Dal Giro con Petacchi: oggi Milan, domani Dainese

03.06.2023
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Torni a casa e dopo tre settimane di Giro, ti trovi con il lungo elenco di cose da fare. Se poi, come nel caso della famiglia Petacchi, sei anche alla fine di un trasloco e hai un bel giardino, l’elenco si allunga. Visti la pioggia e il caldo, già nel primo giorno di riposo Alessandro era rientrato a casa per tagliare l’erba, ma quando è tornato dopo la tappa di Roma, ha trovato una nuova giungla ad attenderlo.

Forse per questo, fermarsi una mezz’ora per parlare di velocisti gli ha ridonato il sorriso. I bambù erano arrivati a due metri d’altezza, per tirarli giù è servito lavorare forte col decespugliatore.

Roma, il Giro è finito. Scatto ricordo per Petacchi, Pancani e Fabio Genovesi (foto Instagram)
Roma, il Giro è finito. Scatto ricordo per Petacchi, Pancani e Fabio Genovesi (foto Instagram)

Due velocisti all’opposto

Gli abbiamo chiesto di parlare di due velocisti come Milan e Dainese – uno alto 1,93 per 84 chili, l’altro alto 1,76 per 70 chili – due che più diversi non si potrebbe. Eppure entrambi hanno vinto una tappa al Giro e altre avrebbero potuto vincerne. Con quali occhi li ha guardati il ligure che di tappe ne ha vinte 22, ben 9 nel 2004?

«Oggi cominciamo con Milan – dice in riferimento al fatto che il pezzo su Dainese sarà pubblicato domani – che è un corridore ancora molto acerbo e ha vinto la magia ciclamino (foto di apertura, ndr). Deve sicuramente migliorare un po’ nella gestualità, perché si muove molto. Potrebbe anche essere una sua caratteristica per andare a cercare il massimo dello sforzo, però sicuramente curare il gesto ti fa migliorare la prestazione. Ti permette di concentrare l’energia e la forza in un solo punto, mentre a livello aerodinamico, se continui a muoverti continuamente, interrompi un flusso. E al giorno d’oggi conta tutto…».

La volata vinta a San Salvo ha evidenziato secondo Petacchi la grande potenza di Milan e il suo pedalare scomposto
La volata vinta a San Salvo ha evidenziato secondo Petacchi la grande potenza di Milan e il suo pedalare scomposto
La forza però non gli manca…

Questo è fuori di dubbio, ora deve incanalarla. Ha commesso qualche errore per la posizione in gruppo, ma capita a tutti e lui lo sa benissimo dove può aver sbagliato. La mancanza di gambe l’abbiamo vista a Roma, le altre volate che non sono venute dipendevano dalla posizione, dalla distanza dello sprint e dai rapporti.

In fondo ci sta che al primo Giro fosse sfinito nell’ultima tappa.

Certo, anche perché alle Tre Cime di Lavaredo ha avuto una giornataccia, non stava bene. Il giorno dopo col fatto che è friulano l’hanno seguito tanto con la telecamera ed effettivamente soffriva anche nella crono, nonostante abbia potuto farla tranquillo. Ha tribolato, quindi era un po’ cotto e alla fine di un primo Giro così duro, con tutte le salite concentrate negli ultimi giorni e i suoi 84 chili, ci può stare. 

Può migliorare?

So che cambierà squadra e probabilmente quella in cui andrà sarà attrezzata. Se hanno investito su un corridore così, non lo hanno fatto per la pista e basta. Se gli mettono vicino qualche uomo giusto che lo piloti bene, secondo me può fare cose buone.

Quale pensi sia il suo livello?

I velocisti più forti al Giro non c’erano. Non so se adesso Jonathan sia al livello di Groenewegen o Jakobsen, però sicuramente ha le qualità per arrivarci. Va un po’ raddrizzato il tiro, magari cambiando la posizione in bici, cercando di abbassarlo un po’. Essendo molto alto, per lui è più frequente il rischio di essere scoordinato.

La forza non basta, insomma?

Che compensi tanto coi watt è sicuro. Però è anche vero che gli arrivi non sono mai tutti uguali e lui deve essere indubbiamente lanciato. Se si trova una curva ai 300 metri come a Tortona, per quando s’è lanciato, gli altri sono già all’arrivo, ma questo è normale con i rapporti che usano oggi… Fanno le volate con il 54 e il 55, ho sentito addirittura uno con il 56: mi sembra una cosa folle. Evidentemente non useranno l’undici, ma il dodici per avere la catena più dritta, non lo so. Queste sono scelte loro: se hanno beneficio, ci mancherebbe altro…

Milan e la sua Merida Reacto: secondo Petacchi il miglioramento allo sprint passa anche per le geometrie della bici
Milan e la sua Reacto: secondo Petacchi il miglioramento allo sprint passa anche per le geometrie della bici
Come si fa a migliorare il gesto della volata?

Ci deve lavorare, pensando a cosa sta facendo, perché è chiaro che quando è a tutta, gli viene di fare così spontaneamente. Allora deve allenarsi a ritmi più bassi. E’ chiaro che non può fare 10 volate a quel livello. Ne farà 10, pensando al gesto più che alla velocità. Poi c’è da ragionare sulla bici.

Cioè?

Se bisogna allargare il manubrio oppure stringerlo, abbassare o allungare il telaio. Finora forse non avevano mai pensato a lui come un velocista, probabile che si troveranno cose da cambiare. Per questi aspetti bisognerà fare delle prove. Potrebbe anche avere due bici: quella con una posizione un po’ più estrema che usa quando si arriva in volata e magari una più comoda per la salita.

Un bel capitolo da scrivere…

C’è da lavorarci e vedere se è un tipo di lavoro che possa fare anche in pista. Dovrebbe usare una bici con le stesse misure di quella da strada, col manubrio e la sella alla stessa altezza. In pista si sta tanto seduti e si pedala ad alta frequenza e lo vedi che in volata spesso fa così. Infatti ha commesso anche qualche errore di rapporto. Ha perso la volata di Napoli perché era troppo agile, ma sono tutte cose su cui deve prendere le misure. E’ normale, ma è giovanissimo e ha grandi potenzialità. 

Avrà bisogno di un treno?

Non puoi pensare di portarlo a un Tour de France senza che abbia tre uomini per lui, che sappiano fare bene il loro lavoro nel finale. Pasqualon è stato bravissimo, però poverino ha dovuto fare tutto da solo. E’ chiaro che Sutterlin può essere un bel passista, però se non ha mestiere ci fai poco. Il corridore del treno deve avere scaltrezza e mestiere. Deve passare al momento giusto, sincerarsi che il compagno non rimanga chiuso. Nei finali ormai c’è tanta confusione, gli uomini sono meno e non puoi pensare di averne cinque che stiano ancora là. Quindi se investi su un corridore così e non hai un uomo da classifica, fai a squadra per lui. Altrimenti la dividi a metà, sapendo che quelli delle volate possono aiutare in pianura.

Prima vittoria dell’anno a Shalal Sijlyat Rocks, al Saudi Tour. L’intesa con Pasqualon va alla grande
Prima vittoria dell’anno a Shalal Sijlyat Rocks, al Saudi Tour. L’intesa con Pasqualon va alla grande
Il treno si costruisce anche in ritiro, no?

Certo, non è che ne prendi quattro e li butti dentro alla prima corsa. Se però hai un corridore di mestiere, che fa un certo tipo di lavoro da 5-6 anni, sa già come deve muoversi. Poi è chiaro che deve prendere un po’ le misure. Ho visto che ogni tanto Jonathan aveva timore nelle curve, frenava un po più degli altri. Ci sta, perché essendo molto alto e avendo baricentro alto, è più difficile per lui fare le curve. Un corridore col baricentro basso le fa molto meglio. Insomma, ha bisogno di lavorare, ma il potenziale di Milan è davvero immenso.

