Terzo posto al Giro del Friuli per U23. Potrebbe sembrare un risultato come tanti. Per Nicolò Garibbo non è così. E’ l’apertura verso un mondo nuovo, prospettive diverse, una nuova realtà come corridore. Anzi, è quasi la scoperta di un nuovo se stesso, scaturito, lui come altri nel recente passato, dall’aver accettato la proposta di correre per una squadra del Sol Levante, il Team Ukyo.
Sembra diventato un ritornello, quello della formazione giapponese che rilancia corridori italiani ma sono i fatti a dimostrarlo. E il corridore ligure vuole inserirsi in questo fortunato filone, lanciandosi da un risultato internazionale di prestigio verso una nuova dimensione.


«Io questo risultato non me lo aspettavo, non ero partito per questo. Sapevo di avere una buona condizione perché avevamo corso anche in Repubblica Ceca precedentemente e io non ero neanche selezionato per la corsa friulana. Poi un mio compagno ha avuto un problema fisico e quindi mi hanno inserito in squadra la settimana stessa. Il mio ruolo era quello di supportare il leader che era Fancellu o in alternativa Raccani o Zeray».
In quale maniera?
Le solite cose: entrare nelle fughe, i lavori nella prima parte, andare a prendere le borracce, ma poi la corsa si è evoluta in maniera inaspettata.


Quanto ha influito il fatto della cancellazione della terza tappa?
Secondo me tanto perché sicuramente quella tappa lì era veramente dura e avrebbe fatto dei bei distacchi. Non so se in quel caso sarei riuscito a fare classifica. Tra l’altro in quella tappa lì ero anche in fuga e quindi ci hanno ripreso poco prima della neutralizzazione. E’ l’unico rammarico, magari avendo avuto quella tappa lì più dura, potevamo vincere la generale con Fancellu perché era in una buona condizione. Alla fine si è deciso tutto l’ultima tappa, che era dura ma non abbastanza selettiva, quindi poi c’erano tanti rientri.
E’ stato un Giro del Friuli duro o meno duro degli altri anni, proprio considerando che è stata tolta la tappa principale?
Il livello era alto, considerando che c’erano praticamente tutti i devo team delle WorldTour e anche qualche corridore già titolare nelle squadre pro’. E’ chiaro però che la tappa annullata ha influito, sparigliando un po’ le carte perché la salita prevista era veramente impegnativa, quindi sarebbe rimasta nelle gambe per l’ultimo giorno.


La neutralizzazione è stata una decisione giusta?
Secondo me sì. Io non so esattamente dove sia avvenuto l’incidente, ma noi dovevamo anche rifare la salita, l’avevamo fatta in discesa per due volte, poi avremmo dovuto ripercorrerla in senso inverso. Nel caso in cui fosse stato lì l’incidente, mi sembrava abbastanza fuori luogo considerando anche la presenza di Carabinieri o comunque di chi era deputato a fare gli accertamenti e anche i sanitari. Per questo penso sia stata una decisione giusta, in certi casi l’aspetto sportivo deve passare in secondo piano.
Tu quest’anno sei nella formazione giapponese e anche tu stai raccogliendo bei risultati, sicuramente superiori a quella passata. Ma qual è il segreto del Team Ukyo, dove tanti italiani passano e rifioriscono?
Quando passiamo in questa squadra, troviamo un ambiente totalmente diverso da dove eravamo abituati prima, perché è molto professionale. Abbiamo già molto tempo prima il nostro calendario, i nostri preparatori, quindi riusciamo a programmare bene le gare e già quello è un vantaggio. Io ero abituato a correre sempre e a volte anche delle gare magari improvvisate all’ultimo, così non si riusciva mai ad arrivare agli appuntamenti importanti. Ma c’è anche altro…


Ad esempio?
Bisogna considerare anche il materiale: abbiamo delle belle biciclette, sicuramente performanti, leggere, doppia bici da allenamento e gara e poi credo che anche il direttore sportivo faccia la differenza. Emanuele è veramente portato per questo lavoro e alle gare comunque siamo un bel gruppo, ridiamo, scherziamo. C’è un bel clima e quello influisce molto. Boaro è davvero competente in quello che fa, noi arriviamo alle gare che sappiamo già lo svolgimento, la tattica da seguire, ma anche i punti importanti, ossia dove c’è il vento laterale, dove può esserci un punto pericoloso per le fughe. E’ un bel passo in avanti.
Tu per il prossimo anno che prospettive hai? Rimarrai nel team o stai guardando altrove?
In questo momento diciamo che il mio futuro è qua. La squadra mi ha confermato e io mi trovo bene. Poi da qua a fine stagione magari se riuscissi a ottenere qualche bel risultato e si facesse avanti qualche proposta di quelle veramente corpose, importanti, per salire di categoria allora la prenderò in considerazione. D’altronde anche per il team penso che l’obiettivo sia di cercare di farci salire ancora di livello. Qua diciamo che ho trovato la dimensione giusta, è un piacere alla fine correre per questa squadra.


Cambia molto per il vostro team correre in Italia, quindi dove è predominante la parte italiana, o quando correte invece in Estremo Oriente, quindi predomina la parte giapponese?
No, le uniche differenze sono magari il livello delle gare o comunque i corridori che ci sono, ma lo staff bene o male è quasi lo stesso in Italia e in Giappone. E’ un gruppo ben integrato, alla fine comunichiamo con l’inglese, è la lingua universale con cui possiamo intenderci anche con la parte nipponica.
Che cosa chiedi a quest’ultima parte di stagione?
Spero sicuramente di aver ritrovato un po’ la fortuna che quest’anno mi è un po’ mancata ad inizio stagione, quando mi ero rotto il gomito. Poi tante cadute, sembrava sempre che mi trovassi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Nell’ultimo mese sembra che le cose girino meglio, quindi spero che da qua a fine stagione mi possa togliere qualche soddisfazione di quelle mancate quando ci speravo.









































































