Longo Borghini, la prima uscita e il mondiale dal divano

19.08.2023
8 min
Salva

Per la prima volta nella sua carriera, Elisa Longo Borghini non ha partecipato al campionato del mondo. Difficile trovare certe statistiche nel ciclismo maschile e forse più in genere in quello contemporaneo, dove per un motivo o per l’altro può capitare di restare fuori: non fosse altro per le caratteristiche del percorso. Alla piemontese non era mai successo. Solo una volta era rimasta fuori dalla nazionale, per le Olimpiadi di Londra, e se l’era legata al dito. Questa volta però non c’è stato da recriminare su nulla, dato che il problema di salute che l’ha costretta al ritiro dal Tour non consentiva leggerezze o gesti eroici. Così Elisa ha seguito il mondiale da casa. Il suo punto di vista è il modo di rivivere la corsa di Lotte Kopecky e delle italiane, cercando eventuali punti di snodo che potrebbero esserci sfuggiti.

Fra le curiosità di quel giorno, domenica 13 agosto, c’è che Elisa è riuscita per la prima volta a riprendere la bici. La sua giornata perciò è iniziata con un’uscita assai blanda in compagnia di Jacopo Mosca (foto di apertura), reduce dal Polonia e in procinto di partire per il Giro di Danimarca, ed è poi proseguita sul divano.

Secondo Longo Borghini, un’azzurra sarebbe potuta entrare nella prima fuga, purtroppo nessuna c’è riuscita. Paladin ha provato a inseguire
Secondo Longo Borghini, un’azzurra sarebbe potuta entrare nella prima fuga, purtroppo nessuna c’è riuscita. Paladin ha provato a inseguire
Come è stato guardare il mondiale in tivù?

Strano. Li ho fatti tutti da quando sono passata elite. Anche nel 2013, quando ero caduta e mi ero fatta male, ma riuscii a recuperare in tempo. E sarei riuscita a farlo anche questa volta, se non li avessero spostati ad agosto. Però alla fine ho accettato la situazione. E’ capitato qualcosa fuori dal mio controllo, non ero arrabbiata. Mi è dispiaciuto perché mi vedevo in quel gruppetto davanti a dare legnate secche. Però se non si può, non si può. Se la salute non ti supporta, non puoi farci niente.

A che punto hai realizzato che avresti saltato il mondiale?

Ufficiosamente dal momento in cui mi sono ritirata dal Tour e abbiamo capito che la situazione era parecchio seria. Non sarebbe stato possibile recuperare.

Veniamo al mondiale. Non ti sembra che di base ci sia stata una lettura sbagliata del percorso? Perché parlare tanto di velocisti?

Per quanto mi riguarda, io avevo fatto l’europeo più o meno su quel percorso e non era stata una corsa per velocisti. Fra gli uomini era arrivato un gruppetto con Trentin, mentre la nostra gara arrivò in volata solo perché decidemmo di farla arrivare in volata. C’era stata davanti per tanto una fuga, poi un gruppettino, poi rimasi io da sola con Van der Breggen. Quindi per me era chiaro che con tutti quei rilanci e quegli strappettini, che sembrano tanto semplici ma alla fine segano le gambe, non sarebbe stata una gara per velocisti. Mi ha stupito veramente che tutti pensassero che potesse essere una gara per gente veloce. Era chiaro che sarebbe diventata una corsa durissima.

Il 7° posto di Chabbey è venuto per quella che Longo Borghini ha chiamato “corsa del morto”
Il 7° posto di Chabbey è venuto per quella che Longo Borghini ha chiamato “corsa del morto”
Prima fuga, nessuna azzurra dentro e Soraya Paladin che insegue da sola…

Avevo parlato con alcune ragazze della nazionale e ci eravamo dette che sarebbe stato buono essere in una fuga da lontano, soprattutto se costava poco e c’erano dentro dei buoni nomi, ad esempio un’olandese. E dei buoni corridori effettivamente sono andati via, ma noi non eravamo dentro e mi è dispiaciuto. Però alla fine è semplice parlare da casa, in corsa ci sono delle dinamiche che non conosco. Ho visto che Gasparrini ci ha provato, ma non è riuscita ad agganciarsi. Le sono mancati quei tre metri senza i quali saremmo a raccontare un’altra storia.

Anche perché dopo la corsa le prime ad essere dispiaciute erano loro…

Questo è poco, ma sicuro. In questa intervista potrò dire tutto, ma non mi troverete mai a criticare le mie compagne, perché ci tengo alla maglia azzurra e ci tengo a loro.

In tutte le loro parole prima e anche dopo, la tua assenza è stata il fattore che ha fatto la differenza, quasi sentissero che mancava chi avrebbe finalizzato il lavoro…

E’ un argomento difficile: potrebbe essere successo, non lo so. Sentir parlare della mia assenza, da un certo punto di vista mi è dispiaciuto. Sentire però che le persone o anche gli stessi commentatori rimpiangessero che non fossi lì, mi ha dato la carica per tornare al prossimo mondiale e pareggiare i conti. In ogni caso le ragazze avevano come riferimento Elena Cecchini, che corre in una squadra molto forte e conosce le dinamiche di corsa. Io sono più che altro il braccio e lei la mente. Io sto davanti di gambe, ovviamente uso anche il cervello, però non mi reputo una trascinatrice come lei.

Cecchini è stata la trascinatrice delle azzurre: se avesse ripreso Chabbey, la Longo è sicura, sarebbe entrata fra le top 10
Cecchini è stata la trascinatrice delle azzurre: se avesse ripreso Chabbey, la Longo è sicura, sarebbe entrata fra le top 10
A un certo punto è stato chiaro che il nostro leader fosse Silvia Persico.

E Silvia ha fatto vedere che c’era. Forse ha sprecato un po’ troppo seguendo i primi attacchi della Kopecky, che erano più dettati dal nervosismo. Magari poteva rimanere di più sulle ruote e far chiudere le altre, però anche in questo caso… Io stavo guardando la TV, lei solo sapeva come stavano le sue gambe e che cosa l’istinto le diceva di fare. Quindi se ha fatto così, un motivo forse c’era.

Che cosa hai pensato quando hai visto che Kopecky faceva il diavolo a quattro?

Si è visto dall’inizio che la Kopecky aveva una gamba che… sparecchiava e che era determinata a vincere questo mondiale a qualsiasi costo, più di tutte. Era pronta a morire sulla bici. Il motivo lo sa solo lei. Oltre al fatto di avere la maglia, secondo me c’era qualcosa di più forte che la spingeva a vincere quella corsa, qualcosa di personale. Quando vuoi così tanto una corsa, è perché hai qualcosa dentro che ti dà una spinta in più. Lei aveva le gambe, ma anche una cattiveria agonistica impressionante.

Longo Borghini ha capito dalle prime battute che Lotte Kopecky avesse dentro una spinta emotiva superiore: voleva vincere
Longo Borghini ha capito dalle prime battute che Lotte Kopecky avesse dentro una spinta emotiva superiore: voleva vincere
Il 2023 è l’anno in cui ha perso suo fratello …

Quando ti ritrovi in quelle situazioni, sei talmente determinata, che ogni cosa diventa possibile. Avrebbe strappato la maglia alla Vollering se fosse stato necessario…

Cosa hai pensato quando hai visto Elena Cecchini andare da sola in caccia di Chabbey?

Ho pensato che se fosse rientrata, avrebbero avuto una bella posizione di vantaggio. La Chabbey ha fatto risultato (settima all’arrivo, ndr) perché su un circuito così, se ti porti avanti, è vero che ti vengono a prendere, però ormai è la corsa del morto. Dietro la selezione è già fatta e non rientrano in tanti, quindi ho sperato che Elena riuscisse a ricucire, perché poi avrebbe fatto di sicuro una top 10. Infatti, quando è partita, ho detto: «Cacchio, brava Elena!». L’ha pensata bene, anche se non è riuscita a rientrare. 