DOMANI SU DAINESE

Domani alle 16 pubblicheremo l’analisi di Dainese. Corridore completamente diverso, dotato di baricentro più basso, grande aerodinamica ed esplosività. L’appuntamento con Petacchi è per domani pomeriggio.

La bici di Zana… con Zana. Scopriamo la sua Giant

02.06.2023
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Al Giro d’Italia è stata una delle bici più ammirate del gruppo, specie dal pubblico italiano. La specialissima di Filippo Zana non passava inosservata con quella livrea tricolore. Il campione italiano ha sfoggiato un total look da sogno tra maglia e bici.

In questo articolo è Filippo stesso a parlarci della sua Giant Propel Advanced (che avevamo già testato). Ma prima consentiteci un piccolo extra sulla maglia. Finalmente, come già lo scorso anno quando correva alla Bardiani, c’è un tricolore netto sulle spalle e sul petto del corridore e per questo il merito va anche al team, la Jayco-AlUla, che non ha sminuito la bandiera italiana per gli sponsor… 

Ma torniamo alla Giant di Zana. Si tratta del nuovo modello della Propel che il colosso taiwanese ha presentato pochi mesi fa. Dal punto di vista estetico è esaltata la pulizia delle linee. La nuova Propel è la bici aero di Giant. Forme più arrotondate nelle sezioni frontali e più allungate in quelle posteriori come aerodinamica impone. E l’aerodinamica è uno degli aspetti che più ha esaltato Zana stesso.

Filippo Zana (classe 1999) ha sfoggiato questa “freccia tricolore”, sempre con lo stesso setup
Filippo Zana (classe 1999) ha sfoggiato questa “freccia tricolore”, sempre con lo stesso setup
Filippo, qual è una caratteristica che proprio deve avere la tua bici? Non so, leggera, pulita, aero, rigida…

Diciamo che io non sono un tipo molto “delicato” in tal senso. La prendo come me la danno, tanto ci vogliono le gambe! Scherzi a parte, questa bici mi piace molto e l’ho scoperta proprio al Giro d’Italia.

Cioè?

Mi hanno dato la nuova Propel quando sono arrivato al Giro, in Abruzzo, il mercoledì prima del via. E col fatto che si partiva con una crono ho usato quella bici un solo giorno. Però l’ho presa e mi sono trovato subito veramente bene. Rigida e aerodinamica, aspetto molto importante e che tanto mi ha colpito. Sin qui è la bici migliore che ho provato perché va veramente “da Dio”.

Beh, parliamo di un colosso come Giant…

Storia e caratteristiche tecniche sono tutte al top.

Una considerazione estetica: quando l’hai vista con quella livrea tricolore cosa hai pensato?

Tanta roba! E’ bellissima e, ripeto, è stata una sorpresa.

E’ la nuova Propel: rispetto al precedente modello che differenze hai riscontrato?

Va detto che io usavo molto anche la TCR, che è una bici diversa, più da scalatori, più da salita e con i cavi esterni. So che presto arriverà il nuovo modello anche di quella. E poi c’è appunto questa nuova Propel, che è più da velocista. Questa rispetto alla precedente bici conserva le caratteristiche aero ma è più leggera e nel complesso più performante. Forse, almeno per me, è un filo meno rigida, ma io che l’ho presa direttamente al Giro ho trovato subito un buon feeling di guida…

E anche una certa comodità, immaginiamo a questo punto…

Esatto. Si può usare praticamente su tutti i terreni. In Giant hanno fatto una via di mezzo con la Tcr e questa bici, a mio avviso, va veramente bene sia per i velocisti sia per corridori più scalatori come me.

Tu l’hai usata anche nelle tappe di salita?

L’ho usata sempre e ho notato che anche i miei compagni che l’hanno provata hanno usato sempre questa bici. 

Vieni da un altro brand, MCipollini, hai cambiato qualcosa sul fronte delle posizioni e degli angoli? Abbiamo notato che usi un attacco da 140 millimetri, che è piuttosto lungo…

No, non ho cambiato nulla. Ho sempre pedalato così, mi sono trovato a mio agio e finché mi troverò bene userò quella posizione. Una posizione parecchio in avanti con la sella.

A proposito di sella come hai scelto quelle proposte da Giant?

Ho capito quale modello poteva fare per me, l’ho provato, mi sono trovato bene e non l’ho più tolto. Ma adesso forse proverò un modello nuovo. Un sella che al Giro avevano De Marchi e Matthews.

Posizione avanzata, quindi moderna, ma il manubrio non ci è sembrato poi coì stretto…

E’ da 42 centimetri centro-centro. Ho preferito mantenere questa misura che uso da quando ero juniores. Mi trovo bene e… soprattutto ci guido bene.

Utilizzavi una MCipollini, per riportare le quote hai dovuto cambiare taglia? 

No, era una “L” quella e lo è anche questa. Ma come ho detto le quote erano le stesse, anche l’arretramento.

Filippo, invece riguardo ai setup più variabili come pressione delle gomme o rapporti?

Le pressioni andavano in base al meteo e quindi potevano variare un po’, ma penso che il massimo che ho gonfiato durante il Giro sia stato 5 atmosfere con il tubeless… In Jayco-AlUla possiamo scegliere tutto: copertoncino, tubolare, tubeless ma ci troviamo bene con il tubeless. Il tubolare l’ho usato solo nella cronoscalata in quanto più leggero. Ma parliamo di qualche grammo.

Qual è il set di ruote che preferisci?

Ho usato sempre quelle con profilo da 50 millimetri – le Cadex 50 Ultra – che tra l’altro sono nuove. Vedo che sia io che i ragazzi ci troviamo veramente bene su tutti i terreni. E poi per me sono quelle più performanti sia in termini di leggerezza che di scorrevolezza: insomma vanno bene dappertutto.

E i rapporti?

Avevo il nuovo set di Shimano Dura Ace Di2: 54-40 anteriore e scaletta 11-34 al posteriore.

Anche l’11-30, immaginiamo…

No, no… l’11-34 dall’inizio alla fine. Anche per le tappe piatte. Così, scelta mia. Non volevo dare troppo lavoro ai meccanici con questo continuare a cambiare rapporti. Che comunque andavano benone.

Il Giro è finito, la “nostra” Opel torna in casa Marcar

02.06.2023
5 min
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Martedì prossimo restituiremo le chiavi dell’auto su cui abbiamo viaggiato lungo l’Italia e a quel punto il Giro potrà dirsi definitivamente concluso. Poco da dire: quando viaggi per tre settimane al volante di un’auto, questa si trasforma nella tua casa e hai la sensazione che, lasciandola, alcuni di quei ricordi finiranno fra le mani di chi te l’ha affidata. In questo caso, Marco Ciavatta: titolare del Gruppo Marcar a Rimini.

E’ cominciato tutto così, con la consegna dell’auto presso Marcar Rimini da Marco Ciavatta a Enzo Vicennati
E’ cominciato tutto così, con la consegna dell’auto presso Marcar Rimini da Marco Ciavatta a Enzo Vicennati

Gimondi, Moser e Pantani

Non è la prima volta che bici.PRO collabora con Marcar. E’ successo anche nel 2020 e 2021, grazie alla passione dello stesso Ciavatta per il ciclismo.

