A tu per tu con l’iridato Hatherly. Che su strada ci sa fare, eccome…

23.02.2025
6 min
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Nel 2024 le sfide fra Pidcock e Hatherly nella mountain bike sono state per certi versi il leit motiv della stagione, contraddistinguendo anche la gara olimpica con il britannico primo e il sudafricano terzo. Dopo, però, Hatherly ha completato la sua stagione portando a casa sia la Coppa del Mondo che il titolo mondiale di cross country. Nel frattempo maturava la sua decisione di mettersi alla prova nel ciclismo su strada, accettando la proposta della Jayco AlUla.

Ha fatto quindi un certo effetto rivederlo, a inizio stagione, protagonista all’AlUla Tour sfidarsi proprio con Pidcock, riproporre quel confronto serrato ma con bici diverse. E se la vittoria del britannico poteva anche essere messa in preventivo conoscendo la sua esplosività e la sua fame di vittorie su strada, la prestazione del sudafricano ha sorpreso, con due podi, 6° posto finale e, pochi giorni dopo, la conquista del titolo nazionale a cronometro.

Il podio della Mtb a Parigi con Hatherly terzo insieme all’oro di Pidcock e a Koretzky (FRA)
Hatherly sul podio a Parigi 2024, terzo nella gara vinta ancora da Pidcock, come 3 anni prima

Un esordio inaspettato

Intercettato in Spagna, alla Vuelta a Andalucia (sfortunata e chiusasi in anticipo), Hatherly si è sottoposto di buon grado alla sua prima intervista da “stradista”, partendo dalle sue aspettative dopo un cambio così profondo.

«Mi sono preparato molto bene per questa scelta. Ho riposato meno degli altri anni a fine stagione, proprio perché con la squadra avevamo stabilito di essere subito in gara. E io volevo iniziare col piede giusto, mettermi subito alla prova. E’ andata davvero bene per me, ma sapevo che la potenza c’era. Si trattava più di posizionamento e apprendimento di nuove tecniche, ma se tutto andava liscio, sapevo che un risultato era possibile».

Che cosa ti ha convinto a passare alla strada?

Penso di aver appena raggiunto un punto della mia carriera in cui volevo imparare di nuovo, uscire dalla mia zona di comfort. Era l’occasione perfetta per mettermi alla prova. E penso che questo mi renderà un atleta migliore nel progetto a lungo termine che mi aspetta e che è focalizzato sulla conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi.

Il sudafricano all’AlUla Tour, dove ha colto due podi finendo 6° in classifica. Davanti, ancora Pidcock…
Il sudafricano all’AlUla Tour, dove ha colto due podi finendo 6° in classifica
Avevi già corso gare negli ultimi due anni, ma era un Hatherly diverso da quello di oggi?

Sì, di sicuro. Penso di essermi sviluppato come atleta negli ultimi due anni, solo ora sto raggiungendo l’apice della mia carriera. Penso di avere ancora molto da migliorare, ma il mio motore sta diventando sempre più potente e la strada è fondamentale in questo. Sai, in passato non mi sono concentrato molto sulle corse su strada. E’ stato più un esercizio di allenamento, ma ora ci ho preso gusto, al di là del contratto. Mostrerò ancora di più col passare del tempo.

In mountain bike sei il campione del mondo, su strada che corridore pensi di poter diventare, da classiche o da corse a tappe?

Non so dare una risposta, non saprei indicare una categoria che mi calzi a pennello, ma se dovessi indovinare ora dalle poche gare che ho fatto, mi piace molto la salita e le corse a tappe in particolare. Penso che quel tipo di gara e quel tipo di lavoro di squadra mi si addicano. Ma nonostante tutto, non vedo l’ora di partecipare ad alcune delle gare di un giorno in calendario, come le classiche delle Ardenne. Saranno un bel test per vedere come me la cavo nelle gare di un giorno.

Alan ha trovato grande aiuto fra i compagni di squadra, che hanno subito visto le sue qualità
Alan ha trovato grande aiuto fra i compagni di squadra, che hanno subito visto le sue qualità
Essere un biker ti dà qualcosa di più?

Sì, penso che la maneggevolezza della bici sia davvero elevata. L’esperienza accumulata in mountain bike mi dà un po’ di sicurezza per essere molto preciso e rilassato durante le manovre e penso che forse il più grande vantaggio sia essere davvero esplosivo e in grado di mantenere alta potenza per un lungo periodo di tempo, perché ovviamente nella mountain bike non ci sono tante tattiche di squadra, è uno sport più individuale, quindi penso che quel background mi aiuterà davvero ad andare avanti, in quanto sono in grado di sostenere gli sforzi a lungo ed essere abbastanza esplosivo per farcela.

Sei stato il più grande sfidante di Pidcock lo scorso anno, ora te lo sei ritrovato davanti su strada all’AlUla Tour. Nella vostra sfida hai trovato qualcosa di diverso?

Non poteva essere la stessa cosa, per me la strada è ancora molto nuova. Penso di dover ancora pagare dazio su strada a uno come lui, imparare le basi. Lì la differenza si è vista. Ma penso che il tempo giochi dalla mia parte, presto saremo anche lì ad armi pari. Già nelle prossime gare voglio essere più vicino.

Le sue vittorie stanno riportando attenzione sul ciclismo nel suo Paese
Le sue vittorie stanno riportando attenzione sul ciclismo nel suo Paese
Qual è la situazione del ciclismo sudafricano?

Non ci sono più così tanti corridori nel World Tour. Io, Ryan Gibbons e poi ci sono alcuni ragazzi nelle squadre professsional. Abbiamo molte gare locali, ma quelle di alto livello non sono più così tante in Sud Africa. Penso che siano solo i campionati nazionali a cui si danno punti e il resto è tutto non UCI. Quindi è abbastanza dura trovare spazio, affermarsi, colmare il divario tra le gare sudafricane e quelle internazionali. Quindi sono davvero fortunato ad aver potuto gareggiare a livello internazionale in mountain bike a un livello così alto che la transizione non è stata troppo difficile.

Molti dicono che la mountain bike internazionale è in crisi, pochi soldi e poca attenzione dei media. Tu che cosa ne pensi?

Non sono d’accordo. Penso che si stia sviluppando abbastanza velocemente. Sta diventando molto elitaria, con un approccio più di tipo F1. Ovviamente ci sono stati anche alcuni cambiamenti di regole, ora devi essere tra i primi 100 classificati UCI o nella squadra MTB UCI Elite per gareggiare in Coppa del Mondo. Con meno partecipanti, per la TV potrebbe essere una gara più ricca di azione.

Hatherly in trionfo ai mondiali di mtb 2024. Ora vuole ripetersi in Kansas, ma dopo la stagione su strada
Hatherly in trionfo ai mondiali di mtb 2024. Ora vuole ripetersi in Kansas, ma dopo la stagione su strada
Che cosa ti proponi quest’anno e continuerai a dividerti con la mountain bike?

Sì, il mio obiettivo principale per quest’anno è essere già a un buon livello nelle gare su strada. Voglio davvero ottenere buoni risultati prima di tornare alla mountain bike, che mi accompagnerà da maggio in poi per gareggiare in Coppa del Mondo e concentrarmi per la conferma del mio titolo mondiale di mountain bike in Kansas a fine estate. Su strada vorrei centrare una Top 10 in una gara importante, poi i sogni non hanno confini… Penso che forse con un po’ più di esperienza sarò in grado di farcela, ma non si sa mai. Imparo abbastanza in fretta. Quindi non vedo l’ora di affrontare questa sfida.

Dopo la tua prima esperienza, hai pensato che forse era il caso di cambiare prima verso il ciclismo su strada?

Non mi pongo il problema. E’ stato molto difficile ottenere un’opportunità. La maggior parte delle squadre mi vedevano già troppo vecchio, mettici anche il fatto che non avessi alcuna esperienza internazionale, semplicemente non erano disposte a correre il rischio. Le mie vittorie mi hanno aperto le porte, ora voglio ripagare tanta fiducia.

