Insieme a Pellizotti nel (fantastico) Giro d’Italia di Tiberi

05.06.2024
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Franco Pellizotti ha smaltito le fatiche del Giro. Anche lui, che lo ha vissuto in ammiraglia, ha avuto la necessità di fermarsi un attimo prima di ripartire. Che poi a casa non è che si riposi, scherzando, prima di iniziare l’intervista ci ha detto che il “lavoro” accumulato tra le mura di casa nelle tre settimane di Giro è tanto. 

«Il Giro d’Italia – dice Pellizotti – è andato come ci eravamo prospettati a inizio maggio, quindi eravamo tutti sereni nel tornare a casa. L’obiettivo era stato raggiunto, e questo aiuta a non trascinarsi dietro il lavoro e qualche domanda. Stamattina (martedì, ndr) siamo usciti dal performance meeting settimanale, nel quale facciamo il punto delle gare e non solo. Ne avevamo fatto già uno il martedì dopo la fine del Giro per parlare della corsa rosa».

Il giorno di Oropa, Tiberi ha dimostrato di avere una grande solidità mentale
Il giorno di Oropa, Tiberi ha dimostrato di avere una grande solidità mentale
Cosa era emerso, rispetto alle prestazioni di Tiberi?

E’ stato un Giro molto positivo, in tutti i sensi. Dal punto di vista fisico Antonio ha avuto un’ottima crescita, a partire dalla Tirreno-Adriatico. Al Catalunya già pedalava bene, poi nel ritiro in altura ha lavorato e al Tour of the Alps era in ottima condizione. Il Giro è stato il coronamento di un lavoro positivo e che ha dato tanti frutti. 

Tre settimane in cui ha retto anche mentalmente…

Quello è stato il punto per cui ci ha sorpresi maggiormente. Era il suo primo Grande Giro da leader, non era facile stare concentrato e attento per tre settimane. Ha sopportato il peso della gara molto bene. 

Ve lo aspettavate?

Sì e no. Eravamo consapevoli delle sue qualità atletiche, per questo era il leader della squadra insieme a Caruso. Dal punto di vista mentale non dico che ci ha sorpresi, ma quasi. Ci ha colpiti per come è andato e come ha gestito la corsa. Soprattutto per come ha gestito la giornata di Oropa.

Un’altra risposta positiva è arrivata dalle cronometro, dove Tiberi ha tenuto dietro tanti uomini di classifica
Un’altra risposta positiva è arrivata dalle cronometro, dove Tiberi ha tenuto dietro tanti uomini di classifica
Perdere due minuti per una doppia foratura a inizio Giro può abbattere chiunque..

Lui invece non si è mai demoralizzato. Quello è stato il primo segnale positivo che ci è arrivato da Tiberi. E’ facile dire che con quei due minuti in più avrebbe potuto lottare per il podio, ma il ciclismo non è matematica. Sicuramente quella giornata negativa gli ha tirato fuori ancora più grinta. 

Aveva già fatto una Vuelta con voi, l’anno scorso.

Sì, ma non era partito con il ruolo di leader. Volevamo vedere come avrebbe gestito le tre settimane di gara, era più un test. Dal quale, devo essere sincero, siamo usciti con ottime risposte. Un ragazzo così giovane che nella terza settimana va più forte che nella prima ci ha rassicurati, tanto da puntare su di lui per il Giro di quest’anno. 

Tu ci credevi, nell’intervista prima del Giro avevi detto che avrebbe potuto curare la classifica, credevi potesse fare così bene?

Prima del Giro dire che Tiberi sarebbe potuto entrare nella top 5 sembrava una blasfemia. Invece noi ci credevamo, come eravamo sicuri che avrebbe potuto lottare per la maglia bianca

Il giovane della Bahrain Victorious è stato l’unico ad aver il coraggio di attaccare Pogacar
Il giovane della Bahrain Victorious è stato l’unico ad aver il coraggio di attaccare Pogacar
Ha reagito bene alle responsabilità.

A lui non pesa avere le incombenze da capitano, anzi ne trae maggior grinta. E’ un ragazzo giovane che sa cosa vuole. 

Cosa deve migliorare ancora?

Nella comunicazione in corsa, ma ci sta. Tiberi in gara parlava, diceva quello che avrebbe voluto fare, ma il road captain era Caruso. Damiano teneva in mano la squadra, così che Antonio si sarebbe potuto concentrare solo sulla prestazione. E’ un po’ il metodo che usavo quando correvo insieme a Nibali. Io gestivo la squadra, i dialoghi con l’ammiraglia, e Vincenzo restava concentrato solo sulla prestazione.

Un modo per alleggerire la tensione.

Esatto. Caruso era il portavoce, parlava con noi in ammiraglia e con Antonio, gestendo i compagni. 

Tiberi deve migliorare nelle giornate difficili, come a Livigno: avrebbe dovuto appoggiarsi ai compagni
Tiberi deve migliorare nelle giornate difficili, come a Livigno: avrebbe dovuto appoggiarsi ai compagni
Ci sono state situazioni che avreste potuto gestire diversamente?

Sinceramente l’unico “errore” lo ha commesso nella tappa di Livigno. Era una giornata no e lo si sapeva fin dai primi chilometri, lo sentiva. Nel finale, quando Arensman ha attaccato Tiberi ha fatto l’errore di seguirlo. In quel momento aveva ancora al suo fianco Caruso. Avrebbe dovuto mettere davanti lui e fargli fare un ritmo giusto, ma è una cosa che viene con l’esperienza. 

Il podio lo conquisti anche superando al meglio le giornate no.

Vero. Quando stai bene è tutto facile. Invece, quando sei in difficoltà devi limitare i danni. Anche perché in altri casi molti leader, nei momenti di difficoltà, mettono davanti i compagni per fare un ritmo comodo. 

Tiberi era anche al via del Delfinato, ma alla seconda tappa si è ritirato, troppe le fatiche mentali accumulate al Giro
Tiberi era anche al via del Delfinato, ma alla seconda tappa si è ritirato, troppe le fatiche mentali accumulate al Giro
In questo modo disincentivano gli attacchi.

E’ una tattica che Thomas ha usato un paio di volte. E’ una cosa che acquisisci con l’esperienza. Antonio deve imparare a guardare gli avversari e capire la loro condizione dalla pedalata o da come stanno in bici. Se impara a fare questo può capire eventuali crisi e attaccare, sfruttando il momento. 

Finito il Giro è ripartito subito per il Delfinato, come mai?