Consonni e Balsamo, le più veloci, hanno tenuto finché è stato possibile…

Chiara ha corso sulle ruote, probabilmente era stato deciso così. Ha tenuto bene, ha fatto una bella gara. Elisa è stata intelligente e molto coraggiosa, perché quando ha capito di non avere le gambe per stare con le prime, ha provato ad anticipare con la Markus. Credo che per lei sia stata una buona prova, soprattutto dopo l’incidente e dopo un Tour de France in cui ha speso tanto.

A proposito di Tour de France, alcune azzurre sono arrivate al mondiale parecchio provate: forse le due corse erano troppo ravvicinate?

Bè, alla Kopecky è andata bene… Ovviamente se sei un’atleta di fondo e magari non sei una giovane che ha fatto Giro e Tour, allora può andare bene. Per chi è più maturo ed è abituato a carichi di lavoro importanti, il Tour de France è stato la miglior preparazione. Lo sarebbe stato anche per me, se avessi finito il Giro e non mi fossi ritirata anche dal Tour (sorride amaro, ndr).

Forse Silvia Persico rientra fra le più giovani che potrebbero averlo pagato?

Ho paura di sì, però mi potrei sbagliare. E’ ancora giovane, magari non sta facendo ancora dei carichi di lavoro super importanti. Ha fatto 10 giorni di Giro a tutta, poi due settimane per recuperare, poi di nuovo una settimana durissima al Tour. Anche solo guardando i miei dati su Training Peaks, nonostante io mi sia ritirata prima delle tappe più dure, avevo un TSS altissimo, perché andavamo ogni giorno a tutta. Quindi può essere che Silvia sia arrivata un po’ stanca al mondiale (il Training Stress Score è un numero che tiene conto della durata e dell’intensità di un allenamento e dello stress fisiologico che ha prodotto, ndr).

Sei stata per tutto il giorno sul divano?

Molto serenamente, con Jacopo che mi portava da bere e da mangiare. Più acqua che cibo, perché devo bere tanto. E poi facevamo i nostri commenti, le nostre valutazioni da divano, come due pensionati.

Silvia Persico è stata la leader delle azzurre e si è fatta trovare nei momenti giusti. Secondo la Longo, potrebbe aver pagato il Tour
Persico è stata la leader delle azzurre, ma secondo la Longo, potrebbe aver pagato il Tour
In conclusione, che mondiale è stato?

E’ stato un mondiale figo secondo me, perché diverso da quello che tutti si aspettavano. Gli sprinter come Philipsen e Wiebes saltati al primo giro. Da spettatrice è stato un bel mondiale da seguire. Si prestava a scatti e contro scatti. Non è stato per niente soporifero. Anche la gara degli uomini, che magari nelle prime ore… Invece hanno fatto un finale che è durato 150 chilometri e anche guardare le ragazze è stato molto coinvolgente. Ho guardato tutte le gare, mi sono fatta anche una certa cultura nel paracycling.

Sei uscita per la prima volta in bici il giorno del mondiale, come procede adesso il recupero?

Ieri ho ripreso sul serio con le tabelle di Slongo. Se guardo i lavori che devo fare, penso che li farebbe anche mia nipote, ma sono stata per due settimane senza allenarmi, con un intervento, gli antibiotici, dolori vari e ferite, quindi sono un po’ a pezzi, ma il morale è buono. Chissà che per il Romandia non si possa ricominciare a menare le mani…

Bissolati, il tandem è l’occasione che mancava

18.08.2023
6 min
Salva

Da Glasgow a una spiaggia delle Marche il passo non è tanto breve, ma i giorni di ferie sono pochi e per concedersi un po’ di recupero Elena Bissolati ha scelto così: azzurra nel dopolavoro, come Ceci e la maggior parte dei paralimpici. Ventisei anni, cremonese di San Giovanni in Croce, la risata sempre pronta e un bellissimo sorriso, ai mondiali ha corso le prove del tandem assieme a Chiara Colombo, centrando la medaglia d’argento nella prova a squadre dell’ultima sera.

Una dimensione nuova per lei, che assieme a Miriam Vece s’è portata sulle spalle la velocità azzurra quando la precedente Federazione l’aveva dimenticata, isolata, cancellata. Solo che mentre la sua coetanea era riuscita a entrare nel centro UCI a Aigle, Elena è rimasta in Italia, dove quel senso di solitudine alla fine le ha fatto dire basta. Basta con la nazionale di sempre, evviva però l’offerta di Silvano Perusini di provare a fare qualcosa con i paralimpici (in apertura, Elena è con Chiara Colombo a Montichiari, foto Instagram).

Bissolati ha fatto parte della nazionale normodotati sin da quando era junior. Ha chiuso nel 2022
Bissolati ha fatto parte della nazionale normodotati sin da quando era junior. Ha chiuso nel 2022
Ti aspettavi di più dall’attività con la nazionale?

Diciamo che avevo raggiunto il mio punto d’arrivo, anche perché avevo già iniziato a lavorare. Ho cominciato da due anni e intanto facevo combaciare le cose. Però penso che per andare avanti con l’ambiente elite “normo”, se non lo fai per lavoro arrivi a un certo punto che devi scegliere: correre o lavorare.

Ti scoccia un po’ che il settore velocità l’abbiano preso in mano proprio adesso? Se lo avessero fatto un anno prima cambiava qualcosa per te?

Probabilmente sì. Probabilmente se si fossero mossi prima, sarebbe stato diverso. Ma diciamo che non mi lamento, perché penso di poter dare tanto sul tandem, sia a livello personale sia a livello di prestazione.

Che lavoro fai?

Mi è sempre piaciuto lavorare nella grafica, che è quello che ho studiato. In realtà ho dovuto fare una scelta e lavoro in un bar trattoria al mio paese, per incastrare allenamenti e gare. Altrimenti non ce l’avrei fatta. E quindi per gareggiare, come pure Ceci, uso i giorni di ferie.

Che cosa è stato per te questo primo mondiale paralimpico?

E’ stata la prima esperienza in tandem, quindi era tutto un mondo nuovo. Ovviamente puntavamo alto, ma non ci aspettavamo i risultati che sono arrivati.

Il settore pista è nuovo, sono nuovi gli equipaggi dei tandem, è nuovo il tecnico…

Siamo praticamente tutti nuovi, con Ceci, Plebani ed io che veniamo via dalla nazionale “normo” e ci siamo spostati verso quella paralimpica.

L’affiatamento in pista con Chiara Colombo ha richiesto ore di lavoro (foto Francesco Ceci)
L’affiatamento in pista con Chiara Colombo ha richiesto ore di lavoro (foto Francesco Ceci)
Come è nato questo spostamento? 

Mi hanno contattato tramite Perusini e ho accettato subito. Era gennaio, non c’è stato da pensarci tanto. Ho sempre fatto come battuta il voler provare il tandem, ma non pensavo a tutto questo. Però ho detto subito sì, anche Perusini che mi ha chiamata c’è rimasto. Mi ha chiesto se volessi pensarci, ma io avevo già deciso. Non sapevo chi fosse, l’ho conosciuto dopo.

Com’è stato interagire comunque con un’altra persona sul tandem? 

All’inizio non è stato semplice, però io mi sono divertita da subito. Poi è ovvio che trovare la pedalata non è stato semplice. C’è voluto tempo sia per farmi conoscere da Chiara e sia per lei farsi conoscere da me.

Nel 2023 con Chiara Colombo non solo pista, anche il campionato nazionale su strada (foto Instagram)
Nel 2023 con Chiara Colombo non solo pista, anche il campionato nazionale su strada (foto Instagram)
Anche perché tu sei un’atleta di valore internazionale, lei è al debutto assoluto…

Lei è proprio alle prime armi e questo potrebbe essere anche un punto a favore, visto che ha modo di crescere bene.

L’obiettivo sono le Paralimpiadi?

Sicuramente sì, ma secondo me non quelle di Parigi. Ci proveremo sicuramente, ma penso che non avremo molto agio proprio a livello di tempistiche. Però mai dire mai, visto il mondiale che abbiamo fatto.

Su whatsapp hai un motto, secondo cui tutto torna, basta avere pazienza. Come mai?

