La magica giornata della Silvestri. Con un pizzico di malinconia

09.10.2025
5 min
Salva

Domenica, mentre Pogacar si produceva in una delle sue tante cavalcate solitarie e vittoriose, in Spagna Debora Silvestri tornava a conquistare una vittoria inseguita per tutta la stagione. Non era certo un mondiale o un europeo, ma si può ben dire che il GP Ciudad de Eibar aveva un sapore speciale, per lei come per il suo team del Laboral Kutxa-Fundacion Euskadi e non solo perché era la gara di casa per il team basco.

Il team alla partenza. Era la gara di casa per la Laboral, l'obiettivo era apertamente la vittoria
Il team alla partenza. Era la gara di casa per la Laboral, l’obiettivo era apertamente la vittoria
Il team alla partenza. Era la gara di casa per la Laboral, l'obiettivo era apertamente la vittoria
Il team alla partenza. Era la gara di casa per la Laboral, l’obiettivo era apertamente la vittoria

Una giornata davvero speciale, da raccontare nei minimi particolari ma che in verità era iniziata anche prima, la sera della vigilia, con la riunione pregara: «Ci siamo confrontati per stabilire la tattica di gara ed eravamo tutte d’accordo di correre per Ana Santesteban perché era la sua ultima corsa. Ana è un pilastro di questa squadra, lo è stato per anni conquistando tantissimi risultati di spicco, ma questa era l’ultima e avremmo voluto che vincesse lei. Ci siamo messe d’accordo di prendere la corsa di petto, farla noi, renderla dura, consce che eravamo una delle squadre più forti e soprattutto in un’ottima forma in questo periodo».

Al mattino, quando vi siete radunate in hotel com’era l’atmosfera?

Ovviamente eravamo cariche, convinte di poter fare bene. E’ stata da subito una giornata speciale, emozionante, diversa dalle altre perché tutte sapevamo che era l’ultimo giorno di Ana in gruppo. In squadra c’era un mix di emozioni, tra voglia di far bene ma anche un po’ di tristezza perché era una figura importante.

Il momento dell'affondo della Silvestri, facendo il vuoto alle sue spalle. Per lei seconda vittoria in carriera
Il momento dell’affondo della Silvestri, facendo il vuoto alle sue spalle. Per lei seconda vittoria in carriera
Il momento dell'affondo della Silvestri, facendo il vuoto alle sue spalle. Per lei seconda vittoria in carriera
Il momento dell’affondo della Silvestri, facendo il vuoto alle sue spalle. Per lei seconda vittoria in carriera
Che clima avete trovato?

Il clima di per sé era molto freddo, inatteso, perché ha piovuto e ha reso le strade scivolose. Tanto che c’è stato un tratto di una quindicina di chilometri dove hanno neutralizzato la corsa e infatti eravamo tutte infreddolite. Ma quel che mi è rimasto più impresso è stata la gente su le strade, il tifo era molto caloroso, erano tutti venuti lì a sostenerci, ad Ana in primis ma anche a tutte noi. C’era tutta la sua famiglia e le sue amiche. E’ stato molto emozionante, si sentiva questo calore.

Come si è evoluta la corsa dalla partenza in poi?

Ci sono stati dei vari attacchi, è andata via una fuga di 5 atlete e il gruppo era controllato da noi e dalla Human Powered Health. Poi appunto c’è stato questo tratto neutralizzato perché c’era una discesa con l’asfalto sporco e pioveva, l’organizzazione ha deciso di fermarci per non correre rischi per la sicurezza. Abbiamo aspettato che la fuga riprendesse i due minuti e mezzo che aveva racimolato e poi siamo ripartite. Sulla costa ci siamo messe a fare una bella andatura in salita. Abbiamo ripreso la fuga e quando siamo arrivati all’ultima salita con tutta la squadra, che devo ringraziare, ci siamo messe davanti a fare ritmo.

L’arrivo vittorioso della veronese, battendo nello sprint a due la britannica Thomson
L’arrivo vittorioso della veronese, battendo nello sprint a due la britannica Thomson
Lì hai preso tu l’iniziativa?

Abbiamo messo in pratica quanto ci eravamo dette proiettandoci davanti io e la Ostolaza, rimanendo con un gruppetto. Prima ho provato io a scattare e quando diciamo mi sono rinvenute sotto a 500 metri dallo scollinamento è partita lei. Solo che è caduta in discesa, come anch’io, ma lei ha avuto problemi alla bici, quindi ha dovuto aspettare il cambio bici, mentre io sono riuscita a rientrare sulle altre due ragazze e le sono riuscita di nuovo a staccare in discesa. La Thomson mi è rientrata a 1 chilometro dall’arrivo e da lì ho cercato di portare a casa la corsa, per ringraziare la squadra di tutto il lavoro svolto durante la gara. Quindi ho provato ad anticiparla per non rischiare in volata di essere battuta.

L'abbraccio con la Ostolaza, anche lei all'attacco ma frenata da una caduta e alla fine quinta
L’abbraccio con la Ostolaza, anche lei all’attacco ma frenata da una caduta e alla fine quinta
L'abbraccio con la Ostolaza, anche lei all'attacco ma frenata da una caduta e alla fine quinta
L’abbraccio con la Ostolaza, anche lei all’attacco ma frenata da una caduta e alla fine quinta
Per te questa è la seconda vittoria in carriera, come l’hai vissuta?

Ho provato un senso di liberazione, perché non era stata una stagione facile fino a questi ultimi due mesi, ma è stato bellissimo questo successo da condividere con il team, per come abbiamo gestito la corsa e i momenti un po’ critici che abbiamo vissuto negli ultimi 5 chilometri con le nostre cadute. Quando è toccato a Usoa (Ostolaza, ndr), ho pensato “qua bisogna riportare la corsa dalla nostra parte”. Ho cercato di dare il massimo per omaggiare i tifosi di tutto il sostegno datoci, nonostante il meteo avverso.

Il podio finale, a sinistra con il cappello la Santesteban che a 34 anni chiude la sua carriera
Il podio finale, a sinistra con il cappello la Santesteban che a 34 anni chiude la sua carriera
Tu hai già il contratto per il prossimo anno. Questa però era la prima stagione da Professional. C’è stato questo salto di categoria, l’avete avvertito?

Non del tutto, perché alla fine anche l’anno scorso avevamo fatto un grande calendario, quindi più o meno le gare che abbiamo fatto sono state le stesse o molto simili. Ora spero di continuare con l’andamento che ho avuto in questi ultimi due mesi e di ripartire sicuramente meglio l’anno prossimo. Ana mancherà moltissimo come riferimento, quindi toccherà a noi colmare il vuoto, coinvolgendo anche i nuovi arrivi che sicuramente ci saranno. Ma posso garantire che cercheremo di dare battaglia.

Il ritorno in pista di Arianna Fidanza: un bronzo che vale tanto

11.09.2025
5 min
Salva

Otto anni dopo Arianna Fidanza è tornata a girare su pista, anzi a gareggiare. Negli europei di Erfurt, in Germania, la bergamasca ha conquistato la medaglia di bronzo nel derny (in apertura foto UEC). Un metallo importante per il suo rientro in pista, un’occasione arrivata all’improvviso e che stava per sfumare vista la brutta caduta che l’ha vista coinvolta al Kreiz Breizh

Infatti una settimana prima di prendere l’aereo per la Germania, Arianna Fidanza si è trovata in ospedale con una distorsione del legamento acromio clavicolare della spalla sinistra. 

