19 giugno 2022. Ultima tappa de La Route d’Occitanie. Una gara come tante. Una caduta come tante. Troppe. Una caduta di troppo per Michael Valgren. Non un corridore qualsiasi, visto che stiamo parlando di un vincitore di Amstel, del bronzo mondiale 2021, insomma di un grande specialista delle classiche. Si capisce subito che le cose non vanno. E’ come una marionetta a cui abbiano tagliato i fili. Forse i soccorritori non se ne rendono subito conto, nello spostarlo e caricarlo sull’ambulanza potrebbero (e il condizionale è d’obbligo) non essere state usate tutte le accortezze del caso.
Il responso immediato è molto pesante: frattura del bacino, lussazione all’anca e un ginocchio a pezzi con tutti i legamenti rotti e anche il menisco. Un bilancio pesantissimo, Valgren lo accetta con l’atteggiamento di chi è ai piedi di una grande salita alpina, sapendo la grande fatica che lo aspetta ma per nulla disponibile a tirarsi indietro.
L’ultimo piazzamento di Valgren, 2° nella seconda tappa della Route d’Occitanie. Due giorni dopo, il crack…L’ultimo piazzamento di Valgren, 2° nella seconda tappa della Route d’Occitanie. Due giorni dopo, il crack…
Il rischio di una protesi
Il cammino è lungo, lento, insidioso. Fatto di momenti difficili. Drammatici. Come quando il medico gli si è posto davanti e gli ha parlato in maniera cruda: «Michael, la situazione è difficile. La tua anca è a rischio necrosi (morte delle cellule dell’osso, ndr), il che comporterebbe la sua sostituzione con una protesi. Non posso dirti ora se questo avverrà, una risposta ce la potrà dare solamente il tempo. Ma ne occorrerà tanto…».
Sono passate molte settimane da allora e la vita di Michael Valgren è completamente cambiata. L’ha raccontata lui con toni anche drammatici un paio di mesi fa in un’intervista al canale danese TV2 Sport: «Convivo con questo rischio ma non sono nervoso, so che ho un cammino da compiere, non so dove mi porterà, ma so che devo farlo. So che il 15-20 per cento delle persone che hanno subìto un infortunio quantomeno simile al mio hanno dovuto mettere la protesi, ma a questo non voglio pensare.
«Amo il mio lavoro e sto facendo tutto quel che posso per riprendere. Non voglio finire la mia carriera per colpa di un infortunio. Sto lavorando duramente per quel che posso».
Il trionfo all’Amstel 2018, battendo in uno sprint a 3 Kreuziger e GasparottoIl trionfo all’Amstel 2018, battendo in uno sprint a 3 Kreuziger e Gasparotto
Giorni fra Tv e fisioterapia
Altro tempo è trascorso. Al Tour è seguita la Vuelta e poi i Mondiali e poi le corse di fine stagione. Tutte viste dalla televisione, nel suo “eremo” di lavoro come chiama il luogo dov’è ancora ricoverato e dove da quattro mesi ormai sta combattendo la sua battaglia. La sua quotidianità è dettata dalla fisioterapia: corre per tre volte un quarto d’ora e poi tanti esercizi per rinforzare bacino e ginocchio.
«Qualche giorno fa – ha raccontato il danese – sono arrivato a completare il giro completo della pedalata e mi dovete credere: nel mio cuore c’era una gioia enorme, superiore anche a quella di una grande vittoria su strada».
Il podio di Leuven 2021 come ultima gioia, terzo dietro Alaphilippe e Van BaarleIl podio di Leuven 2021 come ultima gioia, terzo dietro Alaphilippe e Van Baarle
La mancanza della bici
Sono passati mesi da quel terribile responso, ma la risposta non è ancora arrivata. Serviranno altri mesi per sapere che non servirà una protesi e altro tempo ancora per tornare a essere un ciclista. Valgren parla proprio di questo, va avanti per la sua strada considerando quel che serve fare, ma è l’identità in questo momento il suo pensiero motivazionale: «Non essere su una bici, non essere un ciclista? Non voglio neanche pensarci.
«La mia vita però è cambiata tanto, sono passato da 25-30 ore settimanali in sella a settimana al quasi nulla e questo sento che non mi fa bene al sistema cuore-polmoni, per questo ogni conquista, ogni minuto in più passato in movimento è un’iniezione di fiducia. L’allenamento dà energia, io mi sentivo svuotato senza. Gli esercizi di fisioterapia non sono la stessa cosa: sono la mia arma contro il dolore fisico, mi danno la spinta, ma mi manca il sudare, il faticare, il sentire il cuore. Ma sentirlo davvero…».
Valgren è nato il 7 febbraio 1992 a Osterild. Nel WT dal 2014. Da pro’ ha vinto 8 corseValgren è nato il 7 febbraio 1992 a Osterild. Nel WT dal 2014. Da pro’ ha vinto 8 corse
«Mi rivedrete…»
Rispetto a qualche settimana fa la situazione sembra migliorata, la sua mobilità è aumentata. La squadra, l’EF Education EasyPost non gli ha mai fatto mancare il suo sostegno. Lo ritiene sempre uno dei suoi effettivi di punta, lo aspetta fiduciosa. Come lo aspettano i tifosi, quei tanti che attraverso la sua carriera fatta di sfide coraggiose, di attacchi e di inseguimenti. Di 8 vittorie, alcune delle quali pesanti. Dal 2018 ai mondiali non era mai andato oltre l’11° posto, quelli di Wollongong li ha visti di notte, davanti allo schermo con un groppo in gola grosso così. La sua scalata alpina è ancora lunga, ci sono tanti tornanti da affrontare, ma Michael ha ancora tanta forza dentro di sé: «Aspettatemi, prima o poi tornerò…».
Prosegue il cammino di Bernal verso il ritorno in forma. Sulla bici sta bene, per camminare serve il bastone. Fare la Vuelta? Forse è presto, forse no...
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Quella di Matteo Zurlo è una stagione a due facce: la prima metà quasi nell’anonimato, senza squilli e anche con poche manifestazioni al suo attivo. La seconda più brillante, con anche qualche spunto degno di nota come al Giro del Friuli dove ha potuto anche “assaggiare” la leadership di classifica. Chi non conosce la storia del 24enne di Bassano del Grappa potrebbe rimanere interdetto da questo cambio di prospettiva, ma ci sono ragioni precise, drammatiche.
«A inizio gennaio sono stato investito da un’auto mentre mi allenavo – racconta il veneto – sono stato uno dei tanti vittime della disattenzione di chi guida. Mi sono fratturato due vertebre, neanche il tempo di rimettermi ed ecco che a marzo un altro automobilista mi viene addosso… Questa volta me la sono cavata “solo” con la rottura dello scafoide. Nelle prime gare non potevo non risentire di quanto avvenuto, per fortuna la ripresa fisica è stata completa e senza strascichi».
