Aleotti: il rinnovo, Guangxi e il futuro con la Red Bull-Bora

06.10.2024
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Nel momento in cui chiamiamo, Giovanni Aleotti è nel bel mezzo dei preparativi della valigia per il Giro dell’Emilia (corso ieri). E’ stato strano pensare al corridore di Mirandola che fa i bagagli per la corsa di casa, ma così impone il ritmo della Red Bull-Bora hansgrohe. Saranno più impegnativi i preparativi per l’ultima corsa dell’anno, il Tour of Guangxi in Cina. Aleotti ci aveva detto che gli sarebbe piaciuto andare a correre l’ultima corsa WorldTour dell’anno, magari con obiettivi maggiori. Per ora il biglietto con il suo nome è pronto, i gradi che metterà sulle spalle della sua divisa saranno da decidere nei prossimi giorni. 

«Non so chi ci sarà con me in Cina – ha detto – o almeno in maniera ufficiale. Sicuramente le forze rimaste in corpo saranno contate, d’altronde la stagione è stata bella lunga. Io stesso ho messo insieme parecchi giorni di gara (ad ora 77, compreso il Giro dell’Emilia, ndr) e tanti ritiri. Per la prima volta in carriera ho partecipato a due grandi corse a tappe: il Giro e la Vuelta. E’ stata una stagione positiva, nella quale mi sono ritrovato. Proprio a voi lo scorso anno, in Cina, dissi che il 2023 fu la peggior stagione in assoluto. Tanto da definirla non classificabile».

Cattaneo e Aleotti erano entrambi nella lista di Bennati, dopo la Vuelta sono arrivate le decisioni del cittì
Cattaneo e Aleotti erano entrambi nella lista di Bennati, dopo la Vuelta sono arrivate le decisioni del cittì

Fiducia ritrovata

Invece ora la voce dall’altra parte del telefono suona felice e decisa. Aleotti ha trovato di nuovo la fiducia nei propri mezzi e anche la vittoria: al Giro di Slovenia. Un 2024 che lo ha portato nell’orbita della maglia azzurra. La convocazione per Zurigo alla fine non è arrivata, ma essere preso in considerazione fa sempre piacere.

«Penso che partecipare a un mondiale – prosegue Aleotti – sia il sogno di ogni ciclista. Il numero di atleti è limitato e qualcuno deve rimanere fuori. La scelta di Bennati l’ho presa con il giusto piglio. Lui mi ha spiegato le sue scelte e io mi sono sentito di ringraziarlo per avermi preso in considerazione. Anche essere parte di quella lista era un obiettivo, vista la stagione scorsa. E’ chiaro che partecipare mi avrebbe fatto piacere, ma il cittì prende le sue decisioni. Non sono sempre facili e io le rispetto».

Prima e dopo la Vuelta Aleotti ha parlato con il cittì Bennati che però ha preferito altri nomi per Zurigo
Prima e dopo la Vuelta Aleotti ha parlato con il cittì Bennati che però ha preferito altri nomi per Zurigo
Torniamo alla Red Bull-Bora, Gasparotto ci ha detto che i capitani ti vogliono ovunque, si fidano ciecamente di te. 

Lo ringrazio per le parole. Io cerco di essere sempre onesto con me stesso, riconosco i miei limiti e so dove posso arrivare al momento. In una corsa di tre settimane cerco di dare il mio supporto, anche perché sono consapevole di non essere allo stesso livello dei capitani

Come si crea questa fiducia con i leader?

Attraverso delle belle relazioni che si coltivano durante tutto l’anno. Sono qui da molto tempo, tra l’altro ho appena rinnovato per altri due anni, ho incontrato tutti i leader e legato con loro. Sono una persona in grado di adattarsi a diverse situazioni, ma sono stato tanto fortunato perché Roglic, Vlasov, Martinez e Hindley sono prima amici che capitani. Nel momento in cui devi spenderti per qualcuno lo fai con maggior impegno se ci stai bene insieme. 

Aleotti ha corso due grandi corse a tappe nel 2024: la prima è stata il Giro in appoggio a Martinez
Aleotti ha corso due grandi corse a tappe nel 2024: la prima è stata il Giro in appoggio a Martinez
Hai detto di voler continuità, che cosa intendi?

Questa squadra è il posto giusto per crescere e per il mio futuro. Sicuramente è solida grazie a Red Bull e Bora. Allo stesso modo tale situazione crea una concorrenza maggiore. Tanti investimenti permettono di prendere molti corridori forti. Io sono dell’idea che ci si guadagni il posto su strada e con le prestazioni. 

E tu ne hai fatte in questi anni.

Quando ho avuto l’occasione me la sono presa, al contrario quando c’è stato da lavorare mi sono messo a disposizione completa. In una squadra del genere è difficile pensare di andare alla Giro, al Tour o alla Vuelta e pensare di fare il capitano. Come detto per prima cosa, sento di dover essere onesto con me stesso, ora non sono al loro livello. 