Perché a giugno ci sono diverse corse in programma e non è facile fare le squadre. Antonio fisicamente stava bene, ma mentalmente era finito. Abbiamo comunque provato a vedere come avrebbe reagito al Delfinato, ma alla seconda tappa ha terminato con il gruppetto. Così ieri (martedì, ndr) è stato richiamato a casa. Ci sta che mentalmente fosse stanco, vuoto, era comunque il suo primo Giro da leader.

EDITORIALE / Due grandi Giri per Tiberi, sicuri che serva?

03.06.2024
5 min
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Quantunque sia un campione e forse proprio per questo, Tadej Pogacar si accinge ad affrontare il secondo grande Giro nello stesso anno per la prima volta alla sesta stagione da professionista. Questa è certamente una gestione accorta e magari è alla base dei miglioramenti che lo sloveno riesce a fare ogni anno, contando su una grande freschezza atletica e una maturazione graduale. In questo, Matxin e lo staff tecnico del UAE Team Emirates non sbagliano un colpo.

Se il dubbio sulla durata delle carriere di questi giovani fenomeni riguarda l’eccesso di attività e il conseguente logorio, forse un’attività intensa ma non estenuante permetterà loro di andare avanti non tanto finché ne avranno le forze, ma finché ne avranno la testa. Se infatti chiedessimo a Pogacar cosa gli sia pesato di più del Giro d’Italia appena dominato, molto probabilmente non parlerebbe delle tappe, ma di tutto quello che vi girava attorno.

Due grandi Giri

Dall’articolo di ieri, in cui Fabio Aru commenta la maglia bianca di Tiberi, salta fuori uno spunto che non è passato inosservato. Provando con grande garbo a dare un consiglio al laziale della Bahrain Victorious, Fabio gli suggerisce di fare le cose per gradi.

«Deve avere un po’ di calma – ha detto Aru – poi logicamente ci saranno i suoi tecnici alla Bahrain Victorious a prendere sicuramente le scelte giuste: ormai le squadre sono gestite da professionisti. Io personalmente mi buttai un po’ troppo a capofitto. Già dal 2014 iniziai col fare sempre due grandi Giri ogni anno e non fu un bene. Guardiamo anche come è stato gestito Pogacar, che fino a quest’anno non ha mai fatto due grandi Giri nella stessa stagione. Giro, Tour e Vuelta sono belli, ma ti logorano. Quindi per Tiberi ci sta adesso fare il Delfinato, ma attenderei ad aggiungere il secondo Giro».

Tiberi ha corso un ottimo Giro, spendendo parecchio. E’ già in gara al Delfinato e ad agosto alla Vuelta
Tiberi ha corso un ottimo Giro, spendendo parecchio. E’ già in gara al Delfinato e ad agosto alla Vuelta

Gambe e testa

Aru, a ben vedere, corse il Giro del 2013 al primo anno da pro’ in appoggio a Nibali. L’anno successivo, a 24 anni, corse Giro e Vuelta. Stessa cosa nel 2015. Nel 2016 corse soltanto il Tour, nel 2017 Tour e Vuelta. Nel 2018, Giro e Vuelta, prima che la sua carriera iniziasse a declinare in modo piuttosto rapido.

Quei primi anni all’Astana furono frenetici, belli e anche singolari. Di fatto a partire dal 2014 nel team kazako si era creata una sorta di spaccatura fra il gruppo Nibali e il gruppo Aru. Una competizione interna che faceva pensare a un dualismo all’antica, senza considerare che si stesse parlando di due compagni di squadra. Perché spingere Aru costantemente al doppio impegno? Erano anni in cui si potevano sostenere due grandi Giri all’anno senza grandi conseguenze, oppure si spinse troppo sul gas? Nonostante la sua carriera sia iniziata ben prima del Covid, quel tipo di attività l’ha resa inaspettatamente breve. Che sia stato per logorìo mentale oppure fisico, il percorso più bello di Aru nel professionismo è durato per quattro stagioni.

Nel 2019 Pogacar ha corso la Vuelta, conquistando il podio e la maglia dei giovani
Nel 2019 Pogacar ha corso la Vuelta, conquistando il podio e la maglia dei giovani

La cura del campione

Tiberi ha partecipato al suo primo grande Giro nel 2022, a 21 anni: la Vuelta, alla terza stagione da professionista. Ha replicato lo scorso anno, mentre nel 2024 ha debuttato al Giro d’Italia, arrivando quinto. Il suo programma 2024 prevede nuovamente la Vuelta: è un passaggio utile per un atleta che il 22 giugno compirà 23 anni? Magari sono solo considerazioni personali: dopo il Delfinato e fino a Burgos, Antonio avrà un calendario tranquillo. E se ha voglia di fare la Vuelta, forse non sarà troppo pesante. Oppure la squadra non ha altri leader da schierare e, mandando Buitrago e Jack Haig al Tour, deve spedire Tiberi in Spagna. Sono considerazioni che invitano al ragionamento.

Vincenzo Nibali, cui Tiberi viene affiancato per caratteristiche caratteriali e in parte anche tecniche, affrontò il doppio impegno nel 2008, a 24 anni. Evenepoel, 24 anni, ha doppiato l’impegno lo scorso anno, anche se si era ritirato dal Giro alla nona tappa. Non si può dire pertanto che abbia partecipato a due grandi Giri nella stessa stagione e non è dato di sapere se quest’anno dopo il Tour parteciperà anche alla Vuelta. Vingegaard solo nel 2023, a 27 anni, ha partecipato al Tour e alla Vuelta.

Perché fare due grandi Giri all’anno, avendone appena 23? Costruire la carriera dell’atleta, rendere redditizio l’investimento oppure fare punti? L’esempio di Pogacar dovrebbe far riflettere. Al netto dei soldi, delle bici, degli sceicchi, della nutrizione e di tutto quello che gira attorno a uno squadrone come la UAE Emirates, quello che colpisce è la cura dell’atleta. Quanto durerebbe Pogacar facendo tutti gli anni due grandi Giri? Forse per questo, a meno di clamorosi ripensamenti, non andrà alla Vuelta. Significherebbe rimangiarsi ben più di una parola.

E se Pogacar facesse anche la Vuelta? Pensieri con Pino Toni

03.06.2024
5 min
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A tenere banco è sempre lui, Tadej Pogacar. Lo sloveno ha fatto qualcosa di gigantesco al Giro d’Italia e per come lo ha vinto già tutti sognano la doppietta ad occhi aperti. E se oltre alla doppietta Giro-Tour ci fosse altro? La Vuelta, per esempio…

L’asso della UAE Emirates potrebbe andare anche in Spagna? E come? Per vincere o per preparare il mondiale, che ha già detto di aver messo nel mirino? E’ possibile tutto questo? Oppure è troppo anche per un fenomeno assoluto come Tadej?

