Conca sfida la sfortuna e guarda alla seconda metà di stagione

09.06.2022
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Filippo Conca risponde da un hotel vicino a Thizy Les Bourgs, sede di partenza della quinta tappa del Critérium du Dauphiné. Ieri si è corsa la cronometro, vinta dal nostro Filippo Ganna per soli due secondi su un sempre competitivo Wout Van Aert.

«Oggi sono stato tranquillo – dice Conca – la cronometro non è il mio campo e quindi sono andato di conserva». Difficile anche pensare di fare meglio vista la sua assenza dalle corse negli ultimi due mesi. Filippo lo avevamo lasciato in preda ai crampi dopo la Sanremo

Conca in azione durante la Sanremo, è rimasto in fuga per 265 chilometri, solo i crampi lo hanno fermato
Conca in azione durante la Sanremo, è rimasto in fuga per 265 chilometri, solo i crampi lo hanno fermato
Filippo, dopo che cosa è successo?

Due giorni dopo la Sanremo (corsa il 19 marzo, ndr), che non dovevo nemmeno fare, ho preso il via della Volta Ciclista a Catalunya. Ho fatto una tirata unica da Sanremo fino in Spagna e sono arrivato stanco, infatti le prime due-tre tappe dovevano essere di recupero.

Invece?

Invece il gruppo è andato tutti i giorni a “blocco”, in più si sono aggiunti i ventagli. Insomma, non le condizioni di corsa ideali per recuperare. Così, insieme alla squadra, abbiamo deciso di ritirarci e di pensare agli impegni successivi che sarebbero stati GP Indurain e Giro dei Paesi Baschi.

Una scelta giusta?

Sì, anche perchè almeno ho avuto quei due giorni in più per recuperare e presentarmi alle due corse successive più riposato. 

La prima gara in Italia per Conca è stato il Trofeo Laigueglia corso con la nazionale
La prima gara in Italia per Conca è stato il Trofeo Laigueglia corso con la nazionale
Anche se abbiamo visto che nella sesta tappa dei Baschi sei arrivato oltre il tempo limite.

In realtà, durante tutti i giorni di corsa ho fatto registrare i miei numeri migliori, ne parlavo anche con la squadra ed eravamo contenti dei progressi fatti. Avevo “assorbito” bene il ritiro fatto sull’Etna a marzo trovando il colpo di pedale giusto. La squadra era talmente felice dei miei progressi che mi aveva messo nella squadra del Giro.  La storia del fuori tempo massimo fa abbastanza sorridere…

Perché?

Se guardate, alla sesta tappa, risultano arrivati solamente 54 corridori. Questo perché la tappa era estremamente dura, ma l’organizzazione ha tenuto una percentuale di tempo massimo bassissima. Io sono arrivato al traguardo con solamente 19 minuti di ritardo e sono andato a casa. Di corridori che non hanno nemmeno finito la tappa ce ne sono stati 26 a cui bisogna aggiungere altri 40 che come me sono arrivati al traguardo ma oltre il tempo limite. 

Al Giro dei Paesi Baschi Filippo aveva una buona condizione ma due giorni dopo la fine della corsa è risultato positivo al Covid
Due giorni dopo la fine del Giro dei Paesi Baschi, Conca è risultato positivo al Covid
Hai detto che eri stato inserito nella squadra del Giro, ma a Budapest non sei mai arrivato, come mai?

Questo perché due giorni dopo il mio ritorno a casa dalla Spagna sono risultato positivo al Covid. Ho avuto febbre alta per 5 giorni e dopo una settimana ero già negativo, così ho aspettato i canonici 10 giorni per tornare ad allenarmi. Le prime uscite le facevo brevi e a ritmi blandi, giusto per riprendere. Solamente che dopo 5-6 giorni dalla negatività, ho iniziato ad accusare sintomi di spossatezza, respiro affannoso ed avevo sempre sonno. Questi effetti post Covid mi sono durati un’altra decina di giorni.

Quindi tra una cosa e l’altra sei rimasto fermo un mese…

Sono tornato a correre a Francoforte il primo maggio, ma per una semplice questione numerica. A causa di regole UCI la squadra non poteva partire con meno di 7 corridori. Sono andato a Francoforte praticamente per partire. Il Delfinato è la prima vera corsa che faccio. 

Ora come ti senti?

Pensavo di stare peggio, il ritmo è alto, non sono al meglio, ma piano piano ingrano. Queste corse mi servono per aiutare la squadra e fare ritmo gara. A metà maggio sono andato in altura a fare un ritiro, prima con Petilli e poi mi ha raggiunto Hellemose, il danese della Trek. L’ultimo anno e mezzo, da quando sono passato pro’, è stato un susseguirsi di problemi.

Nei mesi invernali il corridore lombardo ha sofferto di una tendinite al ginocchio che ne ha rallentato la preparazione
Nei mesi invernali ha sofferto di una tendinite al ginocchio che ne ha rallentato la preparazione
Non sei mai riuscito a lavorare tranquillo…

Mai, tra un problema e l’altro non sono mai riuscito a costruire una buona condizione. Questo inverno ho avuto la tendinite che mi ha rallentato per due mesi, per fortuna è andata via, poi è arrivato il Covid. Ora voglio solo finire bene il Delfinato, fare il campionato italiano ed andare in altura a luglio per costruire la seconda parte di stagione.

Dovevi fare il Giro, che sarebbe stata la tua prima grande corsa a tappe, magari la squadra ti inserirà nel team della Vuelta?

Mi piacerebbe ma non ci spero, la Vuelta è un po’ l’esame di riparazione, lo vogliono fare tutti, difficile entrare negli 8. Il Giro ci tenevo tanto a farlo perchè sarebbe stata la mia prima corsa a tappe di 3 settimane, e a 24 anni sarebbe il caso di provare a correrne una. Sarei andato a correre in supporto di Ewan per le tappe piatte, ma poi in quelle mosse avrei avuto la possibilità di andare in fuga e cercare la vittoria, come De Gent a Napoli.

Una vittoria darebbe il morale giusto.

