Tonetti: «Il mio viaggio in Francia tra emozioni, fatica e… pois»

23.08.2024
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«Alle mie compagne ho detto subito che ero la Pimpa fatta e finita, ma in Spagna non esiste quel cartone animato. Mi hanno guardato felici e stranite». Se conosciamo un poco Cristina Tonetti ci avremmo scommesso forte su questa battuta quando alla fine della prima tappa del Tour Femmes ha indossato la maglia a pois.

Un’azione di alto coraggio per un basso “gpm” posizionato in… vetta al tunnel sulla Mosa. Ma se corri in Olanda quelle strade (in questo caso un sottopasso di venticinque metri sotto il livello del mare, anzi del fiume) diventano le salite di giornata e se sei in gara al Tour de France stai certo che nessuno ti regala nulla. Così Tonetti a Rotterdam ha azzardato il colpo portandolo a termine per la gioia della sua Laboral Kutxa. La nostra chiacchierata con la 22enne brianzola parte da qui, anche per fare un confronto su Vuelta, Giro Women e Tour Femmes, i tre grandi giri WorldTour che ha disputato.

A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
Cristina ti stai godendo un po’ di riposo?

Dopo il rientro dalla Francia sto facendo qualche giorno senza bici. Ne avevo bisogno, sia fisicamente che mentalmente, e so che mi farà molto bene. Riprenderò a correre l’8 settembre a Fourmies quindi ho tutto il tempo per prepararmi a dovere. D’altronde quest’anno ho corso tanto. In realtà mi è mancata solo la parte delle classiche perché per il resto ho fatto sette corse a tappe. Vuelta, Giro e Tour come Kuss l’anno scorso, ma con risultati decisamente più bassi (dice ridendo, ndr).

Che differenza hai notato tra le tre corse?

La prima riguarda il livello medio e il ritmo in corsa. Vuelta, Giro e Tour questo è l’ordine crescente. In Spagna e in Italia se hai una giornata storta ti salvi, in Francia no, perché ci arriva il meglio del ciclismo femminile mondiale e nessuna vuole fare brutte figure. Al Tour si va molto forte, troppo (sorride, ndr). Sul piano organizzativo invece devo dire che non ho notato grandi diversità. Il Giro Women con l’avvento di Rcs è cresciuto tantissimo ed è totalmente un’altra gara rispetto a prima. Le differenze però più importanti sono altre due, se vogliamo anche legate fra loro.

Spiegaci pure.

Sono il pubblico e il riscontro mediatico. Al Giro c’è molta gente sia in partenza che in arrivo, ma non lungo il percorso. Al Tour invece le strade sono piene, poi figuratevi partendo dall’Olanda quante persone c’erano. Sono rimasta impressionata dalla tappa che partiva da Valkenburg. Dopo circa quindici chilometri affrontavamo il Cauberg. C’era così tanta gente che facevi fatica a sentire il tuo respiro. E naturalmente il richiamo internazionale è incredibile. Siamo riconosciute da tutti. La cassa di risonanza del Tour è tutta amplificata. Ed anche lo stress purtroppo.

Il tuo Tour però è iniziato bene, diremmo con lo stress positivo della maglia a pois. Te lo aspettavi?

Innanzitutto devo dire che già solo essere alla partenza è stato bellissimo. Ho capito che sono vere tutte le cose che si dicono sulla sua atmosfera, proprio per i motivi a cui mi riferivo prima. Andare a caccia della maglia a pois era stata una mossa studiata, anche se non eravamo l’unica squadra ad averci pensato. Era un interesse di tante ragazze. Infatti vincere il “gpm” della prima tappa ti garantiva di salire sul podio anche per le successive due che erano piatta e a cronometro. Però tra il dire e il fare lo sapete anche voi che non è così facile. Anzi…

Com’è nata quella tua fuga?

Prima che partissi io, ci aveva provato una mia compagna con a ruota Gaia Masetti, ma non il gruppo non gli ha lasciato spazio. Forse era troppo presto. Così dopo ci ho provato io da sola e probabilmente ho fatto male i conti perché mancavano più di venti chilometri. Significava un bello sforzo. Tuttavia sono riuscita a guadagnare subito un minuto e ho iniziato a gestirmi. Che poi non ti gestisci perché devi andare a tutta. Dall’ammiraglia mi incitavano costantemente dicendomi di resistere che il mio vero traguardo era il “gpm” e che poi avrei potuto rialzarmi. So che dietro l’inseguimento del gruppo ha subito un rallentamento a causa di una caduta. Non so se è stato quello o io che non ho mollato, ma alla fine ho vinto quel traguardo di metà tappa. E a quel punto ho fatto i restanti 60 chilometri col gruppo principale.