All’ultimo Giro del Friuli Zurlo ha vestito la maglia di leader, finendo 4° a 57″ da Vestringe (BEL)All’ultimo Giro del Friuli Zurlo ha vestito la maglia di leader, finendo 4° a 57″ da Vestringe (BEL)
Nelle ultime settimane le cose sono andate in crescendo…
Sì, anche perché ho trovato percorsi più adatti a me. Mi reputo un passista-scalatore, sulle salite non troppo lunghe riesco a dare il meglio di me procedendo sul passo.
C’è stato un momento nel quale hai percepito il cambio di tendenza?
Al Giro delle Due Province di Marciana di Cascina a inizio luglio. Avevo vinto tanto nel 2021 ma quest’anno, per quello che è successo, il rendimento era inferiore. In Toscana sono tornato me stesso, andando via con altri 22 uomini dopo 30 chilometri e tentando l’azione di forza a 20 chilometri dal traguardo. Lì ho capito che tutto quel che avevo passato era definitivamente alle spalle.
La vittoria a Marciana (PI) ha ridato vigore a Zurlo dopo il doppio incidente d’inizio annoLa vittoria a Marciana (PI) ha ridato vigore a Zurlo dopo il doppio incidente d’inizio anno
La vittoria del Gran Premio di Conegliano ha fatto scalpore per com’è arrivata…
E’ stata una gara più combattuta di quanto si pensi. Sono partito a 85 chilometri dal traguardo pensando che qualcuno mi sarebbe venuto dietro, invece mi sono ritrovato solo e ho deciso di proseguire. Ho guadagnato rapidamente una quarantina di secondi e da lì ho continuato a spingere, a un certo punto avevo anche più di 3 minuti. Poi il gruppo si è riavvicinato, ma devo dire grazie ai compagni di squadra della Zalf che hanno fatto un grande gioco di squadra stoppando ogni attacco.
I tuoi risultati, considerando anche quanto fatto al Giro del Friuli (due volte terzo e alla fine ai piedi del podio nella classifica generale) sono anche un messaggio ai responsabili del team: Matteo Zurlo c’è ancora…
Non so che cosa succederà alla fine della stagione, io non ho un procuratore che curi i miei interessi, preferisco affidarmi a quello che so fare perché resto convinto che alla fine siano i risultati a smuovere gli interessi, sia quello che uno fa ad attirare le squadre e far capire che potresti essere utile.
Passista-scalatore, il veneto vanta una tappa al Giro del Friuli 2021 oltre alla classifica dei GPMPassista-scalatore, il veneto vanta una tappa al Giro del Friuli 2021 oltre alla classifica dei GPM
Tu hai 24 anni, non hai paura che in questo ciclismo che consuma tutto così in fretta sia sempre più difficile trovare spazi?
Sicuramente lo è, ma se un corridore è sempre lì che lotta, che si fa vedere, che garantisce un impegno al 100 per cento io credo che sia giusto dargli una possibilità. Il ciclismo non è fatto solo degli Evenepoel o Pogacar, servono anche coloro che le corse le costruiscono. Per un giovane sicuramente farsi vedere è più facile al giorno d’oggi, ma io non smetto di lottare.
Che cosa ti aspetta ora?
Dopo le ultime gare di categoria punto alle prove venete allestite da Pozzato, vorrei far bene lì e mettermi in luce, far vedere che a quei livelli ci posso essere tranquillamente, poi vedremo il da farsi. Io comunque resto ottimista, in fin dei conti a 24 anni ho davanti a me ancora un bel po’ di stagioni.
Adesso comincia il difficile e Bernal lo dice chiaramente. Confermando quel che aveva anticipato Fabrizio Borra, d’ora in poi ogni giorno sarà una scoperta. Presto non si tratterà più di girare le gambe accompagnando i pedali, ma di costruire la condizione. Aumenteranno ore e carichi e a seguire si dovrà parlare di intensità. Il suo fisico è fuori dall’ordinario, ma i traumi ci sono stati e al netto del recupero più o meno rapido e del talento, ci sarà da stringere i denti. Egan l’ha capito e cerca di stare alla larga dai facili entusiasmi, che soprattutto in Colombia sono rapidi ad accendersi.
«Non ha senso – ha detto a margine della pedalata su Zwift con i suoi tifosi dello scorso weekend – rischiare di dare una data per il ritorno, perché sarebbe un po’ irresponsabile. Sarebbe un sogno tornare a correre entro la fine dell’anno, ma come faccio a dire che voglio andare alla Vuelta? Una gara di tre settimane sarebbe troppo dura, forse sarebbe chiedere troppo al mio corpo. Ma non poniamo limiti, lo scopriremo col tempo. Non si può partecipare a una corsa come la Vuelta improvvisando. Se ho dolore, non sarò in grado di finirla, quindi non sarebbe l’ideale. Ci sono alcune altre gare a cui potrei pensare, ma per ora voglio concentrarmi sul mio recupero».
Bernal fa la foto, amici, allenatore, fidanzata e tifosi sono pronti per seguirlo ancora (foto Twitter)Bernal fa la foto, amici, allenatore, fidanzata e tifosi sono pronti per seguirlo ancora (foto Twitter)
Che analisi fai del tuo presente?
Due mesi fa ero a letto e non immaginavo di riprendermi così. Tutto questo grazie all’incoraggiamento delle persone.
Cosa dice la squadra?
Mi supportano, mi mandano messaggi di incoraggiamento e mi ripetono che devo fare le cose con calma, di prendermi tutto il tempo che serve. Questo mi tranquillizza. Farò di tutto per rientrare il prima possibile, per me sarebbe importante.
Froome ha criticato l’uso delle bici da cronometro in allenamento…
Ho visto il titolo, ma non ho letto la notizia e non so cosa abbia detto in proposito. La bici da crono appartiene al ciclismo, senza di essa non sarebbe lo stesso sport e lo dice uno consapevole di non essere il migliore contro il tempo. E’ chiaro però che guidare una bici da crono è più difficile che guidare una bici da strada.
Com’è stato il giorno in cui sei tornato in sella?
E’ stato il giorno più bello della mia vita. Poter pedalare con i miei amici, la mia famiglia, mia mamma, il mio fratellino… E’ stato molto bello, speciale. Inoltre lo abbiamo fatto con il dottore che mi ha operato la schiena e a sua detta è stato uno degli interventi chirurgici più complicati che abbia mai svolto.
Ancora su Twitter il report della prima settimana in bici di Egan Bernal: 584 km, 23 ore, 4.000 metri di dislivelloAncora su Twitter il report della prima settimana in bici: 584 km, 23 ore, 4.000 metri di dislivello
Come è stato rimettersi in movimento?
Ovviamente il ciclismo è la mia vita, mi appassiona, è quello che ho fatto per tutta la vita ed è quello che voglio fare ancora. La prima cosa cui ho pensato è stata ripartire, ma anche e soprattutto di tornare a una vita normale. C’è stato anche il momento in cui ho pensato che del ciclismo non mi importasse più nulla, c’erano prima la mia vita e la mia famiglia. E’ durato una settimana.