«Il recupero procede bene – ci racconta la più grande delle due sorelle Fidanza – anche perché sono riuscita a correre su pista. Dopo la finale del derny mi si è infiammata un po’ la spalla a causa dello sforzo. Sono ancora convalescente, infatti salterò le prossime due gare su strada che erano in programma il 13 e il 14 settembre».

Arianna Fidanza pochi giorni prima dell’europeo derny ha riportato un infortunio alla spalla sinistra (foto Instagram)
Arianna Fidanza pochi giorni prima dell’europeo derny ha riportato un infortunio alla spalla sinistra (foto Instagram)

Tutto all’ultimo

La caduta alla Kreiz Breizh del 28 agosto stava per far saltare la spedizione continentale, i giorni successivi sono stati di recupero e riflessione. L’infortunio non era così grave da costringere Arianna Fidanza a un forfait obbligato. Ha avuto il tempo per capire e provare e la decisione di correre comunque è arrivata quasi in extremis

«La dinamica dell’incidente – spiega l’atleta della Laboral Kutxa – è stata banale: eravamo in fuga in tre, con strada bagnata e nell’affrontare una curva la ragazza davanti a me è caduta. Io per evitarla ho frenato, ma appena ho toccato i freni mi è scivolata via la ruota anteriore. Sono andata a terra con il peso tutto sulla spalla. In ospedale mi hanno detto che non c’era nulla di rotto, ma un distaccamento tra la clavicola e l’acromion. Sono rimasta ferma per quattro giorni, nei quali non sapevo se sarei riuscita a correre o meno».

La proposta di tornare a correre su pista è arrivata all’improvviso, due settimane prima dell’europeo di Erfurt (foto UEC)
La proposta di tornare a correre su pista è arrivata all’improvviso, due settimane prima dell’europeo di Erfurt (foto UEC)
Quando lo hai deciso?

Nel momento in cui sono uscita per fare due allenamenti, uno su strada il lunedì e l’altro martedì, in pista. Già nel primo avevo visto che riuscivo a sopportare il dolore, allora il giorno dopo ho provato sul parquet. Come superficie ha meno sollecitazioni, riuscivo a correre. Ho preso la decisione di gareggiare e mercoledì siamo partiti per andare in Germania».

Non l’avvicinamento ideale…

Esatto, arrivavo da uno stop di quattro giorni nei quali non ho fatto nulla. L’ora e mezza che sono riuscita a pedalare su strada non era sufficiente, inoltre non ero riuscita a fare lavori specifici. Qualcosa ho fatto il giorno dopo su pista, ho visto che rispondevo bene ma non sapevo cosa aspettarmi

Il feeling con Christian Dagnoni, il pilota del derny, è stato subito buono (foto UEC)
Il feeling con Christian Dagnoni, il pilota del derny, è stato subito buono (foto UEC)
Dopo otto anni lontana dalla pista lo possiamo definire un buon ritorno?

Sì, devo ringraziare la famiglia Dagnoni perché sono stati loro a chiedermi di correre dimostrando tanta fiducia nei miei mezzi. Ho deciso di accettare questa sfida un po’ perché mi mancava correre in pista e per la sensazione di gareggiare in un contesto del genere. 

Quando è arrivata la proposta?

Due settimane prima dell’europeo. Avevo fatto un paio di allenamenti in pista a dicembre ma non avevo in mente di gareggiare. Però devo ammettere che tornare sul parquet è stato emozionante, mi mancava la sensazione che ti dà la pista. 

Fidanza e Dagnoni hanno impostato una tattica basata su un ritmo costante (foto UEC)
Fidanza e Dagnoni hanno impostato una tattica basata su un ritmo costante (foto UEC)
Com’è stato riprendere il feeling con il derny?

Mentalmente non è stato complicato, sapevo di dover dare il massimo e che mi sarei dovuta fidare del pilota: Christian Dagnoni. La difficoltà maggiore è stata quella tecnica, su strada non avevo mai lavorato per avere una cadenza di pedalata elevata. Sapevo di poter contare sulla resistenza che mi ha dato la strada, inoltre il velodromo era semiaperto e questo aumentava il dispendio energetico in corsa, serviva ancora più resistenza. 

E l’intesa con il pilota?

Christian Dagnoni è stato molto bravo. Il giorno prima di correre abbiamo fatto una prova e l’intesa è stata subito buona. La tattica era di fare una gara a ritmo regolare, votata alla resistenza. Dagnoni ha saputo gestire al meglio il ritmo, mi controllava sempre con la coda dell’occhio.

Podio europeo derny 2025: vince la coppia tedesca Reibner-Mobus, terzi Fidanza-Dagnoni (foto UEC)
Il bronzo europeo è una rivincita importante per Arianna Fidanza, un premio per una stagione difficile (foto UEC)
Ti saresti mai aspettata un risultato del genere?

Appena superate le qualifiche mi sono detta: «Ho fatto un primo passo importante». La finale prevedeva una distanza doppia (30 chilometri rispetto ai 15 chilometri delle qualifiche, ndr). Un fattore che giocava a mio favore. 

Sul podio cosa hai pensato?

Ero felice, sapevo di aver dato tutto. Ci sono dei tasselli mancanti, perché la preparazione non è stata delle migliori visto l’infortunio, però ero contenta. Il bronzo europeo vale tanto, è un premio a una stagione sfortunata nella quale però non ho mai mollato. 

Ora torni in pista?

Domani (mercoledì per chi legge, ndr) per una sessione di allenamento. Ma non ho programmi, mi godo il momento. Poi in futuro chissà…

Pazienza, tenacia e un Ferragosto vincente per il ritorno di Tonetti

21.08.2025
5 min
Salva

Non poteva che trovare la sua rivincita in questi giorni di agosto. Dalla maglia a pois al Tour Femmes dell’anno scorso alla vittoria di Ferragosto in Belgio passando per la strettoia della pericardite di marzo. Cristina Tonetti ha davvero completato alla grande il suo ritorno in gruppo (in apertura foto @gmaxagency).

Al primo successo da pro’ ottenuto quasi una settimana fa al Grote Prijs Yvonne Reynders, l’altroieri la 23enne brianzola della Laboral Kutxa-Fundacion Euskadi ci ha aggiunto un terzo posto all’Egmont Cycling Race (vinta da Alzini) e oggi è in gara al GP Lucien Van Impe per dare continuità a questi importanti risultati. Mentre è in ritiro in “casetta” al Nord con la squadra, ne abbiamo approfittato per sentire con piacere il morale di Tonetti.

Cristina raccontaci il giorno della vittoria. Che sensazioni hai provato?

«Era un circuito di 22 chilometri – racconta – da ripetere sei volte. Gara di difficile interpretazione e di difficile controllo, quindi sono stata attenta per vedere come si evolveva. Negli ultimi 10 chilometri c’era ancora fuori una fuga di quattro ragazze con dentro una mia compagna, ma dal gruppo appena è partita Campbell, l’ho seguita immediatamente. A quel punto quando mi sono ritrovata davanti, ai meno 5 ho rotto gli indugi per evitare brutte sorprese in volata e sono scattata da sola. Più mi avvicinavo al traguardo, più avevo mal di gambe. Significava che stavo andando forte, è stato il mio unico pensiero».

Poi però appena tagliata la linea d’arrivo hai avuto altri pensieri, come la dedica a papà Gianluca.