«Seguo questo sport da quando ero proprio un bambino piccolo – racconta – quando vidi Felice Gimondi. Una passione che mi ha trasmesso mio zio Mario Cerri, che allora era il presidente della Società Ciclistica Perla Verde di Riccione, che è andato in bici fino a ottant’anni. A quell’età fu ancora capace di salire da Riccione alle Balze di Verghereto. Fu lui che mi portò a vedere una gara dopo il Giro d’Italia allo stadio di Riccione, sulla pista di terra battuta. Era una kermesse, cui i corridori partecipavano per tirar su due soldi. Da lì diventai grandissimo appassionato. Ho vissuto tutta l’epopea del duello Merckx-Gimondi, di Moser e Pantani. Sono questi i tre riferimenti della mia storia ciclistica. Poi sono stato “nibaliano” e continuo a seguire il ciclismo ancora adesso, perché mi emoziona tantissimo, come succede a tanta gente dalla nostra zona».

Il 12 maggio si va da Capua a Campo Imperatore, in cima ci sarà rischio neve
Il 12 maggio si va da Capua a Campo Imperatore, in cima ci sarà rischio neve

Elettrica e a benzina

Martedì la “nostra” Opel Grandland GSE 4×4 plug-in hybrid tornerà nella sua casa. Approfittando del caldo, oggi abbiamo staccato gli adesivi del Giro con la scritta STAMPA. Abbiamo lasciato solo il bollo tondo per l’accesso alle Tre Cime di Lavaredo: quello, se vorrà, lo staccherà Marco Ciavatta.

Come sia stato fare il Giro con un’auto plug-in merita un piccolo racconto, perché dà l’idea da una parte dei vantaggi e dall’altra di come in Italia la svolta verde sia ancora embrionale.

Durante le tappe, sul percorso o in autostrada, siamo sempre andati a benzina. Nei tratti urbani o per spostarsi dal PPO alla partenza e il Quartier Tappa, si è fatto ricorso ai due motori elettrici (anteriore e posteriore). L’auto ha quattro mappature: elettrica, ibrida, sport e 4 ruote motrici. Ammettiamo di aver sperato di trovare un po’ di neve alle quote più alte per sperimentare la trazione integrale: in realtà l’unica occasione in cui la trazione integrale è stata divertente e utile c’è stata nel raggiungere il parcheggio delle Tre Cime di Lavaredo, dove fango e pendenza ci hanno permesso di… giocare un po’.

Giorni di riposo, tempo di fare una bella doccia anche per la Grandland GSe 4×4 plug-in
Giorni di riposo, tempo di fare una bella doccia anche per la Grandland GSe 4×4 plug-in

E a proposito di giochi, è stato un’interessante sfida ricaricare le batterie sfruttando le discese e il freno motore: il rientro dopo l’arrivo del Bondone e le stesse Tre Cime ci ha permesso di caricare la batteria fino al 50 per cento, completando l’operazione con le colonnine.

Diverso stile di guida

Qui però è saltato all’occhio il vero problema: non tutte le colonnine sono uguali, ciascuna ha il suo gestore e le tessere attraverso cui funzionano non sono universali. Noi avevamo acquistato una tessera Plenitude, le colonnine dedicate erano pochissime.

«La sensibilità sta crescendo – spiega Ciavatta – e gli ultimi eventi legati alla Romagna ci fanno capire quanto sia importante che tutti quanti noi prestiamo attenzione al clima e all’utilizzo delle risorse. Anche l’automobile può essere un piccolo segnale di questo cambio di mentalità. L’auto che avete usato va bene per chi ha una percorrenza quotidiana di 40-50 chilometri e in quel caso può girare solo l’elettrico. Tutte le volte in cui invece deve affrontare un viaggio come nel vostro caso, potrà andare a benzina utilizzando la modalità ibrida.

Nei tratti cittadini, qui al Quartier Tappa di Bergamo, si andava solo in elettrico
Nei tratti cittadini, qui al Quartier Tappa di Bergamo, si andava solo in elettrico

«Noi che abbiamo superato i trent’anni da un po’ – sorride Ciavatta, titolare di Marcar Rimini – siamo abituati a sentire il rumore del motore e a viaggiare abbattendo i tempi. ll criterio oggi è quasi una sfida con se stessi, cercando di capire quanti chilometri si possono fare in elettrico o consumando di meno. Sicuramente però c’è ancora un po’ di incertezza, legata al fatto che la rete di impianti di ricarica in Italia è ancora estremamente limitata. Questo è sicuramente un freno importante alla diffusione della macchina elettrica. Ci si aspetta molto dalla costruzione di una fabbrica di batterie a Parigi, da parte di Opel, Stellantis, Peugeot e Mercedes, per produrne a costi più contenuti e superiore autonomia». 

La piazza dei social

E poi c’è il racconto dell’auto al Giro. Averla ci ha permesso di viaggiare in comodità, fornirla ha dato a Marcar Rimini la visibilità derivante dall’operazione stessa. Quando conta per un grande concessionario di auto essere presente sui social di un web magazine come bici.PRO?

Solo poche auto ammesse al traguardo delle Tre Cime di Lavaredo: la sala stampa era infatti a Misurina
Solo poche auto ammesse al traguardo delle Tre Cime di Lavaredo: la sala stampa era infatti a Misurina

«Come persone – sorride Ciavatta – siamo tutti abituati a informarci: sui giornali, in televisione, ma anche sui social media. Quello che ci insegnano è essere presenti dovunque ci sia gente. Se c’è una festa popolare, noi dobbiamo portarci le macchine. Se c’è una manifestazione e abbiamo le macchine lì, la gente ci vede. E se la gente oggi frequenta le piazze virtuali, è bene che siamo anche lì. Chiaramente non si può essere dappertutto, bisogna scegliere i luoghi frequentati dal nostro target di clientela. In questo caso, l’operazione fatta con bici.PRO è stata un’azione di branding. Affinché il popolo del Giro dicesse: “Guarda questi qui di Rimini, che si sono abbinati al Giro d’Italia con bici.PRO”. Non è servito per vendere la macchina, ma per farla vedere e far conoscere noi. E il Giro d’Italia resta un’ottima vetrina…».

Marcar Opel Rimini

Casa Ineos, con Puccio nella notte maledetta del Lussari

02.06.2023
6 min
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Sabato sera, Monte Lussari alle spalle. Mentre nell’hotel della Jumbo-Visma si brinda alla rimonta di Roglic (leggere il racconto di Affini), in quello della Ineos Grenadiers l’atmosfera è meno allegra. Il sogno dei ragazzi di Tosatto si è sbriciolato contro la montagna friulana. Tre chilometri di difficoltà dopo tre settimane perfette e la maglia rosa di Thomas è svanita (in apertura il gallese in un’immagine da Instagram/Ineos Grenadiers).

Hanno lavorato più di quello che potevano. E se De Plus e Arensman hanno fatto gli straordinari in salita, Swift e Puccio si sono messi la squadra sulle spalle in pianura. E quando si staccavano in salita, poi si affrettavano a rientrare per aiutare nei tratti successivi. L’umbro racconta.

Salvatore Puccio è del 1989 e aveva già vinto tre Giri con la Ineos
Salvatore Puccio è del 1989 e aveva già vinto tre Giri con la Ineos
Che serata è stata?

Siamo arrivati all’hotel di Udine e abbiamo aspettato Thomas, perché era rimasto indietro per l’antidoping e le interviste. Quando è arrivato, non abbiamo fatto una cena da fine Giro. Non c’era nulla da festeggiare. C’era amarezza, abbiamo bevuto qualche birra, ma eravamo tutti dispiaciuti.