Alla Vuelta, invece, Aleotti ha supportato Roglic nella conquista della sua quarta maglia rossa
Alla Vuelta, invece, Aleotti ha supportato Roglic nella conquista della sua quarta maglia rossa
Cosa ti manca? Pensi potrà mai arrivare?

E’ difficile prevedere una crescita, non ho l’arroganza di dire «sì». Cercherò di impegnarmi e saranno la strada e il tempo a confermare o smentire. 

Sei qui dal 2021, l’ambiente è cambiato tanto…

Ho vissuto il cambio d’identità. Quando sono arrivato c’era ancora Sagan e la squadra puntava tanto sui velocisti. Poi negli anni c’è stato lo switch e siamo passati alla formazione che conoscete, in grado di vincere un Giro e una Vuelta. Sono anche orgoglioso di dire che ero presente in entrambe le squadre.

Un anno dopo Aleotti tornerà in Cina con motivazioni e ambizioni diverse
Un anno dopo Aleotti tornerà in Cina con motivazioni e ambizioni diverse
Pensi ci possa essere spazio per un ragazzo che cresce dall’interno?

Il team porta vanti bene i progetti e valorizza il lavoro per i capitani. Non sapremo in futuro quale ruolo potrò ricoprire. Ora ho dei limiti ma non è facile capire quali sono, in un anno possono cambiare tante cose. Si matura e si cresce. Punto ad arrivare ad una certa età in cui i miei valori si stabilizzeranno, ora mi sento in una fase ascendente. Sono giovane, ho appena compiuto 25 anni. Dopo due stagioni difficili, mi godo anche la fiducia ritrovata. 

Dovuta a cosa?

Al lavoro fatto con il mio nuovo preparatore, Paolo Artuso. Non che prima mi trovassi male, ma Paolo mi ha preso quando avevo il morale a terra. Ci ha creduto lui prima che lo facessi io. A dicembre 2023 mi diceva che avremmo puntato al Giro di Slovenia. Ora mi sento ritrovato, riesco a vedere i frutti del mio lavoro e tutto diventa più semplice. Ho voglia di fare bene in Cina, staccare e godermi la pausa e da dicembre ripartire. Penso che inizierò in un modo ancora migliore rispetto allo scorso inverno, mentalmente mi sento sereno e fiducioso. 

Maini: «Gara nella gara. Non è stata una Vuelta monotona»

12.09.2024
7 min
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Sono iniziati ieri gli europei in Limburgo (in modo fantastico per l’Italia con l’oro di Affini e il bronzo di Cattaneo nella cronometro individuale) che la Vuelta sembra già lontana molto più dei quattro giorni che sono trascorsi dalla frazione conclusiva di Madrid. Questo non è altro che la conseguenza dell’effetto-lampo del ciclismo attuale, dove si va sempre più veloce in gruppo e pure nel passare con l’attenzione alla gara successiva.

Noi però abbiamo tirato i freni per un attimo andando a ripercorrere gli highlights della corsa spagnola vinta da Roglic in compagnia di Orlando Maini. Il tecnico bolognese è momentaneamente giù dall’ammiraglia, ma ovviamente resta un assetato di ciclismo. Non si è perso nemmeno una tappa della Vuelta, gara che gli è rimasta nel cuore da quando vinse la Saragozza-Soria nel 1984. Ecco la sua analisi.

Orlando Maini (qui con Canola al GiroE) non si è perso una tappa della Vuelta
Orlando Maini (qui con Canola al GiroE) non si è perso una tappa della Vuelta
Orlando da dove vuoi iniziare?

Partirei dall’ultima tappa solo per indicarvi un dato che mi ha impressionato. Hanno fatto la crono di Madrid a medie orarie folli, dopo una Vuelta molto dura. Kung l’ha vinta sopra i 55 chilometri orari. Solitamente l’ultima crono di un grande giro a tappe è l’indicatore della condizione. E molti stavano bene. Cattaneo e Baroncini sono andati molto forte, Affini appena dietro, ma lui era già andato bene in quella di apertura. Non mi stupisce che i primi tre della crono europea siano reduci dalla Spagna.

Qualcuno dice che è stata una Vuelta noiosa. Cosa rispondi?

Ci sta che il pubblico da casa voglia sempre che tutti i migliori dieci corridori al mondo si scontrino in ogni tappa. Per le volate, in salita o nelle frazioni ondulate. Ma non può essere così perché innanzitutto c’è un calendario molto fitto e le energie vanno dosate. Poi perché il livello medio è altissimo. Si va forte ogni giorno, basta guardare i dati dei computerini dei corridori. Anche nella penultima tappa, che aveva più di 5.000 metri di dislivello in 170 chilometri, sono andati molto forte (oltre 37 km/h di media, ndr). Le differenze sono minime in certi casi.

Alla 6ª tappa O’Connor trova la fuga, vince e guadagna minuti preziosi in classifica. Chiuderà secondo cedendo solo al terzultimo giorno
Alla 6ª tappa O’Connor trova la fuga, vince e guadagna minuti preziosi in classifica. Chiuderà secondo cedendo solo al terzultimo giorno
Alla fine secondo te ha vinto la Vuelta chi doveva vincerla?