Sono una ragazza abbastanza impulsiva che vuole tutto e subito e mi hanno sempre detto che non è proprio così. E infatti non è così. Il motto è sempre quello che tutto torna nella vita, quindi basta avere pazienza e prima o poi le cose girano.

Ai campionati europei di Monaco dello scorso anno, ha corso tutte le discipline veloci assieme a Miriam Vece
Ai campionati europei di Monaco dello scorso anno, ha corso tutte le discipline veloci assieme a Miriam Vece
Questa chance col tandem potrebbe essere il giusto che sta arrivando?

Sì, sono proprio sicura che sia così ed è bello.

Che tipo di rapporto si è creato tra te e Chiara Colombo?

All’inizio ho dovuto guidare altre due ragazze, non mi hanno affidato subito lei. E’ stato un bene perché ho capito che ci sono differenze tra una ragazza e l’altra. Il modo di pedalare, il modo di porsi, tante cose… Chiara è totalmente inesperta, a parte qualche anno nelle giovanili di mountain bike. Quindi lei si è fidata subito, dato che la pista non sapeva neanche cosa fosse e su strada era andata, ma non a livello agonistico.

Avete fatto anche strada insieme?

Quest’anno ci siamo date un po’ a tutto. A giugno abbiamo fatto i campionati italiani su strada e abbiamo vinto anche quelli, però penso di specializzarmi sulla pista, perché alla fine vengo da lì e non avrebbe senso disperdere quel lavoro.

Al debutto iridato a Glasgow, per Bissolati-Colombo è arrivato l’argento nella velocità a squadre
Al debutto iridato a Glasgow, per Bissolati-Colombo è arrivato l’argento nella velocità a squadre
Continuerai a fare qualche gara individuale?

Quest’anno ho fatto il campionato italiano e se riesco lo faccio anche l’anno prossimo. Mi piace correre e poi è stato un momento di confronto, per capire a che punto di condizione fossi.

Come prosegue la stagione?

Ricominciamo subito, perché a settembre abbiamo il campionato italiano: devono ancora confermare la data. E poi a marzo ci saranno i mondiali a Rio, in cui si fanno punti per la qualifica olimpica. Così se tutto dovesse andare bene, la prossima estate potremmo avere qualcosa di importante da fare… 

Metron Track, nato per corsa a punti, scratch e madison

18.08.2023
3 min
Salva

Lo abbiamo visto in azione ai mondiali in pista di Glasgow, anche se il divieto di entrare nei box delle squadre ci ha privato della possibilità di vederlo da vicino. Per cui abbiamo fatto di tutto per correre ai ripari ora che i mondiali sono finiti e c’è stato il tempo per approfondire il nuovo manubrio Metron Track.

La presa dei cornetti avviene con anulare e mignolo, in modo che l’atleta possa poggiare il palmo della mano e abbassarsi
La presa dei cornetti avviene con anulare e mignolo, in modo che l’atleta possa poggiare il palmo della mano e abbassarsi

Come leve dei freni

Il nome non lascia scampo a dubbi: si tratta di un accessorio che appartiene alla grande famiglia Vision e già questo fa pensare che dietro ci sia un gran lavoro in termini di costruzione e aerodinamica, dovendo consegnare ai pistard un manubrio rigido e anche filante, in osservanza per giunta ai regolamenti UCI.

Con un diametro del morsetto di 31,8 millimetri, il manubrio ha larghezza di 365 per un peso di 310 grammi e si fa notare per il disegno che offre delle appendici che ricordano la parte superiore delle leve dei freni cui gli atleti possono “aggrapparsi” nei momenti di massima sollecitazione.

Il disegno blu è quello della versione da strada, in verde il Metron Track
Manubrio pista Metron Track, Vision

Dalla strada alla pista

In origine c’è stato lo studio su strada, vista la grande esperienza di Vision nella realizzazione di manubri da crono, e da qui Metron Track è stato fornito ai pistard per lo sviluppo di un’ergonomia e un’aerodinamica a parte, per dare il meglio di sé nelle corse di endurance, come la corsa a punti, lo scratch e la madison.

Avendo come base l’impostazione delle corse di gruppo, anche il suo disegno asseconda le necessità di un atleta che deve stare chiuso e raccolto, ma al tempo stesso ha la necessità di… spalmarsi sulla bici per le azioni più prolungate. Ecco allora che il disegno di Metron Track segue quello del Metron 4D e del 5D, cercando andare incontro alla necessità di maneggevolezza della pista.

Tre vantaggi

I risultati conseguiti sono sostanzialmente tre. La riduzione della larghezza del manubrio, che consente una migliore aerodinamica. Una migliore presa grazie all’applicazione di strisce che aumentano il grip (decal di silicone e finiture tipo sabbia). Infine il volume ridotto delle estremità consente agli atleti di stringere i due “cornetti” con l’anulare e il mignolo, consentendo l’appoggio più aerodinamico al resto della mano.

Il manubrio Metron Track sembra aver davvero incontrato il favore degli atleti. In questa fase di pieno sviluppo sulla via di Parigi 2024, aver messo al sicuro il manubrio è già un bel punto di partenza. Il Metron Track è in vendita a 469 euro (Iva inclusa).

Vision

Lotte Kopecky: un po’ star, tanto campionessa

18.08.2023
6 min
Salva

GLASGOW – La storia di Lotte Kopecky, per come è stato possibile ricostruirla con i colleghi belgi che dopo la vittoria del mondiale non erano a rischio sbronza come quando lo scorso anno vinse Evenepoel, ma sfoggiavano tutto il loro orgoglio fiammingo.

La linguaccia

Lotte Kopecky (in apertura nell’immagine Guy Kokken Photography) nasce nell’ospedale di Rumst il 10 novembre del 1995, sorella minore di Seppe mentre in futuro arriverà un altro fratello di nome Hannes. Sua madre Anja racconta che Lotte non dà problemi quando si tratta di dormire, che inizia a camminare molto presto e che a due anni tolgono le rotelle dalla bici, perché è in grado di andare da sola.

Quando raggiunge l’età la iscrivono alla materna Sint-Lutgardis di Schelle. Sempre sua madre ricorda di averla lasciata al cancello, che Lotte l’ha salutata e poi è entrata da sola, senza versare una lacrima.

«Quando di recente ho visto una foto di lei che tirava fuori la lingua e la mordeva con forza – ha ricordato la prima maestra – ho detto a sua madre che lo faceva già da piccola. Lotte era una bambina molto tranquilla e ben educata, ma anche un maschiaccio. Combinava sempre scherzi, però mai cattivi. E anche nel parco giochi dell’asilo non faceva che pedalare».

Il mondiale di Glasgow arriva dopo una crescita costante. Lotte ha 27 anni, è alta 1,70, pesa 66 chili
Il mondiale di Glasgow arriva dopo una crescita costante. Lotte ha 27 anni, è alta 1,70, pesa 66 chili

Brava sugli sci

Lo sport arriva subito, intorno ai 3 anni. Va al circolo di ginnastica con suo fratello. Si solleva sulla sbarra, cammina sull’asse di equilibrio, salta nei cerchi. Poi prova alcuni sport con la palla, anche il calcio. Raccontano che non sia inferiore ai ragazzi di pari età. Poi prova il basket e si distingue, ma non le piace e molla.

Suo padre la porta a sciare e anche lì se la cava molto bene. Al punto che nella pista coperta Aspen di Wilrijk, un allenatore va a chiedere se la ragazzina abbia voglia di fare qualche gara, ma questa volta sono i genitori a mettersi di traverso, perché si tratterebbe di andare molto all’estero in un’età ancora acerba.

Vive anche la scuola come uno sport e va bene in tutte le materie, trovando anche il modo di ingraziarsi le insegnanti. Brilla ovviamente in educazione fisica e tutti gli anni sale sul podio delle gare scolastiche di sci di fondo.

Da bambina adorava gli animali, oggi ha un cane, Ollie, e anche un gatto nero (foto Instagram)
Da bambina adorava gli animali, oggi ha un cane, Ollie, e anche un gatto nero (foto Instagram)

Amica degli animali

La bici è ancora un mezzo di trasporto, piuttosto la campionessa del mondo va matta per gli animali. Ora ha un cane, che si chiama Ollie ed è la guest star dei suo video su Instagram, ma da piccola ha avuto la casa piena di ogni genere di animale.