Non pensavate che Roglic potesse ribaltare la situazione?

Si era messa bene. Eravamo in cinque e abbiamo fatto l’ultima settimana dando l’anima. Ci siamo uniti anche di più. Il gruppo c’era dall’inizio, si era creato a Sierra Nevada. Quando poi siamo rimasti in cinque, ci siamo spezzati per aiutarci l’uno con l’altro. Swift e io abbiamo tirato fino alla morte per non lasciarli scoperti, ma quel giorno Roglic è stato più forte.

Forte Roglic oppure è calato Thomas?

Geraint non è andato piano, perché comunque ad Almeida ha dato lo stesso distacco di tutta la settimana. E’ stato Roglic che è andato fortissimo, ha fatto un cambiamento incredibile. Quando lo guardavamo in tivù, lui sembrava agile, mentre “G è sempre andato più duro. Nei primi intermedi erano lì, quasi con gli stessi distacchi. Invece dal momento in cui ha avuto quel problema, Roglic ha fatto qualcosa che non ci aspettavamo.

La maglia rosa di Thomas è volata via per 3 chilometri di fatica nel finale della cronoscalata
La maglia rosa di Thomas è volata via per 3 chilometri di fatica nel finale della cronoscalata
Anche lui ha raccontato di aver cambiato passo…

Si è visto subito che quando è ripartito aveva una pedalata pazzesca. E’ ripartito come quando uno non ha più nulla da perdere: «Ormai ho perso tutto, vado a tutta. E se salto, salto!». Secondo me quel problema meccanico in qualche modo l’ha aiutato.

Roglic ha aumentato e Thomas intanto calava. Sai se è riuscito a mangiare quel gel per il quale ha rischiato di cadere?

Lo ha mangiato, solo che quella salita era tanto dura per le sue caratteristiche. E poi col fatto che va sempre duro, su quel cemento a righe orizzontali, ha pagato pegno. Se fosse stato su asfalto, si sarebbe salvato. Ma su quelle righe sottili, se vai duro non rendi. Secondo me è stato anche quello.

E’ stato difficile gestire il Giro essendo soltanto in cinque?

Quando siamo rimasti in pochi, qualcuno un po’ emotivo ha iniziato ad agitarsi. Ma gli abbiamo detto: «Tranquilli ragazzi, perché ormai iniziano le varie dinamiche della gara». C’era chi attaccava e chi doveva difendere la posizione. Roglic non avrebbe mai attaccato da lontano. Sarebbe stato preoccupante se la Jumbo avesse avuto un uomo in classifica a due minuti.

Arensman e De Plus son stati due giganti sulle montagne per Thomas
Arensman e De Plus son stati due giganti sulle montagne per Thomas
Perché?

Perché quello ci avrebbe costretto a muoverci presto e Swift ed io saremmo saltati subito. Ma quando iniziano i meccanismi per coprire i vari piazzamenti, la corsa si guida quasi da sola.

Pensavi che De Plus e Arensman fossero così forti?

De Plus negli ultimi due anni ha avuto dei problemi, un virus se non sbaglio, per cui non riusciva neanche a finire le gare. Però quando era alla Jumbo e prima alla Quick Step, aveva questi numeri. E’ stato una bella riscoperta. Ha iniziato a mettersi in mostra dall’inizio, poi al Tour of the Alps è venuto fuori fortissimo. E’ un tipo che si butta giù, quindi appena ha visto i primi risultati positivi, ha preso fiducia. Al momento dei ritiro di Tao, ne avevamo cinque fra i primi dieci.

A te è toccato ancora il ruolo di regista?

L’ho condiviso con Swift. Io conosco un po’ meglio i percorsi in Italia, lui è più esperto. Il solo giovane era Arensman. Per il resto avevamo già corso diversi Giri e ognuno sapeva cosa fare. Le dinamiche sono quelle, c’è poco da dire. Se la gamba è buona, non ci sono problemi.

A Roma, la stretta di mano fra Thomas e Roglic: due buoni amici anche nella vita fuori dalla bici (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
A Roma, la stretta di mano fra Thomas e Roglic: due buoni amici anche nella vita fuori dalla bici (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Immaginavi che Thomas potesse giocarsi il Giro?

E’ stata una sorpresa, perché a inizio anno ha avuto dei problemi. Però ricordo che quando arrivò secondo nel Tour di Bernal, era sempre per terra nelle gare prima e non era riuscito a finirne una. Poi andò al Tour e arrivò secondo. Quando hai talento, è tutto più facile. Se io non mi alleno per qualche giorno, vado giù, a loro basta meno. Ci sono due categorie: i fenomeni e noi operai. I primi sono nati per andare in bici, gli altri devono soffrire per arrivare a un certo livello.

Anche il vostro è comunque un livello altissimo: ci sono varie gradazioni nell’essere fenomeni.

Ognuno ha il suo ruolo, la sua posizione, è vero. Le squadre piccole soffrono ancora di più, però poi ci sono questi 10 più forti, che corrono in un’altra categoria.

Quanto era giù Thomas?

Secondo me era dispiaciuto più per noi che per sé. Era triste, chiaramente, ma gli è dispiaciuto di non essere riuscito a farci un regalo dopo tutto il lavoro che ci ha visto fare. Ho avuto questa impressione e sicuramente se la porterà dentro.

Comunque sia finita, sono arrivati a Roma. Con il caldo che c’era, una birra ha riportato il sorriso (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Comunque sia finita, sono arrivati a Roma. Con il caldo che c’era, una birra ha riportato il sorriso (foto Instagram/Ineos Grenadiers)
Prima di finire, cosa pensi dell’aiuto dato da Thomas a Cavendish l’ultimo giorno?

Ha fatto tutto lui. Eravamo lì in fila, perché lo abbiamo scortato fino ai meno 3 dall’arrivo. “Cav” ogni giorno veniva da noi e ci motivava: «Mi raccomando – ci diceva – aiutatelo a vincere». Sono amici da una vita e forse Thomas a Roma si è accorto che Mark aveva un solo compagno, gli ha fatto cenno e poi ha fatto quella menata per rimanere davanti. E’ stato un bel gesto. In qualche modo gli ha permesso di viversi Roma da vincitore anche lui, su quel percorso bellissimo. Questa volta l’hanno disegnato davvero bene.

Giù dal Lussari, in cabinovia con Prodhomme

01.06.2023
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MONTE LUSSARI – Incontri in cabinovia. Le ombre sono lunghe ormai sul Lussari. Nicolas Prodhomme è avvolto nella sua mantellina a maniche lunghe mentre sta per scendere dalla vetta. Cammina in una corsia preferenziale che l’organizzazione ha lasciato agli addetti ai lavori per scendere a valle sull’impianto a fune.

E noi siamo con lui e il suo massaggiatore e osteopata, Ugo Demaria. La discesa diventa l’occasione per fare una chiacchierata.

Per il francese delle buone prestazioni, tanto più se si considera che ad inizio stagione si era fermato un mese per un infortunio
Per il francese delle buone prestazioni, tanto più se si considera che ad inizio stagione si era fermato un mese per un infortunio

Ag2r promossa

Nicolas si è attardato. Sorteggiato per l’antidoping, la pipì proprio non voleva uscire. Mentre cammina verso la telecabina, il francese si gode qualche applauso del pubblico ancora inebriato dalla vittoria di Primoz Roglic. Noi lo aiutiamo a scendere una rampa sui sassi per raggiungere la stazione a monte: camminare sul quel terreno con scarpini e tacchette non è affatto facile. Prodhomme si appoggia al nostro braccio. È un simpatico modo per rompere il ghiaccio.