Delle tre grandi corse a tappe, quella spagnola è quasi sempre quella col risultato più aperto, specialmente quest’anno. Senza fenomeni come Pogacar, Vingegaard e Evenepoel, il favorito principale era Roglic, anche perché i rivali diretti sulla carta non erano al top. Almeida si è ritirato all’inizio, Adam Yates è andato a corrente alternata, Landa era in buona condizione, ma non abbastanza e Mas è un regolarista cui manca sempre il guizzo decisivo. Tuttavia la vittoria di Roglic non era scontata, nonostante ne avesse già conquistate tre. Infatti abbiamo visto com’è andata. Ha dovuto rosicchiare il vantaggio di O’Connor fino alla fine. Per me è stata una Vuelta che è andata oltre le attese.

In che modo?

Sostanzialmente ogni giorno c’era una fuga numerosa e quindi si assisteva ad una gara nella gara. Una per la vittoria di tappa, l’altra per la generale. Abbiamo visto lampi che hanno reso interessante la corsa. Ad esempio in una di queste azioni da lontano, O’Connor è andato a prendersi un successo parziale, la maglia rossa e alla fine pure il secondo posto finale. Guardate che fare un podio nelle grandi corse a tappe non è facile, anche se non ci sono i soliti tre tenori che dicevo prima.

La fuga di O’Connor ha ricordato quella di Arroyo al Giro del 2010 che gli permise poi di chiudere secondo dietro Basso in classifica. Secondo te ha scombinato i piani di molti uomini?

Penso proprio di sì. Bisogna dire però che rispetto ad Arroyo, O’Connor alle spalle aveva un quarto posto al Tour del 2021 e al Giro di quest’anno, quindi era già abituato a certi piani alti. Però per me ha fatto un grande numero. Idealmente gli do un voto alto perché ha giocato molto bene le sue carte. E’ vero che gli hanno lasciato molto spazio e lui ha guadagnato molti minuti con quella fuga, però gli va dato atto che è stato bravo a crearsi quella occasione. E bravo successivamente a gestire gli sforzi. Tutti pensavano che saltasse prima, invece ha ceduto solo al terzultimo giorno.

La Kern Pharma ha ottenuto tre vittorie (qui con Castrillo a Estación de Montaña Manzaneda). Un ottimo bottino per un team professional
La Kern Pharma ha ottenuto tre vittorie (qui con Castrillo a Estación de Montaña Manzaneda). Un ottimo bottino per un team professional
Lato velocisti invece cosa ci dici?

Le tappe se le sono divise in due rispettando abbastanza i pronostici. Mi è dispiaciuto tantissimo per la caduta e il relativo abbandono di Van Aert. Peccato, stava andando fortissimo, mi ricordava quello del 2022 al Tour. Ha raccolto tre vittorie, era sempre in fuga, anche in montagna, aveva una condizione incredibile ed era al comando di due graduatorie. Non so se avrebbe vinto la classifica dei gpm, ma di sicuro quella a punti, che poi è andata a Groves, autore di tre successi nelle altrettante tappe per velocisti.

C’è qualcosa che ti ha colpito in particolare?

Sicuramente le vittorie delle formazioni professional. A parte quello di Woods della Israel, che è già stata nel WorldTour, i tre successi della Kern-Pharma con Castrillo e Berrade mi sono piaciuti. Penso che vadano a beneficio del nostro sport. Sono di certo vittorie figlie della Vuelta che si è creata come dicevo prima, ma sono importanti perché danno un segnale. Che anche le squadre più piccole possono riuscire a vincere nei grandi giri. Pensate al Giro d’Italia se una professional italiana vincesse tre tappe. Per gli sponsor sarebbe una manna e magari servirebbe per attirarne di nuovi.

Van Aert sembrava quello del Tour 2022. Tre vittorie, fughe, maglie di classifica, ma anche la solita sfortuna. Abbandona per una caduta
Van Aert sembrava quello del Tour 2022. Tre vittorie, fughe, maglie di classifica, ma anche la solita sfortuna. Abbandona per una caduta
Cosa ti ha deluso?

Devo dire con onestà che mi sarei aspettato di più da Landa. Non tanto in termini di generale, quanto più per una vittoria di tappa. Però per come stava andando ed è andata la Vuelta, la Soudal avrebbe dovuto cambiare tattica. Ovvero non lasciare andare via la fuga e poi inventarsi qualcosa nel finale. Oppure far uscire di classifica Landa subito e cercare la fuga come fanno spesso in tanti per avere più libertà d’azione. Certo, non è così semplice. Una conseguenza di tutto ciò però ha portato a fermare Cattaneo nella diciottesima tappa per aspettare ed aiutare Landa staccato. Mi è spiaciuto molto per Mattia che meritava di giocarsi la vittoria siccome aveva dimostrato di stare bene.