Dopo la visita scolastica in una fattoria didattica, convince i genitori a comprare due caprette con cui i fratelli Kopecky giocano in continuazione. Poi arrivano cani, gatti e criceti. Una volta, ha raccontato la madre, Seppe e Lotte prendono da un vicino un criceto dorato. Quando muore, lo seppelliscono, ma i ragazzi sono così addolorati che i genitori corrono a comprarne altri due. Il negoziante garantisce che siano due femmine, ma si sbaglia. Nasce una nidiata di 24 criceti, poi regalati ad amici di famiglia.

L’arrivo di Glasgow è stato un misto di emozione e incredulità: la sua superiorità è stata disarmante
L’arrivo di Glasgow è stato un misto di emozione e incredulità: la sua superiorità è stata disarmante

In bici con Seppe

La bici arriva con Seppe, che comincia a correre, presto emulato da sua sorella, che lo segue qualunque cosa faccia. Si iscrive al club Front Kontich che ha 11 anni, non va a correre, semplicemente si allena e solo quando ritiene di essere pronta, si butta nelle gare. Pare che sia così competitiva, che tiene come riferimento i maschi, perciò anche se vince le classifiche per le bambine, racconta a casa solo dei piazzamenti assoluti. E nonostante alle ragazze sia offerta la possibilità di correre con i maschi di un anno più giovani, Lotte si rifiuta: resta fra i suoi coetanei, con una grande mentalità vincente. Non la sentono mai lamentarsi per un allenamento da fare.

Lo scorso anno ha ricevuto il Patrick Sercu Trophee al premio Flaandrien 2022 (foto Het Nieuwsblad)
Lo scorso anno ha ricevuto il Patrick Sercu Trophee al premio Flaandrien 2022 (foto Het Nieuwsblad)

Forte e introversa

Alle prime corse, come capita spesso, la accompagna nonno François. Il Belgio sarà anche piccolo, ma al vecchio Kopecky capita di fare anche 4.000 chilometri al mese per stare appresso al calendario della nipote. In macchina Lotte studia o si guarda intorno. Non è la campionessa di adesso, anche perché nei primi tempi rifugge dalle troppe attenzioni.

«Una volta – ricorda il nonno – ha partecipato a una gara a Herentals. Un criterium di dieci giri e a ogni giro c’era un traguardo a premi. Disse ridendo che avrebbe vinto tutte quelle volate, ma avrebbe lasciato la vittoria a qualcun altro. Ed effettivamente le cose andarono proprio così. Non voleva essere sotto i riflettori, era un po’ introversa, ma direi che adesso le cose sono cambiate».

Abbraccio con Demi Vollering: la superiorità della SD Worx ha spesso annichilito il 2023 delle donne
Abbraccio con Demi Vollering: la superiorità della SD Worx ha spesso annichilito il 2023 delle donne

Si allena coi maschi

Lo sport diventa il filo conduttore e si iscrive alla Topsportschool di Gand, un liceo in cui si praticano ginnastica artistica, ginnastica acrobatica, ciclismo, Bmx e calcio. E a Gand, Lotte sboccia. Resta comunque riservata con coloro che non conosce, come oggi, ma con gli amici è trascinatrice. Solo nei confronti dello sport è super seria: durante gli allenamenti non fa un fiato, solo dopo semmai molla qualche battuta.

Quando si fanno degli stage con tutti i migliori, raccontano che voglia allenarsi con i ragazzi, a differenza della maggior parte delle altre ragazze. Inizialmente di questo ridono, ma presto scoprono che la ragazza non è poi molto inferiore. Una volta vanno in ritiro ad Alkmaar, nel nord dell’Olanda, e nevica per tutto il giorno. Mentre tutti i ragazzi si lamentano per le mani gelate, Lotte non dice una parola.

Dopo il periodo con Toyota, ora Kopecky è sponsorizzata da Skoda. In Belgio è una star (foto Instagram)
Dopo il periodo con Toyota, ora Kopecky è sponsorizzata da Skoda. In Belgio è una star (foto Instagram)

Non ha più paura

Quello che si evince parlando con chi l’ha conosciuta meglio è che l’ambizione di oggi è la stessa di ieri e anche la sua indipendenza non è mai cambiata. Lo sa sua madre, lo sanno i nonni. Sua madre ha raccontato che nel momento in cui è andata a vivere da sola, non le ha mai chiesto come si facciano le cose di casa. A Glasgow, Lotte Kopecky ha raccolto il frutto dei tanti sacrifici fatti quando nessuno la conosceva, ma le tante attenzioni la fanno ancora arrossire. Certo sbalordisce la crescita esponenziale degli ultimi anni e ancora di più sbalordisce il suo podio al Tour, ma l’elenco dei suoi successi segue un filo logico impeccabile. La sola differenza rispetto ad allora è che oggi non ha più paura di passare per prima sui traguardi che si trova davanti.

In Belgio è una star e la conferma viene anche dagli ascolti televisivi. Gli spettatori che hanno seguito su VRT1 le immagini finali della sua vittoria mondiale sono stati 869.833. Il numero medio durante l’intera diretta è stato di 524.939. Lo scorso anno, ovviamente con il condizionamento del fuso orario, la media per la gara femminile fu di 163.254 spettatori. Nel 2021, quando il mondiale si svolse a Leuven, quindi in Belgio, gli spettatori medi della gara femminile furono 372.208.

Da Glasgow a Rotterdam, la rincorsa di ct Addesi a Parigi 2024

16.08.2023
6 min
Salva

Oggi a Rotterdam, nel contesto degli European Para Championships (voluti dalla EPC, che sta a tutti gli sport paralimpici europei come UEC sta al ciclismo) sono iniziate anche le prove di ciclismo. Direttamente da Glasgow, dove li abbiamo incontrati, sono volati in Olanda anche alcuni atleti azzurri guidati da Pierpaolo Addesi, abruzzese classe 1976, che fino a Tokyo 2021 ha gareggiato in bici in mezzo a questi stessi ragazzi.

Come abbiamo già detto a proposito del settore pista, la concomitanza scozzese ha dato visibilità anche allo sport paralimpico. Tuttavia, mentre gli atleti di Perusini hanno gareggiato nello stesso velodromo di Ganna e compagni, gli stradisti di Addesi sono stati spediti a Dumfries, 130 chilometri a nord.

Addesi e Tarlao: per l’azzurro di Gorizia, bronzo nella prova in linea C5 (foto FCI)
Addesi e Tarlao: per l’azzurro di Gorizia, bronzo nella prova in linea C5 (foto FCI)

La staffetta di Glasgow

L’incontro col tecnico azzurro, che da quest’anno ha preso in mano tutto il settore, avviene dopo la caduta di Luca Mazzone nella staffetta a squadre, che ha visto l’Italia prima in seconda posizione e poi sparire dalle classifiche a causa dell’incidente.

«Stavano andando forte – dice Addesi – era un argento assicurato, bisognava solo gestire il vantaggio sulla terza, mentre la Francia al comando non si prendeva più. Probabilmente una distrazione, forse la curva troppo veloce. Quell’ultimo giro si poteva fare in modo più tranquillo, dato che il tempo si costruisce nel secondo, ma anche questa grande organizzazione poteva pensare di mettere qualche materasso nelle curve più pericolose? A Dumfries se non altro sugli spartitraffico al centro hanno messo i materassi. Questi ragazzi hanno una visibilità completamente diversa dalle bici. Sono in basso, quindi vedono gli ostacoli all’ultimo e a volte non li vedono neanche. Quindi forse un po’ più di attenzione in questo ci voleva».

Guardandolo nel complesso, che mondiale è stato?