Giant e Liv lanciano ufficialmente le nuove bici da crono

17.01.2025
7 min
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Giant Trinity Advanced SL e Liv Avow Advanced SL: si chiamano così le due nuove armi per le prove contro il tempo (e per il triathlon) messe a disposizione dei corridori del Team Jayco-AlUla e per le ragazze del Team Liv-AlUla-Jayco.

Arrivano i freni a disco (i pro li usano da 140 millimetri) e a parità di taglia i kit telaio sono più leggeri, con un rapporto rigidità/peso migliorato di quasi il 13%. La bici è anche più efficiente nei termini di pacchetto completo corridore/telaio/ruote. E poi le nuove Cadex da cronometro, che sono hookless. Vediamo le biciclette nel dettaglio, anche grazie all’aiuto di Mattia Romanò del dipartimento tecnico del team australiano.

Alcune fasi di test condotte da Plapp con la nuova Trinity SL (foto Giant)
Alcune fasi di test condotte da Plapp con la nuova Trinity SL (foto Giant)

Estate 2024, i primi test su strada

«Sotto il profilo tecnico e costruttivo – spiega il tecnico del team australiano – la Trinity di Giant e la Avow di Liv sono identiche, ovvero due monoblocchi in carbonio, la prima completamente dedicata agli uomini, la seconda specifica per le donne. Le differenze principali si riferiscono alle taglie. Hanno entrambe una sorta di filo conduttore che le collega con le bici della generazione precedente, ma in realtà sono molto diverse, a partire dalle forme delle tubazioni.

«Numeri della galleria del vento a parte – prosegue Romanò – è stato fatto un lavoro enorme per migliorare l’integrazione del comparto frontale e di tutto il supporto aerodinamico del manubrio. Ora vediamo, rispetto al passato, i corridori più alti sul davanti e con la schiena più dritta o se non altro perfettamente orizzontale. Gli studi che abbiamo effettuato in passato come team hanno permesso a Giant di migliorare tantissimo anche in quelli che consideriamo accessori, come manubrio, appendici e supporti. Tutto il posteriore è stato reso più efficiente, senza sacrificare il comfort e la guidabilità, pur avendo sviluppato delle bici nel complesso più rigide. I primissimi feedback degli atleti si riferiscono proprio ad una bici più agile e facile nei segmenti tecnici».

Lavoro sui materiali per ridurre il peso

La spiegazione di Romanò prosegue con un occhio di riguardo per le ruote, in cui la scelta di puntare sull’hookless racconta di un lavoro certosino e di estrema precisione.

«Rispetto al passato ci sono i freni a disco. Il lavoro sui materiali di costruzione e sul design complessivo è stato importantissimo, mirato a togliere tanto peso. E poi le ruote Cadex – prosegue Romanò – lenticolare posteriore, a 4 razze per l’anteriore, entrambe hookless e più leggere di 80 grammi, disegnate per interfacciarsi al meglio con le sezioni da 28 millimetri. L’utilizzo dei tubeless da 28 per le crono, conferma la tendenza generalizzata dell’aumento delle sezioni. Per le bici standard useremo tubeless da 30. I risultati giocano a nostro favore – conclude Romanò – e delle nostre scelte tecniche, considerando i titoli nazionali che abbiamo portato in bacheca in questo inizio anno».

Trinity, Avow e le nuove ruote Cadex

La nuova Giant e la nuova Liv da crono (e da triathlon) adottano il carbonio Grade Advanced SL di Giant e adottano l’ultima evoluzione delle resine prodotte con l’ausilio della nanotecnologia. Da qui anche il grande risparmio di peso. Inoltre, tutto il triangolo anteriore utilizza delle fibre di carbonio continue, non interrotte, soluzione che ha permesso di aumentare le performance (soluzione mutuata dalla Giant TCR SL). Il reggisella è stato sfinato e smagrito, regolabile in altezza. Ha un range di adattamento (avanti e indietro) di 51 millimetri, che anche in ottica triathlon porta dei vantaggi non indifferenti.

Tutto nuovo anche il sistema delle ruote Cadex, lenticolare il posteriore, a 4 razze l’anteriore. Sono completamente in carbonio e adottano la fibra 1K, entrambe hookless (con le pareti del cerchio spesse 3 millimetri) e con un canale interno da 22,4 millimetri.

La Cadex Max (lenticolare) si basa su una costruzione particolare, ovvero una raggiatura interna (i raggi sono in carbonio) che viene completamente coperta dalle cover, considerando inoltre che la costruzione è asimmetrica. Una soluzione che permette di avere una ruota super rigida, scorrevole e anche molto leggera. Un chilogrammo dichiarato, 150 grammi in meno rispetto alla precedente versione. Il mozzo porta in dote i cuscinetti ceramici.

Cadex Aero 4 è la quattro razze ed è disponibile per l’anteriore (50 millimetri) e anche per il posteriore (quest’ultima sviluppata per l’impiego triathlon e con un profilo da 65). La prima, usata nel World Tour ha un valore alla bilancia dichiarato di 880 grammi, la seconda di 1.047.

Una sbirciatina al triathlon

La collaborazione con il Team Jayco-ALUla ha portato Giant, come accennava in precedenza Romanò, a sviluppare un comparto manubrio completamente nuovo. Migliore sotto il profilo delle prestazioni, con un range di 24 posizioni diverse che vanno a coprire le diverse esigenze di altezza, profondità, reach e stack.

Si rinnova anche tutto quello che riguarda il sistema integrato di idratazione, con i due “serbatoi” da 850 e 700 millilitri. A parità di taglia (considerando il kit triathlon) la Giant è più leggera di 558 grammi, mentre la Liv di 433 grammi.

Taglie e prezzi

Giant Trinity Advanced SL è disponibile in quattro misure (XS, S, M e L). Ognuna di queste ha in comune il rake della forcella a 40 millimetri e la lunghezza di 405 millimetri del carro posteriore. La predisposizione è per le ruote da 700c (classiche da 28 pollici). Per L’Italia sarà disponibile la versione kit-telaio Tri-FF al prezzo di listino di 4.199 euro.

Liv Avow Advanced SL guadagna una taglia verso il basso e ne perde una tra le più grandi (XXS e XS, S e M). Anche in questo caso il progetto è totalmente dedicato alle ruote da 700c. Ognuna delle taglie ha un’inclinazione virtuale del piantone di 77°. Per l’Italia sarà disponibile il kit Tri-FF ad un prezzo di listino di 4.199 euro. Mentre le Cadex hanno dei prezzi di listino di 1.799 e 2.199 euro per le quattro razze (anteriore e posteriore), 2.799 euro per la lenticolare da TT.

Giant

Liv Cycling

Vitillo sorride e riprova la rincorsa: quest’anno non si sbaglia

15.01.2025
7 min
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Dicci un’ultima cosa e poi basta: alla fine del 2025 saremo contenti se? Vitillo ci pensa un attimo, poi allarga quel suo sorriso luminoso e si butta. «Eh, saremo contenti – dice – se riusciremo a passare dall’altra parte. L’obiettivo è sempre quello. E anche alzare le mani al cielo sarebbe bello, sarebbe veramente bello. Io ci provo».

L’atleta torinese è in Spagna con qualche giorno di anticipo rispetto al resto della squadra che raggiungerà Denia domani. Le giornate sono splendide e l’aria tiepida, non come a casa sua a Torino, da cui ogni volta il padre le racconta di temperature parecchio sotto lo zero. Il 2024 è alle spalle con il suo carico di affanni. La salute è a posto e la stagione che viene servirà per tentare finalmente la scalata alla Jayco-AlUla WorldTour. Per lei che era una delle gemme della BePink e una delle promesse della pista giovanile azzurra, il passaggio nel devo team era ed è ancora l’occasione per farsi vedere.

Nel 2022, Vitillo conquista la madison agli europei U23 di Anadia, assieme alla compagna di squadra Silvia Zanardi (TaskFoto)
Nel 2022, Vitillo conquista la madison agli europei U23 di Anadia, assieme alla compagna di squadra Silvia Zanardi (TaskFoto)
Come va l’inverno?