Nella 18ª tappa Cattaneo era in fuga, ma è stato fermato per aiutare Landa staccato. Avrebbe meritato di giocarsi le proprie carte
Nella 18ª tappa Cattaneo era in fuga, ma è stato fermato per aiutare Landa staccato. Avrebbe meritato di giocarsi le proprie carte
Orlando Maini come ha guardato la Vuelta?

Ho un debole per le gare spagnole e per questa in particolare. L’ho corsa da corridore e l’ho fatta tante volte da diesse. Ogni giorno appena mi collegavo alla televisione cercavo di capire com’era la situazione e mi immedesimavo nei direttori sportivi, sia degli atleti in fuga sia di quelli in lotta per la maglia rossa. Cercavo di interpretare le tattiche e magari vedere se i miei pensieri combaciavano con ciò che vedevo. D’altronde noi addetti ai lavori guardiamo le gare in questo modo, valutando aspetti che spesso la gente da casa non tiene in considerazione.

Tonetti: «Il mio viaggio in Francia tra emozioni, fatica e… pois»

23.08.2024
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«Alle mie compagne ho detto subito che ero la Pimpa fatta e finita, ma in Spagna non esiste quel cartone animato. Mi hanno guardato felici e stranite». Se conosciamo un poco Cristina Tonetti ci avremmo scommesso forte su questa battuta quando alla fine della prima tappa del Tour Femmes ha indossato la maglia a pois.

Un’azione di alto coraggio per un basso “gpm” posizionato in… vetta al tunnel sulla Mosa. Ma se corri in Olanda quelle strade (in questo caso un sottopasso di venticinque metri sotto il livello del mare, anzi del fiume) diventano le salite di giornata e se sei in gara al Tour de France stai certo che nessuno ti regala nulla. Così Tonetti a Rotterdam ha azzardato il colpo portandolo a termine per la gioia della sua Laboral Kutxa. La nostra chiacchierata con la 22enne brianzola parte da qui, anche per fare un confronto su Vuelta, Giro Women e Tour Femmes, i tre grandi giri WorldTour che ha disputato.

A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
A metà della prima frazione, Tonetti conquista il “gpm” sul Maasdeltatunnel dopo una fuga di 20 chilometri (foto tv Tour Femmes)
Cristina ti stai godendo un po’ di riposo?

Dopo il rientro dalla Francia sto facendo qualche giorno senza bici. Ne avevo bisogno, sia fisicamente che mentalmente, e so che mi farà molto bene. Riprenderò a correre l’8 settembre a Fourmies quindi ho tutto il tempo per prepararmi a dovere. D’altronde quest’anno ho corso tanto. In realtà mi è mancata solo la parte delle classiche perché per il resto ho fatto sette corse a tappe. Vuelta, Giro e Tour come Kuss l’anno scorso, ma con risultati decisamente più bassi (dice ridendo, ndr).

Che differenza hai notato tra le tre corse?

La prima riguarda il livello medio e il ritmo in corsa. Vuelta, Giro e Tour questo è l’ordine crescente. In Spagna e in Italia se hai una giornata storta ti salvi, in Francia no, perché ci arriva il meglio del ciclismo femminile mondiale e nessuna vuole fare brutte figure. Al Tour si va molto forte, troppo (sorride, ndr). Sul piano organizzativo invece devo dire che non ho notato grandi diversità. Il Giro Women con l’avvento di Rcs è cresciuto tantissimo ed è totalmente un’altra gara rispetto a prima. Le differenze però più importanti sono altre due, se vogliamo anche legate fra loro.

Spiegaci pure.

Sono il pubblico e il riscontro mediatico. Al Giro c’è molta gente sia in partenza che in arrivo, ma non lungo il percorso. Al Tour invece le strade sono piene, poi figuratevi partendo dall’Olanda quante persone c’erano. Sono rimasta impressionata dalla tappa che partiva da Valkenburg. Dopo circa quindici chilometri affrontavamo il Cauberg. C’era così tanta gente che facevi fatica a sentire il tuo respiro. E naturalmente il richiamo internazionale è incredibile. Siamo riconosciute da tutti. La cassa di risonanza del Tour è tutta amplificata. Ed anche lo stress purtroppo.

Il tuo Tour però è iniziato bene, diremmo con lo stress positivo della maglia a pois. Te lo aspettavi?

Innanzitutto devo dire che già solo essere alla partenza è stato bellissimo. Ho capito che sono vere tutte le cose che si dicono sulla sua atmosfera, proprio per i motivi a cui mi riferivo prima. Andare a caccia della maglia a pois era stata una mossa studiata, anche se non eravamo l’unica squadra ad averci pensato. Era un interesse di tante ragazze. Infatti vincere il “gpm” della prima tappa ti garantiva di salire sul podio anche per le successive due che erano piatta e a cronometro. Però tra il dire e il fare lo sapete anche voi che non è così facile. Anzi…

Com’è nata quella tua fuga?