E’ difficile far capire quanto vali. Per avere risultati, ma soprattutto un pizzico di morale, centrare una fuga sarebbe quello che ci vuole. Anche durante la seconda tappa qui al Delfinato ho provato ad entrare in un gruppetto, siamo restati lì a bagno maria per tanto tempo, poi ci hanno ripresi. Appena siamo stati riassorbiti dal gruppo è partita la fuga giusta, che è anche arrivata a giocarsi la vittoria di tappa. Nei prossimi giorni ci riproverò.

Il bilancio del Giro. Botta e risposta con patron Vegni

07.06.2022
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Ad alcuni l’ultimo Giro d’Italia è piaciuto all’inverosimile. Ad altri meno. Se la corsa rosa è stata vissuta dai corridori come una grande battaglia quotidiana, ci si aspettava di più nelle ultime tappe di montagna dagli uomini di classifica. Di questo, e non solo, parliamo con Mauro Vegni, il patron della corsa rosa.

Vegni dirige il Giro dal 2012 e di esperienza ne ha maturata in questi anni. Ha fronteggiato scioperi, maltempo, bandierine non chiare sotto la neve. E ancora: Giri decisi sul primo arrivo in salita e altri in cui al via dell’ultima tappa ci sono stati corridori separati da pochi centesimi.

Una folla incredibile ha accompagnato la corsa rosa nei tre giorni in Ungheria
Una folla incredibile ha accompagnato la corsa rosa nei tre giorni in Ungheria
Signor Vegni, partiamo da un primo bilancio: cosa le è piaciuto di più e cosa di meno dell’ultima corsa rosa?

Direi che mi è piaciuto il Giro nel suo complesso, andando assolutamente contro a chi dice di no. Mi è piaciuta la gente, tanta, a bordo strada. E questo ci dice che c’era voglia di fare festa e che il Giro è in salute.

E da un punto di vista tecnico?

E’ stata una bella gara fino agli ultimi giorni. In particolare alcune tappe come quelle di Napoli, Torino e Verona ritengo siano state delle gemme all’interno di un percorso molto valido.

In effetti i due circuiti hanno regalato grande emozione e un bello spettacolo. Li rivedremo?

Qualche volta sì. Quando è possibile farli, cercheremo di farli. Ma ricordiamoci che l’Italia è lunga e molto estesa verso il mare. Se si fanno i circuiti poi la risalita verso Nord diventa più complicata e ci toglie delle possibilità. Certo, credo che quello di Napoli con il Monte Procida, la città stessa e il lago Miseno sia stato un successo paesaggistico, una bella promozione turistica. Mentre il circuito di Torino è diventato una tappa di montagna in città.

Lo spettacolo della tappa di Napoli, col suo circuito tecnico e suggestivo
Lo spettacolo della tappa di Napoli, col suo circuito tecnico e suggestivo
E invece ci sono state delle difficoltà “dietro le quinte”, cose che non si vedono da fuori?

La partenza da Budapest: bellissima, un grande scenario, tantissima gente, ma anche un enorme lavoro logistico. Trasferire il tutto dall’Ungheria alla Sicilia e da lì al Continente… non è stato facile. Abbiamo cercato di creare meno inconvenienti possibili a squadre e corridori con un lavoro certosino. Ormai abbiamo delle persone che hanno acquisito un’esperienza tale da fare sembrare normale questo che di fatto è un grande elemento di preoccupazione.

Parlando con i velocisti, forse è mancata qualche tappe veloce in più. Come mai se ne fanno sempre meno? E’ una questione di spettacolo?

Dico una cosa brutta: che la gente faccia pace col cervello. E c’è poca salita. E ce n’è troppa. Poi però quando ne metti di più non ottieni gli effetti voluti. Oppure ci sono troppe tappe per i velocisti. Da parte mia sono a favore di tappe più piatte, ma in un grande Giro ci deve essere un po’ di tutto. Se emerge un leader consacrato troppo presto, mi dicono che il Giro è già finito. Se invece la lotta resta aperta sino all’ultimo, mi dicono che non c’è nessuno più forte.

Una crono più lunga: perché sì? Perché no?

Bisogna vedere quali corridori vengono a fare il Giro. Prendiamo per esempio il Dumoulin dei tempi migliori. Una crono lunga lo avrebbe favorito rispetto agli scalatori. Chiaro che bisogna bilanciare il tutto. Di crono quest’anno ce ne erano due, possiamo arrivare massimo a tre, ma credo che già due possano andare bene. Quest’anno non è stato dato un grandissimo spazio ai cronoman, ma tutto sommato c’era. Alla fine un Giro lo vince il corridore più completo, quello che sa adattarsi meglio a tutte le situazioni e che ha un recupero muscolare e psichico all’altezza.

Verso la Marmolada Bahrain Victorious sempre in testa, ma “addormentando” la corsa. Fare tappe molto dure non è garanzia di spettacolo
Verso la Marmolada Bahrain Victorious sempre in testa, ma “addormentando” la corsa. Fare tappe molto dure non è garanzia di spettacolo
Però una crono più lunga avrebbe favorito gli attacchi nel finale. Ci sarebbe stata una situazione meno statica…

E a chi sarebbe servita?

Ad Almeida per esempio (prima che si ritirasse)…

Ma io non faccio il percorso per Almeida o per un corridore solo, sia se questo è un cronoman o meno. Per me l’ideale è avere un percorso con 6-7 tappe per velocisti, 2-3 crono, 5-6 tappe per passisti e 3-4 tappe per gli scalatori puri.

Negli ultimi anni abbiamo visto la crono nel finale, metterla prima?

Non sarebbe la prima volta e infatti anche quando l’abbiamo messa a metà Giro non è servito a niente. Tutti i “Soloni” che parlano dovrebbero andare a rivedere le statistiche del passato. Mi dicono dell’Etna all’inizio o della doppia scalata allo Zoncolan… E a cosa serve? A Niente. Serve a far andare i corridori per gran parte del tempo a 20 all’ora in attesa dell’ultimo passaggio, perché è quello che conta, e al tempo stesso a farsi dire che sono un branco di pecore, quando poi non è vero. Non fa piacere tutto ciò. E con percorsi così ognuno fa le sue valutazioni sul modo di correre. E quindi più che attaccare, pensano a non prenderle.