Bene, abbiamo già cominciato da un po’. Dopo il ritiro di dicembre, domani comincia il secondo e saremo anche con la WorldTour, quindi penso che faremo anche alcuni allenamenti insieme. Faremo un buon lavoro.

Com’è andato il 2024?

Con la squadra molto bene, non mi sono mai trovata così a mio agio in un team. Forse mi aspettavo un po’ troppo da me stessa, invece ho avuto una serie di cose che non sono andate nel verso giusto. L’anno prima, nel 2023, sono stata ammalata praticamente tutto l’anno. Avevo sempre febbre tra 37,5 e 38 e non capivo. Per cui per tutto l’anno sono stata lì provando a riposare, a non riposare, a fare gare. Ho fatto addirittura gare senza allenamento, quindi da un lato mi sono devastata e dall’altro non sapevo cosa avessi. Solo a fine anno ho scoperto che avevo un’infezione ai turbinati per la quale sono stata operata. Ma non era ancora finita…

Nel 2024 una stagione faticosa: qui a Oetingen, a marzo, due giorni prima del suo compleanno
Nel 2024 una stagione faticosa: qui a Oetingen, a marzo, due giorni prima del suo compleanno
Oddio, cosa è successo?

Dopo i primi controlli andava tutto bene. Poi sono andata in vacanza in crociera e dopo due giorni ho iniziato a perdere sangue a fiotti. Il problema è che sulla nave non c’era uno specialista e il fatto è successo in un giorno in cui non si faceva scalo. Per cui sono rimasta in infermeria per un giorno intero, finché siamo arrivati in Sicilia, sono andata in un ospedale e qui finalmente un otorino mi ha messo il tampone giusto e si è risolto tutto.

Perché questo ha condizionato il 2024?

Quando sono tornata a casa, ho fatto gli esami del sangue e l’emoglobina era scesa di 3-4 punti, quindi non ho potuto iniziare ad allenarmi, perché sarebbe stato controproducente. Perciò ho aspettato ancora e ho cominciato la preparazione tardissimo. E’ stato un continuo rincorrere senza essere riuscita a farmi una buona base. Per cui sono arrivata a un livello e da lì non mi sono più mossa. Quest’anno vorrei che fosse tutto diverso.

Matilde Vitillo, classe 2001 di Torino, è al secondo anno con il devo team della Jayco
Matilde Vitillo, classe 2001 di Torino, è al secondo anno con il devo team della Jayco
Alla BePink eri una delle figure di riferimento, ma sei passata in un devo team: lo hai mai visto come un passo indietro?

L’ho sempre vista come una crescita. Il mio obiettivo era fare tutti gli anni da U23 in una squadra che mi potesse far crescere e poi mi desse la possibilità passare. Purtroppo l’ultimo anno da U23 l’ho vissuto come vi ho appena detto e passare in un momento in cui non ti senti al meglio non è una cosa ottimale. Essere in un devo team è il giusto compromesso. Loro vedono come lavoro e cercano di farmi migliorare. Ovviamente la speranza è sempre quella di passare.

Che differenza c’è tra la Matilde Vitillo che nel 2022 vinse una gara WorldTour a Burgos e la Matilde di adesso?

Sotto un certo punto di vista mi sento cresciuta. Penso che l’anno scorso mi abbia aiutato tanto a vedere la gara per com’è. Mi ricordo bene di quando sono riuscita a vincere quella tappa nel 2022. Adoro andare in fuga. Prendere, uscire, stare davanti, sapere di essere la testa della corsa: è un’emozione indescrivibile. L’anno scorso per me è stato veramente difficile uscire dal gruppo e stare in testa a battagliare fino alla fine. E forse questo mi ha aiutato a essere più intelligente in gara e non sprecare troppe energie, cercando di cogliere l’attimo giusto.

A giugno, Vitillo impegnata in una fuga al Thüringen Ladies Tour: il tipo di azioni che preferisce
A giugno, Vitillo impegnata in una fuga al Thüringen Ladies Tour: il tipo di azioni che preferisce
Una cosa positiva?

Da un certo punto di vista sì, forse però ora mi fido meno di me stessa rispetto a come ero nel 2022. In quel periodo era come se quello che volevo fare lo facessi. Non avevo troppe difficoltà, mi buttavo di più, era molto più facile. Adesso, dovendo compensare la mancanza di forma, ho dovuto svegliarmi un po’. Spero che queste due cose, combinate fra loro, quest’anno possano portarmi a fare un altro passo. 

Hai già un programma?

In realtà non l’abbiamo ancora discusso. Cominceremo a febbraio già in Spagna con la Valenciana, prima in linea e poi forse quella a tappe con la WorldTour. Ne parleremo domani quando ci vedremo.

Lo scorso anno sei stata in Coppa del mondo a Hong Kong: ti vedremo ancora in pista?

Questa è una bellissima domanda. A me la pista è sempre piaciuta tantissimo e si può anche combinare con la strada, però è molto complicato. Sono stata contenta di andare a Hong Kong, ma per dargli continuità bisogna essere tanto focalizzati. Io l’anno scorso mi sono un po’ persa, nel senso che con le Olimpiadi il gruppo pista era chiuso e quindi, essendo al primo anno nella nuova squadra, ho preferito concentrarmi sulla strada. Quindi mi piacerebbe continuare con la pista, ma trovando il modo giusta per incastrarla col resto.

Vuelta Burgos 2022, Aguilar de Campoo: Vitillo sulla sinistra vince lo sprint della fuga. Il gruppo dietro non chiude
Vuelta Burgos 2022, Aguilar de Campoo: Vitillo sulla sinistra vince lo sprint della fuga. Il gruppo dietro non chiude
In cosa devi migliorare per stare davanti nelle corse che contano?

Sulle salite, perché è lì che si fa la selezione. La salita fa veramente tanto, quindi mi piacerebbe avere tanta resistenza per poi potermela giocare. Più che altro serve essere veramente svegli in gara, perché se riesci a muoverti al meglio, in qualche modo ce la fai. Ovviamente la gamba serve sempre, però la testa per me fa di più.

La tua compagna di squadra Lucinda Stewart ha vinto il titolo nazionale, com’è ora il clima in squadra?

Molto positivo. Lucinda ancora non la conosciamo bene, perché è entrata in squadra quest’anno quindi nessuno di noi in realtà la conosce. Però secondo me la sua vittoria dà già molto morale al devo team. Ci fa capire che ci possiamo giocare le nostre carte nonostante non siamo ancora nella squadra WorldTour.

L’inserimento di Vitillo nel devo team della Jayco-AlUla procede di buon passo, così come la pratica con l’inglese
L’inserimento di Vitillo nel devo team della Jayco-AlUla procede di buon passo, così come la pratica con l’inglese
Chi è il tuo direttore sportivo di riferimento?

Przemysław Kasperkiewicz, nome difficile da scrivere. E’ molto bravo, ti capisce al 100 per cento. Se hai problemi di qualsiasi tipo, anche solo a livello personale, lui sa capirti e ti insegna a gestire le emozioni e a concentrarci sull’obiettivo della gara.

A proposito di problemi, l’anno scorso sei mai andata giù di testa con i problemi che hai avuto?

E’ stato parecchio complicato. Ho avuto poca fiducia in me stessa e questo mi ha portato tanto giù. Forse però, da un certo punto di vista, mi ha aiutato a vedere le cose da un’altra prospettiva e a gestirle in maniera diversa. E nonostante tutto e nonostante sia stato davvero duro, la voglia di finire le corse e fare bene lho sempre avuta. Per questo credo che sto ripartendo da un livello migliore.

Jayco-AlUla: Pinotti e il nuovo asset dei coach

19.12.2024
4 min
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Nei giorni di Calpe abbiamo visto un bel viavai in casa Jayco-AlUla. Marco Pinotti, uno dei preparatori più esperti in assoluto e del team, ci parla del riassetto che sta vivendo appunto la sua squadra. Sono infatti partiti due allenatori, Alex Camier e Daniel Healy, e ne sono arrivati altri due: Fabio Baronti e Christian Schrot (in apertura foto @GreenEDGECycling).

