Lunigiana, il vichingo Haugetun beffa Morlino sull’arrivo

05.09.2025
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VEZZANO LIGURE – «Yaaah, yaaah». Centocinquanta metri dopo il traguardo Kristian Haugetun si lascia andare tutto solo ad un urlo liberatorio che squarcia il tranquillo e piccolo centro abitato di Vezzano Ligure. La seconda frazione del Giro di Lunigiana ha un finale thrilling che giustifica l’emozione del norvegese e parallelamente mostra il rimpianto del piemontese Luca Morlino, superato in rimonta proprio sulla linea d’arrivo.

Gli stessi diametrali umori li vivono altri due protagonisti. Seff Van Kerckhove col terzo posto di tappa sfila la maglia verde di leader della generale ad Anatol Friedl (ottavo) per soli tre secondi. La giornata ha quindi mantenuto e forse superato le attese, complice un caldo intenso che ha acuito le difficoltà di un percorso duro e tecnicamente selettivo. Cinque “gpm”, di cui due passaggi dal traguardo (prima dell’ultima scalata) nei quali i ragazzi hanno potuto prendere punti di riferimento, come nelle relative discese. Tutto però si risolve negli ultimissimi metri, come racconteranno alcuni protagonisti.

Vichingo di Bergen

Già nella prima tappa Kristian Haugetun si era fatto vedere andando a conquistare la maglia a pois dei “gpm” prima di chiudere nel primo gruppo inseguitore ad una dozzina di secondi. Quel risultato deve avergli dato delle consapevolezze e con la spavalderia tipica della sua età (compirà 17 anni il prossimo 5 ottobre ed abita a Bergen, città dei mondiali 2017) nelle interviste prima del via aveva dichiarato che puntava al successo, non solo a rafforzare la maglia degli scalatori. Detto, fatto e come dice un vecchio adagio ciclistico, la vittoria dichiarata vale doppio.

«Questa è la prima vittoria dell’anno – ci dice Haugetun appena dopo aver abbracciato alcuni suoi compagni – e significa tutto per me. Stamattina avevo detto che avrei voluto fare una grande tappa perché mi sentivo molto bene, ma non è mai semplice mantenere le attese. In corsa ho cercato di stare calmo, senza strafare, poi sull’ultima salita ho aspettato gli ultimi trecento metri per attaccare. Finora è stata una stagione lunga e ho sempre cercato di fare un passo avanti. Devo ringraziare la squadra che è stata fantastica».

Per Hagetun è il primo successo stagionale e gran merito lo tributa ai suoi compagni di nazionale
Per Hagetun è il primo successo stagionale e gran merito lo tributa ai suoi compagni di nazionale

Presente e futuro

Il nome di Haugetun è uno dei più gettonati nella categoria, a maggior ragione essendo al primo anno nella categoria. La scuola norvegese sta sfornando talenti, quasi tutti destinati a ritagliarsi spazio e considerazione tra U23 e pro’. Kristian durante la stagione difende i colori della Jegg-Skil-Djr, società satellite olandese della Visma | Lease a Bike, e corre con una Cervelo. Oggi al Lunigiana ha usato una Ridley della Uno-X. Anche in questo caso, i rumors di ciclo-mercato dicono che ci sia già un braccio di ferro tra le due formazioni per prenderlo. L’impressione è che possa passare alla squadre del suo Paese, ma intanto lui ci dice che deve fare ancora un anno da juniores e tutto può succedere.

«Oltre al ciclismo – ci racconta Haugetun mentre mangia un panino prima delle premiazioni – ho fatto triathlon per tanti anni e in inverno faccio sci di fondo per tenermi in allenamento. Non ho un vero e proprio idolo, ma mi piace tantissimo Tobias Johannessen (vincitore dell’Avenir nel 2021 e quest’anno sesto al Tour de France, ndr). Mi piace la salita e voglio migliorare a crono, soprattutto perché mi sento un uomo da corse a tappe. Ora al Lunigiana indosso la maglia dei “gpm”, però non è lontana nemmeno quella verde della generale (terzo a 14”, ndr). Nelle prossime tappe farò come oggi. Se vedrò un’opportunità, cercherò di sfruttarla al massimo».

Hagetun forza il ritmo in salita al penultimo passaggio. Una prova generale per quello successivo in cui fa l’allungo decisivo
Hagetun forza il ritmo in salita al penultimo passaggio. Una prova generale per quello successivo in cui fa l’allungo decisivo

Vetrina per Morlino

Fino sulla riga ha accarezzato la vittoria che gli manca dal 2022 quando era allievo, ma Luca Morlino nonostante tutto può essere soddisfatto del suo secondo posto, il più importante dei tre ottenuti in stagione. Con questo piazzamento sale quarto in classifica (a 18”) diventando per il momento il capitano della rappresentativa del Piemonte, dove Capello sta ancora cercando di trovare la giusta brillantezza dopo essere sceso da tre settimane di altura a Livigno con la nazionale in vista del mondiale. Con Morlino riviviamo l’ultimo giro, buttando uno sguardo al salto tra gli U23.

«C’era in fuga il ceco Matejek – spiega il novarese che corre da sempre col GB Team Pool Cantù – e in discesa Frigo, Pascarella ed io ci siamo riportati su di lui, solo che eravamo tutti un po’ stanchi. Avevamo ancora una quindicina di secondi di vantaggio, ma ad un chilometro e mezzo dalla fine sono rientrati altri 5/6 corridori. Ai 300 metri, prima della strettoia, sono partito e fino ai 100 metri ero ancora tutto solo. Peccato perché sapevo di essere abbastanza veloce, ma mi sono mancate le gambe per resistere e non farlo passare. Però sono stato battuto da uno molto forte e va bene così».

«Le discese – prosegue – hanno fatto selezione quanto le salite, tanto che ad inizio tappa ci sono state diverse cadute. Personalmente ho cercato di non prendere rischi, tuttavia restando davanti in ogni frangente. Non voglio correre rischi nemmeno nella semitappa pianeggiante di domani, mentre in quella mossa del pomeriggio bisognerà attaccare subito visto che è una tappa molto corta».

Adesso c’è una generale da curare e dopo il Lunigiana correrà il Trofeo Buffoni per mirare poi ad altri obiettivi. «Mi sto sentendo con qualche team continental – conclude speranzoso Morlino – anche se di concreto non c’è nulla. Visto che l’anno prossimo salgo di categoria, spero che il secondo posto di oggi possa essere un buon biglietto da visita per me».

La terza giornata del Giro della Lunigiana, come anticipato, si dividerà in due. Al mattino semitappa da Equi Terme a Marina di Massa di 54,4 chilometri per una probabile volata. Al pomeriggio si va da Pontremoli a Fivizzano per 52,1 chilometri con un finale in circuito ed in leggera ascesa che chiamerà allo scoperto passisti e uomini di classifica. Non c’è da stupirsi se dovessimo assistere ad un colpo gobbo di qualche corridore.

Friedl detta la sua legge anche nella prima tappa del Lunigiana

04.09.2025
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CHIAVARI – Pronti, via e già il Giro di Lunigiana mette in mostra uno dei talenti più pronosticati alla vigilia. L’austriaco Anatol Friedl conquista la prima tappa grazie ad uno sprint ristretto sul belga Seff Van Kerckhove e Riccardo Del Cucina del Casano (in apertura foto Ptzphotolab), confermando il suo ottimo momento di forma dopo aver vinto la prima prova e la classifica finale della Due Giorni Internazionale di Vertova lo scorso weekend.