Immaginiamo che da quel momento in poi siano iniziate le emozioni.

Assolutamente sì. I miei diesse mi hanno fatto subito i complimenti, ma finché sei ancora in gruppo non te ne rendi conto perché c’è una corsa da finire e prestare attenzione. Ho veramente realizzato che avevo preso la maglia a pois quando sono salita sul podio del Tour. Quando ho visto tutto quel pubblico ero come pietrificata. Fortuna che dietro le quinte ho un po’ stemperato la tensione con qualche battuta e selfie assieme a Ahtosalo, la maglia bianca. Il mattino successivo alla partenza ancora imbarazzo.

Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Ovvero?

Prima di partire chiamano tutte le maglie davanti come tradizione ed io ero nuovamente pietrificata. Avevo di fianco a me Marianne Vos, che per me rappresenta il mito assoluto. Quindici anni fa quando ho iniziato a correre lei era già la più grande. Stare accanto a lei in partenza al Tour, nel rituale delle maglie, mi ha fatto tremare le gambe. Ma anche qualche giorno dopo con Vollering avevo una sorta di reverenza nei suoi confronti. Sono atlete fantastiche. Non ho avuto il coraggio di parlare con loro prima del via, non volevo disturbarle. Solo con Kool, che è più vicina a me come età, ho scambiato un po’ di parole. Sono stati comunque momenti bellissimi.

Poi è iniziato un altro Tour?

Direi proprio di sì. Dalla quarta tappa sapevo che sarebbe diventato tutto più duro. Partivamo da Valkenburg con le salite dell’Amstel e arrivavamo a Liegi dopo aver superato le varie côte. E lì, quando vuoi difendere la maglia a pois, scattano corridori come Puck Pieterse o Persico o Niewiadoma, sai che puoi fare veramente poco. In ogni caso ho fatto quello che potevo e non posso rimproverarmi nulla. Poi le tappe successive con tanto dislivello paradossalmente sono andate meglio. Cioè, il mio lavoro per le compagne scalatrici si esauriva ai piedi delle salite, ma almeno potevo impostare il mio ritmo e stare più rilassata mentalmente. Certo, c’è sempre da arrivare al traguardo entro il tempo massimo, però nel gruppetto ci concedevamo qualche battuta, aiutandoci.

La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
Cos’ha dato il primo Tour Femmes a Cristina Tonetti?

Mi ha fatto capire diverse cose. Ti rendi conto di cosa sia veramente il ciclismo e di quanta professionalità ci sia dietro certe atlete. Ti rendi conto di quanta strada ci sia ancora da fare. Stare davanti in certe tappe è molto difficile. E a proposito di strada, personalmente credo di essere su quella giusta. Come squadra abbiamo fatto un salto di qualità ed anch’io voglio alzare ulteriormente il livello. Per quest’anno ho davanti a me ancora molte corse. La stagione potrebbe finire con le gare cinesi, ma prima vorrei provare a guadagnarmi una chiamata per l’europeo U23.

Aitor Galdos al timone della Euskaltel Euskadi che rinasce

07.01.2024
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L’UCI ha sempre tante cose da fare e si dedica spesso a battaglie di vitale importanza, come quella per cui nella primavera del 2021 ha costretto Mikel Landa a dimettersi dalla carica di presidente della Fundacion Euskadi. Il basco si era fatto avanti nel 2018, a fronte al declino della Fondazione che per anni aveva portato il ciclismo basco nel mondo. Secondo i dirigenti di Aigle, tuttavia, il conflitto di interessi rischiava di essere troppo alto. Essendo corridore di un altro team (al tempo la Bahrain Victorious), lo spagnolo avrebbe potuto mettersi a collaborare in gara con gli atleti della Euskaltel-Euskadi. Al momento di fare un passo indietro, il campione di Vitoria si è rivolto ad Aitor Galdos, ex corridore basco e nostra vecchia conoscenza, dai tempi in cui aveva seguito fra i dilettanti in Italia il suo amico Igor Astarloa.