Ma i cambiamenti non si sono limitati ai nomi. Sono cambiate anche alcune mansioni, sono state riviste alcune logistiche ed è arrivato un nuovo team di sviluppo, la Hagens Berman di Axel Merckx. Non c’è più una gerarchia verticale, ma come ha detto Pinotti: «Una struttura orizzontale».

Il coach Christian Schrot fino a qualche mese fa aveva seguito, tra gli altri, anche Lorenzo Finn
Il coach Christian Schrot fino a qualche mese fa aveva seguito, tra gli altri, anche Lorenzo Finn
Marco, partiamo da te. Stai assumendo un ruolo sempre più importante per quel che riguarda i preparatori e il reparto della performance, è così?

In realtà cerco di diminuire le parti di allenamento e preparazione perché sono sempre più coinvolto nei materiali. Però con gli atleti con cui ho iniziato a lavorare continuo. Faccio fatica a prenderne di nuovi. Tra uomini e donne il carico è più o meno uguale a quello degli altri anni.

E quanti ne hai in tutto?

Sei. Quattro uomini e due donne.

Abbiamo visto un bel movimento sul fronte dello staff legato alla performance: adesso quanti siete voi coach?

Sei in tutto. Anzi, sei e mezzo! Visto che uno, Andrew Smith, è anche un diesse e allena un paio di atleti. Quindi ci siamo io, Fabio Baronti, Christian Schrot, che sono i due nuovi arrivati, Peter Leo, Joshua James Hunt e Briant Stephens.

Due profili nuovi e che avevano a che fare con i giovani. Perché?

Non è stata una ricerca di coach giovani o che avessero a che fare con i giovani in senso stretto. Christian Schrot era responsabile della squadra juniores della Red Bull-Bora, l’Auto Eder, mentre Fabio Baronti veniva da un team di sviluppo, il CTF. Cercavamo dei coach con competenze che potessero andare bene per lavorare anche con i giovani e con i professionisti. Baronti, ad esempio, mi è stato segnalato. Ci siamo incontrati al Giro d’Italia, ho avuto una buona impressione e l’ho proposto al team. Poi da qui ad entrare a fare parte della squadra un po’ ci è voluto. Entrambi sono stati scelti per le loro “skills”, qualità e competenze.

Baronti è arrivato nel clan della Jayco-AlUla su segnalazione di Pinotti
Baronti è arrivato nel clan della Jayco-AlUla su segnalazione di Pinotti
C’è una gerarchia tra voi coach?

Non più. Abbiamo una struttura orizzontale. Ogni coach è responsabile di un progetto specifico. Però, per molte cose fanno riferimento a me, perché sono qui da più tempo. Non c’è un head coach vero e proprio. Abbiamo cambiato nel corso della passata stagione. Abbiamo visto che stava funzionando bene e per ora manteniamo questo assetto. Poi magari, se le cose non andranno bene, rivedremo il tutto.

E come sono divise le responsabilità?

Ognuno ha un campo di responsabilità. Io, ad esempio, mi occupo dei materiali e dei progetti legati alla cronometro. Un’altro è più improntato sulle classiche. Un altro coach si occupa della logistica dei training camp, un altro dello sviluppo dei giovani. Ogni coach è anche responsabile di uno o più camp.

Un bel cambio insomma…

Sì, abbiamo assegnato responsabilità più definite. Prima il coach allenava e basta. Ora c’è una programmazione più strutturata: i camp sono decisi con un anno di anticipo e le date sono chiare per tutti. Quando sono arrivato, i corridori avevano molta libertà. Ad esempio, Simon Yates non partecipava ai camp di gennaio e in altri andava per conto suo. Idem Groenewegen. Per un Tour ad un certo punto avevamo tre gruppi in altrettanti camp. Ora cerchiamo di avere tutti insieme, con alcune eccezioni come gli australiani che gareggiano a dicembre-gennaio. Ma non è stato il solo cambiamento.

Qui Pinotti con Zana in Spagna proprio 12 mesi fa. «Abbiamo iniziato a rivedere i test già dall’anno scorso» ha detto Marco.
Qui Pinotti con Zana in Spagna proprio 12 mesi fa. «Abbiamo iniziato a rivedere i test già dall’anno scorso» ha detto Marco.
Cioè?

Abbiamo standardizzato i test. Adesso abbiamo lo stesso protocollo di test per la squadra WorldTour e per la devo, sia maschile che femminile. Non facciamo lo stesso test a uno scalatore e a un velocista, ma tra corridori dello stesso tipo il protocollo è identico. Questo permette confronti tra atleti e tra squadre.

I test sono su strada o in laboratorio?

Sono su strada e includono sia test incrementali che profili di potenza. Abbiamo test per lo sprint e test specifici per le caratteristiche dei corridori. Più ci avviciniamo alla stagione, più i test diventano settoriali. Per esempio: ora tutti hanno fatto il classico incrementale, utile per stabilire le zone di allenamento, ma a gennaio e man mano che si avvicinano le gare ognuno farà il test per le sue caratteristiche.

Riguardo al devo team, come gestite il fronte della preparazione: sorvegliate o intervenite di persona?

Abbiamo una reportistica programmata tra le due squadre, ma loro hanno un loro coach, Jen Van Beylen, che da danni era nella Hagens Berman. Nel nostro calendario gare però ci sono posti assegnati per i corridori della development anche in alcune corse WorldTour. In base alle esigenze ci diranno loro chi possono mandarci.

Baronti: dal CTF a coach Jayco: «Inizia un nuovo percorso»

13.12.2024
5 min
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I giorni del primo ritiro stagionale in casa Jayco-AlUla scorrono velocemente sotto al sole caldo della Spagna. Lo staff e i corridori lavorano guardando al futuro e intanto gettano le basi per far sì che tutto scorra liscio. Tra le novità del team australiano c’è sicuramente l’arrivo di Fabio Baronti, che ricoprirà il ruolo di coach insieme a Pinotti e altri colleghi. Il veneto, trapiantato in Friuli e arrivato nel ciclismo grazie al CTF di Roberto Bressan, vive queste ore con gioia e una voglia matta di fare. Caratteristica tipica di chi arriva in un contesto nuovo e non vede l’ora di dimostrare che tanta fiducia è meritata. 

«Mi sono ambientato – ci racconta Fabio Baronti in un giovedì di “pausa” – siamo arrivati cinque giorni fa, l’8 dicembre. Abbiamo fatto un meeting per conoscerci e impostare il lavoro, poi il 10 dicembre sono arrivati i ragazzi. Lunedì prossimo, il 16, torneremo a casa per ritornare in Spagna a gennaio. Tra noi membri dello staff si è optato per fare un meeting conoscitivo a Bergamo qualche settimana fa. C’erano tutti i coach compresi i due nuovi, ovvero io e un altro ragazzo».

Fabio Baronti, qui al centro, è stato con il CTF dal 2018 alla fine del 2024
Fabio Baronti, qui al centro, è stato con il CTF dal 2018 alla fine del 2024

Un’altra vita

Quella che sta per iniziare Fabio Baronti è un’altra vita, sicuramente dal punto di vista sportivo tante cose cambieranno. Entrare a far parte dello staff di un team WorldTour in giovane età non è un caso, in certi ambiti i meriti sono addirittura doppi. La Jayco-AlUla ha cambiato qualche corridore durante l’inverno, forse una delle realtà che ha cambiato di più. 

«Sono arrivati dieci nuovi atleti rispetto all’anno scorso. Ma per me è come se fossero 30 – dice con voce simpatica Baronti – anzi 29 visto che conoscevo già Ale (Alessandro De Marchi, ndr). Alcuni li conosco già perché li ho trovati da avversari con il CTF tra gli under 23. In queste prime uscite li abbiamo seguiti da vicino, per noi coach è importante vederli pedalare e prendere informazioni».

Alla Jayco-AlUla ha ritrovato Alessandro De Marchi
Alla Jayco-AlUla ha ritrovato Alessandro De Marchi
Che effetto fa entrare nel WorldTour?