Certo, lui è sempre con me, ma in quel momento ho pensato a tutte le persone che sono state sempre al mio fianco non solo ultimamente, quanto in ogni periodo difficile e per ciò che c’è stato prima. Devo dire grazie anche a me stessa perché siamo noi atleti per primi che dobbiamo credere in certe cose. Una dedica particolare tuttavia ci tengo a farla a Lucio Rigato (il team manager della Top Girls, ndr).

Il buon momento di Tonetti è proseguito col terzo posto al Gp Egmont vinto da Alzini (foto Kevin Buyssens)
Il buon momento di Tonetti è proseguito col terzo posto al Gp Egmont vinto da Alzini (foto Kevin Buyssens)
Per quale motivo?

Lucio è stata una persona chiave nel mio diventare corridore. Quando nel 2023 è venuto a mancare mio padre, lui mi ha permesso di continuare a correre, standomi vicino e facendomi capire che non ero solo un numero per la sua squadra. Ricordo che quando sono arrivata da loro, avevo soggezione a parlare con lui. Anzi ci ho messo un po’ a lasciarmi andare. Lo vedete grande, grosso e dall’aspetto burbero, invece è una persona di grande umanità. Se oggi corro e se sono riuscita a vincere, lo devo anche a lui.

Intanto stai attraversando un buon momento. A cosa è dovuto principalmente?

Credo di essere rientrata con una freschezza mentale tale da poter rendermi conto di cogliere meglio certe opportunità. Per assurdo sono più contenta del terzo posto dell’altro giorno perché conferma che la vittoria non è arrivata per caso. Nonostante nel finale avessi lavorato per le compagne per chiudere sulla fuga e fossi rimasta un po’ imbottigliata, mi sono buttata ugualmente in volata ed è andata abbastanza bene.

Dopo la pericardite di marzo, Tonetti a inizio giugno è rientrata in gara in Belgio con tre gare consecutive
Dopo la pericardite di marzo, Tonetti a inizio giugno è rientrata in gara in Belgio con tre gare consecutive
Come sono stati invece i mesi lontano dalle corse?

Sono stati difficili, lunghi. Mi sono dovuta armare di tantissima pazienza, anche perché non potevo fare altro (sorride, ndr). Dopo il primo mese totalmente ferma, in quelli successivi ho seguito un programma graduale di recupero fatto dai medici e dal preparatore atletico. Prima le uscite per portare a spasso la bici senza superare certi battiti, poi lavori più specifici. La pericardite non è come rompersi un braccio o una gamba, in cui vedi dal vivo come sta andando il recupero. Il cuore lo devi tenere monitorato e anche quando senti di stare bene, non sai se è veramente così perché c’è il pericolo della ricaduta e di dover stare nuovamente fermi il doppio del tempo.

Hai comunque dovuto aspettare più del dovuto per correre, giusto?

Esattamente. Avevo fatto tre giorni consecutivi di gara ad inizio giugno, esattamente tre mesi dopo l’ultima corsa, ma mi sono fermata subito perché il calendario della squadra era già stato fatto, tra cui il Giro Women. Diciamo che il mio vero rientro lo considero questo di agosto. Nel frattempo comunque ho fatto qualche esame di controllo ed è tutto a posto. Problema risolto.

Tonetti assieme ad Yvonne Reynders, pionera del ciclismo femminile e vincitrice di 4 mondiali negli anni ’60 (foto @gmaxagency)
Tonetti assieme ad Yvonne Reynders, pionera del ciclismo femminile e vincitrice di 4 mondiali negli anni ’60 (foto @gmaxagency)
Sappiamo che sai trarre insegnamenti da ogni situazione. Questa cosa ha lasciato a Cristina Tonetti?

Mi sono accorta che diamo sempre tutto e tanto per scontato. Ci perdiamo in certi dettagli, poi magari non ci accorgiamo di altre situazioni più importanti che non vediamo nell’insieme. Noi atleti siamo fortunati a correre e possiamo dire che ce lo siamo guadagnati, ma a volte non riusciamo ad apprezzare quello che facciamo. Talvolta si fanno le cose in automatico, perché le dobbiamo fare. In questa mia vicenda ho preso un po’ di paura di non poter continuare ad avere questa fortuna. Ora ho veramente capito che fare il mio mestiere di atleta mi pesa meno rispetto a prima.

Cosa prevede il resto della stagione?

A fine agosto correrò il Kreiz Breizh e a Plouay, poi dovrei avere altre corse a settembre prima di chiudere al Tour of Guangxi in Cina. Voglio finire continuando a fare il mio dovere, come ho fatto sempre.

In Centramerica sboccia una nuova Tomasi, sprinter di rango

13.04.2025
4 min
Salva

La voce al telefono tradisce subito tutta la sua gioia. Da noi è tardo pomeriggio, per Laura Tomasi è ancora mattina e si appresta ad affrontare l’ultima prova della sua lunga trasferta in El Salvador, con il Giro a tappe e 4 classiche locali. Una trasferta proficua, che le ha portato la sua prima vittoria in maglia Laboral Kutxa e due podi (il terzo sarà proprio dopo la telefonata, nella classica conclusiva). Per la ciclista di Miane un bilancio decisamente sontuoso.

«Un’esperienza bella – esordisce la Tomasi – ma non lo dico solamente per i risultati. Io non ero mai stata da questa parte dell’Atlantico, per me era tutto nuovo, ma devo dire che a parte il caldo umido un po’ pesante in alcuni frangenti, ci siamo davvero divertite».

La volata vincente della Tomasi che ha portato a casa anche tre secondi posti (foto Laboral Kutxa)
La volata vincente della Tomasi che ha portato a casa anche tre secondi posti (foto Laboral Kutxa)
Raccontaci che tipo di gare avete affrontato…

La prima, il Grand Prix Boqueron, consisteva in una cronoscalata su un vulcano, per me è stato un po’ prendere le misure con questo tipo di gare. Il giorno dopo partiva il Giro di El Salvador, che consisteva in un breve prologo serale e 4 tappe. Non avevo mai gareggiato alle 20,30, è stato qualcosa di abbastanza strano anche se erano solo 2 chilometri. Poi abbiamo affrontato 4 tappe, non molto lunghe rispetto ai nostri canoni abituali, ma abbastanza movimentate.

Come vi siete strutturate?

Noi avevamo principalmente due obiettivi: correre per la classifica e per i traguardi di tappa. In questi io sono stata abbastanza soddisfatta con due piazze d’onore, in una finendo davanti ad Arianna Fidanza, ma nelle tappe a noi non congeniali dovevamo lavorare per Usoa Ostolaza che puntava alla vittoria e alla fine le è sfuggita per soli 2”, con Yanina Kuskova terza. In quel caso il prologo è stato determinante per favorire la vincitrice, la svizzera Hartmann che ha bissato il successo del 2024. L’ultima tappa non era sufficiente per recuperare, anche se Usoa ha vinto.

Il podio del GP El Salvador con la Tomasi al centro fra Sara Fiorin e l’irlandese Griffin (foto Laboral Kutxa)
Il podio del GP El Salvador con la Tomasi al centro fra Sara Fiorin e l’irlandese Griffin (foto Laboral Kutxa)
La vincitrice fa parte della Ceratizit: il confronto per la vittoria è stato con la formazione tedesca del WorldTour?

Con loro e con la Roland, altra squadra della massima serie. In gara la differenza con le formazioni sudamericane e del posto si vedeva, soprattutto nella gestione della corsa. Io credo che sia un discorso legato soprattutto all’esperienza, è chiaro che poter correre continuamente con le squadre WorldTour aiuta, poi in questi contesti gestisci un po’ la situazione dal punto di vista strategico.