«Sono contento del mio e del nostro Giro d’Italia – racconta il corridore dell’Ag2R-Citroen – abbiamo disputato una corsa sempre all’attacco. E soprattutto abbiamo ottenuto un’ottima vittoria con Aurelien Paret-Peintre a Lago Laceno. In qualche modo abbiamo cercato di sostenerlo per la classifica (prima che ne uscisse dopo il Bondone, ndr), ma abbiamo sempre avuto la nostra libertà».

Intanto Ugo Demaria seduto di fronte a noi ammette e che in effetti questo Giro d’Italia è stato davvero buono per la loro squadra.

«In tanti anni che veniamo – dice il massaggiatore – forse è stato il migliore dei nostri Giri. Ci siamo presentati con una squadra giovane e i ragazzi sono sempre stati protagonisti. Dispiace tanto, ma proprio tanto per Andrea Vendrame».

Nicolas Prodhomme (classe 1997) e il suo massaggiatore Ugo Demaria durante il ritorno a valle in cabinovia

Prodhomme l’attaccante 

Prodhomme viene dal Nord della Francia. Ha iniziato a correre da bambino. Ha vinto la prima gara cui ha partecipato.

«Me la ricordo bene: l’ho vinta – aggiunge con quel suo sorriso un po’ timido – ma poco dopo mi hanno squalificato per una manovra non corretta col manubrio. Avevo alzato le braccia troppo presto… e io non lo sapevo».

Che tipo di corridore sia oggi Prodhomme, parecchi anni dopo quel primo successo, forse non lo sa bene neanche lui. Scalatore? Passista? Di certo quando la strada sale se la cava molto bene ed è un attaccante, come molti suoi connazionali del resto. Nel 2019 ha vinto la Piccola Sanremo di Sovizzo e sempre in quell’anno il Gp delle Nazioni. In questo Giro è stato in avanscoperta nel diluvio di Cassano Magnago e anche verso le Tre Cime di Lavaredo.

Intanto il viaggio in cabinovia scorre veloce e più che un’intervista si tratta di una chiacchierata. Si parla della sua BMC, di cui Prodhomme esalta le doti e l’equilibrio del telaio, del gruppo. Della pioggia presa.

Prodhomme è arrivato a Roma con quattro compagni. Per lui era il quarto grande Giro: nel sacco due Giri e due Vuelta (foto Instagram)
Prodhomme è arrivato a Roma con quattro compagni. Per lui era il quarto grande Giro: nel sacco due Giri e due Vuelta (foto Instagram)

Basta pasta!

Nicolas racconta che in gruppo tra di loro i pro’ parlano spesso di telai, di materiali… E che l’aspetto tecnico in generale è un tema molto sentito. Dice che questo era il suo secondo Giro d’Italia e che venire da noi è sempre un piacere.

«Bei percorsi in Italia. C’è tanto pubblico… Quest’anno il Giro è stato particolare. Il momento più favorevole per me è stato il finale. Mi sono sentito bene col sole su queste salite. Gli ultimi giorni da quando è migliorato il meteo è stato bello. Mentre i momenti più duri ci sono stati nella parte centrale con tutta quella pioggia».

Ecco Tarvisio. Le porte della cabinovia si aprono. Nicolas si prende di nuovo gli applausi dei tifosi nella stazione a valle. Cammina tra due ali di folla. Adesso un’ammiraglia porterà lui e Demaria in hotel, in attesa del volo verso Roma di domattina. 

«Sarà bello pedalare a Roma – dice il francese – ho il volo di ritorno lunedì alle 16». Nicolas avrà quindi un po’ di tempo per fare il turista. Gli consigliamo dunque una pasta all’amatriciana o una cacio e pepe, tipiche della cucina romana. Ma lui replica: «No, no… basta pasta, ne abbiamo mangiata sin troppa in questo Giro. Meglio una pizza!».

Cavendish, Thomas e gli amici: il punto di Guarnieri

01.06.2023
5 min
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«Well, if I couldn’t win, I thought I might as well try and help an old mate out. Call it an early retirement pressie, Mark Cavendish. Chapeau mate»

Questo post di Geraint Thomas su Instagram, completato dalla foto che vedete in apertura, è stato il suo modo di salutare l’amico Cavendish alla fine del Giro. Bene – dice il gallese – visto che non potevo vincere io, ho pensato che avrei ugualmente potuto aiutare un vecchio amico. Consideralo un regalo anticipato per la pensione. Complimenti, amico.

Il gesto più bello del Giro, certe cose te le aspetti solo nei film. Venivamo già dalla spinta a Roglic da parte dell’amico ritrovato sulla strada, per cui quando nell’ultima tappa del Giro abbiamo visto Thomas lanciare Cavendish nella volata, qualche brivido c’è venuto. Thomas che aveva appena perso la maglia rosa e Cavendish pieno di dubbi per lo sprint smarrito.

Van der Poel che manda a Pogacar un messaggio con le dritte per vincere l’Amstel. Il giovane Enric Mas che tira per il suo mentore Contador nel giorno della sua ultima vittoria sull’Angliru. Corridori di squadre diverse che si aiutano fra loro. Ne parliamo con Jacopo Guarnieri, un uomo che non ha mai smesso di farsi domande e di approfondire gli aspetti meno evidenti di uno sport che corre così veloce da far passare inosservati i piccoli gesti. 

Guarnieri, qui con Mosca, è alla Lotto-Dstny da quest’anno
Guarnieri, qui con Mosca, è alla Lotto-Dstny da quest’anno

Caleb vince ancora

Jacopo è tornato dal Belgio, dove finalmente ha scortato Caleb Ewan alla prima vittoria. Da ultimo uomo, il piacentino si è ritrovato a fare il penultimo e a scandire i tempi dello sprint. Visti anche gli anni che passano, non dover più sgomitare come un kamikaze non lo disturba. Dopo gli ultimi due anni sotto tono, il piccolo tasmaniano si era messo a fare tutto da solo, mentre da poche settimane il meccanismo del treno ha preso a funzionare. Così sabato ha vinto la Van Merksteijn Fences Classic davanti a Merlier. Lunedì invece è arrivato secondo, con una foratura agli ultimi 6 chilometri, dalla quale è rientrato come un missile.

Ma veniamo al dunque, Jacopo: che cosa hai pensato vedendo il gesto di Thomas?

E’ stato super bello. Thomas si è trovato davanti, perché lo hanno portato ai 3 chilometri per salvaguardare il secondo posto. E quando ha visto Cav, si è detto: «Vabbè, diamogli una mano». Secondo me sono cose che succedono molto più spesso di quello che magari si è potuto notare al Giro. Questa cosa è stata evidente soprattutto perché Mark ha vinto, aiutato dal secondo in classifica generale. 

Sabato nella Van Merksteijn Fences Classic è arrivata la vittoria per Caleb Ewan (foto Cor Vos)
Sabato nella Van Merksteijn Fences Classic è arrivata la vittoria per Caleb Ewan (foto Cor Vos)
Succedono davvero così spesso?

Sono gesti possibili nei contesti dove non ci sono interessi che vanno a collidere. La Ineos non aveva velocista, oltretutto era anche l’ultima tappa, quindi cascava proprio a pennello. “G” si è ritrovato secondo me nella posizione giusta per dargli una mano e l’ha fatto ben volentieri

A te è capitato mai di aiutare uno di un’altra squadra perché era tuo amico?