Ottimo, perché a parte quest’ultima disavventura, qualche incidente di troppo con le donne H3 e H4 e qualche quarto posto che ci sta stretto, direi che è andato bene. La squadra si è comportata in modo egregio, sono stati compatti. Il risultato dell’H3 (vittoria di Mirko Testa, foto FCI in apertura, ndr), dimostra proprio che c’è un affiatamento non indifferente. Abbiamo tre personaggi molto forti nella stessa categoria, cercare di gestirli non è semplice. Invece hanno seguito le indicazioni che gli ho dato e questa cosa mi fa molto piacere perché vuol dire che si vogliono bene.

Quali indicazioni avevano?

Ho voluto risparmiare Mirko Testa, perché era un arrivo dove poteva fare differenza, e gli altri si sono messi a disposizione. Maestroni ha gestito la prima parte di gara, poi ha mollato e nell’ultimo giro si è riposato, pensando al team relay. Invece Cortini l’ha sostenuto sino in fondo ed è finita come pensavamo.

Nella gestione personale di Pierpaolo Addesi, com’è andata? Che esperienza è stata?

Questo è il primo anno con il titolo di tecnico, ma in fondo anche lo scorso anno ho gestito molto questa nazionale. Non la chiamerei seconda esperienza, perché ci sono dentro da vent’anni. Prima da atleta, per cui questo mondo lo conosco bene. E poi ho un ottimo rapporto con gli atleti, perché con tanti di loro eravamo compagni di squadra. Sicuramente ho il vantaggio, essendo stato dentro ed essendo anch’io un ex atleta paralimpico, di poter fornire qualche accorgimento in più sulla logistica e sulla gestione personale degli atleti.

Addesi e Mazzone: momento ad alta intensità emotiva dopo l’incidente: bici distrutta, l’atleta sta bene
Addesi e Mazzone: momento ad alta intensità emotiva dopo l’incidente: bici distrutta, l’atleta sta bene
Anche al di fuori delle gare?

Qui non c’è solamente da stare attenti ai percorsi, ma c’è tutto un discorso completamente diverso, a partire dall’accessibilità dei servizi degli alberghi. Quindi questa è una parte molto importante per farli stare bene.

Credi che il mondiale tutti insieme vi abbia dato più visibilità?

Sicuramente è stato una vetrina importante, perché il mondo ci guardava. Una notorietà che prima si aveva ogni quattro anni con le Paralimpiadi e che ora raddoppia. Soprattutto c’è stato molto più spazio televisivo, soprattutto per la pista. Credo che, essendo all’interno di un velodromo, seguirli sia stato più semplice. Magari, se anziché metterci così lontano dal centro di Glasgow, fossimo stati più vicini, sarebbe stato diverso. Oggi era un’occasione per pubblicizzare questo settore, ma è andata così.

Da Glasgow agli europei di Rotterdam con quale obiettivo?

Saremo forti anche lì, perché i ragazzi stanno molto bene. Abbiamo programmato la stagione in questo modo, iniziandola volutamente sotto tono. Non ho chiesto loro il 100 per cento, perché lo volevo per i mondiali e per gli europei. Diciamo che mi hanno ascoltato, perché nelle Coppe del mondo non abbiamo brillato, ma va bene.

I tandem di Andreoli-Chiesa sfiorano il podio, sesti Agostini-Gasparini (foto FCI)
I tandem di Andreoli-Chiesa sfiorano il podio, sesti Agostini-Gasparini (foto FCI)
Avete atleti di età diverse, facili da gestire?

Abbiamo una nazionale con molti giovani, adesso possiamo dirlo. Ragazzi giovani, che devono ancora crescere. Accanto ce ne sono altri molto adulti, per cui se con i giovani non possiamo pretendere troppo perché hanno appena iniziato, con gli adulti non possiamo pretendere che siano al top per tutto l’anno. L’età non è dalla loro parte, quindi i picchi di forma non possono essere tanti. Ne servivano due, uno a Glasgow e uno a Rotterdam. E grazie a questa pianificazione, abbiamo ottenuto secondo me dei risultati importanti nell’anno pre-olimpico, in cui il livello è altissimo. Portare a casa 15 medaglie su strada e le 4 su pista credo che sia stato un eccellente risultato.

Da qui alle Olimpiadi, quale pensi che sarà il cammino?

Da settembre in poi, vorrei prima inquadrare il discorso delle classificazioni. Per 3-4 mesi vorrei concentrarmi su questo, perché credo che fino ad oggi forse non abbiamo prestato la giusta attenzione. Magari abbiamo atleti borderline che potrebbero stare in altre categorie, mentre ho visto che in altre nazionali, soprattutto in occasione di questo mondiale, ci sono stati molti passaggi di categoria verso il basso, quindi in classi più favorevoli. Questo naturalmente mi fa pensare che anche noi dobbiamo muoverci in questo senso. Però adesso serve anche staccare…

Gli europei paralimpici si stanno svolgendo a Rotterdam dal 6 agosto e si concluderanno il 20
Gli europei paralimpici si stanno svolgendo a Rotterdam dal 6 agosto e si concluderanno il 20
Dopo Livigno, i mondiali e ora gli europei: un’estate impegnativa?

Molto, ma dopo gli europei sarà già il tempo per programmare la prossima stagione a livello di ritiri. Il prossimo anno ci saranno tre Coppe del mondo e il mondiale su pista che daranno punti per le Paralimpiadi, cosa che non è mai successa. I punti si chiudevano al 31 dicembre dell’anno precedente, invece quest’anno hanno inserito queste altre prove. Saranno quattro appuntamenti importanti e dobbiamo darci da fare perché se arrivassimo troppo indietro, perderemmo posti e questo non lo voglio di certo. 

Il metodo Perusini, tecnico azzurro della pista paralimpica

14.08.2023
5 min
Salva

GLASGOW – Alla guida del settore pista del paraciclismo c’è Silvano Perusini, friulano, una lunga esperienza tecnica nelle categorie giovanili e ora indicato dai suoi atleti come fautore del salto di qualità. Lo abbiamo incontrato per la seconda volta nella Sir Chris Hoy Arena, dopo l’argento della velocità a squadre.

La prima volta, celebrata con un abbraccio, risale al giugno del 2021, quando assieme ad altri amici Silvano accompagnò Riccardo Piccini nel suo lungo viaggio in bicicletta dal Friuli a Roma, per portare in Vaticano la figlia Silvia, uccisa da un’automobilista. E forse anche questo apre uno spaccato sulla sua personalità e conferma in modo indiretto la disponibilità di cui parlano i suoi atleti.

Le tre medaglie di Claudia Cretti e quella del tandem compongono una bella base su cui lavorare in vista dei prossimi mondiali di Rio e le Paralimpiadi di Parigi.

Andrea Tarlao ha sfiorato il bronzo nell’omnium, preceduto dal brasiliano Lauro Chaman
Andrea Tarlao ha sfiorato il bronzo nell’omnium, preceduto dal brasiliano Lauro Chaman
Allora Silvano, sei soddisfatto di come è andata?

Non mi ero fissato dei particolari obiettivi di prestazione, per quanto riguarda l’aspetto atletico. Ma ci interessava fare esperienza, anche perché ho un gruppo prevalentemente nuovo. Su 11 atleti che partecipano al mondiale, 8 sono alla prima esperienza. Abbiamo dei ragazzini veramente giovani e dei talenti, che però non hanno mai corso. E non parlo del mondiale, ma proprio di prime gare in assoluto. Quindi siamo veramente alle prime esperienze. Per quanto riguarda le prestazioni, sono molto contento perché siamo andati al di là anche di quello che potevo preventivare. Ho visto un’altissima motivazione, nonostante ovviamente le tensioni qui siano state alte.

C’era da valutare anche l’aspetto psicologico?

L’ansia da prestazione può essere molto elevata, soprattutto in un mondiale per ragazzi abbastanza giovani. Ma io sono soddisfatto perché il gruppo si è reso protagonista in tutte le gare alle quali ha partecipato. Li ho visti veramente determinati e convinti e questo mi fa ben sperare. Il gap con le altre nazionali è ancora elevato, ma nonostante questo siamo riusciti a prendere delle medaglie e anche altri due quarti posti e altri piazzamenti nelle prime dieci posizioni.

Quindi bilancio positivo?