Poi è arrivata la vittoria…

Sì, il calendario della trasferta prevedeva anche altre tre classiche d’un giorno, io mi sono aggiudicata la prima, il GP El Salvador in una volata generale, come anche l’ultima, il GP Surf City si è concluso allo stesso modo, ma lì sono arrivata dietro alla polacca Rysz. Il bilancio è comunque altamente positivo e mi dà molta fiducia per il mio ritorno in Italia.

Il caldo umido è stato il principale ostacolo delle corse disputate nel Paese centroamericano
Il caldo umido è stato il principale ostacolo delle corse disputate nel Paese centroamericano
Ora sei al secondo anno nel team basco, come ti trovi?

Molto bene, perché con l’andare del tempo ho visto che hanno una visione dell’attività molto simile alla mia, puntando a competere sempre più con le squadre più forti. In questo modo noi abbiamo la possibilità di crescere, di maturare. Certo, queste in Centro America non erano proprio gare come le classiche belghe, ma essere state protagoniste con vittorie e podi a ripetizioni ha comunque un suo significato.

Questo dipende anche dalla gestione del team, un po’ diversa da quella maschile molto più nazionalista, dove non ci sono stranieri?

Sono due entità diverse, dipendenti entrambe dalla Fondazione Euskadi, ma ognuna procede per proprio conto, con un suo staff e sue regole. Oltretutto abbiamo anche sponsor completamente diversi. Nel nostro team siamo di più nazioni, ma posso assicurare che noto un fortissimo senso di appartenenza: i Paesi Baschi mi sono sempre piaciuti per questo, c’è un legame indissolubile con il territorio e se per la squadra maschile è un po’ totalizzante, per noi si fonde con le nostre diverse culture. A me piace molto questa commistione.

Il team basco è multinazionale. In El Salvador c’era anche Arianna Fidanza
Il team basco è multinazionale. In El Salvador c’era anche Arianna Fidanza
E adesso?

Adesso si torna in Italia e inizia la preparazione per la Vuelta. E’ chiaro che per la nostra squadra la corsa a tappe iberica ha un sapore particolare, vogliamo fare bene anche se avremo di fronte tutto il meglio del ciclismo mondiale. Ma abbiamo dimostrato di sapercela cavare in ogni frangente e questo carico di fiducia che mettiamo in valigia ci aiuterà sicuramente. Mettere una firma anche in una volata della Vuelta non sarebbe male…

Paura e sosta forzata sono passate. Tonetti pronta a ripartire

31.03.2025
6 min
Salva

«Non so stare con le mani in mano. Ho impiegato queste settimane ricominciando a studiare, iscrivendomi alla facoltà online di Scienze Motorie. Lo volevo fare da tanto tempo, si vede che era destino che dovessi riprendere».
Ne avrebbe voluto fare certamente a meno Cristina Tonetti di ritrovarsi in una condizione simile, ma la sua grinta si vede anche quando non pedala. O meglio dire, quando è costretta a non pedalare.

L’annuncio era arrivato a metà marzo direttamente dalla 22enne brianzola della Laboral Kutxa attraverso il suo profilo instagram: “Dopo un lungo mese senza buone sensazioni in bici, mi è stata diagnosticata la pericardite. Purtroppo è ora di prendersi una pausa dagli allenamenti per far recuperare il mio cuore al 100%”.

Si stanno intensificando i controlli approfonditi, anche se le conferme di idoneità talvolta arrivano solo dopo questi frangenti. Ciò che è capitato a Tonetti non è il primo caso che sentiamo, però fortunatamente vengono tutti accertati in tempo utile, grazie soprattutto agli atleti che conoscono alla perfezione se stessi e sanno quando c’è qualcosa che non va. Conoscendo bene il carattere forte e disponibile di Cristina, abbiamo fatto una chiacchierata con lei per capire come ha vissuto questo ultimo periodo.

Cristina innanzitutto come stai adesso?

Sto bene. Finora le due settimane di riposo assoluto hanno dato i loro frutti. Pensate che avrei dovuto correre la Sanremo Women, quindi la squadra mi aveva invitato a vedere la corsa con loro. Non sono andata però perché mentalmente non ero ancora pronta e mi avrebbe fatto male. Nel frattempo ho fatto ulteriori controlli.

Quali?

Il 27 marzo ho fatto una risonanza magnetica, il cui esito è arrivato giusto stamattina. Non ci sono danni né alle pareti del cuore né al muscolo cardiaco. Nessuna infiammazione ed è una gran bella notizia. Ora sto attendendo i riscontri delle analisi del sangue, ma se saranno a posto credo che nel prossimo weekend potrei riprendere ad uscire in bici.

Sappiamo che gli stop forzati per te sono una tortura. Come sono andate questi quindici giorni?

E’ vero, infatti i primissimi giorni mi stavo annoiando a non fare nulla. Però è anche vero che sono sempre stata molto brava a tenere la mente occupata con dell’altro. A parte lo studio, ne ho approfittato per vedere un po’ di gente con calma con cui mi vedo poco. Ad esempio sono riuscita a trovarmi con la Gaspa (Eleonora Gasparrini, ndr) per festeggiare il suo compleanno la settimana scorsa. E poi abbiamo colto l’occasione di farci un tatuaggio assieme che ci eravamo promesse da tanto tempo.

Al UAE Tour, Tonetti è stata subito protagonista nella prima tappa. Dopo quella corsa, ha avvertito sensazioni irregolari al cuore
Al UAE Tour, Tonetti è stata subito protagonista nella prima tappa. Dopo quella corsa, ha avvertito sensazioni irregolari al cuore
Cosa vi siete tatuate?

Ce lo siamo fatte sul polso. Lei sole pieno e mezza luna vuota perché è quella più espansiva delle due. Io invece il contrario. Mezza luna piena e sole vuoto perché sono più introversa. Ci conosciamo fin dalle prime categorie giovanili e finalmente ce l’abbiamo fatta.

Tornando indietro. Come ti sei accorta della pericardite?

Al UAE Tour stavo abbastanza bene, però sono rientrata stanca. Una stanchezza che si stava protraendo. Tuttavia ho corso ad Almeria dove mi sono fermata perché stavo male. Stessa situazione alla Strade Bianche. A Montignoso ho finito la gara, arrivando a cinque minuti dalla vincitrice. Avevo sensazioni terribili ed irregolari sia in corsa che in allenamento. Troppi alti e troppi bassi. Una situazione che mi ha insospettito.

I 125 chilometri di fuga del primo giorno al UAE Tour vengono premiati. Cristina riceva la maglia nera della classifica degli sprint intermedi
I 125 chilometri di fuga del primo giorno al UAE Tour vengono premiati. Cristina riceva la maglia nera della classifica degli sprint intermedi
Qual è stato il passo successivo?

Innanzitutto ho avvisato la mia squadra che ha compreso subito la situazione. Mi è stata di grande supporto, ma poiché il medico del team non poteva seguirmi direttamente, mi hanno dato carta bianca per contattare il nostro medico di famiglia e procedere. Ho fatto gli esami del sangue per la troponina, un marker cardiaco che ti consente di capire se hai avuto un danno al cuore. I valori erano alti tipici della pericardite, anche se la fase più acuta era già passata. Mi hanno comunque dovuto fermare perché era troppo pericoloso continuare anche solo per fare una pedalata di scarico.

Come hai reagito?