Questo discorso, purtroppo, è vero. Tra le righe ce lo hanno detto le squadre stesse…

E’ quello che si è visto negli ultimi anni. Non c’è più un corridore alla Pantani che sapeva fare la differenza. Un Contador che faceva il vuoto. Da quel che vedo oggi le differenze si fanno più in discesa che in salita.

E quindi un Giro con un percorso più semplice può aiutare?

Ma io credo che i valori restino quelli. Oggi sono tutti molto simili per livello. Tutti hanno alimentazioni e preparazioni uguali e le differenze sono minime. Devi trovare l’atleta che si trova in super condizione e l’avversario che non è al top. 

Per i media molte zone interdette e spesso spazi limitati. Qui, la mix zone ricavata in uno degli ingressi dell’Arena di Verona
Per i media molte zone interdette e spesso spazi limitati. Qui, la mix zone ricavata in uno degli ingressi dell’Arena di Verona
Cambiamo argomento. Noi giornalisti abbiamo lavorato con innegabili difficoltà perché c’era la “bolla” anticovid. Poi però nella tappa con partenza da Salò, per fare un esempio, i corridori per andare al foglio firma transitavano in un vicolo stretto e colmo di gente…

Non sono d’accordo con questa visione. L’atleta deve pensare alla sua salute. Noi lo proteggiamo per quel che possiamo, ma anche lui deve proteggersi. Noi abbiamo cercato di rispettare le direttive mediche imposteci dall’Uci. Norme che saranno in vigore fino al 15 giugno. Dopodiché si riuniranno per valutare se queste regole dovranno restare in atto oppure no. Spero che in futuro le cose possano migliorare. E poi fatemi dire…

Prego…

Altri vostri colleghi giornalisti sono venuti da me e hanno avuto da ridire e per certi aspetti sono anche d’accordo con loro. Ma anche voi avete la vostra associazione internazionale: che questa si facesse sentire. Magari ha più voce in capitolo di me. Se c’è qualcosa di sbagliato datemi una mano a cambiare le cose.

Ultima domanda: che novità ci sono riguardo al cambiamento di data che comprenda anche il 2 giugno?

Abbiamo fatto la richiesta, ma la commissione non si riunisce sempre. Io credo che ci vorrà almeno un mese. Magari sapremo qualcosa entro metà luglio. Spero solo non ci diano la risposta all’ultimo secondo.

Il Giro di Affini: un po’ gregario, un po’ battitore libero

04.06.2022
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La vittoria al Giro d’Italia ancora una volta l’ha sfiorata Edoardo Affini. Il gigante della Jumbo-Visma però è stato un bell’attore della corsa rosa. Si è visto spesso, ha lavorato per i compagni (forse sin troppo) e ci ha provato.

Ma si sa, vincere non è facile. Con lui abbiamo parlato del suo Giro, del ruolo che ha avuto e di quello del gregario. E ne è emerso che il ciclismo, davvero è sempre più uno sport di squadra.

A Treviso Dries De Bondt batte Edoardo Affini
A Treviso Dries De Bondt batte Edoardo Affini
Edoardo, prima di tutto come va: recuperate le fatiche del Giro? Relax totale o sei uscito in bici?

Un po’ sono uscito, altrimenti per l’italiano sarebbe stato un bel problema. Da lunedì comunque si riprende a spingere. Era importante recuperare bene dopo un Giro così dispendioso. E consideriamo anche che io tiravo la carretta dalle classiche, ho corso fino alla Roubaix.

Il percorso della crono tricolore sembra essere anche piuttosto filante, quindi adatto a te…

Per ora sembra di sì, staremo a vedere. La prima parte tende a tirare leggermente, poi c’è uno strappo di un chilometro attorno al 6% e un ritorno che invece scende leggermente.

Veniamo al Giro e partiamo da una nostra curiosità. La sensazione è che a fine gara fossi parecchio più magro rispetto al via da Budapest. E’ così?

Un po’ sì, ma nulla di particolare. Siamo nell’ordine di un chilo in meno. Sono stato stabile per tutto il Giro. Qualche mattina pesavo un po’ di più, qualche mattina un po’ meno… ma tutto sommato ero lì. Forse mi avete visto “sfinato” perché ero sfinito!

A fine Giro, vedendolo quasi tutti i giorni, ci è sembrato molto più magro rispetto a Budapest. Invece Affini ha perso solo un chilo
A fine Giro, vedendolo quasi tutti i giorni, ci è sembrato molto più magro rispetto a Budapest. Invece Affini ha perso solo un chilo
Oggi non è più come una volta in cui si finiva un grande Giro con 2-4 chili in meno…

No, oggi si reintegra bene quanto si brucia e non si parte più in sovrappeso. Non puoi più permettertelo, tanto più in un Giro con un percorso del genere. Rischieresti di prendere un’imbarcata che diventa un calvario. Il nutrizionista ti fa recuperare al cento per cento.

Cosa ti è piaciuto e cosa non ti è piaciuto di questo tuo Giro?

Quello che mi piaciuto e non è piaciuto al tempo stesso è il secondo posto di Treviso. Bello giocarsela, meno il risultato. Mi è piaciuto fino alla volata. Avevo la possibilità di andare in fuga e ci sono riuscito. Fare secondo invece non mi è piaciuto.

Tu hai dato un grande contributo alla fuga…

Ma anche il belga, De Bondt, che poi ha vinto dava delle belle “trenate”. E infatti mi sono detto: occhio, che questo ha la gamba. Sapevo che ce la saremmo giocata noi due. Ma tutti e quattro devo dire che abbiamo tirato e ci siamo gestiti bene. Anche Gabburo. Lui ha tirato un po’ meno per ovvie ragione di fisico. Però è stato bravo perché faceva cambi più corti, ma in questo modo la velocità non scendeva. E non saltava i cambi.