Prima che partissi io, ci aveva provato una mia compagna con a ruota Gaia Masetti, ma non il gruppo non gli ha lasciato spazio. Forse era troppo presto. Così dopo ci ho provato io da sola e probabilmente ho fatto male i conti perché mancavano più di venti chilometri. Significava un bello sforzo. Tuttavia sono riuscita a guadagnare subito un minuto e ho iniziato a gestirmi. Che poi non ti gestisci perché devi andare a tutta. Dall’ammiraglia mi incitavano costantemente dicendomi di resistere che il mio vero traguardo era il “gpm” e che poi avrei potuto rialzarmi. So che dietro l’inseguimento del gruppo ha subito un rallentamento a causa di una caduta. Non so se è stato quello o io che non ho mollato, ma alla fine ho vinto quel traguardo di metà tappa. E a quel punto ho fatto i restanti 60 chilometri col gruppo principale.

Immaginiamo che da quel momento in poi siano iniziate le emozioni.

Assolutamente sì. I miei diesse mi hanno fatto subito i complimenti, ma finché sei ancora in gruppo non te ne rendi conto perché c’è una corsa da finire e prestare attenzione. Ho veramente realizzato che avevo preso la maglia a pois quando sono salita sul podio del Tour. Quando ho visto tutto quel pubblico ero come pietrificata. Fortuna che dietro le quinte ho un po’ stemperato la tensione con qualche battuta e selfie assieme a Ahtosalo, la maglia bianca. Il mattino successivo alla partenza ancora imbarazzo.

Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Quest’anno Tonetti ha disputato Vuelta, Giro e Tour. Ora punta alla convocazione per l’europeo U23
Ovvero?

Prima di partire chiamano tutte le maglie davanti come tradizione ed io ero nuovamente pietrificata. Avevo di fianco a me Marianne Vos, che per me rappresenta il mito assoluto. Quindici anni fa quando ho iniziato a correre lei era già la più grande. Stare accanto a lei in partenza al Tour, nel rituale delle maglie, mi ha fatto tremare le gambe. Ma anche qualche giorno dopo con Vollering avevo una sorta di reverenza nei suoi confronti. Sono atlete fantastiche. Non ho avuto il coraggio di parlare con loro prima del via, non volevo disturbarle. Solo con Kool, che è più vicina a me come età, ho scambiato un po’ di parole. Sono stati comunque momenti bellissimi.

Poi è iniziato un altro Tour?

Direi proprio di sì. Dalla quarta tappa sapevo che sarebbe diventato tutto più duro. Partivamo da Valkenburg con le salite dell’Amstel e arrivavamo a Liegi dopo aver superato le varie côte. E lì, quando vuoi difendere la maglia a pois, scattano corridori come Puck Pieterse o Persico o Niewiadoma, sai che puoi fare veramente poco. In ogni caso ho fatto quello che potevo e non posso rimproverarmi nulla. Poi le tappe successive con tanto dislivello paradossalmente sono andate meglio. Cioè, il mio lavoro per le compagne scalatrici si esauriva ai piedi delle salite, ma almeno potevo impostare il mio ritmo e stare più rilassata mentalmente. Certo, c’è sempre da arrivare al traguardo entro il tempo massimo, però nel gruppetto ci concedevamo qualche battuta, aiutandoci.

La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
La maglia a pois di Tonetti è stata una soddisfazione condivisa con le compagne di squadra (foto Markel Bazanbide)
Cos’ha dato il primo Tour Femmes a Cristina Tonetti?

Mi ha fatto capire diverse cose. Ti rendi conto di cosa sia veramente il ciclismo e di quanta professionalità ci sia dietro certe atlete. Ti rendi conto di quanta strada ci sia ancora da fare. Stare davanti in certe tappe è molto difficile. E a proposito di strada, personalmente credo di essere su quella giusta. Come squadra abbiamo fatto un salto di qualità ed anch’io voglio alzare ulteriormente il livello. Per quest’anno ho davanti a me ancora molte corse. La stagione potrebbe finire con le gare cinesi, ma prima vorrei provare a guadagnarmi una chiamata per l’europeo U23.

Aleotti riparte da Burgos, lo sguardo alla Vuelta e alla Cina

10.08.2024
5 min
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Il caldo della Vuelta a Burgos arroventa l’asfalto e l’attesa verso l’ultima grande corsa a tappe della stagione: la Vuelta Espana. La corsa spagnola è diventata, vista la sua posizione nel calendario, il classico esame di riparazione. Quello nel quale, a scuola, gli studenti si aggrappavano per strappare una sufficienza a fine anno. Come in classe anche nel ciclismo settembre diventa un mese di recupero. Chi, per un motivo o per l’altro, ha mancato l’appuntamento cardine della stagione, si trova alla Vuelta con il coltello tra i denti

Uno degli habitué della corsa a tappe spagnola è Roglic che l’ha vinta tre volte: tra il 2019 e il 2021. In tutti e tre i casi arrivava all’appuntamento con le ossa rotte, metaforicamente e fisicamente. Anche quest’anno la Vuelta potrebbe essere per lo sloveno della Red Bull-Bora un ultimo tentativo per raccogliere dei risultati all’altezza del suo nome