Aitor è entrato nella Fondazione. Ha imparato a conoscerla. E’ diventato il manager della squadra femminile. E ultimamente è diventato presidente e general manager della Fundacion Euskadi, che si compone di due squadre professionistiche (femminile e maschile), un team U23 e tutta la trafila della scuola a partire dai bambini.

La partenza del Tour da Bilbao ha ricordato al mondo che cosa rappresenti il ciclismo da quelle parti. E basta sentire l’orgoglio con cui tutti ne parlano, per toccare con mano una passione che in certi momenti è quasi carnale. Aitor Galdos ha 44 anni, è stato professionista dal 2005 al 2012. La sua “creatura” appare sulla porta di una seconda giovinezza, quasi abbia trovato la spinta per rinascere agli antichi fasti.

Da cosa è composto il ciclismo della Fundacion Euskadi?

Abbiamo la Euskaltel-Euskadi, professional maschile. La Laboral Kutxa-Fundacion Euskadi, continental femminile. La squadra di sviluppo degli under 23 che è pure sponsorizzata da Kutxa. E poi la scuola di ciclismo fin dai bambini, poi esordienti e allievi. Io sono il general manager e ogni squadra ha la sua gente. In tutto, tra staff e corridori, ci sono 125 persone.

Alla base c’è sempre la filosofia del team arancione di una volta?

La stessa filosofia, cioè portare avanti il ciclismo basco. La mentalità è sempre quella, lo stesso progetto attraverso cui sono passati corridori come Landa e anche io. C’è ancora parte dello staff di quella squadra. Vogliamo far crescere i ciclisti dei Paesi Baschi, ma i tempi sono cambiati e mentre prima i corridori erano solo di qui, adesso ci sono anche degli stranieri (nel team femminile corrono ad esempio quattro italiane: Quagliotto, Silvestri, Tomasi e Tonetti, ndr). Questo fa bene anche ai nostri corridori.

Quanto è forte ancora la passione per il ciclismo nei Paesi Baschi?

I Paesi Baschi sono un territorio di ciclisti. Non abbiamo soltanto le grandi corse, come la Clasica San Sebastian e il Giro dei Paesi Baschi. Ce ne sono tante altre, anche per gli U23. Il ciclismo è parte della nostra cultura. Siamo cresciuti sempre andando a vedere il Tour de France sui Pirenei. Siamo cresciuti con Indurain, con la Euskaltel-Euskadi e con questa marea arancione. Avete visto la partenza del Tour de France da Bilbao? Siamo una regione con neanche due milioni e mezzo di abitanti e abbiamo avuto la partenza del Tour de France con tre tappe. E adesso Bilbao vuole la partenza del Tour delle donne, lo hanno annunciato l’altro giorno.

Il pubblico di Bilbao alla partenza del Tour 2023: uno spettacolo di suoni e colori
Il pubblico di Bilbao alla partenza del Tour 2023: uno spettacolo di suoni e colori
Mikel è davvero fuori da tutto?

Totalmente. Come corridore non poteva fare di più, però ha dato la spinta. E’ sempre attento a cosa facciamo, ci segue.

Ci sono stati gli anni di Lejarreta, Astarloa, Iban Mayo, Igor Anton, di chi sono innamorati oggi i tifosi baschi?

Oggi i nomi sono quelli di Mikel Landa e Pello Bilbao. I fratelli Izagirre. Ragazzi che hanno vinto corse al Giro e al Tour e fatto il podio alla Vuelta. Sono loro i corridori che i bambini baschi vedono in televisione e in un modo o nell’altro sono passati tutti per la Fondazione Euskadi. Io ho corso quattro anni con quella maglia. Dopo gli anni in Italia, avrei avuto anche altre offerte, ma per un ciclista di qui vestire la maglia arancione era il massimo. Ho fatto le migliori corse al mondo ed era un orgoglio, perché quella maglia ci rappresentava.

La squadra di oggi ha gli stessi valori?

E’ nata da poco, ma ha lo stesso DNA. Questo è un Paese in cui si lavora, ci sono tante fabbriche e abbiamo la mentalità che per ottenere le cose bisogna lavorare sodo. Che nessuno ti regala niente. La gente ci segue perché si riconosce in quello che facciamo, siamo ancora una squadra vicina alla gente.