Il mantovano (classe 1995) a Verona ha chiuso 12° a 1’30” da Sobrero
Il mantovano (classe 1995) a Verona ha chiuso 12° a 1’30” da Sobrero
A proposito di trenate e tirate, anche a Castelmonte eri all’attacco e sei stato il motore principale della fuga. Hai lavorato per Bouwman. Ma non era il caso di risparmiarsi in vista della crono di Verona, come ha fatto Sobrero?

Non era la crono per me. Io conosco bene la zona e le Torricelle. Sapevo quindi che avrei potuto provare a fare qualcosa, ma vincere sarebbe stato altamente improbabile. Ho preferito dare tutto per il mio compagno, che poi ha anche vinto. Mi sono risparmiato il giorno della Marmolada: lì ho fatto gruppetto e infatti non ho fatto una brutta crono. Ma un distacco di un minuto e mezzo non lo avrei recuperato neanche se fossi arrivato fresco a Verona.

Ti aspettavi la vittoria di Matteo?

Era “molto favorito”! Così come Arensman. E si sapeva anche che Van der Poel l’avrebbe fatta a blocco.

Sarebbe stato molto diverso il tuo Giro se Tom Dumoulin fosse stato in classifica?

Sicuramente sarebbe stata un’altra dinamica di corsa per noi della Jumbo-Visma. Già la sera dell’Etna (dove Dumoulin ha incassato un bel distacco, ndr) ci siamo fatti due conti e abbiamo visto che non potevamo lottare più per la classifica. A quel punto abbiamo cambiato strategia e siamo andati più all’attacco. Se Tom fosse rimasto in classifica avremmo dovuto fare un “lavoro sporco” per tenerlo coperto. Io avrei lavorato per lui nei tratti a me più congeniali. Avrei svolto un lavoro alla Puccio. Però non è andata male da quando abbiamo rivisto i piani. Abbiamo vinto due tappe, conquistato la maglia dei Gpm e raccolto diversi piazzamenti.

E tra questi due ruoli, attaccante-gregario e gregario che lotta per la maglia rosa quale ti sarebbe piaciuto di più?

Correndo in questo modo hai più chances personali e fa piacere, però è anche vero che quando lotti per la maglia rosa è sempre un’emozione. Hai voglia di lavorare per quell’obiettivo. E’ qualcosa che carica tutta la squadra.

Affini in testa verso Castelmonte per Bouwman (maglia blu alla sua sinistra). Anche verso Genova aveva aiutato Leemreize
Affini in testa verso Castelmonte per Bouwman (maglia blu alla sua sinistra). Anche verso Genova aveva aiutato Leemreize
C’è una tappa in cui avresti voluto essere protagonista, una che ti è rimasta sul groppone?

Non particolarmente. Le tappe in cui sapevamo che poteva arrivare la fuga abbiamo cercato di esserci. Forse quella di Cuneo. Ecco, lì non essere stato davanti mi è dispiaciuto. Magari il risultato non sarebbe cambiato, però si poteva provare a rovinare la festa ai velocisti, visto che i fuggitivi sono stati ripresi ai 600 metri.

Ormai, Edoardo, abbiamo visto che gli squadroni vanno in fuga col gregario. E tu lo sei stato in un paio di occasioni. E’ un limite per te? 

Dipende dal profilo della tappa. Verso Castelmonte era perfetto per noi della Jumbo avere un corridore come me che tirasse nella prima parte assicurando il successo della fuga, e uno come Bouwman per il finale più impegnativo. Anche Quick Step-Alpha Vinyl e Groupama-Fdj hanno ragionato così. Noi abbiamo tirato molto più degli altri nei primi 100 chilometri, ma così facendo abbiamo dato ai nostri compagni la possibilità di risparmiarsi un po’ e di giocarsela. Poi in corsa si parla. E se la tappa può essere adatta ad entrambi si punta su chi sta meglio. E’ un lavoro che ho svolto molto volentieri. Soprattutto quando finisce con la vittoria di un tuo compagno.

Il ciclismo ormai è uno sport di squadra…

Esatto. Vince uno, ma lavorano tutti. E la squadra, soprattutto adesso che si va sempre a tutta, è ancora più importante.

Demare al Giro in ciclamino. E a festeggiare è anche Sidi!

04.06.2022
2 min
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Il Giro d’Italia edizione 2022 di Arnaud Demare si è concluso a Verona con la conquista della maglia ciclamino (la seconda in carriera per il velocista francese), simbolo riconosciuto e storico della speciale classifica a punti.

Dei 176 atleti iscritti alla edizione 105 del Giro, tutti regolarmente partiti da Budapest, ben 12 quest’anno hanno corso con scarpe Sidi, indossando complessivamente quattro differenti modelli della gamma road/corsa: Shot 2, Wire 2, Sixty ed Ergo 5. Gli atleti Sidi hanno poi concluso la corsa rosa cogliendo complessivamente ben quattro vittorie di tappa, tre delle quali hanno portato la firma proprio di Demare: un vero e proprio “fan” del modello Wire…

Arnaud Demare con Dino Signori, storico fondatore della Sidi
Arnaud Demare con Dino Signori, storico fondatore della Sidi

Wire2, le preferite

Realizzate con la tomaia in microfibra Tech Pro, questo modello risulta essere molto resistente, stabile e leggero. In più è un vero e proprio best seller di casa Sidi. Tutte caratteristiche che rendono queste calzature per il ciclismo particolarmente adatte a supportare le alte velocità, garantendo un ottimale trasferimento di potenza sul pedale.

Demare, con le sue Wire 2, ha indossato la maglia ciclamino per 17 giorni consecutivi. Confermandosi leader e il vincitore finale della classifica dedicata ai velocisti, meglio ai più regolari, mettendo a segno un bottino complessivo di ben 254 punti.

Demare ha pedalato per tutto il Giro con le Sidi Wire2,le sue scarpe preferite
Demare ha pedalato per tutto il Giro con le Sidi Wire2,le sue scarpe preferite

Vince la squadra!

