Mentre suo padre Ivan era in partenza per Santiago del Cile, per portare la nazionale di velocità ai mondiali su pista, il figlio Samuel era dall’altra parte del mondo, in Cina, per conquistare la sua prima vittoria in questo 2025 al Tour of Mentougou. Un successo cercato a lungo, che dà un senso diverso a tutta la sua stagione.
Un’esperienza importante la sua, in un contesto diverso dal solito dopo aver praticamente girato il mondo, in un calendario che ha affiancato a tante prove del calendario italiano altrettante gare all’estero, soprattutto nell’Est europeo e forse aver centrato l’obiettivo proprio in extremis ha anche un senso, rappresentando il culmine di un cammino di crescita (in apertura foto Tour of Mentougou).
La volata vittoriosa di Samuel Quaranta, primo sul filippino Francisco e il neozelandese Fitzsimons (foto UCI)La volata vittoriosa di Samuel Quaranta, primo sul filippino Francisco e il neozelandese Fitzsimons (foto UCI)
«Le gare cinesi sono particolari, noi ad esempio non siamo abituati a correre su percorsi che sono transennati praticamente per tutto il loro sviluppo – racconta Quaranta – Il livello qualitativo non è neanche male, come ci si può aspettare da una trasferta asiatica. Si va forte, anche molto forte, abbiamo toccato anche i 50 di media. Si è rivelata una bella esperienza».
Tu eri partito con l’obiettivo di vincere una tappa?
Sì, assolutamente. Ero venuto con un cerchio sull’agenda per la seconda tappa perché era l’unica per velocisti, anche se nell’ultima ero arrivato vicino a potermi giocare una seconda chance, ma mi sono staccato dal gruppo di 20 sull’ultima salita vicino al GPM, dopo c’era discesa e arrivo. Se avessi tenuto, con Bracalente e Chesini vicino a me potevamo provare a imbastire un’altra volata vincente.
Un lunghissimo rettilineo verso l’arrivo, con il bergamasco uscito fuori presto risalendo dalla quarta piazza (foto UCI)Un lunghissimo rettilineo verso l’arrivo, con il bergamasco uscito fuori presto risalendo dalla quarta piazza (foto UCI)
Che tappa era quella che hai vinto?
Da quando abbiamo saputo che venivamo qua e che mi hanno portato apposta per quella giornata, non mi sono fatto trovare impreparato. Era un circuito cittadino vicino Pechino, molto largo, con strade quasi a tre corsie, curve a 90° molto larghe. Praticamente si faceva a tanta velocità, non si frenava mai. Una frazione corta, 115 chilometri, meno di tre ore di corsa. I miei compagni hanno tirato quasi tutto il giorno perché è andata via una fuga di 14 abbastanza pericolosa su un circuito così, perché si fa tanta velocità e diventa difficile ricucire. Gli ultimi chilometri han tirato Bagatin e Bracalente, li abbiamo ripresi ai -5. Chesini mi ha dato una mano per la volata, mi ha tenuto davanti nelle prime posizioni, poi nell’ultimo chilometro ho badato a non perdere posizioni, era un vialone dritto, partendo dalla quinta posizione son riuscito a vincere.
Questa vittoria tu la inseguivi da tanto tempo, che cosa rappresenta per te?
Ho avuto dei momenti un po’ difficili quest’anno a livello mentale, perché non arrivava. Avevo difficoltà anche nel fare le volate. Devo dire grazie al mio team, la MBH Bank per essermi stato vicino. Poi negli ultimi due mesi mi sono un po’ sbloccato mentalmente, ho deciso di vivere il finale di stagione un po’ più serenamente e a quanto pare ha funzionato perché comunque anche il mese scorso in Romania sono andato abbastanza bene e infine sono riuscito a sbloccarmi. Chiudere l’anno senza neanche una vittoria mi sarebbe pesato molto.
25 giorni di gara per Quaranta, con forma in crescendo e 2 Top 10 oltre al successo cinese25 giorni di gara per Quaranta, con forma in crescendo e 2 Top 10 oltre al successo cinese
Che prospettive hai per il prossimo anno?
Anche per questo era importante, non ho ancora davvero un’idea precisa su cosa farò l’anno prossimo, ci stiamo un po’ muovendo coi procuratori e vedremo. Questa vittoria serviva come il pane in questo momento, proprio perché dà qualcosa in mano al procuratore per trattare, per dimostrare che c’ero anch’io quest’anno in gruppo. Non ho fatto un anno proprio in sordina totale, ma una vittoria nel finale di stagione ha un peso diverso. Dicono tutti che la gente si ricorda l’inizio e il finale di stagione, quindi va bene così.
E’ difficile affrontare il ciclismo che stai affrontando tu, soprattutto col cognome che hai addosso e avendo le stesse caratteristiche di tuo padre?
Sì, anche perché i paragoni sono improponibili. Oggi il velocista è molto diverso perché si va molto forte in salita. Io tengo molto bene su molte ascese, ma il livello si sta alzando sempre di più, quindi per un velocista diventerà sempre più difficile. Io come tutti gli altri velocisti dobbiamo cercare di non di non farci scappare le occasioni, quelle poche che abbiamo e per farlo dobbiamo prima di tutto tenere in salita.
Samuel con il padre, lontano per i suoi impegni federali, ma subito informato del suo successoSamuel con il padre, lontano per i suoi impegni federali, ma subito informato del suo successo
Un problema che ai tempi di tuo padre non c’era…
Sì, ne parliamo spesso. E’ cambiato completamente il modo di affrontare non solo le volate, ma proprio il ciclismo in se stesso. Penso che velocisti come era mio papà, veramente fortissimi sulla volata ma con poca tenuta in salita, non esistano più. Ora c’è gente che va forte in salita rispetto alla media. Quindi quando c’è quella corsa piatta bisogna cercare di non farsela scappare. Ma non è solo questione di percorsi perché comunque anche i metodi di allenamento stanno cambiando, devi migliorare per forza in salita, anche a costo di perdere qualcosina nelle volate.
Salvoldi e Bragato, nei loro rispettivi ambiti, hanno espresso situazione e prospettive della spedizione azzurra verso i mondiali su pista di Santiago del Cile, ma ieri con loro è partito anche un altro cittì al suo esordio come responsabile unico di settore. Per la sua prima esperienza nel ruolo (che poi nei fatti non cambia nulla visto il suo lavoro nelle ultime stagioni) Ivan Quaranta ha predisposto una squadra di velocisti con qualche novità non tanto nei nomi, quanto nella disposizione dei posti e quindi carne al fuoco ce n’è.
Da sinistra Minuta, Predomo e Napolitano, il team campione europeo U23 che sarà al via nel Team SprintDa sinistra Minuta, Predomo e Napolitano, il team campione europeo U23 che sarà al via nel Team Sprint
Il Team Sprint chiarirà le idee
Si parte, sia temporalmente (sarà la prima disciplina della rassegna iridata) che come peso specifico, dalla velocità a squadre. Quaranta sa che ci si gioca molto, soprattutto inquadrando quel cammino di progresso tanto annunciato e molto atteso.
«Riconfermo il terzetto che ha vinto il titolo europeo U23 – dice Quaranta – con Napolitano al lancio, Minuta per il secondo giro e Predomo in chiusura. Hanno fatto registrare il record italiano, quindi è una formazione abbastanza collaudata. Poi vediamo un po’ come siamo messi in base agli altri terzetti, mi piacerebbe inserire Bianchi al secondo carrello spostando Minuta al lancio, ma vedremo come va. Per adesso noi non siamo ancora una nazione da medaglie fra gli elite, ma sappiamo che abbiamo lavorato bene. Non ci manca niente e quindi nella seconda manche possiamo permetterci di fare anche degli esperimenti, sapendo che si può anche sbagliare».
A te interessa di più fare un gran tempo o magari salire anche di un solo gradino, cogliere magari un sesto posto che nella nostra ottica sarebbe come una medaglia?
Per noi il primo obiettivo dev’essere entrare a far parte delle prime 8 squadre, perché vuol dire comunque iniziare a sentire il profumo della qualifica olimpica. Ma per riuscirci dipende anche da come vanno gli altri. Poi dipende dal tempo, noi ad Anadia abbiamo fatto il record a 43”2, con quel tempo ti qualificavi ottavo a Parigi. Ma basterà ora? Dipende da tanti fattori: le condizioni della pista, del clima, chi ci sarà contro di noi… Il miglioramento è fisiologico e non va forzato.
Matteo Bianchi, già campione europeo nel chilometro proverà a centrare il podio mondialeMatteo Bianchi, già campione europeo nel chilometro proverà a centrare il podio mondiale
Come mai Predomo nelle prove individuali sarà solo riserva?
Ai mondiali ci si qualifica e attraverso una classifica nominale. Si è qualificato solo Stefano Moro e non c’è possibilità di sostituirlo se non per acclarati motivi di salute. Purtroppo quest’anno Mattia ha avuto un po’ di problemini che gli hanno precluso appuntamenti importanti per ottenere i punti necessari.