Proviamo a sviscerare questi dubbi con il supporto di uno dei nostri preparatori di riferimento, Pino Toni. E proviamoci soprattutto per capire se ciò è tecnicamente possibile.

Toni 2022
Il coach toscano Pino Toni
Toni 2022
Pino Toni è pronto a scommettere sulle qualità dell’austriaco, visto in Francia
Pino, prima della Vuelta una domanda sul Tour. Questa fatidica doppietta è fattibile dopo aver visto come è andato il Giro?

Al Tour de France  per me lo vedremo ancora più forte. Al Giro ha fatto un bellissimo e funzionale blocco di lavoro. Adesso recupererà e lo metterà a frutto. Pogacar non si è tirato il collo più di tanto. Quelle accelerate che abbiamo visto le ha dovute fare…

La famosa attivazione di cui ci dicevi…

Esatto, altrimenti avrebbe dovuto fare i rulli a fine tappa.

Però guardando avanti, al resto della stagione e alla Vuelta, non sarebbe troppo anche per lui?

Prendiamo l’intensity factor (quanto si sforza in generale, ndr) lui forse è arrivato a 0.9, neanche ad 1. Faceva 5′ a 7 watt/chilo per staccare gli altri e poi si metteva a 5,9-6 watt/chilo e continuava a guadagnare. Chiaramente sono stime che ho provato a fare con i dati a mia disposizione, per essere precisi bisognerebbe conoscere i suoi file. Ma conoscendo qualche numero di chi era dietro è possibile fare una stima attendibile. E poi la prova era Majka. Dopo che Rafal terminava il suo lavoro e si spostava poteva restare con chi inseguiva.

E’ possibile da un punto di vista fisiologico per Tadej andare anche alla Vuelta?

Sì, è possibile. E molto dipende dal Tour, ma per quel che si è visto al Giro se al Tour non emerge qualche fenomeno nuovo, non vorrei esagerare che farà come al Giro, ma si potrà gestire.

Majka tirava forte, poi si spostava e dopo un breve recupero poteva tenere le ruote degli altri big
Majka tirava forte, poi si spostava e dopo un breve recupero poteva tenere le ruote degli altri big
Però in Francia ci saranno Vingegaard, Roglic…

Il livello è ottimo, ma Roglic ha qualche annetto in più e per Vingegaard un incidente come quello che ha avuto non si recupera in tempi così stretti per essere super. Pertanto in ottica Vuelta tutto dipende da lui: dalla sua tranquillità e dai suoi stimoli, cose che Tadej mi sembra abbia entrambe. Pogacar non ha bisogno del motivatore. E poi c’è un’altra qualità.

Quale?

Almeno vista da fuori, lo scorso hanno non ha patito troppo la sconfitta da Vingegaard. E questo è un punto di forza. Cerca le sue motivazioni senza patire la sconfitta.

Che per un atleta del suo calibro che abbatte ogni record non è poco. A quel livello un secondo posto o una sconfitta diventano un macigno… Per te cosa dovrebbe fare dopo il Tour?

Prima di tutto bisogna vedere come esce dalla Grande Boucle. Che nelle tre settimane del Giro vada tutto bene tutti i giorni è già una fortuna, che ciò accada anche al Tour, lo sarebbe ancora di più. Basta una notte che dormi male, un giorno di malattia, un mal di pancia… e tutto si complica. In nove settimane, la Vuelta, diventa tutto un terno al lotto. Quindi, ripeto, vediamo come esce dal Tour. Recupera, non credo correrà, ma volendo potrebbe inserire nel mezzo anche una corsa di 5 giorni e poi andare in Spagna. Ma questa gestione così capillare può stabilirla solo che gli è strettamente vicino e lo conosce bene sotto ogni punto di vista.

Però dopo il Tour ci sono le Olimpiadi: anche questo appuntamento va valutato. E poi forse proprio in virtù di queste forse non è l’anno buono per andare anche alla Vuelta…

In effetti è tanta carne al fuoco, ma se devi fare un record unico, se deve mettersi al di sopra di tutto di tutto il mondo, questo è l’anno buono. La stagione gli si è messa bene sin dall’inizio. Cosa che non gli è successa l’anno scorso. In più prima del Giro ha corso poco.

Pogacar quest’anno non ha ancora fatto l’altura. Questo potrebbe essere un piccolo vantaggio per lui. Eccolo al Sestriere l’anno scorso (foto Matteo Secci)
Pogacar quest’anno non ha ancora fatto l’altura. Questo potrebbe essere un piccolo vantaggio per lui. Eccolo al Sestriere l’anno scorso (foto Matteo Secci)
Invece il fatto di non aver fatto ancora l’altura è un vantaggio che si è tenuto nel taschino?

Tecnicamente per recuperare sì, per la testa non so. Quanto lavorerà in altura? Io immagino la farà per rigenerarsi, per risollevare le scorte di ferro e qualche punto ematico. Di certo lui di energia ne produce tanta e ha bisogno di recuperare. L’importante è che in altura prima del Tour non prenda neanche un raffreddore.

Se Pogacar andasse alla Vuelta, che comunque dobbiamo ricordare lui ha già scartato, come ci andrebbe: per vincerla o per preparare il mondiale?

Gente come Pogacar ha già dimostrato che non ha bisogno di fare un grande Giro per arrivare pronta ad un determinato appuntamento. Se avesse bisogno di gareggiare in quel periodo avrebbe a disposizione molte corse di un giorno e in questo modo arriverebbe al mondiale più riposato, più fresco. Perché poi l’obiettivo di questi super campioni è arrivare freschi all’obiettivo.

Chiaro…

Quindi se ci va, ci va per vincerla. Anche perché non so quanti arrivi in salita abbia la Vuelta stavolta, ma è sempre un “boom-boom”, tra l’altro alcune tappe neanche sono cortissime. Per me sarebbe impegnativa in ottica mondiale. E poi alla fine verrebbe dopo Giro e Tour e 63 giorni di corsa non sono pochi neanche per uno come Pogacar, se poi dovesse fare anche il mondiale.

Da Aru a Tiberi, la “bianca” e l’esempio di Tadej: «Fai con calma!»

