, è stato professionista dal 1997 al 2006 e pur avendo vinto appena quattro corse, è ritenuto il più grande talento italiano del pavé dopo Franco Ballerini soprattutto per due secondi posti. Al Fiandre del 2000 e alla Roubaix del 2003. Tutto intorno, la sua figura si tinse di colori leggendari legati all’amore per la tavola e alle abitudini non sempre da atleta. Una reputazione cui oggi si ribella con decisione.

Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
La vittoria di tappa a Zottegem alla Tre Giorni di La Panne 1998, primo acuto al Nord
Dario Pieri, Tre Giorni di La Panne 1998
Zottegem, De Panne 1998: primo colpo al Nord

«Non era tutto vero – dice a un certo punto, si impunta poi si rilassa – ma ho le spalle grandi e me la sono fatto scivolare addosso. E’ vero che mi piaceva mangiare e non ero un fissato come Bartoli e Casagrande. Ma se vengono certi risultati, vuol dire che mi allenavo».

A un certo punto si parlava di te come dell’erede di Franco Ballerini.

Lui me lo diceva sempre. «Se avessi il tuo fisico e la mia testa, non ce ne sarebbe per nessuno». Il paragone per la prima volta lo fece Marcello Perugi, un vecchio direttore sportivo che purtroppo è morto lo scorso settembre. «Te sei come Franco – disse – ma con un po’ più di classe». Perché Franco quando andava a tutta, un po’ stantuffava. Così me lo fece conoscere e uscimmo anche insieme, solo che ai tempi io ero un ragazzino e lui un professionista, sempre in giro. Poi quando passai anche io, divenne una figura da seguire.

Cosa fai oggi?

Ho il mio tiro al piattello, più ho un B&B con il ristorante sotto, “Il boschetto”, che gestisco con la mia compagna Samanta. Quest’anno ho dato anche una mano alla griglia, per non dover pagare una persona in più. Al tiro si è lavorato fino a settembre, poi s’è aperta la caccia e hanno smesso di venire. Vivo a Montemiccioli, un borghetto medievale di tre anime fra Volterra e Colle Val d’Elsa.

Segui ancora il ciclismo?

Poco per via del lavoro. Com’è stato seguirlo dal vivo con tante transenne? In televisione sembra lo stesso, però si capisce che non è uguale. Mi tiene aggiornato Balducci e qualche volta anche Alberto Bettiol. Simpatica questa cosa di Piepoli! E’ vero che a volte deve essere spronato, ma Gabriele fa un buon lavoro. Alberto ha vinto il Fiandre da giovane, se fa un’annata regolare, combina sicuro qualcosa di buono.

In bici ci vai qualche volta?

Zero. Ma sapete che proprio in questi giorni mi sta venendo voglia di allenarmi? Ma prima dovrei rimettermi in forma.

E al periodo delle corse ci pensi qualche volta?

Ci penso sì, normale. E’ stata la mia vita, sono cose che rimangono e che rifarei. Ho visto il mondo, sono maturato. Ho eliminato dai ricordi le situazioni spiacevoli e le discussioni inutili. Ho smesso perché il Pieri a un certo punto non era più una persona, ma solo un gran motore. Mi accorsi che nonostante tanta gente, ero da solo. Quando mi feci male alla Roubaix, mi ci portò Balducci all’ospedale. Due giorni dopo. Avevo un foruncolo che si era gonfiato troppo e rischiava di esplodere all’interno. Mi operarono, mi misero dei punti.

Quella fu l’ultima Roubaix, nel 2004. Poi ci fu il progetto di rifarla con la Lpr nel 2007, con tanto di troupe della Rai che voleva seguirti.

Ma alla fine rinunciai, perché pensavo di aver trovato persone di un certo tipo, che invece alle spalle dicevano altro. Ho sempre avuto accanto la mia famiglia, gli amici veri e Balducci, il solo nel mondo del ciclismo.

Quali corse ricordi?