Che notizie hai delle altre nazioni?
Intanto c’è la grande novità del ritorno di Richardson nelle file inglesi, dopo aver corso diverse Olimpiadi e mondiali con l’Australia dove si era trasferito. Questo rafforza enormemente la Gran Bretagna e al contempo indebolisce il team oceanico. Poi bisogna considerare un fatto: nell’endurance si fanno i conti con le altre discipline, molti campioni hanno scelto di saltare la stagione su pista, ma nella velocità non avviene. Già di corse ce ne sono poche, quindi ogni gara titolata presenta sempre il meglio sulla piazza. Difficile che si facciano esperimenti, questo sarà un mondiale vero. Richardson, Lavreysen, Paul, Yakovlev, li troveremo tutti. Di sicuro sarà un grande spettacolo.
Matthew Richardson ha culminato la sua carriera australiana con 3 medaglie a Parigi 2024, ora è tornato alla Gran BretagnaMatthew Richardson ha culminato la sua carriera australiana con 3 medaglie a Parigi 2024, ora è tornato alla Gran Bretagna
Che cosa ti hanno detto del velodromo?
Siamo a 500 metri, quindi il beneficio dell’altura non c’è – afferma Quaranta – ci sarà sicuramente meno umidità rispetto a un velodromo a livello del mare, quindi sarà leggermente più performante. Tecnicamente la pista è uguale a Montichiari, quindi 45 per cento la parabolica e 25 per cento il rettilineo con 6 metri di larghezza e 6 di curva. La scorrevolezza la vediamo quando siamo là, quei 3-4 giorni che facciamo prima del mondiale ci serviranno anche per capire che rapporto usare e che scelta di tubolari da utilizzare.
Tra le donne ci sarà soltanto Miriam Vece?
Sì. Noi potevamo partecipare al team sprint con le donne, avevamo i diritti, ma sono ancora juniores, hanno fatto europeo elite, europeo junior e mondiale junior, non me la sono sentita di chiedere un altro picco di forma. Poi bisogna anche considerare il budget a disposizione, la trasferta era molto dispendiosa. Faranno l’europeo di febbraio, da dove inizieremo a ragionare anche in funzione della qualificazione olimpica che è il vero grande obiettivo per tutti.
Stefano Moro prenderà parte a velocità e keirin, dove ha chiuso ai piedi del podio l’europeoStefano Moro prenderà parte a velocità e keirin, dove ha chiuso ai piedi del podio l’europeo
La Vece come si presenta?
Sta bene, il suo l’ha sempre fatto. Abbiamo fatto anche delle prove sul chilometro, ma per questa volta lo farà ancora la Fidanza che è bronzo europeo, ma secondo me può avere delle buone possibilità di fare un buon tempo anche nel chilometro. Poi capita in un momento del programma settimanale che è il giorno prima del keirin, quindi ho preferito non farglielo fare. Io dico che Miriam (con Quaranta nella foto di apertura, ndr) è da prime 10 nella velocità e quindi giocarsi anche un ingresso nei quarti di finale, mentre nel keirin è da finale e quando sei lì può succedere sempre di tutto. Come l’anno scorso a Moro che ha fatto quarto all’europeo per un tubolare e decimo al mondiale. Vediamo come va giorno per giorno, noi cercheremo di ottenere i migliori risultati.
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MISANO ADRIATICO – «Vengo dalla scuola Fiorin – dice Rebecca Fiscarelli, 17 anni – dove la multidisciplina è all’ordine del giorno. Ho sempre fatto strada, pista e ciclocross. Preferisco la pista perché mi è sempre piaciuta, però penso che al giorno d’oggi per crescere si debba provare tutto. Anche perché da una specialità impari cose nuove che puoi applicare nell’altra. Il ciclocross per guidare in pista, la strada per avere resistenza nel cross. Da ognuna hai un beneficio, per cui mettendo tutto insieme, hai sicuramente una marcia in più».
Era sabato 11 marzo 2023, quando incontrammo per la prima volta Rebecca Fiscarelli, tricolore al primo anno da allievaEra sabato 11 marzo 2023, quando incontrammo per la prima volta Rebecca Fiscarelli, tricolore al primo anno da allieva
Il cerchio che si chiude
Parla così la neo campionessa del mondo della velocità a squadre juniores ad Apeldoorn – titolo conquistato con Cenci e Trevisan (Campana ha corso le qualifiche, in cui l’Italia ha anche stabilito il miglior tempo) – già campionessa europea ad Anadia. In un certo senso è un cerchio che inizia a chiudersi. Sorridiamo entrambi ricordando il primo incontro, in un sabato di marzo del 2023, quando i suoi anni erano appena 15. La Tirreno-Adriatico arrivava a Osimo, Roglic stava per vincere un’altra tappa, quando nello stand di Alé facemmo la conoscenza della giovanissima marchigiana in maglia tricolore. Con lei sua sorella Ylenia, che le faceva e ancora le fa da addetta stampa. Oggi Ylenia è in vacanza a Ibiza, ma è stata lei con i suoi messaggi a guidare Rebecca fino al truck di bici.PRO a Italian Bike Festival.
«Ritengo che la strada sia molto importante anche per crescere – dice per completare il concetto – e per vedere nuove cose. Sono ancora giovane quindi voglio capire dove posso andare e dove no. Sicuramente in pista abbiamo visto che vado forte, adesso ci concentriamo nuovamente su strada. Corro con il Conscio Pedale del Sile, vediamo che cosa ci propone la strada».
Fino al 2024, Rebecca Fiscarelli ha corso nel Team Fiorin, dove si pratica sul serio la multidisciplina (immagine Instagram)Fino al 2024, Rebecca Fiscarelli ha corso nel Team Fiorin, dove si pratica la multidisciplina. Ora è alla Conscio Sile (immagine Instagram)
Pistard senza pista
Tiene fra le mani la maglia iridata e le due medaglie: una col nastro azzurro della UEC, l’altra invece è color arcobaleno. Sono giorni di foto ricordo e racconti, ma a breve ricomincerà anche la scuola al Bonifazi-Corridoni di Civitanova Marche e allora si tornerà alla routine di lezioni al mattino, un rapido pranzo e poi gli allenamenti. Almeno quelli su strada, perché nelle Marche piste non ce ne sono.
Ad Ascoli Piceno hanno smantellato quella che già c’era per allargare un campo da calcio e hanno iniziato la costruzione di quella nuova, che per ora è ancora in alto mare. Semmai si va ad Avezzano, ma si tratta pur sempre di fare 400 chilometri fra andata e ritorno, con il Gran Sasso nel mezzo. Oppure a Forlì e in quel caso i chilometri sono 380.
La vittoria del titolo europeo ad Anadia aveva fatto capire che al mondiale si sarebbe potuto fare bene (foto UEC)La vittoria del titolo europeo ad Anadia aveva fatto capire che al mondiale si sarebbe potuto fare bene (foto UEC)
Che effetto fa aver vinto il campionato del mondo?
Una bellissima emozione. Venivamo già dal bellissimo risultato dell’Europeo, quindi ci aspettavamo di fare bene, ma non così tanto. Le ultime settimane non erano state molto semplici, ma ci siamo riprese, per fortuna, ed è andata molto bene. Io per prima non ero nella migliore condizione, perché appena arrivata in Olanda, ho preso la febbre. Quaranta non era dell’idea di farmi correre, però mi sono impuntata. In un modo o nell’altro sapevo che dovevo riuscirci.
La velocità a squadre si corre in tre, qual era il tuo turno?
L’ultimo. Si parte da fermi e abbiamo corso con Matilde Cenci e Siria Trevisan, che ha fatto una partenza perfetta. Poi è toccato a Matilde, come sempre strepitosa, e poi è toccato a me. Abbiamo girato su bei tempi anche in finale, nonostante la pista non fosse molto calda rispetto a quella dell’europeo, che mi è parsa più scorrevole. Siamo riusciti a portare a casa questo grande risultato, che sicuramente per me è un biglietto da visita per l’anno prossimo, dato che sono ancora di primo anno. Mi piacerebbe anche vincere un titolo singolo, però farlo con loro è stato bellissimo. Anche perché Siria e Matilde hanno un anno in più e sono molto più forti di me, quindi riuscire a stare con loro è stato veramente molto bello.
Essere l’ultima, dopo aver avuto la febbre, è stato una responsabilità?
Ero un po’ titubante, però mi sono auto convinta che per 49 secondi la febbre non l’avrebbe spuntata. Non dovevo fare un lungo di 3 ore, non dovevo fare 100 chilometri, ma solo 750 metri. E in effetti in gara sono stata bene, sul momento ero felicissima, però la notte dopo ne ho risentito.