Poi cosa è successo?
Ho iniziato a muovere la gamba. Anche sul letto in terapia intensiva, quando il mio papà, mia mamma, il mio fratellino se ne andavano, stringevo la gamba fra le mani e provavo a spingere. Sapevo quando mi davano le medicine per il dolore e facevo le mie prove prima che arrivassero, per sentire davvero come stavo. Grazie a questo e all’aiuto della famiglia, presto mi è venuto il desiderio di alzarmi in piedi, lasciare l’ospedale e iniziare il processo di riabilitazione. Era ancora poco, ma abbastanza per iniziare.
Quando ti sei reso conto della gravità delle ferite?
Non sapevo che intervento avrebbero fatto. Quando mi hanno addormentato, ho pensato che avrebbero operato soltanto il femore. Quando mi sono svegliato e mi hanno detto cosa avevano fatto, ho capito che in realtà la faccenda era ben più complicata. A quel punto hanno cominciato a dirmi poco a poco che la situazione era dura e che era un miracolo che fossi ancora vivo.
Camminare senza bastone è ancora impossibile?
Mi fa più male quando cammino che quando sono in bici, devo usarlo ancora. Sulla bici sto bene, mi aiuta nel recupero.
Bernal non può ancora fare a meno del bastone per camminare: sta molto meglio in bici (foto Twitter)Bernal non può ancora fare a meno del bastone per camminare: sta molto meglio in bici (foto Twitter)
Che reazione hai avuto dopo l’incidente?
Per fortuna non ho perso la memoria, posso ricordare tutto e un domani raccontarlo ai miei nipoti, ma all’inizio è stato molto doloroso.
Come vanno le tue giornate?
In questo momento, molto meglio. Da una decina di giorni ho iniziato ad andare in bicicletta, sono diventato di nuovo un ciclista. Mi alzo, faccio colazione e poi esco a pedalare. Esco con mia mamma, mio fratello, i miei amici di una vita. Pedalo per due, tre ore. Ci fermiamo due o tre volte per bere il caffè. La cosa che più mi piace è sentire nuovamente l’aria in faccia. Rientro alle quattro del pomeriggio e la sera vado a fare fisioterapia e recupero a Chia, nella Clinica dove mi hanno operato. Facciamo esercizi con le palle, con la fascia. E a quel punto la giornata può anche finire. La sera sono con mia madre e i miei amici.
Hai voglia di tornare in corsa?
Voglio gareggiare di nuovo. Al momento giusto, sarò il primo a fare pressione sulla squadra.
Hai seguito qualche gara?
Poco, è frustrante vedere e non esserci. Io davanti alla televisione e gli altri che corrono, non mi piace. Cerco di evitarlo…
La riabilitazione proseguirà in Europa?
Il team ci sta già pensando. L’idea è di partire, non si sa ancora quando, non prima almeno di aver capito se posso salire su un aereo.
Bernal sui rulli, per la pedalata virtuale su Zwift con i suoi tifosi dello scorso weekendSui rulli, per la pedalata virtuale su Zwift con i suoi tifosi dello scorso weekend
Cosa ti ha colpito in queste settimane?
Tante cose, ma la chiave è stata l’energia buona delle persone. Una volta la donna delle pulizie mi ha detto che aveva recitato il rosario per la mia guarigione e questo mi ha colpito tanto, perché ci saranno di certo molte persone così.
Mentre tu recuperi, i tuoi rivali gareggiano e si allenano…
Non ci penso. Torno a casa e non penso a cosa stanno facendo Pogacar e gli altri. Arriverà quel momento, per vedere cosa stanno facendo e cosa farò io. Per adesso mi concentro sul recupero, sullo stare con la mia famiglia e basta.
Quali tappe mancano per tornare in gara?
Ho passato la parte più difficile. Questo tempo è stato breve, solo due mesi, ma è stato difficile. Pedalo già, posso condurre una vita normale e anche se d’ora in poi ci vorrà un anno o più per gareggiare, bè… Mi sento bene a fare quello che faccio.
Stamattina Ganna, seguito da Cioni, ha fatto le ultime 6 ore preparando la Roubaix. Venerdì si parte. Ecco perché non ha corso il Fiandre e come ha lavorato
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Ci sarà davvero da stupirsi del ritorno di Bernal in bicicletta? Non sarà che il sensazionalismo a mezzo social rende tutto eccessivo, per cui il fatto che Egan abbia rischiato la vita rende miracoloso un ritorno che in realtà di miracoloso non ha niente? Alla fine di questo articolo sarà evidente la differenza nell’approccio tra chi legge le notizie, noi compresi, con quel pizzico di dovuta paura e compassione e chi sugli atleti infortunati e apparentemente spacciati opera da anni.
Ne abbiamo parlato con Fabrizio Borra, uno che nel 1995 rifiutò si parlasse di miracolo quando rimise in bici Marco Pantani e che da allora ha lavorato con decine di corridori, piloti di Formula Uno, quelli della Moto Gp e da stasera, per non farsi mancare nulla, è con Fiorello per un concerto a Padova. Del siciliano e di Jovanotti è amico e ne segue spesso le performance.
Sin da subito, Egan ha iniziato a lavorare sugli arti inferiori, per evitare l’atrofia
Sulla schiena di Bernal, qui prima della rieducazione in acqua, i segni degli interventi spinali
Sin da subito, Egan ha iniziato a lavorare sugli arti inferiori, per evitare l’atrofia
Sulla schiena di Bernal, qui prima della rieducazione in acqua, i segni degli interventi spinali
Fabrizio, il ritorno di Bernal in bici è così sorprendente?
Se non sbaglio dall’incidente sono passati due mesi e rotti, no? Quindi siamo nei tempi giusti. Se guardiamo alla guarigione ossea, la forchetta è di 6-8 settimane. Quelli sono i tempi standard, che tu abbia una frattura oppure 20. Per cui in bicicletta vai a metterlo anche prima. Non aspetti le 8 settimane, addirittura lo metti in 5-6. Se guardo tutte le mie casistiche, una volta che l’osso ha fatto il primo strato di callo, la bicicletta aiuta a vascolarizzare meglio, per cui diventa una parte rieducativa. Per questo aspetto è nei tempi.
C’è un però?
Se oltre a quelle fratture ha avuto anche delle problematiche su qualche articolazione, questo chiaramente non lo sappiamo. Però se va in bicicletta, credo che il problema non ci sia. Ho visto un paio di immagini su internet, lui ha il vantaggio che la sua struttura è molto snella, non ha un fisico tanto importante muscolarmente. Questo sicuramente è a suo favore. Il punto non è tanto rimetterlo in bicicletta…
E qual è?