02.06.2024
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Fabio Aru è appena tornato dalla Cina. Per il secondo anno consecutivo ha partecipato a Desafio China by La Vuelta, un evento organizzato da ASO, pedalando assieme a Oscar Freire, Nicolas Roche, Anna Van der Breggen e un immenso pubblico cinese. Il Giro pertanto l’ha seguito dalle classifiche, riuscendo a vedere occasionalmente anche qualche immagine. Non gli è sfuggito tuttavia che il suo primato di ultimo italiano in maglia bianca è stato rilevato da Antonio Tiberi. Nei nove anni che sono trascorsi da allora, il mondo del ciclismo è cambiato radicalmente e così anche la sua vita. Eppure le speranze di un corridore che si affaccia sulla grande ribalta sono spesso simili. Che cosa passa per la testa di Tiberi? E cosa passò nella sua? E cosa deve fare ora il laziale? E cosa invece farebbe meglio ad evitare?

Il rapporto fra Aru e la maglia bianca fu a dire il vero piuttosto lungo. Nel primo Giro, quello del 2013, la indossò dalla 3ª alla 7ª tappa, perdendola a favore di Majka nel diluvio di Pescara in cui il suo capitano Nibali iniziò a crocifiggere Wiggins. Nel 2014 del Giro chiuso al terzo posto, la indossò dalla 19ª tappa alla fine, portandola al posto del detentore Quintana in maglia rosa. Infine nel 2015 la conquistò, piazzandosi secondo nella classifica finale, alle spalle di Contador. Nello stesso anno, il sardo avrebbe vinto la Vuelta.

Quanto vale la maglia bianca? E che cosa rappresenta in prospettiva di carriera?

Quando l’ho vinta, ero già entrato in una dimensione superiore. L’anno che per me fu una super soddisfazione vestire la maglia bianca è stato il 2013, il primo da professionista. Ero passato ad agosto 2012, però diciamo che il 2013 fu la prima stagione. Ero arrivato quarto al Trentino vincendo la maglia dei giovani. Così ero stato convocato per il Giro che vinse Nibali. E vestire la maglia bianca nelle prime tappe fu una grossissima soddisfazione. L’anno dopo la vinse Quintana. Mentre nel 2015, quando l’ho vinta io, ero molto più focalizzato sulla classifica. L’anno prima ero arrivato terzo, per cui nel 2015 la maglia dei giovani fu la conseguenza della classifica generale che chiusi al secondo posto. Fu una bella soddisfazione vincerla, però ero più focalizzato sulla maglia rosa. Tiberi invece l’ha vinta al primo Giro…

Che cosa significa?

Significa che è andato forte e che ha fatto una buona classifica. E’ arrivato quinto nel suo primo Giro d’Italia (al debutto Fabio arrivò 42°, lavorando per Nibali che lo vinse, ndr), quindi ovviamente il suo è stato un ottimo risultato.

Par di capire che nei tuoi Giri non abbia mai fatto corsa sui rivali per la maglia bianca.

No, mai. Anche quando ero dilettante non mi sono mai focalizzato sulle classifiche parziali, guardavo un po’ più avanti e, se venivano, erano una conseguenza. Se fai una buona classifica, puoi avere un buon risultato per la maglia bianca.

Per come sono andate le cose, con Nibali ritirato a fine carriera e tu un po’ prima, avere Tiberi quinto al Giro e in maglia bianca è un buon segnale?

Assolutamente, certo. Da italiani stavamo aspettando di avere qualche altro giovane. Mentre nelle classiche, magari abbiamo qualche nome che può farci ben sperare, nei Giri eravamo un po’ indietro. Invece quest’anno abbiamo avuto dei bei segnali. Da Tiberi, certo, ma anche da Pellizzari e Piganzoli. Credo sia questione di tempo, ci sono sempre stati dei cicli. Qualunque nazione vorrebbe avere un Tadej per le mani, ma di Tadej ce n’è uno, quindi dobbiamo aspettare.

Nel finale del Giro 2015, Aru vince due tappe: a Cervinia (foto) e Sestriere
Nel finale del Giro 2015, Aru vince due tappe: a Cervinia (foto) e Sestriere
Pensa che, a cose normali, alla UAE Emirates Pogacar avrebbe dovuto tirare per te…

Guardando i suoi risultati sin da quando era più giovane, nulla faceva presagire che sarebbe passato per tirare. Da ragazzo aveva già vinto tutto, fra il Tour de l’Avenir, il Lunigiana, insomma varie corse. Io non li avevo vinti e quasi neanche fatti (sorride, ndr).

Il Giro del 2015 lo vinse Contador, che non faceva tanti regali. Secondo te c’è tanta differenza tra il suo modo di correre e quello di Pogacar?

Guardate, Alberto, a parte essere un amico, è stato il mio idolo da quando iniziai ad appassionarmi di ciclismo. Ma senza nulla togliere a quello che ha fatto, Tadej è di un altro livello. Tadej è completo, Alberto era estremamente forte in salita. Tadej è estremamente forte in volata, in salita e anche a cronometro. Non me ne voglia Alberto, ma so che anche lui ha espresso delle parole di apprezzamento molto importanti nei confronti di Pogacar. Per cui, anche se Contador mi ha battuto in quel Giro perché era un grandissimo, Tadej ha una completezza che lo mette su un gradino più alto. Uno che vince un Fiandre, tre Lombardia di fila, due Liegi, la Freccia, l’Amstel, due Tour e un Giro… 

Aru e Pogacar hanno corso poco insieme: qui alla Vuelta 2019, quella della rivelazione di Tadej
Aru e Pogacar hanno corso poco insieme: qui alla Vuelta 2019, quella della rivelazione di Tadej
Torniamo a Tiberi: quinto al Giro di Pogacar, adesso va al Delfinato. Che cosa dovrebbe fare a questo punto della sua carriera?

Deve avere un po’ di calma, poi logicamente ci saranno i suoi tecnici alla Bahrain Victorious a prendere sicuramente le scelte giuste: ormai le squadre sono gestite da professionisti. Io personalmente mi buttai un po’ troppo a capofitto.  Già dal 2014 iniziai col fare sempre due grandi Giri ogni anno e non fu un bene. Guardiamo anche come è stato gestito Pogacar, che fino a quest’anno non ha mai fatto due grandi Giri nella stessa stagione. Giro, Tour e Vuelta sono belli, ma ti logorano. Quindi per Tiberi ci sta adesso fare il Delfinato, ma attenderei ad aggiungere il secondo Giro.

Potresti aver esagerato?

Nel 2014 arrivai terzo al Giro e quinto alla Vuelta. Nel 2015, secondo al Giro e vinsi la Vuelta. Nel 2017, quinto al Tour e 13° alla Vuelta, però spendevo tanto. I Giri ti logorano fisicamente e mentalmente, quindi per Antonio avrei un po’ di accortezza da questo punto di vista. Tiberi ha fatto un ottimo Giro, ci sono tante altre gare e lui è ancora giovane, ha tanti anni davanti. Non dico che sia sconsigliato fare sempre due grandi Giri, si possono fare, però non per tanti anni di fila. Non è più un ciclismo che ti permette di gestire gli sforzi.