Fiscarelli tira per terza, subito dopo Matilde Cenci. Per prima parte Siria TrevisanFiscarelli tira per terza, subito dopo Matilde Cenci. Per prima parte Siria Trevisan
Visto che Cenci e Siria Trevisani diventeranno under 23, con chi pensi che correrai il prossimo anno?
Del settore velocità resto solo io, però avremo l’aiuto di Agata Campana. Lei fa parte del gruppo endurance, però in realtà è una forte velocista. Vince su strada, la velocità in pista non le piace poi tanto, il team sprint è una specialità che invece l’attira parecchio. Ha visto che si può fare, ha visto che andiamo bene e quindi l’anno prossimo saremo noi due e poi troveremo delle ragazze che vengono su dagli allievi. Abbiamo già un po’ di nomi, si tratterà di vedere come andranno le cose.
E così il settore velocità che era ormai estinto, ha ricominciato a mietere successi…
Diciamo che grazie al nostro tecnico Ivan Quaranta stiamo facendo rinascere un settore ormai morto, perché si può dire che fosse così. Anche noi ragazze abbiamo vinto un titolo che alla Federazione mancava, quindi è stato anche molto bello anche per questo. Un nuovo titolo e quindi nuove speranze anche in vista di Los Angeles 2028. Dopo le imprese di Matilde Cenci, che ha vinto tre ori e un bronzo, dopo tutti noi insieme e compresi anche i ragazzi, speriamo di esserci guadagnati un po’ più di fiducia anche da parte della Federazione. In modo di fare più trasferte e riuscire a fare più cose.
Hai parlato del cittì Quaranta, come ti trovi con lui?
Ivan è sicuramente un tecnico molto bravo e molto giusto. Quando c’è da lavorare si lavora, però quando c’è da scherzare, ci puoi scherzare tranquillamente. E’ serio al punto giusto, riesco ad avere un bel confronto.
Rebecca Fiscarelli ha conquistato europeo e mondiale nella velocità a squadre al primo anno da juniorFiscarelli oro europeo e mondiale nella velocità a squadre al primo anno da junior. Al suo fianco, Agata Campana
Ad esempio?
Per la finale stavamo ragionando se cambiare il mio rapporto oppure no. E lui si è messo accanto a me e mi ha chiesto le sensazioni che avevo. In semifinale io mi ero sentita abbastanza dura e proponevo di accorciarlo, invece abbiamo fatto un’analisi a ritroso.
E che cosa è venuto fuori?
Ci siamo resi conto che prima della semifinale avevo fatto un riscaldamento un po’ scarso. Ne abbiamo parlato. Ho fatto un riscaldamento migliore e alla fine sono partita con il 56×15. Invece all’euorpeo avevo fatto la semifinale con il 56 e la finale con il 57. Quaranta è veramente super disponibile.
E adesso ricomincia la scuola.
Giusto, faccio un tecnico a Civitanova Marche, il Bonifazi Corridoni. Studio grafica ed è tosta, però riesco a conciliare bene tutto. Anche perché la scuola mi piace, studiare mi è sempre piaciuto fin da piccola e quindi riesco bene anche sui libri. La mattina mi alzo e vado a scuola, faccio pranzo lì e appena torno a casa – di solito all’una e mezza ci sono già – vado a fare subito allenamento, che sia in palestra o su strada.
Dopo l’accoppiata europei più mondiali, Rebecca Fiscarelli è stata ricevuta da Fabrizio Ciarapica, sindaco di Civitanova MarcheDopo l’accoppiata europei più mondiali, Rebecca Fiscarelli è stata ricevuta da Fabrizio Ciarapica, sindaco di Civitanova Marche
Che cosa fa Rebecca quando non studia e non si allena?
Mi piace uscire con le mie amiche, mi svago un po’ e vado a fare shopping. Quando ho vinto il mondiale, le mie amiche sono state felicissime. Sono tornata a casa che era notte fonda e la mattina dopo mia sorella mi ha buttato giù dal letto e mi ha portato a fare colazione perché loro mi avevano organizzato una specie di sorpresa. Mi aspettavano al bar e poi abbiamo passato la giornata insieme. Gli ho fatto vedere la maglia ed erano più contente di me.
Quando due anni fa ci siamo incontrati a Osimo avresti immaginato che oggi saremmo stati qui a parlare di un titolo mondiale?
Assolutamente no. Avevo addosso la maglia tricolore, mi aspettavo di arrivare in alto, questo non posso negarlo, ma così tanto in così poco tempo no. E’ stato veramente bello, è successo tutto in fretta, forse troppo. Devo ancora realizzare, però è stato veramente molto bello.
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Tre medaglie d’oro e la ciliegina del bronzo nella velocità. I mondiali juniores su pista ad Apeldoorn hanno mostrato l’esplosione di tutto il talento di Matilde Cenci, arrivata in Olanda quasi da sconosciuta per poi guadagnarsi l’ammirazione anche delle delegazioni straniere. E’ una delle tante storie belle del ciclismo, che spesso fa sbocciare dal nulla autentici campioni: Matilde è giovanissima, non ancora maggiorenne e se sarà una campionessa assoluta solo il tempo potrà dirlo, ma le premesse ci sono tutte.
Matilde con le compagne iridate nel team sprint, Campana, Fiscarelli e Trevisan (foto UCI)Matilde con le compagne iridate nel team sprint, Campana, Fiscarelli e Trevisan (foto UCI)
Proviamo allora a scoprire con chi abbiamo a che fare, alla storia di questa ragazza di Romano d’Ezzelino: «Farò 18 anni il prossimo 14 novembre. Da piccolina facevo ginnastica artistica, ma mi sono fatta male al legamento del ginocchio. Nel frattempo mio fratello correva in bici al Veloce Club Bassano, così ho conosciuto i suoi compagni, ho fatto amicizia e ho deciso di provare a correre in bici perché la ginnastica artistica a quel punto non era più la mia strada. A proposito di strada, correvo e qualche risultato lo coglievo, ma assolutamente niente di eccezionale. In pista però andavo sempre forte, al velodromo Mercante che è diventato la mia seconda casa. Il bello è che avevo iniziato con una caduta, ma non ci sono stata tanto a pensare: subito in piedi e poi in sella…».
Quindi un destino praticamente segnato…
Per certi versi sì, la differenza di rendimento c’era così con i dirigenti del team e il cittì Quaranta abbiamo deciso di dedicarci interamente alla pista. Su strada non corro più. Un pochino mi manca quella possibilità che la pista ti dà di rifarti subito dopo una gara andata male, perché il calendario è ricchissimo, ma la pista mi piace enormemente di più.
La bassanese ha scelto di non correre più su strada. Da quest’anno fa parte delle Fiamme Oro (foto Instagram)La bassanese ha scelto di non correre più su strada. Da quest’anno fa parte delle Fiamme Oro (foto Instagram)
Il tuo passato nella ginnastica artistica ti è stato utile per affrontare proprio questo specifico settore della velocità?
Secondo me non ero ancora a un livello tale da poterne avere un beneficio, perché ero davvero piccolina. Ho iniziato con il ciclismo a 10 anni e mezzo, e devo dire che mi ha preso subito come la ginnastica non era riuscita a fare.
Come ti sei innamorata poi della velocità, che cos’è che ti attrae particolarmente?
A me sono sempre piaciute le discipline veloci, dinamiche, che ti tolgono il respiro perché sei sul filo del rasoio, ti giochi tutto sui millesimi. E poi anche per come sono io fisicamente, sono più portata per le prove di potenza che per le endurance. Poi mi ha sempre appassionato il mondo della velocità, era la disciplina che mi attirava di più.
Fra le varie discipline tu hai vinto tre medaglie d’oro e una di bronzo, ma qual è quella che ti piace di più?
Il keirin, in assoluto, anche se ad Apeldoorn quella che ho vissuto con più emozione è stata il team sprint. Perché è stata una vittoria di squadra e quindi abbracciare le mie compagne, essere consapevoli di aver vinto qualcosa tutti assieme, aver fatto un lavoro di squadra è stato bellissimo.
Nel chilometro da fermo la veneta è andata ad appena 70 millesimi dal record mondiale di categoria (foto Instagram)Nel chilometro da fermo la veneta è andata ad appena 70 millesimi dal record mondiale di categoria (foto Instagram)
Quaranta raccontava che tu hai vinto la medaglia d’oro nel keirin in maniera quasi inusuale, addirittura facendo un giro e mezzo davanti a tutte…
Io sono arrivata al keirin che era il mio quinto giorno di gara, ero stremata, penso più di testa che di fisico. Inoltre ricordavo l’europeo dove avevo sbagliato tutto, era la gara alla quale tenevo di più. Ad Apeldoorn nelle qualificazioni ho sbagliato ancora e non mi sono qualificata, ma poi ho vinto i ripescaggi e in semifinale sono riuscita a entrare nelle tre per la finale. Prima della gara ero proprio tranquilla, forse perché avevo già vinto nella rassegna. Ivan mi ha detto di pensare solo a divertirmi, magari evitando di farmi male… Quindi io sono salita in bici che avevo il cuor leggero. Mi sono fatta guidare dall’istinto. Ho visto la tedesca che partiva e l’ho seguita, è suonata la campana e sono partita senza starci a pensare ed è andata bene.