In una frazione partita da Genova e corsa a grande velocità, senza che nessun plotoncino riuscisse ad avere spazio per evadere, l’azione decisiva arriva sull’ultima salita di giornata posizionata a 6 chilometri dal traguardo. Tutti i favoriti ci provano e qualcuno invece fa i conti con la sfortuna. Il polacco Jackowiak attacca, ma viene ripreso, mentre Capello viene estromesso dalla contesa da una caduta causata da un francese.

Dopo un altro tentativo a vuoto, l’accelerazione giusta la piazzano Friedl e Del Cucina. Il loro vantaggio è minimo, ma buono per tenere a debita distanza il gruppo tranne Van Kerckhove che rientra sui battistrada proprio al triangolo rosso. Dietro i tre, a dodici secondi chiude la prima parte del gruppo regolato da Magagnotti.

Dietro all’austriaco Friedl (al quarto successo stagionale) si sono piazzati il belga Van Kerckhove e Del Cucina (Casano)
Dietro all’austriaco Friedl (al quarto successo stagionale) si sono piazzati il belga Van Kerckhove e Del Cucina (Casano)

Grande inizio

La salita di Bocco è stata un perfetto trampolino di lancio per Friedl. Lui rompe gli indugi chiamando allo scoperto tutti i più diretti rivali ed il finale sappiamo com’è andato. Per il 18enne in forza al Team Grenke-Auto Eder si tratta del quarto successo stagionale ed anche il primo austriaco della storia a conquistare una tappa al Giro di Lunigiana. Il mirino ora è già puntato sulla generale.

«Oggi – racconta Anatol dopo aver firmato un paio di autografi ad alcuni bambini – sentivo di avere una buona gamba ed una pedalata facile. Fino all’ultima salita non è stata una gara troppo complicata, poi lì ho attaccato ed è diventata molto dura. Ho visto che in due avevamo fatto la differenza e a quel punto abbiamo cercato di resistere fino in fondo alla discesa e quindi sull’arrivo. Sono molto felice della vittoria, non poteva andare meglio di così. Speravo infatti di avere lo stesso livello di Vertova. Nelle prossime tappe voglio provare a conservare la maglia di leader e magari cercare di essere ancora protagonista. So però che non sarà semplice».

Conoscendo Anatol

Friedl confessa ad una televisione locale di non essere mai stato in Liguria e di sicuro non si dimenticherà questa giornata. E’ un ragazzo di poche parole con le idee molto chiare, lo si intravede dallo sguardo. Le voci di mercato per il 2026 lo danno ancora nel gruppo Red Bull nella formazione “Rookies”. Lui intanto ci dice qualcosa in più di lui, indicandoci i prossimi importanti obiettivi stagionali.

«Ho sempre fatto solo ciclismo – spiega – ed ho iniziato a correre a sette anni. Oltre alla strada faccio anche Mtb, dove ho vinto qualche settimana fa il mio secondo campionato nazionale e il campionato europeo in Portogallo. Ho uno buono spunto veloce, vado bene in salita e penso di essere abbastanza completo per il momento. Il mio idolo è Tom Pidcock, mi ispiro a lui. Dopo il Giro di Lunigiana mi concentrerò sul mondiale di Mtb in Svizzera (il 12 settembre, ndr) e poi sull’europeo su strada in Ardeche (il 3 ottobre, ndr). A quel punto sarà tempo di off-season».

Seff Van Kerckhove ama salite e crono, ma sta ancora scoprendo le sue caratteristiche
Seff Van Kerckhove ama salite e crono, ma sta ancora scoprendo le sue caratteristiche

Van Kerckhove, giovane interessante

Secondo sul traguardo di Viale Arata a Chiavari è Seff Van Kerckhove, fratello minore di Matisse visto all’opera all’ultimo Giro NextGen con la Visma | Lease a Bike Development e maglia azzurra nelle prime tappe. Seff durante la stagione corre nella Decathlon AG2R La Mondiale U19 ed è un “primo anno” da seguire con attenzione.

«La tappa di oggi – ci risponde soddisfatto della maglia di miglior giovane – è stata dura, soprattutto per il grande ritmo fin dalle prime salite. Poi sull’ultima ho fatto un grande sforzo per tornare su Friedl e Del Cucina in discesa. Quando li ho ripresi potevo respirare un attimo, ma ho lanciato la volata troppo presto e sono stato superato negli ultimi metri. Sono comunque molto contento di questo secondo posto.

«Ancora non so che tipo di corridore sono – ci dice con una battuta – ma di sicuro non uno che ha uno spunto veloce. Mi piacciono le salite e le cronometro, un po’ come mio fratello (che è stato bronzo iridato a crono nel 2024, ndr), però lui è più forte di me. Sto crescendo step by step. Qua al Lunigiana non ho particolari ambizioni, anche se cercherò di curare la generale. Di base però sono qua per lavorare per la squadra. Dopo di ché preparerò sia il mondiale in Rwanda che l’europeo».

La seconda tappa del Giro di Lunigiana prevede un menù che promette spettacolo. Si parte da Luni e si arriva a Vezzano Ligure, dove la salita che porta al traguardo si affronterà altre due volte, per un totale di 96,3 chilomentri. Con gli juniores non c’è mai nulla di scontato e il terreno per stravolgere tutto non manca.

Mattia Agostinacchio: al Ruebliland cerca la convocazione iridata

04.09.2025
4 min
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La voce di Mattia Agostinacchio esce dal telefono bassa e profonda, nascondendo la sua giovane età dietro un tono sicuro e gentile. Il più giovane dei due fratelli valdostani è alle prese con una leggera influenza che lo ha colpito poco prima del Trofeo Paganessi. Una volta rientrato a casa si è preoccupato di curarsi al meglio per arrivare pronto al Grand Prix Ruebliland, gara a tappe della categoria juniores che si corre in contemporanea al Giro della Lunigiana. La sua assenza dalla Corsa dei Futuri Campioni è una scelta obbligata dal fatto che la Valle d’Aosta non schiererà al via la propria Rappresentativa Regionale

Mattia Agostinacchio, al suo secondo anno juniores, ha raccolto vittorie importanti già in primavera (Photors.it)
Mattia Agostinacchio, al suo secondo anno juniores, ha raccolto vittorie importanti già in primavera (Photors.it)

Oltre le Alpi

Così Mattia Agostinacchio è costretto ad attraversare le Alpi e arrivare fino ai confini con la Germania per correre e preparare questo finale di stagione. L’inverno nel cross ci ha consegnato e fatto conoscere il suo talento, finito anche nel mirino degli squadroni. Mentre la primavera e l’estate hanno enfatizzato la sua capacità di andare forte in bici anche su strada.

«Domani mattina presto si parte – ci dice Mattia Agostinacchio – il viaggio sarà abbastanza lungo, ci aspettano quattro ore di macchina. Se sarò pronto lo si vedrà quando metterò il numero sulla schiena, domenica al Paganessi stavo bene ma avevo già qualche sintomo dell’influenza che mi ha poi accompagnato in questi ultimi giorni».