«Riconquistare in maglia ciclamino al Giro d’Italia – ha commentato Demare in occasione di una visita alla sede di Sidi a Maser (Treviso) – ha rappresentato per me un’emozione senza fine. Ci sono stati molti momenti esaltanti durante le tre settimane di corsa, ma probabilmente la tappa con l’arrivo a Cuneo avrà un posto speciale tra i miei ricordi. E’ stato un giorno incredibile, avevamo tutto pronto per un grande finale e la squadra ha fatto uno sforzo eccezionale per chiudere sulla fuga… Quella di Cuneo è stata una vittoria collettiva che ha dimostrato quanto il nostro team sia unito e perfettamente affiatato nel perseguire i propri obiettivi». 

Sidi

Anche Pozzato si tiene strette le impennate di Van der Poel

03.06.2022
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Ha vinto, ha perso, ha attaccato e si è staccato. E soprattutto ha impennato. Mathieu Van der Poel ha lasciato il segno in questo suo Giro d’Italia. A volte, diciamo pure spesso, i suoi attacchi sono stati sconsiderati e così abbiamo voluto porre a giudizio questo suo modo di fare a Filippo Pozzato.

Anche Pippo era un cacciatore di classiche come Van der Poel e magari può cogliere meglio il suo modo di fare in una grande corsa a tappe.

Se avesse vinto il tappone di Lavarone VdP avrebbe messo nel sacco un’altra impresa folle
Se avesse vinto il tappone di Lavarone VdP avrebbe messo nel sacco un’altra impresa folle

Il Giro come test?

Da un punto di vista tecnico, noi abbiamo interpretato questo modo di correre anche come un test. Pensiamo alla fuga verso Lavarone, per esempio.

In fin dei conti, è vero che l’asso della Alpecin-Fenix aveva già preso parte lo scorso anno al Tour, ma sapeva anche che si sarebbe fermato (come è stato) dopo una decina di frazioni. Di fatto questo era il suo primo grande Giro. E tutti quegli attacchi magari gli sono serviti per conoscere meglio il suo fisico: spingerlo al limite, vedere come reagisce, come recupera.

Forse sarà anche stato così, oppure la motivazione è più semplice. Parola dunque a Pozzato.

Pozzato ha presentato il Giro del Veneto che organizza con il suo gruppo, PP Sport Event (foto Instagram – Pocisofficial)
Pozzato ha presentato il Giro del Veneto che organizza con il suo gruppo, PP Sport Event (foto Instagram – Pocisofficial)
Filippo, ti è piaciuto Van der Poel in questo Giro?

Molto direi. Lo ha interpretato in modo spettacolare. Questo suo correre senza un senso piace alla gente. A volte gli va bene, a volte gli va male. Poi lo sapete, a me piacciono questi personaggi, sono una figata! Mi ricorda il Peter Sagan di 5-6 anni fa. Sarebbe stato bello vederli insieme entrambi al massimo. Hanno caratteristiche simili nel modo di correre. Un modo che cattura il pubblico.

Un Pozzato, anche lui cacciatore di classiche, però non avrebbe corso così? Spesso, VdP ha sprecato energie e avrebbe potuto finalizzare di più…

Intanto io non avevo la gamba di Van der Poel e questo per forza di cose mi faceva correre con più testa, al risparmio. Con la sua gamba ti diverti! No, non credo che siamo paragonabili. A livello di logica, non avrebbe avuto molto senso, ma Van der Poel sa cosa sia la logica? Intendo in senso buono.

Okay, correre così è bello, piace alla gente, però qualche vittoria sulla coscienza ce l’ha. A Napoli per esempio ha commesso un grande errore…

Però quel giorno in fuga c’era tanta gente e alcuni team avevano più corridori. In questo modo hanno fatto gioco di squadra. E poi bisogna essere in corsa, nelle gambe dell’atleta, per capire certe cose fino in fondo. Sì, al Giro ha buttato tante tappe, però con questo suo modo di correre ha anche vinto tante corse in modo inaspettato. Ripeto, è il bello di questo corridore.

Però quando ha usato la testa è andato a segno. Pensiamo alla prima tappa in Ungheria…

Perché lì non doveva sbagliare: c’era la maglia rosa in ballo. In quell’occasione ha fatto i suoi calcoli, servivano testa e intelligenza. E quando serve, lui le usa. 

Durante il Giro, parlando con gli altri corridori ci dicevano che Mathieu è così: lui in bici si diverte. Lo vedevano. Anche per te è così?

Sì. Con la sua gamba è così. Però non è qualcosa per tutti. I corridori hanno ragione sicuramente. Atleti come Mathieu si divertono e fanno spettacolo. Se fanno spettacolo si divertono. E quando smettono di divertirsi, calano anche nella prestazione. E non lanciano più il cappello all’aria.

Il pubblico italiano ha abbracciato Van der Poel, anche per questi suoi folli attacchi
Il pubblico italiano ha abbracciato Van der Poel, anche per questi suoi folli attacchi
Quindi, Filippo, queste impennate ce le teniamo strette?

Ma sì! Ha iniziato Sagan e bene così. Abbiamo bisogno di personaggi del genere. Dobbiamo avvicinare i giovani. Dobbiamo far passare il messaggio che il ciclismo è uno sport figo, che ti aiuta a vivere bene. Non è solo quello eroico e duro, quello dei sacrifici, delle rinunce. Il ciclismo è il ragazzo, è il manager che la sera a fine giornata si ritrova al bar con gli amici per un aperitivo e poi parte con la luce sulla bici per una girata col buio. Va a divertirsi. 

Un punto di vista che rompe con il passato…

Far fatica non è brutto. Andare in bici non è una condanna. Lo dico sempre ai ragazzi del mio staff: rivolgiamoci ad un target dai 25 ai 50 anni. Facciamo vedere a questa grossa fetta di pubblico quanto sia figo andare in bici. La bici non è solo sofferenza. L’idolo dei ragazzini non deve essere Cristiano Ronaldo, deve essere un Van der Poel, un Sagan. Nel ciclismo la prestazione resta centrale, non è un gioco, ma uno sport. Il sacrificio resta alla base per raggiungere i risultati sportivi, dico solo che però non deve essere visto come una condanna.