Cosa rappresenta per te Miriam Vece?
E’ un punto di riferimento, anzi ormai è anche un’amica perché ci alleniamo assieme a Montichiari. A noi “piccole” ci supporta sempre, al mondiale ci scriveva ogni giorno e ci dava consigli. Lei è un pozzo di esperienza, un aiuto indispensabile.
La vittoria nel keirin è stata la più sorprendente, con il giro finale sempre in testa (foto UCI)La vittoria nel keirin è stata la più sorprendente, con il giro finale sempre in testa (foto UCI)
Quaranta ha già detto che l’anno prossimo vuole provare a farvi correre con lei per il team sprint…
Noi abbiamo già corso con Miriam lo scorso inverno, anche agli europei. Ma eravamo, io e la mia compagna, ancora troppo piccole, dovevamo ancora crescere molto fisicamente. Quest’anno ci riproveremo a febbraio con gli europei e poi vedremo il cammino di qualificazione olimpica. Di certo Los Angeles è un obiettivo, a lungo termine. Non abbiamo, tra virgolette, il fiato sul collo. Non sentiamo la pressione, ma è un pensiero che abbiamo tutti chiaro in testa.
Lavorare in palestra ti pesa?
Assolutamente no, quest’anno ho cambiato preparatore e devo dire che ha un metodo di lavoro completamente diverso da ciò che io avevo provato prima di lui, mi sto trovando molto bene anche proprio a livello interpersonale. E’ super disponibile, abbiamo un feedback praticamente istantaneo con lui, ci corregge i lavori. E’ un rapporto ideale.
Il bilancio della Cenci è stato di 3 ori e un bronzo. Agli europei aveva vinto il bronzo nel team sprint (foto UCI)Il bilancio della Cenci è stato di 3 ori e un bronzo. Agli europei aveva vinto il bronzo nel team sprint (foto UCI)
Come riesci a conciliare il tanto lavoro che c’è da fare su pista con la scuola?
Io quest’anno ho dovuto cambiare scuola, mi sono dovuta trasferire in una scuola online, perché stando a Montichiari, dal lunedì al venerdì, per me era impossibile frequentare la scuola in presenza a Bassano. Continuo nel mio indirizzo, scienze umane e terminate le superiori voglio fare l’università, quindi non ho certo preso lo studio alla leggera. Così però posso gestire meglio il tempo e seguire le lezioni nell’orario in cui voglio io.
Che obiettivi ti sei posta adesso, soprattutto dopo che adesso chiaramente hai un po’ più di fari dell’attenzione addosso?
Intanto penso ai campionati italiani di ottobre a Noto, poi a lungo termine c’è il passaggio di categoria. So che sarà molto dura, correrò con atlete con più allenamenti di me, che sono più forti di me, ma tra le under 23 l’anno prossimo mi piacerebbe riuscire comunque a far sentire il mio nome, a far capire che ci sono anch’io, che sto arrivando…
Bilancio sontuoso per gli azzurri ai mondiali juniores di Apeldoorn. Tredici medaglie (sei ori) in un settore che funziona bene. Un modello da esportare
Paolo Sangalli è il nuovo tecnico della nazionale donne su strada: juniores ed elite. Le sue idee e il suo metodo di lavoro. Nel mirino europei e mondiali
Ivan Quaranta ci sta facendo l’abitudine, ai ritorni trionfali dalle grandi manifestazioni giovanili e chiaramente si attende che presto la lunga scia si trascini anche alle prove dei grandi. Intanto però la rassegna iridata juniores di Apeldoorn gli (e ci) ha regalato una clamorosa sorpresa, un’inversione di tendenza con il gruppo delle ragazze azzurre che ha dominato il settore velocità con ben 3 ori, più il bronzo di quella che a conti fatti è stata la mattatrice della rassegna: Matilde Cenci.
Risultati che per certi versi cambiano le prospettive con cui viene visto il lavoro di Quaranta, a cui la Federciclismo aveva affidato, subito dopo Tokyo 2021, di far risorgere un settore storico per tutto il ciclismo italiano che era completamente caduto nel dimenticatoio. Ora non solo abbiamo un gruppo di Under 23 dalle grandi prospettive, ma anche le ragazze lanciano segnali importanti.
Quaranta con il presidente federale Dagnoni e le ragazze del team sprint, autrici di un’impresa storicaQuaranta con il presidente federale Dagnoni e le ragazze del team sprint, autrici di un’impresa storica
«Siamo riusciti a fare un bel gruppo – afferma il tecnico azzurro – Questi risultati sorprendono fino a un certo punto perché questo gruppo donne nasce sulla scia delle imprese di Miriam Vece, della sua rincorsa e storica partecipazione ai Giochi di Parigi. Questa cosa è stata importante per le ragazze giovani che hanno iniziato a interessarsi, a chiedere, a partecipare. Alla fine con lei a fare da apripista, queste ragazze hanno trovato una via di espressione e poi, quando puoi lavorare con quelle forti, è tutto più facile e cresci prima».
Capita spesso che interagiscano con Miriam?
Tantissimo. Lei spesso le consiglia, quasi mi dà una mano nella loro cura. Scherzando dicevo che ad Apeldoorn l’hanno stalkerizzata, per la gran quantità di telefonate e messaggi nel corso della rassegna…
Delle tre medaglie d’oro quale ti ha sorpreso di più?
Il chilometro da fermo, quella davvero non me l’aspettavo perché non essendo prova olimpica non la prepariamo nello specifico. Ma come è successo al maschile, con Bianchi che ha dimostrato di essere competitivo a livello mondiale, abbiamo dimostrato che anche fra le ragazze si può seguire la stessa strada.
Le vittorie in Olanda rappresentano la base per un nuovo lavoro, teso alla qualificazione olimpica anche nella velocità femminileLe vittorie in Olanda rappresentano la base per un nuovo lavoro, teso alla qualificazione olimpica anche nella velocità femminile
Nella vittoria della velocità a squadre spicca il fatto che nel terzetto c’era anche Agata Campana che è una specialista della strada, quindi c’è una composizione un po’ diversa rispetto a quella classica della squadra maschile.
Agata ha dimostrato di avere delle ottime attitudini per questa disciplina. Nel Team sprint la terza come al maschile è l’elemento che ha un po’ più fondo. Anche Bianchi è un chilometrista che si allena anche tanto su strada, quindi è una dove la commistione è possibile. Consideriamo anche che a livello junior non c’è ancora quell’iperspecializzalizzazione che giocoforza interverrà più avanti. Tornando alla Campana, lei mi è stata utilissima perché rispetto alla Fiscarelli ha fatto un paio di decimi peggio come terza frazione, però a me è servita tanto per togliere una prova alla Fiscarelli. Quelle energie se le è ritrovate in finale, mentre in qualificazione abbiamo perso pochissimo, nel cambio ci abbiamo guadagnato tutti. Agata è stata bravissima nel svolgere il suo compito e adeguarsi.
Chi è Matilde Cenci?
Una ragazza forte – risponde Quaranta – che ha un passato da stradista e da allieva è stata anche campionessa italiana della madison, oltre a vincere su strada. Una ragazza veloce, forte, seria, che ha dedicato praticamente la vita a questo sport, pensate che è da gennaio che è in ritiro. E quindi è una ragazza su cui sicuramente si può puntare, lei come la Trevisan per il futuro. Entrambe l’anno prossimo passeranno di categoria, potranno correre con le Elite e inserendo la Vece nel team sprint potrebbe già essere una formazione capace di entrare nelle prime 8 a livello mondiale.
Per la veneta la grande gioia nel chilometro da fermo, tra tutti il più inattesoPer la veneta la grande gioia nel chilometro da fermo, tra tutti il più inatteso
Si sa che in campo maschile ci vuole tempo per maturare, lo stiamo vedendo con la generazione dei Predomo, Minuta e gli altri. Per le donne è diverso, si matura prima, si arriva prima ai vertici?
C’è una differenza fisiologica. La donna matura prima anche fisicamente, quindi può iniziare prima a fare certi tipi di lavori, abbiamo un guadagno di un paio d’anni per poter fare certi lavori in palestra rispetto a un uomo e sono molto più redditizi. Perché? Appunto perché il sistema ormonale è già quasi completato. Faccio un esempio: la Cenci ha sfiorato il record del mondo del chilometro facendo 1’08”. La Fidanza, senza nessuna preparazione specifica, ha fatto 1’05”. Certamente servirà del tempo, dovremo lavorare senza fretta, sapendo però che vincere 3 titoli mondiali su 4 in palio non è una roba da poco.