Col Giro siamo arrivati a Sappada, forse il luogo del tuo primo crollo nel 2018: distacco di 19 minuti…

Posso dire una cosa. Personalmente nel ciclismo ho vissuto dei momenti bellissimi, ma ne ho vissuti anche di tremendi. Se mi guardo allo specchio oggi che sono passati due anni e mezzo da quando ho smesso, posso dire consapevolmente di essere contento di come sono. Vado in bici, ma non sono il classico ex che fa 20-30 mila chilometri all’anno. Non sono questo, mi piace andare in bici qualche volta a settimana, mi piace fare gli eventi, stare in mezzo alla gente e fare anche altri sport. Però ho passato dei momenti di sofferenza e Sappada fu uno di quelli. Però questa è la vita, fatta di alti e bassi: l’importante è crescere.

Il primo grande Giro per la Tudor: Tosatto fa il bilancio

02.06.2024
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La prima grande corsa a tappe alla quale la Tudor Pro Cycling ha partecipato è stato il Giro d’Italia. Tra le fila dei diesse che hanno guidato la professional svizzera sulle strade della corsa rosa c’era Matteo Tosatto. Lui al Giro d’Italia è di casa, ne ha vinti tre: con Froome, Geoghegan Hart e Bernal, mentre per due volte è salito sul podio con Carapaz nel 2022 e con Thomas lo scorso anno. 

«Sono tornato a casa lunedì – racconta Tosatto – e in questi giorni me ne sto un po’ tranquillo. I prossimi impegni non sono ancora definiti, ma la squadra si dividerà in tante corse, vedremo a quali andrò. Sicuramente mi presenterò ai campionati italiani al seguito di Dainese e Trentin, credo sia fondamentale onorare la gara che assegna la maglia tricolore».

Per Tosatto è stato il primo Giro d’Italia alla guida della Tudor
Per Tosatto è stato il primo Giro d’Italia alla guida della Tudor

Un nuovo esordio

Come detto il Giro d’Italia non è una novità per Matteo Tosatto, la differenza rispetto allo scorso anno è la squadra con la quale lo ha seguito. Non più la Ineos, prima Team Sky, con la quale lavorava dal 2017. Bensì la Tudor Pro Cycling

«E’ stato un bel viaggio – ci racconta – dopo tanti anni con la Ineos è stato diverso, ma sempre entusiasmante. Il Giro è il Giro, lo affronti sempre con la stessa mentalità. La differenza grossa è che con la Ineos partivamo per vincere, mentre con la Tudor l’obiettivo era ben figurare e magari portare a casa una tappa. Non ci siamo riusciti, per poco. Quando si chiede un bilancio molti dicono di vedere il bicchiere mezzo pieno, io lo vedo pieno. Non abbiamo vinto, vero, ma siamo stati protagonisti considerando che con Storer siamo riusciti a centrare una top 10 in classifica generale». 

Storer ha conquistato un importante decimo posto nella generale
Storer ha conquistato un importante decimo posto nella generale
Com’è stato passare da un team che lotta per vincere la classifica finale a uno che vuole emergere?

La mentalità è sempre uguale, le corse io le affronto sempre allo stesso modo, Chiaro che senza l’assillo della classifica affronti le tappe in maniera diversa.

Voi come avevate preparato questo Giro?

Con il treno per Dainese che era ben attrezzato. Nelle tappe miste o con la possibilità di volata andavamo a tutta, nelle altre cercavamo di salvare un po’ la gamba. Poi Storer è stato bravo a rimanere sempre lì e abbiamo cercato di dare il giusto supporto anche a lui. 

La concentrazione è sempre a 100 però, anche se non si punta alla classifica…

Chiaro. Con il fatto di volersi concentrare sulle tappe ti rende più tranquillo anche se poi scopri che tutti i giorni sono importanti. 

Nella tappa di Fano, vinta da Alaphilippe, Trentin è arrivato sesto
Nella tappa di Fano, vinta da Alaphilippe, Trentin è arrivato sesto
Che differenze hai notato nella gestione?

La grande differenza è che in una realtà già affermata come la Ineos molti corridori sono campioni già affermati. Qui è diverso, molti ragazzi erano alla loro prima esperienza in un grande Giro. C’è un lavoro psicologico da fare, di sostegno nei momenti di difficoltà.

Qual è stato il vostro momento più difficile?

L’inizio della seconda settimana. Nella tappa di Napoli, che era estremamente impegnativa per i velocisti, eravamo riusciti a lavorare per Dainese. Alberto ha portato a casa un ottimo quarto posto ed eravamo felici. Solo che nel corso della frazione Krieger e Mayrhofer sono caduti e si sono dovuti ritirare. Ricordo che nel meeting prima della tappa da Pompei a Cusano Mutri ho lavorato tanto sull’aspetto psicologico. Ho detto ai ragazzi che anche se eravamo rimasti in sei potevamo comunque dire la nostra. 

Il momento migliore? 

Tutto il Giro direi, senza presunzione ma rapportando il tutto alle nostre possibilità. Siamo stati protagonisti nelle fughe e abbiamo conquistato ottimi piazzamenti. Storer nella tappa con arrivo a Prati di Tivo è andato in fuga e anche una volta che sono stati ripresi è rimasto con i primi terminando nono la frazione. 

A Padova la più grande occasione per la Tudor, Dainese è quarto con qualche rammarico
A Padova la più grande occasione per la Tudor, Dainese è quarto con qualche rammarico
Cosa hai portato di tuo a questa squadra?

La mentalità. Non siamo andati al Giro solo per apparire o per fare le fughe per gli sponsor. Abbiamo deciso di attaccare quando sapevamo di poterci giocare le nostre occasioni. A Livigno, sempre con Storer siamo andati all’attacco poi a lui sono mancate le gambe negli ultimi otto chilometri. Anche a Fano siamo entrati nella fuga con Trentin che poi è arrivato sesto. 

Poi è arrivata Padova…

Questo è l’esempio di quanto dicevo prima. Con l’abbandono di Mayrhofer e Krieger abbiamo perso due vagoni importanti del treno di Trentin. Eppure, anche senza di loro, a tre chilometri dall’arrivo eravamo davanti noi al gruppo a tirare. Non un team WorldTour, ma la Tudor. Poi Dainese ha fatto quarto in volata. 

Bilancio positivo?

Positivo, assolutamente. Ora ci concentriamo sui prossimi obiettivi. Abbiamo il Giro di Svizzera che è la corsa di casa sulla quale puntiamo molto.