I risultati del giovane Agostinacchio gli sono valsi una prima convocazione con la nazionale juniores alla Corsa della Pace
I risultati del giovane Agostinacchio gli sono valsi una prima convocazione con la nazionale juniores alla Corsa della Pace
Un quarto posto che vale qualcosa in più allora…

Di gambe stavo bene, credo di aver avuto una buona risposta. In questi ultimi mesi sono migliorato un po’ in tutti gli aspetti. Della preparazione se ne occupa ancora mio fratello Filippo. Mi ha messo qualche ora in più giusto per riuscire ad aumentare il chilometraggio durante le uscite. 

Quindi arrivi pronto per l’ultima parte di stagione?

Vedremo al Ruebliland, al momento non ne sono certo. Ho ancora due giorni per riprendermi pienamente prima di correre in Svizzera. 

Con la maglia dell’Italia è arrivata anche una vittoria di tappa al Trophée Centre Morbihan a giugno
Con la maglia dell’Italia è arrivata anche una vittoria di tappa al Trophée Centre Morbihan a giugno
Quanto ti dispiace non correre il Lunigiana?

Molto, devo essere sincero. Il Ruebliland, in questa edizione, sarà ancora più duro perché nelle tre tappe previste avremo tantissima salita. Avrei preferito andare al Lunigiana perché ha più varietà all’interno delle varie tappe e poi fare cinque giorni di gara permette di mettere qualche chilometro in più. E’ anche vero che correrò altri due giorni una volta tornato in Italia: al Pezzoli e al Buffoni il 13 e il 14 settembre.

In ottica mondiali ed europei ti preoccupa correre lontano dagli occhi del cittì Salvoldi?

No, in queste settimane abbiamo avuto modo di parlare tanto. Siamo stati anche in ritiro a Livigno con la nazionale dal 21 al 30 agosto. Eravamo un gruppetto di cinque che è andato a preparare gli ultimi impegni. Ci siamo allenati bene per una settimana, ma senza esagerare.

Ora Mattia Agostinacchio (il secondo da sinsitra) vuole guadagnarsi un posto per i mondiali di categoria in Rwanda
Ora Mattia Agostinacchio (il primo da destra) vuole guadagnarsi un posto per i mondiali di categoria in Rwanda
Cosa intendi?

Siamo rimasti sulle 20 ore di allenamento, poco più. Un numero buono, vicino alla mia media che di solito si aggira tra le 17 e le 19 ore a settimana. Raramente ho caricato di più e va bene così. 

Hai già visto i percorsi di mondiali ed europei?

Sì, a Kigali saremo sui 120 chilometri con 1.400 metri di dislivello ma ben distribuiti lungo tutto il percorso. Praticamente non ci sarà un metro di pianura. Mentre in Francia i metri verticali saranno meno ma con due salite vere da affrontare a ogni giro. Personalmente preferisco un tracciato come quello del mondiale, quindi meglio recuperare e andare forte per guadagnarsi uno dei tre posti disponibili. 

“Nando” Casagrande al CPS. Un jolly in bici coi ragazzi

04.09.2025
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Qualche giorno fa, tramite le pagine social del CPS Professional Team, Clemente Cavaliere, patron e team manager dello stesso team, aveva annunciato l’arrivo di Francesco Casagrande, per tutti “Nando”, nello staff tecnico della formazione juniores.

«Siamo felici ed onorati di arricchire il nostro staff con persone d’esperienza come Francesco – aveva detto Cavaliere – in questi anni ha dimostrato di fare bene con la categoria immediatamente inferiore, lo dimostrano non solo i risultati, ma anche l’alto spessore tecnico degli atleti da lui guidati. Sono sicuro che godremo di tante belle emozioni».

L’ex professionista e biker toscano torna così protagonista in una nuova sfida: trasmettere la propria esperienza a un gruppo di giovani corridori, con lo stesso spirito combattivo che lo ha reso celebre negli anni ’90 e 2000.

Francesco Casagrande (classe 1970) fu assoluto protagonista al Giro d’Italia 2000 quando indossò la maglia rosa per ben 11 giorni
Francesco Casagrande (classe 1970) fu assoluto protagonista al Giro d’Italia 2000 quando indossò la maglia rosa per ben 11 giorni

L’arrivo al CPS

E’ stato un percorso naturale quello che ha portato Casagrande al CPS. Negli ultimi due anni aveva seguito gli allievi dell’Iperfinish, costruendo con loro un rapporto forte, tanto che alcuni ragazzi, salendo tra gli juniores, hanno chiesto espressamente di proseguire il cammino con lui. «Tre o quattro mi hanno chiesto di rimanere al loro fianco – racconta Casagrande – e siccome la squadra è vicina a casa mia, con Cavaliere abbiamo trovato subito l’accordo».

Il contatto con il manager era già avviato: si conoscevano da tempo e la presenza di alcuni corridori legati al vivaio, come Matteo Luce, ha reso più semplice la convergenza. La squadra juniores nasce così dall’unione tra i ragazzi provenienti dall’Iperfinish e quelli del Casano, per un gruppo totale di quattordici corridori, divisi tra Centro-Nord e Centro-Sud. Una fusione che punta a garantire qualità e prospettiva, con l’esperienza di Casagrande come valore aggiunto.

Francesco a ruota dei suoi ragazzi nella distanza fatta giusto ieri
Francesco a ruota dei suoi ragazzi nella distanza fatta giusto ieri

Il ruolo? Un jolly

Casagrande non avrà un incarico rigido, anche perché ancora non ha ufficialmente una tessera valida per essere diesse tra gli juniores, ma un ruolo trasversale che lo rende prezioso in ogni ambito.

«Sarò un po’ un jolly – spiega – seguo gli allenamenti, la preparazione e poi sarò presente a quasi a tutte le gare. Non ho ancora il patentino da direttore sportivo, ma vivrò il gruppo giorno dopo giorno. La mia figura sarà quella di un riferimento costante, dentro e fuori dalla bici. L’idea è quella di condividere fatica e sacrificio: trasmettere ai ragazzi certi valori.

«Esco in bici con loro due volte alla settimana… e mi tirano anche il collo! Pedalando insieme puoi capire come stanno davvero. Una tabella non basta: se uno è stanco non ha senso caricarlo di ore e lavori. E’ fondamentale ascoltare le sensazioni del corpo. Ecco: il sapersi ascoltare, conoscersi è un aspetto su cui insisto molto».

Un approccio che si lega a una visione più umana della preparazione. Pur riconoscendo che oggi gli juniores lavorano già con cardiofrequenzimetro e potenziometro, Casagrande rivendica l’importanza di un percorso graduale: «Ai miei tempi servivano due anni tra i dilettanti prima di passare professionisti. Oggi tutto è accelerato, ma credo che il ciclismo abbia ancora bisogno di maturazione e sinceramente resto fedele a questa vecchia scuola, diciamo così».

Anche ai fini della tecnica Casagrande sarà un valore aggiunto con la sua esperienza nella MTB
Anche ai fini della tecnica Casagrande sarà un valore aggiunto con la sua esperienza nella MTB

Sul campo con i ragazzi

E’ in strada che Casagrande dà il meglio. Non come preparatore da scrivania, ma come ex corridore che conosce bene fatica e sacrifici. Condividere chilometri può essere un valore aggiunto.

«I ragazzi – dice Francesco – studiano la mattina, tornano a casa, devono allenarsi anche con la pioggia: se vedono che io ci sono, con la mantellina, hanno una motivazione in più. Se fossero soli, magari rinuncerebbero. Magari telefonerebbero e direbbero: “Faccio i rulli”. No, non è così. Nessuna forzatura, ma voglio fargli capire che servono i sacrifici. Che si devono impegnare».