Los Angeles per queste ragazze arriva troppo presto?
Io dico di no, dico che ce la possiamo giocare. Quando hai una Vece che è quarta nel ranking mondiale, una Trevisan che parte in 19”3 che già di per sé t’inserisce nelle prime 10 squadre al mondo, una Cenci che ti vince il chilometro sfiorando il record del mondo e conquistando il keirin facendo un giro e mezzo in testa, con un terzetto così si può anche pensare in grande. Bisogna lavorarci, fare allenamenti specifici insieme e li faremo. Inizieremo dopo il mondiale e già all’europeo 2026 conto che presenteremo la squadra. Lì sapremo qualcosa di più, se il progetto sarà realizzabile in tempi brevi, ma io sono convinto di sì.
La Cenci sul gradino più alto del podio nel keirin, battendo la colombiana Hernandez (foto Uci)La Cenci sul gradino più alto del podio nel keirin, battendo la colombiana Hernandez (foto Uci)
I maschi sono passati un po’ sottotraccia, senza squilli…
Il team sprint ha chiuso al quarto posto, con una partecipazione di 16 terzetti – chiarisce Quaranta – Ghirelli nel Keirin ha vinto la finalina per il 7° posto ed è un primo anno. Cosumano ha fatto la seconda miglior prestazione come primo frazionista del team sprint di tutto il mondiale e anche lui è un primo anno. Melotti è stato bronzo all’europeo ma al mondiale era un po’ in calo. Sì, diciamo un po’ sottotono rispetto alle aspettative, però il materiale umano su cui poter lavorare c’è.
E i grandi?
Loro avevano una settimana di scarico mentre ero ad Apeldoorn, ora riprendiamo il lavoro verso i mondiali per continuare a progredire. Adesso stiamo preparando il mondiale sperando di entrare nelle 8 e dovremmo avere i tempi per poterlo fare. Siamo ancora in crescita, abbiamo ancora dei margini di miglioramento data la giovane età degli atleti e le possibilità di aggiornamento dei materiali e lavorando sulle posizioni dei corridori, per migliorare l’aerodinamica.
Il muro dei 43 secondi è raggiungibile?
Sì e penso che poterlo abbattere sia anche qualcosa che si realizzerà quanto prima. Chissà, magari già in Cile visto che la pista mi dicono essere molto veloce…
Faccia a faccia con Matteo Bianchi, bandiera della velocità azzurra. Voleva andare a Aigle, invece ha scelto di restare. La svolta Quaranta avvicina Parigi
«Oggi anche un giovane italiano – dice con orgoglio e una punta di malizia Ivan Quaranta – può dire che da grande vuole fare il velocista. Può dirlo perché esiste un settore con dei tecnici dedicati e i Corpi di Stato che ci danno una mano. Gli atleti più meritevoli vengono assunti, la Federazione ci crede e noi andiamo avanti. A me non basta più vincere il campionato europeo da junior o under 23. Mi piacerebbe arrivare a Los Angeles con qualche velleità in più».
Dopo tre anni da collaboratore di Marco Villa, Ivan Quaranta è stato nominato commissario tecnico della velocità azzurra. Oggi è partito per la Turchia verso la prova di Nations’ Cup. Se fosse il naturale corso nella carriera di un tecnico che tecnico è sempre stato, ci sarebbe poco di cui stupirsi. Ma se l’uomo si fa chiamare Bomber, ha nel palmares un mondiale juniores nella velocità, poi una carriera su strada in cui vinse volate e rifilò cazzotti a Cipollini, quindi si è messo a organizzare eventi prima di diventare tecnico juniores e poi U23, allora la storia ha i tratti del romanzo. Ivan Quaranta cittì azzurro della pista è il capitolo di un romanzo che nel 2028 a Los Angeles potrebbe arricchirsi di qualche pagina indimenticabile.
«E’ il riconoscimento del lavoro che ho fatto – dice Ivan “Bomber” Quaranta – ho affiancato Villa e anche Marco era d’accordo. E’ il coronamento di un sogno, essere commissario tecnico del settore velocità è un grande onore, essendo nato nella velocità. La prima gara di valore che ho vinto fu il campionato del mondo in pista nel torneo della velocità».
Nella serata di Zolder agli ultimi europei, l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermoNella serata di Zolder agli ultimi europei, l’oro di Bianchi (qui con Ivan Quaranta) nel km da fermo
Rispetto agli anni in cui vincevi quel mondiale, il mondo è cambiato…
Sono stato tecnico su strada, prima con gli allievi della Cremasca e poi con la Colpack. Sapevo già leggere un test, ero aggiornato. Però era tutto legato alla strada, quindi ricominciare con la velocità ha significato rendersi conto che il mondo era cambiato radicalmente. Anche se la velocità l’ho sempre guardata, mi è sempre piaciuta. Da Theo Bos a Chris Hoy, sono sempre stato appassionato. Capivo che i rapporti erano cambiati, i materiali, le velocità, anche il tipo di volata.
Il tipo di volata?
Da quando hanno tolto la possibilità di fare surplace, è cambiato anche il modello prestativo della specialità. Adesso si mettono in testa e bisogna avere nelle gambe 40-45 secondi di sforzo massimale, con rapportoni molto più lunghi. Mi sono dovuto applicare, inizialmente mi è servito molto l’aiuto di Villa. Poi mi sono appoggiato al nostro Team Performance, a partire da Diego Bragato, che ne è responsabile, e tutti gli altri. Mi sono applicato, ho studiato, ho cercato di rubare il mestiere andando a vedere.
Andando a vedere cosa?
Mi è capitato di andare in pista con i meccanici la mattina molto presto. Il velodromo era vuoto e io andavo a rubare un po’ di foto per vedere i rapporti che usavano, le pedivelle. Se il tecnico è preparato, capisce che tipo di prestazione serve per poter essere competitivi. Inizialmente abbiamo sperimentato, a volte anche sbagliando. A volte, purtroppo è brutto da dire, ho usato questi ragazzi come cavie. Mi sono rimesso anche sui libri di testo, qualcosa mi ha passato Dino Salvoldi. Ho lavorato tre anni cercando di capire che tipo di sforzo servisse.
Mattia Predomo si è affacciato da giovanissimo sulla velocità mondialeMattia Predomo si è affacciato da giovanissimo sulla velocità mondiale
E che cosa avete capito?
Che la grande differenza oggi è il lavoro che il velocista fa in palestra. La forza la migliori in palestra. In bicicletta la puoi completare, puoi fare tutti i lavori che vuoi. La partenza da fermo piuttosto che le SFR. Fai tutti i lavori che vuoi, ma la vera forza l’aumenti in palestra. Un buon 65-70% del nostro allenamento si fa con i pesi e lo completiamo in bicicletta, perché comunque il gesto tecnico ci deve essere. Oltre al modello prestativo, c’è anche la componente tecnica. Penso al cambio in un team sprint piuttosto che la tecnica della partenza da fermo o le traiettorie da utilizzare in un lancio su 200 metri. C’è ancora tanta componente tecnica e molta più fisicità rispetto a quando correvo io.
Nel 2020 la velocità italiana quasi non esisteva, oggi è un settore in rampa di lancio…
Abbiamo creato un metodo di lavoro che sta dando i suoi buoni frutti. Sicuramente sbaglieremo ancora, sicuramente non saremo i migliori, però in tre anni abbiamo vinto tre campionati del mondo e 14 titoli europei, battendo anche tedeschi, inglesi e francesi. Nei giovani siamo una delle Nazioni più forti. La cosa importante è sottolineare Il supporto dei corpi di Stato, che per noi è stato fondamentale. Perché grazie a loro e al nostro metodo di lavoro siamo riusciti a raggiungere dei buoni risultati. La qualifica olimpica della Miriam (Vece, ndr). Abbiamo abbassato tutti i record italiani. Abbiamo vinto i campionati europei, i campionati del mondo juniores, ancora l’anno scorso con Del Medico. Questo ha permesso di creare un bel gruppo, perché adesso saremo una ventina.
Parlavi dei corpi militari…
Siamo una ventina e ce l’hanno permesso Fiamme Oro, Fiamme Azzure e l’Esercito, che hanno praticamente assunto quasi tutti i velocisti. La cosa più bella è che una volta li dovevi andare a cercare per convincerli. Speravi che venissero in pista a girare per diventare velocisti. Nessuno voleva avvicinarsi al mondo dello sprint, perché significava abbandonare la strada. Arrivi al punto che fino agli juniores, qualche garetta puoi ancora farla. Ma poi devi abbandonare la strada, perché il lavoro è prettamente palestra-pista a oltranza. La cosa più bella adesso è che ci sono gli allievi e anche gli juniores che ti chiamano e vogliono provare. Un allievo può dire di voler fare il velocista. Questa è la cosa più importante che abbiamo creato in questi anni.
Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, gli ultimi tre sono stati anni di studio e lavoroPer Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, gli ultimi tre sono stati anni di studio e lavoro
Abbiamo un bel gruppo di giovani in rotta su Los Angeles, quindi?
Fra quattro anni, i nostri dovrebbero essere pronti. Poi c’è così tanto divario tra elite, under 23 e juniores, che servono degli anni per imporsi. Per arrivare a tirare certi rapporti, per sollevare certi pesi in palestra e andare a certa velocità, servono anni di lavoro. Predomo è un secondo anno under 23. Bianchi è già un primo anno elite. Moro è già un po’ più grande. E io fra quattro anni voglio cominciare a rompere le scatole anche gli elite. Con questi ragazzi, che ho trovato quando sono arrivato. E con quelli che si stanno inserendo, che oggi sono juniores di primo e secondo anno. Matilde Cenci, che era al primo anno da junior, l’anno scorso è stata terza nel keirin. Quindi se non è Los Angeles, saranno le Olimpiadi successive. Comunque stiamo creando un bel gruppo, prima o poi un Lavreysen lo troveremo anche in italia.
Francesco Ceci è stato l'ultimo azzurro a tentare la qualificazione per la velocità a Rio 2016. Si può ripartire, serve un tecnico che gestisca il settore
Neanche il tempo di disfare le valigie che Ivan Quaranta si è messo subito al lavoro, c’erano gli juniores chiamati alle loro sedute settimanali a Montichiari. Il suo lavoro è questo, senza sosta e non c’è neanche il tempo di assaporare le mille emozioni di Zolder, di un europeo che ha visto il settore velocità protagonista al di là dell’oro di Bianchinel chilometro da fermo (con lui in apertura).
Per Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, sono stati europei positivi ma con un bilancio in deficitPer Ivan Quaranta, qui con Miriam Vece, sono stati europei positivi ma con un bilancio in deficit
In quasi ogni torneo, in quasi ogni disciplina la formazione italiana è stata protagonista, anzi alla fine, per quanto fatto vedere, il piatto piange e su questo Quaranta mette l’accento.
«Lo ammetto, i piazzamenti finali mi bruciano, soprattutto il 4° posto di Stefano Moro nel keirin e anche il quinto della Vece. Che aveva solo bisogno di un po’ di fortuna: alla partenza avevamo battezzato la ruota della russa come quella che poteva portarla sul podio, invece la scelta non ha pagato. A proposito dei maschi, bisogna considerare che in gara c’era un certo Lavreysen: ormai quello è un extraterrestre, bisognerebbe vietargli di correre (dice ridendo, ndr)».
Per Stefano Moro medaglia sfuggita di un nonnulla nel keirinPer Stefano Moro medaglia sfuggita di un nonnulla nel keirin
Una compattezza simile in un torneo titolato non si vedeva però da tanti anni…
E’ vero, anzi solo un paio d’anni fa gare del genere le ammiravamo dalla tribuna, ora invece ci siamo anche noi e con velleità. I ragazzi hanno confermato il loro valore, abbiamo una base sulla quale lavorare per progredire e i margini sono ampi, considerando l’età anagrafica e quella di pratica a questi livelli.
Alla vigilia si parlava tanto della scorrevolezza del nuovissimo impianto belga, eppure non ci sono stati progressi a livello cronometrico, secondo te perché?
I risultati vanno letti. Nello sprint a squadre siamo rimasti un decimo sopra il nostro primato il che significa che eravamo sui nostri limiti, poi clima e umidità possono fare la differenza in bene o in male. L’unico primato mondiale è venuto dall’inseguimento individuale femminile, ma quella è una specialità ancora relativamente nuova, dove ci sono margini. Anche Bianchi è comunque sceso sotto il minuto, i riscontri cronometrici secondo me sono positivi.
Per Bianchi secondo oro continentale nel chilometro. Ormai scendere sotto il minuto è un’abitudine…Per Bianchi secondo oro continentale nel chilometro. Ormai scendere sotto il minuto è un’abitudine…
Proprio parlando con Bianchi si diceva che i mostri sacri come il suddetto Lavreysen sono davanti, ma la distanza si è un po’ ridotta…
E’ vero, ma l’impressione che ho avuto è che l’olandese sia arrivato a Zolder non proprio al massimo della forma, eppure è un tale fuoriclasse che vince anche così. Quindi siamo noi che siamo progrediti o era lui che era regredito? Io non ho interesse a trovare una risposta, dobbiamo imparare a guardare quel che facciamo in casa nostra, sapendo che prima o poi la ruota girerà e dovremo farci trovare pronti. Il concetto di Bianchi è comunque giusto: un medagliato come Yakovlev è finito dietro, il polacco Rudyk lo avevamo quasi battuto. I segnali ci sono.
Nello sprint la batteria di Predomo contro l’olimpionico è piaciuta molto…
Mattia l’ha onorata al meglio, contro gli altri Lavreysen ha vinto con molto più distacco. Tra l’altro c’è un aneddoto in proposito: quando è finita la loro sfida, mi sono avvicinato ad Harrie per fargli i complimenti e lui mi ha detto: «Mi sono dovuto impegnare per batterlo, per questo alla fine mi sono complimentato con lui». E’ un bell’attestato di stima.
Lavreysen batte Predomo, ma dopo l’arrivo si complimenta con l’azzurro per la sua provaLavreysen batte Predomo, ma dopo l’arrivo si complimenta con l’azzurro per la sua prova
Nelle foto la loro differenza fisica è evidente…
Mattia continua a pagare dazio nei 200 metri di qualificazione e questo lo penalizza negli accoppiamenti, ma quello dipende dalla sua stazza fisica, ci sono almeno 15 chili di muscoli di differenza… Quando poi si gareggia uno contro uno, lanciandosi dalla balaustra, lì Predomo diventa pericolosissimo. Sta però crescendo, anche contro il tempo si è attestato su 9”9 basso e questa è una bella base. Quando avrà messo su qualche altro chilo, il discorso cambierà.
Il calendario così scarno vi penalizza?
Io direi di no – risponde Quaranta – e spiego il perché: i nostri sono tutti Under 23, quindi il campionato europeo sarà primario per noi sulla strada dei mondiali di ottobre. In Nations Cup in Turchia vedremo chi portare, potremmo anche scegliere una rappresentativa ridotta. Poi avremo qualche gara S1 e S2, ma neanche troppe perché ho altre idee in testa.
Uno scalpo illustre per la Vece nello sprint: l’olandese Van de Wouw campionessa europea nel chilometroUno scalpo illustre per la Vece nello sprint: l’olandese Van de Wouw campionessa europea nel chilometro
Quali?
Noi dobbiamo approfittare di questa stagione così avara di impegni per lavorare tanto in palestra e in pista. Per noi l’allenamento è basilare e lo scorso anno, inseguendo il sogno della qualificazione olimpica mancata per un solo posto, abbiamo trascurato questo aspetto che invece, per i ragazzi, è oggi fondamentale.
Non si rischia la noia?
Sta a me saper variare e tenere sulla corda i ragazzi, farli divertire e saperli motivare. Serve lavorare sul fisico, sulla tecnica, anche sulla mentalità, inculcare in loro un pensiero vincente. Per questo dico che gli europei di categoria saranno importantissimi, perché vincendo s’impara a vincere e si può salire man mano di categoria. In fin dei conti nel quadriennio abbiamo raccolto qualcosa come 15 titoli europei e 3 mondiali, serve solo pazienza per trasformarli a livello superiore perché il materiale c’è…
Ivan Quaranta, iridato juniores della velocità, chiamato a curare le discipline veloci della pista: compito non facile, ma stimolante. Ecco le sue idee
L'avevamo conosciuta nelle allieve, la ritroviamo campionessa europea e del mondo nella velocità a squadre su pista. Rebecca Fiscarelli, per stupirvi...
Come un anno fa. Gli europei di Zolder, che tante positive indicazioni in chiave italiana hanno dato agli albori del nuovo quadriennio olimpico, hanno riproposto all’attenzione generale il nome di Matteo Bianchi, assoluto dominatore della gara del chilometro da fermo. E’ vero, non è gara olimpica (non ancora?) ma la sua vittoria, soprattutto per com’è venuta, per la superiorità dimostrata nei confronti di tutti gli avversari è il miglior segnale che si potesse avere.
Il giorno dopo Bianchi è già in viaggio verso casa e la cosa che emerge subito è la sua estrema tranquillità, ben diversa da quella della sua prima vittoria continentale ad Apeldoorn: «Dopo aver visto la startlist sapevo di avere buone possibilità, poi è chiaro che la gara è un’altra cosa, per vincere tutti i tasselli devono andare al posto giusto. Questa volta però ho gestito la gara in maniera diversa: nella qualificazione, pur essendo l’unico a scendere sotto il minuto ho cercato di gestirmi, di non dare tutto pensando alla finale».