Sono molto soddisfatto, perché ci sono veramente delle superpotenze alle quali è difficile avvicinarsi in un periodo breve. Dobbiamo lavorare sulla programmazione, sui materiali, ma anche sulla base per la promozione di un movimento che su pista fatica a crescere. Il problema principale secondo me attualmente è proprio che in Italia non c’è attività paralimpica su pista. Abbiamo gare su strada, c’è qualche gara di bike, però niente per la pista.

Questi risultati quindi sono un piccolo miracolo?

Siamo venuti con una buona preparazione, però ci siamo arrivati senza correre, facendo solo allenamenti. Nell’affrontare determinate specialità, in cui si deve correre in gruppo affiancati agli avversari, abbiamo avuto qualche problema tecnico nell’interpretazione della gara. In termini della tattica da assumere in determinati frangenti…

Come si risolve, chiedendo a qualcuno di organizzare gare in Italia o girando l’Europa?

Abbiamo due obiettivi. Uno è curare il gruppo che ho a disposizione e farlo crescere, quindi fare esperienza a livello internazionale. L’altro è fare promozione sul territorio, responsabilizzando un po’ tutti quelli che ci circondano come nazionale, a partire dalla Commissione paralimpica nei Comitati Regionali, passando per la promozione di base fatta dal CIP. Abbiamo bisogno di un’opera collegiale, grazie alla quale come nazionale possiamo individuare anche dei talenti nuovi o comunque delle persone interessate a fare attività ad alto livello.

Come nasce il tuo coinvolgimento?

In realtà è nato parecchi anni fa. Io sono un laureato in Scienze Motorie e lavoro da diversi anni in un centro di riabilitazione per tetra e paraplegici. Faccio l’avviamento allo sport per i disabili, quindi sono quotidianamente a contatto con dei fisiatri e con medici. Avevo già iniziato a collaborare con delle società che si occupavano di paralimpico, per cui è una cosa che seguo professionalmente da anni. E poi l’anno scorso c’è stato il coinvolgimento da parte della Federazione che mi ha dato l’incarico della pista.

Ecco il doppio equilaggio dei tandem che hanno preso l’argento: Colombo-Bissolati, Meroni-Ceci
Te ne eri già occupato, giusto? Eri fra l’altro il direttore della pista di Pordenone.

Venivo dalla pista e avevo già avuto esperienze in nazionale. Parecchi anni fa ho guidato quella degli juniores, quindi per me questo incarico è veramente una soddisfazione. Riesco a lavorare a questi livelli in un ambito nel quale credo molto, perché per me la miglior cura per la disabilità è proprio l’attività motoria. Attraverso lo sport possono raggiungere l’autonomia.

I corridori con cui lavori parlano molto bene di te.

Mi fa piacere, abbiamo un buon rapporto. Gli dico sempre: «Io non pretendo che facciate le cose che non potete fare, però vi voglio sempre protagonisti, non solo durante la gara, ma anche nei momenti collegiali e nei momenti a casa». Devono veramente essere protagonisti della loro vita. E il risultato si è visto in gara, dove mi sono piaciuti tantissimo per la determinazione che hanno mostrato. 

Mondiale appena finito, il punto con Amadio

14.08.2023
5 min
Salva

GLASGOW – Il mondiale scozzese è finito, si vedono valigie e facce stanche. Intorno al quartier generale della FCI si sono formati capannelli. C’è Tommaso Lupi, cittì del BMX fresco del bronzo juniores di Tommaso Frizzarin. C’è Davide Plebani che ha corso il tandem con Bernard e ora ha raggiunto Elisa Balsamo. E c’è anche Roberto Amadio, team manager di tutte queste nazionali che hanno in comune la maglia azzurra e poco altro. Ciascuna ha le sue specifiche, il suo personale, le sue esigenze e metterle tutte insieme nello stesso evento deve essere stato un bel… giochino, di cui gli chiediamo conto.

Amadio è team manger delle nazionali. Qui è con Mario Scirea, suo diesse alla Liquigas
Amadio è team manger delle nazionali. Qui è con Mario Scirea, suo diesse alla Liquigas
Che cosa diresti volendo fare un bilancio a caldo?

La formula va sicuramente migliorata, ma potrebbe anche funzionare. Per quanto riguarda l’Italia, analizzando un po’ tutti i settori, sono abbastanza soddisfatto.

Cominciamo dalla pista?

Considerando il poco tempo che hanno potuto lavorare assieme con Villa, è andata anche bene. Con le ragazze non abbiamo raccolto medaglie, però siamo lì. C’è da aggiustare il tiro per quanto riguarda la preparazione e che le stesse ragazze siano consapevoli dei loro mezzi e determinate per fare questo tipo di lavoro. Fra gli uomini, abbiamo la garanzia di Ganna e Milan per l’inseguimento individuale e siamo sempre fra i primi con il quartetto. Anche Viviani con il bronzo ha fatto quello che doveva, ma lui non si accontenta mai. La cosa positiva è che ho visto un Elia ad altissimi livelli e questo in prospettiva è molto importante.

Ha detto che il prossimo anno vorrà correre di più in pista.

E questo vale per lui, ma un po’ per tutti i ragazzi e le ragazze. L’americana non puoi inventartela mezz’ora prima di salire in pista, sia come tattica sia come sincronismo nei cambi. Dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare sodo in prospettiva olimpica, perché abbiamo gli atleti per risultati importanti.

Viviani ha centrato il bronzo nell’eliminazione, mentre ci sono stati problemi di intesa nella madison
Viviani ha centrato il bronzo nell’eliminazione, mentre ci sono stati problemi di intesa nella madison
L’impressione è che l’avvicinamento delle ragazze a questo mondiale sia stato troppo pesante.

Il problema che ho evidenziato fin dall’inizio a Villa e Sangalli è che il calendario WorldTour è sovradimensionato rispetto alla qualità delle ragazze che ci sono. Di conseguenza sono quasi obbligate a farle tutte e arrivano in sovraccarico o con una preparazione inadeguata ad alcuni appuntamenti. In previsione delle Olimpiadi bisognerà vedersi con i manager delle squadre World Tour e capire con loro qual è l’avvicinamento migliore. Non vogliamo mettere in difficoltà le squadre, ma le squadre non mettano in difficoltà le ragazze, perché l’obiettivo Olimpiadi è importante e porta un valore anche a loro. Con Guercilena ho già parlato qualche mese fa e non ci saranno problemi.

Nonostante tutto e nonostante ragazze chiamate al doppio impegno strada e pista, ci sono i margini per recuperare?

Le ragazze sono quelle, sia per la strada che per la pista e dobbiamo averne la consapevolezza per gestirle nel modo migliore. Anche per loro però è importante capire quali sono gli obiettivi principali per la prossima stagione. Credo che siamo nella condizione di raddrizzare benissimo la situazione. Abbiamo 4-5 quarti posti sul filo dei centesimi di secondo, che potevano benissimo essere delle medaglie, quindi da questo punto di vista mi sento sereno. Credo che dopo questo mondiale siamo ancora più consapevoli di quello che bisogna fare.

Per quanto riguarda la strada uomini?

Abbiamo raccolto meno di quello che si poteva. Parlo degli juniores con Sierra che è arrivato quarto, ma senza un po’ di sfortuna poteva benissimo essere in lotta per la seconda o la terza posizione. Milesi è stato bravissimo nella crono, ma se negli ultimi 4 chilometri della gara su strada fosse stato più lucido, avrebbe portato via un’altra medaglia. Fra le donne elite non c’è stata storia, ma se avessimo avuto Longo Borghini, vedendo come sono andate le cose per tutta la stagione, lei sarebbe stata davanti a giocarsi la medaglia.

Montrose Street è stata l’emblema del circuito di Glasgow, ma il mondiale si è svolto su più sedi
Montrose Street è stata l’emblema del circuito di Glasgow, ma il mondiale si è svolto su più sedi
Medaglia che invece è venuta dalla mountain bike.