Il ciclismo spagnolo adesso si aggrappa ad Ayuso e Rodriguez, c’è un giovane basco in arrivo?

Abbiamo tanti corridori buoni, ma il ciclismo è cambiato tanto. Questi campioni che stanno uscendo così presto sono la causa della troppa fretta per gli altri giovani, ma non tutti sono pronti, per i motivi più diversi. Non è che se un corridore di 22 anni non è ancora venuto fuori, non possa uscire a 24-25 anni e diventare ugualmente un campione. Ci sono corridori forti e ci saranno sempre, noi lavoriamo per farli uscire e per far crescere nuovamente questa squadra.

Vai ancora in bici?

Ogni tanto, meno di quel che vorrei. Il lavoro che faccio è impegnativo, ti porta a stare tante ore e tanti giorni fuori da casa e non è facile. Cerco di fare sport per essere in forma e per avere la mente libera dai tanti pensieri che ho per la testa. Per cui ogni tanto vado a farmi un giro, anche se evidentemente la condizione è calata tantissimo e al massimo posso dire di fare delle passeggiate. Ricordo bene cosa significhi allenarsi, quello che faccio è un’altra cosa. 

Laboral: niente WorldTour, ma gli obiettivi non mancano

16.12.2023
6 min
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Ce lo aveva anticipato Cristina Tonetti quasi un mese fa che la sua Laboral Kutxa Fundacion Euskadi era uno dei tre team in lizza per diventare WorldTour. In base all’esito, gli spagnoli avevano previsto due calendari differenti, ma purtroppo per loro la risposta arrivata dall’UCI è stata negativa.

La licenza nella massima categoria per il biennio 2024-2025 l’hanno ottenuta l’AG Insurance Soudal-Quick Step e la Ceratizit WNT, per cui i tempi ormai erano maturi per salire. La formazione belga e quella tedesca rilevano di fatto la Liv Racing TeqFind, confluita nella Jayco Alula, e la EF Education, che ha chiuso la società per i grossi problemi finanziari di Tibco e Silicon Valley Bank, rinascendo poi dalle proprie ceneri grazie a Cannondale (secondo nome) e ripartendo dalle continental. Ma in casa Laboral come avranno preso la notizia? Ne abbiamo parlato con Debora Silvestri (in apertura in primo piano, foto Laboral), approdata nella squadra basca lo scorso maggio, dopo aver vissuto la pessima e temporanea apparizione della Zaaf Cycling. Con la venticinquenne veronese di Castel d’Azzano è stata anche l’occasione per approfondire altri temi.

Silvestri ha doti da scalatrice. Nel 2024 vuole essere la spalla fidata della leader Santesteban, ma anche ritagliarsi spazio personale
Silvestri ha doti da scalatrice. Nel 2024 vuole essere la spalla di Santesteban, ma anche ritagliarsi spazio personale
Debora, quanto ci speravate nella licenza WorldTour?

Ovviamente noi atlete avremmo voluto fare il grande salto, così come i nostri dirigenti. Però loro non sono rimasti sorpresi del tutto. Da una parte si aspettavano questo verdetto perché sono consapevoli della crescita che bisogna fare. Dall’altra avevano fatto la richiesta per far sapere all’UCI che c’è anche la Laboral come squadra all’altezza. Penso che la dirigenza farà un tentativo nel 2025 per chiedere la licenza ProTeam qualora dovesse esserci la nuova riforma di cui si parla.

Cambia qualcosa per voi adesso?

Sicuramente il calendario. I nostri tecnici avevano preparato questi due diversi programmi di gare. Fossimo diventati WT saremmo andati in Australia per il DownUnder e poi tutta la campagna del Nord. Invece partiremo con un più calma a fine gennaio da Maiorca. La prima parte di stagione andrà in base al grado di condizione di noi ragazze e agli inviti che riceveremo per correre. Ciò che non cambierà saranno gli obiettivi. Ora siamo in ritiro ad Altea (fino al 19 dicembre, ndr) e quando abbiamo saputo la notizia, ci hanno detto subito che la voglia di fare e migliorarsi sarebbe stata la stessa. Sapevamo comunque che avremmo dovuto farci trovare pronte.