Capita ai campionati italiani, visto che comunque i percorsi non sono mai particolarmente simpatici per noi velocisti. Visto che spesso sono l’unico atleta della mia squadra, perché sono da tanti anni all’estero, mi capita di appoggiarmi a qualche altro team. Ad esempio, a Imola 2020 mi ero organizzato con la Bahrain di Colbrelli. Durante la corsa sono andato più volte a prendergli le borracce. A Sonny e anche a Damiano Caruso. C’era Milan che tirava e così ne ho prese un paio per tutti. Non è che Sony abbia vinto perché gli ho dato le borracce, però mi venne spontaneo farlo in quel contesto di amici. C’era anche Eros Capecchi, fu naturale dargli una mano. Una volta invece mi aiutò Luis Leon Sanchez…

In quale corsa?

Una tappa del Tour 2016 che arrivava in Normandia e vinse Cav. Se non ricordo male, c’era la maglia gialla in ballo e io ero da solo a fare il treno per Kristoff. Quelle fasi dai meno 30 ai meno 5, dove praticamente sei in una linea unica: dalle telecamere sembra non succeda nulla, invece è battaglia. E Sanchez fece per me la stessa cosa. Mi fece segno di stargli a ruota e mi portò tranquillamente fino ai meno 5. Lui non aveva uomini di classifica o velocisti. Se non hai niente da perdere è uno scambio che fai molto volentieri e non solo verso chi vince. Un’altra volta a un Eneco Tour c’era Felline che combatteva per una posizione buona. Io sapevo che poco dopo mi sarei staccato e allora l’ho riportato su. Insomma, a volte sono gesti meno plateali, però capitano molto spesso.

Vuelta 2017, Mas aiuta Contador che sull’Angliru vincerà la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Vuelta 2017, Mas aiuta Contador che sull’Angliru vincerà la sua ultima corsa (foto Getty Images)
Alla base deve esserci stima?

Assolutamente. Lo fai per una persona per cui hai stima e amicizia e in questo fra italiani ci aiutiamo spesso, perché siamo un bel gruppo. Generalmente siamo molto uniti ed è una cosa che si nota molto spesso quando andiamo a fare le corse con la nazionale. Non a caso Thomas e Cavendish hanno la stessa nazionalità e si conoscono da una vita.

Nei treni c’è spazio per l’amicizia?

Ci sono corridori di cui hai rispetto, nei confronti dei quali sei corretto. Di recente, in una corsa vinta da Groenewegen, c’era Moschetti da solo. Mi è bastato chiamarlo un paio di volte e mi ha lasciato passare per seguire il treno. A volte è un bel gesto anche lasciare… la porta aperta, è una forma di aiuto.

Al prossimo Tour, se Ewan fosse fuori gioco, aiuteresti Demare?

Più che altro non gli farei dei torti, non di proposito. In questi contesti, può capitare di mettersi a lato, sapendo che l’avversario è lì. Ti piazzi e non ti sposti, perché almeno gli hai bloccato la volata. Queste cose non si dovrebbero fare, ma sicuramente capitano con corridori che non stimi. Invece il rispetto, quello c’è per tutti.

Cuore e gambe, ma contano anche le scelte dei rapporti

31.05.2023
6 min
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Al termine del Giro d’Italia siamo entrati nel dettaglio delle biciclette da salita e delle relative scelte tecniche, quelle utilizzate dai protagonisti. Ora cerchiamo di analizzare gli sviluppi metrici dei rapporti più utilizzati dai pro’ sulle strade della corsa rosa.

Cuore e testa, gambe e polmoni. Carattere, forza e determinazione e quella fame di vittoria, sono i primi aspetti che appartengono ad un campione, ma non è solo questo. Oggi le scelte tecniche a disposizione degli atleti sono tante e possono diventare l’ago della bilancia, ma è importante adattarle in maniera ottimale alle proprie esigenze.

La S5 usata da Roglic a Roma, la trasmissione è la stessa usata da Van Aert alla Sanremo 2023
La S5 usata da Roglic a Roma, la trasmissione è la stessa usata da Van Aert alla Sanremo 2023

Scelte tecniche? Tante variabili in gioco

Abbiamo analizzato le scelte tecniche dei protagonisti che si sono dati battaglia sulle ultime e più importanti ascese del Giro. Abbiamo fatto una sorta di sovrapposizione dei rapporti (e relativi sviluppi metrici) dei gruppi Shimano e Sram, i due players principali che tecnicamente si sono contesi il podio.

Prima di entrare nel dettaglio è utile sottolineare ancora una volta che, il Giro d’Italia 2023 verrà anche ricordato come la prima corsa a tappe dove tanti corridori (non solo una cerchia ristretta) hanno utilizzato la monocorona per le prove contro il tempo. Si sono visti dei “padelloni” da 60 e 62 denti (le prove con le corone da 64 denti sono già in atto). Una trasmissione gravel con la monocorona vince una frazione con l’arrivo in salita (l’ultima cronometro del sabato con il traguardo posto sul Monte Lussari). Non solo in salita però, dato che durante l’ultima frazione a Roma, Roglic ha usato una Cervélo S5 con monocorona anteriore e 12 rapporti posteriori.

Che piaccia o pure no, la corsa rosa di quest’anno è stata molto ricca sotto il profilo tecnico e tecnologico, un fattore che è destinato a far cambiare le convinzioni e le scelte in ottica futura, anche da parte delle stesse aziende che forniscono i materiali ai team.

Shimano e Sram a confronto

Abbiamo cercato di fare una sorta di confronto tra i rapporti più utilizzati in vista delle salite, considerando gli sviluppi metrici con il valore standard relativo al diametro delle ruote e i tubeless da 28 (quelli più usati in gruppo).

I pignoni più usati in salita partono dal 17, fino al 34 per i corridori Shimano, 33 e 36 per quelli Sram. Il pignone più grande talvolta non è neppure preso in considerazione (crisi a parte), perché la differenza viene fatta con il nono, decimo e l’undicesimo, grazie ad un compromesso ottimale tra sviluppo metrico, agilità e linea della catena. Inoltre i corridori Shimano hanno utilizzato il plateau anteriore 54-40, mentre gli atleti Sram hanno usato le corone 52-39 (scalata del Monte Lussari a parte).

I pignoni Shimano con scala 11-34 possono contare sul pignone da 30 (il penultimo), molto utilizzato con il 40, ma anche con il 54. Un incrocio poco ortodosso quest’ultimo, ma parecchio sfruttato con pendenze al di sotto del 6-7 per cento e nelle fasi di attacco alla salita. 17, 19, 21 e 24, 27 e 30, con sviluppi metrici per pedalata rispettivamente di 4,943, 4,423 e 4,002, 3,501, 3,112 e 2,801 metri.

Per i corridori che hanno utilizzato Sram (con la corona interna da 39) la scala dei rapporti è identica per i primi 4 pignoni, ovvero 17 e 19, 21 e 24 (con degli sviluppi metrici leggermente inferiori per via della corona da 39 denti), ma prevede il 28 invece del 27, con un “salto” importante per passare direttamente all’ultimo rapporto con 33 denti (pignoni Red). Lo sviluppo metrico della combinazione 39×28 è di 2,926 metri.

Le sovrapposizioni di Sram

Se analizziamo ogni singola combinazione, notiamo che le due trasmissioni sono piuttosto equilibrate negli sviluppi metrici, con differenze che oscillano tra i 40 e 50 centimetri, da un pignone a quello successivo. Nella logica dello scalatore, la presenza del 30 può essere un vantaggio, da sfruttare con la corona interna e con la catena sul 54. L’incrocio della catena 54×30 (Shimano) ha sviluppo metrico di 3,782 metri e non si sovrappone a nessuna delle combinazioni utilizzate con la corona da 40. L’incrocio 52×28 (Sram) sviluppa 3,901 metri, un valore identico alla combinazione 39/21 e di fatto si perde un’altro rapporto da sfruttare nelle condizioni di prestazioni massimizzate.