Bisogna cambiare anche il modo di comunicare…

Anche voi giornalisti. Apriamoci, facciamoci vedere anche nella vita normale. Io 12 anni fa prendevo le multe dalle mie squadre perché utilizzavo i social, adesso è scritto nei contratti dei corridori. E’ così che fai vedere e che nasce un idolo.

I numeri hanno cambiato lo sport, entriamo nel mondo Velon

02.06.2022
5 min
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Che piaccia oppure no, il mondo è dei numeri, dei confronti e delle statistiche. Si generano fantasie e confronti e proprio i numeri hanno cambiato il modo di fare sport, a qualsiasi livello. I numeri sono la cartina tornasole dei corridori e degli staff impegnati ad analizzare i dati, anche quelli che ora vediamo in tv e scorrere velocemente sui canali social.

Trasponder, mini cam e rilevatori gps, dati in tempo reale e sovrapposizioni nel breve, medio e lungo periodo; il ciclismo è anche questo, senza dimenticare i social e le action cam per un’esperienza live. I numeri sono anche uno strumento di business e di entrata per le casse dei team. Abbiamo intervistato Mark Coyle e siamo entrati nel mondo di Velon.

I numeri che vediamo in tv, ormai un classico (foto Velon)
I numeri che vediamo in tv, ormai un classico (foto Velon)
In cosa consiste Velon?

Velon è una società creata nel 2014 dalle migliori squadre di ciclismo professionistico per generare nuovi flussi di entrate e opportunità per monetizzare determinate attività e diritti di loro proprietà. La parte principale di questa strategia è la creazione di una piattaforma di contenuti chiamata “Velon Live”. Questa è composto da canali su Facebook, Instagram, YouTube, Twitter e TikTok. Velon ha accesso ai canali social media dei team. Per dare un’idea più precisa della portata, sommando il numero di follower su questa rete, la portata è di oltre 12 milioni.

Una delle slide classiche che compaiono a fine gara (foto Velon)
Una delle slide classiche che compaiono a fine gara (foto Velon)
Ma i sistemi di rilevamento che vediamo sulle biciclette, fanno parte della piattaforma Velon?

Si certo. Il sistema di dati dell’atleta è composto da dispositivi individuali che sono montati sulle biciclette e associati ai misuratori di potenza e, a volte, ai cardiofrequenzimetri dei ciclisti. I dati vengono trasmessi attraverso la rete cellulare alla nostra piattaforma di elaborazione dati, dove vengono convertiti in feed alla diretta televisiva, al sito web di Velon e, ove richiesto, all’organizzatore della gara.

Quanti trasponder sono forniti alle squadre?

Ogni squadra riceve un dispositivo per ogni corridore che partecipa alla gara. I pezzi di ricambio vengono portati in gara nel caso in cui siano necessari.

Come viene gestito dal corridore un eventuale cambio di bicicletta durante la gara?

Oltre a quelli principali, ci sono dei dispositivi sulle bici di scorta dei top rider.

Quali campi di dati vengono visualizzati?

I tre principali sono la velocità, la potenza e la cadenza.

Su cosa si basa la gamma di prestazioni di ogni singolo atleta?

I dati in diretta mostrati in tv e online sono dati in tempo reale. A volte utilizziamo il rapporto watt/kg quando produciamo infografiche post-gara per i social media che mostrano momenti chiave come uno sprint finale o un attacco. Tutto si basa sui numeri in tempo reale ed elaborazioni successive alla competizione.

L’associazione tra il sensore ed il power meter
L’associazione tra il sensore ed il power meter
Viene creata una cronologia delle prestazioni o i dati vengono eliminati alla fine della competizione?

I dati sono conservati per un periodo di tempo nel rispetto della normativa vigente.

A riguardo delle action cam. i corridori che le montano sono scelti a caso?

Velon monta le telecamere sulle biciclette di atleti che saranno presenti in gara. Ci consultiamo con le squadre e studiamo i percorsi durante la creazione del piano di presa delle immagini. La scelta viene fatta in parallelo con il team.

Una GoPro in back side (foto Velon)
Una GoPro in back side (foto Velon)
I film vengono esaminati anche dalla giuria, in caso di necessità?

Chiunque è libero di visualizzare il filmato pubblicato da Velon. I filmati che non vengono pubblicati non vengono condivisi con nessuno.

Immaginando un futuro di questa categoria, rilevatori/antenne/telecamere (Velon-pack) cosa possiamo aspettarci per il futuro?

Velon sta sviluppando una serie di analisi più approfondite dei dati dei corridori, tutte progettate per offrire ai fan una visione più approfondita di come le gare vengono vinte, perse ed interpretate. Stiamo lavorando con altri sport d’élite per prendere e sviluppare nuove idee, con l’obiettivo di introdurle nel ciclismo professionistico.

Pirelli P Zero Race 150°: un copertoncino per festeggiare

02.06.2022
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Pirelli taglia un traguardo importante, i suoi 150 anni. Per festeggiare l’azienda milanese ha deciso di ritornare alle origini presentando P Zero Race 150°. Pirelli ha infatti iniziato la sua produzione di gomme proprio con i pneumatici da bici nel 1890.

A tutto tondo

P Zero Race 150° è un copertoncino all-round adatto sia a lunghe sessioni di allenamento sia alla competizione. E’ un prodotto leggero, dotato di grande scorrevolezza e con una tenuta di strada invidiabile. Questo è possibile anche grazie alla speciale mescola SmartEVO: una miscela ternaria di polimeri con caratteristiche di comportamento “intelligenti”. Il materiale permette un’ottima tenuta su asciutto e bagnato, unendo a tutto ciò una resistenza al rotolamento molto bassa. La carcassa in nylon da 120 TPI è protetta dalla tecnologia TechBELT Road, che migliora la resistenza alle forature senza appesantire il prodotto.