L’argento di Paccagnella fra gli juniores è un buon segnale, il settimo posto di Braidot conferma che siamo parecchio avanti. Chiaro che si guarda sempre alle medaglie, però guardando la qualità degli avversari, si può essere soddisfatti. Idem nella BMX, dove siamo andati in finale con tre ragazzi e non è poco. Negli elite siamo a livello di semifinali e anche lì c’è da lavorare nel senso della specializzazione. Col gruppo performance quest’anno abbiamo fatto dei passi in avanti che si vedono.

La velocità?

Era un settore scomparso da anni, al pari del paralimpico su pista: estinti proprio dalla Federazione. Col paralimpico in pochi mesi abbiamo dimostrato che ci siamo e abbiamo raccolto anche qualche medaglia. Stesso discorso con lo sprint: siamo lì, noni o decimi, a poco dalla qualificazione. E’ stato fatto un lavoro eccezionale, perché in un anno e mezzo non ci si inventa niente. Però la cosa positiva è che su ogni competizione abbiamo margine e le professionalità per lavorare bene.

Ti occupi anche del freestyle?

Quello è un mondo a sé, un po’ più difficile. Purtroppo credo che la qualificazione per le Olimpiadi sia molto lontana e quindi dovremo valutare di orientarci verso i giovanissimi per costruire qualcosa in prospettiva.

Il settore prestazione, guidato da Diego Bragato sta ottenendo ottimi riscontri
Il settore prestazione, guidato da Diego Bragato sta ottenendo ottimi riscontri
Sei soddisfatto della struttura che hai messo insieme?

Devo ringraziare innanzitutto le segreterie. Quella della strada, con Giorgio Elli, Elisabetta Tufi e Italo Mambro, e quella della pista con Francesca Butrico. Insomma, è stato un mondiale impegnativo perché abbiamo spostato quasi 300 persone, con la complicazione di non essere nella Comunità Europea. Però devo dire che è andato tutto molto bene.

Sul fronte tecnico?

Magari ci prendiamo quei 15-20 giorni per riflettere un po’ su quello che è successo. Qualcosa da rivedere c’è, non mi nascondo, anzi sicuramente qualcosa dobbiamo rivedere, però come ho detto prima: non siamo messi male. A Parigi, che sarà l’appuntamento principale dell’anno prossimo, arriveremo sicuramente bene.

Hai fatto spesso riferimento al gruppo performance.

Il gruppo di Bragato sta facendo un ottimo lavoro, sono molto contento di quello che stanno realizzando. Abbiamo fatto anche molta ricerca a livello di materiali e innovazioni. C’è da lavorare tantissimo ancora su questo, perché abbiamo degli atleti esigenti come Filippo che giustamente non lascia nulla al caso. Si è visto che si vince e si perde per delle sfumature che alla fine fanno la differenza. Ecco, per tutto questo, direi che alla fine è stato un buon mondiale.

Kopecky, un vero gigante: Glasgow sbancata con tre ori

13.08.2023
5 min
Salva

GLASGOW – Forse è la vita che l’ha fatta arrabbiare e adesso ogni volta che sale sulla bicicletta, Lotte Kopecky ha una dedica da fare. L’ultimo inverno è stato duro. La morte di suo fratello Seppe, che era il suo idolo e l’aveva convinta a correre in bici, l’ha scossa fino alle fondamenta. Erano sempre insieme, anche nel fare le cose sbagliate. Poi la separazione da Kieran De Fauw, compagno e allenatore, che lo scorso anno l’ha guidata alla vittoria della Strade Bianche e del Fiandre e al secondo posto ai mondiali di Wollongong, l’ha costretta a riorganizzarsi la vita. Colpi che avrebbero potuto abbatterla, dai quali invece la fresca campionessa del mondo è uscita più dura e determinata.

Sul podio ai fianchi di Kopecky, la compagna Vollering e Cecile Ludwig
Sul podio ai fianchi di Kopecky, la compagna Vollering e Cecile Ludwig

Un anno molto duro

Così oggi, sul circuito di Glasgow che tanti avevano descritto come cucito sulle sue caratteristiche, Kopecky si è messa la vita sulle spalle e ha giocato le sue carte incurante delle altre. Soprattutto quando si è resa conto che le altre avevano riconosciuto la sua forza e mai e poi mai la avrebbero aiutata a raggiungere il suo obiettivo: il terzo titolo mondiale nella stessa settimana, dopo quelli dell’eliminazione e della corsa a punti in pista (cui va sommato il bronzo dell’omnium).

«Non so a cosa stessi pensando quando ho tagliato il traguardo – racconta – finora è stato un anno fantastico, ma anche molto duro. Non so cosa continui a spingermi, ma questa vittoria significa molto per me. Davanti alla morte di mio fratello avrei potuto decidere di restare sul divano di casa o di ripartire in bici: ho scelto la seconda. E questo è un sogno che si avvera. Sono migliorata tanto. Conosco il mio corpo e come reagisce. Penso di aver trovato buon equilibrio tra l’allenamento e la parte divertente del ciclismo. L’aspetto mentale è importante, mentre prima pensavo sempre e solo ad allenarmi. Invece ho imparato a stare bene come persona, quando non sono una ciclista».

E’ stato un anno pieno di successi, ma anche molto duro: commozione più che giustificata
E’ stato un anno pieno di successi, ma anche molto duro: commozione più che giustificata

Una gara nervosa

Potente come quando le gambe andrebbero anche da sole, Kopecky ha corso per tutto il giorno al vento, al punto da far pensare che la volesse buttare a tutti i costi, spalancando la porta a Vollering e Van Vleuten, ma anche a Marlene Reusser e la solita Cecile Ludwig. Invece quel che non era chiaro era la quantità pazzesca di forze ancora a sua disposizione.

«E’ stata una gara molto nervosa – dice – la collaborazione davanti non è stata la classica cosa che racconteresti quando torni a casa. Le incitavo perché mi aiutassero, ma non sapevo quale fosse la loro condizione, per cui ho cominciato a guardare solo me stessa. Non ero nervosa per le mie condizioni, ma Elise Chabbey era un minuto e mezzo davanti a noi e avevamo visto che su questo percorso non è facile riportare qualcuno indietro. Ero venuta a vederlo e avevo capito quanto fosse importante e necessario correre davanti, anche se significava spendere di più». 

Il diritto di vincere

La corsa infatti è cambiata dopo che Chabbey è stata ripresa e Kopecky ha potuto guardare finalmente in faccia le avversarie e attaccare per andare al traguardo. Lo ha fatto a 7 chilometri dalla fine e poi non si è mai voltata indietro.

«Devo ringraziare Sanne Cant per i suoi sforzi nei primi giri – spiega – e anche Justine Ghekiere ha fatto bene quando le ho chiesto di tenere il ritmo. Julie Van de Velde mi ha aiutato a rientrare nel gruppo dopo che ho dovuto cambiare bici. Ma ho davvero sentito che avrei vinto in cima a Montrose Street. La corsa è stata allo sfinimento. Non ero sicura, ma una volta che sono arrivata in cima a 1,5 chilometri dall’arrivo, ho capito che ce l’avrei fatta. Non è stato facile lottare contro le mie compagne di club, anche perché siamo ottime amiche. Ma oggi ognuna di noi sapeva di avere il diritto di vincere. Poi fuori corsa ci saremmo fatte reciprocamente i complimenti, come poi è successo».

Tre mondiali in 7 giorni

Dicono che in Belgio sia diventata popolare anche giù dalla bici, che non possa andarsene in giro senza essere fermata, al pari di quanto accade ai colleghi maschi. Lei arrossisce e ride, quasi non spiegandosi il perché ciò accada. Però poi tira fuori la grinta e molla un altro scatto.

«Il Belgio è un grande paese del ciclismo – dice – ma la parte femminile è in ritardo. Sono orgogliosa di aver dimostrato di poter vincere anche le corse più importanti. Spero che queste vittorie servano per convincere le ragazze e gli sponsor che c’è spazio anche per noi. Dopo i due mondiali in pista, ho pensato che sarebbe stato quasi impossibile aggiungerne un altro oggi. Tre volte campione del mondo in sette giorni. Troppo pazzo per spiegarlo con delle semplici parole…».