Un’altra sovrapposizione Sram, sempre considerando gli sviluppi metrici, si nota con l’utilizzo della scala pignoni 10-36, utilizzata da Roglic (con la doppia corona 52-39), che però ha come penultimo rapporto il 32. Infatti, con il 52 davanti ed il 32 dietro si ottengono 3,414 metri di sviluppo a terra, lo stesso della combinazione 39×24. La cassetta pignoni con il 32 è molto vantaggiosa sulle salite lunghe e con tratti ben oltre il 10 per cento, grazie ad uno sviluppo di 2,560 metri.

Monocorona e tutto cambia

Il capitano della Jumbo-Visma, per la scalata alle Tre Cime di Lavaredo (immagine di apertura) ha utilizzato una Cervélo R5 preparata con la trasmissione XPLR (10-44 posteriore) e monocorona anteriore da 42 denti, la stessa utilizzata il giorno successivo per la scalata al Monte Lussari.

Prendendo in considerazione gli ultimi 5 pignoni notiamo una scala progressiva: 24 e 28, 32 e 38, per poi arrivare al 44 come ultimo: 3,640 e 3,120, 2,730 e 2,299, sono i rispettivi sviluppi metrici con le ruote adottate da Roglic (considerando anche le gomme da 25), senza dimenticare lo sviluppo metrico dell’ultima combinazione (42×44) di 1,985. Volendo fare un raffronto con l’ultima combinazione che aveva a disposizione Thomas, 34×34, il gallese poteva contare su uno sviluppo di 2,101 metri (con i tubeless da 28), maggiore di soli 11 centimetri rispetto allo sloveno.

Le scelte tecniche hanno influenzato il risultato finale? La risposta è si. Roglic ha utilizzato dei rapporti con uno sviluppo metrico inferiore (quindi per ogni singola pedalata percorreva meno strada). Il vincitore della maglia rosa, nel corso delle tappe più dure, ha avuto maggiori possibilità di sfruttare il suo modo di pedalare, molto più agile rispetto a Thomas, Almeida ed tutti gli altri, aumentando così la strada percorsa in un tempo più breve. Sull’ascesa al Monte Lussari, Roglic ha fatto segnare un valore medio di poco superiore alle 90 rpm, Thomas di poco superiore alle 80. Centimetri che sono diventati metri, non molti, ma che sono stati tradotti in quei 14 secondi finali. E proprio una strategia adeguata alle caratteristiche del corridore nelle scelte tecniche potrebbe aver fatto la differenza.

Pinot a Roma, un lungo viaggio iniziato 5 anni fa

30.05.2023
5 min
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ROMA – L’ultimo ricordo era il ritiro del 2018. Froome aveva spiccato il volo sul Colle delle Finestre per scrivere la storia del Giro d’Italia, Pinot arrivò terzo. L’indomani nella tappa di Cervinia sprofondò invece in una terribile disidratazione. Lo caricarono sull’ambulanza e lo ricoverarono all’ospedale di Aosta, con la febbre a 40 e conati di vomito. Il giorno dopo li attendeva l’ultima tappa a Roma, ma il francese rimase in Val d’Aosta. Quell’anno gli riuscì poi di vincere due tappe alla Vuelta, la Milano-Torino e poi anche il Lombardia, ma la ferita del Giro è rimasta aperta. Per questo è tornato nel suo ultimo anno di carriera: voleva chiudere il cerchio.

Finalmente sorridente. Pinot ha concluso il Giro e preso la maglia dei GPM. E’ mancata solo la vittoria di tappa
Finalmente sorridente. Pinot ha concluso il Giro e preso la maglia dei GPM. E’ mancata solo la vittoria di tappa

Ritorno al Giro

Ce lo aveva detto la sera della partenza da Pescara, elencando i quattro obiettivi per cui era tornato in Italia: una tappa, la maglia dei gran premi della montagna, stare bene e finalmente l’arrivo a Roma.

«E’ stato un Giro con tante emozioni – ha raccontato invece domenica ai piedi del podio finale – in cui volevo fare bene. L’ultima immagine che la gente aveva di me al Giro era il mio abbandono il giorno prima di Roma. Questa volta, ho fatto davvero quello che dovevo fare. Sono venuto qui per concludere bene la mia storia con il Giro e l’ho fatto come meglio potevo. Mi è mancata solo una vittoria di tappa, che avrebbe reso perfetto questo Giro, ma sono davvero contento. Volevo solo godermi quello che stavo facendo e penso di esserci riuscito. Mi resta ancora qualche mese per chiudere la mia carriera in bellezza, ma il Giro era uno dei miei obiettivi. E penso di averlo centrato».

Giro 2018, 20ª tappa: Pinot scortato dai compagni arriva a Cervinia disidratato: Finirà all’ospedale
Giro 2018, 20ª tappa: Pinot scortato dai compagni arriva a Cervinia disidratato: Finirà all’ospedale

E’ stato un Giro di grandi gambe per lo scalatore di Melisey, la cittadina di 1.700 abitanti di cui suo padre è ancora sindaco, ma anche di grandi beffe. Il secondo posto dietro Zana a Val di Zoldo, ma soprattutto quello dietro Einer Rubio a Crans Montana hanno un sapore ancora piuttosto forte: soprattutto quest’ultimo, con la stizza nei confronti della condotta di Cepeda che gli ha fatto perdere la ragione e la tappa.

Cosa ricordi di Crans Montana?

Non dovevo andare in fuga quel giorno, ma quando hanno ridotto la tappa a così pochi chilometri, mi sono detto che non potevo stare ad aspettare. Non avevo voglia di restare nel gruppo e avrei provato di tutto.

Che cosa ti dicevi con Cepeda?

Non abbiamo fatto grandi discorsi. Gli ho solo detto che se non avessi vinto io, non avrebbe vinto neanche lui. La sua scusa era quella di difendere la classifica di Hugh Carthy, che per me era del tutto assurdo. E così non ha dato un solo cambio, ma mi ha fregato. Se non ci fossi stato io ad animare la fuga, neppure lui avrebbe potuto giocarsi la tappa. Non riesco ancora a capire come si possa pensare in questo modo.

Crans Montana, Pinot con Cepeda e Rubio. Vincerà il colombiano della Movistar
Crans Montana, Pinot con Cepeda e Rubio. Vincerà il colombiano della Movistar
Purtroppo però hai perso lucidità…

Ho perso le staffe, ero furibondo ed è stato un errore. Davvero facevo fatica a mantenere la calma davanti a quel comportamento. Ho fatto sette scatti, che sono serviti anche a non farci riprendere. Non avevo tempo da perdere, perché ero in classifica e sapevo che la Ineos non mi avrebbe dato molto spazio. Se non ci fossi stato io, la fuga avrebbe preso 10 minuti, quindi toccava a me tenerla viva. Su questo non ci sono stati problemi, ho fatto il mio lavoro.

Quella rabbia almeno è diventata motivazione?

Io voglio correre, non perdere tempo in certe discussioni. Però è vero che è scattato qualcosa che ho portato con me sino alla fine del Giro. Non volevo altri rimpianti.

Volata di Zoldo Alto, Pinot contro Zana. Il francese parte troppo lungo e il tricolore lo infilza
Volata di Zoldo Alto, Pinot contro Zana. Il francese parte troppo lungo e il tricolore lo infilza
Hai dovuto lottare anche con la salute?