Giovanni Aleotti ha ripreso a correre alla Vuelta a Burgos, tanta fatica per lui che cercava il ritmo gara
Giovanni Aleotti ha ripreso a correre alla Vuelta a Burgos, tanta fatica per lui che cercava il ritmo gara

Da Burgos alla Vuelta (forse)

Tra gli atleti, impegnati a Burgos nei giorni scorsi, e che hanno lavorato con lo sguardo sulla Vuelta Espana c’è Giovanni Aleotti. Il 25enne di Mirandola ha ripreso a correre dopo una lunga pausa, nella quale ha recuperato le energie dopo una prima parte di stagione impegnativa. Dopo il Giro d’Italia, nel quale ha aiutato Martinez a conquistare il secondo posto finale, è andato in Slovenia. Nella breve corsa a tappe ha ritrovato la vittoria in una classifica generale, due anni dopo quella ottenuta al Sibiu Tour. 

Un successo che sembrava avergli dato una bella dose di fiducia in vista del finale di stagione. Tanto da chiederci se fosse arrivato il momento di prendere in mano la situazione e mettersi, finalmente, alla prova in una corsa a tappe di tre settimane. Ma è lo stesso Aleotti a gettare acqua sul fuoco. 

«Mi sono preparato molto bene – dice – in questo periodo. Dopo il campionato italiano (chiuso al sesto posto, ndr) mi sono fermato per una settimana, nella quale ho riposato. Al termine mi sono rimesso in bici, ma giusto per riabituare il fisico a pedalare. Da lì sono andato ad Andorra per tre settimane, dove ho fatto un bel periodo di preparazione con in testa la partecipazione alla Vuelta. Se dovessi andare, saprò anche con quale ruolo (la formazione ufficiale infatti sarà comunicata lunedì dopo la Classica San Sebastian, ndr)».

Difficile inserirsi in una squadra così ricca di capitani?

E’ logico, un team con Roglic, Vlasov e Martinez è molto competitivo. Io non mi reputo al loro livello, ho ancora tanto da imparare. Penso che la cosa più importante sia riconoscere il proprio livello e ruolo. Sono il primo a volersi migliorare e ogni anno punto a fare sempre qualcosa in più. Essere stato parte della squadra che ha aiutato Martinez a raggiungere il podio al Giro è stato comunque stimolante.

Però la prestazione dello Slovenia ci aveva dato la sensazione di una crescita…

Anche a me. Per questo ho chiesto alla squadra di andare al Tour of Guangxi, è una delle poche occasioni che ho per provare a fare un risultato. Mi piacerebbe essere lì e cercare il risultato finale. 

Dopo la vittoria del Giro di Slovenia Aleotti vorrebbe giocarsi le sue occasioni al Tour of Guangxi
Dopo la vittoria del Giro di Slovenia Aleotti vorrebbe giocarsi le sue occasioni al Tour of Guangxi
Cosa ti manca per essere a livello di quei tre?

Sinceramente da parte mia non c’è un paragone con gli altri. Ogni anno penso di essere migliorato un pochino, di aver fatto degli step. io voglio solo lavorare al meglio, se si riesce a fare ciò la crescita arriva di conseguenza. 

Con Roglic e Vlasov che devono recuperare dopo la debacle del Tour non c’è spazio per altre ambizioni?

Non sappiamo ancora chi saranno i capitani alla Vuelta, la cosa certa è che io lavorerò per i capitani. La squadra ha una grande occasione per vincere con uno di loro, specialmente Roglic. Lui e Vlasov arrivano da due infortuni, bisognerà vedere come staranno. Allo stesso tempo, però, ci sarà Martinez che ha lavorato bene in questo periodo. 

Alla Vuelta dovrebbe esserci anche “Dani” Martinez, il quale guidato da Aleotti, ha conquistato il secondo posto al Giro
Alla Vuelta dovrebbe esserci anche “Dani” Martinez, il quale guidato da Aleotti, ha conquistato il secondo posto al Giro
Come hai lavorato in altura?

Bene, ho costruito una buona base e mi sento pronto. Chiaramente a Burgos sono arrivato senza ritmo gara, ma l’idea era di costruirlo in questi appuntamenti. Burgos e San Sebastian erano utili in quest’ottica: costruire il ritmo gara. La Vuelta sarà durissima nell’ultima settimana, come ogni anno. Sarà importante essere pronti, il piano messo insieme ad Artuso è l’ideale per arrivare in condizione alla terza settimana.

Per poi arrivare pronto per l’ultima parte di stagione…

Dopo la Vuelta dovrei fare le corse in Italia e poi il Guangxi, si spera.

Notari: una settimana con Del Toro e la Vuelta dietro l’angolo

09.08.2024
5 min
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Sulle cime che circondano Andorra i ragazzi del UAE Team Emirates lavorano per preparare il finale di stagione. Al loro fianco, per qualche giorno, c’è stato Giacomo Notari preparatore del devo team che ha portato la sua esperienza anche agli atleti del WorldTour. Andare in altura serve, tra le altre cose, per scappare dal caldo soffocante della pianura. 