Devo dirvi sinceramente che mi sono sentita sollevata. Paradossalmente mi sono rasserenata perché sapevo che quel mio malessere aveva una causa, un motivo ben preciso. Finché non avevo fatto tutti gli accertamenti, mi sentivo demoralizzata nella vita di tutti i giorni. Ad un certo punto ho pensato “Cristina, non la muovi e forse è arrivato il momento che tu appenda la bici al chiodo” (racconta sorridendo, ndr). Subito però.

Ci permettiamo una domanda, visto il rapporto. Ti ha condizionato quello che era successo a papà Gianluca? Sai che puoi anche non rispondere…

No, ci mancherebbe. So che sono cose ereditarie perché anche mio nonno, il padre di mio padre, aveva avuto queste anomalie cardiache. Tuttavia sono sempre stata abbastanza tranquilla senza condizionamenti. Nel 2024 mi sono rotta la clavicola e il naso, quindi sono ormai abituata a cercare e vedere il lato positivo delle cose. In ogni caso, abbiamo avuto più prudenza data l’anamnesi della famiglia.

Tonetti prima dello stop per la pericardite aveva disputato 9 giorni di gara. Fra poco riprenderà ad allenarsi, incerto il rientro alle corse
Tonetti prima dello stop per la pericardite aveva disputato 9 giorni di gara. Fra poco riprenderà ad allenarsi, incerto il rientro alle corse
Invece mamma Gabriella come aveva preso la notizia?

L’ha presa da mamma ed ho cercato di mantenerla serena. Lei adesso si è tranquillizzata, ma visto che corro in bici in realtà lei non lo è e non lo sarà mai (sorride, ndr).

Abbiamo visto sui social che hai avuto un bel supporto morale. Te lo aspettavi?

Oltre a famigliari, amiche ed amici, tantissime persone mi hanno anche scritto privatamente per farmi gli auguri di una pronta guarigione. Onestamente non credevo di avere un sostegno simile e naturalmente mi fa piacere.

Quando potremo rivedere Cristina Tonetti in gara? I medici ti hanno dato qualche indicazione?

Ancora non so nulla e ovviamente il mio calendario cambierà sensibilmente. Ora però la priorità sono altre. Riprendere a pedalare piano piano e capire come sto in bici, il resto verrà da sé.

Laboral Kutxa, a casa del team basco sempre più tricolore

07.11.2024
5 min
Salva

Gli arrivi di Alice Maria Arzuffi e Arianna Fidanza alla Laboral Kutxa hanno fatto scalpore. Il contingente italiano nel team basco sale a 5 atlete (si aggiungono a Debora Silvestri, Laura Tomasi e Cristina Tonetti riconfermate nel team) e fa della squadra una delle formazioni estere a più alta conformazione tricolore. Anche perché le due atlete in questione aggiungono ambizioni alla formazione iberica, che nel medio-lungo periodo vuole fare il grande salto nel WorldTour.

Ion Lazkano, 35 anni, al timone del team femminile basco dal 2021
Ion Lazkano, 35 anni, al timone del team femminile basco dal 2021

Le due azzurre non sono gli unici acquisti della Laboral Kutxa, che ha pescato con profitto anche nei Paesi dell’Ex Unione Sovietica, ma il gruppo tricolore è il più numeroso, quasi quanto quello delle padrone di casa e questo solleva curiosità. Che il direttore sportivo, il giovane Ion Lazkano, in carica dal 2021, è pronto a soddisfare.

Come giudichi la stagione vissuta dalla squadra?

E’ stata sicuramente una buona annata, con 6 vittorie (tra cui l’ultima della Silvestri alla Pionera Race, ndr) e con due titoli nazionali vinti con la Ostolaza in Spagna e la Yonamine in Giappone. Lottare per le wilcard era uno degli obiettivi della squadra ed è stato positivo alla fine perché abbiamo lottato duramente fino all’ultimo e anche se non ci siamo riusciti, siamo andati vicini ai 3.000 punti e questo è un grande risultato. Io sono molto soddisfatto del lavoro svolto e soprattutto dei passi avanti che la squadra sta facendo.

L’ultima vittoria del team nell’anno, grazie a Debora Silvestri alla Pionera Race davanti alla compagna Soto
L’ultima vittoria del team nell’anno, grazie a Debora Silvestri alla Pionera Race davanti alla compagna Soto
Il prossimo anno ci saranno 8 straniere su 14 atlete: la squadra ha ancora un’anima legata ai Paesi Baschi?

Io direi di sì. Il progetto è che per quanto possibile abbiamo il numero massimo di corridori baschi, il prossimo anno saranno 5 le atlete che vengono dai Paesi Baschi in aggiunta a un’altra spagnola. Per noi è importante avere questo segno distintivo. Noi siamo un po’ il riferimento di tutta la nostra terra, dobbiamo prendercene cura, ovviamente. E lavorare per questo senza alcun dubbio.

Ci sono ben 5 italiane: come mai avete tanta fiducia nelle cicliste del nostro Paese?

Nei nostri anni di esperienza, lavorando con cicliste italiane ci siamo sempre trovati molto bene. Diciamo che la mentalità o la cultura ciclistica che possiamo avere in Spagna come in Italia sono molto simili, d’altronde fa parte un po’ della nostra storia il legame stretto fra i nostri due Paesi. Alla fine è una miscela che abbiamo visto funzionare bene e siamo andati avanti su quella strada con gli ingaggi di Arzuffi e Fidanza perché crediamo che daranno un contributo decisivo alla crescita di tutta la squadra.

Usoa Ostolaza, per lei 3 successi in stagione e buone prove al Giro e al Tour
Usoa Ostolaza, per lei 3 successi in stagione e buone prove al Giro e al Tour
Alla Arzuffi chiederete un ruolo più da leader?

Sì, vediamo che Alice viene da una bella stagione, quest’anno si è visto un suo deciso salto di qualità, sia nelle gare WorldTour che in altri appuntamenti. Credo che anche nel nostro team potrà avere quello spazio per continuare a sviluppare quelle capacità. Cercheremo ovviamente di coprire tutte le esigenze e di darle quella fiducia affinché possa continuare a fare passi avanti nella sua carriera sportiva.

Perché avete scelto Arianna Fidanza?

Noi dobbiamo anche guardare al discorso legato ai punti Uci, al ranking. Arianna è molto quotata ma al tempo stesso può darci un contributo importante per raggiungere bottini significativi di punti. Sarà importante nel suo caso scegliere un buon calendario, che possa garantire un buon carico di punti grazie alle sue doti di velocista, quindi guarderemo al livello delle competizioni ma anche ai percorsi più adatti alle sue caratteristiche. Lei può essere un’arma in più nel cammino verso la licenza World Tour che speriamo di ottenere nel 2026.

Ci sono altre cicliste italiane che seguite, magari anche fra le più giovani?

Sì, noi guardiamo sempre con molto interesse al mercato italiano, visioniamo un sacco di gare. Non abbiamo una squadra di riferimento, né pensiamo di stabilire un legame particolare, andiamo random e se capita una buona occasione, un posto disponibile per un nuovo talento saremo pronti a valutare la cosa.

Tra il vostro e un team WorldTour ci sono tante differenze?