Ce lo puoi mettere anche dopo 30 giorni, l’accortezza è che sia dritto. Quando hai tante fratture e così tanti traumi di quel tipo, che coinvolgono anche gli organi interni, bisogna guardare l’equilibrio muscolo-funzionale. Non so come stiano lavorando in Colombia, mi auguro che non abbiano guardato solamente l’aspetto osseo o l’aspetto della medicina interna, ma che abbiano misurato e valutato gli equilibri muscolo-funzionali. Cioè che la muscolatura abbia ripreso a lavorare in modo corretto. Penso che la Ineos Grenadiers, avendo creato un nuovo modello del ciclismo, sia attenta a questo aspetto.
Le foto di Bernal di nuovo in bici sono spuntate sul suo profilo TwitterLe foto di Bernal di nuovo in bici sono spuntate sul suo profilo Twitter
Che impressioni hai?
Guardando quelle immagini, sembra messo abbastanza bene. Bisognerà però vederela risposta quando comincerà ad aumentare i carichi e l’intensità. Ho un po’ seguito il suo percorso attraverso i social. Ho visto che lo hanno messo sul cicloergometro e poi subito in acqua. Da quello che ho potuto vedere, mi è sembrato un percorso moderno, idoneo. Insomma, mi stupirei se non andasse già in bici. Resto un po’ stupito dalle reazioni, la gente si fa dei viaggi sulle tempistiche.
L’impatto emotivo è stato forte…
Se le fratture vertebrali avessero compresso o creato qualche sofferenza a livello nervoso, quindi qualche area muscolare fosse limitata, allora i tempi sarebbero più lunghi. Il recupero del nervo è lento e soggettivo, ma da quello che ho percepito Egan non ha avuto delle sofferenze del genere. L’esempio più elementare è quando ha avuto una frattura al braccio Marc Marquez, quello della Moto GP. Il suo problema è che ha avuto una sofferenza al nervo radiale del braccio: con quel problema, la moto non la guidi. Ma se non hai questa problematica, una volta recuperate le fratture, poi si tratta di rimettere la muscolatura in assetto e ritrovare una condizione atletica decente. Abituare il corpo a certe sollecitazioni. Diciamo altri 2-3 mesi? Vuol dire che in 6 mesi sei di nuovo in gruppo.
La testa conta tanto?
La testa come sempre incide almeno per il 70 per cento. E’ lei che decide tutto, a patto di avere anche l’equipe giusta che ti segue e la fortuna che il trauma vada nella direzione giusta. A queste condizioni, la testa fa la differenza, allo stesso modo in cui potrebbe crearti dei problemi se non ha le giuste motivazioni. Poi è chiaro che a lui è andata bene. Se avesse impattato in modo leggermente diverso, se la frattura spinale si fosse portata dietro un pezzo di midollo, adesso sarebbe sulla sedia a rotelle. Però una volta che non è successo e la vertebra si è saldata, tu sei come prima.
Egan Bernal sui rulli, marzo 2022: si parlava già di miracolo (foto Twitter)Egan Bernal sui rulli, marzo 2022: si parlava già di miracolo (foto Twitter)
La schiena sarà ugualmente elastica?
Il livello di elasticità della colonna lo vedi con la prova dei fatti. Ci sarà tutta una seria di adattamenti e di normalizzazioni, ma oggi su questi aspetti si lavora bene. Quando hai dei bravi terapisti, anche l’articolazione bloccata si riesce a gestire. Guardate la bruttissima frattura che ha avuto Matteo Moschetti al bacino. Non è che quel trauma non sia stato bruttissimo e non abbia coinvolto la colonna. Però è stato operato bene da un chirurgo bravo, che l’ha mosso il giorno stesso. E lui dopo 40 giorni era già sui rulli. Non è stato un miracolo, ha fatto le cose giuste.
Parve un miracolo quello con Pantani, ma perché in anticipo sui tempi…
Anche lì si trattò di fare la cosa giusta, che per i tempi sembrò abbastanza miracolosa. Era un percorso nuovo per l’Italia, ma già in uso negli Stati Uniti. Questo fa parte della medicina, che va sempre verso nuove frontiere. Io semplicemente, avendo girato, ebbi la capacità di venire a conoscenza di certe metodiche che stavano arrivando nel mondo rieducativo. Quindi in Italia su Marco sono stato forse il primo, ma non mi prendo il merito. Ho solo capito che quella strada fosse un grande step di sviluppo, come poi è stato. C’è continua evoluzione oggi nella rieducazione. Quello che abbiamo fatto su Moschetti due anni fa è stato reso possibile dalle conoscenze attuali e da una struttura con le tecnologie necessarie. Vedi il caso della Goggia…
Prima delle Olimpiadi invernali?
Esatto. La sua ripresa non è stata un miracolo. Tecnicamente è stato bravo il suo staff a fare le cose giuste nel momento giusto. Si è rotta il perone, che non è un osso portante. E ha avuto una piccola distrazione di un legamento del crociato già operato, quindi che non era il suo legamento naturale. L’entità del trauma non era così importante. Ma resta il grande lavoro che hanno fatto su di lei, perché in quei casi è più facile peggiorare la situazione. E poi è stata grande la sua testa, avendo accanto due o tre figure brave e intelligenti, che l’hanno fatta muovere subito evitando che il sistema neuromuscolare si… addormentasse. Oggi c’è un bel gruppo di rieducatori italiani, che nella medicina sportiva ha tanto da dire. Ai congressi ci sono tanti colleghi bravi.
Momenti di relax forzati e necessari per dare al corpo il tempo di riequilibrarsi
Sogno una società, scrive Bernal su Twitter, in cui agli anziani venga riconosciuto il giusto rispetto
Momenti di relax forzati e necessari per dare al corpo il tempo di riequilibrarsi
Sogno una società, scrive Bernal su Twitter, in cui agli anziani venga riconosciuto il giusto rispetto
Anche per Bernal si parlava del rischio di atrofizzazione.
Quando parliamo di inibizione neuromuscolare, intendiamo questo. Quando hai un trauma, cosa fa il corpo? Tende a proteggere quella zona e lo fa togliendo… corrente. In questo modo, usando meno la parte dolorante, la proteggi. Il muscolo però si atrofizza, per cui alla fine il segreto è di lavorare aggirando il trauma, affinché il corpo non crei queste difese e mantenga la muscolatura efficiente.
La testa, dicevi…
La Goggia è stata brava a rimettersi gli sci e tornare a fare quella curva, come in Formula Uno o Moto Gp la prima cosa che fanno è ripetere la curva in cui sono usciti. L’incidente di Bernal non dipende da una curva sbagliata o da un cedimento mentre era sotto sforzo. Lui aveva la testa bassa e ha preso un pullman, avrà meno condizionamenti mentali al momento di ripartire. Bernal non ha la memoria del trauma.