Il suo metodo mescola disciplina e passione, carota e bastone, con un obiettivo chiaro: far capire che impegno e costanza fanno la differenza. «Gli spiego che io ho già corso, che la mia carriera l’ho fatta e che se vogliono i risultati devono lavorare, altrimenti restano indietro. Ogni tanto vanno spronati, ma è giusto così».

E qui, in parte, emergono anche i dettami dell’ex biker: in inverno porta i giovani anche in mountain bike, per variare e divertirsi.

«La mtb – dice Casagrande – resta un gioco, ma è utile per la tecnica e la motivazione. Il bosco, la discesina tecnica, le due ore scarse fatte al pomeriggio d’inverno… sono diversivi che fanno bene. Tra novembre e dicembre spesso siamo usciti in MTB e ci siamo divertiti.

«Inoltre quest’anno abbiamo pure preso due corridori che porterò su qualche gara off-road».

Per il prossimo anno il CPS si avvarrà di 14 corridori (almeno per ora sono questi i numeri)
Per il prossimo anno il CPS si avvarrà di 14 corridori (almeno per ora sono questi i numeri)

Aspettative ed emozioni

E’ inevitabile chiedersi se i giovani sappiano davvero chi sia stato Francesco Casagrande. Alcuni sì, spiega “Nando” altri meno.

«Immersi nell’epoca di Mathieu Van der Poel, Tadej Pogacar e Wout Van Aert…. Ogni tanto li invito a cercare qualche video su YouTube dei miei tempi o di qualche impresa, tipo alla Freccia Vallone, il Giro di Svizzera o al Giro d’Italia. E allora poi li vedi un po’ stupiti, compiaciuti. E tutto sommato fa anche piacere».

La sua vera soddisfazione arriva da altro: «La cosa più bella è quando i ragazzi ti cercano, hanno piacere ad ascoltarti, a chiedere consigli. Questo ti fa sentire importante per loro e ti gratifica».
E’ una sfida che coinvolge anche le emozioni personali. Casagrande ritrova nel ciclismo giovanile lo spirito puro del pedalare, lontano dalle pressioni del professionismo. Ogni crescita, ogni miglioramento dei suoi ragazzi è un piccolo successo che lo riporta indietro… ma sempre pensando a quel che sarà.
Per il movimento juniores, avere un ex professionista del suo calibro non capita spesso. E pedalarci fianco a fianco è un valore raro.

Trittico Rosa, la prima edizione è un successo. E si guarda al futuro

03.09.2025
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Una serie di gare dedicate al ciclismo giovanile femminile, dalle esordienti alle allieve, arrivando anche alla categoria juniores. Il nome dell’evento è Trittico Rosa Alta Marca Trevigiana e uno dei promotori e organizzatori dell’evento è l’Unione Ciclistica Giorgione, nelle figure di Enrico Bonsembiante e Alessandro Ballan. Il campione del mondo di Varese 2008 è diventato presidente dello storico team lo scorso anno e da allora ha lavorato per allargare gli orizzonti del movimento giovanile femminile. 

«La risposta – racconta Ballan – è stata più che positiva da parte delle partecipanti. Il livello dell’organizzazione, invece, è stato di altissimo profilo e i feedback ci hanno fatto grande piacere. Le ragazze si sono trovate benissimo, e per quanto riguarda la categoria juniores hanno preso parte anche le atlete di riferimento del movimento».

Alessandro Ballan, presidente dell’UC Giorgione, è uno degli organizzatori dell’evento
Alessandro Ballan, presidente dell’UC Giorgione, è uno degli organizzatori dell’evento
Tre giorni di gare che hanno permesso a tante atlete di correre…

Le presenze sono state davvero elevate, siamo stati leggermente sfortunati perché il tempo ci ha penalizzati nella giornata di venerdì. Era prevista gara su un circuito cittadino a Castelfranco Veneto, della quale abbiamo ritardato la partenza perché abbiamo aspettato che asciugassero le strade. 

I numeri parlano di 600 presenze…

E’ stato un bel segnale. Chiaramente il numero si riferisce alle partenze totali, considerando che erano tre giorni di gare abbiamo avuto atlete che hanno gareggiato su più giorni. Le adesioni ci hanno fatto capire che questi eventi servono e fanno bene al movimento, il ciclismo giovanile si sta spostando tanto sulle corse a tappe e questo è un primo passo anche per noi. 

La prima edizione del Trittico Rosa Alta Marca Trevigiana era riservato ad atlete delle categorie: esordienti, allieve e juniores
La prima edizione del Trittico Rosa Alta Marca Trevigiana era riservato ad atlete delle categorie: esordienti, allieve e juniores
Che cosa dite di questa prima edizione?

Siamo soddisfatti, ci sono delle cose da sistemare ma parliamo di dettagli che vengono fuori solamente quando si è sul campo. Ad esempio credo sia meglio organizzare una corsa a tappe piuttosto che una tre giorni, in particolare per la categoria juniores. L’impegno e le adesioni potrebbero essere maggiori o comunque si avrebbe un numero costante tra le tre prove.

Avete corso tra Castelfranco Veneto e le Colline di Valdobbiadene, come avete scelto i luoghi?

Castelfranco è casa mia e avevo l’intenzione di fare una gara lì, solo che è difficile organizzare tutto a causa del traffico e dei permessi. Sembra piccola, ma stiamo parlando di una cittadina di 30.000 abitanti. Insomma non è facile mettere tutti d’accordo, con il circuito cittadino ci siamo riusciti. Poi il coinvolgimento di Mosnigo e della zona del Valdobbiadene Prosecco è arrivata grazie al figlio di Angelo Presti, storico organizzatore e figura che ha dato tanto al ciclismo nella zona di Mosnigo.

La prima delle tre giornate prevedeva una corsa in linea in notturna a Castelfranco Veneto
La prima delle tre giornate prevedeva una corsa in linea in notturna a Castelfranco Veneto
Come avete suddiviso le gare?

Dopo la prima sul circuito cittadino di Castelfranco Veneto ci siamo spostati nella zona di Valdobbiadene. Il secondo giorno era in programma una cronometro, volevamo disegnare un percorso più ondulato, ma non è stato possibile a causa delle direttive sulla chiusura del traffico. Abbiamo virato su due circuiti cittadini: uno più corto sul quale hanno corso le esordienti. L’altro, più lungo, era per le allieve e le juniores.

Il terzo e ultimo giorno?

Avevamo la prova in linea, per le esordienti si è trattato di un percorso pianeggiante a Mosnigo. Le allieve hanno fatto lo stesso ma con una variante all’ultimo giro sulla salita verso Follo per rendere la gara dura. Per quanto riguarda le juniores, invece, hanno corso per cinque giri su quest’ultimo percorso molto impegnativo. 

Avete curato anche l’aspetto tecnico?

Molto. Nonostante il circuito cittadino di Castelfranco fosse di soli 1,3 chilometri abbiamo inserito un tratto in pavé. Non una cosa impossibile, però è giusto far capire alle ragazze come si corre su percorsi che non prevedono solo asfalto. Allo stesso modo, nella gara in linea abbiamo inserito tante stradine strette dove era importante correre davanti e restare concentrate. Insomma, un assaggio di ciclismo vero.