Che differenze hai notato a correre in una continental italiana ed una straniera?

Non troppe per la verità, ma piuttosto importanti. Principalmente è una questione di mentalità e budget. Per ciò che ho visto, all’estero c’è un investimento economico superiore all’Italia. Si ragiona in prospettiva WorldTour. La squadra viene vista come una azienda, tant’è che un budget più alto ti permette di avere anche uno staff più ampio e un numero maggiore di mezzi. In Italia la squadra è vissuta di più come una famiglia, che tuttavia è una cosa positiva. L’atleta si sente come a casa e può crescere con più calma. A livello di professionalità invece non ho notato grandi differenze. Bravi tecnici, meccanici o altre figure le ho trovate sia in Italia che fuori. Per quello che mi riguarda devo dire che in Laboral comunque si respira un’aria famigliare nonostante siano coinvolti sponsor molto grossi.

Ad inizio 2023 però sei rimasta vittima della cattiva gestione della Zaaf Cycling. Com’è andata tutta quella vicenda?

E’ vero, è stato un brutto periodo. Arrivavo da un 2022 difficile, in cui a giugno ero stata investita da una moto mentre scendevo dallo Stelvio. Avevo trovato questa squadra spagnola tramite il mio procuratore e inizialmente sembravano avere un gran bel progetto (c’era anche Emanuela Zanetti, ndr). Abbiamo iniziato a correre dall’Australia, poi dopo il UAE Tour a metà febbraio sono iniziati i problemi. Il primo stipendio tardava sempre di più ad arrivare, mentre i dirigenti ci dicevano che erano solo intoppi burocratici per il trasferimento di fondi da una banca estera all’altra. Col passare dei giorni a noi atlete la storia puzzava sempre di più.

Cosa avete fatto?

Abbiamo continuato ad allenarci perché sapevamo di avere le iscrizioni garantite fino a fine aprile, ma a metà marzo ci eravamo attivate col CPA (l’associazione ciclisti professionisti internazionale, ndr). Chiedevamo di mediare questa situazione assurda. Fra noi compagne di squadra c’è stata molta solidarietà, poi Audrey (Cordon-Ragot, ndr) ha deciso di denunciare pubblicamente ciò che stavamo vivendo. E’ stato un bene per tutte noi. La Laboral mi ha chiamata a maggio e mi ha messo subito a mio agio. Sembrava che corressi con loro da sempre e gliene sono molto grata.

Prima della Roubaix, Silvestri abbraccia Cordon-Ragot, appena passata alla Human. A inizio 2023 hanno vissuto assieme l’esperienza della Zaaf Cycling
Prima della Roubaix, Silvestri abbraccia Cordon-Ragot, appena passata alla Human, dopo la brutta esperienza della Zaaf Cycling
Siete riuscite a prendere quegli stipendi arretrati?

Ad oggi ancora no. Con l’UCI avevamo avviato la procedura per ricevere quei quattro mesi di stipendi tramite la fidejussione che era stata versata. L’iter però pare sia piuttosto lungo. Solo dal prossimo marzo potremo prendere i soldi, quando verrà accertato da tutti gli organi interessati che noi ragazze non abbiamo mai ricevuto alcun pagamento in precedenza.

A livello morale ti è pesata questa situazione?

Inizialmente sì, ma non ad un certo non ci ho più voluto pensare. Anzi, chiusa una porta, mi si è aperto un portone (dice sorridendo, ndr). Con la Laboral sono riuscita a fare una bella seconda parte di stagione, togliendomi qualche soddisfazione. Alla Kreiz Breizh ero nella fuga giusta con altre tre ragazze, ma sono caduta negli ultimissimi metri sbagliando una curva sul bagnato. Peccato perché mi stavo giocando la vittoria (chiuderà quarta e successo di Vettorello, ndr).

Silvestri è approdata nel team basco a maggio 2023. Si è sentita subito a suo agio (foto Laboral)
Silvestri è approdata nel team basco a maggio 2023. Si è sentita subito a suo agio (foto Laboral)
Anche se la Laboral e Debora Silvestri non sono passate nel WT, che obiettivi avete per il 2024?