La partenza di Bianchi nel chilometro. L’azzurro ha dominato la gara sin dalle qualificazioniLa partenza di Bianchi nel chilometro. L’azzurro ha dominato la gara sin dalle qualificazioni
Significa che hai una maggiore consapevolezza delle tue qualità…
Sì, comincio a conoscermi meglio, ma anche se può sembrare freddezza la mia, le emozioni le sento profondamente e vincere un evento del genere ne dà tante, ci vuole tempo per assimilarle.
Rispetto agli avversari, riferendosi al comparto generale della velocità, hai la sensazione che le cose stiano cambiando?
La distanza dai grandi dello sprint si va riducendo, lavorando giorno per giorno ci stiamo avvicinando e risultati come il mio sono il carburante giusto per continuare su questa strada. Siamo sempre più competitivi, si è visto nel torneo della velocità a squadre ma anche nella prova di Predomo in quella individuale, dove solo i maestri olandesi ci hanno fermato.
Per il bolzanino è la seconda medaglia d’oro nel chilometro da fermo, dopo Apeldoorn 2024Per il bolzanino è la seconda medaglia d’oro nel chilometro da fermo, dopo Apeldoorn 2024
Parli sempre al plurale…
Siamo un gruppo molto affiatato, i risultati dell’uno sono i risultati di tutti. Stiamo sempre insieme e questo favorisce lo sviluppo delle dinamiche di squadra. Noi dobbiamo migliorare insieme per poter avere delle reali chance, questo è chiaro a tutti.
Poi c’è sempre il fattore età dalla vostra parte…
Sì, sappiamo di essere i più giovani e di avere maggiori margini rispetto ad altre realtà che sono sulla breccia da più tempo. Questo ci dà fiducia perché sappiamo che dobbiamo esprimere ancora il nostro maggior potenziale. Poi si vedrà, nelle nostre discipline concorrono tanti fattori, soprattutto è importante che insieme a noi, insieme alla nostra crescita fisica e tecnica vadano avanti anche la ricerca sui mezzi e sui materiali, perché le prestazioni scaturiscono da un insieme di componenti.
Il gruppo è l’arma in più del settore, ogni risultato è vissuto come frutto comuneIl gruppo è l’arma in più del settore, ogni risultato è vissuto come frutto comune
Tu sei tra i maggiori specialisti di una specialità gloriosa come il chilometro che però attualmente non fa parte del programma olimpico: questo non è un rammarico?
Dipende da quello che uno vuole, io voglio investire fortemente sul team sprint perché è la specialità che può permetterci di andare ai Giochi Olimpici. E’ uno sforzo molto simile a quello del chilometro, soprattutto per me che sono chiamato alla chiusura, quel giro finale racchiude molte delle prerogative del chilometro da fermo, il fatto di poter dare un importante contributo è un grande stimolo per me.
Il vostro team ha una formazione ormai stabile?
Abbastanza, anche a Zolder abbiamo avuto Minuta al lancio che è fra noi quello più esplosivo, poi Predomo per il secondo giro e io in chiusura. Ma abbiamo anche altre opzioni, come l’impiego di Napolitano al posto di Minuta oppure lo stesso Napolitano al lancio e Minuta al secondo giro. Avere varie possibilità è un vantaggio, anche io sono sempre disponibile a cambiare se serve.
Predomo insieme a Lavreysen. La sfida quest’anno ha visto l’azzurro più vicino al campione del mondoPredomo insieme a Lavreysen. La sfida quest’anno ha visto l’azzurro più vicino al campione del mondo
Un dato che ha colpito è il fatto che da Zolder, dove pure si diceva che la pista fosse velocissima, non sono arrivati record, anche voi siete rimasti sopra il primato italiano pur entrando a vele spiegate fra i primi 8, cosa mai scontata…
In questo incide molto il tipo di pista, ma anche le condizioni climatiche: la temperatura, la pressione. L’impianto ci è sembrato veloce, in fin dei conti siamo rimasti intorno a un decimo di secondo dal record, quindi la prestazione è stata all’altezza e anche nel chilometro i tempi sono stati buoni.
Ora che cosa ti attende?
E’ una stagione abbastanza strana, ma lo sarà anche la prossima. Ci prepareremo per la prova di Nations Cup in Turchia ad aprile, l’unica di questa stagione, poi durante l’estate si procederà fra allenamenti e gare nazionali, con qualche puntata all’estero per le prove S1, il tutto pensando ai mondiali di ottobre.
Bianchi insieme a Quaranta, che a Zolder ha presentato un gruppo in evidente evoluzioneBianchi insieme a Quaranta, che a Zolder ha presentato un gruppo in evidente evoluzione
Non si rischia la monotonia?
La nostra è una disciplina che si fonda sull’allenamento, sia in pista che in palestra, se il calendario è scarno non possiamo che prenderne atto. Noi d’altronde abbiamo Quaranta che è uno straordinario motivatore, è una parte importantissima di tutto il nostro progetto, ci dà i riferimenti, organizza gli allenamenti proprio per darci continuamente stimoli. Mi chiedono spesso se inseriamo anche prove su strada, ma nel nostro caso non avrebbero senso. Su strada andiamo, per fare allenamenti sul fondo e la resistenza, ma basta quello.
Tutti dicono che a Los Angeles la velocità italiana sarà chiamata a fare il salto di qualità, anche verso le medaglie. Questo non vi dà pressione?
No, non ci vogliamo pensare, almeno in questo biennio dove le Olimpiadi sono lontane, non si parla ancora di qualificazioni. Siamo concentrati sul lavoro, su responsabilità che sono positive, tanto è vero che gli europei sono stati solo una tappa, anche se a me ha portato molta fortuna…
La prima volta che parlammo con Tommaso Lupi, CT della nazionale di BMX, fu a febbraio 2021 nel velodromo di Montichiari. Dato che i giganti mondiali della velocità hanno trascorsi nella BMX, si era pensato di prendere le misure ai nostri azzurri. Alla fine infatti Matteo Tugnolo saltò il fosso e passò alla pista, conquistando il Team Sprint agli europei di Anadia del 2023. Erano anche i giorni della rincorsa alle Olimpiadi di Tokyo, cui l’Italia arrivò grazie al crescendo di Manuel Fantoni.
Oggi, dopo aver guidato la nazionale anche alle Olimpiadi di Parigi, Tommaso Lupi ha deciso di dare le dimissioni (in apertura foto @navadanet). Una scelta personale e non di rottura, come egli stesso tiene a precisare. Tuttavia lo abbiamo sentito per capirne le ragioni.
Il risultato di Bertagnoli alle Olimpiadi di Parigi è storico per l’Italia: finale mancata di un soffioIl risultato di Bertagnoli alle Olimpiadi di Parigi è storico per l’Italia: finale mancata di un soffio
Iniziamo da un bilancio della tua gestione?
Per il mio carattere è positivo, ma non come volevo. Abbiamo fatto tante cose, vissuto una bella crescita, ricostruito la struttura di lavoro e di questo sono molto contento. Nel 2017-2018 ero collaboratore tecnico del CT Francesco Gargaglia. Avevo un mio team privato, con solo due atleti, totalmente supportati da noi. Il team viveva di sponsorizzazioni come le realtà più grandi. Tutto nasceva dalla mia grande passione per MotoGP e la Formula 1. Mi dissi: perché non proviamo a portare qualcosa di simile nel BMX italiano?
La nazionale quando arriva?
Dopo la formazione federale del 2017 e 2018, fondamentale per capire come funzioni la macchina, nei primissimi giorni del 2019 mi hanno chiesto di prendere in mano il settore. Da un lato ero preoccupato della responsabilità, dall’altro piacevolmente sorpreso dalla fiducia. La prima riunione si è fatta a Verona. Abbiamo presentato il progetto che in parte era già stato impostato dal CT precedente. Da quello siamo partiti e abbiamo costruito la stagione partendo dai training camp invernali.
Se non ci fosse stato il Covid e le Olimpiadi si fossero fatte nel 2020, avresti avuto un anno e mezzo per prepararle?
Ricordo di aver perso qualche chilo. Ero più giovane e inesperto, in un mondo dove l’età media era molto più alta. Un conto era fare il collaboratore, ben altro decidere, muoversi tra gli uffici, le autorizzazioni, le richieste e ovviamente seguire il budget. La pressione cresce, ma è stata una scuola sul campo, come piace a me. Una gestione in cui ti devi scontrare con mentalità differente dalla tua, renderti conto che una decisione deve passare per dieci uffici differenti. Non ti puoi aspettare le tempistiche di un team privato, devi adattarti e muoverti con mesi di anticipo.
Febbraio 2021, il gruppo della BMX a Montichiari provando le discipline veloci della pistaFebbraio 2021, il gruppo della BMX a Montichiari provando le discipline veloci della pista
Che cosa rimane del progetto BMX/velocità?