La leggenda di Bottecchia sulle strade del Giro d’Italia 

01.06.2024
3 min
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Il 20 luglio 1924, Ottavio Bottecchia divenne il primo italiano a vincere il Tour de France, realizzando un’impresa straordinaria: fu il primo a indossare la maglia gialla, dalla prima all’ultima tappa. La sua vittoria non fu solo una dimostrazione di straordinario talento ciclistico, ma anche di una dedizione immensa e di un forte legame con la sua famiglia e la sua terra. Senza conoscere una parola di francese, Bottecchia riuscì difatti a conquistare la gara più dura al mondo in territorio straniero, un’impresa che segnò profondamente la storia del ciclismo.

Ma Bottecchia non si fermò solo a quella vittoria. L’anno successivo, nel 1925, replicò l’impresa vincendo nuovamente il Tour de France: un secondo successo che consolidò il suo status di leggenda nel mondo del ciclismo. Ottavio Bottecchia diventò un vero e proprio simbolo di perseveranza e di successo, un esempio per le future generazioni di ciclisti italiani e internazionali.

In strada un caratello che ricorda le gesta di del ciclista friulano
In strada un caratello che ricorda le gesta di del ciclista friulano

Traguardo volante

Nel 2024, esattamente cento anni dopo la sua storica vittoria, le strade del Giro d’Italia hanno reso omaggio a Ottavio Bottecchia in occasione della diciannovesima tappa, la Mortegliano – Sappada. Un omaggio che non si è limitato ad un semplice passaggio commemorativo. Non a caso il percorso della frazione ha previsto una tappa a Trasaghis (Udine), il luogo dove Bottecchia trascorse gran parte della sua vita e dove si trova il memoriale a lui dedicato, esattamente nel punto in cui si racconta che il campione fu colto dal malore che lo condusse alla morte.

La scelta di includere Trasaghis nel percorso del Giro d’Italia non è stata casuale e testimonia un segno di rispetto e di riconoscimento verso uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi. La tappa ha previsto anche il primo traguardo volante della giornata proprio in questo luogo, celebrando così uno dei figli più illustri del ciclismo italiano.

Durante il passaggio del Giro c’è stato il momento per omaggiare il centenario della grande impresa di Ottavio Bottecchia
Durante il passaggio del Giro c’è stato il momento per omaggiare il centenario della grande impresa di Ottavio Bottecchia

Un successo celebrativo

Durante il passaggio del Giro d’Italia da Trasaghis l’azienda che porta il nome del campione ha voluto onorare la memoria di Ottavio Bottecchia.

«Questa celebrazione – ha ammesso Marco Turato, il responsabile commerciale Italia di Bottecchia Cicli – è un grande orgoglio per tutti noi, ed è per questo che siamo qui oggi a presenziare al passaggio del Giro d’Italia davanti al monumento di Ottavio Bottecchia, con le nostre maglie gialle del Centenario della vittoria».

L’azienda, fondata con lo stesso spirito competitivo e con la stessa dedizione che caratterizzavano Ottavio, vede in questa commemorazione un tributo non solo alla persona, ma anche ai valori che rappresentava: competizione, resilienza, sacrificio e passione sono i tratti distintivi che accomunano la storia di Ottavio e il brand Bottecchia. Una storia di grandi conquiste, ma anche di impegno e dedizione costante.

Il sindaco di Trasaghis, Stefania Pisu, ha giocato un ruolo fondamentale nella realizzazione di questa commemorazione. Grazie al supporto delle autorità locali e alla collaborazione con varie associazioni ciclistiche, è stato difatti possibile organizzare un evento che ha onorato non solo la memoria di Bottecchia, ma anche il legame profondo tra il campione e la sua terra friulana. Anche il responsabile commerciale per il Friuli di Bottecchia Cicli, Percos Bike, e l’ASD Ottavio Bottecchia, hanno ulteriormente contribuito in maniera significativa a rendere questa celebrazione un successo. La loro partecipazione testimonia l’affetto e il rispetto che la comunità ciclistica nutre ancora oggi per Ottavio Bottecchia.

Bottecchia

Piva: «Per Zana un Giro lontano dai riflettori ma di grande solidità»

01.06.2024
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Il Giro d’Italia di Filippo Zana è terminato sfiorando una top 10 in classifica generale. Non era partito con l’intenzione di seguire i migliori lungo tutte e tre le settimane, ma le vicissitudini in casa Jayco-AlUla lo hanno costretto a provarci. Undicesimo a Roma, un Giro lontano dalle telecamere ma comunque solido. 

«Zana – ci racconta il suo diesse alla corsa rosa Valerio Piva – era partito per il Giro con le stesse ambizioni dell’anno passato. Essere di supporto a Dunbar per la classifica, cercare di ritagliarsi degli spazi nelle fughe e ripetere il successo del 2023».

L’obiettivo iniziale era permettere a Zana di lottare per una vittoria di tappa, come in Val di Zoldo nel 2023
L’obiettivo iniziale era permettere a Zana di lottare per una vittoria di tappa, come in Val di Zoldo nel 2023

Carte rimescolate

Eddie Dunbar ha terminato il suo Giro d’Italia a Oropa, tornando a casa il giorno dopo. Le carte in casa Jayco si sono rimescolate e i ragazzi del team australiano sono andati avanti giorno per giorno. 

«Chiaramente – continua – Piva – l’uscita di scena di Dunbar ha compromesso i nostri piani. Zana però si è dimostrato in grande condizione, soprattutto nelle due cronometro. Dopo Perugia eravamo convinti che potesse tener duro, magari perdendo qualcosa in classifica. Così si sarebbero aperti spazi per tentare di vincere una tappa e magari risalire qualche posizione. Il problema è che l’occasione si è creata troppo presto, nella tappa con arrivo a Bocca di Selva. In quella fuga era il migliore in classifica generale ed è entrato in top 10, ma era troppo presto».

La seconda tappa è stata anche l’ultima del Giro per Dunbar, costretto al ritiro causa caduta
La seconda tappa è stata anche l’ultima del Giro per Dunbar, costretto al ritiro causa caduta
Dopo l’arrivo di Bocca di Selva si trovava a meno di un minuto da Tiberi, detentore della maglia bianca.

Era controllatissimo. La Bahrain in quella tappa si era messa a ricucire un po’ il margine sulla fuga nella quale era presente Zana. Il problema era che anche la Ineos era interessata alla maglia bianca, visto che avevano Arensman in classifica. 