Altri appunti che portate a casa?

Uno importante è che il prossimo anno vorremmo anticipare l’evento di una settimana. La vicinanza al Lunigiana e la concomitanza di una corsa in Emilia-Romagna per le juniores (inserita successivamente a calendario, ndr) ci ha tolto qualche partecipante. Il mese di agosto per noi è perfetto, sia per il traffico che per le famiglie, le quali possono seguire le ragazze con maggiore partecipazione.

Patrick Pezzo Rosola: la crescita e il confronto con i giganti

02.09.2025
5 min
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Il cambio di marcia di Patrick Pezzo Rosola è arrivato durante l’estate, e si è concretizzato nel mese di agosto. La prima esperienza con la maglia della nazionale, guidata da Dino Salvoldi, gli ha fatto trovare un colpo di pedale diverso. Da lì, era metà luglio, è arrivato un quarto posto al Trofeo Pian Camuno e la prima vittoria nella categoria juniores su strada. Il più piccolo, e il più testardo (per sua stessa ammissione, ndr) della famiglia Pezzo Rosola ha poi raccolto un secondo posto di assoluto spessore al Trofeo Paganessi lo scorso 31 agosto (in apertura Patrick Pezzo Rosola in maglia Petrucci Assali Stefen Marko, insieme al vincitore Georgs Tjumins e al terzo classificato Anatol Friedl, foto FCI).  

«Diciamo che non me lo aspettavo – racconta Patrick Pezzo Rosola – sapevo che ero in ottime condizioni visto che la settimana prima avevo vinto. Allo stesso modo ero consapevole del livello nettamente più alto del Paganessi, non sapevo bene cosa aspettarmi».

Pochi giorni prima del Trofeo Paganessi Patrick Pezzo Rosola ha trovato la sua prima vittoria da junior al GP Caffè Borbone
Pochi giorni prima del Trofeo Paganessi Patrick Pezzo Rosola ha trovato la sua prima vittoria da junior al GP Caffè Borbone
Sei arrivato secondo in mezzo ai due corridori della Grenke-Auto Eder, com’è stato correre contro di loro?

Difficile, perché vanno tanto forte. Ovviamente si allenano anche di più di me e della maggior parte dei ragazzi in gruppo, hanno altri materiali e una forza completamente diversa. Restare lì con loro e sfidarli però è bello, quando riesci a stargli dietro e a staccarli vuol dire che sei andato davvero forte. 

Tu quante ore ti alleni a settimana?

Tra le quindici e le diciotto ore, poi cerco di fare le cose bene, di riposarmi e godermi tutto quello che un ragazzo di 17 anni fa normalmente. Esco con gli amici, faccio delle camminate, vado a correre ogni tanto. E poi fino a quando c’era la scuola mi sono concentrato sullo studio. 

Dopo la prima esperienza in maglia azzurra Patrick Pezzo Rosola (qui il primo a destra) è cresciuto molto
Dopo la prima esperienza in maglia azzurra Patrick Pezzo Rosola (qui il primo a destra) è cresciuto molto
Quando li vedi arrivare in gruppo sembrano degli alieni o normali come gli altri?

No, li vedi già subito che sembrano fuori dal normale. Già solo a guardarli da fuori capisci che sono superiori.

E’ una cosa che spaventa?

Forse è dal nome della squadra e anche dai loro risultati che pensi di aver davanti corridori superiori. Non fanno paura, però sai che da un momento all’altro possono combinare di tutto.

Arrivare secondo vuol dire che alcuni di loro li hai messi alle spalle…

La gara di domenica (31 agosto, ndr) era dura e con il passare dei giri la selezione era sempre più importante. I ragazzi della Grenke-Auto Eder si sono mossi tutto il giorno, dal canto mio sapevo di dover restare tranquillo. Volevo giocarmi la mia occasione all’ultimo passaggio sulla salita, infatti ho attaccato e sono scollinato con una decina di secondi di vantaggio. Appena iniziata la discesa il lettone (Georgs Tjumins, ndr) mi è venuto a prendere. 

Nel ciclocross il giovane di casa Pezzo Rosola ha fatto vedere ottime cose e nel 2025 aveva già conquistato il tricolore juniores
Nel ciclocross il giovane di casa Pezzo Rosola ha fatto vedere ottime cose e nel 2025 aveva già conquistato il tricolore juniores
Quando sei rimasto da solo con quei dieci secondi di vantaggio ci hai creduto?

Non più di tanto, sapevo che non sarebbero stati sufficienti per arrivare in fondo, poi quelli della Grenke dietro erano in tre e in qualche modo mi sarebbero tornati sotto. Per fortuna si è mosso solo Tjumins, una volta rimasti in due ho iniziato a credere di più nella vittoria. Ho collaborato perché nel ciclismo non si sa mai, ma nel falsopiano verso l’arrivo mi ha staccato.

Si è trattato di un tuo primo grande risultato in una gara lunga e difficile, è cambiato qualcosa?

Di solito in gare sopra un certo chilometraggio mi trovo peggio rispetto a quelle più corte, arrivando dal ciclocross non sono mai stato abituato a fare tanti chilometri. Qualcosa è cambiato con l’estate, perché dopo un inverno intenso a correre sul fango non ho caricato molto. Poi avevo la scuola e dovevo fare gli esami. Ho fatto un istituto professionale di tre anni, elettricista, e a giugno ho fatto l’equivalente della maturità. Una volta finito tutto ho avuto modo di allenarmi di più sulle lunghe distanze. 

Il Giro della Lunigiana, che inizierà il prossimo 4 settembre, sarà un’altra prova importante per la sua crescita
Il Giro della Lunigiana, che inizierà il prossimo 4 settembre, sarà un’altra prova importante per la sua crescita
Tanto da aver trovato anche la prima vittoria al GP Caffè Borbone…

Alla fine mi mancava solo il successo, quindi è stata una bella riscossa anche da tutta la stagione. Su strada non vincevo da un po’ e dopo tanti piazzamenti è stato bello anche ritrovare il gradino più alto del podio.

Ora si fa rotta verso il tuo primo Lunigiana, emozioni?

E’ la prima vera gara tappe che faccio, soprattutto con un livello così alto. Il morale sarà più elevato rispetto al Baron, ma vedremo come andrà. Non mi aspetto nulla. So solo che sarà la mia ultima corsa su strada prima di fermarmi e preparare la stagione di ciclocross. 

Il più piccolo di casa ha imparato ad ascoltare un po’ di più i consigli, ma a volte gli piace fare di testa sua
Il più piccolo di casa ha imparato ad ascoltare un po’ di più i consigli, ma a volte gli piace fare di testa sua
Sei ancora il testardo della famiglia?

Ancora sì, ma ultimamente cerco di ascoltare di più gli altri, soprattutto mio fratello Kevin. Con il passare degli anni ho capito che aveva ragione su tante cose sulle quali ci “scontravamo”. La principale direi che è l’alimentazione in gara, quando ero allievo mi ripeteva di mangiare in corsa per non arrivare stanco e svuotato alla fine. Io non lo ascoltavo perché comunque andavo bene. Poi quest’anno ho visto che in gruppo tutti mangiavano e prendevano dei gel, così mi sono chiesto se non stessi sbagliando. Ho iniziato a curare l’alimentazione anche io e ho visto che riesco a recuperare meglio. 