Però il suo rientro andrà seguito bene…
Guardo anche il percorso di Remco Evenepoel. Anche lui è rientrato bene, ho seguito su Instagram tutto il lavoro che hanno fatto in Belgio nel centro che lo ha rieducato. Però uno dei limiti del ciclismo è che quando torni in bicicletta, poi hai finito. Si mette in secondo piano il lavoro di riatletizzazione. Esci dal centro educativo e vai su strada, stop. Nel calcio e nel basket si fanno invece congressi su come creare questa fase di riatletizzazione e dentro c’è anche il supporto psicologico. Nel ciclismo invece il rieducatore smette di seguirti, vai in ritiro solo col massaggiatore e ricominci a inseguire la prestazione. Poi però succede che, come Remco e Froome, capiti di dover interrompere la bici e tornare in palestra.
Allenamenti con gli amici e passeggiate con la compagna Maria Fernanda MotasAllenamenti con gli amici e passeggiate con la compagna Maria Fernanda Motas
Cosa diresti a Bernal?
A Bernal direi di non voler per forza bruciare le tappe e di tornare quando è sicuro di essere a posto, ma non in termini di watt, quanto piuttosto della vera efficienza fisica, curandosi che il corpo non metta in atto delle compensazioni che poi incideranno sulla performance.
Froome scende dal pullman dieci minuti prima della firma di partenza. L’addetto stampa gli ha detto che abbiamo qualche domanda e nella mattina che annuncia l’arrivo di Longiano della Settimana Coppi e Bartali, ieri, Chris sembra di buon umore. Solo che con il casco, gli occhiali e la mascherina fin sotto gli occhi, si fa fatica a riconoscerlo.
Tour Colombia 2019, prima dell’incidente di Froome, prima del Tour di BernalTour Colombia 2019, prima dell’incidente di Froome, prima del Tour di Bernal
Si parla di Bernal
Se vuoi chiedergli una previsione sulla stagione – dice l’addetto stampa – non se ne fa nulla. Per fortuna non siamo qui per questo. L’incidente di Bernal ci ha fatto pensare a lui. Chris sa esattamente quello che sta vivendo Egan, perché lo sta ancora scontando sulla pelle. Sei un gigante del tuo sport. Hai vinto il Tour. Hai vinto il Giro. La squadra, l’enorme Sky poi diventata Ineos, conta su di te. E un incidente ti spazza via mentre ti stai allenando sulla bici da crono. Troppe coincidenze per non pensarci.
«Ci ho pensato anche io – dice – abbiamo capito subito che era incidente molto serio, molto grave. C’era qualche cosa di simile al mio. La bici da crono, la velocità molto alta. Lui contro un bus, io conto un muro…».
C’è dell’amaro sarcasmo nel sorriso che affiora attraverso il tono di voce. Mentre parla, Chris aggancia il computerino sul manubrio, ma di tanto in tanto solleva lo sguardo e ci fissa.
Dopo l’incidente di giugno 2019, Froome è tornato in gruppo nel gennaio successivo al UAE Tour
Dopo i primi interventi, anche Bernal ha rassicurato i suoi tifosi via Twitter
Dopo l’incidente di giugno 2019, Froome è tornato in gruppo nel gennaio successivo al UAE Tour
Dopo i primi interventi, anche Bernal ha rassicurato i suoi tifosi via Twitter
Un giorno per volta
Il 12 giugno del 2019 era di mercoledì. Al Delfinato era il giorno della crono, Froome era staccato di 24 secondi da Dylan Teuns e avrebbe potuto conquistare la maglia di leader. Chris aveva vinto il Giro dell’anno precedente e si era poi piazzato terzo nel Tour vinto da Thomas. Nello stesso Tour debuttò Bernal, da poco passato dalla Androni al Team Sky.
Egan al Delfinato non c’era, la squadra lo aveva mandato al Giro di Svizzera. Per cui non fu testimone del tremendo incidente del suo capitano. Durante la ricognizione sul percorso della crono, Froome fu investito da una raffica di vento e finì contro un muro. La diagnosi fu impietosa e in qualche modo pose fine alla sua carriera. Fratture al femore, al gomito, a diverse costole, all’anca e al collo.
Froome ha fatto il suo debutto 2022 alla Coppi e Bartali, per cui tanta fatica e fiato grossoFroome ha fatto il suo debutto 2022 alla Coppi e Bartali, per cui tanta fatica e fiato grosso
Da allora Chris non ha più vinto una corsa e non è più stato il corridore che era. Eppure sta affrontando la seconda parte della sua carriera con grande dignità.
«Un consiglio che posso dare a Egan – dice – è di vivere settimana per settimana, di non pensare troppo avanti. Dovrà fare il massimo in ogni momento per tornare. Non bisogna avere fretta, si rischia di commettere qualche errore. Poi bisogna fermarsi e ripartire da capo. Comunque mi sono reso conto che è stato una fortuna essere ancora professionista dopo un incidente così brutto. L’alternativa era fermarsi e restare a casa».
La fortuna di tornare
Lo sollecitano. La sensazione è che lui resterebbe a parlare, ma lo tirano per la manica e serve mettersi di traverso per avere un’altra risposta.
Alla firma del foglio firma a Riccione, al via della seconda tappa, super mascheratoAlla firma del foglio firma a Riccione, al via della seconda tappa, super mascherato
«Mi sento molto fortunato ad aver avuto l’opportunità di tornare – dice – e credo che alla fine sarà così anche per Egan. Quando ho visto le foto, ho capito subito che le gambe erano rotte, un po’ come me, però c’erano anche aspetti differenti fra i due incidenti. Ho pensato subito che era serio e da quel momento ho iniziato a pensare alla pericolosità delle bici da crono negli allenamenti di tutti i giorni. Quando sei lì sopra, non hai le mani sui freni. E devi stare seduto in una posizione che non è molto sicura. La crono fa parte del ciclismo, ma a qualche punto dovremo chiederci dove sia la linea che separa la prestazione dalla sicurezza».
«I dirigenti della Ineos – dice Andrea Bianco da Tocancipà, Colombia – si sono latinizzati forse troppo. Il team è pieno di corridori sudamericani e anche loro hanno preso le brutte abitudini di quaggiù. Quando ci si allena in Colombia, va bene avere l’ammiraglia dietro e anche la moto, che passa gratis ai pedaggi e non lascia i corridori scoperti. Ma l’auto serve soprattutto davanti. Qua la gente è indolente, Bernal poteva davvero morire…».
Parla l’italiano che guidò Egan nelle sue avventure internazionali in mountain bike, tecnico dell’allora nazionale colombiana del fuoristrada. Veneziano di Jesolo, trapiantato da quelle parti da oltre vent’anni. Il ristorante Maria Piazzetta con cui paga i suoi conti si trova a Tocancipà, 40 chilometri a nord di Bogotà sulla via per Tunja, a 5 chilometri dal punto dell’incidente di Bernal.