Alla fine era in top 10 e in lotta per la maglia bianca…

Gli spazi erano troppo ristretti per provare a fare qualcosa, per andare in fuga. L’unica mossa permessa era tenere duro e provare ad attaccare nei finali, ma con un Pogacar del genere era impossibile. In più Zana non è uno scalatore puro. Alla fine ci siamo detti che sarebbe stato importante portare a casa una top 10 e ci stavamo riuscendo. 

Con il ritiro dell’irlandese è toccato a Zana curare la classifica generale
Con il ritiro dell’irlandese è toccato a Zana curare la classifica generale
Fino alla penultima tappa, quella della doppia scalata del Monte Grappa.

Li ha pagato tutti gli sforzi fatti. Ha perso contatto, di poco, proprio sul primo passaggio del Grappa, ha lottato per rientrare ma era da solo. Peccato, perché una top 10 era più che meritata.

Come mai avete optato per tenere duro nonostante non fosse esattamente la sua specialità?

Dopo la cronometro di Perugia abbiamo parlato tutti insieme: Zana, Pinotti ed io. Ci siamo detti che l’occasione era ghiotta e comunque Zana stava facendo registrare ottimi valori. Fare un Giro in lotta per la classifica non era nei piani iniziali, ma comunque ha portato un’esperienza diversa che lo farà crescere. Per la squadra è stato un buonissimo risultato, anche perché una top 10 porta più punti UCI che una vittoria di tappa. 

Tutto è andato per il meglio, fino alla tappa del Monte Grappa, dove Zana ha perso la top 10
Tutto è andato per il meglio, fino alla tappa del Monte Grappa, dove Zana ha perso la top 10
A livello personale ha fatto un passo indietro?

Vincere una tappa porta tanto dal punto di vista del prestigio. In quel giorno sei il migliore, il corridore al centro dell’attenzione. Però Zana ha fatto un Giro solido, che può avergli insegnato qualcosa di nuovo e che lo ha fatto crescere. E’ giovane potrà migliorare ancora, anche se non lo vedo come un corridore specializzato per i grandi giri. Per corse di una settimana sì. 

Si è ritrovato anche spesso da solo.

La squadra era costruita intorno a Caleb Ewan. Con Zana e de Marchi che avrebbero dato sostegno a Dunbar. Il ritiro di quest’ultimo ha costretto Zana a lavorare per sé. L’esempio è la tappa del Grappa, se ci fosse stato qualcuno con lui magari sarebbe rientrato sul gruppo prima della seconda ascesa. Perdere la top 10 in questo modo è stato un po’ un boccone amaro, ma siamo molto soddisfatti di quanto fatto da Zana al Giro.

Rubio, colombiano di Benevento: 21 tappe in mezzo ai grandi

31.05.2024
5 min
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In certi casi i piazzamenti hanno un valore particolare. Quello di Einer Rubio al Giro d’Italia, concluso in settima posizione è preziosissimo perché certifica l’ingresso del ventiseienne colombiano di Chìquiza tra i corridori che hanno un valore assodato nei grandi Giri e nel ciclismo odierno non è cosa da poco. Non lo è neanche nell’economia del suo team, la Movistar, che con lui trova una valida alternativa a Enric Mas, orientato sul Tour.

Pochi sanno però che c’è tanto d’Italia in Rubio, che da ormai sette anni vive e si allena in Campania: «Arrivai da junior – racconta – trovando uno spazio all’Aran Cucine Vejus, società di Benevento. Anche allora il ciclismo giovanile italiano era visto come un’ottima strada per fare esperienza e affermarsi. Mai avrei pensato però che il mio legame sarebbe andato oltre e che lì avrei trovato l’amore. Il presidente del team è diventato anche mio suocero, a Pago Veiano mi ci sono stabilito e mi sento davvero a casa».

Gli inizi di Rubio all’Aran Cucine Vejus, dove il colombiano ha davvero trovato casa
Gli inizi di Rubio all’Aran Cucine Vejus, dove il colombiano ha davvero trovato casa
E’ stato un bel salto per te che venivi da oltreoceano…

Mi sono trovato subito bene, io poi sono nato e ho vissuto in campagna e la piccola dimensione del paese di provincia è ideale per me. Oltretutto le strade qui sono poco trafficate, ideali per potersi allenare anche come altimetria, ci sono begli strappi.

Con il Giro d’Italia hai un bel legame. Lo scorso anno avevi sfiorato la Top 10 vincendo la tappa di Crans Montana, quest’anno hai centrato un piazzamento di maggior prestigio ma senza successi parziali. Che cosa è meglio?

Onestamente sono più contento quest’anno. L’11° posto della passata stagione era stato frutto soprattutto di una lunga fuga, questa volta invece sono rimasto quasi sempre nel vivo dell’azione, a contatto dei più forti (salvo uno, naturalmente…). Puntavo al piazzamento in classifica, anche perché conquistare una tappa così è più difficile: lo scorso anno era molto più facile entrare in fuga, questa volta ero “marcato stretto”…

Rubio al fianco di O’Connor. Per tutto il Giro è stato con i migliori, segno di un salto di qualità
Rubio al fianco di O’Connor. Per tutto il Giro èè stato con i migliori, segno di un salto di qualità
Tu l’anno scorso c’eri, ma non c’era Pogacar, quanto ha cambiato la sua presenza, al di là della vittoria?

Tantissimo nell’economia della corsa. C’era un padrone assoluto, lui e il suo team e non si muoveva foglia che non fosse deciso da loro. La fuga aveva senso solo se loro davano il benestare, non inseguivano. Questo ha reso la corsa più irregimentata, lo scorso anno poteva davvero capitare di tutto. Ma lo sloveno è davvero di un’altra categoria.

Prima del Giro come andavano le cose?

Abbastanza bene, ho seguito praticamente lo stesso schema dello scorso anno in modo da arrivare alla partenza già in buona forma. Le corse a tappe come Volta Valenciana (che di fatto sostituiva la trasferta sudamericana dello scorso anno), Uae Tour e Catalunya sono state ideali per affinare la preparazione, poi sono tornato in Colombia per fare il necessario periodo di altura e sono tornato giusto per la partenza di Venaria reale. Ha funzionato tutto.

Il pubblico campano lo sente ormai come un corridore di casa. Rubio risiede a Pago Vejano (BN)
Il pubblico campano lo sente ormai come un corridore di casa. Rubio risiede a Pago Vejano (BN)
Il tuo risultato dà anche un po’ di respiro al ciclismo colombiano, che ultimamente ha messo in mostra meno talenti rispetto al passato. Pensi che quanto successo a Bernal abbia avuto un contraccolpo?