Vi allenate insieme?

Ora che sono junior sì, riusciamo a uscire due o tre volte a settimana. Ma sugli allenamenti decido se ascoltarlo o meno a seconda di come mi gira (ride, ndr).

Amadio: «Non mancano gli atleti, serve attrarre investimenti»

29.08.2025
6 min
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Roberto Amadio in questi giorni si sta alternando tra il lavoro per la Federazione, i risultati ottenuti e le gare che si stanno correndo. In pista la campagna di Apeldoorn e Anadia ha regalato tanti successi, mentre alla Vuelta i nostri atleti si stanno facendo vedere con insistenza. Poi c’è il Tour de l’Avenir, che da ieri è entrato nelle due giornate più dure con le tappe di montagna (in apertura foto Instagram/Tour de l’Avenir). 

«I nomi ci sono – ci anticipa il team manager della Federazione – basta guardare i risultati ottenuti alla Vuelta e prima. La pista si è confermato uno dei fiori all’occhiello del nostro movimento, e anche tra gli under 23 e gli juniores siamo messi bene. Sento parlare di crisi del ciclismo giovanile italiano, dipende da quale punto di vista si guarda il tutto».

I recenti mondiali juniores di Apeldoorn hanno dimostrato che il settore pista è sempre più forte (foto FCI)
I recenti mondiali juniores di Apeldoorn hanno dimostrato che il settore pista è sempre più forte (foto FCI)

Devo team

La riflessione di Amadio anticipa le nostre domande, così ci troviamo subito la strada aperta per instaurare un discorso partito nei giorni del Giro Next Gen e che fa seguito all’editoriale uscito lunedì 25 agosto. Lo spunto per iniziare a parlare di tutto questo arrivò con le parole di Roberto Bressan nel pomeriggio in cui Jakob Omrzel, sloveno del team Bahrain Victorious Development (ex CFT Friuli), ha vinto il Giro Next Gen. «Per noi del CTF – ci disse – diventare devo team era ormai un passo necessario per non scomparire».

«E’ una rivoluzione – commenta Amadio – nata dall’UCI, organo che sta al di sopra delle varie Federazioni nazionali. L’avvento dei team WorldTour e dei devo team è stato un passaggio fondamentale nell’evoluzione del ciclismo. Il fatto che le squadre di vertice possano avere la loro formazione continental (di fatto questo è un devo team, ndr) e che si possano scambiare i corridori ha reso difficile la vita ai nostri team continental che non hanno questa possibilità di sbocco».

La vittoria di Ciccone a San Sebastian, un successo in una corsa di primo livello che mancava da tempo
La vittoria di Ciccone a San Sebastian, un successo in una corsa di primo livello che mancava da tempo
Un ragazzo è attratto dall’idea di correre nei devo team

E’ normale sia così, per ambizioni e per occasioni. Ma questo è un discorso che ha investito tutte le Federazioni. L’Italia è stata maggiormente colpita da tale processo perché ha un sistema basato su formazioni nazionali e regionali. In qualche modo anche Francia e Spagna avevano un sistema simile al nostro.

Con l’eccezione di avere team WorldTour?

Questo fa un’enorme differenza. La Francia ha cinque squadre al massimo livello tra i professionisti, e ognuna di loro ha un devo team. Praticamente hanno più posti che corridori. Quello che è mancato a noi è avere una formazione WorldTour capace di costruire un sistema di sviluppo appetibile. I nostri ragazzi vanno all’estero, non li perdiamo ma sicuramente diventa difficile seguirli. La Federazione però ha fatto tanto. 

In che modo?

A livello juniores e under 23 proponiamo un calendario internazionale importante nel quale corriamo gran parte delle prove di Nations Cup. Oltre a fare attività è anche un modo per permettere ai nostri atleti di correre gare di primo livello. Non è facile riuscire a coordinare il lavoro insieme agli altri team.

Anche perché ci si trova a parlare con squadre di altri Paesi che non hanno a cuore l’interesse della nostra Federazione.

Certamente con loro (i devo team, ndr) il dialogo diventa difficile. Ci troviamo a parlare con tante teste diverse e organizzare gli impegni in modo da avere i corridori è sempre più complicato, in particolare con gli under 23. Per quanto riguarda gli juniores il dialogo è più facile.

La Federazione ha lavorato duramente per permettere agli atleti di tutte le squadre (continental e club) di fare esperienza internazionale (foto Tomasz Smietana)
La Federazione ha lavorato duramente per permettere agli atleti di tutte le squadre (continental e club) di fare esperienza internazionale (foto Tomasz Smietana)
Il rischio è che il prossimo salto porti all’indebolimento delle Federazioni, si dice che dal 2026 il Tour de l’Avenir diventerà una gara per team. 

Noi ci auguriamo di no, questo potrebbe portare a un minor numero di atleti italiani al via. Magari rimarrà lo stesso ma non avranno modo di correre da protagonisti. Servirebbe rafforzare le nostre squadre, ad esempio la scelta di Bevilacqua (MBH Bank-Ballan-CSB, ndr) di diventare professional è lodevole. Non essendo un devo team e non riuscendo ad attrarre corridori di primo livello hanno deciso di fare un salto importante. 

MBH Bank, Biesse-Carrera, CTF, sono squadre che hanno fatto un salto grazie a investimenti stranieri. Da fuori vedono le nostre qualità e investono, da dentro questa cosa non arriva.

Manca la volontà di investire, deve muoversi qualcosa anche a livello politico. Anzi, soprattutto a livello politico. E’ un problema che attanaglia tutto il sistema sport in Italia, serve una politica di defiscalizzazione. Senza questa, e con la crisi economica che viviamo, è difficile pensare a un progetto a lungo termine. 

Stiamo vivendo la stessa cosa di qualche decennio fa: gli sponsor scappano. 

Negli anni 2000 avevamo undici formazioni di alto livello e bastavano budget da 5 o 6 milioni di euro. Quando la spesa si è alzata sono spariti gli investimenti. La stessa cosa la vivono ora le formazioni continental. Qualche anno fa serviva 1 milione di euro per fare una squadra, ora il prezzo è raddoppiato. 

Serve chi riesca a mettere tutti sotto lo stesso tetto?

Serve che le varie Federazioni e il CONI trovino un modo per aumentare gli investimenti e le sponsorizzazioni. Inoltre la nuova legge sulle ASD ha sì regolarizzato tutto ma ha peggiorato la qualità della vita alle piccole realtà che vivevano di volontariato. Il tema centrale è questo, attrarre risorse.

Ciclismo giovanile: la passione non basta più per tenerlo vivo

26.08.2025
5 min
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Le notizie che negli ultimi mesi sono arrivate dal ciclismo giovanile, in particolare dal mondo degli juniores, ci mettono davanti a un futuro tutt’altro che sereno. Tante squadre chiudono, come il Team Fratelli Giorgi e l’Aspiratori Otelli e non ne mancheranno di certo altri. Ci si lamenta del fatto che il ciclismo italiano sia in difficoltà e che da tempo fatichi a competere, in maniera regolare, con i vertici del movimento. Tutto questo è vero, ma non si deve guardare solo alla punta della piramide. Il ristagno del ciclismo in Italia e la sua non-crescita affondano le radici in problemi evidenti ma che si fa finta di non vedere. 