La prima vittoria a De Panne, quando presi la maglia. Mi dissi: «Allora sei buono per davvero!». Ma il vero rammarico ce l’ho per la volata di Roubaix. Ero in giornata eccezionale, ma trovai Aldag che non tirava e non si staccava. Se fossi riuscito ad andare via da solo, non mi prendevano. Invece arrivammo allo sprint e vinse Van Petegem. A quello sprint ammetto che ci penso spesso. Il secondo al Fiandre fu diverso. Feci un po’ il succhiaruote, sapevo di non avere tante banane e poi venni fuori bene all’ultimo chilometro.

Una vittoria avrebbe cambiato la tua carriera?

Ne sono certo, avrei corso ancora a lungo, perché non ero davvero un corridore spremuto.

Dario Pieri
Un gigante buono che si è sempre fatto in quattro per gli altri, non sempre ricambiato
Dario Pieri
Dario Pieri, un gigante buono
Hai detto che Bartoli e Casagrande erano fissati, come si troverebbe Pieri nel ciclismo di oggi dove quello è lo standard?

Dipende. Sono epoche diverse. Adesso nascono con tutto a portata di mano e se sanno sfruttare le opportunità, sono avvantaggiati. Io passai nel 1997, l’epoca dei grandi cambiamenti, del controllo dell’ematocrito, un periodo differente. Mi dispiace che ho smesso quando si sono ritirati Boonen e Van Petegem, magari trovavo spazio.

Sei felice?

Vivo con Samanta e le sue due figlie di 11 e 20 anni, Irene e Sara. Ho il mio lavoro e vado a caccia, stamattina sono rientrato prima per fare questa chiacchierata. Di cosa posso lamentarmi? Sì, sto bene così.

Leonardo Piepoli, figlio Yanis, #NoiConVoi2016

Piepoli ci porta nei pensieri di Bettiol

28.12.2020
4 min
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Che cosa intendeva Alberto Bettiol quando ha detto che non sarà mai autonomo e avrà sempre bisogno di un supporto? Lo abbiamo chiesto a Leonardo Piepoli, che da anni ne segue la preparazione. E che, a detta del toscano, lo supporta anche sul piano psicologico, essendo uno dei due pilastri sportivi che gli sono rimasti dopo la morte del procuratore Mauro Battaglini. Il terzo è Gabriele Balducci. Quando parla del pugliese, Bettiol ama parlare di lui come del suo “stalker”.

Piepoli ormai fa base fissa in Puglia, dove ha la sua squadra di bambini e dove a sua volta 20 mesi fa ha avuto una bimba, Zoe. Leo ha un altro figlio, che si chiama Yanis e ha 13 anni, ma vive in Francia con la mamma ed è il motivo per cui Leo conserva un punto d’appoggio in Liguria, dove è cresciuto ciclisticamente. I due, padre e figlio, sono appena arrivati in Puglia per passare qualche giorno insieme (nella foto di apertura, sono insieme alla pedalata di solidarietà #NoiConVoi2016 nelle zone del sisma del Centro Italia). La fine di quel matrimonio e gli ultimi 13 anni passati tra l’inferno e il purgatorio sono il conto che Piepoli ha pagato per la positività al Tour del 2008. Una pena che in Italia non si sconta per aver ucciso due ragazze guidando da ubriachi, per aver falciato 8 ciclisti nelle stesse condizioni e tantomeno per stupro.

Damiano Caruso, Alberto Bettiol, Tour de France 2020
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Benedetta umiltà

Il corridore non è una macchina, non si risolve tutto trovando la tabella giusta e avviando il motore. Bettiol ne è la prova.

«E’ stato malato per 15 giorni, ve lo ha detto – spiega Piepoli – quindi avendo ricominciato da poco ad allenarsi, era come se ripartisse da zero. Perciò, visto che in Toscana si annunciava tempo brutto, gli ho mandato un messaggio. Gli suggerivo di organizzarsi per andare magari a far visita a Caruso in Sicilia, con cui so che si trova bene. Mi sarei anche potuto aspettare che ci pensasse da solo, invece…».

Cosa ti ha risposto?