La squadra ha fatto una campagna acquisti importante. Fra le tante, sono arrivate due corridori forti come Lourdes Oyarbide dalla Movistar e Ane Santesteban dalla Liv Alula Jayco, che possono essere protagoniste in tante gare dure. Personalmente io voglio continuare a crescere e vorrei entrare in sintonia proprio con Ane. Lei sarà la nostra leader sulle Ardenne o nelle gare a tappe e a me piacerebbe ritagliarmi un ruolo di appoggio per lei. Poi se ci sarà spazio anche per me, non avrò paura a prendermi le mie responsabilità.

Tonetti alla Laboral, con una spinta che viene dal cuore

22.11.2023
6 min
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Nel raccontare il suo 2023, ci sono state frasi di Cristina Tonetti che ci hanno colpito, quasi spiazzato, che ce l’hanno descritta caratterialmente ancora di più. Negli ultimi anni l’abbiamo conosciuta meglio e per noi trovare la giusta delicatezza per affrontare certi argomenti – che ruotano attorno al suo passaggio alla Laboral Kutxa Fundacion Euskadi – è stato meno difficile del previsto proprio grazie a lei.

Oltre alle potenzialità fisiche della ventunenne brianzola (in apertura con la sorella Greta in una foto tratta da Facebook), abbiamo scoperto suo malgrado quanta forza interiore abbia dimostrato di avere dopo l’improvvisa scomparsa di papà Gianluca ad inizio maggio. Per Cristina ovviamente è stata una stagione non semplice – o turbolenta come ci ha detto lei – che tuttavia ha portato a termine con estrema maturità e senso del dovere.

Qualcuno sostiene che chi riesce a farsi una ragione il più in fretta possibile di ciò che gli succede, bello o brutto che sia, trova la maniera per guardare avanti con più consapevolezza e forza. E Tonetti in questo è stata un caterpillar, come abbiamo capito durante la nostra chiacchierata. Adesso, dopo aver lasciato la Top Girls Fassa Bortolo e goduto delle meritate vacanze, sta già lavorando per la sua avventura in Spagna, in cui è stata da poco a conoscere la sua nuova squadra.

Nel 2024 Tonetti alla Laboral cercherà di conoscere meglio i suoi limiti e le sue caratteristiche (foto Ossola)
Nel 2024 Tonetti alla Laboral cercherà di conoscere meglio i suoi limiti e le sue caratteristiche (foto Ossola)
Cristina com’è andata la prima trasferta a casa della Laboral?

Molto bene. Sono stata nella loro sede nei Paesi Baschi per qualche giorno dopo metà ottobre dove abbiamo fatto visita a sponsor e fornitori. Ho anche conosciuto le mie nuove compagne. Con alcune ci eravamo già incrociate all’Avenir e all’europeo. Poi naturalmente ci sono le altre tre ragazze italiane che conoscevo già e con cui avremo modo di sostenerci a vicenda, grazie soprattutto a Nadia e Debora che sono già lì da un anno (rispettivamente Quagliotto e Silvestri, mentre Laura Tomasi è l’altra nuova arrivata, ndr).

Che impressione hai avuto?

Ho trovato un ambiente familiare, caldo, però con un bel programma e una buona organizzazione. Infatti so che hanno fatto richiesta di diventare WorldTour per il 2024. In base alla risposta che riceveranno, ci hanno fatto vedere come sarà organizzato il team e che calendario verrà fatto. Già prima di firmare il contratto (di due anni, ndr), avevo chiesto a Nadia come si stesse in squadra e lei mi aveva caldeggiato subito la scelta.

Com’è nata la trattativa?

Penso che mi avessero vista in primavera nelle gare in cui ero presente con la Top Girls. E credo di aver fatto vedere qualcosa di me che potesse interessargli. A fine luglio, mentre ero a Livigno in ritiro, mi hanno contattata proponendomi un ingaggio. Ho parlato col loro team manager Aitor Galdos, che parla molto bene l’italiano visto che ha corso da noi (col Gs Garda da dilettante, Nippo e Panaria da pro’, ndr). Mi è piaciuto subito il loro progetto tanto che qualche settimana dopo avevamo già ufficializzato tutto.

C’è stata la possibilità di andare in una formazione WorldTour? Tempo fa Rigato, il tuo ultimo team manager, e il cittì Sangalli dicevano che fossi pronta per questo passo.