«Si stava parecchio bene a livello di clima – dice Notari che nel frattempo è tornato a casa – ad Andorra le temperature erano alte, superiori ai 30 gradi. Più in alto, dove dormivamo noi, si abbassavano parecchio. Il grosso vantaggio è che si riposa davvero molto bene. Io sono stato lì per i primi otto giorni, poi è arrivato un altro allenatore a darmi il cambio. Con me c’erano Baroncini, Del Toro e Ayuso, oltre al gruppo Vuelta».

I ragazzi del UAE Team Emirates in ritiro ad Andorra
I ragazzi del UAE Team Emirates in ritiro ad Andorra

Un puzzle da comporre

La Vuelta, terza ed ultima grande corsa a tappe della stagione, partirà tra poco più di una settimana: il 17 agosto. Comporre una squadra che possa arrivare pronta non è facile, i corridori sono stanchi e la stagione è stata lunga. Tra acciacchi e voglia di rivalsa la gara spagnola diventa l’ultimo grande banco di prova per gli uomini di classifica

«Il primo gruppo che è salito ad Andorra – spiega Notari – è quello che non ha corso al Tour de France. A loro si è aggiunto Ayuso, che ha abbandonato la Grande Boucle per Covid, il quale però stava preparando le Olimpiadi di Parigi. Gli altri che saranno alla Vuelta: Yates, Almeida, Sivakov e Soler, non vengono in ritiro. Hanno la fortuna di abitare ad Andorra, quindi dormono a casa e si allenano con noi. Un buon compromesso per non stressarli e non tenerli troppo lontani dalle famiglie».

Del Toro ha esordito al meglio nel WorldTour, prima corsa e prima vittoria al Tour Down Under
Del Toro ha esordito al meglio nel WorldTour, prima corsa e prima vittoria al Tour Down Under
Gli otto giorni passati in altura ti hanno permesso di lavorare fianco a fianco a Del Toro, che cosa hai visto?

Che dire, si è presentato bene a inizio stagione. La vittoria al Tour Down Under e la Tirreno-Adriatico hanno dimostrato che il talento c’è. In parte donato da Madre Natura e in altra parte ben coltivato da chi lo allenava prima, ricordiamoci che ha vinto il Tour de l’Avenir nel 2023. Del Toro è uno scalatore molto forte, e questo lo si è visto, ma è anche tanto esplosivo. Ha una sparata incredibile con potenze elevate in brevi periodi. E’ il prototipo del corridore vincente, prendete tutto con le pinze ma un po’ ricorda Pogacar. 

I primi passi del messicano nel vostro team come li hai visti?

E’ un ragazzo che parla volentieri, dal punto di vista atletico ha fatto prestazioni di livello e i dati lo dimostrano. Ha tanta voglia di imparare, il che lo aiuta a essere tanto curioso, però allo stesso tempo si fida di chi ha intorno. Chiaro che ci sono delle lacune, ma ben vengano, altrimenti non avrebbe i margini di miglioramento che ci prospettiamo. 

Ad aprile il giovane messicano ha vinto la Vuelta Asturias, la sua prima corsa a tappe da pro’
Ad aprile il giovane messicano ha vinto la Vuelta Asturias, la sua prima corsa a tappe da pro’
Nel rapporto con lo staff com’è?

Si fida totalmente di tutti: dei preparatori, dei nutrizionisti, dei meccanici… E’ bello che un corridore così giovane abbia tutta questa fiducia. A volte i ragazzi si fanno mille domande e rischiano di consumare energie mentali che sarebbe meglio incanalare sulla bici. Del Toro invece chiede perché è curioso, ma poi esegue quel che gli viene detto. 

Vi immaginavate potesse partire così forte?

Sicuramente nemmeno lui se lo sarebbe aspettato. L’esplosività però lo ha aiutato a subire meno il salto di categoria e poi le poche pressioni addosso gli hanno permesso di correre come avrebbe voluto. 

Del Toro ha un grande talento, aiutato da una mentalità vincente
Del Toro ha un grande talento, aiutato da una mentalità vincente
Come mai dici che l’esplosività gli ha dato una mano?

E’ normale sia così. I giovani arrivano da un ciclismo diverso, dove non ci sono regole di gestione della gara, si va sempre a tutta. I professionisti, invece, hanno un copione. Tanti giovani con caratteristiche esplosive che passano tra i grandi hanno un vantaggio

Dal punto di vista psicologico pensi sia consapevole del suo grande potenziale?

A volte ti viene da pensare che sia lui stesso a doverci credere di più, ma è una questione di indole. Giù dalla bici ha un carattere tranquillo e pacato, piacevole da avere intorno. Poi attacca il numero alla schiena e si trasforma, diventa più determinato e sa quel che deve fare e quel che vale. 

I suoi numeri fanno capire il grande potenziale che c’è dietro, serve però pazienza
I suoi numeri fanno capire il grande potenziale che c’è dietro, serve però pazienza
Tanti lo danno già presente alla Vuelta, è così?