Foto di gruppo nel ristorante di Bianco (a sinistra), Alberati, Rivera, Bernal e la ex compagna XiomaraFoto di gruppo nel ristorante di Bianco (a sinistra), Alberati, Rivera, Bernal e la ex compagna Xiomara
Strade pericolose
Gli incidenti di cui parla Bianco hanno coinvolto anche Santiago Botero, ex professionista, che tre giorni fa si è fratturato l’anca, e Brandon Rivera, che quel giorno era in allenamento con Bernal. Anche il piccolo Julian Esteban Gomez, il bimbo divenuto celebre per le sue lacrime mentre Egan vinceva il Tour, nel luglio scorso è stato travolto da un camion mentre si allenava. Aveva solo 13 anni.
«L’autostrada dove è avvenuto l’incidente – racconta Bianco – ha una corsia di emergenza su cui abitualmente passano i ciclisti. Non si dovrebbe, ma è così. Solo che ci trovi i contadini che tornano a casa a piedi e anche gli autobus. Non ci sono fermate prefissate, basta fare un cenno. Le indagini sono in corso, ma quello che si dice è che l’autista abbia superato senza rendersi conto della velocità di Egan e poi si sia fermato. E lui evidentemente aveva la testa giù, sennò in bici è un gatto e lo avrebbe schivato. Su quella strada gli incidenti sono frequenti».
Anche Julian Esteban Gomez, il bimbo che pianse per la vittoria di Bernal al Tour, è morto a 13 anni per un incidente in bici (foto Barreto)
A Zipaquira, città natale di Egan, un murales li ritrae insieme
Anche Julian Esteban Gomez, il bimbo che pianse per la vittoria del Tour, è morto a 13 anni per un incidente in bici (foto Barreto)
A Zipaquira, città natale di Egan, un murales li ritrae insieme
I corridori della Ineos Grenadiers erano in Colombia per allenarsi…
Qui non ci sono mai grossi sbalzi di temperatura e in questa sorta di blando inverno, le belle giornate sono ideali per pedalare approfittando ovviamente anche della quota. Me li trovo sempre in giro. Prima Egan e Brandon Rivera, cui a volte si aggregava Oscar Sevilla. Papà Bernal è sempre con loro sulla moto.
Sulla moto?
Egan lo ha ingaggiato e lo paga perché lo accompagni. La moto è comoda, perché su quella strada ci sono i caselli e la moto non deve fermarsi, mentre l’auto perde sempre quei 30 secondi che poi ti costringono a superare gli altri mezzi. E Egan quel giorno stava facendo distanza sulla bici da crono e la macchina probabilmente era rimasta in coda al casello.
Come l’hai saputo?
Dai social. Quando su Instagram ha iniziato a girare la notizia, ho pensato che l’autobus si fosse immesso, invece su quel tratto di strada non ci sono vie laterali, appena due stradine industriali in cui però non passa mai nessuno…
I corridori del Team Ineos Grenadires erano in Colombia per un ritiro in altura (foto Twitter)I corridori del Team Ineos Grenadires erano in Colombia per un ritiro in altura (foto Twitter)
Cosa si dice in Colombia dell’incidente?
Si parla di “fatalità”. Anche Pidcock ha confermato che è difficile allenarsi su strada con la bici da crono. C’è un portale con 25.000 follower in cui quasi tutti parlano apertamente di un errore di Egan. Si chiedono perché non fosse ad allenarsi in pista. Comunque sia, per quello che ha rischiato, siamo fortunati che sia ancora vivo.
Errore di distrazione?
Non ci sono rientranze dove gli autobus possano fermarsi, per cui accostano nella corsia di emergenza e il più delle volte invadono anche la corsia di marcia. Ti superano, accostano e ripartono. Lo fanno continuamente, solo che stavolta è andata male al miglior ciclista della Colombia.
La gente crede che tornerà forte?
I tifosi sperano sempre, poi ci saranno da fare valutazioni. Mentalmente, Egan è ossessivo, quasi non sembra colombiano. Se dipenderà dalla sua determinazione, non c’è dubbio che tornerà. Poi però c’è la parte fisiologica e lì c’è da capire. Quando Pantani si ruppe la gamba, era la gamba e basta. Qui il quadro è complesso. Viste le tante fratture, i dubbi ci sono.
Stava lavorando per il Tour…
Negli ultimi tempi la sua motivazione non era più uscire dalla povertà. Forse è meno forte di Pogacar, ma facendo una bella preparazione, chi poteva dire come sarebbe finita? Potevano succedere tante cose, guardate quel che è capitato proprio a lui. Bisognerà capire come andranno le prossime settimane e vedere anche cosa vorrà fare la squadra.
Ecco una delle poche immagini dell’incidente di Egan Bernal: è il 24 gennaio 2022 (foto Twitter)Una delle poche immagini dell’incidente di Bernal: è il 24 gennaio (foto Twitter)
I telegiornali ne parlano spesso?
E’ la notizia che c’è sempre, ma qui succedono tanti di quei fatti legati alla sicurezza, che anche Egan Bernal sta passando in secondo piano. E’ vivo, si può passare oltre. Qua è tutto molto più veloce che in Italia.
Cosa sai della clinica in cui è ricoverato?
Una struttura privata che funziona molto bene. Ci sono medici preparati, che sono stati richiamati e lo hanno operato anche di notte. Il vantaggio di essere Egan. Ora è cosciente, vediamo quando andrà a casa. E speriamo di poterlo rivedere presto sano e sulla sua bici…
Ieri mattina la Clinica Universitaria la Sabana ha rilasciato un altro bollettino e lo ha accompagnato con una utile infografica che vi proponiamo e che riassume gli step del trattamento di Egan.
«Ho avuto avuto il 95% di possibilità di diventare paraplegico – ha scritto lui su Twitter (foto di apertura) – e quasi di perdere la vita facendo ciò che amo di più. Oggi voglio ringraziare Dio, la Clinica Sabana e tutti i suoi specialisti perché stanno facendo l’impossibile, la mia famiglia, Maria Fernanda Motas (la sua compagna, ndr) e tutti voi…».
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Una normale giornata di allenamento si è trasformata in un incubo per Egan Bernal, che si è schiantato sul retro di un autobus della compagnia Alianza.
Il colombiano stava lavorando sulla bici da cronometro, ma si è trovato faccia a faccia con l’autobus intercomunale, che si era fermato per far scendere un passeggero.
Erano le 10,01 del mattino di ieri, sulla strada che congiunge Bogotá a Tunja, nella regione di Cundinamarca. Egan, che le prime immagini ritraggono a terra, è stato portato d’urgenza in ambulanza alla Clinica Sabana de Chía. La Polizia intervenuta sul posto ha riferito che il corridore non ha “osservato la manovra compiuta dal veicolo tipo bus e si è scontrato contro il retro di esso”.
Bernal era uscito per allenarsi con i compagni di squadra della Ineos Grenadiers, che sono in Colombia dalla scorsa settimana. Del gruppo facevano parte Brandon Rivera, Andrei Amador, Richard Carapaz, Omar Fraile e Daniel Martinez.