Bello, è parte del percorso di crescita personale e lavorativa. Al CTF ho trovato una famiglia vera, nella quale sono entrato e ho avuto modo di apprezzare le persone e il clima. Qui alla Jayco-AlUla tutto è più professionale e ognuno ha il suo ruolo. Si vive in maniera più precisa e analitica. Il gruppo dello staff è enorme, tra squadra maschile e femminile siamo in 156. 

I colleghi, come sono?

Lo zoccolo duro è sempre lo stesso, nel quale la figura di riferimento un po’ generale è Pinotti. Sono arrivato in un ambiente dove tutti sono pronti, preparati ma anche aperti al confronto. Già da subito ho percepito di poter dare qualcosa.

Baronti è stato preso da Boscolo quando ancora era uno studente di Scienze Motorie: prima come massaggiatore e poi come coach
Baronti è stato preso da Boscolo quando ancora era uno studente di Scienze Motorie: prima come massaggiatore e poi come coach
Che cosa?

Non sono qui per adattarmi a un metodo di lavoro, ma per metterci del mio. Lavorerò sia con il team maschile che femminile, curando il training camp per il Giro d’Italia insieme a Pinotti. Essere accanto a una figura come la sua è uno stimolo importante, credo sia anche un bella dimostrazione di fiducia. Più avanti io e lui faremo dei test sull’aerodinamica. 

Come sei arrivato da loro?

Ho parlato con Pinotti a maggio, durante il Giro d’Italia. Durante tutta la stagione siamo rimasti in contatto, mi ha detto che la squadra aveva intenzione di cambiare e rinnovarsi nel reparto performance. Il fatto che venissi da un team giovanile secondo me ha giocato un ruolo chiave. 

Nei sette anni al CTF è stato spesso in ammiraglia, ruolo che per ora non ricoprirà più
Nei sette anni al CTF è stato spesso in ammiraglia, ruolo che per ora non ricoprirà più
Lavorerai anche con i ragazzi del devo team, la Hagens Berman?

Non direttamente, se qualche ragazzo avrà modo di venire con noi o di essere sottoposto a dei test saremo noi a farlo. Ma loro avranno un coach. 

In che modo lavorerai?

Avrò un piccolo gruppo di tre o quattro atleti con i quali lavorerò direttamente. Ma poi ognuno di noi coach sarà a disposizione degli altri e curerà delle parti della stagione. Avere a che fare con corridori esperti, alcuni anche più grandi di me (Fabio Baronti ha 29 anni, ndr) mi permette di avere un rapporto diverso, di confronto. Al CTF dovevo insegnare ai ragazzi come essere ciclisti a 360 gradi, qui mi occupo solo della parte performance. 

Baronti con i ragazzi del CTF ha costruito un rapporto a 360 gradi, qui con Van Der Meulen dopo la vittoria di tappa alla Ronde de l’Isard (foto Direct Velo/Florian Frison)
Baronti con i ragazzi del CTF ha costruito un rapporto a 360 gradi (foto Direct Velo/Florian Frison)
Un rapporto più diretto?

Sicuramente avere corridori esperti mi permette di ricevere feedback più profondi e capire come muovermi. Insomma, si ottimizza il lavoro. Non sarò più in ammiraglia, magari in futuro prenderò il patentino UCI. Anche se credo che arrivati a un certo livello sia meglio dividere i compiti.

Non resta che farti un grande in bocca al lupo per questa nuova avventura.

Grazie! Ci vediamo in giro.

De Marchi fa la sfinge: ultimo inverno da corridore?

10.12.2024
6 min
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ALTEA (Spagna) – «Voglio darmi una scadenza – dice De Marchi – non arrivare a ottobre l’anno prossimo e annunciare che smetterò di correre. Se, come immagino, sarò al Giro d’Italia, che è l’obiettivo della primavera, voglio sapere che potrebbe essere l’ultimo. Se deciderò di smettere, lo dirò prima della partenza. Credo che sarebbe il modo migliore per viverlo davvero a fondo».

Si parla al futuro e anche un po’ al condizionale. De Marchi ha la faccia di chi aveva un gran bisogno di tornare al lavoro. Sembra in forma, ma sull’argomento oppone le mani, come per dire: lascia stare! Qua nessuno ti regala niente e non puoi lasciare niente indietro. C’è il peso da mettere a posto, anche se il blu della tuta sfina, perché aver finito la stagione al gancio non ha aiutato a tenerlo a bada. Il mare riempie l’orizzonte dietro le chiome dei pini, per uno scenario che conosciamo alla perfezione. Certe volte ti sembra quasi di essere a casa, perché sono gli stessi posti che frequenti ogni anno e da anni.

«Ci stiamo pensando – prosegue – anche perché c’è una serie di cosette messe vicino che mi hanno costretto a riflettere. Non ho voluto prendere una decisione adesso, nel mezzo dell’inverno e lontano dalle corse e dalla squadra, per cui magari avrei avuto solo una visione. Però è una domanda che mi sto facendo e piano piano sto cercando di arrivare a una risposta. Se dovessi ascoltare il cuore o la mente, andrei avanti per sempre. Ma ci sono i segnali che il fisico ti manda e la mente può arrivare fino a un certo punto, ma non può portare indietro il tempo. I vent’anni non torneranno».

Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese
Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese

La vittoria in primavera

Il 2024 del Rosso di Buja è stato un anno strano. In primavera è tornato alla vittoria (una tappa al Tour of the Alps), come non gli capitava dal 2021. Il Giro d’Italia lo ha visto a un ottimo livello e infatti ne è uscito con un buon sapore in bocca. E’ stato quando ha insistito per fare la Vuelta che la stagione ha preso la piega che non si aspettava e che lo ha turbato.

«Visto il trend positivo della primavera – dice – credevo di fare quello che mi è sempre venuto meglio, cioè i Grandi Giri. Solo che mi sono preparato un po’ di corsa e nella prima settimana sono stato condizionato da un virus. L’ho superato a fatica anche a causa di quel caldo pazzesco e non riuscire a essere quello che sono sempre stato, quindi uno che prende la fuga e sempre nel vivo della corsa, mi ha acceso la lampadina. Forse il mio cruccio è non essere pronto o capace di cambiare ruolo. Una volta che ammetti questo, puoi anche decidere di non arrivare allo sfinimento. Questa è un’altra cosa che mi preme molto. Non vorrei continuare solo perché ho trovato un contratto e smettere dopo un anno di troppo. Per fortuna qui ho un interlocutore con cui si può parlare. Si tratta di tirare le somme e prendere una decisione».

Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni
Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni

Uno spiraglio di sole

Tutto un altro parlare rispetto a quando la Israel Premier Tech aveva deciso di non confermarlo, lasciandolo nel mezzo di una velata disperazione. E’ più accettabile smettere quando si decide di averne avuto abbastanza, piuttosto che essere costretto a farlo. L’arrivo alla Jayco-AlUla ha aperto una nuova pagina della sua storia.

«Lo step che sono riuscito a fare già nel 2023 ritornando del vivo della corsa – dice – mi rende orgoglioso. Solo che devi fare i conti con questo tipo di ciclismo, diverso da quello di dieci anni fa in cui un uomo come Tosatto è stato di grande supporto fino ai 40 anni. Adesso è difficile da immaginare, quindi vediamo. Sto cercando di non focalizzarmi solo sul ricordo della Vuelta e delle ultime gare in Italia, quando ero davvero cotto. Meglio pensare alla vittoria, che ha significato un sacco perché è stato come dare un senso al nuovo corso iniziato con il nuovo contratto in questa squadra. A Brent Copeland sono sempre stato molto molto riconoscente perché ha portato uno spiraglio di sole nel disastro totale. La vittoria è stata la conseguenza di aver trovato un ambiente sano, in cui anche io che venivo da un certo tipo di esperienza e con la mia storia sulle spalle, mi sono sentito valorizzato. E’ stata una bellissima chiusura del cerchio, anche se la Vuelta a quel modo mi ha tolto il buon sapore dalla bocca».

Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio
Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio

Il bello del ciclismo

E’ il guaio di chi è abituato a pensare e sa farlo nella giusta direzione. Se in più senti il passare del tempo e sei di te stesso il giudice più severo, allora è impossibile ignorare i segnali. Il ciclismo ha mille pretese, ma forse inferiori rispetto agli standard che un professionista come De Marchi vorrebbe per sé.

«Mi hanno detto che quest’anno – dice – solo pochi hanno vinto e io ci sono riuscito. Devo trovare l’equilibrio. Io ho sempre avuto voglia di migliorare, ma probabilmente il ciclismo adesso ha una marcia in più. E’ ancora bello e mi piace perché nell’essenza è rimasto lo stesso. Devi essere preciso, puntare a tirare fuori il massimo, ma è come se si fossero aggiunte nuove sfide alle solite sfide. Vado orgoglioso della Vuelta che ho fatto, perché non era da tutti risollevarsi. Aver accettato che non potevo stare in prima fila, mi ha permesso di aiutare i ragazzi che invece avevano le gambe. E’ stato particolare perché ho usato tantissimo la radio. Li ho aiutati a dosare le forze e a non sparare tutto per entrare nella fuga o all’interno della fuga stessa. E’ stato Piva a suggerirmelo e sono stato i suoi occhi in corsa. Perché dalla macchina non vedi niente, invece avere uno nel gruppo che riesce a intervenire in tempo reale può fare una grande differenza».

Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia
Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia

Un’idea per il futuro

Come un direttore sportivo, ma in corsa. Scherzando gli diciamo che proprio per questo non lo lasceranno smettere, ma nell’osservarlo sembra quasi che l’idea gli vada a genio e abbia individuato il modo per farne parte, sia pure con abiti diversi.

«Dare certi suggerimenti dall’ammiraglia – dice – sarebbe più difficile perché sei completamente cieco. Il modo per essere incisivi è il lavoro dietro le quinte. Una fase molto importante è far funzionare il debrief. Sta diventando uno dei momenti più importanti per fare il riassunto della giornata, avere bene chiaro quali sono stati gli errori e quali sono state le cose fatte bene. Perché ormai in macchina non si sa niente e con la gara sempre più veloce, la difficoltà aumenta. Anche per questo credo che Piva alla Vuelta abbia spinto molto su di me. Avevano me che parlavo e avevano radio corsa, quindi più cose messe insieme. Però ammetto che diventare direttore sportivo è una cosa che mi piacerebbe e su cui sto riflettendo. Non so quando sarà, ma non aspetterò troppo per prendere una decisione».

Una Jayco-AlUla a misura di O’Connor? Sentiamo Copeland

31.10.2024
4 min
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Ben O’Connor è una delle belle conferme di questa stagione. L’australiano della Decathlon-Ag2R è stato autore di due ottimi grandi Giri, tanto da salire sul podio alla Vuelta. E un altro podio di quelli importanti lo ha conquistato al Mondiale in Svizzera.

Ora O’Connor è atteso a un grande salto: l’approdo nella Jayco-AlUla, team australiano come lui. Un team che, tra l’altro, si sta formando attorno a lui, con l’ingaggio di tanti ottimi corridori. Per questo ci chiediamo, anzi lo domandiamo al team manager Brent Copeland, se è già lecito parlare di “blocco O’Connor”.

Copeland sta costruendo un ottimo gruppo attorno all’australiano: ecco qui (da sinistra) Zana, Dunbar e Plapp
Copeland sta costruendo un ottimo gruppo attorno all’australiano: ecco Dunbar e Plapp, per esempio
Brent, insomma arriva O’Connor: un acquisto di peso per il suo team…

In realtà, O’Connor ci piaceva da tempo, già da quando era nel team sudafricano Dimension Data: si vedeva che aveva talento, specie per i grandi Giri.

Come è arrivato da voi? Come è andata la trattativa?

Quando Simon Yates ci ha comunicato che avrebbe cambiato squadra, abbiamo dovuto muoverci subito per sostituire un atleta così importante. Ben era libero, e l’ho contattato subito. Abbiamo iniziato a parlare, ci siamo scambiati idee, e anche lui aveva piacere di cambiare. Certo, la Decathlon-Ag2R non era contenta che andasse via, ma capiva il motivo di questa scelta. Io sono contento. O’Connor ha dimostrato di saper affrontare la pioggia al Giro d’Italia, il caldo alla Vuelta e il freddo al Mondiale. Gli ultimi risultati gli hanno dato molta fiducia.

È un leader?

Lo diventerà. Bisogna essere realistici: non è ancora allo stesso livello di un Pogacar o di un Vingegaard, e scontrarsi con questi campioni non è facile. Però può fare belle corse, dare spettacolo, ottenere risultati.

Quest’anno O’Connor ha imparato molto. I 13 giorni da leader alla Vuelta lo hanno trasformato
Quest’anno O’Connor ha imparato molto. I 13 giorni da leader alla Vuelta lo hanno trasformato
La sua squadra sta cambiando molto. Ha ormai un gruppo solido per le corse a tappe: possiamo parlare di un gruppo “grandi Giri” per O’Connor?

Ci stiamo lavorando. Già dopo il Lombardia ci siamo ritrovati per tracciare una prima bozza del programma. Di certo, accanto a lui ci saranno Gamper e Bouwman, gente di esperienza che ha lavorato con grandi capitani. E poi c’è Zana, che bisogna capire bene come “collocare”. Abbiamo Luke Plapp… Insomma, sì, abbiamo parecchi corridori validi per i grandi Giri e costruire una squadra solida.

Pensiamo anche a un altro nuovo arrivato, Double, o a Dunbar…

Sì, per loro vale lo stesso discorso di Zana. A metà novembre, in accordo con i preparatori, vedremo i percorsi, definiremo i programmi e, nel ritiro di dicembre, lo comunicheremo ai corridori.

In cosa O’Connor può migliorare con voi?

In molti aspetti. Sicuramente a crono. Con Marco Pinotti potrà fare grandi progressi, e Marco ha già iniziato a lavorare su questo. Poi credo che servano obiettivi chiari per i grandi Giri: sapere cosa si può davvero ottenere e farlo sentire leader.

Copeland ha detto che uno dei punti dove O’Connor potrà migliorare di più è la crono, che curerà con Pinotti
Copeland ha detto che uno dei punti dove O’Connor potrà migliorare di più è la crono, che curerà con Pinotti
Ecco, farlo sentire leader: un corridore australiano in un team australiano che, tra l’altro, lo ha voluto fortemente… questo può fare la differenza?

Può dargli “confidence” e potrà acquisirla non tanto per la nazionalità, ma per l’ambiente che troverà. Un inglese può trovarsi bene in un team italiano e viceversa… se l’ambiente è quello giusto per lui. Noi, per rendere l’ambiente ideale, dobbiamo metterlo nelle condizioni di svolgere al meglio il suo lavoro. Poi, certo, una certa mentalità e un linguaggio comune possono agevolare l’inserimento e rendere tutto un po’ più semplice.

Magari, se si sente più sicuro, anche i suoi alti e bassi e la fiducia in se stesso potranno migliorare. Quest’anno Ben ha fatto passi da gigante in questo senso…

Mentalmente è migliorato moltissimo e ha imparato tantissimo quest’anno. È stato l’unico al Giro a provare a tenere Pogacar. Era la tappa di Oropa, ricordate? Poi ha pagato lo sforzo, è vero, ma si è reso conto dell’impresa. Ha provato. E infatti poi non ha più commesso lo stesso errore. Alla Vuelta ha corso da leader. Ha tenuto la maglia rossa a lungo e ha gestito la squadra da primo in classifica. Forse anche lui pensava di cedere prima, e invece ha capito le sue qualità. Qualità che ha scoperto di avere anche nelle gare dure di un giorno.

Bouwman lascia la Visma e parla di Roglic e dell’anno nero

28.10.2024
7 min
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La maglia azzurra messa sulle spalle nel 2022, quella rosa conquistata dal suo capitano Roglic nel 2023 e quella giallonera riposta quest’autunno definitivamente nell’armadio dopo un decennio in casa Visma. Koen Bouwman guarda con curiosità al 2025 che lo vedrà vestire un nuovo completo, quello della Jayco-AlUla, la formazione australiana che l’anno prossimo punterà fortissimo su Ben O’Connor nei Grandi Giri.