Un po’ sì. I corridori forti ci sono, c’è tanta qualità. Il problema è strutturale e Bernal con i suoi successi copriva un po’ tutto. Per i giovani è difficile trovare sbocchi, perché significa dover andare via, per gareggiare bisogna pagare dalle nostre parti e la mancanza di un team di riferimento si sente. Per me è stato importante non solo venire in Italia, ma trovare poi un team come la Movistar, ideale per me, una vera famiglia dove c’è anche lo stesso mio idioma. E’ la miglior squadra che potessi desiderare.

Hai vissuto momenti difficili al Giro?

Sicuramente in occasione delle due cadute, con la pioggia e con il terreno sconnesso sulle strade bianche. Ho dovuto inseguire e avevo tanta paura di veder vanificati tutti i miei tentativi, soprattutto l’opportunità che avevi di stare con i migliori.

Insieme a Kuss alla Volta a Catalunya. Le medie corse a tappe sono state la sua preparazione
Insieme a Kuss alla Volta a Catalunya. Le medie corse a tappe sono state la sua preparazione
Dove ti rivedremo?

Le vacanze post corsa rosa stanno già finendo, mi aspetta il Giro di Svizzera dove correrò per la classifica puntando a sfruttare la condizione maturata nelle tre settimane. Poi bisognerà decidere che cosa fare per la seconda parte di stagione.

Tornerai alla Vuelta come lo scorso anno?

Il programma dovrebbe essere questo, ma io vorrei testarmi nelle classiche d’un giorno. Quando sono arrivato in Italia vedevo che il calendario era fatto quasi esclusivamente di corse di quel tipo e mi trovavo abbastanza bene, credo che in certe gare potrei dire la mia, diciamo che ci vorrei provare.

Rubio è nato a Chiquiza (COL) il 22 febbraio 1998. E’ in Italia dal 2017
Rubio è nato a Chiquiza (COL) il 22 febbraio 1998. E’ in Italia dal 2017
Ma visto il percorso di Zurigo, un pensierino al mondiale lo fai?

Più di un pensierino… Ne parlerò con il cittì, se mi vorrà allora preparerò la corsa con grande attenzione. Vestire la maglia della nazionale è un grandissimo onore e su quel percorso non andrei certo per fare la comparsa…

Ciccone: l’inizio al Romandia e i nuovi obiettivi della stagione

30.05.2024
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Il Tour de Romandie ha significato il rientro alle corse per Giulio Ciccone. Un inizio di stagione tardivo causato da un problema al soprasella che lo ha escluso dal Giro d’Italia, suo primo obiettivo del 2024. Finite le fatiche in terra svizzera è volato in Spagna, a Sierra Nevada, per fare un lungo blocco di lavoro in vista dei prossimi impegni. Lo scalatore abruzzese sarà prima al via del Giro del Delfinato e poi al Tour de France

«Sto bene ora – racconta Ciccone – sono stato in ritiro con la squadra e abbiamo fatto tre settimane intense di allenamento. Iniziare la stagione al Tour de Romandie è stato strano, non avevo mai cominciato così tardi a correre. Ma se ci pensate il calendario è ricco di impegni e da qui a settembre ci sono tante gare alle quali guardare con ottimismo».

Al Tour de Romandie è arrivato l’esordio stagionale per lo scalatore abruzzese
Al Tour de Romandie è arrivato l’esordio stagionale per lo scalatore abruzzese

Due ritmi differenti

In Svizzera erano presenti tanti corridori che sarebbero poi stati protagonisti al Giro d’Italia appena concluso come Arensman, Caruso e Alaphilippe. Oppure altri che andranno verso il Tour de France: Bernal, Vlasov e Simon Yates. Anche Ciccone punta alla Grande Boucle, ma per lui il Romandia era il primo passo, mentre per gli altri era l’ennesimo verso questo importante appuntamento. 

«Il Romandia – continua Ciccone – serviva per mettere insieme ritmo gara e condizione. Ovvio, ho fatto tanta fatica, ma non correvo da mesi quindi era prevedibile. In più il livello degli altri corridori era alto. Io ho preso l’impegno come un prosieguo degli allenamenti fatti in precedenza. Finito il Romandia sono andato alla Eschborn-Frankfurt dove la condizione era già più alta».

L’infortunio al soprasella lo ha fermato per tutto il mese di febbraio (foto Instagram)
L’infortunio al soprasella lo ha fermato per tutto il mese di febbraio (foto Instagram)

Ricominciare da capo

Lo stop subito da Giulio, a inizio febbraio, ha costretto il corridore della Lidl-Trek a ripartire da zero e ricostruire tutto il lavoro dell’inverno. Una cosa che mentalmente può abbattere anche gli atleti più motivati.

«Sono arrivato al Romandia con meno di due mesi di allenamento – riprende – fermarsi durante l’inverno ha azzerato tutto il lavoro fatto in precedenza. L’uno di marzo sono partito da zero e dopo qualche settimana sono tornato in gruppo. Si deve ripartire con le gambe, ma anche di testa. Non bisogna farsi abbattere dalla situazione anche se rimettere insieme i pezzi è difficile. Arrivare ad una condizione decente mi è costato fatica e impegno. Probabilmente questo è stato uno dei periodi più difficili, ma sono contento di come l’ho superato». 

L’anno scorso al Tour Ciccone conquistò la maglia a pois, proverà a difenderla?
L’anno scorso al Tour Ciccone conquistò la maglia a pois, proverà a difenderla?

Nuovi obiettivi

Con appena sette giorni di corsa messi insieme in questo 2024 Ciccone si avvicina alla seconda parte di stagione carico di aspettative, grazie anche al supporto della squadra.

«Il team – conclude – mi ha subito cambiato il calendario e i piani. L’avvicinamento al Tour è dei migliori e forse farò un calendario più intenso del previsto. Farò la Grande Boucle e a settembre la Vuelta, mentre con il programma iniziale avevo un solo una corsa a tappe di tre settimane: il Giro d’Italia. Ovvio che gli obiettivi cambiano, al Tour Thao sarà il capitano mentre io mi metterò nel ruolo del “jolly”. Porterò fantasia, ma sarò comunque a disposizione di Geoghegan Hart. Probabilmente avrò più spazio alla Vuelta, ma vedremo come mi sentirò durante la stagione. Dispiace aver perso il Giro, ma ora mi concentro sul Tour de France, che parte comunque dall’Italia. 

«Il Delfinato – che partirà domenica 2 giugno – sarà un po’ una sorpresa visto che è la prima gara in cui arriverò con una buona condizione e una preparazione mirata. Provo e testo con tanta curiosità, vedremo dove mi porterà».