Ringrazio Lucio e Paolo per la considerazione che hanno sempre avuto per me. Oltre a loro so che qualcun altro lo sosteneva, però io ho sempre pensato che sarebbe stato un salto troppo affrettato. Meglio fare le cose per gradi, magari dove posso ritagliarmi un po’ di spazio poco per volta. E poi devo dire la verità. Il Giro Donne purtroppo l’ho corso troppo sotto tono. Ero l’ombra di me stessa e probabilmente era scemato l’interesse generale per me. Fortuna che la Laboral ha apprezzato il mio lavoro fatto prima.

Avevi tuttavia una motivo molto serio per non essere al massimo della forma psicofisica.

E’ vero. E’ fuor di dubbio che la morte di mio padre mi abbia condizionato tanto, ma non mi è mai piaciuto usare come scuse quello che mi capita durante una stagione. E questo ho voluto considerarlo uno di quei casi per non avere troppe giustificazioni.

Ti fa grande onore questa considerazione. Come sei uscita da quel periodo?

A maggio non mi sono voluta fermare. E’ stata una scelta durissima, ma necessaria perché probabilmente non sarei riuscita più a ripartire. Ho tenuto botta moralmente finché ho potuto poi ho pagato. Dopo il Giro Donne ero svuotata, però le tre settimane di altura a Livigno con le compagne di nazionale mi hanno rigenerata. Il ciclismo in quei mesi mi ha tenuto lontano da casa e mi aiutato a non pensare a cosa era successo. E’ stata una stagione formativa a livello umano, che mi ha fatto crescere tanto. In ogni caso sto meglio e sento di avere una maggiore motivazione, più profonda, quando corro.

Quanto è pronta Cristina Tonetti al 2024?

Inizio questa avventura con tanti stimoli. Non ho paura di adattarmi a nuovi contesti, anche se dovrò imparare bene lo spagnolo. So che potrò confrontarmi con più frequenza con rivali di livello maggiore. Ci sono alcune novità e tra le tante figure ho cambiato preparatore atletico. Mi seguirà Luca Quinti che lavorerà con la supervisione della Laboral. Per dire, al Giro dell’Emilia sono andata in fuga da lontano. Al primo passaggio sul San Luca sono riuscita a restare con tutte le migliori scalatrici e intanto mi chiedevo cosa ci stessi facendo lì in mezzo (sorride, ndr). Dove non arrivo con i valori, ci arrivo con la grinta. Ecco, cercheremo di capire meglio quali sono i miei limiti e le mie caratteristiche.

Ti sei fissata qualche obiettivo in base al calendario?

Al momento sappiamo che faremo due ritiri di circa dieci giorni con la squadra ad Altea. Il primo a metà dicembre, il secondo a gennaio. Sappiamo che inizieremo la stagione tra Maiorca, Valenciana e Tour UAE poi vedremo più avanti. Personalmente oltre alla mia crescita, vorrei vestire nuovamente la maglia della nazionale, magari con qualche responsabilità in più.

Quagliotto, cosa significa correre in un team basco?

19.05.2023
5 min
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In questi giorni l’attività di Nadia Quagliotto è frenetica, come per tutte le cicliste coinvolte nella lunga serie di corse spagnole. Tanti impegni ravvicinati, soprattutto con l’immissione quasi forzata della Vuelta spostata da settembre e portata da 3 a 7 tappe. La veneta di Montebelluna però ha fatto buon viso a cattivo gioco: per lei d’altronde è quasi come correre in casa, ora che fa parte della Laboral Kutxa Fundacion Euskadi.

La scelta fatta lo scorso anno di trasferirsi in un team basco aveva stupito molti. Un vero salto per lei dalla Bepink, anche se un assaggio di ciclismo spagnolo lo aveva vissuto nel 2020, quando aveva militato nella Cronos Casa Dorada, ma quella era stata una stagione strana, praticamente aveva potuto disputare solo il Giro d’Italia.

«Quando sanno che corro in un team basco – racconta la ventiseienne veneta – molti rimangono stupiti, eppure per me non è stato un salto nel vuoto. E’ un ottimo team, sono molto professionali e mi hanno accolto bene, sono quasi coccolata in questo gruppo».