A gennaio l’idea era di non fargliela fare, poi hanno visto i risultati e si è deciso di mandarlo… in ottica futura. Sarà un’esperienza che lo aiuterà a crescere, d’altronde correrà con Soler, Yates, Almeida… Gente dalla quale puoi solo imparare. 

Nessuna pressione?

Nemmeno una. Poi i giovani forti sono sempre un’incognita ma non ci sono aspettative di classifica o altro. Scenderà dall’altura l’8 agosto e correrà a San Sebastian, poi da lì diretto a Lisbona per iniziare la sua prima grande corsa a tappe della carriera.

Primoz Roglic, Nuances, Vuelta Espana 2020

Bagioli, un arrivo per prendere le misure

30.10.2020
3 min
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Bagioli stavolta ci ha provato. Mancavano poche centinaia di metri al traguardo di Suances, quando il valtellinese della Deceuninck-Quick Step ha visto partire Guillaume Martin e si è fiondato nella sua scia. La tappa poteva concludersi con una volata, per questo la squadra belga si era messa in testa a tirare per riprendere la fuga, con il tacito accordo che se Bennett non se la fosse sentita di fare la volata in salita, il peso della corsa sarebbe passato sulle spalle di Bagioli.

Due capitani

«La tappa – racconta Andrea – era più dura di quanto si vedesse su carta. Siamo partiti per fare la volata con Sam, che voleva riscattarsi dopo la squalifica di ieri, ma se si fosse staccato sarebbe toccata a me. E lui ha detto che non si sentiva tanto bene già a 120 chilometri dall’arrivo…».

Partenza da Castro Urdiales, si va verso le Asturie
La partenza da Castro Urdiales

Dov’è Valverde?

Sarebbe l’arrivo di Valverde, ma se quest’anno senza i soliti schemi tanto è pesato a Nibali, immaginate voi che cosa può essere stato per il murciano che ad aprile ha compiuto 40 anni. Alejandro è lì davanti, ma quando Guillaume Martin allunga e dietro di lui esplode la tappa, ha già la riserva accesa e deve sedersi sotto il peso degli anni che si traducono in tre miseri secondi, ben più pesanti per il suo orgoglio. Nei commenti però Alejandro guarda avanti.

«Affrontiamo i prossimi due giorni nelle Asturie – dichiara – con entusiasmo e curiosità. Saranno due tappe molto dure, in cui il fattore strategico può essere importante. Attaccheremo, comunque vada ci avremo provato. Le due giornate, sia la Farrapona sia l’Angliru, possono essere decisive. La vittoria di Roglic? Per me sta dimostrando di essere il più forte della Vuelta».

Bagioli attacca

Ci vuole un po’ per raggiungerlo, il dopo corsa ha rituali e trasferimenti, ma alla fine Bagioli è dei nostri e il suo racconto riprende, mentre pensiamo che l’Italia forse ha trovato un altro nome da mandare a memoria.

Andrea parte e si accorge subito che sulla sua destra una freccia verde accelera brutalmente. Roglic ha letto lo stesso movimento di Martin e ha capito che quello è il punto. Il cambio di ritmo non è contrastabile, ma Bagioli non molla. Si siede e dà veramente tutto fino al traguardo, anche se Grosschartner lo affianca e lo passa di un soffio.

«E’ stato un onore avere compagni come Morkov e Stybar che lavoravano per me – racconta Andrea – quindi ho provato a dare un senso alla giornata. Roglic in questo momento è il più forte al mondo. Ho rivisto il video e guardandolo in faccia sembra che non abbia fatto fatica. Ma io sono soddisfatto delle mie sensazioni, meglio che nei giorni scorsi quando ho fatto gruppetto nella tappa di montagna».

Nella tappa di Laguna Negra, per Bagioli un passaggio a vuoto ormai dimenticato
Dimenticato il passaggio a vuoto di Laguna Negra

«Anche io proverò ad andare in fuga nei prossimi giorni – prosegue il valtellinese – non terrò duro sulle prossime salite, perché non ha senso sfinirsi per portare a casa un ventesimo posto in classifica. Credo che la tappa di domani sia la più dura ma domenica c’è l’Angliru, che ho sempre visto solo in tivù. Ricordo l’ultima volta di Contador. E’ come il Mortirolo? Non lo faccio spesso quando sono a casa e quasi sempre dal versante di Monno che è meno duro. Non so cosa aspettarmi».

Roglic va dritto

Chi sa cosa vuole e cosa aspettarsi è il vincitore di tappa, che corre con il numero uno perché la Vuelta l’ha vinta l’anno scorso dopo la beffa del Giro. Quest’anno forse vorrà lavare labeffa ben peggiore del Tour?

«Vincere è sempre bello – dice Primoz, di nuovo in maglia rossa – ed è bello riprendere il primato. Ma cambia poco nell’approccio dei prossimi due giorni. So di avere una squadra forte in montagna, altro non posso prevedere. Se siete curiosi, basterà aspettare domani sera…».