Chi tra tanti problemi riesce a condurre la propria barca in porto è la SC Romanese, guidata dall’ex corridore Redi Halilaj che da ormai quattro anni lavora con la formazione juniores bergamasca. Non è facile riuscire a coordinare il tutto. Servono energia e passione, due ingredienti fondamentali che però iniziano a scarseggiare all’interno del movimento. 

«La nostra fortuna – ci racconta mentre si gode qualche giorno di ferie a casa con il figlio – è che abbiamo uno sponsor principale, CarBa, estremamente convinto e appassionato. Ogni anno ci dà un grande supporto economico e non ci fa mai mancare nulla, come del resto tutti gli altri che sono entrati in questa squadra».

I ragazzi della SC Romanese hanno corso la Watesley Junior Challenge in Olanda, una corsa a tappe internazionale di tre giorni
I ragazzi della SC Romanese hanno corso la Watesley Junior Challenge in Olanda, una corsa a tappe internazionale di tre giorni

La voglia di non mollare

La parola che più sintetizza gli argomenti in questa intervista è “passione”. Nel ciclismo giovanile italiano non può mancare, perché laddove non si arriva con il budget lo si fa con la voglia e l’entusiasmo di chi vive certe realtà.

«In Italia – prosegue – il movimento giovanile va avanti perché ci sono molti appassionati che dedicano il proprio tempo libero a questo sport e ai ragazzi. Nella nostra squadra tutti i collaboratori spendono gran parte delle proprie ferie e dei permessi al lavoro per seguire gli atleti alle gare e nei ritiri. Personalmente, sui trenta giorni di ferie che accumulo in un anno ne dedico dieci alla famiglia e il resto al team. A volte, quando sento parlare certa gente, sembra che in Italia non siamo più bravi a fare niente, non penso sia così. Credo solo che all’estero il ciclismo sia cambiato, mentre noi siamo rimasti fermi».

La collaborazione con il Team DSM è legata solamente alla parte tecnica e di test con colloqui bimestrali tra i membri dello staff e i ragazzi
La collaborazione con il Team DSM è legata solamente alla parte tecnica e di test
Cos’è cambiato?

Facciamo fatica a livello economico, non c’è paragone con molte realtà estere dove lo staff viene pagato per quello che fa. Per loro è un lavoro, per noi una passione. Ci lamentiamo che non c’è ricambio generazionale, ma per un ragazzo di vent’anni venire a seguire una gara vuol dire sacrificare il proprio tempo, ed è giusto che questo venga riconosciuto anche a livello economico. Di recente siamo stati in Olanda e abbiamo potuto toccare con mano le differenze.

In che senso? 

Abbiamo corso alla Watersley Junior Challenge, una corsa a tappe di tre giorni. E’ un’esperienza che siamo riusciti a fare grazie alla collaborazione con il team DSM. Loro ci hanno aperto le porte ma la trasferta è stata a carico nostro, sia chiaro. Ancora una volta lo sponsor ci ha permesso di viaggiare e fare qualcosa di bello per i ragazzi. Lì però ci siamo confrontati con diversi team stranieri. 

Il ciclismo giovanile, in Italia, va avanti grazie alla passione e al volontariato, serve forse un cambio di marcia? (foto Instagram)
Il ciclismo giovanile, in Italia, va avanti grazie alla passione e al volontariato, serve forse un cambio di marcia? (foto Instagram)
E cosa è emerso?

Che l’arrivo dei devo team nella nostra categoria ha creato un divario importante tra le varie squadre. Queste realtà possono permettersi di avere persone pagate per fare questo di lavoro, senza parlare del vantaggio sui materiali. Al di là della parte tecnica rimane una questione di costi. Noi dobbiamo comprare biciclette, ruote, kit, misuratori di potenza, ecc… Queste squadre ricevono il materiale dal team WorldTour. 

Invece da noi si deve cercare l’equilibrio.

La SC Romanese non fa mancare nulla agli atleti però sono costi importanti e si deve ponderare bene la spesa. Se forniamo ai ragazzi materiale di primissimo livello non abbiamo abbastanza budget per le corse. In questo modo diventa difficile fare tutto, anche trattenere i ragazzi in Italia perché molti già da junior guardano all’estero. Se a questo poi aggiungiamo le spese per prendere i corridori fuori regione il tutto si complica.

All’estero molti team riescono a lavorare con una struttura organizzata (foto Facebook Watersley Cycling Team)
All’estero molti team riescono a lavorare con una struttura organizzata (foto Facebook Watersley Cycling Team)
Spiegaci meglio…

Noi il prossimo anno prenderemo due ragazzi dalla categoria allievi e dovremo pagare i punti sia alla Federazione sia alla società di appartenenza. Questo vuol dire spendere anche solo 3.000 euro per due corridori. Capite bene che in questo momento ogni spesa si ripercuote poi sulle nostre possibilità. Inoltre quando i ragazzi passano da allievi a juniores di solito hanno più punti rispetto a quando passano da juniores a under 23. 

Perché?

Per il semplice fatto che da allievi ci sono tante gare regionali e accumulare molti successi, e quindi punti, è più facile. Da juniores si corre spesso in competizioni nazionali o internazionali e non sempre si raccolgono tanti punti. Questo sistema andrebbe ricalibrato, sicuramente. Inoltre è una cosa che abbiamo in Italia, perché all’estero non esiste. Spesso le squadre straniere che prendono i ragazzi dall’Italia non pagano e devono rimetterci le famiglie

Si dovrebbe trovare il modo di far arrivare più soldi dall’alto?

Sarebbe corretto. Il rischio è che se si va avanti così molte squadre possano chiudere. D’altronde se la passione è l’unico motore che fa camminare il movimento giovanile è possibile che la sua energia prima o poi finisca. Sento tante critiche ai team manager, ma c’è chi fa questo lavoro da trent’anni senza vedere un euro, e ha sacrificato gran parte della propria vita.

1995-2025: Nocentini, come sono cambiati gli juniores?

16.08.2025
6 min
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Leggendo l’intervista a Riccardo Del Cucina pubblicata pochi giorni fa, il nome di Rinaldo Nocentini (saltato fuori fra le righe come suo preparatore) ha acceso la nostra curiosità. In primis perché non sapevamo che l’aretino si dedicasse alla preparazione di atleti. E poi perché giusto trent’anni fa, il 30 luglio del 1995, il “Noce“ conquistava il podio ai mondiali juniores di San Marino, dietro Valentino China e Ivan Basso. Così, col pretesto di salutarlo, gli abbiamo chiesto di fare un paragone fra il suo ciclismo di allora e quello cui sta preparando il giovane atleta toscano.

Il 1995 è una vita fa. In Italia inizia la diffusione della linea GSM, con la possibilità di sfruttare la messaggistica dei cellulari. I social non esistono. Al governo c’è Dini. Di Pietro lascia la magistratura dopo la stagione di Mani Pulite e finisce a sua volta sotto inchiesta. La lira soffre sui mercati internazionali. La Juventus vince il 23° scudetto, Rominger il Giro, Indurain il quinto Tour (nell’anno tremendo della caduta di Casartelli) e Jalabert la Vuelta, come pure Sanremo e Freccia Vallone. Ai mondiali di Duitama, Olano conquista l’iride davanti a Indurain e Pantani, che subito dopo rimane coinvolto nella caduta di Superga. Quel giorno a San Marino il podio iridato e lo sventolare del tricolore annunciano una grande stagione per il ciclismo italiano.