Molte. D’altro canto vediamo che ci sono differenze anche tra le stesse squadre del massimo circuito, legate alla forza economica di ogni team. Se parliamo del paragone fra noi e loro è chiaro che la prima discriminante è il calendario. Noi dobbiamo guadagnarci l’opportunità di essere nelle grandi gare che per loro è garantita. Poi c’è il discorso relativo agli stipendi, nel WT ci sono dei minimi. Oggi non possiamo raggiungere quei livelli di budget e questo influisce molto. Noi dobbiamo ragionare su quel che possiamo fare, sul massimizzare i risultati in relazione ai nostri sforzi e le nostre possibilità.

Laura Tomasi, riconfermata nel team iberico dopo una buona seconda parte di stagione
Laura Tomasi, riconfermata nel team iberico dopo una buona seconda parte di stagione
Che ambizioni avete per la prossima stagione?

Soprattutto fare ancora meglio di quanto ottenuto nel 2024, ma non parlo solo di risultati, quanto anche di dinamiche di gruppo, di crescita nella gestione. La stagione appena chiusa è stata anche difficile perché non avevamo preventivamente le garanzie per andare avanti secondo i nostri progetti. Ora possiamo pianificare meglio in modo che alla fine la prestazione sia ottimale.

Arianna Fidanza, una mental coach per rinascere alla Laboral

02.11.2024
5 min
Salva

E’ un periodo di novità importanti per Arianna Fidanza e si sa quanto possano fare bene per rilanciarsi. Testa e fisico devono andare di comune accordo per ottenere il massimo e lo sa bene la 29enne bergamasca che nell’arco di qualche giorno ha tagliato due nuovi traguardi. Prima il certificato di mental coach, poi la firma di un biennale alla Laboral Kutxa-Fondacion Euskadi.

Parlando con Arianna traspare tutta la sua soddisfazione. Le due stagioni con la Ceratizit-WNT hanno avuto un bilancio comunque positivo, ma lei sentiva il bisogno di ampliare la sua carriera di atleta con nuove motivazioni dopo un 2024 che le ha riservato più noie che gioie. Ora si sta godendo gli ultimi giorni di stacco, poi fra qualche settimana inizierà la nuova avventura con la formazione spagnola. Ci ha raccontato tutto.

Ad ottobre Arianna Fidanza ha conseguito il diploma di mental coach. In futuro vuole aiutare i giovani atleti con la sua esperienza
Ad ottobre Arianna Fidanza ha conseguito il diploma di mental coach. In futuro vuole aiutare i giovani atleti con la sua esperienza
Arianna sei diventata una mental coach qualificata. Da dove nasce questa volontà?

Alle superiori ho fatto il liceo socio-pedagogico e mi sono sempre piaciute le materie di scienze sociali. Mi sarebbe piaciuto studiare psicologia, ma per i tanti motivi legati alla mia attività non sono riuscita a fare l’università. Era da un po’ di tempo che volevo prendere questo diploma, poi ho deciso di farlo soprattutto dopo questa stagione in cui non ho passato bei momenti. Perché la testa aiuta. Lo sapevo e l’ho capito una volta di più.

Com’è stato il percorso per questo diploma?

Ho fatto un corso di 6 mesi sostenendo l’esame finale a Milano a fine ottobre. In questo periodo ho dovuto fare un tirocinio lavorando con tre persone. Era compito mio trovarle chiedendo la loro disponibilità di essere seguite da me. Con ognuna di esse abbiamo fatto cinque sessioni, facendo dei faccia a faccia e trattando tanti temi. Naturalmente mi è servito tutto per l’esame e conseguire la qualifica.

Arianna ha iniziato bene il 2024 con diverse top 10, poi ha pagato un calo di condizione dovuto a vecchi problemi fisici
Arianna ha iniziato bene il 2024 con diverse top 10, poi ha pagato un calo di condizione dovuto a vecchi problemi fisici
Ti sei creata un’opportunità in più per il futuro, giusto?

Esattamente. Mi piacerebbe un giorno poter aiutare gli altri, magari consigliando i giovani atleti portando la mia esperienza. Credo che sia importante per loro. A gennaio farò trent’anni e non penso di essere vecchia, ma da quando ero juniores io il ciclismo è cambiato tantissimo. In questi anni ho visto tante ragazze forti che hanno abbandonato perché non avevano quel necessario supporto mentale. Adesso la figura del mental coach è presente in ogni team professionistico e solo nelle squadre giovanili più attrezzate. Anche la Federciclismo è andata avanti molto con il suo ruolo.

Possiamo dire che è un bene che ci sia questa figura e dall’altra un male perché sono sempre più crescenti i problemi di stress creati dalla società in cui viviamo?

La vita di tutti i giorni purtroppo è sempre più frenetica. Siamo sempre sotto pressione per qualsiasi cosa, mentre nei ragazzi è sempre più frequente il deficit di attenzione. Sono tutti temi che per forza di cose dobbiamo affrontare. Dipende da persona a persona, ma credo che possa essere un bene il mental coach se una persona riesce a collaborare. Non è facile o scontato perché uno deve mettere a nudo le proprie debolezze. Ci vogliono pazienza e fiducia. Il discorso vale anche nel ciclismo tra atleta e mental coach. Possiamo dire che questo rapporto funziona se lo vediamo come risorsa anziché come impegno o forzatura.

In 8 lasciano la Ceratizit. Oltre ad Arianna, la sorella Martina va alla Visma | Lease a Bike, Marta Lach alla SD Worx-Protime
In 8 lasciano la Ceratizit. Oltre ad Arianna, la sorella Martina va alla Visma | Lease a Bike
Nel frattempo hai lasciato la Ceratizit e forse in tanti non se lo aspettavano. Come mai?

Ci sono dietro una serie di motivi, sia fisici che tecnici. Avevo iniziato il 2023 molto bene (vincendo subito ad Almeria, ndr), ma le tante cadute si sono fatte sentire col passare del tempo e quest’anno le ho pagate tutte, con valori molto bassi. Anche quest’anno ero partita bene, nel mentre in squadra erano cambiate tante cose e tanti equilibri. Per dire, andiamo via in otto ragazze, compresa mia sorella che ha accettato una bella offerta della Visma | Lease a Bike. Le difficoltà principali sono legate ai cambi di programmi e alla mia gestione. Col mio allenatore diventava difficile programmare un’altura o la preparare alcune gare. Ad esempio tra maggio e giugno ho fatto il blocco delle corse in Spagna che non sono adatte alle mie caratteristiche. Tuttavia ho sempre dato il meglio di me, impegnandomi al massimo. Ho scelto quindi di cambiare aria.

Ed è arrivata la Laboral. Com’è nato il contatto con loro?

Prima dell’estate mi sono sentita col diesse Ion Lazkano. Avevo più opzioni, ma loro mi sono piaciuti molto per l’approccio. Abbiamo fatto una videochiamata dove hanno manifestato l’interesse per me, confidando nel mio rilancio e nelle mie potenzialità. Prima di decidere ho sentito Ane Santesteban con cui ho corso nella Jayco e naturalmente tutte le italiane che corrono lì, anche la stessa Quagliotto che va alla Cofidis. Tutte mi hanno dato un riscontro positivo. Ad inizio ottobre ho avuto una nuova chiamata e abbiamo trovato l’accordo. Hanno un bel progetto, molto stimolante. Anzi vi anticipo già una risposta.

Quale?

In tanti mi hanno detto che scendo di categoria e so che magari in tanti non condividono questa mia scelta. Non penso assolutamente di fare un passo indietro perché la Laboral è una formazione ambiziosa. Quest’anno hanno corso anche il Tour Femmes da protagonista con Tonetti in maglia a pois. Vogliono diventare WorldTour, per il quale avevano fatto richiesta per quest’anno, ma intanto nel 2025 prenderanno la licenza Professional se passerà veramente la riforma dell’UCI. Come dicevo prima, ho scelto il loro progetto. E fra poco partiremo per un training camp di cinque giorni nei Paesi Baschi senza bici per conoscerci meglio.