Proprio la crono era il fronte di maggiore attenzione per la sfida al Tour (foto Ineos Grenadiers)Proprio la crono era il fronte di maggiore attenzione per la sfida al Tour (foto Ineos Grenadiers)
Il giro del mondo
La notizia dell’incidente ha fatto il giro del mondo tramite i vari social, prima che la stessa squadra britannica emettesse il primo bollettino. Stando ai vari bollettini della clinica, il quadro è piuttosto complicato. Il corridore ha riportato una frattura diafisaria del femore e della rotula destra, lesione avvenuta a metà dell’osso. E’ stato operato e gli è stato posizionato un chiodo intramidollare per fissare l’osso.
Inoltre, a causa del forte colpo, Egan ha un polmone perforato con perdita d’aria, che ha costretto i medici a curarlo per il pneumotorace e per fermare l’emorragia dalla cavità toracica.
Come se non bastasse, il vincitore dell’ultimo Giro d’Italia ha manifestato una frattura della quinta e sesta vertebra toracica e una non scomposta del rachide cervicale, lesioni importanti quando si parla di un atleta di alte prestazioni.
Per questo, stando alle notizie raccolte dal quotidiano El Tiempo di Bogotà, in serata Egan è stato sottoposto ad un altro intervento di riparazione della colonna vertebrale, al fine di stabilizzare la frattura delle vertebre toraciche da T3 a T8, mantenendo intatta l’integrità neurologica e preservando la funzionalità dei segmenti coinvolti. In seguito a tutto ciò pare che l’atleta abbia risposto a stimoli elettrici.
Bernal non si è accorto della fermata dell’autobus, per cui l’impatto è stato di notevole violenza (foto Twitter)Bernal non si è accorto della fermata dell’autobus, per cui l’impatto è stato di notevole violenza (foto Twitter)
Equipe interdisciplinare
Il referto medico spiega che Egan è stato portato in sala operatoria da un’equipe interdisciplinare di chirurgia generale, traumatologia e neurochirurgia.
Francisco Camacho, chirurgo ortopedico, ha affermato che sebbene il ciclista potrebbe poggiare presto la gamba destra, la sua disabilità potrebbe durare dai tre ai sei mesi, a seconda dell’evoluzione.
Dopo l’intervento, Camacho ha affermato che Bernal dovrà essere gestito in maniera globale con un programma interdisciplinare che includa una riabilitazione con obiettivi specifici per tornare presto alla sua attività sportiva.
«La cura della frattura dopo l’incidente – ha detto – e un buon trattamento sono essenziali. La fisioterapia durante il recupero aiuterà a ritrovare forza e mobilità nella gamba».
Juan Guillermo, Direttore Generale della Clinica Unversitaria rilascia il comunicato numero 2 dal ricovero di Bernal
Nessun programma
Il programma di Egan prevedeva il debutto al Tour de la Provence, corsa francese che si svolgerà dall’11 al 14 febbraio. Poi avrebbe preso parte al UAE Tour, prima prova WorldTour dell’anno, dal 20 al 26. Di qui avrebbe gareggiato alla Parigi-Nizza vinta nel 2019. Il resto del calendario era da definire, vedeva il Tour al centro dell’anno e non prevedeva la difesa della maglia rosa. Ora è tutto sospeso, come in un brutto sogno.
«Aspetteremo la sua progressiva evoluzione nelle prossime 72 ore in Terapia Intensiva – dice Juan Guillermo, Direttore Generale della Clinica Unversitaria – e che risponda alla gestione che è stata stabilita per questo trauma ad alta energia. Allo stesso modo, iniziamo immediatamente il percorso riabilitativo per ottenere i migliori risultati possibili con il nostro paziente. Ci uniamo alla sua famiglia e alla preoccupazione di tutto il popolo colombiano».
Le strade nella campagna fra Bruges e il mare sembrano dipinte. Casette senza recinzioni. Alberi e zone in ombra lungo i canali. Cavalli e mucche che trascorrono placidamente il tempo. Eppure, per un motivo che sarà difficile decifrare, sabato in questo quadro idilliaco di pace e verde, Chris Anker Sorensen ha perso la vita mentre era sulla bici che, pur avendo smesso di correre, portava sempre con sé.
«Amico dolce, premuroso e talentuoso – scrive Brian Nygaard su Twitter, addetto stampa alla Saxo Bank – è insopportabile pensare che non ci vedremo mai più. Eri sempre lì per tutti gli altri, anche quando stavi facendo le cose più belle per te stesso nella tua vita e nella tua carriera. Riposa in pace, Chris Anker Sorensen. Non c’è consolazione, solo amore».
Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)Sorensen infreddolito nella postazione di commento della Roubaix (foto Instagram)
Gregario col sorriso
Vinse la tappa del Terminillo al Giro d’Italia del 2010. Raramente gli riusciva di alzare le braccia, pur essendo uno di quelli sempre all’attacco, quando non aveva da aiutare il capitano. Quella volta staccò Simone Stortoni e Xabi Tondo, altro gregario dal sorriso che l’anno dopo avrebbe incontrato una fine anche peggiore. Nel 2008 invece era arrivato da solo a La Toussuire, nel Delfinato vinto da Valverde su Cadel Evans.
Però sapeva far vincere e nella Saxo Bank in cui corse gli anni migliori, non mancarono le occasioni di fatica per condurre il capitano al successo. Come alla Vuelta 2014 al fianco di Contador e il Tour del 2010, quello vinto da Contador sulla strada e poi passato a Schleck per la squalifica dello spagnolo.
E Chris Anker Sorensen era sempre pronto agli ordini di Riis, con il suo sorriso sempre in faccia. Danese che sapeva anche lasciarsi andare al confronto del ben più gelido team manager.
Alla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto ContadorAlla Vuelta del 2014 ha lavorato sodo fino alla vittoria della maglia rossa di Alberto Contador
La casa a Lucca
Il dolore ha viaggiato subito sui social e ha riportato alla memoria altre storie identiche. Un uomo giovane che stava vivendo la sua passione e lascia a casa una moglie e due bimbe.
«Penso proprio alle sue bimbe – racconta Pino Toni, che di Sorensen fu a lungo l’allenatore – perché mia figlia faceva loro da baby sitter. Aveva comprato casa fuori le mura di Lucca, una bifamiliare col suo giardino intorno. La moglie aveva preso l’aspettativa dal lavoro per seguirlo in Toscana, poi quando finì di correre decisero di tornare in Danimarca. Io l’ho conosciuto che era già in Toscana e so che mi riteneva un amico. Di noi toscani aveva preso il gusto di mangiare, ma essendo un corridore alle dipendenze di Bjarne Riis non era il tipo che esagerava. Non faceva chissà quale vita fuori dalla bici, stava tanto in famiglia. Avevamo legato molto, per come si può legare con un danese».
Bennati e l’altro Sorensen
Ricorda Daniele Bennati, che con Sorensen ha corso quattro anni, che si era così radicato in Toscana da aver preso anche delle sfumature dell’accento.