Nel 1995 ai mondiali juniores di San Marino, podio italiano: oro a China, poi Basso e Nocentini (foto Libertas.sm)
Nel 1995 ai mondiali juniores di San Marino, podio italiano: oro a China, poi Basso e Nocentini (foto Libertas.sm)
Prima di tutto, caro Rinaldo Nocentini, perché conosci Riccardo Del Cucina?

Lo conosco perché lui è di Montemarciano, che è a un chilometro da casa mia. Conoscevo suo padre che correva da dilettante e tre anni fa mi chiese se gli davo una mano con gli allenamenti e da allora è rimasto con me. Quindi non faccio il preparatore, ma seguo soltanto lui. Le cose sono cambiate davvero molto, anche da quando correvo io (Nocentini si è ritirato nel 2019, ndr). Per fortuna, avendo passato parecchio tempo con Pozzovivo, mi sono sempre confrontato con lui sulle preparazioni moderne, per cui riesco a seguirlo bene.

In che modo ti allenavi nel 1995 quando eri uno junior?

Mi ricordo che noi, abitando qua e andando a scuola, eravamo un gruppetto di 4-5. C’era un tale di Pontassieve che veniva a prenderci con il pulmino e ci portava a San Miniato e facevamo l’allenamento tutti insieme il pomeriggio. E ci allenavamo tipo corsa, le salite si facevano a tutta. Ci allenavamo il martedì e il venerdì e poi la domenica andavamo a correre.

Facevate lavori specifici?

Proprio no. Mi ricordo d’inverno un po’ di palestra, ci facevano camminare in montagna e il resto della condizione me la dava la bicicletta. Ho iniziato a fare i lavori con Marcello Massini, da dilettante alla Grassi Mapei.

Nocentini ha affinato le sue conoscenze sulla preparazione stando a lungo con Pozzovivo
Nocentini ha affinato le sue conoscenze sulla preparazione stando a lungo con Pozzovivo
In nazionale con il cittì Fusi non facevate lavori?

Facemmo il ritiro a Livigno. Mi ricorderò sempre l’Albula fatta senza mani per il potenziamento. Senza mani perché ci dicevano di non tirare sul manubrio e allora, per evitare che lo facessimo ugualmente, facevamo le ripetute senza mani per forzare solo con le gambe.

Si correva più o meno di ora?

Si correva solo la domenica, non c’erano tante corse a tappe. Il Lunigiana, poi ricordo una corsa a tappe in Valle d’Aosta, ma per il resto l’attività era limitata. In più correvamo con i rapporti limitati, con il 52×14. Devo dire che quando passai dilettante, l’adattamento fu graduale, perché Massini ai ragazzi giovani permetteva di correre poco e di adattarsi ai ritmi e alle distanze. 

Da junior pensavi già al professionismo?

Ce l’avevo nella testa, anche perché ero uno che aveva sempre vinto. Nel senso che se al secondo anno da junior vinci dieci corse e fai terzo al mondiale, sai che il sogno del professionismo è possibile. Ma sapevo anche che la strada fosse parecchio lunga. La mia fortuna fu che dopo il primo anno da U23, la Mapei mi mise sotto contratto, a patto che rimanessi per tre anni nelle categorie giovanili. E infatti passai nel 1999.

Quanto era lunga la distanza che facevi in allenamento?

Per quel che mi ricordo, si parlava di un’ottantina di chilometri, 90 massimo. Anche perché, allenandomi dopo la scuola, si cominciava alle tre e mezza del pomeriggio e si tornava in tempo per studiare e poi andare a cena. Non si mangiavano cose particolari. Il petto di pollo e un po’ di pasta prima della corsa, però durante la settimana mangiavo quello che faceva mia mamma.

Per Del Cucina un buon 4° posto nella seconda tappa del Medzinárodné dni Cyklistiky (foto FCI)
Per Del Cucina un buon 4° posto nella seconda tappa del Medzinárodné dni Cyklistiky (foto FCI)
E adesso parliamo di Riccardo Del Cucina…

Bè, per cominciare, il Casano in cui corre lavora con Erica Lombardi, quindi hanno il supporto della nutrizionista anche per i giorni della settimana. Sono seguiti come se fossero già professionisti. Il loro preparatore è Pino Toni, ma Di Fresco ha detto che di me si fida e quindi gli sta bene che lo segua io. Per cui imposto le settimane e la stagione dopo aver visto il programma di gare. A quel punto passo il programma alla nutrizionista, che calibra la parte alimentare. Mi regolo molto anche guardando il momento del ragazzo.

Ad esempio?

Ultimamente è andato forte, ha vinto una tappa al Valdera e fatto quarto di tappa con la nazionale (foto sopra, ndr). All’ultimo però lo vedevo stanco, per cui gli ho detto di mollare, di divertirsi sulla bici. Di non fare lavori e di rilassarsi di testa. Infatti subito dopo è andato forte e ora sta lavorando per un bel finale di stagione e nel frattempo ha fatto anche lo stage di allenamento con la Tudor.

Il suo programma settimanale somiglia al tuo di trent’anni fa?

No, le ore sono di più e vedendo i suoi watt, bisogna dire che sono quasi gli stessi di quando ero io professionista. Lui il professionismo ce l’ha fisso in testa. Quest’anno ha smesso di andare a scuola, passando a un corso on line: ha fatto l’esame finale a Roma e ora può pensare solo alla bici. Lo scorso inverno il padre mi ha chiesto che cosa potesse fare per iniziare bene la stagione. Gli ho detto di portarlo a Calpe e di farlo lavorare per un mesetto, è finita che sono stati per due mesi. Però all’inizio di stagione volava, lui fa proprio tutto per la bicicletta. Il padre mi ha detto che per lui gli juniores sono il trampolino per il professionismo.

E tu sei d’accordo?

Potrebbe avere ragione. Può andare in una squadra come la Tudor, se lo prendono, in cui farebbe un calendario come quello dei Reverberi. Altrimenti ho idea che se finisce in una squadra di dilettanti che fa solo attività locale, rischia di non venire fuori.

Secondo Nocentini, lo stage con il Tudor Development Team potrebbe essere un ottimo step di crescita per Del Cucina
Secondo Nocentini, lo stage con il Tudor Development Team potrebbe essere un ottimo step di crescita per Del Cucina
Che corridore potrebbe diventare?

Lui è parecchio veloce. Prima faceva le volate di gruppo, però quest’anno gli ho fatto anche cambiare un po’ gli allenamenti, nel senso che ha fatto più salita. Non a caso, le due corse che ha vinto avevano entrambe l’arrivo in salita.

Torniamo al Nocentini del 1995: spingendo più sul gas, saresti stato in grado di passare professionista a 19 anni?

Penso di no, perché prima era totalmente un altro mondo. Non si era pronti per andare a fare i professionisti subito, mentre ora a 19 anni vedi arrivare Evenepoel che vola e non c’è soltanto lui. Prima era difficilissimo, magari ci potevi provare, però dopo un paio d’anni non ti vedevano più.

Quanto è lunga una sua distanza?

Saranno 120-130 chilometri. Però se l’anno dopo vai in una squadra che ti porta alla corsa a tappe con i professionisti, bisogna che un minimo ti abitui alla fatica. Perché di là se ne fa davvero tanta, questo glielo ripeto ogni giorno…