Ero sicuro che avrei avuto altre possibilità per provare una tappa, ma nel secondo riposo sono stato male. La pioggia si è fatta sentire, sapevo che mi sarei ammalato e tutto sommato che questo sia accaduto quel giorno mi ha permesso di salvare il Giro. Martedì verso il Bondone ho passato l’inferno, mercoledì mi sentivo meglio e giovedì per Val di Zoldo ero a posto

A posto sì, ma è arrivato un altro secondo posto. Che cosa hai pensato?

Ho messo nei pedali tutto quello che avevo. Ho perso allo sprint, perché l’ho lanciato da troppo lontano. Ha vinto il più forte, io ho avuto una buona giornata, ma non avrei mai creduto di poter essere lì a giocarmi una tappa così dura. Sapevo che il finale era piuttosto piatto. Ho avuto pensieri negativi, ricordando Crans Montana. Se avessi creduto di più in me stesso, forse non avrei sbagliato.

Nono alle Tre Cime di Lavaredo: Pinot arriva appena dietro al gruppetto di Caruso e Almeida
Nono alle Tre Cime di Lavaredo: Pinot arriva appena dietro al gruppetto di Caruso e Almeida
Un altro duro colpo?

Ero deluso. Le opportunità di vincere sono rare e io ne ho perse due, anche se rispetto a Crans Montana mi sono divertito di più e ho meno rimpianti. Se fossi stato davvero il più forte sarei arrivato da solo, Zana ha meritato di vincere.

Per contro, quel giorno è arrivata la maglia dei GPM.

Grazie alla quale sono riuscito a salire sul podio finale del Giro. Non sarà quello della classifica generale, ma è stata comunque una bella immagine che porterò con me. Ho vissuto questo Giro con molto meno stress di qualche anno fa. Me lo sono goduto più di altri grandi Giri, dove avevo la grande pressione per i risultati che alla fine si è sempre ritorta contro. Manca solo la vittoria di tappa, ma questa maglia è il premio per un Giro da attaccante. Quello che volevo. Quello che ancora mi mancava.

Roglic e Meznar, l’amico ritrovato sul ciglio della strada

30.05.2023
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«Che dici, Matevz, andiamo a vedere Rogla?». E’ mattina presto a casa di Mitja Meznar e l’idea ha fatto capolino appena sveglio. Chiama il suo amico Matevz Sparovec e gli suggerisce di fare quel tratto di strada, lungo ma neanche poi tanto, per andare a vedere Primoz Roglic, nel suo assalto alla maglia rosa sull’aspra salita del Monte Lussari.

Mitja è un tifoso di Roglic, ma non come gli altri. Perché lui lo conosce, lo conosce bene. Erano nella stessa squadra nazionale junior di salto con gli sci, quella che proprio poco lontano da Tarvisio, sede della penultima tappa del Giro d’Italia, conquistò il titolo mondiale di categoria. Era il 2007 (foto di apertura).

Al bar, il Tour aspetta…

Roglic, non andò oltre quel trionfo: prima l’infortunio, poi le sirene del ciclismo. Mitja no, lui ha continuato: è approdato nella nazionale maggiore, è andato alle Olimpiadi di Vancouver nel 2010 e ha chiuso quinto a squadre e 29° nell’individuale. Ma le loro strade si erano forzatamente divise.

Eppure erano amici, addirittura compagni di stanza. «Primoz era un saltatore molto determinato – ricorda Meznar – ma lo faceva quasi come un dovere. Non era quella la sua passione. Quand’eravamo in ritiro estivo per preparare la stagione, al pomeriggio mi trascinava fuori dalla camera, prendevamo le bici e cercavamo il bar più vicino perché doveva guardare il Tour de France. E mentre eravamo lì, ecco che tirava giù esempi, regole, tattiche, vita di gruppo. Era un fiume in piena, un fiume di passione».

Il ricordo del 2020

Poi la vita li aveva un po’ separati. Solo un po’, perché i contatti non si sono mai persi: troppe esperienze condivise. L’occasione di ritrovarlo, anche se solo per il breve battito di ciglia del suo passaggio sulla strada, era troppo ghiotta. Qualche ora di macchina e poi via a cercare un posto buono, per sé e per Matevz.

I due si separano, un paio di centinaia di metri, ognuno cerca la prospettiva migliore per scattare le foto con il proprio smartphone. Primoz arriva, le prime notizie dicono che sta già recuperando quei 26” di ritardo da Thomas. Si avvicina, si avvicina sempre più. Poi si ferma, scende di bici e comincia a smanettare: «No – grida Mitja – non un’altra volta». Il pensiero è a quella maledetta cronometro del Tour 2020, quella che ha lasciato fantasmi nell’animo di Primoz non del tutto dissolti neanche dalla conquista di ben tre Vuelta consecutive.

Mitja comincia a correre e vede che nel frattempo un meccanico è sceso dalla moto e ha riassestato la bici dello sloveno della Jumbo Visma. Lo spinge, ma non ha poi gran vigoria. L’amico di un tempo si mette dietro e cambia marcia. Non c’è bisogno di parole, Mitja ha un fisico possente, che risalta ancor di più in televisione per l’abbigliamento rosso e nero. Roglic riprende velocità e il suo amico gli grida dietro: «Vaiiii!».

Meznar in azione. Due volte oro mondiale junior, è stato alle Olimpiadi 2010
Meznar in azione. Due volte oro mondiale junior, è stato alle Olimpiadi 2010

Una fortunata coincidenza

Il tamtam dei social impazzisce e procede ancora più veloce di Roglic e della sua cavalcata ricominciata, di quel divario con Thomas che progressivamente si riduce fino a invertirsi. Ci vogliono pochissimi minuti per identificarlo: «Non ci credo, è come vincere cinque volte la lotteria – sentenzia Jens Voigt, commentatore di Eurosport – neanche a volerlo si poteva scrivere una sceneggiatura migliore».

Il gesto di Mitja assume contorni epici proprio perché sembra quel prezzo che il destino paga per compensare i tormenti francesi di tre anni prima. Tutti si riversano sul suo profilo Facebook, richieste su richieste. Ma lui si schermisce.

«Avrebbe vinto lo stesso – dice – non ho fatto nulla di trascendentale. In quel momento non sono stato tanto a pensare, ho fatto quel che sentivo e che so avrebbe fatto anche lui, perché lo conosco bene.

Roglic davanti ai Fori Imperiali. Il Trofeo senza Fine finalmente è suo
Roglic davanti ai Fori Imperiali. Il Trofeo senza Fine finalmente è suo

Una birra per riparlarne

«Se mi ha riconosciuto? Non penso proprio – ammette Meznar, anche se Roglic lo ha riconosciuto e ne ha parlato dopo la tappa di Roma – in quel momento l’ho guardato negli occhi ed era in trance agonistica, completamente concentrato su quel che doveva fare. Primoz se ne sarà accorto molto dopo, gli avranno fatto rivedere le immagini e magari un giorno ne rideremo insieme davanti a una birra».

Ne hanno parlato e ne hanno riso, Mitja e Matevz tornando a casa, oltreconfine: «Avrei voluto esserci il giorno della sua incoronazione a Roma ma avevo altri impegni. Quel che conta è che Rogla l’ha fatto, ora quella brutta pagina è finalmente nella storia e non ci si pensa più».

Resta però l’incredibile storia di un incontro lontano da casa, di due strade che si tornano a incrociare nel momento più importante. Certe volte si diventa semplici strumenti del fato e Mitja lo è stato, per pochi, interminabili secondi.