Nadia ha un contratto di due anni con il team basco, dove le straniere sono 4
Nadia ha un contratto di due anni con il team basco, dove le straniere sono 4
Correre in un team basco non è la stessa cosa di una squadra spagnola, c’è una forte componente identitaria…

La squadra femminile è un po’ diversa dall’Euskaltel, lì ci sono solamente 3-4 corridori non baschi e l’apertura è anche abbastanza recente. Nel team femminile si è invece sempre cercato di avere porte più larghe, anche se il nocciolo del gruppo resta basco. Ora è arrivata a farmi compagnia anche Debora Silvestri, proveniente dalla Zaaf. Poi ci sono anche una ciclista tedesca e una lettone.

Si sente il fatto che dietro c’è un popolo che cerca fortemente di difendere la propria identità e cultura?

Sì, per i Paesi Baschi è molto importante l’attività che facciamo. Nel team si parla comunque spagnolo, anche perché quando parlano l’euskadi non si capisce nulla… Chi non è di qui è comunque perfettamente integrato e questa è una cosa che mi piace e aiuta nelle prestazioni.

Alla Vuelta la veneta ha finito in crescendo, risultando la migliore del suo team
Alla Vuelta la veneta ha finito in crescendo, risultando la migliore del suo team
In squadra hai un ruolo di leader?

Diciamo che sono una di quelle deputata a portare a casa il risultato, siamo 2-3 le capitane della squadra, che ha al suo attivo 18 atlete. Per noi la Vuelta è stata molto importante, anche se non è finita come volevamo: puntavamo alla top 10 della classifica a squadre, ma abbiamo chiuso al 12° posto: prime fra quelle non appartenenti al WorldTour.

Con il tuo 30° posto finale sei stata comunque la migliore del team. E’ davvero così difficile correre contro le formazioni della massima serie?

La differenza c’è, è indubbio. Corrono più amalgamate e unite, ogni mossa anche delle capitane è studiata a tavolino, si lavora molto per arrivare a quel punto. Noi cerchiamo di migliorare proprio su questo aspetto. Alla Vuelta avevamo iniziato bene, anche se il ritardo accumulato nella cronosquadre del primo giorno era stato pesante. Le ultime tappe erano le più difficili, ci siamo difese, ma probabilmente riuscire a fare meglio non era possibile.

Alla Durango-Durango Emakumeen di partedì, la veneta è stata la migliore con un 25° posto
Alla Durango-Durango Emakumeen di partedì, la veneta è stata la migliore con un 25° posto
Sei soddisfatta finora della tua stagione?

Sì, anche perché non era iniziata nel migliore dei modi. Ho sofferto per una gastroenterite, fino al Trofeo Binda avevo fatto tutto per bene e la condizione era in crescendo, poi non ho più potuto gareggiare per un mese.

Il tuo miglior risultato è stato il 4° posto alla ReVolta, sempre in Spagna…

Sì, anche se il podio mancato è stata una sorta di rivincita. Prima avevo sfiorato per tre volte la top 10 e a un certo punto cominciavo a pensare che la stagione fosse stregata… E’ vero che tra un 10° e un 11° posto non c’è grande differenza, neanche a livello di punteggi Uci, ma per me contava molto. Un po’ mi rodeva anche se dimostravo di esserci…

Seconda in una tappa del Giro nel 2019, la Quagliotto è ancora alla ricerca della sua prima vittoria
Seconda in una tappa del Giro nel 2019, la Quagliotto è ancora alla ricerca della sua prima vittoria
Che differenze hai trovato rispetto al ciclismo italiano?

Sul piano generale il livello italiano è superiore, come qualità e attività. Qui al di là della Garcia non ci sono altre grandi campionesse, in Italia di atlete al top ce ne sono tantissime e questo è un fattore importante anche per chi arriva dopo, per le più giovani, c’è maggior spirito di emulazione. In Spagna poi c’è il problema del calendario troppo concentrato. I team si sono lamentati soprattutto dopo lo spostamento della Vuelta, perché si è realizzato un tour de force quando poi l’attività negli altri mesi è molto diradata. Chi non è nel WorldTour non può girare così tanto per l’Europa…

Quali sono i prossimi obiettivi?

Vedremo che cosa proporrà il nostro calendario, dopo la lunga parentesi spagnola. Io vorrei sfruttare al meglio la condizione trovata alla Vuelta e magari essere davanti a cercare il risultato pieno. Credo che me lo merito io e ce lo meritiamo come squadra.