Made in Italy

Il P Zero Race 150° è totalmente fabbricato in Italia. E’ infatti prodotto nel rinnovato stabilimento Pirelli di Bollate, vicino a Milano. Offre tutte le migliori caratteristiche del P Zero Race originale, uno dei prodotti meglio riusciti della casa milanese, abbellito da un’esclusiva livrea color oro, dal logo P Lunga 150° e dal packaging dedicato, ed è disponibile nelle misure 26-622 e 28-622.

P Zero Race 150° ha debuttato sulle strade del Giro d’Italia sulle bici degli atleti della Trek-Segafredo, team WorldTour che da anni collabora con Pirelli per una crescita ed uno sviluppo costante dei propri prodotti.

Pirelli

Zardini ritrova se stesso. «Da adesso in poi voglio divertirmi»

02.06.2022
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Lottare tra i giganti. Deve essersi sentito un Davide tra i Golia, Edoardo Zardini nelle ultime tappe del Giro d’Italia. Il veronese della Valpolicella si è dato da fare in questa corsa. Ha cercato la fuga all’inizio e ma soprattutto l’ha trovata nelle frazioni finali: Castelmonte e Fedaia.

Era da un po’ che non lo vedevamo davvero protagonista. Il terribile incidente avuto nel Gp Lugano del 2016, una giornata tremenda dal punto di vista del meteo, ha inciso parecchio nella sua carriera. Zardini era uno dei ragazzini rampanti del Giro e del gruppo. Nel 2014 aveva vinto una tappa al Giro del Trentino. Era spesso in fuga. Tanti scatti. Uno di quei “piccoletti” tremendi che tanto piacciono al pubblico. Una crescita costante.

Per Edoardo Zardini un finale di Giro all’attacco
Per Edoardo Zardini un finale di Giro all’attacco

Coltello fra i denti

Il corridore della Drone Hopper-Androni lo abbiamo intercettato mentre se ne ritornava ai bus costeggiando il lago Fedaia. Aveva la testa incassata tra le spalle, lo sguardo stanco di chi aveva dato tutto e il pantalocino strappato all’altezza del gluteo.

Un cenno, i complementi per un’altra lunga fuga (era nel gruppo con Covi) e si è fermato a parlare.

«Oggi avevamo l’obiettivo di entrare in fuga – diceva Zardini – non era facile però ci sono riuscito. Mi sono fatto trovare pronto. Sono anche caduto nella discesa bagnata all’inizio, ma fortunatamente la bici era okay e sono riuscito a rientrare.

«E questa scena è un po’ la foto del mio Giro». Molta fatica e nessuno che ti regala nulla. Specie se non sei di una WorldTour ogni cosa te la devi sudare col coltello tra i denti. E in qualche modo costa il doppio.

Il veronese si è guadagnato il posto al Giro grazie ad un buon Tour of Hellas (qui secondo dietro il belga Teugels)
Il veronese si è guadagnato il posto al Giro grazie ad un buon Tour of Hellas (qui secondo dietro il belga Teugels)

Esperto all’improvviso

A novembre compirà 33 anni. Ha ormai una certa esperienza. Però questa maturità sembra arrivata all’improvviso. Non è più un ragazzino ed è inevitabile iniziare a fare anche un bilancio della carriera. Tanto più nell’atmosfera di un Giro che volgeva al termine.

«Penso che ho buttato un po’ di anni – racconta Zardini – per vari motivi: infortuni, squadre che non sono andate bene, pandemia. Quest’anno il team mi ha dato fiducia e sono tornato al Giro d’Italia e già questo per me è stato importante, se non fondamentale. 

«Ero qui a lottare, e lottare su questi palcoscenici vuol dire tanto. Forse avevo anche un po’ perso l’abitudine per certe corse e per fare certe cose, però… sono solo contento di dare il massimo. Qualcosa di buono c’è ed da qui che bisogna ripartire».

«Adesso non sono più un ragazzino anche per questo nei prossimi anni voglio divertimi. Adesso che ho ritrovato la fiducia del team ho trovato un po’ la quadra di nuovo vorrei tornare alla vittoria. Magari in qualche gara più abbordabile».

Zardini parla con passione. Sempre più lentamente. Alla fine c’è commozione. Provate ad immedesimarvi. Due giorni di fuga, due giorni di fatica estrema. Si arriva sulla Marmolada, luogo quasi mistico di suo, figuriamoci in quel momento, e il Giro che volge al termine. E’ la tempesta perfetta per le emozioni.

Zardini (classe 1989) è pro’ dal 2013
Zardini (classe 1989) è pro’ dal 2013

Obiettivo divertimento

L’indomani, con le gambe e la testa più freschi, Edoardo ritrova sorriso e buon umore, tanto più che si corre nella sua Verona. C’è tanta, tanta voglia di continuare a fare bene. 

«Il mio ciclismo adesso so qual è – dice mentre si prepara per la crono – so dove sono e che corridore sono. L’idea pertanto come ho detto ieri è di continuare a fare bene, ma con più consapevolezza. 

«Il ciclismo voglio godermelo».

E magari potrà goderselo già a partire da oggi. Uscito con una buona gamba dal Giro d’Italia la squadra lo ha portato al Giro dell’Appennino. Una corsa adatta ad uno scalatore coraggioso come Edoardo.

Magari non si vede, attratti dai campioni che sgomitano in testa o che fanno gli show altrove, ma c’è anche chi il suo Giro lo ha vinto, arrivando al traguardo. Non trovando la vittoria, ma ritrovando sé stesso. Lottando come un Davide tra tanti Golia.

«Nibali fenomeno. Lopez deve diventare leader». E se lo dice Martino…

31.05.2022
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Il Giro d’Italia è alle spalle. Ma non è del tutto chiuso per quel che riguarda analisi, ricordi, polemiche (leggasi Cipollini), bilanci. Con Giuseppe Martinelli, diesse dell’Astana Qazaqstan riavvolgiamo il nastro su Nibali e su Lopez.

Come è andata con l’uno e come è andata con l’altro. Se con Vincenzo alla fine c’è da gioire, non è proprio la stessa cosa con Miguel Angel.