Batosta Italia, ma per queste ragazze togliamoci il cappello

13.08.2023
6 min
Salva

GLASGOW – La corsa delle donne si è conclusa da poco. Tutto nel centro città parla di smobilitazione: un clima percepibile già dal mattino, rispetto al solito in cui l’ultima domenica viene dedicata alla corsa dei pro’. E in qualche misura anche la gara delle nostre ragazze ha avuto il sapore di una resa, dettata dalla stanchezza più che dalla mancata volontà. Così adesso le azzurre vogliono andarsene da questo circuito che le ha viste soffrire e perdere la bussola.

Cecchini ha provato da sola a entrare sulla testa della corsa, con la sensazione che la squadra non funzionasse
Cecchini ha provato da sola a entrare sulla testa della corsa, con la sensazione che la squadra non funzionasse

Cecchini in lacrime

Eppure con grande dignità, pur pensando di non avere nulla da raccontare, sono passate per la zona mista rispondendo alle domande. Elena Cecchini ci ha messo cuore, responsabilità e gambe e forse per questo alla fine è quella che (senza motivo) si sente di più addosso la sconfitta.

«Boh, non lo so cosa pensare di oggi – dice con la voce che si increspa – è come se non siamo mai state in gara. Mi sento un po’ la responsabilità di questa cosa, perché le mie compagne mi dicevano di prendere le decisioni, ma in quei momenti non è mai facile. Avevamo una squadra meno forte degli altri anni, senza la Longo che è un elemento sempre importante. Forse non avevamo dei ruoli ben specificati. Non piango solo perché non sono soddisfatta per oggi, ma anche perché è stata durissima. Penso che ci siano sempre tante aspettative su questo gruppo, perché negli anni abbiamo sempre fatto bene e ci rifaremo».

Dalle parole di Sangalli si capisce che solo Persico dava certe garanzie e in parte anche Paladin
Dalle parole di Sangalli si capisce che solo Persico dava certe garanzie e in parte anche Paladin

L’analisi di Sangalli

Il cittì Sangalli cerca di fare un’analisi rapida. Il mondiale di agosto ha sconvolto le preparazioni capitando nella stagione dei Giri, ma una cosa è certa: chi vorrà correre le Olimpiadi dovrà sottostare a qualche indicazione in più. Anche se sono le squadre a pagare gli atleti e oltre un certo limite non si può andare.

«Nella prima fuga dovevamo esserci e non c’eravamo – dice Sangalli – quindi ci siamo un po’ complicati la vita. Poi fortunatamente abbiamo rimediato, siamo entrati nel circuito e finché Silvia (Persico, ndr) è stata bene, siano stati presenti su ogni su ogni attacco. La situazione è stata questa, può succedere.

«Non avendo comunicazione con le ragazze, riuscire a impostare una tattica non era facile, ma non è un alibi. Abbiamo provato finché Silvia ha avuto forze. Credevo tanto in lei, però a sua difesa va detto che ha fatto una stagione molto intensa. Sta venendo fuori quello che sostenevo all’inizio dell’anno, che per arrivare a certi appuntamenti bisogna allenarsi e non solo correre. Ma il calendario è così intenso e le ragazze sono sempre le stesse…».

Persico la migliore dell azzurre: 12ª a 4’34”
Persico la migliore dell azzurre: 12ª a 4’34”

Gli straordinari di Persico

Silvia Persico ha sempre la battuta pronta, anche se è sfinita. Il percorso strizzava gli occhi agli atleti del cross? Ebbene, lei dal cross viene, ma oggi forse non ci ha pensato troppo. Ha corso il Giro e poi anche il Tour, perché la squadra l’ha convocata e ora la sensazione è che sia stato troppo. Ma lei cerca una via d’uscita nell’ironia. Il suo piazzamento se l’è guadagnato in volata (foto di apertura) ed è pronta a scherzarci sopra.

«Ho dato tutto quello che avevo – dice – ma oggi è stata una gara davvero dura fin dall’inizio. Una volta arrivati su questo circuito, ho capito di aver sprecato un po’ troppo a inizio gara seguendo Kopecky dovunque andasse, ma era quello che dovevo fare. Diciamo che non sono soddisfatta di questa prestazione, ma comunque ho dato tutto. Sono felice di quello che ho fatto e non devo avere impianti. Sapevo che potevo andare bene, però ho cercato di non farmi mettere troppa pressione. Alla fine volevo tirare per Chiara (Consonni, ndr) che era nel mio gruppo e avrebbe fatto dello sprint. Ma su uno strappo, si è staccata quando mi stavo staccando anch’io, quindi ho dovuto tener duro e fare lo sprint». 

Due mesi fa. Elisa Balsamo era ancora fuori combattimento: recupero sicuramente generoso
Due mesi fa. Elisa Balsamo era ancora fuori combattimento: recupero sicuramente generoso

Balsamo così e così

Elisa Balsamo al mondiale c’è arrivata di volata e forse a ben vedere, avrebbe potuto prendersela comoda e pensare prima a recuperare. Invece ha issato la bandiera della generosità e si è rimboccata le maniche. Ha corso il Tour fermandosi dopo sei tappe e poi è venuta qui.

«Per me sinceramente – dice – è già un ottimo risultato essere arrivata al traguardo. Non ho neppure avuto il problema di alimentarmi, perché su questo circuito si prendevano zuccheri liquidi, gel e quindi almeno quello non è stato un problema. E’ difficile essere soddisfatti, perché quando uno viene al mondiale vorrebbe sempre essere al 110 per cento della forma. E’ frustrante essere qui e sapere di non essere al massimo, però sinceramente se vado a vedere dov’ero due mesi fa, se riguardo l’immagine della mia faccia, sinceramente direi che va bene così».

Rimasta fuori dalla prima fuga, Paladin è entrata nella seconda, poi chiusa dalla Germania
Rimasta fuori dalla prima fuga, Paladin è entrata nella seconda, poi chiusa dalla Germania

L’anticipo di Paladin

Soraya Paladin ha mancato la prima fuga e si è sfinita in salita contro vento cercando di rientrare. Poi ha preso la seconda, ma era un tentativo a orologeria: destinato a finire presto.

«Sono finita, in tutti i sensi – dice – purtroppo è subito andata via la fuga e non c’era nessuna di noi. Allora in salita ho provato a chiudere, però c’era tanto vento contro e sono rimasta un po’ a bagnomaria. Ho sprecato tanto e poi siamo entrate nel circuito ed è andata via un’altra fuga ed ero dentro, però la Germania ha chiuso. E a quel punto le energie erano quelle. Era un giro impegnativo, quindi più risparmiavi, più ne avevi nel finale. Sapevo che con gente così era meglio provare ad anticipare. Poteva andare bene o anche male: diciamo che non è andata bene».

Cosonni è rimasta a galla almeno fino a che le ragazze più forti hanno aperto il gas: una bella prova di consistenza
Cosonni è rimasta a galla almeno fino a che le ragazze più forti hanno aperto il gas: una bella prova di consistenza

Sopresa Consonni

Chiara Consonni è stata forse la sorpresa. Mai avremmo immaginato che potesse tenere fino a quel punto, per le caratteristiche del percorso e per la pista che poteva avere ancora nelle gambe. Invece fino al momento in cui i grossi motori hanno alzato i giri, la bergamasca è stata lì.

«Non ho più energie – sorride – poteva andare meglio per Silvia (Persico, ndr), però davanti andavano davvero come delle moto. Per quanto riguarda la mia prova, sono abbastanza contenta. Peccato che potevamo fare di più, sono mancate le gambe quando hanno aperto il gas. C’è mancata un’ora di gara, l’ultima. Penso che chi ha vinto se lo meriti, perché hanno tutte una marcia in più. E’ stato un mondiale dove non ci si poteva nascondere, è stato durissimo».

La considerazione da fare, che non è un alibi, è che senza Elisa Longo Borghini e una Marta Cavalli al top della condizione, l’Italia delle ragazze non ha grosse carte da giocare su percorsi da classiche. Niente da recriminare, per questa volta anche le attese non erano stellari. Contro una iella come quella che ha colpito queste ragazze, forse neanche Lotte Kopecky avrebbe potuto fare qualcosa.