Le corse di tre settimane sono il pane quotidiano per il trentenne olandese, che vuole tornare a disputarle dopo averle viste da spettatore nel 2024. Il successo alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali in primavera, infatti, non ha poi portato fortuna per il resto dell’annata e la voglia di rivalsa è tanta per il corridore oranje che compirà 31 anni il prossimo 2 dicembre.

Finalmente in vacanza?

In realtà non proprio, perché ho appena comprato casa con la mia fidanzata e ci hanno consegnato le chiavi da poco, per cui ho un po’ di appuntamenti e lavori da fare. Abbiamo deciso di prenderla nella città in cui sono nato e cresciuto: Ulft, nella parte orientale dei Paesi Bassi, vicino al confine con la Germania. Avevo pensato di trasferirmi in Andorra, a Girona o da qualche altra parte, ma essendo spesso in ritiro, quando sono a casa preferisco essere davvero a casa e in questo posto mi sento così.

Il tuo 2024 si è chiuso col Tour di Guangxi: qual è il tuo bilancio?

Direi che è stato un mix di sensazioni contrastanti. Era cominciato in Australia, quasi inaspettatamente, ma mi sentivo già bene pur senza troppi allenamenti ed è stato positivo direi fino al Romandia. Alla Parigi-Nizza, così come alla Coppi e Bartali, ho raggiunto il livello più alto della stagione. Era dall’inverno che puntavo a vincere almeno una corsa e direi che con quest’ultima ho centrato l’obiettivo, poi sono andato ad allenarmi in altura. Non dovevo fare Grandi Giri, ma ero riserva per il Giro d’Italia, per cui volevo farmi trovare pronto in caso di rinunce o infortuni. Sono andato al Romandia e lì purtroppo mi sono ammalato. Ho avuto la febbre quasi a 40 per una settimana e così, pur essendo arrivata la chiamata per il Giro, ho dovuto rinunciare. Dal Tour of Norway in poi, non ho più ritrovato le sensazioni giuste. In Polonia non è stato niente di eccezionale, poi ho fatto qualche gara di un giorno e ad Amburgo sono caduto male, incrinandomi qualche costola con annessi problemi a un rene. Ho fatto di tutto per esserci al Guangxi per dare il mio ultimo supporto alla squadra e finire in sella la mia lunga avventura in giallonero e non con una caduta.

Com’è andata?

Sono arrivato in Cina con appena 25/30 ore di allenamento ed è stata una corsa durissima. Negli ultimi giorni ero davvero al limite, ma alla fine sono felice di esserci stato e di aver chiuso così il capitolo con la Visma. 

Com’è stata l’ultima stagione dopo la partenza di Roglic e cosa ti porti dietro di questo decennio?

Il 2023 è stato un anno pazzesco perché ci è mancata soltanto una Monumento, ma per il resto è stato tutto incredibile. Il 2024 è stato tutto il contrario perché, dopo una stagione come quella, non siamo riusciti a raggiungere nessuno degli obiettivi prefissati in inverno, anche a causa di diversi episodi sfortunati. Salverei Matteo Jorgenson, che ha avuto una grande stagione e ha mostrato quello di cui è capace, ma per il resto tutte le cadute dei leader hanno mandato in frantumi i sogni di gloria. Forse un’annata così può comunque far bene alla squadra, per far capire che quello che abbiamo ottenuto nel 2023 è stato qualcosa di fuori dal normale e che sedersi sugli allori non basta. Nel complesso, non è stata una stagione pessima perché tutti abbiamo lottato finché abbiamo potuto, ma al tempo stesso non è stata facile. Lo si è visto anche in Cina dove eravamo soltanto in 6 a causa dei vari acciacchi. Alla fine però, bisogna accettarla per quello che è stata. 

Che cosa ti ha portato a cambiare squadra?

Il punto di svolta è stato già lo scorso inverno, quando abbiamo cominciato a pianificare il 2024 con lo staff. In quel momento, conosci il tuo calendario per la prima parte di stagione e anche un pezzo della seconda. Per me è stata una grande sorpresa non essere nelle liste per un Grande Giro ed ero molto contrariato sul programma che mi avevano assegnato e la preparazione era totalmente differente rispetto al 2023. Lì ho capito che era il momento di cambiare. Abbiamo parlato un po’ con la squadra, ma ho cominciato a guardarmi attorno. Verso metà aprile, sono cominciati i dialoghi con la Jayco-AlUla e in breve tempo abbiamo trovato un accordo.

Che cosa ti aspetti dalla nuova sfida?

Sono molto felice di questa scelta e sono certo che così potrò di nuovo focalizzarmi sui Grandi Giri e avere qualche occasione di vincere gare di un giorno. Non so ancora se supporterò Ben (O’Connor, ndr) per la classifica generale in un Grande Giro o se aiuterò Dylan (Groenewegen, ndr) per gli sprint, perché è ancora tutto da decidere. A dicembre ne capirò qualcosa di più, ma non vedo l’ora, soprattutto di tornare ad avere libertà in alcune corse.

Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Al Polonia ha aiutato per l’ultima volta un leader della Visma a vincere: qui l’abbraccio con Vingegaard
Quali sogni di vincere, se potessi scegliere?

Domanda difficile, ma forse direi un’altra tappa al Giro o alla Vuelta: sarebbe un sogno arrivare a braccia alzate.

Se avessi tu in mano il pallino, che Grande Giro vorresti fare?

Beh, un giorno mi piacerebbe andare al Tour de France. Ma anche l’accoppiata Giro e Vuelta mi stuzzica, per cui davvero non saprei scegliere. So solo che le corse di tre settimane si addicono alle mie caratteristiche e adoro anche tutta la fase di preparazione per arrivarci. Mi auguro di mostrare una buona forma sin dall’inizio e poi vedremo che sarà.

Hai aiutato Roglic a vincere un Giro: che suggerimento daresti a O’Connor per ripetere un’impresa simile?

Ben forse non è del livello di Vingegaard, Roglic e Pogacar, ma senza dubbio gli è molto vicino e quest’anno ha dimostrato di essere uno dei contendenti quando si parla di Grandi Giri. A parlare saranno le gambe, ma sono sicuro che con la nostra squadra potremmo aiutarlo in questa sfida.

Che emozione è stata la cavalcata rosa con Primoz?

Il momento più bello è stato al Monte Lussari. Sin dal primo camp in altura, Primoz parlava soltanto del Monte Lussari e ci era già andato a piedi in inverno, durante una passeggiata con sua moglie. Era certo che il Giro si sarebbe deciso lì. Non è stato facile perché durante le tre settimane ha avuto momenti in cui non stava benissimo ed è stato speciale vivere tutti quei momenti da così vicino, sia quelli positivi sia quelli negativi. È stato incredibile, poi persino col salto di catena. Quando ha tagliato il traguardo e abbiamo capito che aveva vinto, è stato un momento che non mi scorderò mai, un’esplosione di emozioni.

Bouwman in azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
In azione sul Monte Lussari al Giro del 2023: è il giorno in cui Roglic prenderà la maglia rosa a Thomas
Che ne pensi della sua dichiarazione recente in cui afferma che correrà dove non ci sarà Pogacar al via?

Conosco Roglic abbastanza bene per i nove anni fatti insieme e per il grande rapporto che ci lega. Posso affermare che il 90% di quello che dice è solo per divertimento. So che lui vuole vincere il Tour più di ogni altra cosa, per quanto anche un altro successo al Giro o alla Vuelta sarebbero davvero grandiosi, per cui non mi stupirei di vederlo di nuovo in Francia.  

Come sei arrivato al ciclismo da bambino?

Giocavo a badminton e calcio, ma già da piccino avevo chiesto a mamma e papà di regalarmi una bici e se non ricordo male, la prima è arrivata quando avevo 4 anni. Giocavo abbastanza bene a calcio a livello regionale, ma quando ho iniziato ad allenarmi tre volte a settimana sul rettangolo verde oltre alla bici, ho capito che era arrivato il momento di scegliere.