Giuseppe Martinelli (classe 1955) da oltre 10 anni fa parte dello staff dell’Astana
Giuseppe Martinelli (classe 1955) da oltre 10 anni fa parte dello staff dell’Astana
“Martino”, partiamo proprio da Nibali. Cassani ci ha detto: il bravo diesse è colui che riesce a mettere in condizione il suo atleta di fare il meglio possibile. Per me il quarto posto di Nibali di quest’anno vale più di altri podi o di una vittoria di tappa ottenuta stando fuori classifica”. Cosa ne pensi?

Siamo venuti con un’altra idea con Vincenzo. Non posso negare che il quarto posto è bellissimo, però lo abbiamo raccolto perché lui è veramente un fenomeno. Non ha mai mollato ed è riuscito a tirare fuori delle prestazioni incredibili che gli hanno consentito di stare con i migliori. Tuttavia la mia idea era quella di fare un Giro alla Ciccone. Andare fuori classifica, cercare di movimentare le tappe, di raccogliere più risultati possibili. E invece ho dovuto fare ancora quello che che mi viene più facile: stare lì a lottare tutti giorni, a tenere la squadra cucita e compagnia bella… Stavolta ho fatto veramente fatica perché, ripeto, non era nel mio intento. Volevo divertirmi. E lo avevo detto a tutti che avrei voluto correre diversamente. Ma un quarto posto, è chiaro, non si butta assolutamente.

E questo modo di correre è derivato anche dal fatto che non avevate più l’uomo di classifica?

Sicuramente. E’ nato tutto da lì. Quando tu al terzo giorno perdi il tuo leader, cerchi di voltare pagina ma non è così facile. Restano tante pagine bianche che devi completare con qualcosa. 

Cioè?

Non siamo una squadra, non come la Quick Step – Alpha Vinyl che ha tanti uomini di prima fascia e con diverse caratteristiche e può vincere tutti giorni o quantomeno lottare, tutti i giorni. Alla fine, se noi lasciavamo perdere il piazzamento di Vincenzo potevamo, forse, raccogliere qualcosa. Ma anche nulla. 

E se invece ci fosse stato Lopez?

Avremmo tenuto un uomo in classifica, Lopez appunto, con la squadra intorno. E Nibali battitore libero. E diventava tutto più semplice.

Martino, hai toccato il tasto Lopez. Quest’inverno anche in modo deciso ci avevi detto: Lopez dovrà dimostrare se è carne o pesce. Come siamo messi?

Lopez è un buon corridore, nessuno pensa il contrario, però deve diventare grande. Ad un certo punto, a 28-29 anni, devi capire che devi fare i sacrifici. Che tutto è più difficile. Che per conquistare i grandi traguardi e lottare con i migliori serve la massima concentrazione. Devi capire ogni anno che la concorrenza aumenta: arrivano dei giovani, di cui una volta facevi parte anche tu, e invece adesso sono gli altri, ma tu ci devi essere. Non puoi pensare di svegliarti una volta ogni tanto e vincere una tappa al Tour of the Alps. 

Ti aspetti di più…

Mi è dispiaciuto da una parte che si sia ritirato al Giro, ma spero che questa batosta sia la volta buona perché cambi modo di fare e di essere. Noi lo abbiamo abbastanza corteggiato per portarlo qua. Ma in questo momento siamo anche abbastanza arrabbiati.

Perché?

Perché visto come è andato il Giro il risultato si poteva veramente ottenere. Ci sono stati corridori buoni, sicuramente, però tra chi ha vinto e chi ha fatto terzo poteva esserci anche lui. Tanto più che il Giro si è deciso in salita e non a cronometro come sembrava durante la corsa con quei tre che erano sullo stesso piano fino alla Marmolada.

Quindi la porta aperta perché diventi grande con voi, gliela lasciate?

La possibilità c’è ancora e ci crediamo. Adesso sta recuperando. In questi giorni ha ripreso ad allenarsi. Ha passato le settimana del Giro a riposo assoluto per recuperare al meglio. Lo aspetta la possibilità del Tour. E se non sarà al Tour sarà alla Vuelta di sicuro.

Ti saresti aspettato maggior tenacia da parte sua prima di ritirarsi? O effettivamente era impossibile andare avanti nelle sue condizioni?

Io sono sempre arrabbiato quando un mio corridore si ferma, però effettivamente Lopez non poteva andare avanti. Aveva una contrattura che peggiorava tutti i giorni. Abbiamo provato a far di tutto… Addirittura nel giorno di riposo si è accentuata. Probabilmente perché sin che era lì a spingere e il muscolo era sempre “caldo” era meglio. Il giorno di riposo lo ha pagato a caro prezzo.

Nibali e Lopez avevano già corso insieme nell’Astana nel 2016
Nibali e Lopez avevano già corso insieme nell’Astana nel 2016
Hai detto che deve crescere: in cosa?

Nella qualità del suo lavoro – ci pensa un po’ stavolta prima di rispondere Martinelli – deve mettersi in testa che qui l’abbiamo fatto crescere, ma adesso le cose sono cambiate. Adesso è tornato da leader, non più il bravo ragazzo promettente. Quando era qui la prima volta aveva Vincenzo che era già un campione affermato. C’erano Luis Leon Sanchez, Jakob Fuglsang… tanti altri corridori presso cui “ripararsi”. Adesso è un leader.

E qual è il ruolo del leader?

Un leader deve essere consapevole che dietro ha una squadra che investe su di lui. E investe non solo delle risorse umane, ma anche dei soldi.

Quindi ti aspetti un Lopez più presente nel quotidiano? Vita da atleta, concentrazione negli allenamenti…

Le sue responsabilità devono essere al pari di quelle della squadra. Quando  tu lo prendi e lo paghi come un campione. Lui forse non ci è arrivato a questo punto. Io spero, come ripeto, che questa ricaduta gli dia qualcosa ancora. 

Magari non tiene la pressione del leader…

Ma no, quella mi sembra la tenga bene. Io non credo sia una questione di pressione, quanto piuttosto di capire che deve diventare grande.