«Assieme a lui – ricorda Daniele – abbiamo vinto la Vuelta del 2014 con Contador. Era uno di quei corridori che un capitano vorrebbe averse sempre, Alberto compreso. Dio solo sa quante borracce e quanti chilometri in salita gli toccò tirare, mentre Tosatto e io facevamo il lavoro in pianura. Sabato ero nel Chianti alla partenza della Gran Fondo Gallo Nero e c’era anche Rolf Sorensen, il “biondo”. Era distrutto. Il fatto era appena successo. Doveva andare anche lui in Belgio per commentare i mondiali e raccontava che la tv danese avrebbe lasciato ai suoi uomini la possibilità di scegliere se andare o fermarsi qualche giorno per assorbire il dolore».
La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)La sua bici anche al Tour, per pedalare sul circuito dei Campi Elisi (foto Instagram)
Guida per i giovani
L’altro giorno il vincitore danese della cronometro under 23, Johan Price-Pejtersen, ha parlato di Chris Anker come di un’ispirazione per i giovani ciclisti danesi.
«E lui proprio con i giovani dava il meglio – ricorda ancora Pino Toni – perché riusciva a spronarli in modo incredibile. Ricordo che mi trovai a fare il direttore sportivo da solo nel Giro di Polonia del 2013 che partiva dal Trentino. E ricordo che grazie a lui riuscimmo a prendere la maglia di leader con Majka in cima al Pordoi, dove finiva la prima tappa. Chiaro che dei morti si parla sempre bene, ma lui era bravo davvero. L’ultima volta che l’ho visto, eravamo alla Vuelta del 2019 e mi fece un’intervista sui sistemi di navigazione delle ammiraglie».
I corridori danesi che finora hanno brillato ai mondiali del Belgio hanno rivolto una parola al gioviale gregario di 37 anni che proprio per raccontare meglio i percorsi delle cronometro che sarebbe iniziate di lì a poche ore, nella mattinata di sabato 19 settembre aveva deciso di percorrerne in bici i chilometri. In un bel mattino fresco di sole, che annunciava ignaro un’altra giornata meravigliosa…
Nella tradizionale rassegna dei risultati della settimana, è saltato fuori un nome del quale si erano perse da tempo le tracce: quello di Damiano Cima. Sul bresciano della Gazprom RusVelo il team russo faceva molto affidamento, ma le difficoltà si sono susseguite, fino al Giro del Sud Boemia, dove nell’ultima tappa ha tratto le somme di una crescita progressiva tornando al successo, che gli è valso anche la terza piazza nella classifica generale.
Una vittoria che ha chiuso un digiuno lunghissimo: «Era dalla tappa del Giro 2019 che non arrivava un successo e sinceramente ne sono contentissimo, anche se so bene che il valore della corsa non era certo dei più elevati. Quel che mi ha fatto più piacere è proprio il fatto che questa vittoria è arrivata al termine di una corsa a tappe nella quale sin dall’inizio avevo sentito che le cose cominciavano a marciare nel ritmo giusto, ma per arrivare a vincere serve che tutto s’incaselli nella maniera migliore».
Lo sprint vincente di Damiano Cima a Jindrichuv Hradec, il primo con la maglia della Gazprom RusveloLo sprint vincente di Damiano Cima a Jindrichuv Hradec, il primo con la maglia della Gazprom Rusvelo
La stagione fino ad ora non era stata neanche così brutta, quella in Boemia è la settima Top 10 in classifica…
Sì, ma sono stati tutti piazzamenti alti, mai davvero in lotta per la vittoria. Finora non era stata la stagione che volevo, ma i guai sembravano non aver mai fine, con l’infiammazione al tendine del ginocchio sinistro che mi ha fermato per quasi tutto giugno. Ho ripreso a metà luglio e sono tornato a gareggiare proprio in Boemia, partivo dal nulla, senza sapere quali erano le mie condizioni, per questo finire così mi dà grande fiducia. Anche per come è arrivata la vittoria.
Raccontaci un po’ che cos’è il Giro del Sud Boemia, certamente non una delle gare più conosciute…
E’ una gara in 4 tappe, su strade sempre piuttosto strette e molto nervose. Non ci sono grandi salite e chi conosce il territorio lo sa, ma ogni tappa ci ha riservato piccoli strappi. Così anche l’ultima, che aveva favorito anche la fuga di un gruppo di una ventina di corridori su un’ascesa di 5 chilometri, quando poi li abbiamo ripresi i miei compagni hanno svolto un lavoro impeccabile per pilotarmi verso lo sprint finale. Io sono partito ai 400 metri e non mi hanno ripreso più.
Un Damiano Cima festante a Santa Maria di Sala, Giro d’Italia, era il 30 maggio 2019Un Damiano Cima festante a Santa Maria di Sala, Giro d’Italia, era il 30 maggio 2019
Che cosa ti aspetti adesso?
Di continuare su questi livelli e soprattutto di trovare un contratto a fine stagione.
Pensi di rimanere alla Gazprom?
Lo vorrei tanto perché mi trovo bene, ma chiaramente perché ciò avvenga devono arrivare risultati. Comunque, che sia alla Gazprom o in un’altra squadra, quel che desidero è poter trovare un ingaggio per proseguire la mia carriera e svolgere al meglio i compiti che mi verranno dati, qualsiasi essi siano.
In Boemia sei anche arrivato terzo in classifica generale, a 19” dal belga Arnaud De Lie considerato uno dei migliori prospetti belgi e già nel giro della Lotto Soudal. Non è che stai diventando un corridore da brevi corse a tappe?
Io resto uno specialista delle gare d’un giorno, non posso cambiare le mie caratteristiche. Sono un velocista, che tiene anche su brevi strappi, per questo ci sono gare brevi a tappe che possono anche adattarsi a me, ma sono poche.
Ora Damiano attende il ritorno di suo fratello Imerio, fermo dopo il terribile incidente di marzoOra Damiano attende il ritorno di suo fratello Imerio, fermo dopo il terribile incidente di marzo
Come sta tuo fratello Imerio? A tua differenza, quest’anno non si è mai visto in gara…
E non tornerà a gareggiare nel 2021, ha ancora a che fare con i postumi del terribile incidente del 15 marzo, quando è stato investito mentre si allenava. Sta ancora effettuando visite per capire come uscire dalla situazione, non riesce ad allenarsi senza sentire dolore.
Ha comunque ancora dentro di sé il desiderio di tornare?
Altroché… Aspetta solo che possa riprendere a fare quel che gli piace di più e spero che la mia vittoria gli dia quella spinta in più per tornare a farmi compagnia in sella. Io sono la dimostrazione che non è mai finita…
Conci alla continental Alpecin, Fedeli vicino alla firma, mentre gli altri stringono i denti. Eppure nella gestione del caso Gazprom si vedono tanti buchi
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