Si è arenato, credo che in pochissimi ci abbiano creduto. Non è stato percepito come qualcosa di interessante, io al contrario sono spesso in pista perché continuo a crederci. Probabilmente ad alcuni non piaceva, ci può stare che un atleta sia indirizzato esclusivamente sulla BMX o su altre discipline. Sarà una coincidenza, però all’estero vedo diversi atleti che in questo inverno post Olimpiadi si stanno approcciando al velodromo. Qui non ha preso piede come pensavo. Quando ci vedemmo la prima volta in velodromo, c’era ancora un bel gruppo. Ero io che convocavo, quello era il progetto: dentro o fuori.
Detta così non suona benissimo…
Ovviamente non abbiamo obbligato nessuno. Se uno aveva i propri programmi e non ci credeva, okay. Ma chi iniziava, avrebbe dovuto seguire i vari step. Ecco perché avevamo ipotizzato una tipologia di allenamento in base ai giorni della settimana e ai programmi personali. Quando poi Ivan Quaranta ha avuto la delega, abbiamo alzato il ritmo. All’inizio mi ero rapportato con Villa, che però chiaramente aveva un focus quasi totale sull’endurance. Con Quaranta e la collaborazione con Bragato, siamo riusciti a impostare un’idea di lavoro e poi l’operatività.
Il primo ciclo olimpico è durato un anno e mezzo, il secondo tre: si poteva fare diversamente oppure è andato tutto come doveva andare?
Il 2019-2021 con il Covid di mezzo è stato veramente una corsa contro il tempo. C’era da prendere in mano un progetto avviato, una squadra da bilanciare fra atleti molto esperti e altri che erano appena entrati. A livello di punteggio i veterani hanno combattuto sino alla fine, quando grazie a Fantoni e le due finali di Coppa del mondo a Bogotà abbiamo confermato la qualifica per Tokyo. In quel biennio siamo andati a cercare punti anche a una singola gara C1 in Thailandia. Abbiamo grattato tutto quello che si poteva, è stato un periodo tosto, ma anche elettrizzante. Forse sono stati fatti degli errori di valutazione, magari era meglio puntare su altre tipologie di gare e rinunciare a una World Cup, che però ha punti più pesanti. Ci abbiamo sempre creduto e rientrando dalla Colombia avevamo addosso la sensazione di esserci qualificati.
Dopo le ottime prove in Colombia, Fantoni conquistò un posto per TokyoDopo le ottime prove in Colombia, Fantoni conquistò un posto per Tokyo
Sono stati cinque anni di risultati in crescendo?
Già nel 2020 abbiamo cominciato a fare podi e vittorie in Coppa Europa con gli juniores e podi sfiorati con gli elite, dove comunque abbiamo sempre faticato di più perché è la top class. Risultati arrivati anche grazie alla collaborazione con il Team Performance di Bragato. Ricordo un giorno d’estate che ci sedemmo su una panchina a Padova e gli chiesi di fare una fotografia scientifica di questo modello di prestazione, perché partendo da quello, avremmo potuto dare una linea di lavoro. Gli atleti hanno sempre avuto libertà di lavorare con i propri preparatori, ma l’idea era almeno di dare un’impronta. Credo che questa collaborazione abbia portato i suoi frutti. Per esempio con Tugnolo, che per noi era un top rider giovane, che ha dato il suo contributo anche per i risultati della pista.
Poi ci sono state le prestazioni di Fantoni che hanno aperto la porta ai più giovani…
Due settimane dopo Tokyo eravamo già a Papendal e abbiamo vinto il mondiale juniores con Radaelli negli juniores, con Tugnolo al quarto posto, ma poteva essere tranquillamente un podio. Nel 2022 abbiamo preso un bronzo juniores con Fendoni agli europei di Dessel, nello stesso posto dell’argento di Gargaglia, Sciortino e Fantoni del Team Time Trial. Poi mi piace anche sottolineare le prove di Francesca Cingolani fra le U23, atleta argentina con passaporto italiano che abbiamo accolto in maglia azzurra. Ci è sfuggita di un soffio la qualifica olimpica, ma lei ha continuato a fare podi nelle World Cup. E poi è venuto il bronzo di Frizzarin ai mondiali di Glasgow 2023. Tra l’altro mi ricordo la scena…
Quale scena?
C’erano anche Dagnoni, Amadio e il segretario generale. Le tribune erano sulla linea di arrivo e si sono visti il colpo di reni al fotofinish con cui Frizzarin ha preso il bronzo. Quel giorno era passato a salutarci anche Ganna e si era messo sui rulli a pedalare con la BMX. Nel 2024, abbiamo avuto una semifinale nella World Cup Elite in Nuova Zelanda, quindi le prestazioni di Martti Sciortino, attuale campione italiano e riserva olimpica a Parigi. Un altro argento del Team Time Trial elite a Verona con Gargaglia, Sciortino e Fantoni. E poi ovviamente la ciliegina delle Olimpiadi di Parigi.
Agli europei di Verona del 2024, argento azzurro nel Team Relay con Fantoni, Sciortino e Bertagnoli (foto Matteo Gerolimon)Agli europei di Verona del 2024, argento azzurro nel Team Relay con Fantoni, Sciortino e Bertagnoli (foto Matteo Gerolimon)
Un gran risultato?
Il migliore di sempre per il BMX italiano. Un nono posto e la finale olimpica sfiorata per soli due punti da Pietro Bertagnoli, che arrivava da un percorso di grandi infortuni, ma non ha mai mollato. Ha sempre investito anche privatamente per rientrare in squadra e ha chiuso il 2024 con un’Olimpiade che ci ha fatto veramente sognare.
Allora perdona: perché dimettersi e non pensare a Los Angeles?
Ho bisogno di stimoli e la certezza di portare avanti i miei progetti. Non pretendo di fare tutto come voglio, perché nel mondo del lavoro non è così. Però ho bisogno della grinta che mi fa svegliare la mattina sapendo di avere i miei programmi ed essere tranquillo nel lungo termine come posizione lavorativa. Purtroppo sono mancate entrambe le cose. Ho tante idee, sto sviluppando nuovi progetti in ambito sportivo, come consulenza, supporto e organizzazione. Un ruolo che, pur non avendo nessuna esclusiva con la Federazione, non avrei potuto portare avanti.
Perché?
Un po’ per etica professionale e per il tempo che non avrei avuto. Accettando di fare il cittì, ho tagliato le mie collaborazioni private del 90 per cento. Quando vesti quella maglia, è importante non avere alcun tipo di condizionamento. Non sarebbe stato rispettoso nei confronti dei ragazzi continuare con meno energia. E’ importante essere al 100 per cento del focus, della lucidità, dell’energia. E poi non nascondo che a livello anche di posizione lavorativa avrei voluto qualcosa in più.
Francesca Cingolani ha mancato la qualifica olimpica davvero per poco (@navadanet)Francesca Cingolani ha mancato la qualifica olimpica davvero per poco (@navadanet)
La BMX ti è parsa un settore tenuto in considerazione?
Con la gestione attuale, è stata rivista e rinforzata. C’è stata una maggiore esposizione. Il presidente è venuto con me di fronte a istituzioni o politici di vari Comuni per provare a sviluppare dei progetti. Purtroppo sappiamo che quando lavori con le Istituzioni, non c’è niente di facile. Il mio obiettivo era anche quello di sviluppare degli impianti in Italia. Siamo arrivati molto vicini ad averne uno in Veneto e uno in Toscana, però purtroppo non abbiamo concluso per volontà non nostre. Ovviamente nei miei sogni ci sarebbe una Federazione che investa nella BMX anche sul territorio, a livello di tesseramento e promozione, non solo sulle nazionali. Anche perché in tanto parlare di sicurezza, la BMX e la pista sono fra i pochi posti davvero sicuri.
E’ stato fatto un tentativo di tenerti?
Io ero abbastanza deciso, dico la verità, però nel mondo del lavoro è giusto sedersi a tavolino e parlarne. A Dagnoni ho detto che, a prescindere dalle mie dimissioni da cittì, sono disponibile per altri ruoli in Federazione. Non mi tiro indietro, se ci sono le condizioni parliamone. E nel frattempo vorrei essere libero di muovermi. Sto ricostruendo un gruppo di lavoro privato per quanto riguarda la preparazione, non solo BMX ma anche pista e qualcosa di ciclismo. Sto facendo diversi meeting per consulenze sportive anche all’estero. Vedo un futuro di grande lavoro, come piace a me nel mondo dello sport o nel mondo corporate. Ho parlato per consulenze con persone che hanno aziende di tutt’altro settore, ma per scaramanzia altro non dico. Ma la BMX sarà sempre parte di me.
Luca Mazzone (ciclismo) e Ambra Sabatini (atletica) saranno i portabandiera italiani alle Paralimpiadi. Per l'azzurro un orgoglio da dividere con il team