Nel 2024 Arianna ha disputato 39 giorni di gara con tanti programmi cambiati. Dopo il Giro Women solo altre 3 corse
Nel 2024 Arianna ha disputato 39 giorni di gara con tanti programmi cambiati. Dopo il Giro Women solo altre 3 corse
Che obiettivi si è data Arianna Fidanza per il 2025?

Ho già cerchiato in rosso qualche gara del calendario, quelle con i percorsi mossi e inclini a me. Vorrei riprendere la costanza di prestazioni e risultati come qualche anno fa, ma soprattutto vorrei ritrovare la gioia di andare alle gare. Perché la testa e le motivazioni possono fare la differenza

Tonetti: «Il mio viaggio in Francia tra emozioni, fatica e… pois»

23.08.2024
7 min
Salva

«Alle mie compagne ho detto subito che ero la Pimpa fatta e finita, ma in Spagna non esiste quel cartone animato. Mi hanno guardato felici e stranite». Se conosciamo un poco Cristina Tonetti ci avremmo scommesso forte su questa battuta quando alla fine della prima tappa del Tour Femmes ha indossato la maglia a pois.

Un’azione di alto coraggio per un basso “gpm” posizionato in… vetta al tunnel sulla Mosa. Ma se corri in Olanda quelle strade (in questo caso un sottopasso di venticinque metri sotto il livello del mare, anzi del fiume) diventano le salite di giornata e se sei in gara al Tour de France stai certo che nessuno ti regala nulla. Così Tonetti a Rotterdam ha azzardato il colpo portandolo a termine per la gioia della sua Laboral Kutxa. La nostra chiacchierata con la 22enne brianzola parte da qui, anche per fare un confronto su Vuelta, Giro Women e Tour Femmes, i tre grandi giri WorldTour che ha disputato.

A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
Cristina ti stai godendo un po’ di riposo?

Dopo il rientro dalla Francia sto facendo qualche giorno senza bici. Ne avevo bisogno, sia fisicamente che mentalmente, e so che mi farà molto bene. Riprenderò a correre l’8 settembre a Fourmies quindi ho tutto il tempo per prepararmi a dovere. D’altronde quest’anno ho corso tanto. In realtà mi è mancata solo la parte delle classiche perché per il resto ho fatto sette corse a tappe. Vuelta, Giro e Tour come Kuss l’anno scorso, ma con risultati decisamente più bassi (dice ridendo, ndr).

Che differenza hai notato tra le tre corse?

La prima riguarda il livello medio e il ritmo in corsa. Vuelta, Giro e Tour questo è l’ordine crescente. In Spagna e in Italia se hai una giornata storta ti salvi, in Francia no, perché ci arriva il meglio del ciclismo femminile mondiale e nessuna vuole fare brutte figure. Al Tour si va molto forte, troppo (sorride, ndr). Sul piano organizzativo invece devo dire che non ho notato grandi diversità. Il Giro Women con l’avvento di Rcs è cresciuto tantissimo ed è totalmente un’altra gara rispetto a prima. Le differenze però più importanti sono altre due, se vogliamo anche legate fra loro.

Spiegaci pure.

Sono il pubblico e il riscontro mediatico. Al Giro c’è molta gente sia in partenza che in arrivo, ma non lungo il percorso. Al Tour invece le strade sono piene, poi figuratevi partendo dall’Olanda quante persone c’erano. Sono rimasta impressionata dalla tappa che partiva da Valkenburg. Dopo circa quindici chilometri affrontavamo il Cauberg. C’era così tanta gente che facevi fatica a sentire il tuo respiro. E naturalmente il richiamo internazionale è incredibile. Siamo riconosciute da tutti. La cassa di risonanza del Tour è tutta amplificata. Ed anche lo stress purtroppo.

Il tuo Tour però è iniziato bene, diremmo con lo stress positivo della maglia a pois. Te lo aspettavi?

Innanzitutto devo dire che già solo essere alla partenza è stato bellissimo. Ho capito che sono vere tutte le cose che si dicono sulla sua atmosfera, proprio per i motivi a cui mi riferivo prima. Andare a caccia della maglia a pois era stata una mossa studiata, anche se non eravamo l’unica squadra ad averci pensato. Era un interesse di tante ragazze. Infatti vincere il “gpm” della prima tappa ti garantiva di salire sul podio anche per le successive due che erano piatta e a cronometro. Però tra il dire e il fare lo sapete anche voi che non è così facile. Anzi…

Com’è nata quella tua fuga?

Prima che partissi io, ci aveva provato una mia compagna con a ruota Gaia Masetti, ma non il gruppo non gli ha lasciato spazio. Forse era troppo presto. Così dopo ci ho provato io da sola e probabilmente ho fatto male i conti perché mancavano più di venti chilometri. Significava un bello sforzo. Tuttavia sono riuscita a guadagnare subito un minuto e ho iniziato a gestirmi. Che poi non ti gestisci perché devi andare a tutta. Dall’ammiraglia mi incitavano costantemente dicendomi di resistere che il mio vero traguardo era il “gpm” e che poi avrei potuto rialzarmi. So che dietro l’inseguimento del gruppo ha subito un rallentamento a causa di una caduta. Non so se è stato quello o io che non ho mollato, ma alla fine ho vinto quel traguardo di metà tappa. E a quel punto ho fatto i restanti 60 chilometri col gruppo principale.

Immaginiamo che da quel momento in poi siano iniziate le emozioni.

Assolutamente sì. I miei diesse mi hanno fatto subito i complimenti, ma finché sei ancora in gruppo non te ne rendi conto perché c’è una corsa da finire e prestare attenzione. Ho veramente realizzato che avevo preso la maglia a pois quando sono salita sul podio del Tour. Quando ho visto tutto quel pubblico ero come pietrificata. Fortuna che dietro le quinte ho un po’ stemperato la tensione con qualche battuta e selfie assieme a Ahtosalo, la maglia bianca. Il mattino successivo alla partenza ancora imbarazzo.

Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Ovvero?

Prima di partire chiamano tutte le maglie davanti come tradizione ed io ero nuovamente pietrificata. Avevo di fianco a me Marianne Vos, che per me rappresenta il mito assoluto. Quindici anni fa quando ho iniziato a correre lei era già la più grande. Stare accanto a lei in partenza al Tour, nel rituale delle maglie, mi ha fatto tremare le gambe. Ma anche qualche giorno dopo con Vollering avevo una sorta di reverenza nei suoi confronti. Sono atlete fantastiche. Non ho avuto il coraggio di parlare con loro prima del via, non volevo disturbarle. Solo con Kool, che è più vicina a me come età, ho scambiato un po’ di parole. Sono stati comunque momenti bellissimi.

Poi è iniziato un altro Tour?

Direi proprio di sì. Dalla quarta tappa sapevo che sarebbe diventato tutto più duro. Partivamo da Valkenburg con le salite dell’Amstel e arrivavamo a Liegi dopo aver superato le varie côte. E lì, quando vuoi difendere la maglia a pois, scattano corridori come Puck Pieterse o Persico o Niewiadoma, sai che puoi fare veramente poco. In ogni caso ho fatto quello che potevo e non posso rimproverarmi nulla. Poi le tappe successive con tanto dislivello paradossalmente sono andate meglio. Cioè, il mio lavoro per le compagne scalatrici si esauriva ai piedi delle salite, ma almeno potevo impostare il mio ritmo e stare più rilassata mentalmente. Certo, c’è sempre da arrivare al traguardo entro il tempo massimo, però nel gruppetto ci concedevamo qualche battuta, aiutandoci.