Mi ha chiesto se fossi diventato matto. Il ruolo di scardinare questa sua inerzia lo dividevamo in tre, appunto con Battaglini e Balducci. Lo facevamo a rotazione, per non essere troppo invadenti.

Per questo dice che Piepoli è il suo “stalker”? 

Esatto. Per fortuna è ancora nella fase in cui risponde positivamente agli stimoli. Ricordo invece quando lavoravo con Pozzato, che se ne fregava di certi richiami e faceva a modo suo. Bettiol se non altro mantiene l’umiltà. Balducci da un po’ gli va ripetendo che anche Pieri aveva un grandissimo talento, ma che di Pieri ne basta uno.

Forse per questo tipo di stimoli vivere da solo a Lugano non va tanto bene?

Non crediate, ha bisogno di cambiare. Se sta troppo con Balducci, gli prende le misure. A Lugano trova gente super mentalizzata, come Pozzovivo e Nibali e un po’ lo mettono alle strette. Bettiol vale tanto. Nelle giuste condizioni di gara, può vincere una Liegi e anche un mondiale come quello di Imola. Siamo ancora lontani dai suoi limiti e forse non li scoprirà mai. Almeno se non smette di essere lui l’ostacolo.

Dice che allenarsi in gruppo è lo stimolo per stare sotto l’acqua in allenamento.

Perfetto, è esattamente così. Se va liscio, non ha problemi. Se c’è bel tempo, esce, si allena, fa tutto alla perfezione. Il maltempo invece gli rende tutto difficile, resterebbe volentieri in casa. Neanche a me piaceva allenarmi da solo oppure quando pioveva, ma il vero professionista è quello che si organizza. Sta tutto a farlo uscire.

Leonardo Piepoli, Giro d'Italia 1997
Piepoli passò professionista nel 1995 con la Refin. Qui al Giro d’Italia del 1997
Leonardo Piepoli, Giro d'Italia 1997
Piepoli professionista dal 1995 con la Refin
Ha detto che Imola era troppo duro per lui.

E’ vero, ma avrebbe potuto vincerlo in diverse circostanze di corsa. Come la Liegi. Se aspetti l’ultimo strappo, Alaphilippe ti fa fuori. Ma se la corsa esplode e giochi di anticipo, sei vincente. Come Mollema ha vinto il Lombardia, insomma. A volte più della percentuale di forma, conta la qualità del corridore.

Difficile da far capire?

Nell’ultimo anno ha imparato a stringere i denti più di quanto abbia mai fatto. Ha capito che vince chi sa soffrire di più e reagisce meglio alle situazioni di gara. Che vince di sicuro con il 110 per cento della forma, ma deve provarci anche al 90.

Perché dopo il Fiandre per un po’ è sparito?

Perché si è sentito un supereroe e ha cominciato a correre con il chip di non fare fatica. Dieci giorni dopo, c’era la Freccia del Brabante. Ha esitato e la fuga è andata via. Quando si è accorto che non rientravano, è partito da solo e ha staccato il gruppetto in cui si era ritrovato. Ha cominciato a dire che non stava bene e che era troppo dura, anche davanti all’evidenza che era uscito da solo facendo un numero. Era il più forte di tutti, avrebbe vinto anche quel giorno. Lo scorso inverno è servito per chiarirsi, tanto che a inizio stagione ha vinto subito.

Come hai vissuto questi 13 anni di esilio?

Male, a volte la vivo male ancora oggi. Quando sono andato ad Aigle per fare il corso Uci ero a disagio, sentivo di non essere al mio posto. Solo che mentre ero in auto che aspettavo, sono arrivati Basso, Julich, Sorensen, che non erano certo meglio di me, così mi sono rilassato. Ho fatto ammenda. Ho partecipato e tenuto seminari contro il doping. Sono andato alla Cadf, la commissione antidoping. Sono andato all’Mpcc. Ho fatto e parlato con tutti quelli con cui dovevo parlare. Forse è arrivato il tempo di chiudere quella porta e aprirne un’altra.