Mezgec e la Slovenia, un popolo a ruota dei giganti

16.10.2024
6 min
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TORINO – «In ogni angolo della Slovenia si parla soltanto di ciclismo». Sorride sornione Luka Mezgec, prima di sottoporsi alle visite oramai di rito di fine stagione della Jayco-Alula all’Istituto delle Riabilitazioni Riba. Il Lombardia ha consacrato la stagione magica di Tadej Pogacar, faro di una Nazione che si è presa tutti e 3 i Grandi Giri (e non solo!) grazie al poker calato alla Vuelta da Primoz Roglic. 

Così abbiamo chiesto a chi era a Zurigo per contribuire al trionfo iridato di svelarci come si vive da dentro questa epoca d’oro delle due ruote per un Paese abituato a celebrare i campioni della neve o del basket. Una panoramica del travolgente momento sloveno, prima che l’uomo di fiducia delle volate per Dylan Groenewegen si rituffi sulle sue prospettive verso la decima stagione con la formazione australiana di cui oramai è una bandiera. Non è sfuggito, fra l’altro, che la sua vittoria nella tappa di Trieste al Giro del 2014 sia stata una fortissima ispirazione per il piccolo Pogacar, che lo ha più volte raccontato.

Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino, all’indomani del Lombardia
Abbiamo incontrato Mezgec durante le visite del Team Jayco-AlUla all’Istituto Riba di Torino
Il 2024 ha segnato lo strapotere sloveno nei Grandi Giri e l’anno perfetto di Tadej Pogacar: quali sono le tue impressioni?

E’ difficile fare meglio di così. Fa specie pensare che la Slovenia conti appena 2 milioni di abitanti e 3 squadre continental. In più, a parte poche eccezioni, la maggior parte delle formazioni nel nostro Paese fanno fatica economicamente dal punto di vista degli sponsor. E’ davvero un miracolo quello che sta accadendo. Ora abbiamo 7 corridori nel WorldTour e alle spalle di questi ci sono giovani talenti che stanno emergendo, dagli juniores in su. Ogni anno in Slovenia diciamo che sarà dura ripetere quanto fatto, ma questa stagione è stata qualcosa di pazzesco. Pensando anche alla vittoria di Roglic alla Vuelta, sono certo che molte persone non si rendano conto del periodo che stiamo vivendo. Siamo in un’epoca d’oro e dobbiamo solo goderci questo show, sperando che sia d’ispirazione per i ragazzini che stanno cominciando a pedalare.

Ci racconti il trionfo mondiale?

E’ stato un momento incredibile. Per la prima volta da quando la corro, eravamo al via della prova in linea per vincerla e non “soltanto” per un piazzamento sul podio. A Zurigo per noi contava soltanto l’oro e chiunque sarebbe stato deluso se ci fossimo fermati all’argento. C’erano grandissime aspettative, eppure la squadra era molto rilassata.

Ci spieghi com’è stata possibile quest’atmosfera al netto delle pressioni?

Siamo tutti abituati a vivere in un ambiente molto stressante, per cui non c’erano grosse differenze. Tutti sapevano cosa dovevano fare e l’hanno fatto alla grandissima. Tadej ha leggermente modificato il piano, attaccando prima del previsto, ma a parte quello è andato tutto secondo i piani. Tratnik è stato perfetto. Sapeva esattamente cosa fare quando ha capito che Pogacar era partito alle sue spalle.

Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Questa la vittoria di Mezgec al Giro del 2014 che ispirò il giovane Pogacar
Che cosa hai detto a Tadej dopo l’apoteosi iridata?

La domanda che gli ho fatto è stata: «Ma perché hai attaccato a più di 100 chilometri dal traguardo? A che pensavi?». E lui, senza fronzoli, mi ha risposto: «Stavano attaccando in tanti, mi sono guardato attorno e ho visto che tutti stavano soffrendo, mentre io non mi sentivo così male e così ci ho provato». Insomma, la tipica mossa imprevedibile alla Tadej. Ma quando sei così tanto più forte degli altri come lo è lui in questo momento, il ciclismo diventa un giochino divertente.

E del suo assolo al Lombardia, cosa dici?

Quest’anno Tadej ha davvero alzato l’asticella. Sappiamo che ha cambiato allenatore e i risultati si sono visti. Nella prima parte della stagione si è focalizzato sui giri di tre settimane, mettendo nel mirino Giro d’Italia e Tour de France. Una volta vinto quest’ultimo, il suo unico pensiero era diventare campione del mondo. Così è riuscito ad avere un secondo picco di forma sul finale, rinunciando anche ai Giochi di Parigi. E’ imbattibile al momento e anche al Lombardia si è visto che non ha dovuto nemmeno attaccare a tutto gas per fare la differenza. 

Sei alla Jayco-Alula da quasi un decennio, ci dai un bilancio di quest’anno?

Penso che il 2024 sia stato sopra la media se si parla di successi come squadra. Abbiamo centrato quasi tutti gli obiettivi che ci eravamo posti a inizio stagione, grazie a una ottima Vuelta con due vittorie di tappa, senza dimenticare il successo al Tour di Dylan (Groenewegen, ndr). Forse ci saremmo aspettati qualcosa di più per quanto riguarda la classifica generale nei Grandi Giri, ma abbiamo visto com’è andato quest’anno con tanti acciacchi e malattie. Ad esempio Simon (Yates, ndr) non si è sentito bene un giorno e la posizione in graduatoria al Tour è peggiorata. Nel complesso, possiamo essere contenti. Il team sta ringiovanendo e questo è molto positivo per il futuro e per noi corridori più esperti si tratta di trasferire le nostre conoscenze e la nostra esperienza ai giovani.

Come vedi De Pretto?

E’ davvero un ottimo corridore. Davide è arrivato in squadra come talento promettente, in virtù di alcuni buoni risultati a livello giovanile. Ha subito mostrato che può dire la sua anche nel WorldTour. Sarà interessante seguire la sua crescita nei prossimi due anni e assistere ai suoi successi.

La vera rivoluzione però avviene con la fine dell’era Yates e l’arrivo di Ben O’Connor: che ne pensi?

Ben si prepara a indossare scarpe molto più grandi delle sue, ma ha già dimostrato di poterlo fare al meglio. Ha fatto una grandissima stagione con i secondi posti nella classifica generale della Vuelta e poi ancora ai Mondiali di Zurigo. Se lavorerà ancora sulle corse di un giorno, può far risultato anche nelle Monumento come ad esempio la Liegi-Bastogne-Liegi. Sarà bello lavorare con un nuovo capitano per la generale dopo tanti anni al servizio dei fratelli Yates. Poi, un australiano in una formazione australiana…

Che cosa ti aspetti dal 2025?

Il mio obiettivo personale è di assistere Dylan nel miglior modo possibile, come ho fatto in passato. So che invecchio, ma penso di avere ancora un paio d’anni al top. Conto di essere lì per aiutarlo a vincere il più possibile. Come squadra abbiamo grandi piani con Ben O’Connor per la classifica generale del Tour o di quel che metterà nel mirino. Poi, vincere una tappa nei tre Grandi Giri: quest’anno ci è mancato solo il Giro d’Italia.

Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Al Tour la vittoria con Groenewegen è stata uno degli highlight 2024 per la Jayco-AlUla
Anche perché al Tour ci hai messo lo zampino tu…

Dylan era in forma smagliante ed è stato bellissimo guidarlo al successo. In quello sprint non tutto è stato perfetto, ma non ci siamo fatti prendere dal panico quando ci siamo persi l’un l’altro prima di un punto cruciale come i -2 dall’arrivo. Elmar (Reinders, ndr) è stato fantastico e, con tutta calma, ci ha riportato avanti. Io ho creato un po’ di spazio all’ultima rotonda e Dylan ha preso la ruota giusta. Quando lavori 6 mesi per un momento così, quello che senti è qualcosa di speciale. Provo la stessa sensazione di quando vinco in prima persona.