La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
Cos’ha dato il primo Tour Femmes a Cristina Tonetti?

Mi ha fatto capire diverse cose. Ti rendi conto di cosa sia veramente il ciclismo e di quanta professionalità ci sia dietro certe atlete. Ti rendi conto di quanta strada ci sia ancora da fare. Stare davanti in certe tappe è molto difficile. E a proposito di strada, personalmente credo di essere su quella giusta. Come squadra abbiamo fatto un salto di qualità ed anch’io voglio alzare ulteriormente il livello. Per quest’anno ho davanti a me ancora molte corse. La stagione potrebbe finire con le gare cinesi, ma prima vorrei provare a guadagnarmi una chiamata per l’europeo U23.

Aitor Galdos al timone della Euskaltel Euskadi che rinasce

07.01.2024
5 min
Salva

L’UCI ha sempre tante cose da fare e si dedica spesso a battaglie di vitale importanza, come quella per cui nella primavera del 2021 ha costretto Mikel Landa a dimettersi dalla carica di presidente della Fundacion Euskadi. Il basco si era fatto avanti nel 2018, a fronte al declino della Fondazione che per anni aveva portato il ciclismo basco nel mondo. Secondo i dirigenti di Aigle, tuttavia, il conflitto di interessi rischiava di essere troppo alto. Essendo corridore di un altro team (al tempo la Bahrain Victorious), lo spagnolo avrebbe potuto mettersi a collaborare in gara con gli atleti della Euskaltel-Euskadi. Al momento di fare un passo indietro, il campione di Vitoria si è rivolto ad Aitor Galdos, ex corridore basco e nostra vecchia conoscenza, dai tempi in cui aveva seguito fra i dilettanti in Italia il suo amico Igor Astarloa.

Aitor è entrato nella Fondazione. Ha imparato a conoscerla. E’ diventato il manager della squadra femminile. E ultimamente è diventato presidente e general manager della Fundacion Euskadi, che si compone di due squadre professionistiche (femminile e maschile), un team U23 e tutta la trafila della scuola a partire dai bambini.

La partenza del Tour da Bilbao ha ricordato al mondo che cosa rappresenti il ciclismo da quelle parti. E basta sentire l’orgoglio con cui tutti ne parlano, per toccare con mano una passione che in certi momenti è quasi carnale. Aitor Galdos ha 44 anni, è stato professionista dal 2005 al 2012. La sua “creatura” appare sulla porta di una seconda giovinezza, quasi abbia trovato la spinta per rinascere agli antichi fasti.

Da cosa è composto il ciclismo della Fundacion Euskadi?

Abbiamo la Euskaltel-Euskadi, professional maschile. La Laboral Kutxa-Fundacion Euskadi, continental femminile. La squadra di sviluppo degli under 23 che è pure sponsorizzata da Kutxa. E poi la scuola di ciclismo fin dai bambini, poi esordienti e allievi. Io sono il general manager e ogni squadra ha la sua gente. In tutto, tra staff e corridori, ci sono 125 persone.

Alla base c’è sempre la filosofia del team arancione di una volta?

La stessa filosofia, cioè portare avanti il ciclismo basco. La mentalità è sempre quella, lo stesso progetto attraverso cui sono passati corridori come Landa e anche io. C’è ancora parte dello staff di quella squadra. Vogliamo far crescere i ciclisti dei Paesi Baschi, ma i tempi sono cambiati e mentre prima i corridori erano solo di qui, adesso ci sono anche degli stranieri (nel team femminile corrono ad esempio quattro italiane: Quagliotto, Silvestri, Tomasi e Tonetti, ndr). Questo fa bene anche ai nostri corridori.

Quanto è forte ancora la passione per il ciclismo nei Paesi Baschi?

I Paesi Baschi sono un territorio di ciclisti. Non abbiamo soltanto le grandi corse, come la Clasica San Sebastian e il Giro dei Paesi Baschi. Ce ne sono tante altre, anche per gli U23. Il ciclismo è parte della nostra cultura. Siamo cresciuti sempre andando a vedere il Tour de France sui Pirenei. Siamo cresciuti con Indurain, con la Euskaltel-Euskadi e con questa marea arancione. Avete visto la partenza del Tour de France da Bilbao? Siamo una regione con neanche due milioni e mezzo di abitanti e abbiamo avuto la partenza del Tour de France con tre tappe. E adesso Bilbao vuole la partenza del Tour delle donne, lo hanno annunciato l’altro giorno.

Il pubblico di Bilbao alla partenza del Tour 2023: uno spettacolo di suoni e colori
Il pubblico di Bilbao alla partenza del Tour 2023: uno spettacolo di suoni e colori
Mikel è davvero fuori da tutto?

Totalmente. Come corridore non poteva fare di più, però ha dato la spinta. E’ sempre attento a cosa facciamo, ci segue.

Ci sono stati gli anni di Lejarreta, Astarloa, Iban Mayo, Igor Anton, di chi sono innamorati oggi i tifosi baschi?

Oggi i nomi sono quelli di Mikel Landa e Pello Bilbao. I fratelli Izagirre. Ragazzi che hanno vinto corse al Giro e al Tour e fatto il podio alla Vuelta. Sono loro i corridori che i bambini baschi vedono in televisione e in un modo o nell’altro sono passati tutti per la Fondazione Euskadi. Io ho corso quattro anni con quella maglia. Dopo gli anni in Italia, avrei avuto anche altre offerte, ma per un ciclista di qui vestire la maglia arancione era il massimo. Ho fatto le migliori corse al mondo ed era un orgoglio, perché quella maglia ci rappresentava.

La squadra di oggi ha gli stessi valori?

E’ nata da poco, ma ha lo stesso DNA. Questo è un Paese in cui si lavora, ci sono tante fabbriche e abbiamo la mentalità che per ottenere le cose bisogna lavorare sodo. Che nessuno ti regala niente. La gente ci segue perché si riconosce in quello che facciamo, siamo ancora una squadra vicina alla gente.

Il ciclismo spagnolo adesso si aggrappa ad Ayuso e Rodriguez, c’è un giovane basco in arrivo?

Abbiamo tanti corridori buoni, ma il ciclismo è cambiato tanto. Questi campioni che stanno uscendo così presto sono la causa della troppa fretta per gli altri giovani, ma non tutti sono pronti, per i motivi più diversi. Non è che se un corridore di 22 anni non è ancora venuto fuori, non possa uscire a 24-25 anni e diventare ugualmente un campione. Ci sono corridori forti e ci saranno sempre, noi lavoriamo per farli uscire e per far crescere nuovamente questa squadra.

Vai ancora in bici?

Ogni tanto, meno di quel che vorrei. Il lavoro che faccio è impegnativo, ti porta a stare tante ore e tanti giorni fuori da casa e non è facile. Cerco di fare sport per essere in forma e per avere la mente libera dai tanti pensieri che ho per la testa. Per cui ogni tanto vado a farmi un giro, anche se evidentemente la condizione è calata tantissimo e al massimo posso dire di fare delle passeggiate. Ricordo bene cosa significhi allenarsi, quello che faccio è un’altra cosa.